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Modellazione delle Conseguenze di Incidenti Industriali Prof. R.

Rota 2004

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Modellazione delle Conseguenze di
Incidenti Industriali




Prof. Renato Rota
2004

Modellazione delle Conseguenze di Incidenti Industriali Prof. R. Rota 2004

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Sommario

1 I ntroduzione __________________________________________________________ 3
2 Modelli di sorgente_____________________________________________________ 4
2.1 Efflusso monofase liquido ___________________________________________ 6
2.2 Efflusso monofase gassoso___________________________________________ 7
2.3 Efflusso bifase_____________________________________________________ 7
2.4 Flash ___________________________________________________________ 13
2.5 Formazione di aerosol e rain-out ____________________________________ 14
2.6 Evaporazione da pozza ____________________________________________ 16
2.7 Dimensione della pozza ____________________________________________ 19
3 Dispersione __________________________________________________________ 22
3.1 Modelli di simulazione: generalit ___________________________________ 24
3.2 Cenni di fisica dellatmosfera _______________________________________ 25
3.3 Modelli gaussiani _________________________________________________ 30
3.4 Modelli integrali __________________________________________________ 35
3.5 Modelli tridimensionali ____________________________________________ 42
3.6 Rilasci sottomarini ________________________________________________ 46
4 Esplosioni ed incendi __________________________________________________ 54
4.1 Esplosioni di nubi inconfinate (UVCE) _______________________________ 65
4.1.1 Metodo del TNT equivalente _____________________________________ 66
4.1.2 Modello TNO_________________________________________________ 70
4.1.3 Modello Multi Energy_________________________________________ 71
4.1.4 Metodo di Baker Strehlow _____________________________________ 73
4.1.5 Confronto tra i diversi approcci ___________________________________ 75
4.2 Esplosioni puntuali________________________________________________ 79
4.3 Esplosioni fisiche _________________________________________________ 80
4.4 Incendi da pozza (pool fire)_________________________________________ 81
4.5 Fiamme da getti turbolenti (jet flame) ________________________________ 91
4.5.1 Confronto tra le previsioni dei diversi modelli. ______________________ 102
4.6 Sfere di fuoco (fireball) ___________________________________________ 104
5 Conclusioni _________________________________________________________ 109
6 Bibliografia_________________________________________________________ 110

Modellazione delle Conseguenze di Incidenti Industriali Prof. R. Rota 2004

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1 Introduzione
Lanalisi delle conseguenze di incidenti industriali riveste unimportanza molto rilevante
nellanalisi di rischio di un insediamento industriale. Infatti, lestensione dei danni conseguenti ad
un evento incidentale pu essere quantificato solo sulla base di una modellazione delle conseguenze
dellevento stesso. Purtroppo, i risultati di queste valutazioni hanno un certo grado di incertezza a
causa della natura stessa dellevento incidentale. Infatti solitamente possibile effettuare solo una
stima abbastanza grossolana di alcuni fattori che determinano lentit delle conseguenze. I
principali di questi fattori si riferiscono a:
caratteristiche geometriche del rilascio in ambiente (per esempio le dimensione della rottura
di una tubazione);
propriet del materiale rilasciato in ambiente a seguito dellincidente (per esempio,
temperatura, pressione, composizione);
incompleta rappresentazione dei fenomeni chimico fisici descritti nel modello di
simulazione utilizzato.
La breve discussione riportata in questa relazione non vuole essere unillustrazione dettagliata ed
esaustiva dei modelli disponibili. Si presuppone infatti una conoscenza almeno di base dei principali
modelli di simulazione delle conseguenze di eventi incidentali, che non verranno quindi discussi in
questa nota. Rassegne anche abbastanza recenti sono reperibili in Crowl e Louvar (1990), TNO
(1997), Fthenakis (1993), Lees (1996), CCPS (2000).
Lobiettivo piuttosto quello di richiamare lattenzione dellutilizzatore di questi modelli di
simulazione sulle problematiche, a volte nascoste, che possono condizionare in modo significativo i
risultati della simulazione e quindi, in ultima analisi, dellanalisi di rischio. Le incertezze insite
nella stima delle conseguenze di un evento incidentale vengono infatti solitamente gestite
assegnando dei valori conservativi ad alcuni parametri presenti nei modelli di simulazioni in modo
tale che il risultato finale del calcolo sia conservativo. Ne risulta che la scelta oculata di tali
parametri fondamentale non solo per evitare una sottostima delle conseguenze, ma anche
uneccessiva sovrastima delle conseguenze stesse che porterebbe a un inutile spreco di risorse.
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2 Modelli di sorgente
Molti incidenti in ambito industriale iniziano con il rilascio di una certa quantit di sostanze
tossiche o infiammabili in atmosfera. Il calcolo della portata scaricata a seguito di un incidente,
della quantit totale rilasciata, della durata dello scarico e della fase in cui la sostanza scaricata si
trova (cio, complessivamente, la valutazione del termine di sorgente di un incidente) una delle
fasi pi critiche per la stima delle conseguenze degli eventi seguenti, quali la dispersione in
atmosfera, lincendio o lesplosione della sostanza scaricata.
Ai fini della modellazione, i rilasci in atmosfera possono essere suddivisi in due tipologie: istantanei
e continui. Ovviamente, nessun fenomeno realmente istantaneo, ma pu essere cos approssimato
quando la durata dello scarico molto inferiore ai tempi caratteristici dei fenomeni successivi,
tipicamente la dispersione in atmosfera il cui tempo caratteristico pu essere stimato come il
rapporto tra la distanza della sorgente dal ricettore e la velocit del vento. Quindi, mentre il collasso
di un recipiente viene solitamente modellato come un rilascio istantaneo, il rilascio da una rottura
non catastrofica viene considerato istantaneo se t
S
<<d/u
v
(dove t
S
la durata dello scarico, d la
distanza tra la sorgente e il ricettore considerato e u
v
la velocit media del vento) e continuo se
t
S
>>d/u
v
. I rilasci continui possono a loro volta essere suddivisi in rilasci stazionari e transitori.
Anche in questo caso ovviamente la distinzione deve essere intesa dal punto di vista del modello
utilizzato per la stima del termine di sorgente, in quanto tutti i rilasci sono intrinsecamente non
stazionari. Daltro canto, un rilascio attraverso una piccola apertura che non modifica
significativamente le condizioni operative nelle apparecchiature a monte pu essere
ragionevolmente considerato stazionario.
In generale i modelli di sorgente sono utilizzati per stimare la portata e la quantit totale scaricata, la
frazione di flash e la formazione di aerosol, la portata di evaporazione da una pozza di liquido.
Questi dati sono necessari per la successiva valutazione della dispersione in atmosfera, come
riassunto nella Figura 1.
La prima valutazione da effettuare riguarda la fase che viene scaricata: liquido, gas o miscela bifase.
La fase della sostanza scaricata non dipende in modo univoco dalla posizione della rottura ma anche
dalle condizioni operative allinterno del recipiente. Nel caso di un recipiente pieno di gas
pressurizzato si avr il rilascio di una fase gassosa, che pu eventualmente condensare parzialmente
a seguito dellespansione, qualunque sia la posizione della rottura. Viceversa, in presenza di due
fasi allinterno del recipiente (liquido e vapore) nel caso di rottura nella parte alta del recipiente a
contatto con la fase gassosa si potr avere lefflusso non solo di una fase vapore ma anche di una
miscela di liquido e vapore, cio di un fluido bifase. Questo avviene quando si ha lo sviluppo di una
gran quantit di bolle di gas o vapore allinterno della fase liquida con la conseguente formazione di
una schiuma. Se la schiuma che si forma raggiunge il punto di efflusso si ha lo scarico di una
miscela bifase. Analogamente, il fatto che lefflusso avvenga in corrispondenza della parete bagnata
del liquido, cio nella parte bassa del recipiente, non garantisce che il materiale scaricato sia in fase
liquida. Se la temperatura di ebollizione normale (cio a pressione ambiente) del liquido scaricato
inferiore alla temperatura ambiente si ha una rapida evaporazione di parte del liquido (flash) con
conseguente scarico di una miscela bifase. Testi di termodinamica dellingegneria chimica o un
qualsiasi software commerciale di simulazione di processo possono fornire le informazioni
necessarie sul comportamento di fase di un fluido, sia puro sia in miscela.
Per valutare le condizioni del fluido scaricato necessario conoscere la trasformazione
termodinamica che il fluido compie durante il processo di scarico, partendo dalle condizioni
allinterno dellunit di processo fino a uno stato finale, solitamente a pressione atmosferica.

