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AZIENDA
OSPEDALIERA
SANTA
CROCE
e
CARLE
UNIVERSITA’
DEGLI
STUDI
DI
TORINO
CUNEO FACOLTA’
DI
MEDICINA
E
CHIRURGIA
UNIVERSITÀ
DEGLI
STUDI
DI
TORINO
FACOLTÀ
DI
MEDICINA
E
CHIRURGIA
MASTER
DI
I
LIVELLO
IN
INFERMIERISTICA
DI
AREA
CRITICA
SEDE
DI
CUNEO
Elaborato
finale
Frentz
[ad
majora]
INDICE
PREMESSA
INTRODUZIONE
PARTE
PRIMA
2.
L’ACCERTAMENTO
NUTRIZIONALE
2.1
Le
misure
antropometriche
PARTE
SECONDA
PARTE
TERZA
CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
FINALI
ALLEGATI
1-‐
Nutritional
Risk
Screening
2-‐
Malnutrition
Universal
Screening
Tools
BIBLIOGRAFIA
ABSTRACT
Premessa
Il
vocabolo
nursing
-‐“professione
o
pratica
di
provvedere
alle
cure
di
malati
o
infermi”-‐
fortemente
radicato
anche
nel
nostro
paese
per
indicare
l’assistenza
infermieristica,
deriva
dal
verbo
inglese
to
nourish,
che
a
sua
volta
origina
dal
latino
nutrire,
allattare.
Quello
della
nutrizione
è
uno
dei
temi
cruciali
su
cui
l’infermieristica
ha
basato
le
sue
competenze,
già
la
fondatrice
del
nursing
Florence
Nightingale
aveva
speso
numerose
pagine
del
suo
Cenni
dell’assistenza
degli
ammalati
e
numerosi
teorici
basato
i
loro
studi
sul
bisogno
di
alimentazione
del
paziente.
L’intenzione
di
realizzare
un
elaborato
su
questo
tema
origina
dalla
personale
esperienza
professionale
che,
se
pur
breve,
conta
sul
ricco
confronto
con
i
compagni
di
lavoro:
questo
testo
vuole
contribuire
a
condividere
le
più
recenti
evidenze,
per
assicurare
ai
nostri
assistiti
il
raggiungimento
del
miglior
stato
assistenza
possibile.
Introduzione
Nella
pratica
sanitaria
la
malnutrizione
rappresenta
un
problema
diffuso,
interessando
tutte
le
professionalità
che
circondano
il
paziente.
Con
l’insorgere
di
una
patologia
acuta
infatti,
si
determina
una
compromissione
del
metabolismo
fisiologico,
cui
seguono
squilibri
energetici
corresponsabili
dell’interruzione
delle
funzioni
vitali
e
dei
processi
di
guarigione:
in
questi
soggetti
occorre
stabilire
tempestivamente
la
modalità
più
opportuna
per
l’approccio
nutrizionale,
con
l’obiettivo
di
recuperare
una
condizione
clinica
favorevole.
Lo
screening
nutrizionale
di
tutti
i
pazienti
ammessi
in
terapia
intensiva
permette
di
individuare
situazioni
critiche
reali
o
potenziali,
che
dovranno
essere
affrontate
dall’equipe
di
cura
anche
in
collaborazione
con
specifiche
professionalità.
Pur
costituendo
una
terapia
basilare,
quella
nutrizionale
non
è
esente
da
complicanze:
è
necessario
valutare
con
attenzione
l’appropriatezza
della
via
prescelta,
della
miscela
e
dello
schema
infusionale
utilizzato.
E
poi
opportuno
monitorare
lo
stato
nutrizionale
del
paziente
e
i
presidi
utilizzati
per
la
somministrazione
della
terapia,
entrambi
aspetti
imprescindibili
nella
gestione
assistenziale
dell’infermiere.
Per
consentire
l’approfondimento
dei
diversi
argomenti
trattati,
il
presente
elaborato
è
stato
diviso
in
tre
parti.
Le
fonti
utilizzate
sono
tratte
dalle
più
autorevoli
società
internazionali
e
uno
specifico
capitolo
è
dedicato
alla
descrizione
del
panorama
scientifico
nel
campo
della
nutrizione
ospedaliera
e
di
terapia
intensiva.
La
prima
parte
del
testo
contiene
i
presupposti
alla
base
del
supporto
nutrizionale,
esaminando
il
fenomeno
della
malnutrizione
in
ospedale
e
successivamente
presentando
i
metodi
per
l’accertamento
dello
stato
nutrizionale
e
la
valutazione
del
fabbisogno
energetico
nel
paziente
critico.
Nella
seconda
parte
si
passa
agli
aspetti
più
operativi,
trattando
le
indicazioni,
le
strategie
e
le
tempistiche
del
supporto
nutrizionale.
Nello
specifico
infermieristico,
si
pone
l’attenzione
ad
alcuni
aspetti
legati
al
monitoraggio
del
paziente
nutrito
artificialmente,
come
la
gestione
del
ristagno
gastrico
e
dell’iperglicemia.
