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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

Facoltà di Economia - Corso di Laurea Specialistica in


Economia delle Istituzioni, dell’Ambiente e del Territorio

MOBILITÀ E MODERNITÀ: I SISTEMI DI BIKE SHARING


NELLE POLITICHE PUBBLICHE.
ESPERIENZE PIEMONTESI A CONFRONTO

RELATORE:
Prof. Carlo SALONE,
Dipartimento Interateneo Territorio – Università e Politecnico di Torino

CORRELATORE:
Prof.ssa Cristina PRONELLO,
Dipartimento di Idraulica, Trasporti ed Infrastrutture Civili – Politecnico di Torino

CANDIDATO:
Marco Giuseppe MENONNA
Matr. n. 335061

ANNO ACCADEMICO 2008-2009


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INDICE

INDICE ......................................................................................... 5

INTRODUZIONE........................................................................... 9

1. MODERNITÀ E NUOVA MOBILITÀ ..................................... 15


1.1. Globalizzazione e modernizzazione ....................................................... 16

1.1.1. Le tre fasi della globalizzazione .................................................... 18

1.1.2. Modernità: evoluzione di un concetto .......................................... 19

1.2. L’individualizzazione ............................................................................. 21

1.2.1. Nascita ed evoluzione dell’individualismo .................................... 23

1.2.2. L’ipertesto come metafora della società ....................................... 23

1.2.3. Multiappartenenza e creatività ...................................................... 25

1.3. L’individualizzazione disegna nuove modalità di mobilità ..................... 26

1.3.1. Policentrismo urbano ................................................................... 27

1.3.2. Ripensare la città e la mobilità cittadina ........................................ 28

1.3.3. Trasporti: è tempo di co-modalità? .............................................. 31

1.4. Il ruolo della bicicletta nel nuovo assetto urbano ................................... 35

1.5. Le risorse comuni .................................................................................. 40

1.5.1. Il traffico come dilemma sociale................................................... 40

1.5.2. La tragedia dei beni collettivi ........................................................ 41

1.5.3. La teoria dei giochi ed il 'dilemma del prigioniero’ ...................... 43

5
1.5.4. Una terza via................................................................................. 48

1.5.5. Beni condivisibili .......................................................................... 49

2. IL BIKE SHARING: COS’È E COME FUNZIONA ..................... 53


2.1. Generazioni e tecniche di bike sharing .................................................. 54

2.1.1. Amsterdam: biciclette bianche come provocazione ..................... 56

2.1.2. I sistemi meccanici si diffondono ................................................. 57

2.1.3. Bike sharing di terza generazione e sistemi elettronici.................. 60

2.1.4. Il modello Vélo’v - Vélib’ ............................................................. 63

2.2. I sistemi italiani ...................................................................................... 67

2.2.1. Biciclette bianche, gialle e blu ...................................................... 68

2.2.2. C’entro in Bici .............................................................................. 69

2.2.3. Bicincittà....................................................................................... 73

2.2.4. BikeMi ......................................................................................... 79

3. IL BIKE SHARING IN PIEMONTE ......................................... 85


3.1. Panoramica della situazione attuale ....................................................... 86

3.1.1. Finanziamenti per i sistemi di bike sharing................................... 94

3.1.2. Soggetti coinvolti........................................................................... 98

3.2. Applicazioni, analisi e prospettive future in alcune città del Piemonte 101

3.2.1. Cuneo ......................................................................................... 103

3.2.2. Savigliano ................................................................................... 109

3.2.3. Biella .......................................................................................... 116

3.2.4. Vercelli ....................................................................................... 119

3.2.5. Verbania ..................................................................................... 120

6
3.2.6. Torino ........................................................................................ 126

4. CONCLUSIONI, ALLA RICERCA DI UN IDEAL-TIPO .......... 133


4.1. Bike sharing e specificità territoriali ..................................................... 134

4.2. Pianificazione comunale e uso condiviso: il bike sharing in Piemonte è


sempre uno shareable good? ............................................................................ 136

4.3. Diritto alla mobilità, bike sharing e giustizia sociale ............................. 138

BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 143

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INTRODUZIONE

“Questa realtà è mobilità.


Non esistono cose fatte, ma solo cose che si fanno;
non stati che si conservano ma solo stati che mutano”

H.Bergson, Introduzione alla metafisica

9
Fin da piccolo, nel mio paese in provincia di Biella, ho vissuto la possibilità di
muovermi in bicicletta come una conquista. Mi sentivo bene, poiché libero e
inconsapevolmente padrone della mia mobilità, nel poter fare prima un giro attorno
all’isolato poi, crescendo, attorno al quartiere. Ho via via aumentato il mio raggio di
autonomia fino a quando, ormai grande, ho iniziato a girare tutto il paese, i suoi
dintorni e le sue colline.

Dopo qualche anno di trasferimento a Torino, per frequentare l’Università, ho trovato


una bicicletta di seconda mano da acquistare, ed ho cominciato a utlizzarla. Era
primavera, e ne ho avuto un riscontro molto positivo. Riuscivo a raggiungere la Facoltà
un poco in anticipo rispetto ai tempi del tram, e potevo permettermi qualche minuto in
più di sonno. La cosa più bella, però, era il sentirmi non vincolato dai mezzi pubblici
che potevano ritardare, essere troppo affollati o imbattersi nel traffico mattutino.
Cominciare la giornata con una pedalata attraverso tutto il parco del Valentino mi dava
la forza per vivere meglio la giornata che stava arrivando. Il ritorno a casa, invece, mi
permetteva di scaricare la tensione accumulata.

L’idea di compiere uno studio sull’uso delle biciclette condivise in città è nata nel corso
della mia permanenza a Parigi, durata quasi un anno. Il sistema di bike sharing Vélib’ si
vede davvero dappertutto. Io non l’ho mai usato tanto, anche perché per muovermi
all’interno della città mi servivo di una bicicletta mia (una splendida Peugeot da corsa)
mentre, per andare in Università, che si trovava fuori Parigi e non era servita dal
servizio di bike sharing, utilizzavo la metropolitana.

Pur non essendo un utente abituale del servizio di bike sharing il mio rendermi conto
di aver goduto di alcuni suoi effetti esterni mi ha fatto crescere la voglia di approfondire
l’argomento.

Come ciclista, con la mia Peugeot, ho trovato in Parigi una città altamente ciclabile, ben
più di quanto si dicesse fosse appena qualche anno prima che partissero i piani per la
mobilità ciclabile, che prevedevano anche l’istituzione del servizio Vélib’. Piste ciclabili
quasi dappertutto, possibilità di condivisione della corsia riservata agli autobus e

10
automobilisti ormai abituati alla presenza di ciclisti (e quindi più attenti e rispettosi)
hanno reso più agevoli i miei spostamenti.

Come studente che ha vissuto a Parigi ho goduto dei vantaggi che il bike sharing ha
portato alla città: la diminuzione del traffico, portata dall’introduzione di oltre 20.000
biciclette pubbliche in città è evidente e le strade libere dalle machine permettono di
vivere in un’ottica differente e più consapevole gli spazi pubblici. A tutto questo
andrebbe aggiunta anche tutta la tematica ambientale, con le conseguenti diminuzioni
nell’uso di combustibili fossili e nella produzione di gas serra e polveri sottili.

Per altri motivi, prima e dopo la mia permanenza a Parigi, mi sono trovato a
frequentare abbastanza spesso Savigliano, in provincia di Cuneo. Anche qui era
presente un sistema di bike sharing, benché leggermente differente rispetto al sistema
parigino. Mi sono iscritto al servizio, perché a Savigliano andavo quasi sempre in treno,
e la bicicletta mi era molto comoda per gli spostamenti in città. Savigliano è una città
completamente piana, con un centro storico molto ben definito ed una una bassa
dispersione urbana. È molto sviluppato il trasporto ferroviario, poiché Savigliano è una
delle fermate principali della linea Torino - Savona. Tutti i grandi assi stradali passano
all’esterno della città e le vie urbane centrali sono poco coinvolte dal problema del
traffico. Queste condizioni hanno reso possibile l’uso così intenso della bicicletta tra i
saviglianesi, ed il successo di iniziative come quella del bike sharing.

Ma non sempre il bike sharing funziona bene, e da cittadino biellese ho seguito le


vicende e le polemiche politiche seguenti al lancio dello stesso sistema di bike sharing
presente a Savigliano nella città laniera. “Il comune spende 80mila euro per 11
biciclette” titolava, polemicamente, il bisettimanale Eco di Biella il 16 aprile 2007. In
effetti, le obiezioni di chi calcolava il costo di oltre 7.000 euro a bicicletta erano sensate,
se non si concepisce il bike sharing come vero e proprio sistema di mobilità.

Questo lavoro intende affrontare in un modo il più possibile ampio il discorso legato
alla mobilità delle nostre città. Per questo motivo nel primo capitolo si presenteranno
alcuni concetti, legati ai temi di globalizzazione, modernizzazione e individualizzazione
che, si vedrà, sono alla base di nuove forme e nuove esigenze di mobilità. Questi

11
processi intervengono anche sull’organizzazione del tempo e delle città, le quali si
trovano oggi immerse in un’epoca post-industriale e sono sempre più policentriche e
relazionate tra di loro tramite reti. Si discuterà poi del ruolo classico della bicicletta in
ambito urbano, del perché lo sviluppo della ciclabilità debba essere oggetto di
investimento da parte del settore pubblico e di come si possa oggi pensare di poter
superare la ‘tragedia dei beni collettivi’.

La condivisione della bicicletta pubblica è solo uno degli aspetti relativi alla mobilità
che oggi appare essere sempre più legata a scelte co-modali, cioè derivanti dalla
combinazione flessibile ed efficiente di differenti modalità effettuate per scelta
individuale.

Si ripercorrerà dunque la nascita dei diversi tipi di servizi di condivisione di una


bicicletta pubblica, dalle provocazioni dei Provos ad Amsterdam, fino al sistema del
Vélib’ parigino, il più grande e il più utilizzato al mondo. Si presenteranno allora gli
operatori presenti in Italia e i tipi di sistemi proposti ed attivi sul nostro territorio.

La parte successiva è quella dedicata alla comparazione delle politiche e dei risultati del
bike sharing in Piemonte. Dopo una panoramica generale, in cui si introdurranno tutti
i sistemi piemontesi, gli attori coinvolti e le possibili tipologie di finanziamento, saranno
analizzati e discussi con attenzione i casi di Cuneo, Savigliano, Vercelli, Biella, Torino,
Verbania.

La stesura del primo capitolo ha richiesto la consultazione di testi con approcci


differenti all’argomento: socologico, economico e urbanistico, ma anche politologico,
antropologico, medico, psicologico e di ingegneria ambientale. Laddove è stato
possibile, si è cercato di riportare alcune applicazioni microeconomiche alle scelte di
mobilità individuali, come si è fatto per l’applicazoine della teoria dei giochi all’utilizzo
dell’automobile. Una buona parte dell’impianto teorico deriva dalla scuola urbanistica
francese e dai lavori in ambito urbanistico e sociologico di François Ascher, dal quale
ho cercato di rielaborare le teorie di mobilità adattandole al caso specifico del bike
sharing.

12
Per quanto riguarda i capitoli successivi, mi sono trovato di fronte a una scarsità di fonti
accademiche riguardanti i sistemi di bike sharing. Tale scarsità è da attribuirsi in
prevalenza alla forte contemporaneità del fenomeno, la cui esplosione è avvenuta tra il
2008 ed il 2009. Il compito più difficile è stato dunque quello di rintracciare, integrare
e completare i pochi testi disponibili con i rapporti di associazioni, organizzazioni, ed
Enti Pubblici al riguardo. Alcune notizie apparse sui giornali italiani, francesi ed
americani hanno infine completato l’opera.

Il capitolo relativo alla comparazione dei casi piemontesi è stato quello che più mi ha
richiesto tempo e sforzi. Come spesso accade, però, è anche quello che più mi ha
appassionato e che più mi ha dato la forza per proseguire. Esso è il risultato di molti
incontri personali e di molti contatti ‘virtuali’ che ho avuto con coloro che si occupano
quotidianamente di politiche di ciclabilità in Piemonte.

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14
1. MODERNITÀ E NUOVA MOBILITÀ

“Non solo ogni parte del mondo fa sempre più parte del
mondo, ma il mondo come un tutto è sempre più presente in
ciascuna delle sue parti. Questo si verifica non soltanto per le
nazioni e i popoli, ma soprattutto per gli individui”

E. Morin,
Terra Patria

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1.1. GLOBALIZZAZIONE E MODERNIZZAZIONE

Tentare, oggi, di spiegare la mobilità delle nostre città è un compito difficile.


Certamente la mobilità degli individui cambia in base alle vite che essi conducono. Con
il passare degli anni, dunque, la mobilità individuale è mutata molto, così come la
società che l’ha prodotta. Ci si limiterà qui a cercare di distinguere alcuni dei fattori
scatenanti del cambiamento, per fare emergere i caratteri mutati. La nascita e la
diffusione, negli ultimi anni, di una diversa domanda di mobilità da parte degli
individui, non va semplicisticamente ricondotta ad un mutamento endogeno di
abitudini, gusti e preferenze individuali.

Tali trasformazioni meritano invece una riflessione più approfondita, che abbracci
olisticamente l’umanità ed i suoi dilemmi senza fermarsi all’analisi dei vari
microuniversi individuali, stimolati ogni giorno dalla necessità di rispondere a dei
bisogni compiendo delle scelte che si tradurranno poi in pratiche.

Nel caso specifico dell’emergenza di modalità nuove di movimento urbano, come la


condivisione del mezzo di trasporto (ed in particolare l’uso condiviso della bicicletta), si
sosterrà che queste altro non sono che il palesarsi, sotto forme diverse, dei mutamenti
che sono avvenuti nelle vite di un numero sempre maggiore di esseri umani.

“Globalizzazione” è una parola che è stata spesso usata per classificare questi
cambiamenti. Il concetto di globalizzazione, ancorché poco o mal definito, riempito di
significati che non gli sono propri e talvolta abusato nel suo utilizzo, ha avuto il merito
di portare politici, media, intellettuali ed il grande pubblico ad una riflessione delle
dinamiche della società su di una scala più vasta.

La globalizzazione, da sola, non è tuttavia sufficiente a spiegare tutte le logiche e le


dinamiche della contemporaneità. Per questo motivo ci si propone qui di studiarla
insieme ad un altro fenomeno: quello della modernità.

16
GLOBALIZZAZIONE MODERNIZZAZIONE

Fig. 1.1.: Feedback globalizzazione – mondializzazione

Innanzitutto è necessario sottolineare che, contrariamente a quanto spesso siamo


portati a pensare, questi fenomeni non sono inscrivibili nel registro dei fenomeni nati
nella contemporaneità, giacché la loro origine è antica e risale almeno al XVI secolo.
Quello che a noi appare oggi come tratto specifico della nostra età contemporanea
altro non è che la forma attuale presa dalla tendenza di base (globalizzazione e
modernizzazione) nel corso della sua evoluzione storica. In secondo luogo, occorre
smentire l’idea secondo la quale globalizzazione e modernizzazione siano fenomeni
circoscritti ed indipendenti l’uno dall’altro. Possiamo piuttosto affermare che essi
interagiscono continuamente tra di loro, in una sorta di ciclo di casualità retroattiva, in
base alla quale non è possibile stabilire quale sia la causa originaria (figura 1.1).

Pur essendo, ai nostri fini, maggiormente interessante soffermarsi sulle mutazioni


portate dalla modernizzazione, l’interdipendenza tra i due fenomeni rende necessaria
una, seppur breve, definizione e panoramica anche sulla globalizzazione. Come si
vedrà in seguito in maniera più approfondita, tanto la modernizzazione quanto la
globalizzazione possono essere distinte in tre fasi diverse, che rappresentano tre diversi
gradi con i quali i fenomeni in questione agiscono.

17
1.1.1. Le tre fasi della globalizzazione

Per quanto riguarda la globalizzazione ci si rifà qui al quadro delineato dai lavori
dell’economista francese Charles-Albert Michalet (cf. 1999, p.15), che negli ultimi anni
si è occupato specificatamente del fenomeno della mondialisation1, distinguendone tre
configurazioni principali: (1) l’internazionalizzazione, (2) la multinazionalizzazione ed
infine (3) la glocalizzazione.

Il termine internazionalizzazione indica, nel quadro degli studi di Michalet,


l’intensificazione e la nascita di nuovi scambi di beni e servizi tra gli stati-nazione che ha
avuto luogo a partire dal XVI secolo. Parlando di multinazionalizzazione, invece, si
indica la crescita della mobilità delle attività produttive e degli investimenti da un
territorio all’altro, accompagnato da una nascente specializzazione delle economie
nazionali. Questa seconda configurazione è più recente ed ha avuto luogo
indicativamente a partire dagli anni ’60 di questo secolo. Infine, la glocalizzazione
indica la fase attuale del processo di mondializzazione, caratterizzata da una
predominanza dei flussi finanziari tale da sottomettere le imprese ad una logica di
massimizzazione della redditività su mercati finanziari differenti. Durante la fase dalla
glocalizzazione si assiste quindi ad una specializzazione delle unità produttive in
funzione dei vantaggi comparativi offerti dai diversi territori. Questa è la ragione per la
quale la fase della glocalizzazione porta allo stesso tempo a delle tendenze di
differenziazione e di omogeneizzazione dei territori.

La glocalizzazione rappresenta inoltre l’attitudine ad operare su più scale differenti e la


capacità di saper cabiare, rapidamente e senza conseguenze, il registro geografico nel
quale si opera. Ecco perché la glocalizzazione ha luogo in particolare in quelle regioni
come la Randstad Holland, la Great London, e l’Ile de France in cui sono maggiori le
relazioni (economiche, politiche e sociali) intrattenute anche a livello locale. Le

1
Si è usato qui il termine francese che si riferisce, appunto, alla globalizzazione.

18
imprese lì insediate, infatti, sono al contempo intensamente locali ed intensamente
globali, poiché competono ad una scala globale operando, molto spesso, in un network
regionale (Swyngedouw, 2004).

Pur essendo le fasi fino a qui presentate distinguibili le une dalle altre ed interne ad un
processo comune (la globalizzazione), queste non si escludono e non si susseguono
l’un l’altra, ma semplicemente si assommano, cumulandosi, ed emergendo una dopo
l’altra in maniera specifica e preminente. Questo vuol dire che l’attuale glocalizzazione
non è affatto incompatibile con una continua crescita dell’internazionalizzazione e della
mondializzazione.

1.1.2. Modernità:
odernità: evoluzione di un concetto

Per quanto concerne l’altro fenomeno, quello della modernizzazione, è possibile


procedere in modo analogo a quanto fatto con la globalizzazione. Dopo aver definito la
modernizzazione come la tendenza di lungo periodo e spiccatamente occidentale di
trasformazione dei rapporti entro gli individui e la tradizione (Giddens, 1994), si
procederà con l’individuazione di tre fasi diverse di interazione del processo di
modernizzazione. L’ultima di queste fasi è quella più interessante per chi intenda
studiare le tendenze attuali, quali, nel nostro caso, i mutamenti che portano alle nuove
modalità di mobilità (e di concezione stessa della mobilità), come quelle di
condivisione.

La prima fase di modernizzazione, che è cominciata in Europa con l’Illuminismo, è


quella detta della razionalizzazione. La tradizione dalla quale gli individui si vanno
allontanando in questa fase è in particolar modo quella di tipo religioso.
L’affermazione dello spirito scientifico2 ha portato gli individui a tenere dei

2
Anche di scienza politica, à la Locke.

19
comportamenti derivanti dalle loro scelte piuttosto che dalla tradizione religiosa. Il
motore delle scelte si è allontanato quindi in questa fase da quello delle consuetudini.

La diffusione degli scambi internazionali è uno dei processi storicamente riconosciuti


come paralleli a quello dell’Illuminismo. Uno stretto rapporto emerge tra la prima fase
della globalizzazione e la prima fase della modernizzazione, a conferma di come questi
due fenomeni siano inseriti in logiche di feedback positivi e circolari.

La seconda fase di modernizzazione è quella che si è sviluppata contemporaneamente


alla rivoluzione industriale, nel XIX secolo. In questa fase, i diversi gruppi sociali in
seno alla società tendono a seguire vie differenti le une dalle altre, per costituire una
identità specifica per ogni gruppo. È la fase della specializzazione, che si è nutrita anche
della rivoluzione industriale come motore di cambiamento: specializzazione del lavoro,
delle funzioni sociali e concentrazione urbana (specializzazioni dei territori) ne sono
stati gli effetti più evidenti.

GLOBALIZZAZIONE MODERNIZZAZIONE

I. Internazionalizzazione I. Razionalizzazione
II. Multinazionalizzazione II. Specializzazione
III. Glocalizzazione III. Ipermodernità

Fig. 1.2.: I processi della modernità

20
L’evoluzione di tecnologie, modi di comunicazione e dei rapporti negli ultimi decenni
portano a pensare che non ci si sia affatto arrestati alla seconda fase. Una terza fase di
modernità è stata introdotta e classificata come fase “postmoderna”. In questo lavoro,
parallelamente a quanto hanno scritto François Ascher (2008) e altri teorici del
moderno, si preferirà invece riferirsi alla terza modernità come a una situazione di
“ipermodernità”, dal momento che i caratteri razionalizzazione e specializzazione tipici
della modernità non sono superati bensì fortemente accentuati3.

Quello che rende la terza modernità una fase a sé stante, distinta dalle prime due, è la
quantità di situazioni sulle quali il moderno agisce. In particolare, il ricorso alla
razionalità si incrocia con il fatto che ciascun individuo ipermoderno si deve rapportare
ogni giorno con un numero di situazioni e circostanze (individuali e collettive) sempre
più differenziate e mutevoli. Questo ha spinto gli individui ad una riflessione
permanente su se stessi e sulle strutture sociali delle quali essi sono parte. Si parla
quindi di modernizzazione riflessiva (Giddens, Beck e Lash, 1999) a causa del
ripensamento che si pone costantemente all’uomo riguardo le sue pratiche sociali.

1.2. L’INDIVIDUALIZZAZIONE

Prima di procedere con il ragionamento che ci condurrà ad approfondire il discorso


sulla terza modernità e sulle dinamiche che questa porta con sé, è necessario chiarire

3
La stessa postmodernità, tuttavia, riconosce come i tratti tipici della modernità non siano sorpassati.
Harvey, ad esempio, ne conclude che “vi è più continuità che differenza tra l’ampia storia del
modernismo e il movimento chiamato post-modernismo” (Harvey, 1993, pag. 146), nel quale ravvede
una maggiore apertura alla mutevolezza delle situazioni sulle quali agisce, in conformità con il pensiero
di Ascher sulla Terza Modernità e con quello di Giddens, Beck e Lash (1999) sulla modernizzazione
riflessiva.

21
con quale accezione si utilizzerà, di qui in avanti, il termine individualismo. Se nella
lingua italiana, la parola individualismo è considerato alla stregua di egoismo come una
“tendenza a far prevalere gli interessi e le esigenze individuali su quelli collettivi” , il 4

termine è usato in Francia, patria della Rivoluzione Francese, come “attitude favorisant
l'initiative et la réflexion individuelle”, ma anche “tendance à se comporter en individu
indépendant”5.

La definizione francese del termine, senza dubbio più vicina agli autori sui quali questo
lavoro è stato costruito6, è quella che sottenderà tutto il filo del discorso. Quando si
parlerà di individualismo si cercherà di farlo in maniera neutra ed escludendo ogni tipo
di giudizio di valore.

La citazione di Edgar Morin in apertura ci introduce ai rapporti di interdipendenza tra


il macro ed il micro. Così come la terza fase della globalizzazione -sintetizzata da
Michalet col termine di glocalizzazione - vede la riscoperta del livello del locale, nella
terza fase della modernità, gli individui liberi dai vincoli imposti dai loro gruppi sociali
di appartenenza, si troveranno ad affermare la propria identità. La globalizzazione, così
spesso accusata di portare all’omogeneizzazione ed alla cancellazione delle specificità
territoriali ed individuali, sarà paradossalmente una delle forze generatrici
dell’individualismo.

4
Definizione dal dizionario Garzanti Linguistica online, http://www.garzantilinguistica.it/ (controllato il 20
gennaio 2010 alle ore 12.33).
5
Le Dictionnaire, http://www.le-dictionnaire.com/index.html/.
6
Ci si riferisce qui in primo luogo a François Ascher.

22
1.2.1. Nascita ed evoluzione dell’individualismo

Seguendo il ragionamento portato avanti da Ascher (2008), le caratteristiche principali


dell’ipermodernità sono quelle di individualizzazione e differenziazione sociale. Già
nella seconda fase della modernizzazione, parlando di specializzazione, s’introduceva il
concetto di differenziazione sociale. In quel frangente, tuttavia, la differenziazione era
interna alla società: ciascun gruppo sociale prendeva la propria direzione, ma non
mutavano i rapporti cretatisi all’interno del gruppo.

L’individualismo, in stricto sensu, è uno delle forme con le quali la terza modernità si
manifesta. Esso è meglio detto individualismo di differenziazione, e porta gli individui
ad affermare se stessi ciascuno in una maniera personale, e non legata al gruppo sociale
di appartenenza.

In questo contesto può essere utile richiamarsi agli studi del sociologo tedesco Georg
Simmel, il quale riconosce l’esistenza di diversi circoli sociali, che sono da lui definiti
come dei gruppi che legano le persone sulla base a dei valori ed alle norme vigenti al
loro interno (Simmel, 1999).

1.2.2. L’ipertesto come metafora della società

Se nella prima fase di modernità si fa avanti l’idea che i circoli sociali possano esser più
d’uno e nella seconda si assiste alla loro differenziazione, il passaggio alla terza fase di
modernità è segnato dalla possibilità, per ciascun individuo, di appartenere ad una
pluralità di circoli sociali.

Questa pluralità, già riconosciuta da Simmel, e da lui chiamata pluriappartenenza, era


uno dei segnali dell’evoluzione della società e della cultura. Quello che Ascher
aggiunge all’analisi fatta da Simmel è fondamentalmente la multidimensionalità di
questi circoli: ciò che rende un circolo sociale diverso da tutti gli altri è stabilito dal

23
linguaggio con cui le norme di appartenenza si esprimono e definiscono e non,
semplicemente, dalla differenziazione delle norme stesse.

Proprio giocando sulla multidimensionalità dei circoli sociali, oltre alla loro pluralità,
Ascher descrive così gli individui multiappartenenti:

“Così come una volta i vicini erano anche dei colleghi, dei parenti o
degli amici (o nemici), oggi numerosi individui frequentano degli
ambienti fisici ed umani più diversificati. Si spostano quindi,
realmente e virtualmente, in dei territori geografici e sociali distinti.
Ciascun individuo tende ad articolare questi differenti territori in
modo originale, e si sforza di dare forma in maniera specifica ai
suoi diversi tempi, spazi, attività e relazioni”7.

Per approfondire lo studio sulla strutturazione sociale, Ascher utilizza la metafora


dell’ipertesto, che collega tra di loro piani e discorsi diversi attraverso dei links. Ciascun
testo, così come ciascun circolo sociale, ha una propria sintassi, una propria
grammatica ed un proprio significato. I collegamenti tra testi servono a dare un
significato nuovo, più completo e pluridimensionale alle parole che li legano insieme.

La società, vista attraverso la metafora dell’ipertesto, offre dunque numerose risorse; gli
individui sono i nodi che legano i diversi piani semantici che contengono queste
risorse. Ciascun individuo ha, idealmente, la possibilità di accedere ai contenuti su
piani diversi attraverso la stimolazione delle proprie risorse di rete. Tutto questo a due
condizioni: (1) la conoscenza delle regole sintattiche e (2) la capacità di fare code
switching.

Se la (1) è già spiegata, ed è legata alle possibilità che ciascuno ha avuto nel conoscere
ambienti culturali e sociali differenti, poche parole bastano per spiegare la (2).
Conoscere i codici non si traduce automaticamente nella capacità di saperli utilizzare e
di saper saltare da un codice all’altro a seconda della necessità. La capacità di switching,

7
Ascher 2005, pag. 2, traduzione mia.

24
che permette di sfruttare le potenzialità dell’ipertesto (e della società ipertesto, sua
metafora), non è legata tanto alle conoscenze esplicite di ciascuno quanto più alle
attitudini individuali ed alla capacità di sfruttare le conoscenze acquisite.

Sia la conoscenza delle regole sintattiche che la capacità di code switching possono
tuttavia talvolta essere fattori di esclusione dalle risorse offerte della società ipertesto.
Così come l’uso delle risorse della rete ad opera di un individuo multiappartenente in
un meccanismo di conoscenze e di inclusione porta ad effetti di feedback positivo,
l’esclusione e la marginalità si autoalimentano: gli individui fuori dal mercato del
lavoro, ad esempio, sono generalmente molto legati ai loro circoli sociali di origine,
hanno pochi contatti con altri campi sociali, scarse conoscenze di regole sintattiche
diverse, e scarsa abitudine ed attitudine al code switching.

1.2.3. Multiappartenenza e creatività

Se, come si è visto, la multiappartenenza non è una dote innata di qualsiasi abitante del
pianeta, si cercherà ora di mostrare come proprio questa attitudine possa essere
considerata un fattore di sviluppo per le città. Ci si riferisce qui a tutto il filone di urban
renewal e di rigenerazione urbana che ha conosciuto con le teorie di Richard Florida
un vasto pubblico.