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Figura 1: diagramma logico relativo al rilascio e dispersione di una sostanza.
Lo stato finale dipende dallanalisi che si vuole effettuare: se si considera come stato finale il getto
di fluido in movimento (per esempio lo scarico di un gas attraverso una valvola di sicurezza che va
a formare un getto) la trasformazione pu solitamente essere considerata isoentropica, mentre se lo
stato finale viene considerato in quiete (per esempio una pozza di liquido) la trasformazione pu
essere approssimata come isoentalpica. In ogni caso un bilancio di energia, accoppiato con delle
relazioni di equilibrio termodinamico nel caso in cui si abbia la presenza di una miscela bifase (un
fluido puro in condizioni di equilibrio alla temperatura di ebollizione normale, mentre una miscela
cambia continuamente la sua composizione dalla temperatura di bolla a quella di rugiada; la
presenza di una miscela bifase si pu avere per levaporazione di parte di un liquido o per la
condensazione di parte di un vapore durante il processo di scarico), consentono la valutazione dello
stato del fluido scaricato.
A parte le condizioni del fluido scaricato, la valutazione della portata scaricata richiede lassunzione
di una sezione di scarico. Se il rilascio avviene attraverso un dispositivo di scarico di emergenza la
sezione nota, mentre se si ipotizza una rottura la dimensione deve essere ipotizzata sulla base della
tipologia di incidente analizzata (per esempio, rottura di un tronchetto di tubazione, perdita da
flangia, collasso catastrofico di un recipiente). Non vi un consenso generale sulla sezione di
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rottura da ipotizzare. Alcuni dei suggerimenti proposti per il caso di rottura di tubazioni (si veda per
esempio World Bank, 1985) sono i seguenti:
20% e 100% del diametro della tubazione;
2 e 4 per la rottura di una qualsiasi tubazione;
0.2, 1, 4 e 6 per tubazioni di diametro inferiore ai 6;
a seconda del diametro della tubazione:
o per tubazioni fino a 1.5 assumere un foro di 5 mm e 100% del diametro;
o per tubazioni da 2 a 6 assumere un foro di 5 mm, 25 mm e 100% del diametro;
o per tubazioni da 8 a 12 assumere un foro di 5 mm, 25 mm, 100 mm e 100% del
diametro;
Si vede come le assunzioni possono essere anche marcatamente differenti, portando di conseguenza
a significative differenze nella stima finale delle conseguenze. Considerazioni analoghe valgono per
la rottura di recipienti o perdite da flange. Purtroppo, come detto, non vi un consenso unanime
sulle ipotesi migliori per definire la sezione di scarico. Lanalista deve quindi effettuare una scelta e
motivarla adeguatamente sulla base delle ipotesi incidentali effettuate.
Analoghi problemi nascono nella definizione della durata del rilascio. Nonostante siano molto
utilizzate delle assunzioni generali (tipo 3 o 10 minuti) per tutte le situazioni, poich le conseguenze
finali possono essere condizionate in modo significativo dalla durata del rilascio esso dovrebbe
essere stimato sulla base dei tempi caratteristici dei sistemi di rilevazione della perdita e di
intervento per lisolamento della sezione interessata dalla perdita realmente esistenti nellimpianto
analizzato.
Unaltra assunzione usuale quella di calcolare la portata scaricata nelle condizioni iniziali,
trascurando il fatto che solitamente si ha un rilascio non stazionario la cui portata diminuisce col
passare del tempo a causa della depressurizzazione delle unit dimpianto a monte e valle della
rottura. Il considerare solo la portata iniziale conduce a valutazioni conservative, che possono per
essere eccessivamente gravose. Analoghe considerazioni valgono per la presenza sulla linea di
collegamento tra il punto di rottura e lunit dimpianto di pompe, valvole o altre restrizioni che
possono limitare la portata scaricata
2.1 Efflusso monofase liquido
Seguendo lo schema logico riassunto in Figura 1, consideriamo come primo caso lefflusso di un
liquido sotto raffreddato, cio tale che la sua temperatura di ebollizione normale sia superiore sia
alla temperatura ambiente sia alla temperatura del fluido. Il fluido scaricato rimane quindi liquido, e
la sua portata definita da diverse variabili in funzione della posizione dellefflusso. Se si tratta di
un foro in un recipiente la portata viene definita dalla pressione nel serbatoio, dal battente di liquido
e dalla dimensione del foro. Se viceversa la rottura avviene in una tubazione, la portata dipende
dalla configurazione del sistema a monte.
Lequazione di partenza in tutti i casi il bilancio di energia meccanica in regime stazionario:
0
2 2
2 2
= + +

u
K z g
u dP
f


dove indica una differenza tra una sezione dellimpianto e la sezione a valle della perdita, P la
pressione, la densit, u la velocit, z la quota e la sommatoria rappresenta le perdite di carico per
attrito, cio la velocit di trasformazione irreversibile di energia meccanica in energia termica,
dovuta al flusso lungo le tubazioni, gomiti, valvole, orifizi, entrata e uscita dalle tubazioni, ecc. I
valori dei coefficienti K
f
possono essere calcolati attraverso il fattore di attrito di Fanning per il
flusso nelle tubazioni e con metodi analoghi per ciascun raccordo (si veda per esempio Perry e
Green, 1998; Hooper, 1981; 1988).
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Per il caso di liquidi incomprimibili (in cui quindi lintegrale presente nel bilancio di energia
meccanica pu essere facilmente risolto essendo la densit costante), approssimando le perdite di
carico attraverso un coefficiente di efflusso C
D
, costante e definito come:

+ = + +

z g
dP
C
u
K z g
dP
D f

2
2
2

si giunge alla classica espressione per la portata massica scaricata, Q, attraverso un foro in un
serbatoio di sezione A:

= = z g
P
A C A u Q
D

2

Il coefficiente di efflusso per moto pienamente turbolento (Re > 30000) attraverso un orifizio a
spigolo vivo assume valori compresi tra 0.6 e 0.64; il valore usualmente impiegato 0.61. In
situazioni in cui il valore del coefficiente di efflusso non noto o calcolabile in modo affidabile
opportuno scegliere un valore unitario per massimizzare la portata scaricata e quindi ottenere
risultati conservativi.
2.2 Efflusso monofase gassoso
Anche nel caso di efflusso gassoso la portata scaricata definita da diverse variabili in funzione
della posizione dellefflusso. Se si tratta di un foro in un recipiente la portata viene definita dalla
pressione nel serbatoio e dalla dimensione del foro. Se viceversa la rottura avviene in una
tubazione, la portata dipende dalla configurazione del sistema a monte.
In questo caso per risolvere lintegrale presente nel bilancio di energia meccanica necessario
definire il legame tra P e nella trasformazione termodinamica che il fluido compie durante il
processo di scarico. Assumendo che tale legame sia quello di una trasformazione isoentropica,
cost / =

P , possibile ottenere semplici relazioni per lefflusso attraverso un orifizio. La portata


scaricata attraverso un orifizio aumenta al diminuire della pressione a valle dell'apertura fino a
raggiungere un valore massimo in corrispondenza di un valore critico di P:
1
1
0 0
1
2

+

+
=

P A C Q
D

dove il pedice 0 indica le condizioni all'interno del recipiente. Per un gas perfetto una pressione
interna di circa 2 bar sufficiente per raggiungere le condizioni di scarico sonico allatmosfera,
mentre per un gas reale servono circa 2.4 bar. Per un gas perfetto il coefficiente pari a 1.67 per
gas monoatomici, 1.4 per biatomici e 1.32 per triatomici. Per gas reali l'esponente che mette in
relazione pressione e densit in una trasformazione isoentropica diverso da tale rapporto e varia
solitamente tra 1.1 e 1.8.
Come valore di prima approssimazione viene solitamente utilizzato un valore di 1.4. Linfluenza del
coefficiente di efflusso sulla portata scaricata in realt non eccessivo, come mostrato in Figura 2.
Per il coefficiente di efflusso valgono le stesse considerazioni fatte per il caso di scarico di fluidi
incomprimibili.
Lefflusso lungo un tubazione pu essere valutato considerando due situazioni limite: efflusso
isotermo e adiabatico. La scelta pi opportuna quella adiabatica, poich porta a una sovrastima
della reale portata scaricata.
2.3 Efflusso bifase
Lefflusso di una miscela liquido vapore pu essere originato da due diversi fenomeni: una
parziale evaporazione della fase liquida che viene scaricata (flash) o un rigonfiamento del volume
della fase liquida nel recipiente dovuta alla formazione di schiuma che raggiunge il punto di
efflusso. Il primo fenomeno tipico dei gas liquefatti per compressione che, durante lo scarico,
sperimentano pressioni via via decrescenti fino al valore ambiente. Il secondo fenomeno pu
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avvenire quando si ha lo sviluppo di una gran quantit di bolle di gas o vapore allinterno della fase
liquida con la conseguente formazione di una schiuma sopra linterfaccia tra il liquido e il vapore.
La rapida formazione di bolle in seno al liquido pu avvenire o a causa di una reazione chimica
(esotermica, con formazione quindi di vapore, o con prodotti di reazione incondensabili) o a causa
di una vivace ebollizione del liquido contenuto a seguito di una rapida depressurizazione. In
entrambi i casi, la presenza di liquidi intrinsecamente schiumosi (quali quelli contenenti tensioattivi
anche in tracce) o viscosi (con viscosit superiore ai 500 cP) esalta la probabilit di avere un
efflusso bifase.

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8
0.9
0.92
0.94
0.96
0.98
1
1.02
1.04
1.06
1.08
1.1

Q
(


)

/

Q
(


=

1
.
4
)

Figura 2: rapporto tra la portata calcolata per un efflusso gassoso sonico al variare di e quella
calcolata per = 1.4.
Il moto di una miscela bifase ha molti aspetti comuni al moto di un gas. In particolare, in entrambi i
casi si deve tenere conto della compressibilit del fluido e la portata massica scaricata presenta un
massimo al diminuire della pressione esterna in condizioni critiche.
Il calcolo della portata bifase scaricata attraverso un orifizio o una tubazione presenta per un
elevato grado di complessit correlato con il grande numero di fenomeni coinvolti (trasferimento di
energia, materia e quantit di moto tra le fasi, raggiungimento o meno dellequilibrio
termodinamico, presenza di fenomeni di attrito) e con la difficolt di elaborare modelli matematici
in grado di descrivere ci che accade in maniera sufficientemente precisa ed essere, al contempo,
facilmente gestibili. In letteratura esistono diversi schemi di calcolo che forniscono la portata
specifica massima, in corrispondenza cio delle condizioni di efflusso critiche. A questo proposito
importante sottolineare che il calcolo della massima portata scaricabile in determinate condizioni, e
quindi rappresenta una ipotesi conservativa se si vuole valutare il termine di sorgente di un
incidente, ma non viceversa conservativa se si vuole calcolare la portata scaricata da una valvola
di sicurezza. In questultimo caso la situazione pi conservativa quella che implica la minima
portata scaricata, e quindi la massima pressurizzazione del recipiente protetto dalla valvola di
sicurezza. Poich i modelli di efflusso bifase pi utilizzati sono stati sviluppati per il
dimensionamento dei dispositivi di scarico di emergenza (si vedano per esempio quelli sviluppati
allinterno del progetto DIERS, Fisher et al., 1992; Boicurt, 1995), essi devono essere utilizzati con
cautela in quanto tendono a sottostimare la portata scaricata.
I diversi modelli di calcolo per moto bifase possono essere classificati in funzione di diversi aspetti
del fenomeno (per esempio, presenza di flash o meno; velocit relativa tra gas e liquido; ecc.), ma la
suddivisione pi significativa quella tra le seguenti due categorie: modelli di equilibrio e modelli
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di non equilibrio. Ai modelli del primo tipo si ricorre nel caso in cui sia accettabile lipotesi che lo
scarico avvenga in condizioni di equilibrio termico, meccanico e di trasporto di materia tra le fasi,
mentre, quando non si possa ritenere che le condizioni di equilibrio vengono raggiunte, occorre
tenere in conto la velocit del trasporto tra le fasi di calore, materia e quantit di moto, il che
complica di molto la struttura del modello.
Per gli studi di sicurezza i modelli di equilibrio (quale lHEM, Homogeneous Equilibrium Model)
sono generalmente utilizzati. Le equazioni che costituiscono il modello sono i bilanci di materia,
energia e quantit di moto, che per il caso di una miscela bifase possono essere scritti come:
cost / = = = v u u G
2 2
0
) (
2
1
2
1
Gv h u h h + = + =
0
2
) (
4 cos cos
2
2
2
2
= + + + = + +