Infine,
si
propone
un
approfondimento
sul
paziente
affetto
da
pancreatite
acuta
grave,
per
il
sempre
più
frequente
riscontro
in
terapia
intensiva.
La
terza
parte
ancora,
esamina
le
risorse
impiegabili
dall’infermiere
per
migliorare
l’assistenza
al
paziente
sottoposto
a
nutrizione
artificiale,
con
il
supporto
della
letteratura,
delle
società
di
riferimento
e
il
ricorso
all’uso
del
team
nutrizionale,
una
struttura
di
esperti
attivabile
dall’equipe
di
cura.
Altro
aspetto
contenuto
in
questa
parte
conclusiva,
è
rappresentato
dagli
aspetti
etici
legati
all’alimentazione
nel
fine
vita,
acquisendo
i
pareri
espressi
dalle
più
rappresentative
società
scientifiche
e
dalle
federazioni
professionali
di
infermieri
e
medici.
A
conclusione
dell’elaborato,
sarà
possibile
tracciare
il
ruolo
dell’infermiere
specialista
nella
messa
in
campo
di
strumenti
e
risorse
mirati
al
soddisfacimento
del
bisogno
di
alimentazione
del
paziente.
CAPITOLO
1
LA
MALNUTRIZIONE
IN
OSPEDALE
1.1
Forme
e
definizione
della
malnutrizione
Nel
paziente
in
fase
acuta,
il
normale
apporto
alimentare
diviene
inadatto
a
causa
di
cambiamenti
dei
bisogni.
I
disturbi
provocati
dalla
malattia,
e
non
la
malattia
in
quanto
tale,
determina
specifiche
alterazioni
metaboliche
ed
ormonali
e
disordini
nutrizionali.
La
malnutrizione
dunque,
s’instaura
quando
esiste
nell’organismo
uno
stato
di
alterazione
funzionale,
strutturale
e
di
sviluppo
conseguente
alla
discrepanza
tra
fabbisogni
nutrizionali1
e
può
essere
definita
come
“lo
stato
derivante
da
deficit
o
eccesso
primitivo
o
secondario
di
nutrienti
qualitativamente
o
quantitativamente
insufficienti
o
eccessivo
nel
soddisfare
i
fabbisogni
attuali
del
soggetto”.
Gli
stati
di
malnutrizione
vengono
comunemente
classificati
secondo
i
seguenti
criteri:
a)
Malnutrizione
per
difetto
• Malnutrizione
calorica
(tipo
marasma)
• Malnutrizione
calorico-‐proteica
(tipo
kwashiorkor)
• Sindromi
carenziali
(deficit
di
vitamine,
sali
minerali
ed
oligoelementi)
b)
Malnutrizione
per
eccesso
• Sovrappeso
e
obesità
• da
eccessiva
o
abnorme
assunzione
di
vitamine,
sali
minerali
ed
altri
nutrienti.
In
occidente,
la
malnutrizione
calorico-‐proteica
rappresenta
la
forma
più
classica
di
malnutrizione
per
difetto
ed
è
caratterizzata
da
una
progressiva
CAPITOLO
2
L’ACCERTAMENTO
NUTRIZIONALE
Nell’accertamento
dello
stato
nutrizionale
di
una
popolazione
sana,
è
usuale
poter
contare
sull’acquisizione
di
dati
confrontabili,
come
le
raccolte
statistiche
o
le
curve
di
crescita
utilizzate
in
particolare
nell’ambito
pediatrico.
Nella
realtà
ospedaliera
la
valutazione
deve
essere
necessariamente
rapportata
allo
stato
di
malattia,
rendendo
l’esercizio
clinico
indubbiamente
più
complesso
e
articolato.
In
ogni
ammissione
ospedaliera,
lo
stato
nutrizionale
del
paziente
andrebbe
rilevato
per
verificare
l’eventuale
presenza
di
fattori
di
rischio
per
malnutrizione:
questo
processo
di
screening
nutrizionale
dovrebbe
far
parte
dell’accertamento
infermieristico
iniziale,
essendo
strettamente
correlato
ai
bisogni
legati
ad
alimentazione
e
idratazione.
La
valutazione
dello
stato
di
nutrizione
deve
comprendere11:
Per
la
stima
del
peso
può
essere
utilizzata
la
seguente
formula:
PESO
UOMINI
(KG)
=
[
(0,98
X
CP)
+
(1,13
X
HG)
+
(1,73
X
CB)
+
(0,37
X
5
X
PSS)
–
81,69]
PESO
DONNE
(KG)
=
[
(1,27
X
CP)
+
(0,87
X
HG)
+
(0,98
X
CB)
+
(0,4
X
PB)
–62,35]
MARKER
BIOCHIMICO
Albumina
emivita:
20
gg
Prealbumina
emivita:
2
gg
PROTEINE
PLASMATICHE
Transferrina
emivita:
7
gg
Retinolo-‐proteina
(CRBP)
emivita:
12
h
EMATOCRITO
ED
EMOGLOBINA
Morfologia
dei
globuli
rossi
ALTRI
MARKERS
Vitamine
Elementi
traccia
Colesterolo
e
trigliceridi
Colinesterasi
Creatitina
urinaria
MODIFICATA
DA:
ALLIONE-‐BONGIOVANNI,
2010
22
Grazie
alla
raccolta
della
diuresi
delle
24
ore,
è
possibile
determinare
la
creatinina
urinaria,
necessaria
per
il
calcolo
dell’indice
creatinina/altezza,
indicatore
della
massa
magra
corporea.