Robert Reich aveva, già nei primi anni ’90, parlato della globalizzazione e degli effetti
che il processo di modernizzazione aveva sui lavoratori e sulla formazione del valore
aggiunto. In particolare, Reich (1993) scriveva delle influenze della globalizzazione sulla
localizzazione delle attività cognitive, produttive, economiche e di consumo. Nel suo
lavoro, Reich divide i lavoratori americani in tre categorie di cui le prime due,
riguardanti rispettivamente i servizi di produzione corrente ed i servizi personali, sono
quelle che producono un valore aggiunto strettamente legato al tempo lavorativo.

La categoria sulla quale Reich si è più soffermato e che rappresenta meglio l’attitudine
alla multiappartenenza che poi è stata ripresa nelle teorie di Florida, è quella da lui

25
chiamata dei symbol analists, in italiano tradotti come “manipolatori di simboli”.
Costoro sono, secondo l’autore, la categoria di lavoratori più avanzata, comprendente
tutte le attività legate all’identificazione, alla gestione ed alla risoluzione di problemi
sempre nuovi. I manipolatori di simboli hanno un livello di produzione di valore
aggiunto che non è strettamente legato alla quantità di lavoro, né a quella del loro
prodotto finale, quanto piuttosto al livello qualitativo della produzione. Operare su più
lavori contemporaneamente, saper creare e disfare reti di contatti e gruppi di lavoro a
seconda delle esigenze, esser capaci di trovare collegamenti tra ambiti diversi sono tutte
qualità che un buon manipolatore di simboli deve avere. Una società di manipolatori di
simboli è evidentemente anche una società d’individui multiappartenenti; una società
d’individui multiappartenenti ha le caratteristiche della società ipertesto.

I lavori di Richard Florida hanno l’ambizione di dimostrare come la presenza di quella


che lui chiama ‘classe creativa’ possa portare a un maggiore sviluppo e rinnovamento
urbano. A noi basta prendere atto della correlazione tra le due cose: la circolazione
delle conoscenze (anche implicite) beneficia di un vantaggio laddove il capitale creativo
è concentrato. La classe creativa dunque è definita da quattro caratteristiche: è una
popolazione (1) urbana, (2) qualificata, (3) interconnessa e (4) mobile.

Proprio quest’ultima caratteristica è la più importante per i fini ai quali questo lavoro si
indirizza. Si scorpirà che la mobilità ipermoderna della classe creativa è ben diversa da
quella, prevedibile, sistematica e tradizionale, conosciuta fino ad un’epoca moderna.

1.3. L’INDIVIDUALIZZAZIONE DISEGNA NUOVE

MODALITÀ DI MOBILITÀ

La mobilità della classe creativa, contribuisce anche a formare delle città che
rispondono a logiche diverse rispetto a quelle antecedenti. In questa nuova idea di città,

26
le esigenze di mobilità dei loro abitanti sono ormai mutate nella misura in cui la terza
modernità è presente nei cittadini.

1.3.1. Policentrismo urbano

L’impatto di globalizzazione e modernizzazione sulle città è stato rilevante lungo tutto il


corso della storia: basti pensare a come la rivoluzione industriale abbia modificato
morfologia e identità delle città pioniere dell’industria. Tale impatto è ancora
particolarmente evidente negli ultimi anni, in particolare nelle aree occidentalizzate del
mondo, con l’avvento della terza modernità e con il conseguente superamento, a livello
sia economico che morfologico, del modello di città industriale. È per queste ragioni
che il termine post-moderno, riferito alla città, ha preso diffusamente piede. Tuttavia,
come spiegato in precedenza, il declino dell’industrializzazione, non è coinciso con il
declino dei caratteri del moderno; ecco perché è preferibile parlare d’ipermodernità,
per identificare una fase di modernità radicale.

Le città, spinte dal declino della società industriale, dallo scontro con le diseconomie di
scala e dall’incontro con trasporti ad alta velocità e nuovi strumenti di
telecomunicazione, si riscoprono multifunzionali. La loro organizzazione, prima
rigidamente segnata da zone centrali, zone industrialmente produttive, zone di servizi e
zone residenziali, muta. I gradi di complessità necessari per descrivere i loro quartieri si
moltiplicano.

A livello territoriale si assiste da un lato al fallimento delle politiche statali di logica top-
down, dall’altro lato le città ed i loro territori, dopo aver preso coscienza della crisi del
modello urbano monofunzionale, scoprono la necessità del lavoro di rete.

La multifunzionalità della città ha come diretta conseguenza il suo policentrismo: più


funzioni assegnate alla città si traducono necessariamente in una pluralità di centri
collegati a queste nuove funzioni.

27
Introdurre il concetto del policentrismo urbano equivale a riconoscere una nuova
modalità di concezione dello spazio, secondo la quale le città di piccole e medie
dimensioni ricercano, attraverso la creazione di reti e di collaborazioni sovralocali, lo
strumento per poter competere a livello globale. Come riassunto da Toldo (in
Bramanti e Salone, 2009, pag. 281), “la specializzazione urbana comporta infatti una
diversificazione delle funzioni e delle risorse, per cui ogni centro presenta valori e
vantaggi specifici che vengono sfruttati anche dagli altri, in un'ottica sistemica”.

A differenza delle Global Cities, le reti policentriche si sviluppano perché hanno la


prerogativa di non subire gli svantaggi della centralizzazione (congestione ed altre
diseconomie) pur riuscendo, attraverso la loro rete, a svolgere le medesime funzioni.
La stessa Toldo, il cui lavoro è centrato nell'individuazione di una macroregione
policentrica nel Nord-Ovest italiano, articola il concetto del policentrismo su quattro
dimensioni fondamentali: quella morfologico-geografica, quella di funzione e
specializzazione, quella istituzionale (di programmazione politico-strategica) e quella
progettuale.

François Ascher (1995) introduce il termine di metapolis per indicare il nuovo ruolo
delle città, che diventando città diffuse integrano spazi urbani e (semi)rurali e si
strutturano secondo una logica reticolare. La natura dei rapporti tra città, in quello che
si va definendo come territorio regionale, si basa ora sul principio di collaborazione di
rete piuttosto che su rigidi rapporti gerarchici.

1.3.2. Ripensare la città e la mobilità cittadina

I cambiamenti dei principi organizzativi e le mutazioni in atto sulla morfologia delle


città determinano anche un cambiamento d’identità dei centri cittadini. Scrivono
Musso e Burlando:

28
Mentre i luoghi di lavoro diventano sempre più interconnessi
attraverso le tecnologie telematiche, e richiedono quindi sempre
meno centralità [...], la maggiore qualità (estetica, architettonica,
monumentale e potenzialmente ambientale) delle città storiche e
dei centri, oltre alla maggiore facilità di socializzazione, grazie alla
concentrazione di teatri, cinema, negozi qualificati, locali, musei, ne
favorisce un uso più residenziale e turistico. Da avamposto della
produzione, la funzione della città diventa quella di luogo delle
relazioni sociali. (Musso e Burlando, 1999, pag. 376)

Svuotate della loro funzione di centralità fondamentalmente legata all’attività


produttiva, le città occidentali8 stanno riscoprendo la loro bellezza e la loro identità
preindustriale. In altre parole, la funzione principale dei centri cittadini è oggi sempre
più quella di catalizzare i processi sociali. La rinascita dei mercati tradizionali e dei
centri commerciali naturali, danno l’idea di come, anche nel settore commerciale,
segnato sempre più profondamente dall’avvento della grande distribuzione, i centri
cittadini siano ben lontani dall’intenzione di abbandonare la scena.

Le città europee, in particolare, si caratterizzano per il loro storico sviluppo delle


"metriche pedestri" (Levy, 1999), ossia delle possibilità di mobilità che consentono al
pedone di restare tale, mantenendo la sua disponibilità ad esperienze ed interazioni
multisensoriali dirette. In assenza di diffuse metriche pedestri, secondo Lévy più
largamente presenti prima della rivoluzione industriale, la quale ha modificato
profondamente l'assetto dei territori nei quali si è sviluppata, le città godono oggi di
cattiva "salute sociale". Nei casi in cui le città sono nate o si siano fortemente sviluppate
durante l'epoca insustriale, infatti, egli sottolinea l’assenza "di un centro dinamico, di un
progetto ambizioso e di un gruppo sociale in grado di abbracciare in questo progetto
l'intera società urbana" (pag. 175).

8
Ed in particolar modo le città europee.

29
Tutto questo ha conseguenze dirette sulle mobilità che attraversano le città. Qualsiasi
manuale di economia dei trasporti distingue la mobilità di consumo (che ha un’utilità
diretta) da quella strumentale (che è necessaria a compiere delle attività che abbiano
un’utilità). Tra le variabili esplicative della mobilità strumentale c'è la presenza sul
territorio di attività economiche e sociali. Se con la città postindustriale le attività
economiche vengono decentralizzate, i centri storici cittadini emergono sempre più
come fulcro delle relazioni sociali, influenzando positivamente la domanda di mobilità
a loro associata.

Una città centro di relazioni sociali è anche una città più conviviale. Ci si muove più
spesso e lo si fa anche in assenza di una motivazione del tutto necessaria. È la “mobilità
per la mobilità” (Musso e Burlando, 1999), diretta conseguenza dell’incremento delle
relazioni sociali nel centro cittadino.

La crescita della domanda di mobilità non sistematica è dovuta anche ad un terzo


fattore: il tempo. Da una parte il tempo dei movimenti dei vari individui si de-
sincrornizza, in accordo con i processi di individualizzazione e di multiappartenenza.
Dall’altra parte va ricordato come anche il tempo sia sensibile alla modernità e con
questa abbia mutato fortemente il suo valore.

Se con la città industriale il trasporto era organizzato solo in funzione del tempo di
percorrenza, della capacità di flusso e della velocità, con le modificazioni di
globalizzazione e modernizzazione il tempo acquisisce valore in sé. Esso non sarà più
solamente la misura per la distanza, ma si riempirà di significato, diventando tempo-
sostanza (Amar et al., 2008). La possibilità di sorprendersi compiendo un viaggio in
una metropolitana esteticamente bella, le potenzialità date dall’incontro in una stazione
con gente prima sconosciuta e l’occupare il tempo di un luggo viaggio in treno
leggendo, chiacchierando e navigando sull’internet sono esempi di come il tempo
dedicato al movimento non sia sempre riducibile a tempo speso o ‘sprecato’ nel
trasporto, ma di come si possa andare anche oltre al concetto di tempo-distanza.

Nel nostro caso si sosterrà che il piacere nell’utilizzo della bicicletta, sommato al valore
fornito da un centro cittadino rivitalizzato dalla sua riscoperta (convivialità e valore

30
estetico), inciderà nelle dinamiche di scelta individuali. Il tempo, composto di giornate
di ventiquattro ore per ciascun individuo, è davvero uno dei beni più scarsi nelle nostre
città. Non può essere allungato oltre, ma può essere reso più ricco di valore.

1.3.3. Trasporti: è tempo di co-


co-modalità?

La mobilità è dunque un’azione che coinvolge (1) gli individui, (2) la configurazione
spaziale ed (3) il tempo. Lo schema in figura 1.2. mostra i cambiamenti che la terza
modernità ha prodotto su questi tre assi. Come risultato del processo, la mobilità
individuale nelle città segue un processo di de-sincronizzazione e di de-
sistematizzazione.

In altri termini, potremmo dire che, per quanto riguarda gli spostamenti in ambito
urbano, il processo catalizzato dalla modernizzazione ha proiettato sull’cittadino una
maggiore consapevolezza del proprio ruolo attivo sulle decisioni di mobilità, che lo
autorizza a levarsi le vesti del “trasportato” ed assumere i caratteri di homo mobils
(Amar, 2008).

I patterns sui quali la mobilità agisce (individui, spazio e tempo) si trovano ora di fronte
a delle nuove parole d’ordine alle quali obbedire, dettate dall’individualizzazione, che
sono riassumibili in “come voglio”, “dove voglio” e “quando voglio”.

Riassumendo, accanto alla mobilità sistematica si affianca, sempre di più, una mobilità
detta non sistematica, caratterizzata da individualizzazione, desincronizzazione, tempo-
sostanza, città policentriche e bisogno di ‘mobilità per la mobilità’. Questo non vuol
dire che la mobilità sistematica ed il trasporto così come li abbiamo conosciuti fino ad
ora perdano la loro importanza e capacità di spiegare i movimenti degli individui né,
tantomeno, che la mobilità non sistematica non esistesse fino alla cosiddetta ‘terza

31
modernità’9, ma che gli spostamenti urbani possono essere spiegati oggi più che ieri
partendo da una presupposta non sistematicità della mobilità.

La complessità della mobilità non sistematica è ben rappresentata dal trip-chaining:


incatenare in un solo viaggio più impegni, più commissioni da svolgere. Ne è un
esempio la madre che, dopo aver accompagnato i bambini a scuola, passa a comprare
il pane per il pranzo e a pagare una bolletta in posta. Il trip-chaining non è certo un
fenomeno nato con la modernità, ma è certo vero che la sua intensità e la sua
frequenza siano cresciute nel tempo e crescano in maniera proporzionale al livello di
urbanizzazione.

A conferma di quanto la mobilità non sistematica stia assumendo un ruolo importante


nella descrizione della mobilità delle nostre città, il “Rapporto sulla mobilità nelle
provincie italiane” condotto da ACI ed EURISPES nel 2006 quantifica il calo della
quota di spostamenti sistematici dal 54% del 1986 al 32% del 2006. In Piemonte la
situazione non è molto dissimile: nel 2001 il 60% dei flussi totali era considerato “non
sistematico” ed il dato è in crescita del 4,5% rispetto alla situazione del 1991 (Occelli,
2006).

Parlare della mobilità non sistematica non vuole essere semplicemente il riconoscere
una sua crescente complessità e imprevedibilità; non sistematici sono anche i modi con
i quali questo bisogno di mobilità è soddisfatto.

9
Quella tra mobilità sistematiica e mobilità non sistematica è infatti una distinzione non innovativa e già
ampiamente utilizzata nell’ambito degli studi sulla mobilità.

32
CITTÁ PATTERNS CITTÁ
DI
INDUSTRIALE MOBILITÁ POST-INDUSTRIALE

• 1a e 2a modernità INDIVIDUI • Multiappartenenza

• Centralità SPAZIO • Policentrismo

• Tempo-distanza TEMPO • Tempo-sostanza

MOBILITÁ MOBILITÁ
SISTEMATICA NON SISTEMATICA

Figura 1.3.: La mobilità non sistematica

Nel corso degli anni, i pianificatori dei trasporti si sono trovati spesso di fronte a
termini quali multi-modalità, inter-modalità e talvolta anche trans-modalità. Questi
termini sono spesso confusi e non esiste una relazione univoca tra significanti e
significati. Generalmente, tuttavia, si tende ad indicare con multi-modalità l’utilizzo di
più mezzi (non necessariamente differenti l’uno dall’altro) per un viaggio. Esempi di
multi-modalità sono lo scambio di treni effettuato da un pendolare, lo scambio
autobus-treno e qualsiasi altro tipo di cambio di modalità. Parlando di multi-modalità,
s’intende semplicemente riconoscere la pluralità di modi con cui ciascun viaggio è

33
composto; è l’affermazione di come anche lo spostamento effettuato camminando
dall’automobile parcheggiata al luogo di lavoro rappresenti una modalità di trasporto.
La stessa nozione di trip-chaining porta con sé l’idea che lo spostamento (viaggio) sia
segmentato in una pluralità di piccoli spostamenti (trips). L’intermodalità, invece, è
presente tutte le volte che le modalità di trasporto si assommano l’una all’altra. Sono
politiche di inter-modalità quelle che permettono di caricare le biciclette sui treni, ad
esempio. L’intermodalità ha un’importanza maggiore per quanto riguarda il trasporto
merci: si pensi ai container, che sono studiati per essere trasportati via nave, rotaia
oppure su gomma. Infine, in questi ultimi anni sta cominciando a diffondersi, seppur
meno diffusamente, anche il concetto di trans-modalità. I trasporti trans-modali sono
quelli in cui si confondono i tratti di modalità di trasporto differenti. Ne sono esempi le
metropolitane leggere ed i tram-treni, ma anche i pedibus.

La mobilità di ciascun individuo è allora data dalla combinazione delle varie modalità
di trasporto per ciascun trip. Le combinazioni con le quali si decide di impostare i
propri spostamenti definiscono il grado di mobilità di ciascun individuo. Tale mobilità
è il risultato delle possibilità di scelta a disposizione (tra quante possibili opzioni
scegliere ed a quali costi) e dalla capacità di combinazione delle modalità disponibili.

Un ragionamento simile a questo è alla base dell’introduzione, da parte della


Commissione Europea, nel Mid-term review of the European Commission’s 2001
Transport White Paper del termine di co-modalità, che può aiutare a rimuovere le
ambiguità e le incomprensioni celate dietro ai termini fin qui presentati. Nello specifico
l’UE indica con il termine co-modalità “l’uso efficiente dei diversi modi di trasporto
singolarmente o in combinazione tra loro”. L’accento viene posto dunque su una
pluralità di modalità e su di una loro integrazione, finalizzata ad efficienza e
sostenibilità10.

10
Come specificato dalla stessa Commissione Europea nel “Libro Verde – Verso una nuova cultura della
mobilità urbana”.

34
1.4. IL RUOLO DELLA BICICLETTA NEL NUOVO
ASSETTO URBANO

La promozione dell’uso della bicicletta in città è diventata, negli ultimi anni, una delle
priorità delle amministrazioni pubbliche, specie in particolare di quelle locali. Questo
tipo di politiche sono state integrate e rinvigorite dalle indicazioni fornite dall’Unione
Europea riguardo alla necessità di uno sviluppo sostenibile. In particolare, la
Commissione Europea tende a favorire delle politiche di trasporti che siano sostenibili
a livello tanto ambientale quanto economico.

Per quanto riguarda la questione ambientale, il collegamento con l’uso urbano della
bicicletta è evidente e sarà approfondito nel seguito di questa sezione.

A livello economico, invece, la Commissione Europea intende favorire un sistema di


prezzi che rifletta in modo più fedele il sistema dei costi del trasporto. Ci si riferisce qui
alla valutazione dei costi esterni dei trasporti, quali quelli legati ad inquinamento,
infrastrutture, rumore, incidenti e congestione. In termini economici, si ha
un’esternalità (costo esterno) quando l’azione di un individuo ha su di altri un effetto
che non viene fatto rientrare in un sistema di compensazione. Questi costi ricadono
per la maggior parte sulla società e non è quasi mai previsto un sistema di oneri per
poterli internalizzare.

L’indicazione di favorire la sostenibilità dei trasporti è tradotta dalle amministrazioni in


una pluralità di provvedimenti volti a minimizzare l’impatto che il trasporto
motorizzato privato può avere sulla cittadinanza. Tra questi provvedimenti ci sono
quelli riguardanti la ciclabilità. Pur non avanzando alcuna pretesa di esaustività, in
questa sezione si cercherà di spiegare in base a quali fattori le politiche comunitarie e
quelle delle amministrazioni locali ritengano gli investimenti sulla ciclabilità in ambito
urbano desiderabili e, di conseguenza, quali sono gli incentivi maggiormente utilizzati.
Per fare ciò si procederà elencando le possibili esternalità negative derivanti dall’uso

35
privato dell’automobile in città, per dimostrare come una politica che miri
all’incremento della ciclabilità possa ridurre i costi esterni dei suoi trasporti.

L’uso di mezzi di locomozione motorizzati ha come conseguenza più evidente


l’emissione di inquinamento atmosferico. Tali emissioni hanno impatti tanto globali
quanto locali. Le emissioni globali sono quelle sulle quali è ininfluente la localizzazione
della fonte d’inquinamento. L’emissione di anidride carbonica provocata dalla
combustione dei motori, ad esempio, contribuisce all’effetto serra indipendentemente
dal luogo in cui avviene. Ecco perché fenomeni come il cambiamento climatico
coinvolgono tutto il pianeta ed una loro risoluzione non può nascere lontana da una
contrattazione internazionale.

Un secondo tipo di emissioni, quelle locali, proviene dai mezzi motorizzati. Tali
emissioni provocano danno in relazione alla loro concentrazione nell’atmosfera locale.
Tra gli inquinanti atmosferici locali troviamo il piombo, il monossido di carbonio, gli
ossidi e monossidi di azoto (responsabili, tra l'altro, della distruzione di molecole di
ozono) e gli idrocarburi. Oltre ad essi, anche la produzione di particolato (le cosiddette
polveri sottili) è in parte causata dalla combustione dei motori.

La quantità di emissioni prodotte (in particolare di inquinanti locali), dipende molto


dalla tecnologia adottata: è vero che con semplici accorgimenti quali marmitta catalitica
e filtro antiparticolato si sono ridotte di molto, ma è anche vero che l’adozione di
standard qualitativamente migliori di contenimento delle emissioni è via via sempre più
costosa e sempre meno efficace in termini di emissioni risparmiate.

Le emissioni di gas di scarico hanno molteplici effetti: da un lato ci sono le loro


ricadute sull’ambiente (cambiamento climatico, buco dell’ozono, piogge acide, ecc.),
mentre dall’altro lato esse possono avere effetti negativi per la salute dell’uomo.

Anche l’inquinamento acustico, che è una forma di inquinamento meno evidente, ma


non per questo meno costosa, ha delle conseguenze negative sulla salute degli uomini.
Tali conseguenze si manifestano sia con una maggiore incidenza dei problemi relativi
all’udito laddove si è più esposti a continui e fastidiosi rumori, sia a livello di benessere,
per via dello stress. Noi tutti diamo infatti un costo al rumore accettando che una casa

36
in una zona più tranquilla abbia un prezzo più elevato rispetto ad una zona adiacente,
per esempio, ad una piazza rumorosa (Maddison et al., 1996).

Pur essendo, il rumore, provocato da tutti i mezzi motorizzati, è necessario rilevare


come vari tipi di veicoli producano livelli di rumore differenti11: i camion, in particolare,
risultano essere i più rumorosi12.

Un altro campo di applicazione tipico del concetto di esternalità è quello vissuto ogni
giorno da milioni di lavoratori nel momento in cui si recano al lavoro: troppe macchine
contemporaneamente sulle stesse strade e sulle stesse piazze paralizzano la città, ed i
costi del traffico ricadono sulla collettività. Tecnicamente, si dice che una rete si
congestiona quando un numero di utenti troppo elevato per le capacità di gestione di
flusso della rete accede a questa.

Le conseguenze della congestione sono economiche (perdita di tempo e di produttività


potenziale), ambientali (emissioni inutili in atmosfera) e di salute (stress degli
automobilisti). Secondo il Libro Bianco della Commissione Europea, i costi esterni
della congestione derivanti dal traffico stradale equivalevano, nel 2001, allo 0,5% del
Prodotto Interno Lordo di tutta l’UE.

Un tentativo di analizzare il traffico urbano e la congestione con gli strumenti messi a


disposizione dalla teoria dei giochi sarà effettuato nel seguito di questo lavoro. Per ora
basti evidenziare che l’uso della bicicletta in sostituzione dell’automobile nei centri
cittadini possa agire da fluidificante contro il fenomeno della congestione stradale.

11
Alcuni studi citati da Maddison et al. (1996), ad esempio, mostrano come un camion merci produca un
rumore paragonabile a quello di 10-25 automobili, e che il rumore prodotto da una motocicletta è lo
stesso prodotto da dieci autovetture.
12
È chiaro tuttavia che non è possibile sostituire il traffico dei camion con quello delle biciclette;
nonostante questo, va rilevato il fatto che in una città dove la ciclabilità è più diffusa i problemi relativi
all’inquinamento acustico sono, generalmente, più contenuti.

37
A livello di sicurezza va notato come, anche se il numero di incidenti sia inizialmente
correlato positivamente con il numero dei ciclisti in ambito urbano, oltre una certa
soglia, quando i ciclisti iniziano a diventare molti, gli incidenti tornano a diminuire.
Questo vuol dire da un lato che le amministrazioni, resesi conto del crescente numero
di ciclisti, investono di più per la loro sicurezza e dall’altro lato che gli automobilisti
stessi, più abituati alla convivenza con i ciclisti adotteranno dei comportamenti via via
meno pericolosi. Non volendo affermare che i ciclisti siano sempre senza colpe nei
loro incidenti, si può comunque non sostenere che essi siano la parte meno difesa in
un ipotetico scontro con le autovetture e che in ancor più ipotetico mondo di sole
biciclette, gli incidenti gravi sarebbero davvero molto rari. Questo perché una bicicletta
in più sulla strada è sicuramente meno dannosa rispetto ad un’auto in più.

L’uso dell’automobile provoca inoltre delle esternalità a causa del danneggiamento


delle infrastrutture e tali costi sarebbero minori se si sostituissero viaggi in automobile
con viaggi in bicicletta. I danni causati al manto stradale sono in parte determinati dal
clima e dal tipo di superficie stradale ed in parte dal numero di passaggi e dal peso del
mezzo transitante. Inoltre, i lavori per il rifacimento del manto stradale necessitano la
chiusura (parziale o totale) del passaggio, con conseguenti ricadute a catena su
congestione ed inquinamento atmosferico.

Altre conseguenze positive per la società di un maggior uso della bicicletta in ambito
urbano sono l’affrancamento dalla dipendenza da combustibili fossili e dai paesi che
forniscono questi combustibili. Questo si tradurrebbe in un risparmio sui costi
geopolitici e militari (Parry et al., 2007) e ad un minore rischio legato ai costi
dipendenti dalla fluttuazione del prezzo dei carburanti.

Fino ad ora, parlando delle possibili conseguenze sulla salute di un maggiore utilizzo
della bicicletta per gli spostamenti urbani, si sono considerati solo i vantaggi detti
“passivi”, che comprendono la minore esposizione degli abitanti ai fumi di scarico degli
autoveicoli.

Un’altra serie di considerazioni legate alla salute dei cittadini è quella dei vantaggi di
una ciclabilità “attiva”. L’utilizzo della bicicletta per gli spostamenti urbani contribuisce,

38
insieme con altri fattori, a promuovere uno stile di vita meno sedentario, quindi ad un
miglior stato di salute ed a una minor incidenza di obesità e malattie cardiovascolari.

Come mostrato dal grafico in figura 1.4., nei paesi in cui è più frequente un trasporto di
tipo attivo (e diffuso l’uso della bicicletta), la percentuale di obesi sulla popolazione
totale è inferiore.

Fig. 1.4.: Percentuale di popolazione obesa e trasporto attivo in alcuni Paesi


(Fonte: Bassett et al. 2008, pag. 805)

39
Tutto questo ha delle conseguenze economiche non solo su coloro che ne ricavano
direttamente un beneficio in termini di salute, ma anche per il sistema sanitario in
generale. È stato calcolato (Sturm et al., 2007) che negli Stati Uniti le persone obese
hanno una spesa in cure sanitarie maggiore del 36% rispetto alla media.
Parallelamente, la loro spesa in medicinali è del 77% superiore. Per avere un
parametro di riferimento, la categoria dei fumatori spende rispettivamente il 21% ed il
28% in più rispetto alla popolazione media.

1.5. LE RISORSE COMUNI

1.5.1. Il traffico come dilemma sociale

In definitiva, quello che ci si è proposti di analizzare fino ad ora è il comportamento di


un individuo che, ogni giorno, nel decidere come impostare la sua mobilità, si trova di
fronte ad un dilemma sociale. Prendere l’automobile o scegliere un sistema di
trasporto alternativo non è una decisione che riguarda solo i costi e le preferenze
individuali. L’individuo si relaziona anche con gli altri componenti della società, ed è
dalla somma delle scelte dei singoli individui che si configurano gli ‘stati del mondo’
che influenzano l’utilità derivante dalla scelta di ciascuno. Modellizando tutto questo,
sulla base di quanto mostrato nella figura 1.5, possiamo affermare che l'ottimo
individuale non coincide con quello sociale se siamo in presenza di esternalità da
congestione.

40
Fig. 1.5.: Costo marginale sociale e costo marginale privato.
Adattata da Maddison et al. (1996), p.21

Nella Figura 1.5, la curva che parte dal punto A, rappresentante il beneficio che lo
spostamento in automobile al margine può portare agli individui, è monotona
decrescente, poiché sono i primi viaggi ad essere quelli più utili. Le curve dei costi,
monotone e positive per ragionamento analogo e opposto a quello della curva dei
benefici, sono due, perché i costi marginali sociali sono maggiori dei costi marginali
privati per Q>0, a causa delle esternalità che l'attività comporta. Le esternalità sono
infatti crescenti quanto più è crescente Q.

Questa situazione porta l'individuo a scegliere un livello di attività Q* nel punto in cui il
costo marginale privato eguaglia il beneficio marginale. Tale livello Q* è maggiore di
quanto sarebbe socialmente auspicabile tenendo conto delle esternalità (Q**).

1.5.2. La tragedia dei beni collettivi

Il campo dei trasporti è uno tra i campi maggiormente utilizzati per definire il
significato di commons. I commons (beni collettivi o risorse comuni, in italiano) sono

41
dei beni che, per natura, non sono classificabili né tra i beni privati né tra quelli
pubblici.

Le strade sono dei commons, perché ciascun cittadino ha la possibilità di utilizzarle,


pur senza possederle in maniera esclusiva. Ciò che distingue le strade cittadine dai beni
pubblici è la possibilità che queste si congestionino. L’utilizzo di una strada da parte di
un cittadino può compromettere la possibilità, per un altro, di fare altrettanto.
L’impossibilità di escludere un cittadino dal godimento del bene è invece ciò che
distingue questo bene da un bene privato. Tutto questo vale solo in linea generale,
perché, lo si è visto negli ultimi anni, politiche di road pricing possono essere applicate
nei centri cittadini, per escludere la circolazione alle vetture più inquinanti o agli
automobilisti che non hanno pagato la tariffa di ingresso. Per essere quindi più rigorosi
nella definizione, le risorse comuni sono quelle nelle quali i processi di esclusione, pur
non essendo impossibili, presentano difficoltà tecniche o costi elevati (Ostrom, 1990).