+
Gv
D
dz
f dz g vdv G vdP dF dz g
u
d
dP


dove si sono utilizzate le grandezze massiche medie della miscela liquido -vapore, quali il volume
specifico v=v
L
+x(v
G
-v
L
) e lentalpia specifica h=h
L
+x(h
G
-h
L
), essendo x la frazione massica di
vapore. Il volume specifico e lentalpia del liquido e del vapore possono essere calcolate sulla base
di una equazione di stato in funzione di temperatura, pressione e composizione.
Le tre equazioni sopra contengono quindi le seguenti incognite: G, T, P, x e composizione delle due
fasi, in numero pari a 2NC+2 considerando le equazioni stechiometriche di normalizzazione delle
frazioni molari. Mancano perci 2NC-1 equazioni, cio una sola equazione nel caso
monocomponente. Queste relazioni sono le condizioni di equilibrio tra le fasi, date dalla semplice
P=P
0
(T) per il caso monocomponente.
Il modello HEM raccomandato per il dimensionamento dei sistemi di scarico di emergenza in
quanto tende a sottostimare la portata scaricata. Nellambito della valutazione delle conseguenze di
un incidente questo porta viceversa a sottostimarne lentit.
La risoluzione del sistema di equazioni sopra riportato inoltre abbastanza onerosa e vengono
quindi solitamente utilizzati approcci semplificati.
Nel caso in cui la pressione allo scarico sia superiore alla tensione di vapore del composto alla
temperatura del recipiente (liquido sottoraffreddato) il flash non avviene lungo lo scarico ma nella
gola, e quindi alla pressione atmosferica, producendo lunico effetto di mantenere la pressione in
gola pari a P
V
(T
0
). Il fenomeno si pu quindi approssimare come uno scarico liquido tra la
pressione interna (P
0
) e la tensione di vapore alla temperatura ambiente (pari a quella del
recipiente):
( )
L V sub
T P P G ) ( 2
0 0
=
in cui si assunto un coefficiente di efflusso unitario.
Nel caso di scarico di liquido saturo (tale cio per cui la pressione allo scarico sia pari alla tensione
di vapore) e considerando un orifizio o un corta tubazione ragionevole assumere che non vi sia
evaporazione fino alla gola in cui si raggiungono le condizioni di efflusso critico. In questo caso, le
equazioni del modello HEM possono essere ricondotte alla forma (assumendo che la variazione di
volume specifico nellefflusso sia principalmente dovuta alla variazione di titolo del vapore e
utilizzando la relazione di Clapeyron):
PL G
ev
PL GL
ev
ERM
TC v
H
TC v
H
G
1 1

=

Questa relazione una forma semplificata del cosiddetto modello ERM (Equilibrium Rate Model) e
fornisce valori di G leggermente superiori al modello HEM.
Se la lunghezza della tubazione di scarico molto breve (dellordine di alcuni millimetri) il liquido
non ha il tempo di evaporare lungo il tratto di tubazione e la portata scaricata viene calcolata
utilizzando semplicemente la relazione di Bernoulli tra la pressione interna e quella esterna:
( )
L a b
P P G =
0
2
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Queste due equazioni possono essere interpolate per fornire una relazione generale:
N
G
G
ERM
2
2
=

dove N un parametro che tiene conto della lunghezza della regione di efflusso. Come detto, se la
lunghezza della tubazione attraverso cui il fluido viene scaricato molto breve (come nel caso di
efflusso da un foro in un serbatoio) il liquido non ha tempo di evaporare nemmeno in gola ed il
flash avviene dopo lo scarico in atmosfera. In questo caso la portata di efflusso pu essere calcolata
come quella di un liquido incomprimibile e la definizione di N tale per cui la relazione sopra si
riconduce, in queste condizioni, allequazione di Bernoulli.
Linfluenza della distanza di scarico sulla portata scaricata schematizzata nella Figura 3. Si nota
come la massima portata scaricata la si ha nel caso di efflusso di solo liquido, in condizioni cio di
piccola distanza di scarico (inferiore a 100 mm).
Le equazioni viste in precedenza possono essere combinate per fornire una relazione generale nella
forma (detta di Fauske e Epstein):
N
G
G A Q
ERM
sub
2
2
+ =

Lapproccio precedente non consente di tenere conto della presenza di composti incondensabili,
come avviene per esempio nel caso di reazioni chimiche con produzione di gas. In questo caso, un
approccio pi generale simile a quello per lo scarico di una fase gassosa e prende origine dalla
equazione di bilancio di energia meccanica scritta a cavallo della sezione di scarico.
Figura 3: Influenza della lunghezza del tratto di scarico sulla portata di efflusso di una miscela in
grado di dare flash. (- -) equazione di efflusso bifase; (---) equazione di Bernoulli.
Questo, come discusso in precedenza, fornisce la portata specifica scaricata, G, pur di introdurre
nellintegrale una relazione tra la pressione e la densit in grado di rappresentare la trasformazione
termodinamica nel processo di rilascio di una miscela bifase. Assumendo che tale relazione sia
quella ottenibile dalle equazioni caratteristiche di un flash isoentalpico si pu ottenere una relazione
generale approssimata del tipo:
1 1
1 1
+