La
creatinina
urinaria
è
il
prodotto
CAPITOLO
3
IL
FABBISOGNO
ENERGETICO
E
NUTRIZIONALE
Scopo
principale
del
supporto
nutrizionale
è
provvedere
alla
spesa
energetica
provocata
dall’insieme
dei
processi
metabolici,
minimizzando
il
catabolismo
proteico.
I
tre
combustibili
organici
impiegati
dal
corpo
umano
sono
i
carboidrati,
le
proteine
e
i
lipidi.
La
resa
energetica
provocata
dalla
combustione
di
tali
elementi
viene
misurata
in
chilocalorie
(kcal)
per
grammo
di
substrato
(TAB.
3).
Ad
esempio:
1G
DI
GLUCOSIO
+
0,74
L
DI
O2
PRODUCONO
Tuttavia,
ci
sono
diverse
limitazioni
all’utilizzo
della
calorimetria
indiretta,
tra
cui
la
necessità
di
particolari
attrezzature
e
di
uno
staff
dedicato.
Ogni
misurazione
risulta
infatti
gravata
da
un
costo
economico
ancora
elevato
ed
è
applicabile
esclusivamente
a
pazienti
con
FiO2
inferiori
a
0,6
e
dotati
di
un
emodinamica
stabile.
Tale
misurazione
non
può
inoltre
essere
praticata
in
presenza
di
PEEP
elevate
o
di
filtri
per
la
rimozione
di
CO2
ed
occorre
certamente
considerare
come
il
valore
ottenuto
rispecchi
la
spesa
energetica
nel
momento
stesso
dell’esame18.
BEE
UOMINI
(KCAL/DIE)
=
66,5
+
[13,75
X
PESO
(KG)]
+
[5,0
X
ALTEZZA
(CM)]
–
[6,75
X
ETÀ
(ANNI)]
BEE
DONNE
(KCAL/DIE)
=
655
+
[9,56
X
PESO
(KG)]
+
[1,85
X
ALTEZZA
(CM)]
–
[4,68
X
ETÀ
(ANNI)]
Un’altra
formula
largamente
diffusa
e
ben
più
recente
rispetto
alla
Harris-‐
Benedict,
è
rappresentata
dalle
equazioni
di
Schofield:
Nella
logica
di
fornire
il
miglior
supporto
possibile
al
paziente,
negli
anni
passati
era
molto
frequente
incontrare
realtà
che
sovra-‐alimentavano
i
loro
pazienti17.
Tale
pratica
non
era
però
esente
da
effetti
sfavorevoli,
quali
ad
esempio
l’uremia
conseguente
l’eccesso
introito
di
composti
azotati,
la
steatosi
epatica
o
l’iperglicemia:
anche
per
queste
ragioni
la
letteratura
è
concorde
nel
riconoscere
l’importanza
della
valutazione
del
fabbisogno
nutrizionale
del
paziente.
3.5
Acqua,
nutrienti
e
farmaco-nutrienti
Il
fabbisogno
di
acqua
varia
notevolmente
nel
paziente
critico,
per
tale
ragione
è
opportuno
mantenere
un
bilancio
giornaliero
delle
entrate
e
delle
uscite
idriche.
ACQUA
30
ml
SODIO
1-‐2
mmol
POTASSIO
0,7-‐1
mmol
MAGNESIO
0,1
mmol
CALCIO
0,1
mmol
FOSFORO
0,4
mmol
VALORI
PER
KG/DIE
Uno
dei
principali
farmaco-nutrienti
utilizzati
in
ambito
intensivo
è
rappresentato
dalla
glutamina10,
un
aminoacido
essenziale
con
molteplici
funzioni
nutrizionali
e
metaboliche:
tra
le
funzioni
non-‐nutrizionali
questa
svolge
un
importante
ruolo
nella
protezione
gastrointestinale,
nel
CAPITOLO
1
INDICAZIONI
E
STRATEGIE
NELLA
NUTRIZIONE
IN
TERAPIA
INTENSIVA
Una
volta
terminata
la
raccolta
dei
dati
sullo
stato
di
alimentazione
del
paziente
e
valutato
il
fabbisogno
energetico
secondo
il
metodo
prescelto,
dovrà
essere
stabilita
la
necessità
di
un
eventuale
supporto
nutrizionale.
L’obiettivo
della
nutrizione
in
fase
acuta
dovrà
essere,
come
già
accennato
nella
prima
parte
dell’elaborato,
quello
di
scongiurare
“l’autocannibalismo”
dell’organismo
(intacco
dei
depositi
di
massa
magra),
mantenendo
un
adeguato
intake
proteico.