Un articolo molto influente riguardo ai beni collettivi è stato quello scritto nel 1968 dal
biologo Garrett Hardin intitolato “The tragedy of the commons”. Hardin si riferisce ad
un pascolo, bene collettivo, dove più pastori hanno la possibilità di portare il bestiame.
Giacché nessuno è escludibile dall’uso, quello che accade è che ciascuno cercherà di
sovrasfruttare il bene collettivo per averne in cambio il massimo vantaggio individuale,
a discapito degli altri possibili utilizzatori e del bene stresso. Il pascolo sovrasfruttato,
infatti, diverrà sempre meno produttivo. Si parla, in questi casi, di “saccheggio del
bene”, poiché il costo collegato al sovrasfruttamento sarà socializzato e non sostenuto
dai singoli utilizzatori del bene stesso. La soluzione alla tragedia dei beni collettivi è,
secondo Hardin, l’istituzione di un’autorità capace di fissare dei limiti di utilizzo del
bene. Un’altra possibile soluzione che è stata trovata per la tragedia dei beni collettivi è
quella della suddivisione in lotti e privatizzazione del bene: in tal modo si può
ripristinare l’efficienza del suo uso, anche se, in qualche modo, lo si ‘snatura’,
facendogli perdere la sua caratteristica di non escludibilità (Bravo, 2001).

42
1.5.3. La teoria dei giochi ed il 'dilemma del prigioniero’

In tutte le situazioni in cui la decisione di un individuo è influenzata da fattori


dipendenti dalla scelta di altri attori, ci si trova di fronte a dei problemi che in
economia sono chiamati ‘strategici’ e che sono analizzati con le teorie dei giochi. Tra
questi, il gioco più celebre è senza dubbio il dilemma del prigioniero. Si tratta di un
gioco in cui, nella sua forma più semplice, partecipano due individui identici13. Essi si
trovano a dover scegliere in una situazione di interdipendenza strategica: dalla scelta
dell’altro dipende la propria utilità, ciascuno sa di avere di fronte un soggetto identico a
loro e perfettamente razionale. Entrambi i giocatori conoscono inoltre la struttura del
gioco.

Il gioco parla di due complici accusati per lo stesso delitto e posti sotto interrogatorio
separatamente. Il giudizio pendente su di loro sarà derivante dalle loro risposte
all’interrogatorio. Essi avranno infatti la possibilità di tacere (cooperare) oppure
accusare il loro compagno per il delitto. Se entrambi taceranno, riceveranno una pena
lieve, se si accuseranno a vicenda, invece, la pena sarà maggiore.

La soluzione migliore per la collettività14 sarebbe la cooperazione reciproca, ma poiché


entrambi gli individui hanno perfetta razionalità strumentale ecco che sarà scelta
l’opzione di non cooperare da entrambe le parti: ciascuno accuserà l’altro per il delitto
commesso. Va sottolineato, tuttavia, che la cooperazione di entrambi porterebbe ad un
risultato preferibile (anche individualmente) rispetto alla defezione di entrambi.

Tale gioco limita la collettività a due soli individui, per cui non può rispondere al
nostro tentativo di indagare riguardo alla congestione stradale, che richiede, per
definizione, un gran numero di partecipanti.

13
Due individui che sono dotati quindi delle stesse informazioni, che hanno un medesimo ordine delle
preferenze e che prendono le loro decisioni basandosi sul medesimo tipo di razionalità.
14
Qui limitata alla semplice coppia di individui.

43
Proviamo allora ad allargare il gioco ad n giocatori (Joshi et al., 2005). Come mostrato
dalla figura 1.6., anche in questo caso la defezione dal gioco converrebbe ad ogni
giocatore. Sull'asse delle ascisse possiamo vedere il numero x di giocatori che non
cooperano diversi dal giocatore in questione, mentre, sull'asse delle ordinate si trovano
i payoff individuali. Chiunque scelga di non cooperare pone un'esternalità o un costo
sociale agli altri giocatori riducendone il possibile payoff: questo è il motivo per il quale
le rette C(x) e D(x) sono monotone decrescenti.

Fig. 1.6.: Dilemma del prigioniero ad n giocatori


Fonte: Joshi et al., 2005

44
Per quanto riguarda la scelta del giocatore in questione, si può dire che,
indipendentemente dal numero x di defezioni altrui, la scelta razionalmente
conveniente è quella di non cooperare, poiché D(x) è sempre maggiore di C(x):

D(x)>C(x), ∀ 0 ≤ x ≤ n-1

Anche in questo caso, la situazione in cui si ottiene il payoff maggiore è in D(0),


quando si è gli unici a non cooperare. Al contrario, il beneficio minore si ha quando
tutti non cooperano e si è gli unici a farlo.

Può essere di interesse fare caso al fatto che, così come nel gioco a due soli giocatori,
anche qui la a cooperazione di tutti porta ad un payoff maggiore rispetto alla non
cooperazione universale: C(0)>D(n-1).

Può dunque il traffico essere analizzato in termini di dilemma del prigioniero?


Applicando la situazione studiata nel dilemma del prigioniero ad n giocatori ad una
realtà concreta, possiamo immaginarci una tipica situazione di congestione in un
quartiere di una città in cui gli abitanti devono accompagnare i propri figli nella stessa
scuola nel medesimo orario. Supponiamo inoltre che la scuola non sia troppo distante
dalle abitazioni. Se si accompagnassero i figli a piedi o in bicicletta, o li si lasciasse
andare da soli, ci si metterebbe un tempo più che accettabile. Quello che blocca molti
genitori dal prendere una decisione del genere è il traffico sulla strada e la scarsa
sicurezza per pedoni e ciclisti. Si preferisce così un comportamento non cooperativo
(l'uso della macchina) alimentando le stesse situazioni che hanno fatto scegliere la
defezione.

Il lavoro di Joshi et al. arriva ad una conclusione secondo la quale il dilemma del
prigioniero non è il gioco che meglio spiega le scelte riguardanti il traffico. Gli autori
propongono, in linea con la loro ricerca empirica, l'assurance game come modello di
esplicazione.

Il campo tipico di applicazione dell'assurance game è quello degli investimenti delle


imprese. Per arrivare ad interessanti applicazioni delle innovazioni nel campo
dell'informatica, ad esempio, è necessario avere investimenti sinergici d’imprese

45
diverse: l'assurance game è infatti un gioco di coordinamento simmetrico. Se l'impresa
produttrice di hardware investe in R&S, potrà produrre dei computer più potenti. La
potenza maggiore dei computer, tuttavia, non servirebbe a molto se non ci fosse
un'altra impresa che investe per lo sviluppo di un nuovo software. Viceversa, un
software innovativo sarebbe inutile se non fosse supportato da un nuovo supporto
hardware. Ogni giocatore nell'assurance game sostiene un costo di investimento, che
viene recuperato solo nel caso in cui anche l'altro giocatore decida di investire.

Fig. 1.7.: Assurance Game e situazione del traffico


(rielaborata ed adattata da Joshi et al., 2005)

46
Nel caso di un assurance game con n giocatori, ci si ritrova nella situazione mostrata
dalla figura 1.7., in cui il payoff massimo è in C(0). Infatti, C(0)>D(0), perché se tutti
cooperano e non utilizzano la macchina, sono premiati in maniera più che
proporzionale rispetto a quanto investito. Questo è il motivo per il quale la curva C(x) è
fortemente pendente verso il basso per valori di x prossimi allo zero. Quando un
elevato numero di partecipanti al gioco decide di non usare la macchina, si ha un
effetto massa critica, che fa sì che la decisione di cooperare sia più utile anche rispetto a
quella di non cooperare quando gli altri cooperano. Nella ricerca empirica di Joshi,
infatti, la maggioranza degli attori dichiara di preferire uno stato del mondo in cui le
strade sono completamente chiuse al traffico piuttosto che uno in cui solo alcuni
possono utilizzarle e ciò che più è rilevante è che i partecipanti hanno dichiarato questo
indipendentemente dalla possibilità per loro di essere o no compresi in coloro che
possono averne accesso.

Un'ultima constatazione attinente alla figura 1.7. riguarda l’andamento via via crescente
della curva D(x) vicino all'asse delle ordinate. Per x>0, D(x) dovrebbe essere sempre
decrescente. Infatti se tutti cooperano, dovrebbe essere più svantaggioso non cooperare
rispetto ad una situazione in cui, con x'>0 ma comunque basso, D(x')>D(0).

Si è proposto allora un andamento diverso della curva D(x)15, che parte da D'(x)
(comunque inferiore a C(x) ) e che procede lungo la linea tratteggiata fino al suo
percorso abituale.

Una spiegazione dell’andamento della curva D(x) per i valori di x prossimi allo 0, può
essere ricercata in motivazioni che vanno anche al di là della semplice scelta razionale
degli individui, anche se l'autore non fa alcun accenno a ciò e non spiega l'anomalo
andamento della curva.

15
Quale quella disegnata originariamente in Joshi, 2005.

47
Se infatti tutti, nessuno escluso, accompagnano i propri bambini a scuola senza
utilizzare la macchina, un'opzione diversa da quella dominante può venir giudicata
negativamente per un senso di vergogna o di disistima provocato dal fatto di avere un
atteggiamento considerato egoistico ed antisociale.

1.5.4. Una terza via

Governing the Commons è il titolo dell’opera che è valsa ad Elinor Ostrom il premio
Nobel per l’economia nell’anno 2009. Il merito della Ostrom è stato quello di
ricercare, per l’organizzazione delle risorse comuni, una via diversa da quelle di stato e
mercato ipotizzate prima di lei. Il campo su cui si è sviluppata la sua ricerca è stato
quello degli acquedotti nepalesi. La storia economica ha tradizionalmente visto, in
particolare negli anni ’80, la privatizzazione dell’infrastruttura dei servizi idrici come
mezzo per risolvere le inefficienze derivanti dalla proprietà comune e dai
comportamenti egoistici ed antisociali. La privatizzazione, così come anche la gestione
centralizzata ed autoritaria del bene, non si è dimostrata tuttavia la soluzione perfetta e
priva di difetti (Bravo, 2001), applicabile indipendentemente in tutti i contesti. Essa ha
invece in molte occasioni fallito nel suo intento, creando delle situazioni ben più gravi
di quelle che si prefiggeva di risolvere.

L’intuizione della Ostrom è stata quella di verificare una serie di condizioni sulle quali
una gestione comunitaria del bene potesse essere efficiente e sostenibile anche nel
lungo periodo.

Il fattore determinante è stato individuato nella presenza di un’entità che si facesse


garante del bene: una comunità che potesse imporre ai suoi appartenenti di sottostare
ad alcuni doveri in cambio del diritto di trarre profitto dall’uso del bene comune. Le
soluzioni di gestione del bene pubblico differiscono di volta in volta, secondo le
specificità territoriali e delle comunità proprietarie. L’intento di Governing the
Commons non è tanto quello di definire leggi che permettano, in tutte le circostanze, di

48
mettere in atto una terza modalità di gestione; quanto più mettere l’accento sul fatto
che, talvolta, una terza via efficiente è nata spontaneamente in seno ad alcune
collettività.

Ostrom elabora poi alcuni “principi costitutivi” (design principles) in base ai quali si
può guardare alla costituzione di una via di gestione comunitaria. Come rilevato da
Bravo (2001, pag. 503), “i princìpi costitutivi non descrivono alcuna regola particolare o
alcun particolare insieme di regole, poiché essi variano di caso in caso per meglio
adattarsi alle condizioni locali. Rilevano piuttosto alcuni elementi e condizioni base di
design che non entrano nello specifico della normativa, ma caratterizzano la struttura
istituzionale nel suo complesso”.

Tra questi principi, ci sono la creazione di regole d’uso che siano adattate al contesto di
origine, la possibilità di partecipare al processo di decision-making, il monitoraggio
dell’uso del bene ed un sistema di sanzioni per chi non rispetta le regole collettive.

I principi costitutivi della gestione comunitaria dovranno essere tenuti presenti nel
momento in cui si cercherà di analizzare i sistemi di condivisione di un parco di
biciclette pubbliche in città. Inoltre, la stessa nascita del concetto di condivisione e di
sharing può essere vista come una delle possibili risoluzioni della tragedia dei
commons.

1.5.5. Beni condivisibili

Si assiste negli ultimi anni ad una crescita di attenzione posta sul dilemma dei beni
collettivi e sulla loro gestione. Tale maggior riguardo risulta evidente se si pensa
all’assegnazione del premio Nobel per l’economia al già citato lavoro di Elinor Ostrom.
Parallelamente all’interesse accademico vanno le sperimentazioni pratiche di proprietà
comuni e del loro governo. Tutto ciò può essere in parte collegato alla presa d’atto e
diffusione della possibilità di rimedio alla tragedia dei beni comuni (dovuta alla stessa
Ostrom) ed in parte alle mutazioni della società ed alle abitudini e bisogni degli

49
individui, dettate dal processo di modernizzazione. Il tentativo di creare beni condivisi
e condivisibili (shareable goods) è quello che, più di altri, sembra poter risolvere la
tragedia dei beni collettivi, oltre che essere, nella maggior parte dei casi, una tendenza
dell’epoca attuale, segnata da ipermodernità, individualismo e da sempre maggiori
possibilità tecnologiche16.

Limitandoci all’ambito dei trasporti e della mobilità, molti sono i casi di teorie, progetti
o ambiti di sviluppo centrati sul governo dei beni collettivi e sulla condivisione.

A questo proposito, sono molto interessanti le teorie di “Shared Spaces” di Hans


Monderman, un urbanista olandese che dagli anni ottanta ha studiato, sperimentato e
fatto adottare in alcune città delle zone di spazi condivisi tra tutti gli utenti della strada.
Abbassando marciapiedi ed eliminando la segnaletica e le barriere che separano
fisicamente gli utilizzatori della stessa strada (pedoni, automobilisti e ciclisti),
Monderman ha scoperto che ciascun utente si responsabilizza e prende in
considerazione non solo la sua presenza ed il suo bisogno di mobilità ma anche quelli
degli altri. Un automobilista che entra in una “naked street” (come sono anche
chiamate le strade condivise) è spinto ad autodisciplinarsi e rallenta la propria velocità
anche in assenza di limiti imposti e di dossi. Si può quindi affermare che è proprio
‘spogliando’ la strada che gli utenti sono spinti a negoziare il loro passaggio l’uno di
fronte all’altro, ciascuno responsabile di se stesso e degli altri. Sembra infatti
(Hamilton-Bailie, 2008) che molte delle sperimentazioni di spazi condivisi in atto
(alcuni centri di piccoli paesi olandesi, inglesi e tedeschi) abbiano dato come risultato
un abbassamento degli incidenti ed un miglioramento delle condizioni di traffico e di
facilità di accesso alle strade. Anche le condivisioni di corsie riservate tra taxi, autobus e
ciclisti praticate in alcune città (tra le quali Parigi) hanno, alla base, un ragionamento
analogo.

16
Si pensi, qui, al valore ed alla diffusione che la condivisione ha in ambito informatico: dal file sharing
(condivisione di informazioni digitali), alle wiki (condivisione della conoscenza) fino ad arrivare all’open
source (condivisione di algoritmi).

50
Di condivisione si parla anche nei numerosi esperimenti di organizzazione del
trasporto pubblico “alla domanda”, che si stanno diffondendo anche in Italia. Questo
tipo di trasporto non è semplicemente il riproporre, da parte dei gestori dei trasporti
pubblici, il “taxi collettivo”, ma vuole essere un modo diverso ed efficiente di
organizzare la mobilità urbana. Il trasporto pubblico alla domanda risponde ad un
bisogno di mobilità individualizzato (“dove voglio” e “quando voglio”) attraverso un
mezzo di trasporto collettivo.

Infine ci sono i vari tentativi di condivisione dell’automobile, dal car pooling al car
sharing. Anche questi esperimenti rispondono a dei bisogni individuali in un modo
collettivo e mediato dalla condivisione, anche se a livelli differenti. In accordo con
Janelle Orsi (2009), è possibile distinguere diversi gradi di condivisione, che richiedono
condizioni differenti. Il primo grado di condivisione è l’uso condiviso della vettura (car
pooling), per il quale è necessaria la semplice cooperazione tra gli individui (devono
accettare il pooling) ed un planning minimo. Andare al lavoro con la stessa macchina
del collega che abita poco distante da casa e che fa lo stesso viaggio allo stesso orario è
un tipico esempio di car pooling, che non richiede un particolare sforzo logistico in
presenza dell’accordo dei due. Il secondo grado di condivisione è quello nel quale il
possesso stesso del mezzo di trasporto è condiviso tra gli individui che lo utilizzano:
sono i programmi di sharing privati. Tra questi ci possono essere accordi tra individui o
la creazione di un sistema club, che permetta ai suoi aderenti l’uso del mezzo. In
questo caso, la cooperazione deve essere maggiore, così come pure maggiore deve
essere il grado di organizzazione e di planning. Si pensi, ad esempio, ad un sistema
simile a quello delle cooperative agricole, che sono solite condividere i mezzi di lavoro
meccanici. Il grado massimo di condivisione è quello della progettazione di un sistema
di condivisione aperto a tutta la collettività: un vero e proprio sistema di car-sharing.
Per creare questo non bastano cooperazione ed organizzazione, ma è necessario anche
avere determinate infrastrutture ed un coinvolgimento della comunità.

I sistemi di bike sharing, sui quali questo lavoro si focalizzerà di qui in avanti, prendono
le mosse da quanto detto fino ad ora riguardo alla società e agli individui
contemporanei e si inseriscono nel quadro fino a qui delimitato. Il bisogno di

51
movimento degli individui, che con la terza modernità si traduce nella crescente
necessità di mobilità (nel suo significato di trasporto attivo, non sistematico e
desincronizzato), combinato con un maggiore interesse dei cittadini e delle
amministrazioni riguardo ai temi ambientali e della salute dei cittadini; la diffusione
degli esperimenti di governo dei beni collettivi; le sempre crescenti possibilità tecniche
legate al mondo delle ICT sono i fattori che hanno portato, negli anni, alla diffusione e
all’affinamento di sistemi di condivisione di biciclette pubbliche. I sistemi di bike
sharing possono dunque essere assimilati a dei sistemi, in molti casi efficienti, di
trasporto pubblico collettivo ed individualizzato allo stesso tempo.

52
2. IL BIKE SHARING: COS’È E COME
FUNZIONA

“Una mattina ti alzerai


e un mondo bianco troverai
e un’alba chiara sorgerà
sul grigio della tua città”

Francesco Guccini e Caterina Caselli,


Biciclette Bianche (1967)

53
2.1. GENERAZIONI E TECNICHE DI BIKE SHARING

Si è fino ad ora accennato ai sistemi di bike sharing descrivendoli semplicemente come


dei sistemi di uso condiviso della bicicletta. Si tratta, tuttavia, di modelli molto
diversificati l’uno dall’altro, che hanno come tratto comune quello di fornire ai loro
utenti delle biciclette in servizio per i loro movimenti in ambito urbano. Questi utenti
sono dunque utilizzatori delle biciclette e del servizio di bike sharing senza esserne i
proprietari. Lo scopo del presente capitolo è quello di meglio descrivere la nascita ed il
funzionamento di questi variegati sistemi e di offrire una panoramica di come,
attualmente, il concetto di bike sharing si declini nelle varie realtà territoriali.

È necessario fare attenzione alla distinzione, in alcuni casi labile, che intercorre tra i
sistemi di bike sharing e quelli di noleggio biciclette. Contrariamente a quanto si pensa
comunemente, la differenza non sta nella gestione: privata del noleggio biciclette e
pubblica del bike sharing. Ci sono non pochi casi in cui il bike sharing viene gestito da
privati, e talvolta gli amministratori pubblici possono decidere di creare un nolo di
biciclette, per un uso ricreativo e turistico. Il vero tratto caratteristico dei sistemi di bike
sharing va ricercato nel fatto che questi sono dei servizi che non prevedono la stipula di
un contratto per ogni volta che è usata la bicicletta. Noleggiando la bicicletta, invece, si
deve passare, ogni volta per un front-office, rendendo la procedura più macchinosa. A
ciò va aggiunto il discorso legato all’uso condiviso che sta dietro al concetto di sharing e
che è stato approfondito nel precedente capitolo.

La letteratura riguardante il bike sharing è scarsa, anche perché solo da qualche anno,
con la rapidissima e recentissima diffusione dei sistemi di uso condiviso delle biciclette,
si è identificato il bike sharing come fenomeno a sé stante. I provvedimenti che prima
erano stati presi per favorire l’utilizzo e la condivisione delle biciclette esulavano infatti
da considerazioni riguardanti il fenomeno di condivisione. Si trattava cioè di
provvedimenti che partivano da considerazioni di tipo ecologico e non ricadevano
quasi mai sul campo della mobilità e sulla riflessione legata al fenomeno di

54
condivisione. Si vedrà in seguito come ancora oggi si faccia fatica, tra le
amministrazioni comunali, a riconoscere la condivisione d’uso come tratto specifico
della modernità. Considerare il bike sharing alla stregua di qualsiasi altro
provvedimento atto a favorire la ciclabilità vuol dire non curarsi del suo vero
potenziale: in questo caso, l’analisi costi-benefici sottostimerà i benefici, portando come
logica conseguenza un sottoinvestimento per il bike sharing.

Preso atto della latitanza attuale del mondo accademico riguardo allo studio
dell’argomento, si deve all’americano Paul DeMaio, fondatore della società di
consulenza per il bike sharing ”MetroBike LLC”, il primo tentativo di sistematizzare
l’argomento. DeMaio distingue tre generazioni di sistemi di bike sharing, caratterizzate
dalla tecnica e dalla tecnologia di condivisione. In ciascuna di queste tre generazioni, i
servizi di bike sharing si sono poi potuti differenziare, in particolare per le soluzioni
adottate nella fornitura del servizio.

L’esplosione a livello mondiale del numero di servizi di bike sharing è evidente,


ancorché difficilmente quantificabile, perché è difficile contare e classificare tutte le
variegate esperienze in atto. Paul DeMaio ha provato, nel suo blog, a costruire una
mappa collaborativa dei sistemi di bike sharing17. Tale mappa conta oltre duecento
sistemi differenti, localizzati soprattutto in Europa, ma anche in Asia orientale (Cina e
Giappone), Stati Uniti, Oceania e Medio Oriente.

Anche se il numero di sistemi attuali è probabilmente sottostimato, ed in continua


evoluzione, per avere un’idea dell’esplosione del fenomeno ci si può affidare ai numeri
di appena qualche anno fa, quando implementare un servizio di bike sharing era

17
La mappa è visionabile ed integrabile liberamente all’indirizzo http://ow.ly/UaX3 (indirizzo controllato
il 7 gennaio 2010 alle ore 13.21). Viste le difficoltà della definizione del concetto di sistema di bike
sharing, questa mappa segnala, per la maggior parte, sistemi di terza generazione.

55
ancora un’impresa pionieristica: DeMaio contava 11 sistemi nel 2004, 60 nel 2007, 92
nel 2008 ed oltre 160 nel 200918.

2.1.1. Amsterdam: biciclette bianche come provocazione

Si è detto di come DeMaio abbia individuato tre generazioni tecniche di servizi di bike
sharing in base alle tecnologie adottate. La prima generazione si distingue dalle altre
proprio per l’assenza di tecnologia necessaria al progetto.

Era il 1965 quando, ad Amsterdam, i membri di un’avanguardia anarchica e


d’ispirazione dadaista, i Provos, iniziarono a dipingere di bianco alcune biciclette.
Queste biciclette furono lasciate sulle strade della città, in libero utilizzo. L’iniziativa
ebbe subito un discreto successo, tanto che, oltre alle biciclette che erano recuperate
dai Provos tra quelle gettate via, ce ne furono altre regalate da cittadini desiderosi di
contribuire all’iniziativa. Si arrivò ad avere, in città, qualche centinaio di biciclette
bianche, che potevano venire usate da chiunque e poi rilasciate sulla strada.

L’idea delle biciclette era parte dei “White Plans” dei Provos. Il bianco simboleggiava il
colore della purezza contro lo sporco della società moderna che avanzava (Guarnaccia,
1997). Se li si osserva oggi, molti di questi piani contenevano, nelle loro provocazioni,
delle anticipazioni su temi che si sarebbero dibattuti in modo diffuso solo in un’epoca
(iper)moderna, in particolare riguardo alla condivisione.

Il piano dei Provos si trovò presto di fronte a due tipi di problemi: da un lato, molte
biciclette furono rubate oppure vandalizzate (molte se ne trovarono nei canali di
Amsterdam); dall’altro lato, la polizia tolse le biciclette dalla strada, perché, per legge,
tutte le biciclette lasciate in luogo pubblico dovevano essere legate.

18
Dati disponibili sul “The bike-sharing blog” all’indirizzo http://ow.ly/Ub3b (indirizzo controllato il 7
2010 alle ore 13.28).

56
Nel 1967, Luud Schimmelpennink, uno dei membri più attivi tra i Provos, riuscì a farsi
eleggere come consigliere comunale ad Amsterdam, e da quella posizione provò a
rilanciare la proposta delle White Bicycles. Egli chiese infatti alla città di comprare
20.000 biciclette l’anno, e di metterle a disposizione dei cittadini, ma la sua proposta
non ebbe il seguito sperato.

Pur non avendo avuto successo, il piano delle biciclette bianche ebbe seguito: diversi
gruppi che s’ispiravano ai Provos tentarono soluzioni simili19 ed ancora oggi il piano
delle biciclette bianche è ricordato da diversi gruppi di cicloattivisti.

2.1.2. I sistemi meccanici si diffondono

L’esperienza lanciata dai Provos nella città di Amsterdam fu senza dubbio molto
importante per lo sviluppo dei futuri schemi di organizzazione dei servizi di bike
sharing. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo di promotori e di una parte dei cittadini e
nonostante il senso civico degli olandesi, i comportamenti antisociali ebbero il
sopravvento. Si comprese allora che era necessario fornire almeno un incentivo per la
restituzione del mezzo fornito in uso.

Su questa intuizione sono nati i sistemi di seconda generazione: in principio furono


alcune piccole municipalità danesi come Farsø, Grenå (nel 1993) e Nakskov (nel 1995)
a mettere in atto dei sistemi automatici di noleggio biciclette chiamati “City Bikes”
(DeMaio, 2009). Furono installate delle rastrelliere con delle biciclette ad esse
agganciate. Era possibile liberare la bicicletta per utilizzarla all’interno dei confini
cittadini semplicemente inserendo una moneta da 20 Corone (poco meno di 3 euro),

19
Ottenendo dei risultati, anch’essi, simili a quelli ottenuti dai Provos.

57
che era resa nel momento in cui la bicicletta veniva restituita e riposta in una
postazione libera20.

Questo sistema ebbe un buon successo, al punto che fu decisa una sperimentazione
nella capitale Copenhagen. Nacque così, nel 1995 il sistema City Bikes Bycyklen, con
circa 1.000 biciclette in 120 stazioni nel centro di Copenhagen.

Nel proporre a una città capitale quale è Copenhagen un sistema nato per delle città
piccole (tutte sotto i 20.000 abitanti), è stato necessario procedere con qualche
adattamento. Innanzitutto è stata fissata un’area centrale della città di Copenhagen nella
quale è possibile circolare con le City Bikes; al di fuori di quest’area, ogni uso della
bicicletta condivisa era considerato e punito come furto.

Fig.2.1.: Copenhagen e la “City Bike Zone”

20
Attraverso un meccanismo del tutto simile a quello diffuso per i carrelli dei supermercati.

58
Il compito di gestire il sistema di Copenhagen è stato affidato alla “Fonden Bycyklen i
København”, una fondazione senza scopo di lucro. Tale fondazione raccoglie
finanziamenti pubblici ma anche privati. Le City Bikes di Copenhagen, infatti, si
distinguono da quelle che le hanno anticipate perché hanno telai e ruote lenticolari
colorate e sponsorizzate da aziende private. Le City Bikes di Farsø, Grenå e Nakskov
avevano infatti mantenuto il colore bianco.

Le City Bikes sono delle biciclette studiate per l’uso urbano, con telai riconoscibili non
solo per i colori ma anche per la loro forma: questo dovrebbe scoraggiare eventuali
malintenzionati dal rivenderle o dall’usarle in modo privato. Esse hanno inoltre
gomme piene per minimizzare le forature. La manutenzione delle Bycyklen è affidata a
degli ex-carcerati che facendo pratica sulle City Bikes possono avere la possibilità di un
reinserimento nel mondo del lavoro.

Il sistema Bycyklen è attivo ogni anno da primavera fino a dicembre, mese in cui
vengono recuperate le biciclette, preservate dall’inverno e messe a punto per la
stagione successiva.

Alcune biciclette sono state rubate, altre vandalizzate in modo irreversibile, ma


nonostante tutto, il sistema ha continuato a reggersi. Il parco biciclette si è anzi espanso
negli anni, fino ad arrivare ad una cifra di oltre 2.000 biciclette nel 2009 grazie
sopratutto al finanziamento di alcuni sponsor privati.

Il successo di Copenhagen è stato esportato in altre realtà: se la sperimentazione ad


Helsinki e ad Århus ha dato risultati comparabili a quelli di Copenhagen, non si può
dire la stessa cosa per Vienna, dove il sistema di bike sharing di seconda generazione
simile a quello danese è stato sospeso, a causa del numero di biciclette rubate e

59
danneggiate nettamente superiore a quanto preventivato21, appena pochi mesi dopo
essere stato lanciato, nel 2002.