=
P
P


basata sulle seguenti ipotesi: le propriet fisiche sono valutate alle condizioni di ristagno; il titolo
del vapore non varia durante lefflusso;
G
>>
L
(che sempre ragionevole lontano dal punto critico,
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cio per T/T
C
<0.9 e P/P
C
<0.5 dove in questo caso il pedice C indica il punto critico termodinamico
del fluido in esame); il calore di evaporazione e il calore specifico del liquido sono assunti costanti.
Per =0 si ritrova lequazione di un liquido incomprimibile, mentre per =1 quella di un gas
perfetto soggetto a una trasformazione isoterma. Per >1 si hanno sistemi che evaporano (cio
liquido-vapore, il cui volume specifico, a causa della evaporazione, aumenta pi di quello di un gas
soggetto alla stessa diminuzione di pressione isoterma) e per <1 si hanno sistemi che non
evaporano (cio liquido - gas, il cui volume specifico, a causa della presenza del liquido
incomprimibile, aumenta meno di quello di un gas soggetto alla stessa diminuzione di pressione
isoterma).
Il valore del parametro pu essere stimato utilizzando i risultati di calcoli di flash isontalpico per
il sistema in esame:
1 /
1 ) , ( / ) , (

A
A A
P P
P T v P T v

dove le condizioni nel punto A sono quelle calcolate da un flash isoentalpico a P
A
=(0.80.9)P.
In alternativa, pu anche essere calcolato in prima approssimazione tramite le propriet della
sostanza scaricata alle condizioni iniziali P
0
e T
0
(entalpia di evaporazione, H
fg,0
, calore specifico
del liquido, C
pl
, variazione di volume specifico tra liquido e gas,
fg,0
, densit,
0,
e grado di vuoto,

0
). La Tabella 1 riassume le relazioni da utilizzarsi per le differenti condizioni.

Tabella 1: espressioni per nei diversi casi.
Inserendo questa relazione nel bilancio di energia e risolvendo lintegrale (in pratica quindi il
metodo omega non altro che un modello HEM semplificato attraverso luso dellequazione che
rappresenta la trasformazione isoentalpica, e quindi conserva tutte le caratteristiche, positive e
negative, del modello HEM) si pu ottenere una relazione che, analogamente al caso di efflusso di
gas, presenta un massimo in condizioni critiche. Tali condizioni sono raggiunte per un valore di
C
P P = =
0
che pu essere approssimato dalla relazione:

s
V C


2
1 2
1 1
1 2
2

dove
0 0
) ( P T P
V V
= .
La relazione precedente ammette soluzioni reali solo per valori di ( ) 2 1 2
V
. In queste
condizioni (di basso sottoraffreddamento) il fluido evapora prima di raggiungere la sezione di
gola e la portata specifica scaricata in condizioni critiche pu essere calcolata come:
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c
P G
0 0
=
Per valori di ( ) 2 1 2 <
V
il fluido risulta eccessivamente sottoraffreddato e non ha il tempo di
evaporare prima di raggiungere le condizioni di gola. In questo caso la portata scaricata pu essere
posta pari al valore G
sub
discusso in precedenza.
Un confronto tra i valori ottenuti con le relazioni precedenti riportato in Figura 4.
La tendenza del modello HEM implementato secondo il metodo omega a sottostimare la portata
scaricata riassunta nella Figura 5 per il caso di scarico di freon 12.
Figura 4: confronto tra i valori della portata scaricata stimati con diverse relazioni per un efflusso
di cloro. Bernoulli si riferisce a uno scarico liquido; VP limited a G
sub
; LG low al metodo omega;
FE combination al modello di Fauske e Epstein.
Figura 5: rapporto tra le portate di freon 12 calcolate col metodo omega e quelle scaricate.
La presenza di tubazioni di una lunghezza non trascurabile tra il recipiente e lo scarico richiede la
soluzione numerica del modello HEM lungo la tubazione. Come prima approssimazione, possibile
utilizzare le equazioni precedenti valide per fluidi non eccessivamente sottoraffreddati con un
coefficiente correttivo funzione del rapporto lunghezza/diametro della tubazione. Per esempio, si
introduce un coefficiente di efflusso nella relazione G
ERM
:
PL G
ev
D
TC v
H
C G
1


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13
i cui valori sono riportati in Tabella 2.
Anche il metodo omega pu essere utilizzato in forma approssimata in presenza di tubazioni. Una
volta calcolata la portata specifica scaricata in assenza di tubazioni in condizioni critiche, e
assumendo un valore costante del fattore di attrito (f~0.005 un valore spesso adeguato per moto
turbolento; non si considera quindi il caso di fluidi particolarmente viscosi), il grafico riportato in
Figura 6 consente la valutazione delle perdite di carico.

L/D 0 50 100 200 400
C
D
1 0.85 0.75 0.65 0.55
Tabella 2: valori del coefficiente di efflusso in presenza di tubazioni.
Lo stesso grafico riporta i valori della Tabella 2 calcolati assumendo un valore di f=0.005. si nota
come la riduzione della portata prevista dal modello ERM coincide praticamente con quella prevista
dal metodo omega per un valore di =5.
Tutti questi approcci semplificati si basano sullipotesi che il fluido scaricato sia assimilabile a un
composto puro, nel senso che la tensione di vapore sia univocamente correlata alla temperatura da
una relazione tipo Clapeyron. La presenza di miscele richiede la soluzione del modello HEM,
complicando significativamente i conti. La portata scaricata in caso di efflusso bifase sar sempre
compresa tra quelle calcolate assumendo lo scarico monofase, vapore e liquido rispettivamente. La
stima effettuata considerando uno scarico liquido rappresenta quindi la situazione pi conservativa
dal punto di vista della stima delle conseguenze.
Figura 6: rapporto tra la portata scaricata in presenza di una tubazione orizzontale a valle
dellorifizio e la portata scaricata da un orifizio secondo il metodo omega (---) e il metodo di
Fauske e Epstein (o).
Il calcolo della portata scaricata nel caso di efflusso monofase stazionario possibile utilizzando un
simulatore di processo. Anche pacchetti di simulazione delle conseguenze (SAFIRE, AIChE;
EFFECTS4, TNO; PHAST, DNV; SUPERCHEMS, Arthur D. Little; ecc.) contengono sottocodici
per la stima della portata di efflusso.