1.1 La
scelta
dell’intervento
nutrizionale
Nei
pazienti
in
cui
non
è
prevedibile
una
ripresa
dell’alimentazione
orale
entro
tre
giorni,
è
opportuno
valutare
l’inizio
di
una
terapia
di
supporto
1.2 La
nutrizione
enterale
La
letteratura
esaminata
è
concorde
nel
propendere
per
una
nutrizione
enterale
da
realizzarsi
“precocemente”,
ovvero
tra
la
ventiquattresima
e
la
quarantottesima
ora
dal
ricovero
in
terapia
intensiva29,31,
implementata
fino
al
raggiungimento
del
fabbisogno
complessivo
entro
le
successive
48-‐72
ore29;
secondo
le
linee
guida
ESPEN,
non
emergono
significative
differenze
tra
nutrizione
digiunale
o
gastrica31.
Lo
sforzo
di
superare
la
soglia
del
50-‐65%
dell’obiettivo
calorico,
dovrebbe
essere
fatto
allo
scopo
di
raggiungere
i
benefici
clinici
della
nutrizione
enterale
già
nella
prima
settimana
di
ospedalizzazione25,29.
Una
controindicazione
generale
è
rappresentata
dalla
persistenza
di
un
quadro
di
compromissione
emodinamica
che
richieda
un
supporto
farmacologico
significativo
(amine,
ampi
volumi
di
liquidi
e/o
emoderivati):
in
tale
circostanza
la
nutrizione
andrebbe
iniziata
una
volta
stabilizzato
il
paziente29,33,34.
Qualora
fosse
impossibile
raggiungere
le
necessità
energetiche
(100%
delle
calorie
stimate)
dopo
7-‐10
giorni
con
la
sola
nutrizione
enterale,
potrà
essere
valutata
l’infusione
parallela
della
nutrizione
parenterale28,29,31,33.
Iniziare
prima
il
trattamento
endovenoso
non
migliora
l’outcome
e
anzi
può
aumentare
il
rischio
di
infezioni
nel
paziente29.
CAPITOLO
2
ALIMENTARE
IL
PAZIENTE
CRITICO
2.1
Il
monitoraggio
nutrizionale
Iniziata
una
forma
di
supporto
nutrizionale,
occorre
procedere
con
una
continua
rivalutazione
dell’adeguatezza
nutrizionale
e
delle
complicanze.
Come
esaminato
nella
prima
parte,
esistono
diversi
marker
ematici
che
possono
aiutarci
nel
rilevare
quadri
di
malnutrizione
latenti
o
conclamati
e,
qualora
possibile,
il
paziente
andrebbe
periodicamente
pesato
per
monitorare
il
trend
del
BMI.
Particolare
attenzione
deve
essere
posta
nel
controllo
di
complicanze
iatrogene
correlate
a
eccessiva
infusione
di
nutrienti
o
elettroliti.
Nel
caso
di
somministrazione
di
nutrizione
enterale,
sarà
necessario
monitorare
la
tolleranza
gastro-‐intestinale
ricercando
nel
paziente
segni
come
dolore
o
distensione
addominale.
Da
quanto
esaminato
in
questo
capitolo,
appare
appropriato
che
l’infermiere
proceda
giornalmente
all’esame
dei
quadranti
addominali,
valutando
la
presenza
e
la
qualità
dei
suoni
intestinali36,37.
Nel
caso
di
somministrazione
parenterale,
occorrerà
quindi
procedere
all’ispezione
dei
siti
di
accesso
vascolare
e
delle
linee/rampe
di
connessione,
oltre
alla
verifica
della
coerenza
infusionale
nel
caso
non
sia
possibile
l’uso
di
un
lume
dedicato.
L’eventuale
digiuno
pre-‐procedurale
dovrebbe
essere
minimizzato
per
evitare
l’inadeguato
trasporto
di
nutrienti,
oltre
ad
essere
fattore
predisponente
la
comparsa
d’ileo
paralitico29.
Qualora
il
patrimonio
vascolare
fosse
limitato
ad
accessi
in
vena
periferica,
si
dovrà
considerare
l’uso
di
soluzioni
a
bassa
osmolarità
(<850
mOsml/L),
adatte
a
coprire
soltanto
una
parte
dei
fabbisogni
nutritivi:
tale
trattamento
meriterà
una
continua
rivalutazione,
nell’ottica
di
un
successivo
shift
enterale
o
parenterale
per
via
centrale32.
Inoltre,
per
ridurre
costi,
errori
e
rischi
d’infezione,
è
consigliato
l’uso
di
miscele
contenute
in
un'unica
sacca32.
Qualora
la
nutrizione
contenga
emulsioni
lipidiche,
è
indicato
il
rinnovo
della
soluzione
entro
le
24
ore
dall’inizio
della
stessa;
anche
il
deflussore
utilizzato
per
l’infusione
dovrà
essere
sostituito
entro
le
24
ore
dal
posizionamento50
o
comunque
al
termine
della
sacca51.