L’amministrazione comunale viennese non ha tuttavia desistito dalla sua intenzione di


porre in essere un sistema di bike sharing, ed ha proceduto con la messa all’asta delle
biciclette restanti e con la ricerca di un partner per la creazione di un diverso sistema di
bike sharing, che potesse rispondere necessità di identificare l’utilizzatore del mezzo.

2.1.3. Bike sharing di terza generazione e sistemi


elettronici

La terza generazione di sistemi di bike sharing è nata perché tutte le esperienze e i


sistemi visti in precedenza avevano subito problemi legati a furti e vandalismi, anche se
questi problemi avevano intensità differenti a seconda delle diverse città.

La specificità della terza generazione di servizio è quella di avere dei sistemi a


tecnologia elettronica che permettono di identificare ogni utilizzatore della bicicletta.
Questo tipo di sistemi sono detti, appunto, sistemi di Smart Bikes.

Le origini di questa tecnologia vanno ricercate in una sperimentazione ad opera


dell’Università di Portsmouth, in Inghilterra. Il piano delle politiche per la mobilità
redatto dalla Portsmouth University prevedeva infatti delle azioni per favorire uso della
bicicletta di studenti, docenti e personale universitario.

Nel 1996, grazie anche ai fondi del programma della Comunità Europea ENTRANCE
(Energy Savings in Transport through Innovation in the Cities of Europe), è stato
attivato il primo sistema di bike sharing completamente elettronico, chiamato

21
Il 20%-30% del parco biciclette totale è stato rubato dopo appena qualche giorno. La storia del sistema
di City Bikes di Vienna (Gratisrad) è raccontata nell’articolo (in tedesco) presente all’indirizzo internet
http://ow.ly/UqEu (pagina controllata il 9 gennaio 2010 alle ore 00.30).

60
“Bikeabout”. Un centinaio di biciclette furono messe a disposizione degli studenti,
docenti ed impiegati dell’Università che avevano sottoscritto l’abbonamento gratuito
(Hoogma, 2002).

Gli abbonati al servizio ricevettero una tessera che permetteva di sbloccare una
bicicletta dagli stalli a cui era legata. Dopo l’uso della bici, questa poteva essere restituita
in uno stallo libero. Attraverso l’introduzione della tessera personale è stato possibile
responsabilizzare gli utenti e sapere chi aveva prelevato la bicicletta perché tutte le
informazioni erano memorizzate e trasmesse ad un sistema centrale.

La tecnologia è stata di aiuto anche nel tentativo sconfiggere i problemi legati al


vandalismo sul parco biciclette: le stazioni di Bikeabout erano infatti videosorvegliate e
non si verificarono danni evidenti.

Questo tipo di sperimentazione ha permesso lo sviluppo successivo di sistemi di bike


sharing più complessi, aperti a tutta la cittadinanza, e non più ristretti ad alcune
categorie di individui. Il 6 giugno 1998, nella città di Rennes è stato lanciato il sistema
“Vélo à la carte” bastato sul modello del sistema Bikeabout. Vélo à la carte ha fornito,
per undici anni22, un sistema con 25 stazioni di posteggio, 200 biciclette in libero
utilizzo ventiquattro ore su ventiquattro per tutti i giorni dell’anno ed un sistema per la
rimovimentazione dei cicli, per evitare che alcune stazioni restassero vuote e che in
altre non ci fossero postazioni libere. Il sistema Vélo à la carte è arrivato ad avere, nel
maggio 2008, quasi 5000 utenti attivi ed una media giornaliera, nello stesso mese, di
319 prestiti23.

22
Fino al 10 maggio 2009, giorno in cui il contratto con Clear Channel è terminato ed il servizio è stato
sospeso. La città di Rennes ha tuttavia da subito avviato un programma per la realizzazione di un nuovo
servizio di bike sharing. Il 22 giugno del 2009 è infatti entrato in servizio il servizio “LE vélo STAR” (di
terza generazione), con 82 ciclostazioni gestite dalla società Keolis.
23
Secondo i dati forniti dal sito ufficiale di Vélo à la Carte: http://veloalacarte.free.fr/index2.html
(controllato il 12 gennaio 2010 alle ore 15.09).

61
La terza generazione di servizi di bike sharing, caratterizzati dalla tecnologia e
dall’identificazione dell’utilizzatore si è evoluta anche in una direzione diversa da quella
dei sistemi visti finora.

Nel 2000 il sistema “Call a Bike”24 è stato lanciato a Monaco, in Germania; in pochi
anni lo stesso servizio è arrivato in altre città tedesche come Francoforte, Berlino e
Stoccarda. Call a Bike è un servizio fornito dalle ferrovie tedesche Deutsche Bahn AG,
che permette, agli utenti registrati, di liberare una bicicletta attraverso un codice a
quattro cifre che è fornito, via SMS, sul cellulare dell’utilizzatore. Ogni bicicletta è
identificata attraverso un numero ed ha un lucchetto che può essere sbloccato
telefonando a questo numero ed inserendo, in un microcontroller LCD, il codice
ricevuto via SMS. La tariffazione avviene secondo i minuti di utilizzo (8 centesimi di €
al minuto) e la bici può, al termine del servizio, essere lasciata sulla strada (purché si
tratti di una strada considerata principale).

Il sistema Call a bike è, rispetto a quelli fino a qui presentati, più complesso e più
costoso: sia per il fornitore25 sia, di conseguenza, per l’utenza: le tariffe di uso sono
elevate, così come è elevato il costo per la registrazione al servizio (99 € l’anno e trenta
minuti di uso gratuito ogni volta).

24
Informazioni dal sito ufficiale di Call a Bike http://www.callabike-interaktiv.de (controllato il 12 gennaio
2010 alle ore 15.33) e dalle offerte commerciali presenti su http://ow.ly/VD9u (controllato il 12 gennaio
2010 alle ore 16.07).
25
Le biciclette Call a Bike sono fornite del già citato microcontroller LCD con touchscreen, di un
rilevatore GPS e della chiusura automatica; è inoltre complesso e costoso anche il sistema di generazione
e gestione dei codici di sblocco.

62
2.1.4. Il modello Vélo’v - Vélib’

Call a bike ha avuto una diffusione limitata alle maggiori città della Germania (ci sono,
ad esempio, 2000 biciclette a Berlino, divise in più stazioni). Negli ultimi anni il sistema
è arrivato anche in ulteriori 30 città tedesche di medie dimensioni, dove il prestito e la
restituzione sono possibili sono in prossimità della stazione ferroviaria, ma in un
contesto globale non sembrano esserci oggi soggetti interessati ad importare tale
modello.

L’incremento che si è visto esserci stato nel numero di servizi di bike sharing negli
ultimi anni è dovuto essenzialmente all’esplosione del modello delle Smart Bikes. A
Rennes le Vélos à la Carte si sono dimostrate uno strumento utile per la mobilità, tanto
è vero che il loro impiego è andato ben oltre ai tempi di sperimentazione (undici anni,
per poi essere rimpiazzate da un sistema simile). A Portsmouth, ad esempio, non è
andata così: il sistema Bikeabout, attivo nei campus universitari, fu chiuso dopo pochi
anni, non appena finirono i fondi comunitari legati al programma ENTRANCE. Stessa
sorte toccò ai sistemi che vennero impiantati (tra l’anno 2000 ed il 2001) dalla
multinazionale americana Clear Channel26 a Singapore, che furono presto chiusi per
mancanza di fondi (DeMaio, 2004).

La prima città a dotarsi di un sistema di bike sharing diffuso capillarmente sul territorio
fu Lione, che lanciò “Vélo’v” il 19 maggio 2005. Il sistema Vélo’v, gestito dalla società
francese di advertising JCDecaux, contava, alla sua nascita, 340 stazioni e circa 4.000
biciclette27.

Il sistema lionese fu il primo ad essere concesso “in fornitura” e a non essere pagato
direttamente: l’accordo con JCDecaux ha stabilito la cessione di spazi pubblicitari tra le

26
La stessa ditta fornitrice di Vélo à la carte.
27
Il numero di stazioni di Vélo’v è stato poi gradatamente incrementato, fino ad arrivare a più di 400
stazioni attive oggi.

63
mura cittadine in cambio della fornitura e gestione completa del servizio da parte di
Ciclocity, la società figlia di JCDecaux che si occupa del bike sharing (Beroud, 2007).

Quando il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë ha deciso di lanciare nella sua città un
sistema di bike sharing, sembrò opportuno basarsi sul modello già sperimentato con
successo a Lione. Egli intendeva fornire alla città di Parigi almeno 6.000 biciclette entro
la fine del 2007. La città di Parigi interruppe anche tutti i contratti per la cartellonistica
pubblicitaria della città, che sarebbero stati concessi alla società che avrebbe fornito il
sistema di bike sharing.

La trattativa fu molto combattuta e vide la partecipazione anche della società americana


Clear Channel28. Essa si concluse con un numero di biciclette e di stazioni mai visto né
immaginato fino ad allora. In un primo momento, Clear Channel propose una
fornitura di 14.000 biciclette, contro le 7.500 proposte da JCDecaux (Nadal, 2007).
L’appalto fu annullato e ribandito a causa di un ricorso formale di JCDecaux.

La gara fu infine vinta da JCDecaux attraverso la società SOMUPI (Société des


mobiliers urbains pour la publicité et l’information) che già da anni aveva dei contratti
per l’utilizzo di spazi pubblicitari e per la fornitura di arredo urbano con la città di
Parigi.

Stando ai dati dell’accordo forniti da Luc Nadal, JCDecaux si è impegnata a fornire alla
città di Parigi, con contratto decennale, un sistema di bike sharing di terza generazione
(denominato “Vélib’’”) a 20.600 biciclette distribuite su 1451 stazioni, prendendosi in
carico anche tutti i costi di gestione del servizio. I ricavi (stimati in oltre 30 milioni di €
l’anno), invece, saranno appannaggio della città. In cambio, JCDecaux riceve la
possibilità di utilizzare 1628 pannelli pubblicitari di diverse dimensioni distribuiti in
vari punti di Parigi.

28
La quale, forte della sua esperienza a Rennes, poteva proporre un servizio del tutto simile a quello
offerto da Ciclocity.

64
Gli spazi pubblicitari sarebbero certo stati venduti lo stesso dal comune di Parigi e si
dovrebbe calcolare il valore che questa vendita avrebbe avuto per arrivare a conoscere
il vero costo del bike sharing parigino.

È interessante, nell’ottica dell’analisi comparata che s’intende avere in questo lavoro,


rilevare come il modello del Vélo’v e del Vélib’ si sia diffuso con gli anni fino a
diventare l’idealtipo del bike sharing29.

La nascita e l’affermazione del sistema Vélib’ a Parigi non è stata tuttavia esente da
polemiche e critiche. Le associazioni che si battono contro la pubblicità negli spazi
pubblici hanno fatto sentire la loro voce, spesso supportati anche dalle associazioni
ciclistiche30.

La stampa francese ed internazionale non si è inoltre risparmiata nel mettere in luce


tutti i problemi di Vélib’. In particolare, un articolo pubblicato dal New York Times
del 30 ottobre 200931 oltre a fornire alcune statistiche di utilizzo (dai 50.000 ai 150.000
prelievi al giorno, tra i 2 ed i 7 viaggi ogni giorno per ciascuna bicicletta), parla di un
numero di Vélib’ vandalizzate, rubate e portate in riparazione ben al di sopra di quanto
preventivato dalla città di Parigi e da JCDecaux. Secondo quanto riferito nell’articolo,
infatti, oltre l’80% delle oltre 20.000 biciclette fornite alla città è stato, nei due anni di
utilizzo del servizio, rimpiazzato.

29
Al punto da essere il modello di business utilizzato anche dalla maggior rivale, Clear Channel, per i
suoi servizi di bike sharing (Barcellona e Milano in particolare).
30
Ne è un esempio Vélorution, associazione ciclistica diffusa su tutto il territorio francese che spesso si è
dimostrata scettica riguardo alle biciclette in libero servizio gestite da JCDecaux.
31
Steven Erlanger e Maïa de la Baume, “French Ideal of Bicycle-Sharing Meets Reality”, pubblicato il 30
ottobre 2009 sul The New York Times e disponibile online all’indirizzo web
http://www.nytimes.com/2009/10/31/world/europe/31bikes.html (controllato il 19 gennaio 2010 alle ore
16.49).

65
Come spesso accade in questi casi, l’articolo è stato ripreso da molti altri giornali in
tutto il mondo32, nonché dalla blogosfera, che a lungo ha dibattuto su questi dati
arrivando a descrivere, in alcuni casi, il sistema Vélib’ come un sistema fallimentare ed
estremamente costoso per la città.

Tali critiche non hanno tenuto conto del fatto che il costo di ciascuna bicicletta, che era
stato stimato dagli articolisti del New York Times attorno ai 3.500 $ è stato poi
rettificato33 in 1.050 $, compresi della manutenzione necessaria al suo funzionamento e
di tutto il sistema logistico.

Parigi è la città nella cui periferia si era sviluppata, nell’autunno del 2005, la rivolta
delle banlieues che vide migliaia di macchine incendiate in meno di un mese di scontri,
simbolo della forte tensione sociale presente nella città.

Pur essendo il sistema Vélib un sistema di bike sharing sviluppato fondamentalmente


“intra muros” (la stessa estensione del servizio non è andata oltre alla prima corona) e
la rivolta delle banlieues un fenomeno che ha coinvolto sopratutto i territori a nord
nella cosiddetta “seconda corona”, alcuni osservatori hanno trovato un legame tra i
vandalismi registrati alle Vélib’ e l’emergenza banlieue. In particolare un articolo del
giornale francese Le Monde del 13 giugno del 2009 titolava “Pourquoi les Vélib’,
fétiches des bobos, sont vandalisés”. I bobos (bourgeois-bohémiens, giovani borghesi e
tendenzialmente creativi ed intellettuali che ricercano una vita da bohémiens) hanno
decretato il successo del Vélib’ facendone un feticcio di libertà e di valori ecologisti,
secondo Bertrand Le Gendre,, articolista di Le Monde, ma in questo modo hanno in
parallelo attirato sui Vélib’ quel desiderio di rivalsa e di giustizia sociale serbato dai
giovani delle banlieues.

32
In Italia, ad esempio, la notizia è stata ripubblicata quasi identica sul Secolo XIX e su Il Giornale del
31 ottobre, sul Corriere della Sera del 1 novembre 2009.
33
Il 5 novembre 2009 sul New York Times. La rettifica compare anche sulla versione dell’articolo
pubblicata online.

66
L’allarme relativo ai furti ed ai vandalismi del parco biciclette non era tuttavia
infondato, se si considera che il 23 novembre del 2009 è stata adottata dalla città di
Parigi una modifica al contratto firmato con JCDecaux, “per non condannare cittadini
e turisti ad un peggioramento del servizio fornito” . 34

La modifica al contratto fornisce incentivi a JCDecaux per una migliore performance:


al di sopra dei 14 milioni di euro di entrate annuali provenienti dal servizio
(abbonamenti e tariffe orarie), il 35% entra nelle casse del gestore; sopra i 17 milioni di
euro, la quota per JCDecaux sale al 50%.

La città di Parigi, in cambio, si è impegnata a pagare 400 € per ogni Vélib’ danneggiato
irreparabilmente al di sopra del 4% e fino al 25% di tutta la flotta. JCDecaux è inoltre
tenuta, secondo l’accordo, a migliorare il proprio servizio di assistenza telefonica e a
creare 20 posti di lavoro in più nel call center dedicato al Vélib’.

2.2. I SISTEMI ITALIANI

Si è visto di come il sistema di biciclette pubbliche condivise del modello Vélo’v –


Vélib’ sia oggi quello più in crescita a livello mondiale. Tale sistema vede società che si
occupano e pubblicità e di arredo urbano contendersi il mercato delle città di medio-
grandi dimensioni soprattutto in Europa, con lo scopo di assicurarsi la gestione degli
spazi pubblicitari35.

34
“Le Conseil de Paris adopte un avenant pour améliorer le service aux usagers” pubblicato sul blog
ufficiale di Vélib’ il 25 novembre 2009 all’indirizzo web http://ow.ly/XOxe (controllato il 18 gennaio
2010 alle ore 17.58).
35
In alcuni casi, tuttavia, lo stesso tipo di servizio del modello Vélo’v – Vélib’ viene reso alle città secondo
un semplice contratto di fornitura, senza che vi siano in cambio spazi pubblicitari. Questo succede non
solo quando i fornitori sono società che non si occupano di advertising (è il caso di Keolis, che ha
sostituito Clear Channel a Rennes con LE vélo STAR; EFFIA, una filiale di SNCF che fornisce il

67
La fornitura ai cittadini di biciclette in libero servizio è una pratica che, tuttavia, si è
diffusa da diversi anni anche in Italia. In questa sezione si presenteranno le esperienze
che si sono avute nel nostro Paese, oltre ad una panoramica degli operatori e dei
fornitori.

2.2.1. Biciclette bianche, gialle e blu

L’eco del White Bicycle Plan proveniente dai Paesi Bassi è arrivato fino a Milano
dove, come riferito da Guarnaccia (1997), alcuni gruppi che si ispiravano ai Provos
olandesi tentarono delle simili azioni attorno ai Navigli milanesi. Alla fine degli anni 60,
ci si organizzò per fornire ai cittadini milanesi delle biciclette bianche da utilizzare per i
loro spostamenti sul modello di quanto avvenuto ad Amsterdam, ma questi tentativi
ebbero però una vita molto breve ed un risultato certamente meno importante rispetto
a quello originale.

La stagione delle biciclette gialle, che toccò diverse città in tutta Italia, venne una
ventina d’anni dopo e fu anch’essa derivante dall’importazione di un’idea nata oltre il
confine. A La Rochelle, cittadina francese di 70.000 abitanti affacciata sull’Atlantico,
furono comprate delle biciclette gialle dal comune e messe a disposizione dei cittadini
e di chiunque, in città, intendesse utilizzarle, sul modello delle biciclette di Amsterdam
(Midgley, 2009). Queste bici erano gialle per ricordare il colore dei taxi.

Nel 1987, ispirandosi all’esempio francese, l’allora sindaco di Milano Paolo Pillitteri, in
collaborazione con l’assessore al traffico Attilio Schemmari, fornì alla città lombarda
500 biciclette gialle che avrebbero dovuto essere a disposizione dei cittadini. Nel
lanciare il piano, perfettamente inserito nel clima di ottimismo che prevaleva in quegli

servizio Vélo + a Orléans e ad altre città; Smoove, a Montpellier ed Avignone), ma anche - in alcuni casi
- per le società di advertising (come a Digione e Barcellona, dove il servizio è fornito da Clear Channel).

68
anni Pillitteri volle fidarsi dei suoi concittadini: “È una scommessa sul senso civico dei
milanesi, sulla loro capacità di difendere l'interesse comune” . 36

L’esperimento non ebbe però i risultati sperati. Secondo quanto riportato da Il


Giornale37, dopo appena 24 ore, 250 biciclette erano già sparite, e le altre non durarono
molto di più.

Nonostante questa fallimentare esperienza, la stagione delle biciclette gialle in Italia


non si concluse. Molte città ripresero l’esempio milanese per adattarlo alle proprie
specificità locali, mettendo in piedi dei sistemi che, pur non essendo chiamati di bike
sharing, avevano alla base la condivisione della bicicletta38.

Vanno inoltre ricordate le “biciclette blu” che in molte città italiane (a partire da
Ferrara) erano le biciclette messe a disposizione di assessori e dipendenti comunali (o
comunque ai dipendenti del pubblico impiego), per la loro attività lavorativa. Queste
biciclette erano colorate di blu per ricordare il colore delle ben più note (e diffuse)
“auto blu”, le auto di rappresentanza istituzionale.

2.2.2. C’entro in Bici

Le esperienze italiane presentate fino a questo punto sono tutte riconducibili alla prima
generazione di sistemi di condivisione individuata da DeMaio poiché non prevedevano
alcuna interfaccia tecnologica tra l’utilizzatore e la bicicletta. In alcuni casi (come quello

36
“5 anni fa il fallimento delle bici gialle”, Il Corriere della Sera del 19 novembre 1992, pag 46
(disponibile online all’indirizzo http://ow.ly/Y7aV (controllato il 19 gennaio 2010 alle ore 11.46).
37
Francesco Del Vigo, “Vent’anni fa Pillitteri fu il primo a provarci”, Il Giornale del 23 agosto 2007, pag.
49.
38
In molti casi si trattò tuttavia di sistemi piuttosto macchinosi di noleggio di biciclette, secondo la
distinzione che si è vista in principio di questo capitolo.

69
delle biciclette gialle a Milano) non era presente nessun tipo di ostacolo all’uso delle
biciclette, che erano lasciate totalmente libere; mentre in altri casi, per usare il mezzo, si
doveva necessariamente passare per qualche gestore umano. È necessario sottolineare
come il programma delle biciclette blu prevedeva inoltre la possibilità di essere inclusi
nel servizio solo per alcune categorie di cittadini, creando una sistema “di club”.

La seconda generazione di bike sharing nata in Danimarca a metà degli anni ‘90 ed
esplosa con il servizio Bycyklen a Copenhagen, ha visto, nella sua introduzione in
Italia, delle importanti innovazioni.

Uno dei problemi maggiori riguardanti le City Bikes era relativo al fatto che non era in
alcun modo possibile rintracciare l’utilizzatore della bicicletta, che era semplicemente
sganciata con l’introduzione di una moneta. Detta in altri termini, non restituendo la
bicicletta si sarebbe persa solamente quella piccola forma di cauzione.

Il sistema italiano “C’entro in Bici”, progettato dall’ingegnere romagnolo Fulvio Tura,


fu messo in funzione per la prima volta a Ravenna nel 2000. Tale sistema richiede che,
per avere la possibilità di accedere al servizio, ci si registri presso un ufficio comunale
(versando, in alcuni casi, una cauzione). Qui si riceve una chiave personale che serve a
sbloccare la bicicletta dallo stallo nel quale essa è inserita. Una volta sbloccata, la
bicicletta potrà essere utilizzata finché serve. La restituzione39 dovrà avvenire
necessariamente nello stesso stallo dal quale si era eseguito il prelievo. Alla restituzione
della bicicletta, è rilasciata anche la chiave personale che, in questo sistema, rimane
bloccata nella velostazione dal momento del prelievo.

Essendo la chiave personale, codificata e non duplicabile è sempre possibile, in caso di


non restituzione della bicicletta, rintracciare il proprietario della chiave tramite il
registro delle iscrizioni al servizio.

Accanto all’enorme vantaggio, rispetto al sistema danese, dell’identificazione


dell’utilizzatore (e, conseguentemente, della riduzione del numero di furti) va tuttavia

39
Obbligatoria entro la serata, per permettere l’utilizzo condiviso del mezzo.

70
considerata l’impossibilità di prendere la bici dallo stallo di una stazione e di lasciarla in
quello di un’altra. Con questo sistema possono dunque essere effettuati tragitti che
definiremo come ‘chiusi’.

La nascita di una rete di città aderenti al modello C’entro in Bici ha permesso anche un
certo grado di integrazione di servizio: le chiavi personali fornite agli utenti sono infatti
funzionanti nelle stazioni C’entro in Bici di qualsiasi città fornitrice del servizio.

Il sistema C’entro in Bici è un sistema particolarmente utile per le città medio-piccole,


dove gli spostamenti sono maggiormente sistematici e dove è presente il fenomeno del
pendolarismo. Studenti e lavoratori che arrivano in città in treno, in autobus o in
macchina, possono prendere la loro bicicletta negli stalli posizionati nei piazzali di
parcheggi e stazioni ferroviarie o di interscambio, recarsi alla loro destinazione per poi
restituire, prima di ritornare a casa ed in genere solo al termine della giornata, la
bicicletta usata.

Con questo sistema, inoltre, chi usa la bicicletta ha l’assoluta certezza di poter ritrovare
lo stallo libero nella stazione di destinazione. Tanto nel sistema Bycyklen quanto in
quello Vélo’v – Vélib’, tale garanzia non era fornita, e poteva capitare al ciclista di
trovare tutti gli stalli della sua stazione di destinazione occupati da altre biciclette40.

Le biciclette del sistema C’entro in Bici sono costruite appositamente per l’uso in
condivisione. Come dichiarato nel sito ufficiale41, infatti, le biciclette C’entro in Bici
hanno le seguenti caratteristiche:

• telaio personalizzato e riconoscibile;

40
A tale problema si è risposto con tre tipi di soluzioni. La prima vede l’aumento delle stazioni di bike
sharing e, di conseguenza, degli stalli di deposito; la seconda soluzione, è data dalla movimentazione del
parco bici (come si è visto, dalla sperimentazione di Vélo à la Carte a Rennes in avanti, tutte i sistemi di
bike sharing di terza generazione di una certa taglia prevedevano piani di movimentazioni di biciclette);
la terza soluzione, infine, è data dalla fornitura di un bonus supplementare di uso gratuito della bicicletta
nel caso in cui la stazione è completa.
41
http://www.centroinbici.it/bicicletta.htm (indirizzo controllato il 19 gennaio 2010 alle ore 15.46).

71
• incisione del logo C’entro in Bici sul telaio e sulla sella, per assicurarne la
riconoscibilità;
• pneumatici pieni antiforatura;
• mozzo rinforzato e fissato con dadi antieffrazione;
• canotto della sella regolabile ma non asportabile;
• forcella anteriore ammortizzata;
• cestino anteriore.

Figura 2.2.: bicicletta del sistema C’entro in Bici a Vercelli

Il sistema C’entro in Bici ha avuto, nel corso degli anni un discreto sviluppo,
diffondendosi, con un numero di biciclette variabile da una decina di pezzi a qualche
centinaio, in almeno 80 città italiane.

Un altro svantaggio di questo sistema (e di tutti i sistemi di bike sharing di seconda


generazione) è rappresentato dall’impossibilità di conoscere l’effettivo utilizzo dei

72
mezzi in circolazione. Per ovviare a ciò il sistema C’entro in Bici si è evoluto,
prevedendo la possibilità di installare un contatore elettronico su ogni stallo così da
poter tenere nota del numero dei prelievi e della loro durata effettiva42.

2.2.3. Bicincittà

Il secondo grande operatore italiano nel settore dei servizi per il bike sharing è la ditta
Comunicare S.r.l., con sede in Piemonte, a Rivalta di Torino.

Comunicare S.r.l. è una ditta che, da prima di conoscere il mercato del bike sharing, si
occupa di pubblicità e di cartellonistica riguardante mostre ed eventi cittadini (con
totem ed altre installazioni). Oltre a questo, Comunicare fornisce anche ad alcune città
altri pezzi di arredo urbano outdoor, in particolare paline dei bus e cicloposteggi.

È stato proprio a partire dalle competenze e dai contatti professionali che la ditta già
aveva che è nato il sistema di bike sharing poi denominato “Bicincittà”.

La prima sperimentazione è stata lanciata nell’estate del 2004 nella città di Cuneo. Da
allora, il sistema Bicincittà si è diffuso in una quarantina di città italiane ed anche,
recentemente, all’estero (Pamplona e San Sabastian in Spagna e in alcune città
svizzere).

Secondo i dati forniti dal sito ufficiale di Bicincittà43, ci sono oggi 31097 utenti iscritti al
servizio (sommando tutte le iscrizioni delle singole città) e 4561 colonnine di prelievo
installate.

42
Questa evoluzione non è tuttavia molto diffusa e la maggior parte dei sistemi C’entro in Bici non la
prevedono.
43
www.bicincittà.eu (controllato il 20 gennaio 2010 alle ore 16.17).

73
Il servizio di bike sharing Bicincittà è un sistema di terza generazione al quale si può
accedere attraverso una tessera che viene fornita dopo una registrazione ed il
pagamento di una quota, talvolta sotto forma di cauzione (in genere, nelle città più
piccole) e talvolta sotto forma di abbonamento annuale al servizio.

Le ciclostazioni dei sistemi Bicincittà (Figura 2.3) sono caratterizzate da un numero


variabile di colonnine di aggancio-sgancio delle biciclette e dalla presenza di una stele
informativa, che fornisce le informazioni riguardanti le regole d’uso del bike sharing, la
dislocazione delle stazioni, i punti di iscrizione al servizio ed i numeri telefonici da
chiamare in caso di necessità.

Fig. 2.3.: Ciclostazione standard del sistema Bicincittà

Le stazioni di Bicincittà sono abbastanza rapide da posare e necessitano solamente di


piccoli lavori di scavo e di ripavimentazione oltre che dell’attacco alla rete elettrica.

74
Solo in casi rari, la ciclostazione è coperta (come a Cuneo) e la stele informativa si
trasforma in un pannello orizzontale sottostante alla copertura in vetro (vedi figura 2.4).

Fig. 2.4.: Ciclostazione Bicincittà di Cuneo (zona “Ascensore”)


con copertura in vetro e acciaio e senza totem informativo

A Parma, seconda città ad aderire al programma Bicincittà, sono stati anche installati
dei pannelli fotovoltaici sulla copertura della ciclostazione.

Il meccanismo di blocco e sblocco delle biciclette, assicurato da un’elettroserratura, è


attivabile tramite l’avvicinamento della tessera magnetica fornita al momento
dell’iscrizione al servizio ed è reso possibile dalla presenza di una staffa metallica
orizzontale che parte da sopra alla forcella e che si inserisce all’interno della colonnina.