2.4 Flash
Quando un liquido surriscaldato viene rilasciato in atmosfera si trova in una condizione instabile
che provoca una rapida evaporazione. Lo stato finale della trasformazione dipende dallanalisi che
si vuole effettuare: se si considera come stato finale il getto di fluido in movimento la
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14
trasformazione pu solitamente essere considerata isoentropica, mentre se lo stato finale viene
considerato in quiete la trasformazione pu essere approssimata come isoentalpica. Solitamente,
anche se non sempre, le differenze tra le due situazioni sono trascurabili. La frazione evaporata pu
essere calcolata sulla base dei bilanci di materia ed energia, e delle relazioni di equilibrio liquido
vapore. Simulatori di processo standard (per esempio, PRO-II, HY-SYS, ASPEN PLUS, ecc.)
possono essere utilizzati per calcolare la frazione di materiale evaporata anche nel caso si miscele
complesse. Una prima stima, considerando composti puri con grandezze chimico fisiche costanti
con la temperatura, pu essere effettuata con la relazione (TNO, 1992):
( )

=
0
0
0
exp 1 T T
H
C
m
L m
x
eb
ev
L
P

2.5 Formazione di aerosol e rain-out
La frazione di flash rappresenta una sottostima della portata di vapori che si possono generare a
seguito di un rilascio in atmosfera. Il principale motivo rappresentato dalla formazione di
goccioline che, se abbastanza piccole, possono formare una nebbia ed evaporare rapidamente a
causa dellaria richiamata nella nube o, nel caso contrario, ricadere al suolo e formare una pozza.
Questultima situazione si presenta per esempio quando il getto bifase va ad impattare contro una
superficie e/o il suolo posta in prossimit dellefflusso; si verifica una inibizione nellevaporazione
delle goccioline a causa del limitato richiamo di aria e del raffreddamento, che favoriscono la
ricaduta (rain-out) del liquido.
Il bilancio di materia totale per il fluido rilasciato il seguente:
M
totale
= M
flash
+ M
aerosol
+ M
rain-out

da cui, noti due dei termini a destra (M
flash
= x
v
M
totale
), si pu ricavare il terzo, solitamente M
aerosol

o M
rain-out
.
Le goccioline si possono formare meccanicamente o termicamente. Il primo meccanismo nasce
dallo sforzo di taglio tra un getto di liquido scaricato ad alta velocit e laria circostante ed quindi
attivo anche per liquidi non surriscaldati. Il secondo meccanismo basato sulla violenta
evaporazione di parte del liquido a causa del flash che causa la formazione di goccioline.
Il principale problema in questo caso rappresentato dalla stima della dimensione delle gocce che si
formano. Infatti la dimensione determina la possibilit per la goccia di rimanere sospesa in aria per
un tempo sufficiente ad evaporare; indicativamente questo avviene per gocce di dimensioni inferiori
ai 100 m se la velocit del vento superiore ai 2 m/s e il rilascio avviene ad almeno 1 2 m dal
suolo. Purtroppo non vi ancora un generale consenso sulle metodologie da utilizzare per la stima
del diametro. Generalmente tali metodologie prevedono la stima del diametro medio delle gocce
che si formano sulla base di un numero critico di Weber, eventualmente modificato per tener conto
dellenergia contenuta nel liquido, pari a 10 20 (Fthenakis, 1993), seguita dalla valutazione della
velocit di sedimentazione di tali gocce e quindi dal calcolo del tempo che tali gocce rimangono
nella nube.
La metodologia descritta simile a quella su cui si basa il codice RELEASE del CCPS (1999) che
per porta a determinare una frazione di rain-out maggiore di 4-5 volte rispetto a quella osservata
sperimentalmente. Per questo motivo si proposto recentemente un diverso modello (De Vaull &
King, 1992) che d risultati pi vicini allevidenza sperimentale. In esso si definisce la sostanza
volatile se:
14 , 0

amb
as amb
T
T T

dove T
as
la temperatura di saturazione adiabatica, stimata considerando una miscela bifase
allequilibrio e calcolando la temperatura che si raggiunge durante il miscelamento con aria finch
esiste lultima goccia di liquido. La frazione di rain-out viene definita nel modo seguente:
per sostanze non volatili:
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15
( ) ( )


=
vap
as Bp l P
vap
as l P
O R
H
T T c
x
H
T T c
, 0 ,
.
1 1
con T
0
= temperatura di stoccaggio e x = frazione (massica) di flash
per sostanze volatili
( )

=
8 , 1
0
, .
145 . 0
1
1
Vap
Bp
l P I O R
H
T T
c
valida se
( )
145 , 0
0
,
<

vap
Bp
l P
H
T T
c
Altrimenti
R.O
= 0
Nelle relazioni precedenti
I
= 1 - 2,33 ((T
amb
-T
as
)/T
amb
) e T
Bp
la temperatura di ebollizione
normale. Utilizzando queste relazioni si ottengono buoni risultati nel caso di rilascio di cloro, come
mostrato nella Figura 7.

Figura 7: Confronto tra i valori misurati e quelli calcolati per la frazione di rain-out.
Da notare che questa correlazione non porta al 100% di Rain-out man mano che il grado di
surriscaldamento (T T
Bp
) 0 per le sostanze volatili, mentre per le sostanze non volatili si
comporta meglio poich non risente del peso del fattore di scala
I
.
Tutte le correlazioni riportate in precedenza scontano la grossa limitazione di essere state sviluppate
sulla base di un solo set di risultati sperimentali. Non quindi detto che abbiano una validit
generale.
Un modello senzaltro pi accurato (implementato per esempio in PHAST) risolve le equazioni che
descrivono la traiettoria e levaporazione per la singola goccia, ma richiede di analizzare un certo
numero di diametri della goccia rappresentativi delleffettiva distribuzione delle dimensioni delle
gocce.
Lincertezza ancora insita nella stima della frazione di liquido che rimane nella nube si scontra con
limportanza che tale stima ha nella valutazione delle conseguenze successive. Infatti la presenza di
aerosol non solo aumenta la portata di vapori presente nella nube, ma soprattutto ne aumenta la
densit sia per la presenza di goccioline, sia per labbassamento della temperatura della nube
causata dallevaporazione del liquido (che pu eventualmente portare a una condensazione
dellumidit atmosferica con unulteriore aumento della densit della nube). Come conseguenza,
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16
nubi di gas che normalmente sarebbero pi leggere dellaria si comportano viceversa come gas
densi. Da questo punto di vista, considerare una frazione di aerosol che venga inglobata nella nube
ed evapori istantaneamente a contatto con laria non porta a risultati conservativi.
Un approccio molto utilizzato quello di assumere che una massa pari a 1 2 volte quella
evaporata rimanga inglobata nella nube come aerosol. Questo approccio purtroppo non solo non ha
alcuna base teorica, ma anche molto probabilmente poco accurato. Esso pu condurre anche a
sottostime grossolane della quantit di vapore presente nella nube, visto che si notato
sperimentalmente che solo una piccola parte delle goccioline formatesi a seguito del flash ricadono
al suolo. Questo vero anche per frazioni di flash contenute, dellordine del 10%. Alcune delle
correlazioni semiempiriche proposte per la stima della frazione di rain-out sono riassunte nella
Tabella 3.