CAPITOLO
3
LA
NUTRIZIONE
NEL
PAZIENTE
CON
PANCREATITE
ACUTA
GRAVE
La
pancreatite
acuta
è
definita
come
grave
(Classificazione
di
Atlanta,
TAB.
5)
in
presenza
di
complicanze
locali,
quali
necrosi,
ascessi
o
pseudo
cisti,
o
per
l’insorgenza
di
complicanze
sistemiche53.
L’impatto
emodinamico
della
SIRS
derivante
dall’avanzamento
della
patologia
è
alla
base
di
molte
complicanze
(metaboliche
ed
organo-‐correlate),
mentre
le
complicanze
locali
sono
legate
agli
effetti
degli
enzimi
pancreatici
e
dell’infezione.
TABELLA
5
–
CLASSIFICAZIONE
DI
ATLANTA
PER
LA
PANCREATITA
ACUTA
SEVERA
3.1
Il
paziente
pancreatico
in
Piemonte
L’incidenza
della
pancreatite
acuta
sta
aumentando
in
diversi
paesi
occidentali
per
l’esposizione
crescente
ai
differenti
fattori
di
rischio
(alcool,
farmaci,
abitudini
alimentari).
Dall’analisi
dei
dati
raccolti
dalla
Regione
Piemonte
nel
triennio
2005-‐
200753,
è
possibile
rilevare
che
la
patologia
pancreatica
rappresenta
un
fenomeno
in
costante
crescita
(2149
casi
complessivi
tra
diagnosi
primarie
e
secondarie):
il
30%
dei
pazienti
affetti
da
“calcolosi”
(diagnosi
principale)
presentava
diagnosi
secondaria
di
pancreatite
acuta
e,
se
riunite
le
prime
tre
diagnosi
principali,
emerge
come
nel
48
%
dei
casi
questa
risulti
associata
a
problemi
di
colelitiasi54.
Considerato
il
periodo
gennaio-‐
dicembre
dell’anno
2006,
la
pancreatite
acuta
figurava
come
la
seconda
patologia
gastroenterologica
per
frequenza53.
3.2
Le
indicazioni
della
letteratura
In
tale
patologia,
il
metabolismo
basale
aumenta
in
risposta
allo
stress
conseguente
lo
stato
infiammatorio
e
al
dolore,
manifestando
nell’80%
dei
pazienti
affetti
un
quadro
di
aumentata
spesa
energetica
e
catabolismo
proteico.
Il
bilancio
azotato
può
mostrare
fino
a
250
grammi/die
di
proteine
perse
(pari
ad
azoto
40
g/die
c.a.),
causando
l’aggravamento
dello
stato
nutrizionale
con
effetti
negativi
sulla
progressione
di
malattia.
La
messa
a
riposo
della
ghiandola
(pancreatic
rest)
e
il
mantenimento
di
digiuno
per
la
fase
acuta,
ha
costituito
uno
standard
nella
terapia
della
pancreatite.
Recenti
evidenze
però,
incoraggiano
un
maggiore
uso
della
nutrizione
enterale
per
l’impatto
positivo
nel
ridurre
la
SIRS
e
nell’inibire
la
produzione
splancnica
di
citochine,
riducendo
così
il
catabolismo
e
salvaguardando
il
patrimonio
proteico.
Secondo
tali
presupposti,
le
linee
guida
formulate
dalla
società
europea
di
nutrizione
ESPEN
per
il
paziente
intensivo
pancreatico55
suggeriscono
di
cominciare
un
supporto
nutrizionale
dopo
le
prime
48
ore,
avvenuta
la
stabilizzazione
emodinamica
del
paziente:
l’approccio
prevede
quindi
l’alimentazione
enterale
precoce,
da
praticarsi
per
mezzo
di
sonda
digiunale
rispetto
all’uso
del
sondino
naso-‐gastrico,
comunque
consentito
sebbene
responsabile
di
modeste
differenze
nel
controllo
del
dolore55,56.
In
particolare,
nella
forma
sub-‐acuta,
diverse
fonti
sostengono
come
la
CAPITOLO
1
RISORSE
PER
LA
PRATICA
CLINICA
1.4 Società
di
riferimento
e
linee
guida
Secondo
la
definizione
dell'Institute
of
Medicine
statunitense,
le
linee
guida
sono
"raccomandazioni
di
comportamento
clinico,
elaborate
mediante
un
processo
di
revisione
sistematica
della
letteratura
e
delle
opinioni
di
esperti,
con
lo
scopo
di
aiutare
i
medici
e
i
pazienti
a
decidere
le
modalità
assistenziali
più
appropriate
in
specifiche
situazioni
cliniche".
Le
linee
guida
esaminate
nel
testo,
sono
dichiaratemente
basate
sulle
migliori
prove
scientifiche
disponibili
ed
includono
una
dichiarazione
esplicita
sulla
qualità
delle
informazioni
utilizzate
(livelli
di
evidenza)
e
importanza/rilevanza/fattibilità/priorità
della
loro
implementazione
(importanza
delle
raccomandazioni).
Per
la
realizzazione
del
presente
testo
dunque,
è
stato
dato
rilievo
a
quanto
realizzato
dalle
principali
società
di
nutrizione
e
alimentazione.