75
Fig. 2.5.: Meccanismo di prestito e restituzione del sistema Bicincittà
(Fonte: Rielaborata dal manuale d’utilizzazione di “Suisseroule! Bike sharing”)

Escludendo il colore, personalizzabile da ogni Comune, ill modello di bicicletta fornito


può avere solo delle lievi differenze tra le differenti città e si richiama sempre al
modello presentato qui di seguito in figura 2.6.

Fig.2.6.: Il modello di bicicletta usato da Bicincittà

76
Le caratteristiche tecniche più importanti, oltre alla staffa per il blocco della bicicletta,
sono le seguenti:

• logo di Bicincittà e logo del comune di appartenenza;


• telaio da donna, in acciaio;
• sella regolabile in altezza ma non asportabile (blocco antifurto);
• copertoni di tipo trekking rinforzati in kevlar (a camera d’aria);
• numero identificativo per ciascuna bicicletta;
• parafanghi anteriore e posteriore;
• freni V-Brake;
• cestino porta oggetti anteriore e portapacchi posteriore;
• impianto luci anteriore e posteriore funzionante tramite dinamo (applicata sulla
ruota posteriore);
• cambio posteriore a sette velocità.

Oltre alla posa delle stazioni ed alla fornitura delle biciclette, Bicincittà si può occupare
anche di organizzare una campagna di comunicazione del servizio attraverso manifesti,
pieghevoli informativi, totem temporanei e gadget promozionali.

Il sistema elettronico permette alle amministrazioni comunali di telediagnosticare la


situazione su tutte le stazioni, attraverso un pannello simile a quello mostrato in figura
2.7.

Da qualsiasi computer connesso all’internet, tramite il portale di Bicincittà, gli


amministratori possono anche verificare il funzionamento di ogni colonnina e bloccarla
o sbloccarla direttamente da remoto.

77
Fig. 2.7.: Pannello elettronico di telediagnosi

Lo stesso pannello fornisce anche le statistiche di utilizzo del sistema globale e di ogni
singola ciclostazione.

Ogni utente inoltre è abilitato, tramite nome utente e password personale, all'accesso al
portale di Bicincittà per visualizzare la disponibilità di biciclette in tempo reale, tutti gli
spostamenti da lui effettuati ed il suo credito residuo.

Si è detto che il costo per la tessera di accesso al servizio è variabile a seconda della
città e la stessa cosa è valida per quanto riguarda i costi di utilizzo, che sono decisi da
ogni singola amministrazione. È tuttavia possibile dividere i costi di utilizzo in due
grandi categorie: (1) le città che partono con la tariffazione del servizio dopo la prima
mezz’ora di utilizzo e (2) le città che lasciano un tempo di utilizzo gratuito molto
maggiore.

78
Nella prima categoria, ci sono soprattutto le città più grandi, o con un maggior numero
di ciclostazioni. La prima mezz’ora di uso gratuito è infatti lo standard per quanto
riguarda il modello di bike sharing di terza generazione Vélo’v – Vélib’. Alla base di
tutto questo c’è il ragionamento secondo il quale la bicicletta dovrebbe essere prelevata
solo per il tempo necessario allo spostamento desiderato44 e poi restituita per
permettere a qualche altro utente il suo utilizzo.

Le città della seconda categoria sono la maggioranza: si concede agli utenti un tempo di
uso gratuito, in misura variabile secondo le diverse città ma generalmente superiore alle
otto ore, quando la diffusione delle stazioni non è capillare e si intende comunque
permettere anche agli utenti che, ad esempio, vanno al lavoro o a scuola lontano da
qualsiasi stazione di bike sharing, di prendere la bicicletta.

2.2.4. BikeMi

Nel panorama nazionale il caso della città di Milano e del suo servizio di bike sharing
denominato “BikeMi” rappresenta un caso unico. Ciò che rende il servizio di Milano
differente da qualsiasi altro è la fornitura del servizio, affidata alla società americana
Clear Channel la quale, da contratto, lo gestisce insieme alla locale ATM.

La nascita di BikeMi è stata travagliata: al primo bando lanciato dalla città per la
realizzazione di un sistema di bike sharing sulla base del modello Vélo’v – Vélib’ e
finanziato (sia per la sua realizzazione che per la gestione) dalla vendita di spazi
pubblicitari, non è stata presentata alcuna offerta.

Il comune di Milano, tramite la figura del suo assessore alla Mobilità Edoardo Croci
che già aveva lavorato per introdurre nel centro di Milano le limitazioni all’accesso del
traffico veicolare privato tramite l’Ecopass, ha continuato ad insistere per poter fornire

44
In genere, infatti, la durata degli spostamenti urbani effettuati in bicicletta non supera i trenta minuti.

79
ai propri cittadini un servizio del tutto simile a quello ormai presente in molte città
europee.

Venne allora intavolata una trattativa privata tra ATM (incaricata dal Comune per la
gestione e del servizio) e le tre maggiori società fornitrici di sistemi di bike sharing:
Clear Channel, JCDecaux e la società spagnola Cemusa45. In seguito alle trattative,
Clear Channel è risultata incaricata del servizio, e tale incarico fu confermato anche
dopo la sentenza del TAR conseguente al ricorso presentato da Cemusa.

Il nuovo accordo tra Comune, ATM e Clear Channel impegnava il Comune a versare
5 milioni di euro per l’allestimento del servizio (103 ciclostazioni e 1200 biciclette)
fornito da Clear Channel, ed assicurato, per quanto riguarda il funzionamento, da
ATM. La società americana si impegnava in cambio di concessioni pubblicitarie a
contribuire alla gestione del sistema insieme ad ATM.

BikeMi fu inaugurato il 3 dicembre del 2008 con 23 ciclostazioni, che sono state poi
incrementate nei mesi fino ad arrivare alle attuali 103 ciclostazioni.

La logica seguita per l’identificazione dei punti sui quali collocare le stazioni del
servizio BikeMi ha privilegiato la densità rispetto all’accessibilità. Si è scelto infatti di
limitare il servizio all’area interna alla Cerchia dei Bastioni46, per permettere a BikeMi
di avere un maggiore impatto sull’ambiente urbano. La distanza tra una stazione e
quella ad essa più vicina è quasi sempre inferiore ai 300 metri47, come mostrato nella
figura 2.7.

45
Alesia Gallione, “Bike sharing al via il 24 novembre”, pubblicato il 4 novembre 2008 sulle pagine di
Milano del quotidiano La Repubblica.
46
Fatta eccezione per la propaggine che crea il collegamento con la stazione ferroviaria di Milano
Centrale.
47
La distanza di 300 metri tra una stazione ed un’altra è quella generalmente ritenuta ottimale.

80
Figura 2.7.: Le 103 stazioni del servizio BikeMi
e la loro area di servizio ottimale (300 metri)

L’area coperta dal servizio di bike sharing coincide approssimativamente con l’area
Ecopass, definita come soggetta al pagamento, dall’inizio del 2008, di una tariffa per
l’accesso con un’autovettura privata di categoria inferiore a EURO V. Il bike sharing è
dunque un provvedimento che va valutato insieme ad altri provvedimenti cittadini per
la mobilità urbana con i quali si integra e va integrato.

Il servizio è basato su un modello di bicicletta disegnato appositamente per la città di


Milano e studiato per l’uso condiviso e lo stazionamento all’aperto. Le biciclette, di
colore giallo come i vecchi taxi cittadini, sono fornite di cambio a tre velocità

81
completamente interno al mozzo (e dunque più difficilmente vandalizzabile), di un
manubrio ampio, ergonomico e con protezione in plastica carenata, di un cavalletto
centrale per la sosta, di ruote in alluminio con profilo alto, di luci automatiche anteriori
e posteriori funzionanti tramite una dinamo interna al mozzo e con una decina di
secondi di autonomia anche con la bicicletta non in movimento, dei freni anteriori e
posteriori interni al mozzo, oltre che della possibilità di regolare in altezza la sella.

Il servizio di regolazione delle stazioni e di movimentazione delle biciclette dichiara di


rifornire ciascuna stazione con una frequenza di 10/15 minuti48; se tuttavia non fosse
possibile trovare una bicicletta o restituire quella prelevata in un’altra stazione, è
possibile, dalla colonnina, ricevere informazioni riguardo alla disponibilità nelle
stazioni più vicine.

Per accedere al servizio del BikeMi è necessario registrarsi al servizio ed effettuare un


abbonamento, che ha un costo di 36 euro l’anno. È inoltre possibile abbonarsi per un
periodo minore: una settimana di abbonamento costa 6 euro e l’abbonamento
giornaliero 2,50 €.

Il servizio è gratuito per i primi 30 minuti di utilizzo della bicicletta, dopo i quali scatta
l’addebito di 0,50 € per ogni mezz’ora, fino al tempo limite per il prestito stabilito in
due ore.

La registrazione al servizio può essere fatta tramite il sito internet oppure in uno dei sei
ATM Point49 in seguito al rilascio di un deposito cauzionale di 150 euro, così come
viene fatto nel modello Vélo’v’ – Vélib’.

48
Secondo quanto scritto nel sito ufficiale BikeMi: http://ow.ly/12TpC (controllato il 2 febbraio 2010 alle
ore 10.44)
49
Per l’abbonamento annuale è necessario inoltre aspettare un tempo di quindici giorni per ricevere la
tessera necessaria ad accedere al servizio; per gli abbonamenti di breve durata, si riceve invece un codice
via email (o via cellulare) con il quale è possibile, dalla ciclostazione, sbloccare una bicicletta.

82
Le sole significative differenze riscontrabili nel confronto con l’idealtipo Vélov’ – Vélib’
sono relative, oltre che alla già citata non copertura dell’intera area comunale,
all’impossibilità di sottoscrivere un abbonamento di breve durata direttamente da una
ciclostazione50 e dalle limitazioni serali dell’orario di servizio. Il servizio BikeMi è
disponibile ogni giorno dalle ore 7 alle ore 23, fatta salva, dopo tale orario, la possibilità
di restituire una bicicletta già prelevata. Durante la stagione estiva è stato istituito un
prolungamento dell’orario di servizio fino alle ore 2.

Le limitazioni di orario, in una città a vocazione metropolitana quale intende essere


Milano, sono fortemente limitanti se si considera che, a Parigi, il 25% dei prelievi delle
Vélib’ avviene tra le 21 e le 3 di notte (NYC Dept. City Planning Transportation
Division, 2009, pag. 29). Un servizio come quello del bike sharing, che si propone di
essere complementare al trasporto pubblico perde parte della sua potenzialità se
rimane inutilizzabile di notte, quando il trasporto pubblico non è attivo. Certamente va
considerato il fatto che città come Lione e Parigi hanno un numero di stazioni di molto
maggiore rispetto a quelle della città meneghina, ed il costo necessario al
mantenimento del servizio notturno (call center ed assistenza) può essere ripagato
facendo affidamento ai vantaggi delle economie di scala.

La sostituzione, nel novembre del 2009, dell’assessore Edoardo Croci che si era
occupato di BikeMi e di Ecopass, insieme alle notizie di un presunto debito di ATM in
ritardo con i pagamenti verso la fornitrice Clear Channel51 la quale minaccia di
abbandonare la fornitura del servizio perché ha ricevuto solo parte degli spazi
pubblicitari pattuiti ha contribuito a ridimensionare il sistema che, nelle intenzioni

50
Possibilità che è invece assicurata tanto nella città di Lione quanto in quella di Parigi attraverso
l’installazione, su ciascuna colonnina, di lettori per carte di credito. Questa limitazione può essere
superata se si considera che è comunque possibile sottoscrivere un abbonamento di breve durata tramite
connessione wap da telefonino oppure chiamando ad un numero verde.
51
Armando Stella, “Bike sharing, «buco» da un milione”, Il Corriere della Sera del 24 novembre 2009
(disponibile online all’indirizzo http://ow.ly/12TE4 e controllato il 2 febbraio 2010 alle ore 11.05)

83
originarie della città di Milano, dovrebbe vedere in futuro un’espansione oltre la
cerchia dei Bastioni.

Molte delle critiche mosse al BikeMi, infatti, insistono sulla difficile ciclabilità nella città
di Milano la quale, pur presentando pochissimi dislivelli a scoraggiare i ciclisti, ha una
rete di piste ciclabili poco sviluppata. È tuttavia necessario considerare come tutte le
città prese ora a modello per il loro sistema di bike sharing di terza generazione hanno
visto nascere il servizio in una situazione non troppo dissimile: Parigi, Lione e
Barcellona erano, attorno all’anno 2000, città pericolose e difficili da percorrere in
bicicletta quanto lo è ora Milano. È stato grazie all’implementazione del bike sharing,
inserito in un piano generale più ampio per la promozione ciclabilità e al conseguente
aumento del numero dei ciclisti che queste città hanno cambiato volto. Milano ha fino
ad ora limitato il bike sharing alla Cerchia dei Bastioni laddove, grazie anche
all’Ecopass, la ciclabilità era già possibile. Per vedere nel capoluogo lombardo dei
risultati simili a quelli visti nelle città modello sarà necessario espandere il servizio su
tutto il territorio senza ‘diluire’ l’impatto sull’ambiente urbano assicurato dalle prime
103 velostazioni.

84
3. IL BIKE SHARING IN PIEMONTE

"Tutto nel mondo sta dando risposte,


quel che tarda è il tempo delle domande"

José Saramago,
Memoriale del convento

85
3.1. PANORAMICA DELLA SITUAZIONE ATTUALE

Dopo aver descritto il funzionamento dei vari sistemi di bike sharing, le differenti
soluzioni adottate nella fornitura del servizio ed i modelli di riferimento, ci si può ora
proiettare verso la descrizione delle politiche pubbliche adottate nel territorio regionale
piemontese.

Come si è già detto, la diffusione dei servizi di biciclette pubbliche è sempre stato un
fenomeno proposto e gestito dalle Amministrazioni Comunali, con la naturale
conseguenza di un’atomizzazione del panorama a livello sovralocale. Alla mancanza di
coordinamento tra le varie iniziative si sta ora, lentamente, cercando di rimediare con
raggruppamenti spontanei di territori, a livello provinciale ed a livello regionale. In
particolare, a livello regionale, si è voluto legare il tradizionale compito di
finanziamento di promozione delle buone pratiche ambientali e di mobilità alla
partecipazione all’integrazione dei servizi attraverso il “Biglietto Integrato Piemonte”
(BIP).

Il sistema Bicincittà è nato in Piemonte, nella città di Cuneo, nel corso dell’estate
dell’anno 2004. La società titolare del sistema ha sede a Rivalta di Torino, ed è ben
radicata in tutto il territorio regionale al punto che in Piemonte ha la sua massima
diffusione. Parallelamente a Cuneo, nel 2004, altre città piemontesi hanno deciso di
fornirsi di un sistema di bike sharing, scegliendo il sistema meccanico di bike sharing
C’entro in Bici.

All’inizio dell’anno 2010 in Piemonte sono 26 i comuni che hanno nel loro territorio
delle iniziative riconducibili a sistemi di bike sharing di seconda o terza generazione. Si
tratta principalmente di città di dimensioni medio-grandi: tra le prime 30 città
piemontesi per numero di abitanti, 21 hanno un sistema di bike sharing di seconda o
terza generazione.

Come mostrato dalla figura 3.1., vi è una netta prevalenza del sistema Bicincittà
(rappresentato da un pallino), mentre il sistema C’entro in Bici si limita alle città di

86
Vercelli, Alessandria, Casale Monferrato e a Torino52. Alcuni comuni, inoltre, hanno
creato un sistema di bike sharing unitario: è il caso di alcuni comuni facenti parte del
“Patto Territoriale della Zona Ovest” e di una piccola unione nata attorno alla zona
novarese, denominata “Novara ruote per l’aria” e comprendente, oltre alla città
Capoluogo, anche Cameri e Borgomanero; entrambe le unioni di sistemi sono basate
su Bicincittà.

L’aggregazione novarese è stata promossa da Provincia e Comune di Novara e


cofinanziata dal Ministero dell’Ambiente. Alle due postazioni installate nell’inverno del
2006, si sono aggiunte, ad agosto 2007, altre 5 ciclostazioni. Infine, nel maggio 2008, il
sistema, prima limitato al centro di Novara, si è esteso (grazie ad un cofinanziamento
della Regione Piemonte per il progetto denominato “Quartierinbici”) internamente al
comune di Novara nelle frazioni di Vignale, San Rocco e Cittadella ed all’esterno nelle
città di Borgomanero e Cameri (con una stazione ciascuno). La Provincia di Novara ha
giocato un ruolo chiave contro la frammentazione dei sistemi, che si vedrà essere uno
dei maggiori problemi in questa panoramica sul bike sharing in Piemonte. Con la
tessera del sistema “Novara ruote per l’aria” è infatti possibile accedere alle biciclette di
Novara, delle sue frazioni, di Cameri e di Borgomanero.

Nel processo di aggregazione novarese ha avuto un ruolo anche la Pro Loco, che si
occupa dall’estate del 2008 della distribuzione delle tessere e dei servizi di
informazione e manutenzione.

Il secondo caso di aggregazione di sistemi è quello nato tra alcuni dei maggiori comuni
promotori del Patto Territoriale della Zona Ovest di Torino tramite la “Società di
Gestione del Patto Territoriale della Zona Ovest di Torino”, costituitasi nel maggio
dell’anno 2001 con capitale prevalentemente pubblico e a cui gli 11 comuni del Patto
aderiscono e delegano alcune funzioni - per esercitarle in maniera congiunta - relative

52
Si vedrà in seguito la paritcolarità del caso torinese che, per il momento, vede un sistema di bike
sharing di seconda generazione solo su di una parte del suo territorio (Circoscrizione 2).

87
alla promozione ed allo sviluppo sociale, economico, occupazionale ed infrastrutturale
dell'area.

L’attitudine alla cooperazione intercomunale, già sviluppata durante la stesura dei Patti
Territoriali ha portato alla nascita di “Bicincomune”, un’iniziativa congiunta per il bike
sharing sorta all’interno di un progetto più grande di mobility management denominato
“Sostenibilità per gli Spostamenti: Mobility management e Bike sharing in Ovest”
(So.S.–M.BI.O.). Attraverso i finanziamenti del Ministero dell’Ambiente e dei singoli
comuni partecipanti (Collegno, Grugliasco, Rivoli, Venaria Reale, Alpignano e
Druento) è nata, il 20 settembre del 2008, la rete Bicincomune, che conta oggi 19
ciclostazioni e 184 cicloposteggi. Con la stipula dello stesso contratto tra cittadino ed
Amministrazione in tutti i comuni aderenti alla rete, è possibile prelevare la bicicletta in
uno qualsiasi dei comuni aderenti, per poterla depositare, al termine dell’uso, in una
stazione qualsiasi, anche non dello stesso comune di partenza. Le biciclette, in ogni
città dipinte con un colore diverso, hanno così iniziato a mescolarsi, specie tra i comuni
più vicini (Collegno, Grugliasco e Rivoli). È inoltre attivo un portale web
specificatamente disegnato per Bicincomune a cui è affidata la comunicazione sul
servizio e dove si possono visualizzare le stazioni più vicine, la disponibilità di biciclette
e il proprio ‘conto utente’.

88
Fig. 3.1.: Panoramica dei servizi di bike sharing in Piemonte

89
Ad esclusione delle eccezioni fin qui presentate, i sistemi di bike sharing hanno
ciascuno delle regole e dei prezzi di abbonamento e di servizio diversi, fissati
dall’Amministrazione comunale.

La tabella 3.1. mostra come nella maggior parte delle città sia sufficiente una piccola
cauzione per poter accedere al servizio anche se ad Asti e nel novarese, il cittadino che
intende accedere al servizio non deve sostenere alcun costo53. I comuni del Patto
Territoriale della Zona Ovest, in linea con il sistema di tariffazione diffuso nel modello
Vélo’v – Vélib’, non prevedono una cauzione ma un costo di abbonamento al sistema
Bicincomune pari a 13,50 € l’anno. Infine, il comune di Chivasso prevede due
tipologie differenti di abbonamento: quella per residenti (12 € di cauzione) e quella per
non residenti (tariffa di 30 € annuali).

Oltre al costo per l’accesso al servizio, vanno calcolati anche i costi per il tempo di
utilizzo, ad esclusione dei comuni funzionanti con il sistema C’entro in Bici, che non
avrebbero la possibilità tecnica di fissare un tempo limite di utilizzo e una tariffa oraria
successiva. Per alcune città non esiste alcun limite di ore di uso gratuito della bicicletta;
per altre città questo limite esiste ma è piuttosto elevato (10 ore a Saluzzo, Savigliano e
Bra) e solo per le sei città di Bicincomune e per Nichelino il limite di uso gratuito è di
un’ora solamente, seguito da una tariffazione di un euro per ogni ora successiva.

Il comune di Chivasso, infine, permette l’uso gratuito della bicicletta per non più di
quattro ore, oltre le quali scatta una sanzione.

53
Anche se i costi di accesso sono spesso semplicemente di natura cauzionale, vista la piccola entità delle
cifre, solo in rari casi è successo che un utente restituisse la tessera o la chiavetta per l’accesso al servizio.

90
CITTA’ – ENTE Cauzione Numero ore gratuite Tariffa oraria
PROPONENTE successiva
NOVARA RUOTE PER L’ARIA Gratis Nessun limite
BICINCOMUNE 13,50 €/anno* 1 1,00 €
ALBA 10 € 3 0,30 €
ASTI Gratis Nessun limite
BIELLA 5€ Nessun limite
BRA 10 € 10 0,50 €
CHIVASSO 12 €** 4 non possibile
CUNEO 20 € Nessun limite
FOSSANO 10 € 6 0,50 €
NICHELINO 5€ 1 1,00 €
NOVI LIGURE 30 € 1 0,50 €
PINEROLO 10 € Nessun limite
SALUZZO 12 € 10 0,50 €
SAVIGLIANO 10 € 10 0,50 €
SETTIMO TORINESE 10 € Nessun limite
SISTEMA C’ENTRO IN BICI 5€ Nessun limite
*3 € abbonamento settimanale
**30 € annuali per i non residenti
Tabella 3.1.: Condizioni di accesso e costi per l’utenza
dei sistemi di bike sharing in Piemonte

Nome Colonnine Stazioni Nome Colonnine Stazioni


SAVIGLIANO 90 12 NICHELINO 45 5
NOVI LIGURE 66 7 NOVARA 91 11
SALUZZO 36 4 DRUENTO 7 1
VENARIA REALE 68 8 GRUGLIASCO 31 3
FOSSANO 46 5 CAMERI 6 1
COLLEGNO 39 3 CASALE MONF. 20 5
CHIVASSO 42 8 ASTI 40 4
BRA 44 5 VERCELLI 24 6
PINEROLO 50 5 BORGOMANERO 8 1
CUNEO 70 8 RIVOLI 19 2
ALBA 40 4 ALESSANDRIA 28 4
ALPIGNANO 20 2 BIELLA 11 1
SETTIMO TO.SE 53 6 TORINO (circ. 2) 60 7
Tabella 3.2.: numero di ciclostazioni e di colonnine
per il bike sharing installate nelle diverse città piemontesi

91
I sistemi di bike sharing piemontesi si distinguono, oltre che per tipologia e
regolamenti, anche per le dimensioni. Alcuni servizi di bike sharing hanno delle
dimensioni davvero piccole, specie se rapportate al loro numero di abitanti. In
Piemonte, le città dove il bike sharing è maggiormente diffuso sono Savigliano (12
stazioni e 90 colonnine) e Novara (11 stazioni e 91 colonnine). Le due città presentano
tuttavia una situazione ben diversa poiché va considerato che Savigliano conta solo
19.893 abitanti contro gli oltre 100.000 residenti nel comune di Novara. Per avere
un’idea di quanto il fenomeno del bike sharing pesi nelle varie città è necessario
dividere il numero della popolazione residente per le colonnine installate54 sul
territorio.

In tal modo è possibile notare come la portata del bike sharing in Piemonte sia ancora
ben lontana dai modelli di benchmark: Savigliano, il comune più virtuoso in Piemonte
ed in Italia da questo punto di vista, conta una colonnina ogni 221 abitanti. Parigi e
Lione, città di riferimento per il modello Vélo’v – Vélib’, riescono a fare di meglio con
una colonnina rispettivamente ogni 165 e 105 residenti.

54
Meglio sarebbe poter dividere il numero dei residenti per il numero delle biciclette pubbliche in
funzione, ma i dati sulle biciclette pubbliche sono più difficili da verificare, poiché il loro numero è
soggetto a variazioni. Si consideri tuttavia che il rapporto tra biciclette pubbliche e colonnine è di 1:1 per
i sistemi C’entro in Bici (ogni bicicletta viene riconsegnata sempre nella stessa colonnina, per cui, ad
eccezione di furti, vandalismi e manutenzione ad ogni colonnina corrisponde una bicicletta) è di circa
1:2 per i sistemi Bicincittà (è necessario un numero di colonnine maggiore per permettere lo scambio di
stazioni)

92
Numero di residenti per ciscuna colonnina di bike sharing
Marzo 2010
4.500
4.000
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0

CAMERI
CHIVASSO

BORGOMANERO
ALPIGNANO

GRUGLIASCO

VERCELLI
SAVIGLIANO

SALUZZO
VENARIA REALE
FOSSANO

ALBA

NOVARA

TORINO (circ. 2)
ASTI

RIVOLI
PINEROLO
CUNEO
BRA

ALESSANDRIA
NICHELINO

CASALE MONF.

BIELLA
SETTIMO TO.SE

DRUENTO
NOVI LIGURE

Parigi*
Lione**
COLLEGNO

* Abitanti della Petite Couronne: Parigi, Hauts


Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis e Val-de-Marne
** Somma degli abitanti di Lione, Villeurbanne, Caluire
Caluire-et-Cuire, Vaulx-en-Velin.

Figura 3.2.: Numero di residenti per colonnina

I dati degli
gli altri comuni, in cui il bike sharing è certamente meno presente, vanno
inoltre interpretati caso per caso: talvolta il numero delle colonnine installate non è
indicativo poiché le biciclette effettivamente in servizio sono molto poche. È il caso, ad
esempio,
empio, di Settimo Torinese, città in cui a causa dei molti vandalismi e furti subiti,
subiti il
parco
o biciclette si è negli anni fo
fortemente
rtemente ridotto, senza essere mai stato
significativamente ripopolato.

In tutte le esperienze piemontesi, il servizio è fornito tut


tuttiti i giorni con delle limitazioni
di orarie:: generalmente tra le 7 e le 22. Solo in alcuni casi la chiusura del servizio è
fissata per le ore 24: Nichelino, Saluzzo e tutti i comuni di Bicincomune.

Inoltre, per alcuni comuni, le biciclette sono disponibili solo nella stagione calda: è il
caso di Pinerolo ed Alba, che ritirano le biciclette durante l’inverno per difenderle dal
clima freddo e dagli agenti atmosferici e per preservarne la funzionalità.

93
I comuni facenti parte del sistema C’entro in Bici, infine, hanno a disposizione un
numero limitato di chiavette da distribuire per l’accesso al servizio ed in molti casi le
hanno già distribuite e non possono provvedere a nuove registrazioni al servizio fino a
quando gli attuali possessori non decideranno di restituire la propria chiavetta.

3.1.1. Finanziamenti per i sistemi di bike sharing

I sistemi di bike sharing nascono tutti in seno alle municipalità, ma possono vantare
molteplici fonti di finanziamento.

In primo luogo, il Ministero dell’Ambiente ha a più riprese istituito alcuni bandi di


concorso aperti ai comuni per finanziare iniziative legate alla sostenibilità ambientale.
In particolare, il “Programma di finanziamenti per il miglioramento della qualità
dell’aria nelle aree urbane e per il potenziamento del trasporto pubblico”
(GAB/DEC/131/07) prevedeva lo stanziamento di 270 milioni di euro tra l’anno 2007
ed il 2009 per delle azioni di diverso tipo, tra cui mobility management, trasporto
pubblico locale, parcheggi d’interscambio, promozione della diffusione di veicoli a
basso consumo energetico. Inoltre, il programma prevedeva la “promozione della
mobilità ciclistica attraverso la creazione di reti urbane dedicate, dell'intermodalità tra
bici ed il treno e i mezzi di trasporto pubblico anche attraverso la realizzazione d’intese
con le Ferrovie dello Stato S.p.A. e le aziende di trasporto pubblico, e predisposizione
di strutture mobili e di infrastrutture atte a favorire tale intermodalità” e la
“realizzazione di interventi specifici per aumentare la sicurezza degli utenti deboli della
strada” (Art. 2).

Pur essendo particolarmente rivolto alle città di grandi dimensioni, grazie al


programma sono state finanziate, in tutta Italia, diverse decine di interventi, tra cui il
servizio di bike sharing denominato “Bicincomune” e quello della città di Torino che

94
prenderà il via a partire dall’estate del 2010 e che sarà di seguito oggetto di un’analisi
specifica.

Il grosso dei finanziamenti in Piemonte è tuttavia giunto da un bando di


cofinanziamento regionale, specificatamente dedicato ai sistemi di bike sharing, che
venne approvato l’8 ottobre del 2007 (D.G.R. n.35 – 7052). La delibera afferma che
“la promozione e la diffusione dei sistemi di bike sharing sul territorio piemontese
rientrano all’interno della strategia regionale per il miglioramento dell’aria e per la
riduzione delle emissioni inquinanti e della congestione autoveicolaredei centri abitati e
costituiscono uno strumento già ampiamente sperimentato con risultati positivi in
diversi paesi europei”.

È dunque con la duplice finalità di riduzione delle emissioni e di lotta alla congestione
stradale che viene deciso di dedicare la somma di 2.600.615,72 euro da destinare al
bike sharing.