Tabella 3: correlazioni per la stima della frazione di rain-out.
2.6 Evaporazione da pozza
La frazione di liquido che non evapora istantaneamente e non rimane inglobata nella nube come
aerosol forma una pozza che evapora. A seconda delle propriet chimico fisiche del composto
diversi fenomeni controllano la velocit di evaporazione. Nel complesso, i fenomeni che causano la
evaporazione di un liquido sono il trasporto di materia, legato ai gradienti di concentrazione tra la
superficie del liquido e latmosfera circostante, e il riscaldamento dovuto allo scambio termico con
latmosfera, allirraggiamento solare e allo scambio termico col terreno sottostante. Questi scambi
termici sono bilanciati dal calore necessario al liquido per la sua parziale evaporazione.
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17
Il trasporto di materia il fenomeno controllante nel caso di liquidi non bollenti, caratterizzati cio
da una temperatura di ebollizione normale superiore alla temperatura ambiente, mentre gli scambi
termici di varia natura controllano la evaporazione di gas liquefatti per raffreddamento, come il
GNL. Una terza situazione rappresentata dai gas liquefatti per compressione (per esempio, GPL)
che allo scarico vaporizzano parzialmente (flash), trascinando con s una considerevole quantit di
liquido sotto forma di aerosol. Il liquido non trascinato, giunto alla sua temperatura di ebollizione,
forma una pozza che evapora.
Nel caso di liquidi non bollenti, cio caratterizzati da una temperatura di ebollizione normale
superiore alla temperatura ambiente, la portata di evaporazione determinata dal trasporto di
materia dalla superficie del liquido allatmosfera, in quanto essendo le portate in gioco piccole lo
scambio termico con lambiente non solitamente un fattore limitante.

Figura 8: Errore relativo nel calcolo della portata evaporante con la formula valida per bassi
flussi.
La portata evaporante si calcola utilizzando un coefficiente fenomenologico di trasporto di materia
e assumendo che allinterfaccia tra il liquido e latmosfera vi sia equilibrio tra il liquido e il vapore.
Per basse portate evaporanti, quale solitamente il caso per liquidi non bollenti, la portata pu
essere calcolata come:
( )
RT
T MP
A K Q
L V
C
=
dove M il peso molecolare, R la costante dei gas perfetti, T
L
la temperatura del liquido, P
V
la
tensione di vapore e K
C
il coefficiente di trasporto di materia. Lerrore commesso utilizzando questa
formula al variare della tensione di vapore del composto riportato in

Figura 8.
In assenza di vento il coefficiente di trasporto pu essere stimato sulla base del valore noto di quello
di un composto, solitamente lacqua (K
C
=0.83 cm/s):
3 / 1
18
83 . 0

M
K
C

In presenza di vento si possono utilizzare le classiche relazioni basate sui numeri adimensionali:

>
<
=
320000 Re ) 15200 (Re 037 . 0
320000 Re Re 664 . 0
8 . 0 3 / 1
2 / 1 3 / 1
Sc
Sc
Sh
dove Sc=/D il numero di Schmidt ( la viscosit cinematica), Re=uL/ il numero di Reynolds
(u la velocit del vento e L la dimensione caratteristica della pozza) e Sh=K
C
L/D il numero di
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18
Sherwood. Sono disponibili anche correlazioni empiriche basate su esperimenti in scala reale del
tipo (McKay e Matsuga, 1973):
11 . 0 78 . 0
10
002 . 0

= L u K
C

dove u=velocit del vento a 10 m di quota [m/s] e L dimensione caratteristica della pozza [m] per
ottenere il coefficiente in [m/s]. Un confronto tra i due approcci presentato in Figura 9. Si nota
come le stime fornite dalle due relazioni sono praticamente coincidenti per dimensioni superiori ai 5
m. Per piccole pozze le differenze sono percentualmente elevate, ma piccole in valore assoluto.
Nel caso multicomponente la stima si complica a causa dellevaporazione preferenziale dei
composti pi volatili e richiede la caratterizzazione delle condizioni di equilibrio liquido vapore
della miscela. Assumendo che valga la legge di Raoult e che la pozza liquida sia ben miscelata, si
pu estendere la precedente formula alle miscele. Dividendo la portata di evaporazione per il peso
molecolare del componente i e sapendo che la sua frazione molare in fase liquida x
i
= n
i
/n
T
, si
ottiene la portata molare di evaporazione del singolo componente:
( )
i i i
i
g i
t
C i
i
n k n
M
T
n
k
A
dt
dn
Q = = =


ove k
i
il coefficiente (empirico) di trasferimento di materia. Integrando si ottiene la quantit di
ciascun composto che rimane in fase liquida dopo un certo tempo (e, per differenza, quella
evaporata):
) exp(
0
t k n n
i i i
=
Per miscele di prodotti petroliferi, aventi un ampio intervallo di ebollizione, la portata di
evaporazione e la conseguente quantit F
liquid
rimanente al tempo t dallinizio dello sversamento
pu essere stimata dalla curva di distillazione ASTM della miscela, mediante la seguente relazione:
) exp(
N
i
t k f F
i i liquid
=


ove i la percentuale volumetrica del taglio sulla curva di distillazione, f
i
la frazione
volumetrica di materiale distillato prima/dopo il taglio i-esimo e k
i
la costante di evaporazione
della frazione i-esima alla temperatura di ebollizione media del taglio.

Figura 9: portata evaporante al variare della dimensione caratteristica della pozza. Tratto
continuo: relazione empirica; tratto discontinuo: relazione basata sul numero di Sherwood. In
senso orario: L=1, 5, 10 e 20 m.
0 5 10
0
2
4
6
velocita vento m/s
p
o
r
t
a
t
a
,