In
particolare,
sono
state
esaminate
le
linee-‐guida
prodotte
dalla
American
Society
for
Parenteral
and
Enteral
Nutrition
(ASPEN)
e
la
sua
consorella
europea
ESPEN.
Nello
specifico
del
paziente
critico,
l’ASPEN
ha
sviluppato
nel
2009
le
linee
guida
per
la
fornitura
e
la
valutazione
del
supporto
nutrizionale
nel
paziente
critico
adulto29,
in
collaborazione
con
la
Society
of
Critical
Care
Medicine
(S.C.C.M.)
americana.
Sempre
nel
2009,
la
società
europea
ESPEN
ha
realizzato
specifiche
linee
guida
inerenti
la
nutrizione
parenterale
in
terapia
intensiva32,
complementare
ad
un
primo
lavoro
del
2006
riguardante
il
supporto
enterale31.
Un
altro
strumento
utilizzato
per
la
revisione
della
letteratura
qui
compiuta,
1.5 Il
team
di
supporto
nutrizionale
Lo
standard
di
cura
proposto
dall’ASPEN
nell’agosto
del
201060,
prevede
che
ogni
ospedale
debba
fornire
un
supporto
nutrizionale
per
i
propri
assistiti
basandosi
sull’uso
di
linee
guida
basate
su
evidenze,
capaci
di
supportare
lo
staff
clinico
nel
processo
di
decisionale
e
adattabili
al
contesto
di
cura.
Dove
possibile,
suggerisce
anche
l’adozione
di
un
apposito
servizio
che
valuti
e
gestisca
i
pazienti
che
richiedono
l’attivazione
di
una
terapia
di
CAPITOLO
2
NUTRIZIONE:
PROBLEMI
APERTI
2.1
La
nutrizione:
supporto
o
terapia?
La
decisione
di
iniziare
un
trattamento
nutrizionale
parte
dal
presupposto
che
il
paziente
non
sia
in
grado
di
provvedere
in
maniera
adeguata
e
autonoma
a
questo
bisogno.
Con
una
valutazione
dei
fabbisogni
giornalieri,
sarà
possibile
definire
le
esatte
quantità
di
carboidrati,
proteine
e
micronutrienti
da
supplire
per
via
naturale
o,
nel
caso
non
sia
percorribile
la
via
orale,
per
via
artificiale.
I
termini
alimentazione
e
nutrizione
non
sono
sinonimi,
ma
significano
l’uno
-‐alimentazione-‐
l’assunzione
di
cibo
ed
acqua
attraverso
la
bocca,
l’altro
-‐
nutrizione-‐
la
copertura
dei
fabbisogni
di
nutrienti
e
acqua;
il
passaggio
da
alimentazione
naturale
o
assistita
a
nutrizione
artificiale,
pur
condividendo
il
medesimo
fine,
va
a
sostituire
funzioni
fisiologiche
essenziali
per
il
mantenimento
dello
stato
di
salute
al
pari
di
ventilazione
meccanica
ed
emodialisi.
Il
considerare
la
nutrizione
una
terapia
e
non
un
supporto
ordinario
ha
determinato
ultimamente
dei
problemi
sugli
aspetti
bioetici
della
nutrizione
artificiale
nei
pazienti
terminali
o
in
fase
di
vita
vegetativa;
si
tratta
di
un
problema
di
delicata
e
difficile
trattazione
nei
confronti
del
quale
i
pareri
sono
e
probabilmente
saranno
sempre
discordi.
Le
linee
guida
promosse
nel
2002
dalla
Società
Italiana
di
nutrizione
e
metabolismo37,
sostengono
che
la
nutrizione
artificiale
consista
in
una
terapia
medica
con
specifiche
indicazioni
e
che
non
possa
mai
rappresentare
un
accanimento
terapeutico,
sebbene
possa
essere
“La
chirurgia
rimuove
un
ostacolo
al
guarire,
ma
la
Natura
guarisce
la
piaga.
Così
pure
colla
medicina;
il
funzionare
di
qualche
organo
diventa
ostrutto;
la
medicina,
da
quel
poco
che
sappiamo,
assiste
la
Natura
ad
ovviare
l’ostacolo,
ma
non
fa
nulla
più.
E
in
ambo
i
casi,
quello
a
cui
deve
tendere
l’assistenza,
è
il
porre
un
paziente
nella
condizione
meglio
atta
a
ricevere
i
benefizi
della
Natura.
Generalmente
quella
tende
al
contrario.”
2.2
L’alimentazione
nel
fine
vita
Il
progresso
scientifico
e
tecnologico
ha
permesso,
negli
ultimi
50
anni,
progressi
tali
da
impattare
in
modo
significativo
sulla
prognosi
dei
pazienti
critici.
Tale
cambiamento,
sebbene
abbia
arricchito
e
rafforzato
strategicamente
il
ruolo
del
personale
sanitario
di
area
critica,
l’ha
parimenti
caricato
di
forti
responsabilità
in
campo
etico-‐deontologico
nella
gestione
delle
risorse.