Il bando di cofinanziamento ammette a finanziamento tutto quanto è necessario per la


messa in funzione di un servizio di bike sharing di terza generazione: biciclette,
colonnine elettroniche e sistemi di hardware e software per il monitoraggio e la
gestione in remoto delle bici.

Le limitazioni al finanziamento sono ben specificate in sede di bando:

• Non sono finanziabili i costi di gestione del servizio;


• L’importo massimo finanziabile non potrà eccedere il 50% del costo totale del
progetto, e la soglia di 750 € per bicicletta (considerando il costo totale del
progetto rapportato al numero di biciclette acquistate);
• Il progetto finanziato dovrà essere completamente compatibile con il sistema a
tariffazione unica regionale BIP (Biglietto Integrato Piemonte).

Una parentesi va necessariamente aperta per quanto riguarda il BIP, poiché la


tariffazione integrata uno dei punti su cui più insiste il bando.

Il Biglietto Integrato Piemonte è uno strumento studiato dalla Regione Piemonte,


attraverso la sua società partecipata 5T s.r.l., per permettere di integrare in una sola

95
smart-card di tipo contactless la bigliettazione per una pluralità di mezzi di trasporto
pubblico locale di qualsiasi gestore operante all’interno del territorio regionale.
All’interno della smart-card potranno non solo essere integrati diversi tipi di
abbonamento ai mezzi pubblici, ai servizi di bike sharing e di car sharing ma anche, in
futuro, l’eventuale Carta Piemonte Musei ed un credito per il pagamento della sosta nei
parcheggi a pagamento.

La tecnologia BIP dovrebbe cominciare a diffondersi nel 2011 con delle


sperimentazioni nella provincia di Cuneo, per poi estendersi alle altre province e
completarsi con l’integrazione del trasporto ferroviario.

Per quanto riguarda il bike sharing, è prevista una sperimentazione immediata e le


tessere BIP dovrebbero venire consegnate già dalla primavera del 2010. Nonostante le
intenzioni e la oramai matura fattibilità tecnica, non sono ancora state definite le
condizioni che dovrebbero permettere l’integrazione tariffaria, e permangono alcuni
dubbi sulla possibilità che si riesca a far funzionare l’integrazione nei tempi previsti.

La panoramica sui sistemi di bike sharing in Piemonte (così come anche in tutto il resto
d’Italia) ci mostra una forte frammentazione delle esperienze attuate dai singoli comuni
o dalle loro aggregazioni attraverso modalità di gestione e regole differenti. Il Biglietto
Integrato Piemonte avrà, per quanto riguarda il bike sharing, il compito di mettere
ordine e di istituire delle regole di interoperabilità che potranno dare maggior valore
alle singole esperienze e creare un’integrazione anche con gli altri mezzi di trasporto
pubblico.

Quando il BIP funzionerà a pieno regime potrà favorire non solo l’integrazione
orizzontale tra sistemi di bike sharing diversi (usare con la stessa tessera le biciclette di
due città differenti), ma anche la possibilità di integrazione verticale del servizio di bike
sharing con gli altri mezzi di trasporto. La bigliettazione integrata consentirà a un
numero maggiore di utenti di accedere al servizio poiché essi non saranno più costretti
a recarsi in un ufficio comunale o nella sede della ATL cittadina per potersi registrare
al servizio, ma avranno già, nella loro smart-card, tutto quello che occorre per accedere

96
al servizio in qualsiasi città piemontese e basterà acquistare qualche euro di credito
trasporti per avere accesso al bike sharing.

Il bando di cofinanziamento regionale per i sistemi di bike sharing in ambito urbano è


dunque nato nel 2007 con l’obbligo di compatibilità al sistema BIP e con incentivi per
l’adeguamento tecnologico dei sistemi già in esercizio. In questi casi il cofinanziamento
poteva arrivare al 100% dei costi sino ad un valore massimo di 150 € per ciascuna
postazione da adattare55.

La valutazione massima per ciascun progetto è stata fissata in 100 punti, assegati
secondo criteri delineati dalla Direzione Regionale ai Trasporti che tenevano in
considerazione:

• La potenziale mobilità generata dall’area urbana interessata e la dislocazione


delle ciclostazioni in punti generatori o attrattori di mobilità quali ad esempio i
nodi di interscambio tra il trasporto pubblico e quello privato (massimo 30
punti);
• I comuni capoluogo di Provincia (a cui venivano assegnati 15 punti);
• La sinergia con altre misure per la mobilità sostenibile quali, ad esempio, ZTL,
zone 30, pedonalizzazioni, TPL (per un massimo di 15 punti);
• La presenza di servizi di bike sharing già attivi e altre iniziative realizzate a
favore della mobilità sostenibile. In questo punto si è voluto tener conto della
cultura della mobilità sostenibile, come mezzo per la restituzione ai cittadini di
strade e di spazi pubblici, dei metodi di consultazione e di partecipazione della
collettività al progetto anche in partenariato con soggetti privati (massimo di 15
punti);
• L’appartenenza alla zona di Piano per la tutela e risanamento della qualità
dell’aria di cui al DGR n. 14-7623 dell’11 novembre 2002 come integrata con
DGR n.24-14653 del 31 gennaio 2005 (15 punti);

55
Poi adeguato a 240 € dopo una rivalutazione dei costi di mercato (D.G.R. n. 11 – 8045 del 21/012008).

97
• Comuni sede di Movicentro, punto di incontro e di scambio tra il traffico
ferroviario, degli autobus e del trasporto privato (10 punti).

Il bando si è chiuso con l’assegnazione di 1.470.750 € per la nascita di nuovi sistemi di


bike sharing e di 146.496 € per l’adeguamento al BIP. Molti dei comuni (o delle
associazioni di comuni) che avevano presentato la domanda per il finanziamento di un
sistema di bike sharing si sono poi, per varie ragioni, ritirati ed hanno rinunciato al
cofinanziamento.

I fondi stanziati per il bando non si sono esauriti: la Regione ha finanziato ed approvato
tutti i progetti presentati senza fare alcun tipo di selezione poiché i fondi erano
superiori alle richieste di finanziamento. Tutto ciò si è concretizzato con un
finanziamento a pioggia che non ha favorito i progetti migliori (che comunque non
potevano essere finanziati per più del 50% del loro costo) ed ha permesso a progetti di
basso interesse e di bassa qualità di trovare finanziamento pubblico.

I criteri di valutazione, per quanto validi ed interessanti, hanno di conseguenza perso di


valore e lo stimolo per la stesura di un buon progetto è venuto meno.

3.1.2. Soggetti coinvolti

Un sistema di bike sharing ha bisogno, per ben funzionare, di una manutenzione


continua e di una promozione sul territorio. Non basta quindi il finanziamento e la
messa in funzione del servizio; lo studio comparativo dei casi piemontesi mostra come
la manutenzione sia una delle maggiori criticità.

La Provincia di Torino, che insieme a quella di Cuneo è la più coinvolta dal fenomeno
del bike sharing, è rimasta sino ad ora esente da ogni tipo di ruolo a tal riguardo. In
particolare intenderebbe inserirsi ritagliandosi un ruolo come coordinatrice e
promotrice del bike sharing.

98
Attraverso il mobility manager d’area della Provincia, infatti, vengono già finanziati
alcuni interventi a favore dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto, ed in
particolare:

• La promozione di un servizio di marcatura e registro delle biciclette, come


tentativo di lotta ai furti;
• La stipula di convenzioni con i Mobility Manager d’azienda per l’acquisto di
biciclette dei lavoratori (attraverso buoni del valore massimo di 100 €);
• La promozione di un pacchetto assicurativo a tutela della mobilità ciclabile
(responsabilità civile, furto, infortuni);
• L’attivazione e la promozione di un servizio di soccorso stradale “Bici in
panne” per i ciclisti che dovessero averne l’esigenza.

Quest’ultimo punto dovrebbe, secondo le intenzioni della Provincia, essere svolto in


collaborazione con delle associazioni di ciclisti urbani, e dovrebbe portare alla
costituzione di una sorta di ciclofficina itinerante. La proposta della Provincia è quella
di inserirsi, attraverso il suo servizio di soccorso stradale, nella rete di manutenzione
delle biciclette appartenenti ai sistemi di bike sharing e di unificare il servizio
riguardante la loro manutenzione. Fino ad oggi questo compito è a carico di ciascun
comune56 che lo svolge in diversi modi, principalmente delegando tale responsabilità ad
altri: un negozio di biciclette, una cooperativa sociale o dei collaboratori esterni.

Un altro campo sul quale il Mobility Manager provinciale già agisce è quello della
promozione del servizio. In particolare, una convenzione firmata con la società
Comunicare S.r.l., che è la sola fornitrice del servizio di bike sharing nel territorio
provinciale, stabilisce un accordo di promozione per l’iniziativa “Andiamoci in bici”,
avviata dal Mobility Manager della Provincia di Torino per favorire l’utilizzo della
bicicletta negli spostamenti casa-lavoro dei lavoratori della Provincia. Tale convenzione
prevede che i Mobility Manager aziendali provvedano a raccogliere tra i lavoratori le

56
O delle loro aggregazioni, nel caso della Zona Ovest e della Provincia di Novara.

99
adesioni all’iniziativa, che consentirà di usufruire di una tessera per il servizio di bike
sharing fornita a titolo gratuito dalla ditta Comunicare e valida su tutte le postazioni
della provincia per un periodo di prova limitato a 30 giorni. Al termine di tale periodo
di prova, i lavoratori che intendono sottoscrivere un abbonamento annuale, lo
potranno fare ad un prezzo scontato del 50%.

Una delle condizioni sulla base delle quali si è sostenuta in precedenza la validità del
modello di riferimento Vélo’v – Vélib’ è stata la copertura dell’intero territorio
comunale e la sensazione di presenza fisica del bike sharing diffusa nell’ambiente
urbano. Allo stesso modo si intende affermare ora che uno dei parametri di
valutazione di un buon sistema di bike sharing è legato alla sua capacità di aggregare,
coinvolgere far dialogare una pluralità di attori che agiscono sul territorio.

Solo alcuni dei comuni che si sono lanciati nella fornitura del servizio di bike sharing ai
propri cittadini hanno intavolato collaborazioni con altri enti al di là delle semplici
richieste di finanziamento fatte alla Regione ed al Ministero dell’Ambiente. Tra i
comuni che hanno intrapreso la strada della partecipazione, ci sono tuttavia alcuni casi
interessanti: a Novi Ligure, ad esempio, città che ha dato molto al ciclismo in termini
sportivi, è possibile sottoscrivere l’abbonamento oltre che in Municipio e nell’Ufficio
Turistico Locale, anche nel “Museo dei Campionissimi” (dedicato a Girardengo e
Coppi) e nella sede del consorzio “Il Cuore di Novi” che raccoglie gli operatori di
commercio, turismo e servizi.

Molti attori esterni intervengono per quanto riguarda la manutenzione: a Cuneo viene
affidata alla “Cooperativa Sociale San Paolo”, la cui mission è l’inserimento lavorativo
di cittadini svantaggiati; a Novara, come si è già scritto, la manutenzione è gestita dai
volontari della Pro Loco ed in altre città la manutenzione viene delegata a qualche
ciclista locale.

Infine vanno ricordati due casi particolarmente importanti: quelli di Savigliano e di


Saluzzo, che sono riuscite a coinvolgere nei loro progetti diversi attori con ruoli diversi:
a Saluzzo, ad esempio, il servizio - che ha preso vita solo il 13 ottobre 2009 divenendo,
di fatto, il più giovane servizio di bike sharing piemontese– coinvolge anche la Banca di

100
Credito Cooperativo (in qualità di finanziatrice), il consorzio di commercianti “Shop In
Town” e “GestoPark S.r.l.”, la società a cui è stata affidata la gestione del servizio e che
già si occupava dei parcheggi a pagamento.

Per quanto riguarda Savigliano vedremo invece nella sezione che sarà dedicata allo
studio del suo caso come si sia riusciti a fare partecipare alle varie fasi del progetto in
qualità di finanziatore, anche un’azienda privata quale “Alstom S.p.A.”, oltre al ruolo
giocato dal Centro Commerciale Naturale “Il Molo” e della “Cassa di Risparmio di
Savigliano” della fondazione bancaria ad essa collegata.

3.2. APPLICAZIONI, ANALISI E PROSPETTIVE FUTURE


IN ALCUNE CITTÀ DEL PIEMONTE

Ora che la panoramica sullo stato attuale del bike sharing in Piemonte è completa, si
procederà con l’analisi dettagliata di alcuni casi, soffermandosi anche sui progetti che
non sono ancora, al momento, operativi.

La nascita di sistemi di biciclette pubbliche condivise, come si è detto nel punto 2.1., è
un fenomeno davvero molto recente, specie se si guarda alla sua ultima generazione
tecnica e se si considera che i sistemi in funzione a Lione e Parigi che sono ritenuti
quasi universalmente i modelli da seguire hanno cominciato a funzionare
rispettivamente nel maggio del 2005 e nel luglio del 2007 e dunque non dispongono
ancora di una solida esperienza in merito.

La loro diffusione, lo si è detto, è sicuramente riconducibile ad alcuni cambiamenti


avvenuti in seno alla società, riconducibili ad un macroprocesso di
(iper)modernizzazione. La mutazione del paradigma del trasporto e la nuova
concezione del termine mobilità, intesa come attiva, individualizzata, non sistematica e
desincronizzata hanno contribuito al successo della condivisione del mezzo d trasporto
ed alla (ri)scoperta della bicicletta come mezzo finalizzato non solo allo spostamento

101
fisico da un luogo all’altro, ma anche alla concessione di autonomia e di libertà (poiché
risponde al bisogno di individualizzazione) ed al suo aspetto ludico, di trasformazione e
riappropriazione, in chiave sociale, degli spazi pubblici. La problematica relativa alla
sostenibilità, vista in chiave sia globale (global warming, picco del petrolio, emissioni
inquinanti) che locale (congestione, perdita di identità e di legame sociale nelle strade e
nelle città) contribuisce alla rivalutazione del comportamento prosociale associato uso
della bicicletta, meglio se condivisa.

Un altro fattore deve essere considerato nell’analisi della diffusione dei sistemi di bike
sharing, ed è quello della memetica. Un meme è, infatti, un’entità attraverso la quale la
cultura si diffonde da una mente pensante ad un’altra. La memetica studia la diffusione
e la replicazione dei memi che, come virus, possono arrivare per consuetudine ed
imitazione a imporsi e a diventare cultura dominante, in assenza di benchmark di
riferimento. I sistemi di bike sharing, che nascono dalla risposta ai mutamenti della
modernità si stanno sviluppando oggi, nella loro stragrande maggioranza dei casi,
modellandosi sull’imitazione del modello di riferimento di Parigi e Lione o, in
alternativa, di quello di Copenhagen. Tutto ciò è inevitabile per una serie di motivi, il
primo dei quali è il maggiore costo legato ad un’alternativa non ancora sperimentata in
larga scala. Inoltre, per quanto ancora giovani e poco sperimentati, i sistemi Vélo’v e
Vélib’ sembrano funzionare bene, ed anche i sistemi di C’entro in Bici e di Bicincittà
possono essere valutati positivamente, in alcuni contesti.

Nella presente sezione, si comincerà con Cuneo, prima città italiana a dotarsi di un
sistema di bike sharing di terza generazione fornito da Bicincittà e nato sul modello di
Rennes. Il modello Bicincittà, a sua volta, si è diffuso in Italia come modello
dominante. Savigliano è la prima città italiana per il rapporto tra gli abitanti ed numero
di colonnine installate e rappresenta un modello in Piemonte ed in tutta Italia per
quanto riguarda il coinvolgimento di numerosi stakeholders nel servizio. Al contrario,
la città di Biella, che pure negli anni aveva avuto una politica per certi versi favorevole
alla ciclabilità, pur avendo vinto una finanziamento regionale per 3 postazioni, ha oggi
una sola velostazione, ed una colonnina ogni 4.139 abitanti e nessun tipo di
integrazione con altri serivizi almeno fino a quando il progetto del BIP non sarà

102
operativo. Si vedrà il caso di Biella come l'emblema di tutte le città piemontesi che si
sono fornite di un sistema di bike sharing come comportamento memetico, in assenza
di una politica seriamente intenzionata a puntare sul bike sharing e favorita dall’assenza
di selezione dei progetti ammessi a finanziamento in sede regionale.

A Vercelli, invece, si era partiti nel 2004 con una concezione differente del concetto di
bike sharing e con il sistema C’entro in Bici, integrato da altre politiche per favorire la
ciclabilità. Il 2010 vedrà nascere anche a Vercelli il sistema Bicincittà, in affiancamento
a C’entro in Bici. Il caso di Verbania, in cui per il momento non esiste nessun sistema
di bike sharing è ugualmente interessante. La città di Verbania aveva già partecipato ai
bandi regionali di cofinanziamento, vincendoli, per poi ritirare il proprio progetto di
installazione del sistema Bicincittà. Verbania ci aveva riprovato poi con un progetto
presentato alla Fondazione Cariplo che prevedeva un’integrazione di politiche di
ciclabilità differenti, ma anche in questo caso, dopo aver vinto il bando, la città ha
ritirato il proprio progetto.

Infine Torino, città che da almeno un decennio si è impegnata per l’utilizzo della
bicicletta per la mobilità urbana, ha provato a più riprese a fornirsi di un sistema di
bike sharing sul modello di quello di Lione e Parigi, vedendo due gare per
l’affidamento del servizio in cambio di spazio pubblicitario andare deserte. Ecco
perché il bike sharing ora presente in città è limitato a quello di seconda generazione
nato, con poche ciclostazioni, per opera della Circoscrizione 2. Da giugno 2010,
tuttavia, nascerà a Torino il bike sharing con più stazioni in tutta Italia (130), gestito
dalla ditta Comunicare S.r.l. ma con caratteristiche tecniche delle biciclette e della
gestione del sistema differenti da quelle degli altri sistemi Bicincittà.

3.2.1. Cuneo

Cuneo, per via della sua conformazione fisica, soffre da sempre di problemi relativi a
traffico, congestione, inquinamento e mancanza di parcheggi. La città, infatti, prende il

103
suo nome dall’altopiano alluvionale che si estende “a terrazza” nel punto di confluenza
tra il torrente Gesso ed il fiume Stura, assumendo un aspetto cuneiforme. Per questo
motivo, il limite tra la parte urbanizzata della città ed il resto è molto ben delimitato
dall’altopiano, specie a nord, dove confluiscono i fiumi. Anche le vie di accesso alla
città sono limitate dai pochi ponti. All’interno della città, ed in particolare all’interno
del centro storico, c’è mancanza di spazi, e questo è uno dei motivi per i quali
l’amministrazione ha voluto incoraggiare gli spostamenti pedonali e l’uso della
bicicletta.

La ciclabilità cittadina è dunque favorita dalla morfologia, così come viene sottolineato
dall’amministrazione nel suo Report Bicincittà 2007: in un cerchio di 5 chilometri di
raggio con centro in Piazza Galimberti è compreso il 54% del territorio urbano e una
popolazione pari al 90% dei residenti, oltre a tutti i principali poli attrattori della città.

Per quanto riguarda le biciclette pubbliche, l’Amministrazione Comunale si era mossa,


nel 2004, per poter attivare un servizio di bike sharing di terza generazione sulla base di
quanto stava succedendo in altre città europee. A Vienna, ad esempio, dopo la
fallimentare esperienza delle City Bikes di seconda generazione nate sul modello di
Copenhagen e prelevabili meccanicamente attraverso una moneta, l’Amministrazione
si era accordata con JCDecaux per un servizio di bike sharing di terza generazione
(Citybike Wien) lanciato alla fine del 2002 con 54 stazioni.

A Rennes, inoltre, il servizio Vélo à la Carte della società Clear Channel era già attivo,
in via sperimentale, dal 1998, con buoni risultati.

La città di Cuneo sondò allora il campo in vista di una possibile importazione dei
sistemi forniti da Clear Channel o da JCDecaux. In cambio della fornitura e della
gestione del sistema, la Città si sarebbe impegnata a fornire spazi pubblicitari.
L’accordo non venne tuttavia mai trovato, perché lo spazio pubblicitario che poteva
essere fornito a Cuneo ha un valore in visibilità sicuramente minore rispetto a quello di
una capitale europea come Vienna o di una città che, come Rennes, conta più di
200.000 abitanti.

104
L’idea della fornitura di un servizio simile a quelli di terza generazione già attivi
all’estero fu proposta alla società Comunicare, che riuscì, nel maggio del 2004 a
mettere in funzione il primo sistema di bike sharing a tecnologia elettronica in Italia.

Il sistema meccanico (del tipo C’entro in Bici) fu scartato poiché Cuneo intendeva
avere la possibilità di monitorare i dati di utilizzo e dotarsi di un sistema flessibile, che
potesse permettere ai cittadini di prelevare la bicicletta in una velostazione e
consegnarla in un’altra.

Tra gli obiettivi dichiarati nella messa in funzione di un sistema di bike sharing c’era
quello di favorire l’interscambio tra mezzi privati o pubblici con la bicicletta.

Le stazioni installate furono inizialmente cinque, dislocate nel centro storico e di fronte
alla stazione ferroviaria (con ben 27 posti bici).

Fig. 3.3.: Il bike sharing a Cuneo nel gennaio 2008


(fonte: Report Bicincittà 2007)

105
Il Report Bicincittà fornisce anche qualche dato sull’utilizzo delle biciclette: nel corso
di tutto il 2007, sono state prelevate 11.438 biciclette, e gli utenti iscritti al servizio
hanno superato i 1.000. Su un totale di 50 biciclette, 11.438 prelievi in un anno
equivalgono a 0,63 prelievi al giorno per ciascuna bicicletta. Questo dato, se
confrontato con i prelievi giornalieri di Parigi (tra i 50.000 ed i 150.000, che distribuiti
su 20.000 Vélib equivalgono a 2,5/7,5 prelievi al giorno per bicicletta)57 ridimensiona di
molto l’entità del più anziano sistema di bike sharing di terza generazione in Piemonte.
Ma una metropoli globale quale è Parigi ha una domanda di mobilità di molto
maggiore rispetto a quella che può avere un capoluogo di provincia come Cuneo: ecco
perché a Cuneo i 11.438 prelievi dell’anno 2007 sono stati considerati un ottimo
risultato.

Il punto di distribuzione di biciclette collocato vicino alla Stazione Ferroviaria oltre ad


essere il più grande è anche stato quello più utilizzato: nel 53% degli utilizzi, la stazione
è stata il punto di partenza o di arrivo (oppure entrambe le cose).

Un altro dato interessante da valutare è quello che riguarda la percentuale di


operazioni cosiderate ‘chiuse’ (cioè che hanno avuto la stessa stazione di prelievo e di
deposito) che, nel 2007 è stata a Cuneo del 56%.

A Cuneo non esistono costi per l’utilizzo del servizio (se non quelli della cauzione da
versare al momento dell’iscrizione) e non esiste nemmeno un limite di ore per ciascun
prelievo: è sufficiente riconsegnare la bicicletta presa in prestito entro le ore 21.
Purtroppo non si conosce il dato relativo al tempo medio di utilizzo della bicicletta
presa in prestito, ma si può presumere che in quel 56% di viaggi con prelievo e
deposito della bicicletta nella stessa stazione, il tempo di prestito medio sia maggiore.
Un lavoratore pendolare che arriva in treno tutte le mattine può prendere la bicicletta

57
Steven Erlanger e Maïa de la Baume, “French Ideal of Bicycle-Sharing Meets Reality”, pubblicato il 30
ottobre 2009 sul The New York Times e disponibile online all’indirizzo web
http://www.nytimes.com/2009/10/31/world/europe/31bikes.html (controllato il 19 gennaio 2010 alle ore
16.49).

106
in prestito alla stazione, lasciarla (grazie alla catena data in dotazione al momento
dell’iscrizione al servizio) nel luogo di destinazione e riconsegnarla solo alla sera nella
stessa ciclostazione da cui aveva effettuato il prelievo. Per quel 56% di operazioni
chiuse la flessibilità fornita dal sistema Bicincittà non è necessaria, ed il servizio
potrebbe essere svolto allo stesso modo e con costi fino a dieci volte inferiori dal
sistema C’entro in Bici, con un vantaggio in più: il sistema C’entro in Bici assicura la
possibilità di restituire la bicicletta quando lo si desidera, senza preoccuparsi della
possibilità che la stazione di deposito sia piena, poiché la chiave di servizio rimane
attaccata alla colonnina fino alla restituzione.

Per un 56% di prelievi e depositi nella stessa stazione, tuttavia, va considerato che esiste
un 44% di casi in cui la flessibilità offerta dal sistema elettronico viene sfruttata. Per
aumentare tale percentuale - e per diminuire il tempo medio di ciascuna operazione,
considerato come il tempo in cui la bicicletta pubblica è occupata – le amministrazioni
possono ricorrere a due tipi di soluzioni. La prima è quella di ridurre il numero di ore
di prestito gratuito ed inserire una tariffa oraria, in modo da fornire un disincentivo per
l’uso improprio e per i comportamenti definiti ‘antisociali’. In tal modo, tuttavia, si
rischia di disincentivare economicamente ed allontanare dall’uso della bicicletta
pubblica in ambito urbano coloro la cui destinazione è lontana dalle colonnine del
servizio. Il secondo metodo è quello di investire per la copertura capillare del
territorio, acquistando ciclostazioni e fornendo un incentivo naturale per la restituzione
della bicicletta. Il cittadino, sapendo che in qualsiasi parte della città egli si trovi ha una
stazione di bike sharing a pochi metri di distanza58, e che queste stazioni sono
costantemente rifornite di biciclette (un altro problema della terza generazione di bike
sharing), è naturalmente incentivato a tenere occupata la bicicletta solo per il reale
tempo necessario alla sua mobilità e non per tutta la sua giornata lavorativa.

58
Indicativamente, si considera ideale una distribuzione in cui ogni punto della città sia a meno di 300
metri di distanza dalla ciclostazione più vicina

107
La profilazione degli utenti dice che, su oltre cento iscritti al servizio, solo 524 hanno
utilizzato la bicicletta pubblica nel corso dell’anno 2007 e tra questi l’8% ha un’età
inferiore a 20 anni, il 42,5% ha età compresa tra 20 e 40 anni, il 39% ha tra i 40 ed i 60
anni, il 10% tra i 60 e gli 80 anni e lo 0,5% ha più di 80 anni.

Ci sono più utenti donne che uomini (rispettivamente il 51 ed il 49%) e la metà degli
utenti ha più di quarant’’anni, il che significa che l’utilizzo della bicicletta non è
un’attitudine esclusivamente riservata ai giovanissimi.

Il sistema, oltretutto, ha conosciuto tra il 2004 ed il 2007 dei problemi non indifferenti:
su di una cinquantina di biciclette in servizio, 15 sono state rubate (e di esse 10
ritrovate), 8 sono state rottamate e ben 30 hanno subito atti vandalici, anche se di
modesta entità (15 campanelli, 12 cestini e 3 fanali).

Questo tipo di biciclette, lo si è detto nel paragrafo dedicato al sistema Bicincittà, sono
riadattate per l’uso condiviso, ma non dissimili per caratteristiche tecniche da delle
comuni biciclette da donna. Subiscono dunque gli agenti atmosferici (nonostante le
ciclostazioni di Cuneo siano tra le poche in Italia a essere coperte) ed hanno bisogno di
una manutenzione costante. Alcune parti, come campanelli, cestini, fanali, dinamo,
deragliatore (presente solo in alcune biciclette) sono particolarmente esposte alla
manomissione ed alla possibilità di furti e danneggiamenti.

Ecco perché, dopo la prima estate di servizio, considerato il successo dell’iniziativa


(con oltre 70 prelievi giornalieri nei giorni migliori), il comune di Cuneo ha deciso di
affidarsi per 15.000 € annui alla società Comunicare S.r.l., già fornitrice del servizio,
per la manutenzione ordinaria, ossia controllo quotidiano del funzionamento delle
colonnine e invio report giornaliero all’ufficio biciclette e per la manutenzione
straordinaria, ossia manutenzione periodica del parco biciclette (controllo due volte
l’anno, lavaggio, oliatura e verifica del funzionamento) e delle strutture (verifica mensile
e lavaggio trimestrale).

Il servizio di manutenzione è stato affidato l’anno successivo alla Cooperativa Sociale


San Paolo di Cuneo, che se ne occupa tuttora.

108
Il servizio di bike sharing della città di Cuneo si è, con gli anni, esteso, arrivando fino
alle attuali 8 ciclostazioni. Con le ultime stazioni nate si è cercato di favorire la co-
modalità dei trasporti: una è infatti prossima al parcheggio di 317 posti vicino ai Palazzi
Finanziari in una zona in rapida trasformazione e l’altra è sorta vicino all’ascensore che
gratuitamente collega gli impianti sportivi delle Piscine ed il loro parcheggio (oltre 400
posti) con il centro.

3.2.2. Savigliano

Savigliano è stata la terza città italiana a dotarsi di un sistema di bike sharing elettronico
di terza generazione dopo Cuneo e Parma. Oggi il sistema saviglianese può essere
considerato il modello di riferimento per quanto riguarda le città di dimensioni medio-
piccole. Il servizio di bike sharing cittadino è entrato in funzione nel mese di giugno del
2006, con quattro ciclostazioni: di fronte all’Ospedale, in Piazza del Popolo (sede del
mercato), in Piazza Santa Rosa (il “salotto” saviglianese) e nel piazzale adiacente alla
stazione ferroviaria.