La
diffusa
pratica
di
sostituzione
artificiale
dei
processi
fisiologici
ha
posto
numerosi
interrogativi
sull’appropriatezza
di
certi
interventi,
portando
a
definire
i
concetti
di
terapia,
accudimento
e
accanimento
terapeutico65,66.
Nei
capitoli
precedenti
è
stata
esaminata
la
finestra
temporale
per
incominciare
ad
alimentare
un
paziente:
a
partire
dall’avvenuta
stabilizzazione
clinica,
ovvero
dopo
24
ore
dall’ingresso
in
rianimazione,
per
arrivare
massimo
alla
settimana.
Questo
periodo
appare
ragionevole
per
decidere
se
iniziare
il
supporto
nutrizionale,
valutando
secondo
il
principio
di
beneficialità
del
trattamento
quale
sia
l’intervento
più
appropriato,
proporzionalmente
alle
condizioni
in
cui
versa
il
paziente37,67.
Un
altro
principio
da
tenere
in
considerazione
è
il
rispetto
dell’autonomia
del
paziente
da
parte
dell’equipe
curante62,63,67,68,
ponendo
molta
attenzione
nell’evitare
il
by-‐pass
da
parte
dei
famigliari.
In
caso
di
paziente
non
collaborante,
quale
facilmente
è
il
paziente
critico,
la
letteratura
esaminata67,69,70
individua
nel
team
di
cura
la
responsabilità
di
ricostruire
la
volontà
attuale
del
paziente
attraverso
un’anamnesi
da
effettuarsi
con
i
famigliari,
da
considerarsi
sempre
non
vincolante
per
il
coinvolgimento
emotivo.
In
caso
d’impossibilità
nel
ricostruire
in
maniera
attendibile
la
volontà
del
paziente,
l’equipe
dovrà
condividere
una
decisione
autonoma
e
definitiva
sul
trattamento
da
riservare
al
paziente.
Risulta
importante
che
l’interlocutore
dell’equipe
presenti
in
sede
di
colloquio
con
i
parenti
le
prospettive
derivanti
dal
mantenimento
di
un
supporto
nutrizionale
massimale,
piuttosto
che
con
lo
shift
ad
un
trattamento
di
minima
o
ancora
con
la
definitiva
sospensione,
sempre
nell’ottica
della
centralità
del
paziente66,67.
L’American
Academy
of
Critical
Care
Medicine,
nelle
sue
raccomandazioni
del
200870,
suggerisce
che
una
volta
stabilita
la
sospensione
dei
trattamenti
salva-‐vita,
l’equipe
dovrebbe
valutare
criticamente
se
i
trattamenti
rimanenti
hanno
un
impatto
positivo
sull’accompagnamento
alla
morte
del
paziente
(from
cure
to
comfort).
Qualora
la
risposta
sia
negativa,
sarà
possibile
procedere
anche
alla
sospensione
d’idratazione
e
alimentazione.
Ciò
trova
spazio
anche
nell’ultima
revisione
del
Codice
Deontologico
degli
infermieri
italiani71,
esprimendo
proprio
la
volontà
dell’infermiere
nel
promuovere
la
volontà
e
la
dignità
dell’assistito,
anche
nel
caso
questi
voglia
porre
dei
limiti
agli
interventi
che
non
siano
proporzionali
alla
sua
condizione
clinica
(artt.
32,
35-‐37),
e
contrastando
ogni
forma
di
accanimento
terapeutico
anche
avvalendosi
della
clausula
di
coscienza
(art.
8).
In
linea
con
i
valori
qui
espressi,
l’Associazione
nazionale
infermieri
di
area
critica
(Aniarti)
ha
promulgato
una
mozione
sul
tema
del
limite
in
area
critica,
ponendo
–tra
le
altre-‐
una
riflessione
sulla
presa
di
posizione
del
personale
infermieristico
nelle
scelte
che
possono
creare
la
premessa
per
condizioni
di
vita
estremamente
problematiche,
quando
non
drammatiche,
per
la
persona
assistita67.
Conclusioni
La
nutrizione
artificiale
nel
paziente
critico
rappresenta
un
trattamento
irrinunciabile
ed
è
imprescindibile
il
ruolo
oggi
giocato
dall’infermiere
nella
gestione
di
tale
terapia.
La
creazione
di
percorsi
formativi
di
specializzazione,
così
come
previsto
dallo
stesso
profilo
professionale,
sta
consentendo
un
nuovo
sviluppo
della
clinica
assistenziale:
all’infermiere
di
area
critica
sono
infatti
richieste
elevate
capacità
di
accertamento
clinico
e
pianificazione,
una
conoscenza
approfondita
dei
percorsi
diagnostico-‐terapeutici
dei
propri
assistiti
e
la
capacità
di
aggiornare
la
propria
pratica
in
ragione
delle
più
recenti
evidenze.