Savigliano è, con i suoi quasi 21.000 abitanti, uno dei maggiori centri della pianura
cuneese e sorge sulla direttrice che collega Torino a Savona. Dal punto di vista
territoriale, Savigliano presenta una chiara distinzione tra il tessuto urbano abitato e
l’estesa area esterna a forte caratterizzazione agricola. Lo sviluppo e la crescita urbana
sono avvenuti evitando disgregazioni territoriali lungo le via di comunicazione o lungo i
corsi d’acqua. L’equilibrio che contraddistingue l’intero territorio comunale è applicato
anche a scala urbana: le fasi di ampliamento sono avvenute gradualmente intorno al
centro storico senza rappresentare spaccature e disfunzioni rispetto al nucleo
originario. Il tessuto urbano centrale conserva, anche dopo gli interventi degli ultimi 50
anni (fase di maggiore crescita) una discreta omogeneità e armonia.

Savigliano è una città originariamente di tradizione agricola, che si è riversata nel settore
industriale (era sede della Fiat Ferroviaria, ed ora è sede di Alstom) e che cerca oggi di

109
ritagliarsi un posto nel settore dei servizi, in particolare con l’inaugurazione, a fine
2008, della sede universitaria.

Già dal 1998, l’Amministrazione si era impegnata per promuovere l’uso della bicicletta
in città su due fronti: quello pedagogico, con interveniti ed iniziative nelle scuole e
quello fisico, con la posa di oltre 100 rastrelliere in tutta la città e con la realizzazione di
alcune piste ciclabili.

Le condizioni che hanno reso abituale l’uso della bicicletta per la mobilità cittadina
anche prima che il sistema di bike sharing fosse reso disponibile sono dunque legate
alla mancanza di pendenze significative in tutta la città, alle politiche di sostegno alla
ciclabilità ed alla sua conformazione che ha mantenuto un centro storico ben definito
in cui lo sprawl urbano ha avuto un’importanza solo marginale.

Leggendo le stele informative poste su ogni stazione, si scopre che la nascita del sistema
di bike sharing Bicincittà a Savigliano ha coinvolto, oltre al Comune, anche altri enti.
La Cassa di Risparmio di Savigliano e la Fondazione Cassa di Risparmio di Savigliano
hanno partecipato al progetto, finanziandolo e facendo posizionare una ciclostazione di
fronte alla loro sede (in Piazza del Popolo). Anche l’associazione di commercianti
denominata “Il Molo – Centro Commerciale Naturale di Savigliano”, nata nel 2004
con il contributo di Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio, Fondazione
Cassa di Risparmio di Savigliano e Cassa di Risparmio di Savigliano con la finalità di
valorizzare il centro cittadino ed il piccolo commercio ha contribuito, e continua a
farlo, alla realizzazione e alla promozione del progetto. Infine, tra i soggetti coinvolti
nel finanziamento del bike sharing cittadino c’è una ditta privata, la società francese
Alstom, che ha acquisito gli ex stabilimenti della FIAT ferroviaria. Dopo aver
finanziato la nascita delle prime quattro stazioni, ALSTOM si è impegnata, in cambio
della concessione di occupazione del suolo comunale per la durata di un anno,

110
nell’acquisto e nella posa, di fronte al suo stabilimento, di una ciclostazione composta
quattro colonnine59.

L’iscrizione al servizio, previo pagamento di una caparra di 12 euro (di cui 2 euro
offerti dal Comune), è possibile recandosi all’ufficio Sport e Turismo oppure presso la
libreria universitaria “30 e Lode”. Per incentivare il turismo è stato reso possibile
ritirare gratuitamente60 all’antico Palazzo Comunale in Piazza Santa Rosa una tessera
del bike sharing per poter visitare la città in bicicletta. Tale servizio è tuttavia attivo solo
nei weekend primaverili ed estivi.

Il servizio Bicincittà ha riscosso un successo sempre crescente tra i cittadini saviglianesi


e i fruitori della città, se si considera che il 34% degli iscritti non è residente in città61.
All’inizio del 2010 gli iscritti al servizio hanno raggiunto gli 870.

I prelievi di biciclette sono stati 4.136 nel corso del 2006, 7.730 nel corso del 2007,
13.226 nel 2008 e 15.150 nel 2009. Secondo i dati forniti dal Rapporto sulla Mobilità
Urbana e Sostenibile redatto dalla Città di Savigliano nel mese di novembre dell’anno
2008, tra coloro che hanno avuto accesso al servizio nel periodo compreso tra il 1
giugno 2006 ed il 16 ottobre 2008, comparivano più donne che uomini (302 contro
265) ed il 55% degli utilizzatori aveva un’età superiore ai 40 anni.

Solo 47 sono stati gli studenti che hanno usufruito del servizio, contro 186 impiegati,
65 liberi professionisti, 38 operai, 33 pensionati, 23 casalinghe e 19 commercianti. Per
quanto riguarda gli orari di utilizzo si è preso un giorno di riferimento, il 16 ottobre
2008 in cui, tra prelievi e depositi, si sono effettuate 366 operazioni62. Come mostrato
in figura 3.4., ci sono tre picchi giornalieri, corrispondenti agli orari lavorativi standard:

59
Determinazione n.26 del 1 febbraio 2007, Comune di Savigliano, Settore Lavori Pubblici.
60
Depositando un documento di identità come caparra.
61
Dato relativo al 14 ottobre 2007.
62
Equivalenti a 183 prestiti.

111
al mattino tra le 7 e le 8, verso le
l 12 e nel tardo pomeriggio. Questo dimostra che il
servizio viene usato a Savigliano come vero e proprio sistema di mobilità.

Fig. 3.4.: Orario delle operazioni


effettuate a Savigliano il 16 ottobre 2008

La figura
ura 3.5., invece, rappresenta la distribuzione delle 12 stazioni di bike shari
sharing sul
territorio saviglianese. Ciascun cerchio rappresenta l’area entro la quale la stazione è
facilmente raggiungibile poiché distante meno di 300 metri. Quasi tutta la città è ben
coperta dal servizio soprattutto il centro storico, dove le aree dei cerchi di intersecano
frequentemente. La distribuzione continua delle stazioni su tutto
tutto il territorio dovrebbe
riuscire a favorire un minor tempo di utilizzo delle biciclette pubblic
pubbliche. Questo è, nel
caso di Savigiano, solo in parte vero poiché in assenza di costi relativi ai prelievi di
lunga durata (a Savigliano si ha diritto a 10 ore giornaliere di prestito gratuito), gli utenti
non hanno forti incentivi alla restituzione. Nel periodo
periodo preso in considerazione dal
Rapporto sulla Mobilità Urbana e Sostenibile, il 45,5% dei prelievi ha durata inferiore a
30 minuti, il 7,5% tra i 30 minuti e l’ora, il 16% tra l’ora e le quattro ore ed il 31% dei
prestiti ha durata superiore a quattro ore
ore.

112
Fig. 3.5.:La distribuzione delle ciclostazioni a Savigliano

La presenza di un maggior numero di ciclostazioni sul territorio ha determinato, per


Savigliano, un numero di “utilizzi chiusi” (quelli in cui la stazione di prelievo e deposito
se) del 35,5%63, ben inferiore al 53,4% della città di Cuneo, ad esempio.
sono le stesse)

63
40,5% se si considera come utilizzo chiuso anche un prelievo effettuato dalla velostazione “Stazione
FF.SS.” e riconsegnato
segnato alla velostazione “Stazione FF.SS. 2”, o viceversa, poiché distanti solo poche
decine di metri.

113
Questo può venire tradotto in un uso più estensiovo delle potenzialità derivanti
dall’installazione di un sistema di bike sharing di terza generazione.

La manutenzione del sistema è effettuata “in economia”, attraverso degli impiegati


comunali ad un costo sitimato in 4.700 € l’anno iva inclusa, equivalente a 104 € annuali
per ciascuna bicicletta oppure a 52 € annuali a colonnina. Anche a Savigliano, così
come in tutte le altre città che hanno sperimentato il bike sharing, uno dei problemi è
relativo ai microvandalismi ed ai furti subiti, che nel corso degli anni hanno raggiunto
quota dieci biciclette.

Le politiche legate alla mobilità cittadina si incontrano con le politiche relative alle
scelte urbanistiche, ecco perché a Savigliano sono state istituite diverse zone pedonali,
tre Zone 30, tre ZTL ed una ZTL ambientale su quasi tutto il centro storico.

Per quanto riguarda la mobilità tout court, gli investimenti comunali sono stati mirati su
altre soluzioni parallele al sistema di bike sharing. Da un lato, l’Amministrazione ha
incoraggiato la promozione di due Pedibus, agendo da un lato sul sistema organizzativo
e dall’altro su quello educativo e pedagocico. Dall’altro lato è entrata in funzione a
dicembre del 2008 la prima linea del “CityBus” che collega ogni 15 minuti il
pargheggio dell’ospedale con la zona nord della città, passando dal centro storico e
dalla stazione ferroviaria. Il CityBus è attivo tutti i giorni feriali ed il suo uso è gratuito
per i cittadini saviglianesi.

Pedibus e CityBus integrano l’offerta di mobilità garantita dal bike sharing orientandosi
rispettivamente su due porzioni di popolazione che, per motivi diversi, sono
impossibilitati a muoversi in bicicletta: bambini ed anziani.

Le prospettive future per quanto riguarda la mobilità cittadina a Savigliano sono quelle
di un’ulteriore espansione del sistema di bike sharing e l’istituzione della linea 2 del
CityBus. Savigliano, infatti, ha partecipato insieme alla città di Saluzzo al “Programma
di finanziamenti del Ministero dell’Ambiente per il miglioramento della qualità
dell’aria nelle aree urbane e per il potenziamento del trasporto pubblico” con il
progetto denominato “Mobilityamoci”. Il progetto, dal costo di 239.461 € è stato

114
finanziato dal Ministero per quasi 152.000 €; il resto dei costi verrà coperto dai
Comuni di Savigliano e Saluzzo.

Il finanziamento elargito dal Ministero è stato inferiore di quasi il 50% rispetto a quanto
richiesto dai due Comuni. Il piano iniziale, che prevedeva la copertura a Savigliano di
tutte le stazioni di bike sharing64 e la creazione di una nuova postazione, oltre che un
percorso più ampio della linea 2 del CityBus, è stato, di conseguenza, modificato.

A seguito della revisione, il progetto Moblityamoci finanzierà per Savigliano


l’installazione di altre due postazioni di bike sharing (in zone ancora poco coperte dal
servizio) e la copertura della sola postazione situata nel piazzale della stazione
ferroviaria.

Per Saluzzo, invece, si procederà con l’acquisto di 22 biciclette, 200 tessere e 200
lucchetti e con l’installazione di altre 5 ciclostazioni, portando il sistema ad un totale di
9 stazionie e 75 colonnine (una colonnina ogni 220 abitanti)65.

Per quanto riguarda il finanziamento, inoltre, la Città di Savigliano è riuscita a


mantenere attive le sue partnership con i privatie ed a raccogliere la disponibilità di
Alstom S.p.A. e del Centro Commerciale Naturale “Il Molo” per un cofinanziamento
al progetto di 15.000 €.

64
Tra le pecche principali del sistema Bicincittà a Savigliano, infatti, va rilevato il fatto che le ciclostazioni
non risultano essere coperte e che le biciclette risentano fortemente dell’usura derivante dagli agenti
atmosferici (sporcizia, ruggine, sellini tagliati e zuppi di acqua).
65
A Savigliano, invece, non si aquistaranno biciclette poiché la Città utilizzerà quelle già aquistate nel
corso degli anni e rimaste nei magazzini comunali poiché non utilizzate.

115
3.2.3. Biella

La città laniera ha una conformazione fisica che può rendere difficoltoso l’uso della
bicicletta per gli sportamenti cittadini anche se, negli anni del dopoguerra in cui le sue
industrie occupavano migliaia di operai, la bicicletta era comunque un mezzo di
trasporto abituale.

La storia della ciclabilità nella città di Biella continua con l’esperimento delle cosiddette
“Biciclette Gialle”. Le biciclette gialle, di proprietà comunale, erano noleggiate
gratuitamente a tutti coloro che ne facevano richiesta a partire dal 1996. La
deliberazione del Consiglio Comunale n.1392/1996 individuava sette attività
commerciali (quattro bar, un distributore di benzina, la sede dell’ I.N.A. e l’ATL
biellese) che avevano firmato la convenzione con il Comune per noleggiare
gratuitamente nel loro orario di apertura ed ai soli cittadini iscritti al servizio, le
biciclette pubbliche di colore giallo per un massimo di due ore. Questa iniziativa si
esaurì nel giro di qualche anno a causa delle le mancate restituzioni, dei vandalismi e
dei furti subiti. Biella ha avuto dunque gli stessi problemi delle altre città italiane nel
mettere in atto iniziative simili.

Nel corso dell’anno 2003, come conseguenza di un Tavolo di Lavoro sulla Mobilità
Sostenibile partecipato dall’Azienda Sanitaria Locale, dall’Unione Industriale Biellese,
dai delegati della Provincia di Biella e dei Comuni di Biella e Cossato, venne istituito
l’Ufficio Biciclette (tuttora attivo) incaricato di favorire la mobilità ciclabile attraverso
interventi di moderazione e limitazione del traffico, realizzazioni di piste ciclabili ove
necessarie, promozione della sicurezza negli attraversamenti.

In particolare, il progetto “Nuovi Raggi”, cofinanziato dalla Regione Piemonte,


prevedeva una collaborazione con la Casa Circondariale. Alcuni detenuti del carcere,
infatti, recuperavano delle biciclette destinate alla rottamazione e le revisionavano, fino
a farle ritornare delle biciclette utilizzabili che venivano poi distribuite ad enti e a uffici
che ne facevano richiesta.

116
Nell’intenzione di andare oltre ai servizi già sperimentati di noleggio e di attivare un
vero servizio di bike sharing in città, ci era inizialmente mossi verso il sistema
meccanico C’entro in Bici. All’uscita del Bando Regionale di cofinanziamento per i
sistemi elettronici di bike sharing, anche la città di Biella ha partecipato, riuscendo a far
sorgere la prima postazione Bicincittà attiva dal giugno del 2008. La postazione, nata di
fronte alla stazione ferroviaria di Biella San Paolo, ha undici colonnine ed è fornita di
una struttura di copertura in acciaio e vetro.

La Città ha poi partecipato ad un secondo bando di cofinanziamento regionale per


l’aggiunta di due ciclostazioni, in Piazza Colonnetti ed in Viale Matteotti, con undici e
quindici colonnine, per l’acquisto di 26 biciclette, 2 stele informative e 260 tessere
elettroniche e lucchetti personali. Il costo di tale espansione è stato stimato in
48.500,00 € per un finanziamento regionale richiesto di 19.500,00 €. I costi di gestione
del sistema (check-up settimanale e pulizia straordinaria programmata), a carico del
Comune di Biella, erano stimati, annualmente, in 9.600 €.

Il Comune si assicurò con il suo progetto il cofinanziamento regionale, ma molte


critiche arrivarono per i costi del servizio, considerati troppo alti. Le nuove stazioni
avrebbero dovuto entrare in funzione nei primi mesi del 2009 ma, complice anche il
cambio dell’amministrazione in seguito alle elezioni comunali, non sono ancora state
realizzate. In una modifica al progetto, presentata dalla nuova amministrazione, si era
deciso di ricollocare le due nuove stazioni di fronte alla sede universitaria di Città Studi
e di fronte al nuovo centro commerciale “Gli Orsi”, grazie anche ad un contributo
finanziario proveniente dal supermercato Coop. L’ampliamento non è tuttavia ancora
stato realizzato, e non si conoscono le date previste per la realizzazione, se mai ci sarà.
Nonostante il bike sharing a Biella sia quasi invisibile, la città è una delle 32 facenti
parte del Comitato Promotore del “Club delle Città per il Bike Sharing”.

A Biella, gli utilizzatori del bike sharing sono davvero pochi: 120 tessere distribuite in
un anno e mezzo e pochissimi prelievi. Strutturato come lo è oggi, il bike sharing (5

117
euro di cauzione per l’iscrizione66 e nessun limite orario di utilizzo) è un servizio fornito
quasi “ad personam” per pochi cittadini non biellesi, che giungono in stazione con il
treno o con l’autobus e che prelevano le biciclette per tempi lunghi. Avere una sola
ciclostazione, inoltre, può mutilare la flessibiltà offerta da Bicincittà e rendere superfluo
il sistema elettronico.

Le vicende riguardanti il Comune di Biella non sono dissimili da quelle sperimentate


in altre realtà regionali. Il caso di Biella, la città in Piemonte con più abitanti per ogni
colonnina installata, è studiato qui come esempio di politiche memetiche. In assenza di
una chiara volontà politica, il comune di Biella - così come hanno fatto altri Comuni
piemontesi ed italiani – ha voluto partecipare al bando di cofinanziamento regionale
per dotarsi di un sistema di bike sharing con delle motivazioni che vanno ricercate di
più in un bisogno di visibilità e di promozione esterna piuttosto che di mobilità
cittadina. Agendo in questo modo, e piazzando in città una piattaforma che viene vista
più come bandiera dell’azione dell’Amministrazione sul territorio che come
un’ulteriore strumento in mano ai cittadini per le loro scelte di mobilità co-modale,
divengono comprensibili le critiche di chi richiama l’attenzione sulle possibilità di un
uso diverso e più efficiente del denaro pubblico. Se si limita l’attenzione che si pone
verso il bike sharing al suo aspetto “ecologico” e non lo si considera una reale
alternativa fornita ai cittadini nel campo della mobilità urbana, allora il bike sharing
(specie quello con sistema elettronico) è effettivamente un investimento molto costoso
ed inefficiente. Le biciclette pubbliche possono essere un fattore di metamorfosi
urbana, modificando abitudini e percezioni dei cittadini e dei fruitori urbani riguardo al
loro rapporto con gli spazi pubblici, come si è visto nel caso della città di Savigliano. Il
premio Nobel Elinor Ostrom aveva inserito la presenza di una comunità garante tra le
condizioni necessarie ad un buon funzionamento del governo collettivo delle risorse

66
Cifra bassa, ma che potrebbe scoraggiare l’iscrizione al servizio poiché da pagare obbligatoriamente
tramite bollettino postale, bonifico bancario o recandosi alla Tesoreria Comunale. Per ottenere la
tessera, inoltre, ci si deve presentare negli uffici del comune per firmare il contratto di utilizzo.

118
comuni in grado di risolvere i problemi dell’appropriazione privata e delle inefficienze
pubbliche. I cittadini possono essere questa comunità, a condizione che si sentano
partecipi della scelta pubblica e che arrivino a considerare il servizio di bike sharing e la
loro mobilità cittadina come una risorsa collettiva.

3.2.4. Vercelli

Vercelli è una delle poche città piemontesi ad essersi affidate al sistema C’entro in Bici
per costruire la sua offerta di bike sharing. Dal 2004, infatti, sul territorio comunale
sono dislocate 6 postazioni di bike sharing, ciascuna fornita di quattro stalli per le
biciclette. Le stazioni sono dislocate in prossimità delle cosiddette “centrali di
intermodalità”: parcheggi di interscambio che possono offrire una valida possibilità per
le scelte di mobilità (e di co-modalità) all’interno della città. Il sistema C’entro in Bici,
funzionante con tecnologia meccanica, è fornito di 240 chiavi personali (10 per
ciascuna bici) che sono tutte state distribuite ai cittadini che ne hanno fatto richiesta.
Vercelli è una città che per caratteristiche topografiche ben si presta all’uso della
bicicletta: è completamente piana e con un centro storico ben definito. Inoltre, la
bicicletta è parte del bagaglio storico e culturale dei vercellesi. Riconvertire alcuni viali
della Città aggiungendo delle piste ciclabili non è stato molto costoso, per via della
particolare struttura urbana cittadina.

Parallelamente all’istituzione del sistema C’entro in Bici, l’amministrazione di Vecelli si


è spesa per alcune campagne di promozione della mobilità ciclabile in ambito
cittadino. Sono state promosse da un lato alcune iniziative educative effettuate in
collaborazione con gli istituti scolastici e dall’altro lato delle campagne di incentivi ai
privati per l’acquisto di biciclette attraverso l’emissione di 1.000 rimborsi dal valore di
50 euro.

119
Il successo del bike sharing, nella sua forma meccanica, è provato dall’esaurimento, a
poco tempo dall’installazione del servizio, delle chiavette di accesso, utili in particolar
modo ai fruitori della città non residenti (studenti e lavoratori pendolari).

Nel 2007, quando è uscito il Bando per il “cofinanziamento ai comuni di sistemi di


bike sharing in ambito urbano e di adeguamento al sistema BIP delle postazioni già
esistenti”, l’Amministrazione Comunale vercellese aveva provato a richiedere la
possibilità di finanziare, attraverso il Bando, l’ampliamento del suo sistema di bike
sharing che sembrava ben funzionare (in rapporto agli obiettivi che l’Amminstrazione si
era prefissata). Il bando prevedeva però il finanziamento solo per i sistemi elettronici
con possibilità di adeguamento al sistema Biglietto Integrato Piemonte, escludendo di
fatto il bike sharing di Vercelli che era basato sul sistema C’entro in Bici.

Così, per poter avere accesso ai finanziamenti, Vercelli ha presentato la propria


domanda per l’istituzione di un nuovo servizio di bike sharing, basato questa volta sul
sistema Bicincittà. Il cofinanziamento è stato approvato e Vercelli sarà, nell’estate del
2010, l’unica città in Piemonte ad avere nel suo territorio due differenti sistemi di bike
sharing: uno meccanico da 6 stazioni e 24 colonnine ed uno elettronico, con 5
postazioni ed 89 colonnine. Il Bando di cofinanziamento regionale, con l’intenzione di
far partire un sistema integrato di bike sharing attraverso la tecnologia BIP, ha favorito
situazioni come quella di Vercelli in cui differenti investimenti si sono sovrapposti
senza integrarsi, venendo a creare quella che si vedrà essere una forma di schizofrenia
progettuale.

3.2.5. Verbania

Tra tutte le città piemontesi che hanno avviato un piano per la fornitura di un servizio
di bike sharing è interessante analizzare il caso di Verbania. A Verbania il bike sharing
non esiste e non sembra, al momento, ci siano programmi di sviluppo del servizio. Il

120
caso è tuttavia degno di attenzione poiché, per ben due volte, la Città aveva cercato di
mettere in opera un piano di bike sharing, trovandone i finanziamenti.

La prima volta che venne presentata una progettualità in merito fu in occasione del
“Bando regionale per il cofinanziamento ai comuni di sistemi di Bike Sharing” in
ambito urbano e di adeguamento al sistema BIP” dell’anno 2007 i cui termini per la
presentazione dei progetti sono stati riaperti e prorogati al 1 marzo 2008. Il progetto
verbanese che si aggiudicò il finanziamento regionale, prevedeva la costituzione di un
servizio di bike sharing di terza generazione costituito da tre ciclostazioni da dieci
postazioni ciascuna e l’aquisto di 30 biciclette, di cui 6 sarebbero rimaste nei magazzini
come riserva (DelGC n°0034 del 28/02/2008). Il costo totale del progetto ammontava a
95.000 euro, 22.500 dei quali finanziati dalla Regione. Il sistema di bike sharing
verbanese non vide mai la luce poiché il finanziamento venne poi rifiutato per ragioni
economiche e il progetto accantonato.

Gli sforzi dell’Amministrazione nel campo della mobilità non si erano tuttavia limitati
all’intenzione di costituire un sistema (seppur embrionale) di bike sharing. Il
Comune, a partire dal maggio 2007 aveva cercato di incentivare i cittadini a
programmare la loro mobilità basandosi trasporto pubblico. Con il progetto “Libero
Bus”, infatti, l’amministrazione ha promosso, per i suoi cittadini una sorta di
“abbonamento di municipalità” al trasporto pubblico locale. In partica, i cittadini
residenti a Verbania possono viaggiare gratis sui mezzi urbani e questo viene garantito
dal Comune che corrisponde ai gestori di tutti i servizi di trasporto pubblico urbani
una quota fissa (circa 350.000 euro l’anno) equivalente ai mancati introiti derivanti dalla
vendita dei biglietti. I cittadini che abitano nelle frazioni Possaccio, Biganzolo,
Torchiedo e Antoliva, che non beneficiano di corse di linea, possono inoltre richiedere
– sempre gratuitamente – il servizio “City Bus”. City Bus è un servizio di traporto
pubblico “alla domanda”: telefonando al numero verde è possibile prenotare un
autobus che porti il passeggero alla destinazione desiderata oppure ad uno dei nodi di
scambio con il trasporto pubblico ordinario.

121
L’idea di creare a Verbania un sistema di bike sharing non era tuttavia tramontata e l’8
novembre del 2008 è nata, come evoluzione del già esistente Comitato “Bici in Città”,
l’associazione di promozione culturale “Bicincittà”, che conta oggi 155 soci su tutto il
territorio provinciale. L’associazione si promuove di studiare iniziative atte ad
incentivare l’uso della bicicletta ed una mobilità più sostenibile nella provincia del
VCO. Tra queste iniziative, il progetto “CO2zero - Verbania Città Sostenibile” è
certamente la più grande. Il progetto è stato redatto dall’associazione in collaborazione
con il Comune di Verbania ed è stato presentato al bando della Fondazione Cariplo
“Promuovere Forme di Mobilità Sostenibile Alternative all’Auto Privata”. La
Fondazione Cariplo cofinanzia attraverso questo bando progettualità relative alla sua
area di riferimento (la Lombardia e le province di Novara e del VCO) fino al 60% dei
costi e per un massimo di 150.000 €, iniziative che rispondano ai seguenti obiettivi:

• sostenere la realizzazione di piani della mobilità sostenibile e studi di fattibilità


su vasta scala territoriale, mirati all’ottimizzazione dei servizi di trasporto
pubblico e alla promozione delle forme di mobilità collettiva in un’ottica di
sostenibilità ambientale;
• promuovere la realizzazione di interventi a sostegno della mobilità ciclistica e
pedonale, dei sistemi di infomobilità e di altre forme innovative di mobilità
sostenibile.

Il Progetto CO2zero è un progetto di durata biennale che articola i suoi obiettivi


specifici su più fronti:

1. attivare azioni concrete per favorire e promuovere l’uso di sistemi alternativi


all’auto privata come mezzo di trasporto quali la pedonalità, la ciclabilità e l’uso
del trasporto pubblico come forme abituali di spostamento;
2. promuovere percorsi educativi e culturali per influire sulle abitudini quotidiane
nella pratica della mobilità individuale e collettiva;
3. promuovere informazione ed eventi sui temi della mobilità sostenibile e sulle
sue conseguenze, vantaggi ed opportunità;

122
4. valorizzare le politiche attivate dall’Amministrazione in tema di mobilità
sostenibile (Libero Bus, City Bus, gratuità del servizio di scuolabus,
individuazione di percorsi ciclabili urbani).

Nella sostanza il piano operativo prevedeva, per quanto riguarda il primo punto,
l’installazione di quattro stazioni di bike sharing da venti biciclette ciascuna. Tale
progetto venne poi rivisto nel piano operativo e dalle iniziali quattro stazioni da venti
biciclette si passò a progettare otto stazioni con un numero di biciclette compreso tra le
otto e le dodici. Il sistema di biciclette, questa volta, non sarebbe stato un sistema
elettronico di terza generazione fornito da Comunicare S.r.l.67, ma un sistema
meccanico del tipo “C’entro in Bici” con l’adeguamento elettornico per il computo
delle operazioni effettuate. Gli obiettivi specifici del progetto erano:

• intercettare il traffico veicolare in entrata nelle aree urbane a maggiore densità;


• interagire con il traffico veicolare privato in entrata nelle aree urbane ed in esso
circolante proveniente dai centri urbani limitrofi a distanze non “ciclabili”
(superiori a 5/6 km), o provenienti da zone collinari (e quindi con difficoltà
dell’uso della bicicletta), attraverso un sistema di ciclostazioni attrezzate per
offrire l’uso temporaneo gratuito di biciclette in ambito urbano per raggiungere
mete interne del concentrico urbano per lavoro, svago, servizi, shopping, ecc.;
• contribuire a ridurre l’uso del mezzo di trasporto privato nelle aree
centrali della città e quindi i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico;
• interagire con tutti i mezzi di trasporto pubblico: bus, navigazione ed, in futuro,
treno (dopo la realizzazione del Movicentro della stazione ferroviaria di
Fondotoce- Verbania);
• ridurre gli ostacoli fisici territoriali che oggi impediscono lo sviluppo dell’uso
della bicicletta.

67
L’unico operatore che fornisce questo sitema in città dalle dimensioni comparabili a quelle di
Verbania.

123
Tali obiettivi, insieme alla dislocazione delle ciclostazioni, particolarmente rivolte verso
le ‘centrali di mobilità’ ed atte a favorire l’uso della bicicletta come mezzo multimodale,
permettono di comprendere meglio le ragioni legate alla scelta del sistema meccanico,
che permette esclusivamente viaggi ‘chiusi’. Gli utilizzi chiusi, cioé quelli in cui la
stazione di prelievo e quella di deposito sono le medesime, rappresentano, nei casi dei
comuni più virtuosi, la metà dei prestiti ma possono tuttavia arrivare anche ad essere
decisamente superiori laddove, per necessità di bilancio, vengono costruite solo poche
ciclostazioni, lontane le une dalle altre.