Alla
luce
di
tali
competenze
e
per
quel
che
concerne
lo
specifico
della
nutrizione
artificiale,
appare
opportuno
che
l’infermiere
specialista
perfezioni
le
sue
conoscenze
in
tale
ambito,
costruendo
un
curriculum
specifico
sugli
aspetti
legati
al
monitoraggio
clinico,
alla
gestione
dei
presidi
e
alla
prevenzione
delle
complicanze.
La
diffusione
nelle
strutture
ospedaliere
di
comitati
dedicati
al
supporto
nutrizionale,
o
team
nutrizionali,
prevendendo
la
collaborazione
con
altri
professionisti
come
medici,
dietisti
e
farmacisti,
potrà
contribuire
a
favorire
la
crescita
e
l'aggiornamento
della
pratica
infermieristica,
per
migliorare
i
risultati
delle
cure
al
paziente
e
costruire
nuove
strategie
di
assistenza.
ALLEGATI
ALLEGATO
1
–
NUTRITIONAL
RISK
SCREENING
PUNTI
STATO
NUTRIZIONALE
PUNTI
CONDIZIONE
MEDICA
E
TRATTAMENTO
1
perdita
peso
>5%
negli
ultimi
3
mesi
1
-‐
frattura
dell'anca;
oppure
-‐
presenza
di
patologie
croniche
assunzione
dietetica
<50-‐75%
rispetto
ai
anche
in
fase
di
riacutizzazione;
fabbisogni
nella
settimana
precedente
-‐
radioterapia
(ipercatabolismo
lieve)
2
perdita
peso
>5%
negli
ultimi
2
mesi
2
-‐
post-‐intervento
di
chirurgia
oppure
maggiore
(addominale);
assunzione
dietetica
<25-‐50%
rispetto
ai
-‐
pazienti
geriatrici
istituzionalizzati;
fabbisogni
nella
settimana
precedente
ictus;
-‐
ins.
renale
nel
postoperatorio;
-‐
pazienti
ematologici;
-‐
chemioterapia
(ipercatabolismo
moderato)
3
perdita
peso
>5%
nell’ultimo
mese
3
-‐
traumi
cranici;
oppure
-‐
trapianto
di
midollo
osseo;
IMC
<18,5
associato
a
condizioni
-‐
pazienti
in
terapia
intensiva
generali
scadute
(ipercatabolismo
grave)
oppure
assunzione
dietetica
<0-‐25%
rispetto
ai
fabbisogni
nella
settimana
precedente
TOTALE
A+B:
BASSO
RISCHIO
DI
MALNUTRIZIONE
(PUNTEGGIO
≤2)
RISCHIO
MODERATO/ELEVATO
DI
MALNUTRIZIONE
(PUNTEGGIO
≥3)
(Public
Health
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2003)
ALLEGATO
2
–
MALNUTRITION
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e
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UNIVERSITA’
DEGLI
STUDI
DI
TORINO
CUNEO FACOLTA’
DI
MEDICINA
E
CHIRURGIA
ELABORATO
FINALE
Abstract
Nella
pratica
sanitaria
la
malnutrizione
rappresenta
un
problema
diffuso,
interessando
tutte
le
professionalità
che
circondano
il
paziente.
Con
l’insorgere
di
una
patologia
acuta
infatti,
si
determina
una
compromissione
del
metabolismo
fisiologico,
cui
seguono
squilibri
energetici
corresponsabili
dell’interruzione
delle
funzioni
vitali
e
dei
processi
di
guarigione:
in
questi
soggetti
occorre
stabilire
tempestivamente
la
modalità
più
opportuna
per
l’approccio
nutrizionale,
con
l’obiettivo
di
recuperare
una
condizione
clinica
favorevole.
L’elaborato
è
stato
suddiviso
in
tre
parti:
la
prima
dedicata
agli
aspetti
di
valutazione
del
paziente
e
dei
suoi
bisogni
nutrizionali,
proponendo
scale
e
formule
operative
per
una
possibile
applicazione;
la
seconda,
dedicata
alle
strategie
di
nutrizione,
alle
tempistiche
e
alla
gestione
dei
presidi,
con
un
approfondimento
sul
paziente
affetto
da
pancreatite
acuta
grave
per
il
sempre
più
frequente
riscontro
in
terapia
intensiva;
la
terza
parte
invece
ha
esaminato
le
risorse
impiegabili
dall’infermiere
per
migliorare
l’assistenza
al
paziente
sottoposto
a
nutrizione
artificiale,
attraverso
il
ricorso
alla
letteratura,
alle
società
di
riferimento
e
al
team
nutrizionale,
dove
presente.
Altro
aspetto
contenuto
in
quest’ultima
parte,
è
rappresentato
dagli
aspetti
etici
legati
all’alimentazione
nel
fine
vita,
acquisendo
i
pareri
espressi
dalle
più
rappresentative
società
scientifiche
e
dalle
federazioni
professionali
di
infermieri
e
medici.
L’elaborato
si
conclude
analizzando
il
ruolo
ricoperto
dall’infermiere
specialista
nella
messa
in
campo
di
strumenti
e
risorse
mirati
al
soddisfacimento
del
bisogno
di
alimentazione
del
paziente.
Francesco
Barbero
-‐
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