Il progetto CO2zero, dal costo totale di 147.000 € si è classificato 15° ed è stato


ammesso al finanziamento per 80.000 € (contro gli 88.000 € richiesti). Quello
presentato dal Comune di Verbania è stato l’unico progetto piemontese ad accedere ai
fondi della Fondazione e questa è solo una delle particolarità verbanesi rispetto agli
altri casi piemontesi. Il bando di finanziamento della Fondazione Cariplo, oltre a
concedere una quota percentuale maggiore di finanziamento (il 60% invece che il
50%), lascia la possibilità di decidere quale tipo di iniziative intraprendere per
raggiungere gli obiettivi del bando e, nel caso si sia optato per il bike sharing non pone
vincoli tecnici. Nello scrivere il progetto CO2zero, il Comune di Verbania ha preferito
affidarsi al sistema C’entro in Bici invece che a quello di Bicincittà68, principalmente per
una questione economica. Pur riconoscendo al sistema elettronico i suoi vantaggi, legati
in particolar modo alla flessibilità ed alla possibilità di prelevare la bicicletta in una
stazione e depositarla in un’altra, si è ritenuto che la soluzione meccanica69 fosse la più
adatta alla situazione per via dei suoi costi inferiori.

Rispetto alla soluzione preventivata nel progetto del 2008 (tre stazioni e trenta
colonnine per un costo totale di 95.000 euro), la proposta progettuale di CO2zero
prevedeva 76 biciclette (di cui 30 equipaggiate con il cambio interno al mozzo)

68
Si intende qui il sistema di Smart Bikes della ditta Comunicare S.r.l., da non confondere con
l’omonima associazionie locale di promozione culturale.
69
A cui viene aggiunto il dispositivo elettronico per il calcolo dei prelievi.

124
suddivise in otto stazioni ad un costo totale di 68.715,50 €. Le biciclette sarebbero
inoltre state fornite con una dotazione base dei pezzi di ricambio:

• 20 selle;
• 20 paia parafanghi;
• 100 campanelli;
• 50 fanali anteriori;
• 50 fanali posteriori;
• 10 paia leve freni.

È chiaro che con una scelta del genere la città avrebbe rinunciato in partenza alla
possibilità di integrazione del proprio sistema di bike sharing con il progetto di Biglietto
Integrato Piemonte, mantenendo la possibiltà di integrarsi con altre realtà del sistema
C’entro in Bici come, per il Piemonte, Vercelli, Casale Monferrato, Alessandria e la
Circoscrizione 2 di Torino. È anche vero che il progetto di bigliettazione integrata
piemontese ha subito continui rinvii e dal 2007 ad oggi ancora non è stato chiarito
come sarà realizzata l’integrazione per il bike sharing.

Il progetto CO2zero, così come il progetto dei bike sharing presentato alla Regione nel
corso del 2008, non è in realtà mai partito poiché al cambio di Amministrazione
successivo alle elezioni comunali del 2009 si è ritenuto di revocare le deliberazioni
precedenti che autorizzavano il passaggio all’escecutività del progetto (DelGC n.0266
del 19/10/2009).

In particolare, il Comune di Verbania ha revocato il progetto per:

• l’impossibilità di trovare funzionari comunali disposti a dare disponibilità nel


fine settimana per la distribuzione delle chiavi e per la registrazione degli utenti
(considerando la non convenienza economica ad affidare l’incarico a soggetti
esterni);

125
• l’assenza della previsione, nel progetto CO2zero, di un servizio di
manutenzione del parco biciclette ed il rischio di degrado del servizio senza
l’intervento di un sistema di gestione dal costo stimato di 20.000 € l’anno70.

Le conseguenze economiche della revoca del servizio sono state la spesa di 24.000 € di
finanziamenti già concessi all’associazione Bicincittà e non più coperti dai contributi
della Fondazione e la spesa di 9.300 € per la restituzione delle biciclette che erano già
state consegnate al Comune e che necessitavano solamente dell’installazione delle
ciclostazioni per poter entrare in servizio.

3.2.6. Torino

Nel Capoluogo regionale un servizio di bike sharing partirà, probabilmente, nel mese
di giugno del 2010. È tuttavia già presente sul territorio comunale un piccolo
esperimento di bike sharing, gestito dalla Circoscrizione 2. Il caso della città di Torino,
inoltre, è interessante poiché qui si è verificato un fenomeno opposto a quello
verificatosi nelle grandi città europee dotate di un sistema di bike sharing: se a Parigi e
Lione il servizio che è nato all’interno della città si è ampliato oltre i confini
amministrativi fino ad interessare anche i territori immediatamente prossimi, a Torino
il bike sharing è nato prima in alcuni comuni della prima e della seconda cintura (Patto
Zona Ovest, Nichelino, Settimo Torinese).

La città sabauda aveva cercato di fare partire un servizio di bike sharing da quando, nel
2007 il suo progetto si classificò primo tra quelli partecipanti al “Bando per il
cofinanziamento ai comuni di sistemi di bike sharing in ambito urbano e di

70
I costi di gestione del sistema sono stati probabilmente sovrastimati poiché, ad esempio, Savigliano
spende meno di 5.000 € l’anno per un parco biciclette più ampio e più vecchio (quindi più facilmente
soggetto a usura e bisognoso di una manutenzione maggiore).

126
adeguamento al sistema BIP delle postazioni già esistenti” indetto dalla Regione
Piemonte. Il progetto, che aveva un costo complessivo di 2.652.000 €71 e prevedeva la
nascita di 130 ciclostazioni in città e l’aquisto di 1.300 biciclette per il servizio, ottenne
un punteggio di 95 su 100 e si aggiudicò il cofinanziamento per 975.000 €.
Indicativamente, il progetto intendeva coprire con il suo servizio l’intera area urbana
centrale e semicentrale dalla Stazione Dora a nord fino alla Stazione di Torino
Lingotto a sud, dal fiume Po ad est fino a Piazza Bernini ad ovest.

Gli obiettivi del progetto erano quelli di un incremento di circa il 40% dell’intera
mobilità ciclistica cittadina e di una media di 10.000 giornalieri (che equivalgono a 7,7
spostamenti al giorno per bicicletta). Tali obiettivi si rifanno ai risultati concreti ottenuti
dalla città di Lione attraverso sistema Vélo’v, che in questo caso ancora più che in altri
rappresenta non solo l’idealtipo a cui ispirarsi ma anche il benchmark di riferimento
per quanto riguarda la costruzione del sistema, il tipo di affidamento e di gestione del
servizio ed anche per valutazione dei risultati. Lione viene vista come modello di
riferimento anche per le similitudini in termini di dimensione urbana, morfologia,
domanda di mobilità e mentalità dominante.

Tra gli obiettivi, inoltre, c’era quello di una significativa riduzione delle emissioni
inquinanti (305 tonnellate l’anno per la CO2 e 128 kg l’anno di PM10) derivanti
dall’ipotesi che dei 10.000 spostamenti effettuati in bicicletta, il 30% sia sostitutivo di un
viaggio in automobile.

Per finanziare la parte del sistema di bike sharing non coperta dai fondi regionali il
Comune di Torino aveva previsto di adottare il modello già funzionante a Lione e
Rennes e che sarebbe stato adottato di lì a poco anche a Parigi. Venne aperto un bando
per l’assegnazione del servizio ad una ditta privata per la durata di dodici anni in
cambio di spazi pubblicitari nelle stazioni ferroviarie di Torino, sulla base di quanto

71
Tale importo non include i costi di gestione, manutenzione e promozione del sistema che, secondo il
progetto, sarebbero stati coperti dagli introiti derivanti da abbonamenti e dal pagamento delle tariffe di
uso.

127
fatto nelle altre città europee. Nessuna ditta volle candidarsi ed il bando venne riaperto
con l’introduzione di altri spazi pubblicitari oltre a quelli già previsti nelle stazioni.
Nonostante gli sforzi del Comune non si ebbero i risultati sperati e la gara andò, per la
seconda volta, deserta. Nello stesso periodo anche Milano aveva visto il suo bando per
la fornitura del servizio di bike sharing andare deserto, finendo per intavolare una
trattativa privata con le aziende che, pur non presentando la loro candidatura, si erano
dimostrate interessate. Torino fu tentata di adottare una soluzione simile, riducendo il
numero delle postazioni o aumentando gli spazi pubblicitari in concessione; venne
anche valutata la possibilità di affidare la fornitura e la gestione del servizio alla GTT72.

I continui ritardi nel lancio del sistema hanno fatto sì che i territori confinanti con il
Comune di Torino si organizzassero autonomamente facendo nascere dei loro sistemi
di bike sharing: è il caso delle città della “Patto Teritoriale della Zona Ovest di
Torino”, che il 20 settembre 2008 ha lanciato il sistema Bicincomune e che avrebbe in
prima intenzione preferito aspettare il lancio nella città di Torino per poter studiare
un’iniziativa analoga che garantisse la compatibilità dei due sistemi.

Anche all’interno della città la domanda di un servizio di bike sharing è iniziata a


crescere e si è assistito alla nascita di un sistema di bike sharing di Circoscrizione. La
Circoscrizione 2 (Santa Rita – Mirafiori Nord) ha attivato il 22 ottobre 2008 un sistema
di biciclette pubbliche di seconda generazione, rivolgendosi direttamente al sistema
C’entro in Bici. Sono state così installate sette rastrelliere in diversi punti del quartiere
(che conta oltre 100.000 abitanti) con 52 biciclette in libero servizio, prelevabili
attraverso una chiave che veniva fornita dalla Circoscrizione al costo di 5 euro. Pur non

72
“Bike sharing, il piano non piace ai privati” pubblicato il 21 maggio 2008 sulle pagine di Torino del
quotidiano La Repubblica (pag.9); “Il rebus del bike sharing; Mangone: Sos alle imprese” pubblicato il 1
giugno 2008 sulle pagine di Torino del quotidiano La Repubblica (pag.9); “Bike sharing: nessuna società
si presenta alla seconda gara” pubblicato l’11 febbraio 2009 sulle pagine di Torino del quotidiano La
Repubblica (pag.8); “Arrivano le bici in affitto, c’è l’accordo con GTT”, pubblicato il 15 marzo 2009
sulle pagine di Torino del quotidiano La Stampa (pag.56); “Ambiente, le ciclostazioni scendono a 50”,
pubblicato il 12 agosto 2009 sulle pagine di Torino del quotidiano La Stampa (pag. 53).

128
disponendo dei dati di utilizzo del sistema, si può affermare che l’impatto di queste
biciclette, sparse in pochi punti di uno dei quartieri cittadini è stato marginale. Questo
esperimento, facente parte di un progetto più ampio relativo alla mobilità ciclabile (ed
in particolare alla sua diffusione culturale) nel quartiere Santa Rita – Mirafiori Nord
denominato “Liberalabici” si inserisce nelle azioni messe in atto da Urban 2 su tutto il
quartiere con finanziamenti europei. Tanto la nascita dei sistemi di bike sharing
‘periferici’ quanto quella del sistema circoscrizionale testimoniano una certa
schizofrenia progettuale con i conseguenti problemi che l’atomizzazione delle
esperienza di bike sharing diffuse sul territorio regionale può portare in termini di
inefficienze e di costi di adeguamento.

L’annuncio del lancio del sistema di bike sharing nella Città di Torino previsto per il
mese di giugno 2010 è arrivato grazie all’apertura, per la terza volta, di un bando di
concorso per l’affidamento della gestione del sistema. Le modifiche introdotte nel
terzo bando sono relative alla contropartita pubblicitaria e, soprattutto, al capitale
sociale necessario per la partecipazione, che venne ridotto da 5 milioni di euro a 2,5
milioni. In tal modo, Comunicare S.r.l., già gestore del bike sharing in gran parte del
territorio piemontese (attraverso il sistema Bicincittà), ha potuto aggiudicarsi anche il
servizio nella città di Torino.

La concessione del servizio di bike sharing nella Città di Torino, della durata di 12 anni
e composto da 116 stazioni e 1160 biciclette viene data a condizione che il gestore
garantisca:

• la fornitura e la messa in opera degli elementi necessari del sistema;


• i collegamenti ai sottoservizi (energia elettrica, ecc...);
• la manutenzione permanente, sia ordinaria che strordinaria;
• la completa gestione del sistema, ivi comprese le relazioni con gli utenti;
• la riscossione degli introiti derivanti dal servizio;
• le spese e gli oneri relativi alla promozione ed al funzionamento del servizio.

Il Concessionario del servizio, inoltre, avrà la possibilità di sfruttare commercialmente


per i 12 anni di durata del contratto 27 nuovi impianti pubblicitari distribuiti sul

129
territorio comunale che dovrà progettare, fornire ed installare a proprie spese. Tali
impianti avranno dimensione 6,00 x 3,00 metri e saranno bifacciali.

La prima particolarità del bike sharing torinese rispetto al panorama regionale è


proprio la concessione di spazio pubblicitario in cambio della fornitura del servizio: un
modello già presente in Europa (Rennes, Lione e Parigi) ed in Italia (Milano).

La seconda particolarità sarà legata al tipo di servizio che, seppur gestito dallo stesso
Concessionario della maggior parte dei casi piemontesi, sarà unico a livello regionale.
In particolare, il Bando di concessione indica alcuni requisiti delle biciclette non
compatibili con il modello di bicicletta fornito fino ad ora da Bicincittà.

Per quanto riguarda il design, questo dovrà essere “facilmente riconoscibile” e dovrà
differenziarsi a vista dagli altri modelli di biciclette sul mercato. Le biciclette, inoltre,
dovranno essere dotate di “cambio di velocità con almeno due rapporti, senza
deragliatore”, laddove il servizio Bicincittà ha sempre fornito biciclette singlespeed
oppure con deragliatore posteriore esterno al mozzo. Infine, per quanto riguarda
l’illuminazione, il Bando prescrive “luci anteriori e posteriori automaticamente accese
durante ogni utilizzo della bicicletta”. Questo sembra poter escludere l’impiego di
dinamo esterne ma l’inserimento interno della dinamo con avvio automatico e
mantenimento della luce in sosta, così come avviene nei modelli di biciclette fornite da
JCDecaux e Clear Channel.

Il bike sharing torinese dovrà inoltre fornire alcuni servizi complementari:

• un servizio di movimentazione delle biciclette, da effettuarsi tramite veicoli


ecologici (elettrici, ibridi oppure funzionanti a metano o gpl);
• un servizio di assistenza alla clientela con la nascita di un Numero Verde
dedicato, per la raccolta di segnalazioni e richieste da parte degli utenti;
• un servizio di riparazione delle biciclette, da installare nel territorio comunale.

Per quanto riguarda l’accesso al servizio, che dovrà essere possibile 24 ore su 24, il
Comune ha già fissato le quote di abbonamento e le tariffe che il Gestore dovrà
applicare: l’abbonamento annuale dovrà costare 20,00 €; gli abbonamenti di breve

130
durata setrtimanale e giornaliero costeranno, rispettivamente, 5,00 e 2,00 euro. Le
tariffe di uso partiranno solo dalla seconda mezz’ora e si aggireranno intorno a 1,50 €
ogni 30 minuti.

È stata fissata inoltre una tabella delle penalità che dovranno essere pagate dal
Concessionario in caso di malfunzionamenti o perdita di efficacia del servizio. Tra le
altre condizioni, la disponibilità delle biciclette (il rapporto tra le biciclette
effettivamente in funzione ed il numero di biciclette stabilite dal contratto) non dovrà
scendere sotto il 95%, pena il pagamento di € 500 per ogni punto percentuale inferiore
a tale soglia.

Il sistema di bike sharing torinese, che è stato chiamato “[To]Bike”, è ora alla sua fase
promozionale, e non si conoscono ancora alcuni dei dettagli con i quali verrà lanciato.
Anche la collocazione delle ciclostazioni, seppur definita dal contratto, è in fase di
revisione insieme all’Amministrazione Comunale. Anche [To]Bike, così come gli altri
bike sharing piemontesi, sarà teconogicamente pronto per essere compatibile con il
Biglietto Integrato Piemonte, in attesa che si definiscano meglio metodi e tempi per
l’integrazione del bike sharing con gli altri sistemi di pubblico trasporto.

131
132
4. CONCLUSIONI, ALLA RICERCA DI
UN IDEAL-TIPO

“Una bici non si ama,


si lubrifica”

P. Conte, Velocità silenziosa

133
4.1. BIKE SHARING E SPECIFICITÀ TERRITORIALI

La diffusione di biciclette pubbliche è un fenomeno recente e sempre più frequente. Il


Piemonte è in Italia tra le regioni in cui questo fenomeno è più evidente ed il numero
di utilizzatori del servizio è in continua crescita. Nel corso di questo lavoro si sono
identificate alcune cause che possono aver portato alla nascita di una nuova e diversa
domanda di mobilità ed all’istituzione di servizi di bike sharing come risposta a questa
domanda. Si è spesso fatto riferimento ai sistemi di terza generazione francesi come
modelli di riferimento, caricandoli talvolta di connotati idealtipici per vari aspetti della
loro implementazione e gestione.

Nonostante questo, al termine dell’analisi svolta è evidente come tali modelli non
possano essere validi per tutte le situazioni territoriali. In Piemonte, ad esempio, solo
Torino ha potuto ambire alla concessione di spazi pubblicitari in cambio del servizio e
l’operazione è stata lunga (due gare d’appalto andate deserte) e difficoltosa. Inoltre, la
rinegoziazione dei termini del contratto di fornitura tra la città di Parigi e JCDecaux
firmata nel novembre del 2009 ha palesato una crisi nel modello che prevede la
fornitura del servizio in cambio di spazi pubblicitari. Quello che appare problematico è
la concessione di spazi pubblicitari per la fornitura del servizio, non la gestione del
servizio ad opera delle compagnie di advertising, i cui risultati sono quasi
unanimamente considerati buoni.

In Piemonte, tra i vari modelli di bike sharing disponibili, quello di Bicincittà è emerso
con forte prevalenza. I motivi di tale sviluppo sono da ricercarsi non solo nella qualità
del servizio fornito (Bicincittà è l’unico sistema italiano di terza generazione) e nel
tentativo di imitazione dei modelli già funzionanti (memetica), ma anche nel
finanziamento regionale la cui concessione era vincolata alla condizione per la quale il
progetto doveva rispondere a delle specificità tecniche alle quali, per il momento, solo
Bicincittà può far fronte.

134
Fino ad ora si parlato di sistema di bike sharing per tutte le città che in possesso
almeno di una stazione di biciclette pubbliche prelevabili senza dover passare da un
front office. Se si volesse essere un po’ più rigorosi, si dovrebbe parlare di servizio di
bike sharing laddove viene concessa la possibilità di usare una bicicletta pubblica, e
riservare la definizione di sistema di bike sharing per le situazioni nelle quali i punti di
servizio di bike sharing sono interconnessi tra di loro rispondendo appunto ad una
logica di sistema. Un servizio come quello del modello C’entro in Bici rimarrebbe, in
quest’ottica, escluso dai sistemi di bike sharing, in quanto fornisce semplicemente una
bicicletta che viene prelevata da una stazione, utilizzata ed infine restituita nello stesso
stallo. Altre situazioni ci portano a condurre dei ragionamenti analoghi. Se per città
come Borgomanero o Druento – entrambe con una sola postazione di bike sharing -
può esistere qualche dubbio sul fatto che il servizio abbia alcune caratteristiche
sistemiche (in quanto inserito in un sistema integrato), tali dubbi non esistono neppure
prendendo in considerazione il caso di Biella, città monostazione nella quale il servizio
non rappresenta certamente un sistema.

La sistematicità del servizio è dunque uno dei fattori di successo per le iniziative di bike
sharing. Un elemento fondamentale della sistematicità è relativo alla taglia critica di
investimento, sotto la quale il sistema di bike sharing perde di efficacia e risulta
estremamente costoso. I sistemi che hanno avuto maggior successo, infatti, sono quelli
che hanno saputo sviluppare molte postazioni e molte stazioni.

Per quanto riguarda la ciclabilità cittadina, il bike sharing ha dimostrato di poter essere
di enorme importanza in casi come quello di Lione, dove in seguito all’introduzione
del sistema Vélo’v, l’incremento di ciclabilità totale è stato misurato attorono al 40%.
Bisogna comunque considerare il bike sharing come elemento che esprime il suo
massimo potenziale quando viene integrato e contornato da altre iniziative per il
miglioramento della ciclabilità urbana. Solo così la ciclabilità privata gode degli effetti
esterni positivi delle iniziative di bike sharing: più piste ciclabili, più cultura della
bicicletta e più attenzione ai problemi dei ciclisti nella pianificazione delle città.

135
Inoltre, il caso di Savigliano ha dimostrato come il coinvolgimento di attori nel progetto
può aumentarne l’efficacia. Attori pubblici e privati, associazioni di categoria e
fondazioni bancarie non solo hanno contribuito finanziariamente alla creazione del
sistema di bike sharing di Savigliano, ma si sono voluti coinvolgere nel progetto
contribuendo alla creazione di quella comunità che è alla base del mantenimento del
bene collettivo (Ostrom, 1990).

4.2. PIANIFICAZIONE COMUNALE E USO CONDIVISO:


IL BIKE SHARING IN PIEMONTE È SEMPRE UNO
SHAREABLE GOOD?

Le iniziative di bike sharing permettono ai cittadini di utilizzare una bicicletta per i loro
movimenti quotidiani all’interno delle città. La differenza con i sistemi di noleggio è
stata identificata nella rimozione delle barriere che ostacolano il prelievo della
bicicletta: se per noleggiare una bicicletta è necessario ogni volta presentarsi ad un front
office, fornire le proprie generealità e talvolta pagare una cauzione ed una tariffa, nei
sistemi di bike sharing questa procedura deve essere svolta solo la prima volta, al
momento dell’iscrizione al servizio. Quando la chiave o la tessera per l’accesso è stata
fornita l’utente può, nei limiti degli orari definiti dal regolamento, accedere
direttamente alle biciclette. È possibilie definire il bike sharing anche in un’altra via,
che è quella dei ‘gradi di condivisione’ definiti da Orsi (2009). Un sistema di bike
sharing dovrebbe essere, secondo questa teoria, un sistema aperto ed accessibile a tutti,
altamente organizzato e dotato di infrastrutture proprie, in cui il ‘grado di condivisione’
sia massimo. In base a questi requisiti, è difficile poter definire ‘shareable good’ ogni
sistema di bike sharing piemontese, non tanto per l’inaccessibilità quanto più per la sua
scarsa complessità.

136
Il tempo di prelievo delle biciclette, inoltre, dovrebbe essere legato semplicemente al
loro effettivo uso. Nei casi piemontesi si è visto come questo non corrisponda sempre
alla realtà. Un numero ristretto di stazioni distribuite sul territorio a lunga distanza le
une dalle altre, ma soprattutto l’assenza di costi supplementari per i prelievi di lunga
durata sono tra le cause che più incidono sulla durata dei prelievi. Un prelievo di lunga
durata rende indisponibile la bicicletta per un altro prelievo, e questo può indebolire il
servizio, congestionandolo.

COMUNE UTILIZZI < 1 h USO GRATUITO


Savigliano 52 % Sì
Settimo T.se 54 % Sì
Pinerolo 55 % Sì
Chivasso 78 % Sì
Druento 79 % No
Nichelino 83 % No
Venaria 83 % No
Rivoli 89 % No
Collegno 94 % No
Grugliasco 95 % No
Tabella 4.1.:Tempi di utilizzo in alcune città Piemontesi
(Fonti: “Rapporto Bicincittà”, Provincia di Torino, 2009 e
“Rapporto sulla Mobilità Urbana e Sostenibile”, Città di Savigliano, 2008)

La tabella 4.1 mostra i tempi di utilizzo delle biciclette pubbliche in Piemonte. Specie
se paragonati a quelli di un vero e proprio sistema di condivisione di quarto grado,
quale è quello di Parigi, in cui il tempo medio di utilizzo è stato stimato essere 18

137
minuti73, nelle città in cui mancano disincentivi economici per la ricnosegna delle
biciclette, questi tempi sono troppo elevati.

4.3. DIRITTO ALLA MOBILITÀ, BIKE SHARING E


GIUSTIZIA SOCIALE

Un’ultima questione è quella che collega le iniziative di bike sharing con le


problematiche del diritto alla mobilità e a quelle di giustizia sociale. Tale riflessione
meriterebbe un’analisi ben più approfondita, specie per quanto riguarda le sue
conseguenze sulle grandi metropoli. In ambito urbano, la mobilità è considerata un
diritto inalienabile di ogni cittadino, a patto che questa rispetti il pubblico interesse non
provochi esternalità eccessivamente elevate sorpattutto riguardanti i livelli di
congestione, rumore ed inquinamento. Ma il diritto alla mobilità non si ferma qui: esso
investe anche il potere pubblico, richiedendo che vengano messe in atto iniziative
perché questo diritto sia sempre di più reale e non solo teorico. Molte categorie sono
oggi di fatto allontanate dalla possibilità di poter fruire di una piena mobilità per
svariate motivazioni e per handicap economici, sociali, fisici e psicologici. In molti casi,
essi non hanno a disposizione i mezzi privati per muoversi, o sono lontani dalle zone
servite dal trasporto pubblico. In tutte queste situazioni il potere pubblico ha il dovere
di aiutare i cittadini permettendo loro un pieno godimento del diritto alla mobilità.

Il bike sharing può, sulla carta, essere una delle soluzioni adottabili in quest’ottica viste
le sue caratteristiche di flessibilità. Per poter usare la bicicletta pubblica come mezzo di
mobilità non è sufficiente essere nelle condizioni fisiche per poter pedalare. Se molto è

73
“Enquête de satisfaction conduite par TNS Sofres” disponibile sul sito web:
http://www.velib.paris.fr/Les-newsletters/10-Aujourd-hui-nous-vous-connaissons-mieux-! (controllato il 20
febbraio 2010 alle ore 12.03)

138
stato fatto per tenere basso il costo a carico dell’utente del servizio di bike sharing,
permettendo così di superare la barriera economica al godimento del diritto alla
mobilità, tanti altri ostacoli sono ancora difficili da superare: l’accessibilità è, tra tutti,
forse il più grosso. Escludendo i casi di poche città, le stazioni di bike sharing sono
localizzate soprattutto nelle zone centrali: si pensi a Milano, dove la sperimentazione di
bike sharing è confinata alla Cerchia dei Bastioni, comprendendo solo una piccola
porzione del territorio cittadino. Coloro che risiedono in una zona semi-periferica
oppure periferica hanno molte difficoltà ad accedere al servizio vista la lontanza dalle
stazioni. Inoltre, la ciclabilità delle vie cittadine è generalmente molto più facile nelle
zone centrali, per via delle pedonalizzazioni e dell’imposizione di limiti al transito degli
autoveicoli privati; la mancanza di sicurezza per un ciclista che si muove in periferia
può essere un ulteriore limite al godimento della possibilità di muoversi con il bike
sharing.

Il modello prevalente di finanziamento del bike sharing nelle metropoli è quello che
prevede la fornitura del servizio in cambio della concessione di spazi pubblicitari in
città: anche questo aspetto può avere ripercussioni relative alla giustizia sociale.

139
Figura 4.1.: Probabile localizzazione delle stazioni di bike sharing (in giallo)
e degli impianti pubblicitari forniti al Concessionario (in grigio)

La figura 4.1. mostra con chiarezza l’esempio torinese: anche se le scelte relative alla
loro localizzazione sono per il momento ancora non definitive, le 116 ciclostazioni

140
copriranno capillarmente tutto il centro storico, mentre gli impianti pubblicitari
saranno localizzati esclusivamente in periferia, in luoghi non coperti dal servizio di bike
sharing. Da un lato questo è inevitabile: dovendo scegliere di localizzare un numero
limitato di stazioni sul territorio si è preferito concentrarle nel centro città, dove
converge la domanda di mobilità di molta gente: abitanti del centro, delle periferie e
dei comuni limitrofi che si muovono quotidianamente verso Torino per motivi di
lavoro o di studio. Inoltre, l’impatto della cartellonistica pubblicitaria è molto meno
negativo in alcune zone periferiche e va considerato anche il fatto che le zone centrali
sono spesso sottoposte a vincoli per quanto riguarda l’installazione di nuovi impianti
pubblicitari.

Tutto questo va considerato anche alla luce del fatto che l’incremento dei costi delle
abitazioni dei centri storici verificatosi negli ultimi trent’anni ha reso necessario per un
numero crescente di persone l’allontanamento dalla città verso zone via via più
periferiche e dal costo della vita meno caro. Proprio costoro sono quelli che più
avrebbero bisogno di vedere abbattuti i limiti che impediscono il pieno godimento del
loro diritto alla mobilità, ed invece si trovano in questi casi ad essere sottoposti a nuovi
cartelloni pubblicitari ed a fare i conti con un’Amministrazione che occupa risorse
pubbliche per creare un sistema utile in primo luogo agli abitanti del centro oppure ai
pendolari.

Non è un caso che a Parigi le biciclette Vélib’ siano diventate “fétiches des bobos”, così
come titolava un articolo dell’editorialista di Le Monde Bertand Le Gendre il 13
giugno 2009.

François Ascher inserisce il diritto alla mobilità tra le sette sfide che le metapolis
dovranno affrontare, soffermandosi sulle questioni relative alla giustizia sociale:

“L’un des paradoxes d’ailleurs, dans un certain nombre de grandes


villes aujourd’hui, est que des catégories de population modestes,
qui sont allées chercher assez loin un peu plus d’espace habitable,
sont très dépendantes de l’automobile, tandis que les couches
moyennes supérieures, revenues dans les parties centrales des villes

141
où elles trouvent l’habitat, les emplois et les diverses activités qui
correspondent à leurs exigences, utilisent abondamment les
transports collectifs, les vélos et la marche” (Ascher, 2007).

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