k
g
/
h
0 5 10
0
50
100
150
velocita vento m/s
p
o
r
t
a
t
a
,

k
g
/
h
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19
Solitamente, da 5 a 11 punti sulla curva di distillazione sono sufficienti per avere una stima accurata
della portata di evaporazione. Se la curva di distillazione non fosse disponibile ci si pu riferire alla
temperatura alla quale il 30% del materiale distilla e determinare il corrispondente valore di k.
Nel caso di pozze di composti ad una temperatura pari alla temperatura di ebollizione normale, la
portata di evaporazione determinata dal trasporto di calore dallambiente circostante alla pozza di
liquido, in quanto essendo le portate in gioco elevate il trasporto materiale non associato al trasporto
di calore non solitamente significativo, almeno nelle prime fasi dellevaporazione. La portata
evaporante si calcola in questo caso sulla base della potenza termica trasmessa al fluido utilizzando
un bilancio di energia sulla pozza:
ev P
H Q H
dt
dT
mC =
dove H la potenza termica trasmessa alla pozza dallambiente circostante (convezione e
conduzione dallaria, conduzione dal terreno, irraggiamento solare o da un incendio vicino, ecc.) e
Q la portata evaporante.
Nel primo periodo dopo il rilascio il termine dominante solitamente il trasporto di calore per
conduzione dal terreno sottostante. Man mano che il tempo passa il terreno si raffredda sempre pi
in profondit, lo scambio termico con la pozza di liquido diminuisce e gli altri contributi possono
diventare dominanti.
La potenza termica trasmessa per conduzione dal terreno viene solitamente stimata approssimando
il terreno stesso a un mezzo semi infinito, anche se questo approccio non viene unanimemente
considerato conservativo. Per liquidi criogenici sversati su terreno si ottiene la seguente semplice
relazione dalla risoluzione dellequazione di Fourier:
( )
2
1
2
1
1 2
L g
ev
evap
T T
H
Xk
Q


Ove k la conducibilit termica del substrato, la diffusivit termica del substrato, H
ev

lentalpia di vaporizzazione, T
L
la temperatura iniziale della sostanza e T
g
quella del suolo.
X un parametro correttivo che tiene conto delle caratteristiche di porosit del suolo e vale 1 per
suolo non poroso e 3 per suolo poroso (es. ghiaia, sabbia, etc.) a causa della maggiore area che
contribuisce al trasferimento di calore.
Proprio le caratteristiche termiche del terreno sono molto variabili e spesso incognite. A titolo di
esempio, la Figura 10 riporta un confronto tra le portate evaporanti da una pozza di GNL su due
diverse superficie. Si nota come le differenze indotte dalle caratteristiche termiche del terreno non
sono trascurabili.
Qualora lo sversamento avvenga su acqua e non su terreno (e non si abbia il congelamento) la
portata di evaporazione specifica dovuta allo scambio termico molto superiore e pu ritenersi
costante a causa dellelevata capacit termica del substrato e dei moti convettivi che evitano il suo
progressivo raffreddamento (il valore della portata di evaporazione specifica per il GNL su acqua
di 0.175 kg/m
2
/s che corrisponde ad una velocit di regressione della superficie liquida di 4.2 E-4
m/s).
2.7 Dimensione della pozza
Nel caso di rilasci, sia continui sia istantanei, gioca un ruolo fondamentale la dimensione della
pozza, che nota solo nel caso di rilascio in un bacino di contenimento (almeno se il volume
rilasciato in grado di coprire lintera superficie del bacino). La dimensione della pozza compare
direttamente nella relazione per il calcolo della portata evaporante di fluidi non bollenti e
indirettamente, in quanto definisce il termine di scambio termico, H, nellequazione di bilancio di
energia sulla pozza di liquidi bollenti. Infatti, la maggior parte dei codici sofisticati risolve
simultaneamente le equazioni che governano lo spandimento e levaporazione dei liquidi; tra questi
da annoverare il codice GASP dellAEA (ex SRD).

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20

Figura 10: confronto tra le portate evaporanti da una pozza di 500 m
2
di GNL su terreno (- -) e
calcestruzzo (---).
Per rilasci non confinati la dimensione della pozza si allarga fino a quando lo spessore della pozza
non raggiunge un valore limite che dipende sia dalle caratteristiche del composto scaricato, sia dalle
caratteristiche del terreno. La stima di questa dimensione limite rappresenta il principale limite in
queste valutazioni. Valori tipicamente utilizzati variano da 5 a 10 mm, ma questi valori, oltre ad
essere fortemente influenzati dalla rugosit del terreno, non hanno fondamenti teorici.
Le dimensioni della pozza al variare del tempo possono essere stimate con relazioni semiempiriche
derivate dalla equazione di conservazione dellenergia. Per rilasci continui completamente
inconfinati, su di una superficie liscia e che si espandono radialmente in tutte le direzioni, la
dimensione della pozza in funzione del tempo pu essere stimata con la relazione:
4 / 1
2 3
2 3
sin cos 6
) (



C
Q gt
t R
dove Q la portata volumetrica scaricata, R il raggio della pozza, t il tempo, C una costante
empirica il cui valore (tra 2 e 5) dipende da un numero di Reynolds modificato e langolo sulla
verticale della superficie della pozza. Tale relazione fornisce risultati simili alla seguente (come
mostrato nella Figura 11), che pu essere derivata sempre dal bilancio di energia sulla pozza
introducendo approssimazioni pi drastiche:
4 / 3
4 / 1
3
4
) ( t
CgQ
t R


dove Q la portata volumetrica scaricata, R il raggio della pozza, t il tempo, C una costante
empirica del valore di 1.08 e g laccelerazione di gravit.
Queste relazioni assumono che lo spandimento avvenga su di una superficie liscia e quindi
forniscono una sovrastima della dimensione della pozza.
La dimensione di una pozza originatasi da un rilascio istantaneo pu essere stimata con una
relazione analoga:
2
0
2
0
) ( t Cgh R t R +
dove R il raggio della pozza, t il tempo, il pedice 0 indica le condizioni iniziali, C una costante
empirica del valore di 1.08, g laccelerazione di gravit e h laltezza della pozza. Il principale
problema nellutilizzo di questa relazione la necessit di ipotizzare una forma e una dimensione
iniziale della pozza, di solito assunta cilindrica con dimensioni simili a quelle del recipiente che
collassando origina il rilascio istantaneo. La dimensione finale della pozza risulta limitata da
0 20 40 60 80 100
10
1
10
2
10
3
tempo, s
p
o
r
t
a
t
a
,

k
g
/
s
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

21
impedimenti fisici (ostacoli), quali i muri dei bacini di contenimento, o dal raggiungimento di un
minimo spessore in relazione alle caratteristiche di rugosit del substrato (questultimo varia da
pochi mm, se su acqua, fino a 25 mm, se trattasi di sabbione).
Figura 11: confronto tra le dimensioni di una pozza di acqua su di una superficie liscia calcolate
con le due relazioni precedenti.


0 50 100 150 200 250 300 350 400 450
10
-1
10
0
10
1
10
2
tempo, s
r
a
g
g
i
o
,

m
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22
3 Dispersione
In funzione di parametri legati alle caratteristiche chimico fisiche dellinquinante emesso, alle
caratteristiche dellimmissione e, infine, alle caratteristiche meteorologiche e topografiche
della zona, linquinante si disperde nellatmosfera, cio si diluisce con laria riducendo la
propria concentrazione. Le problematiche legate alla diluizione di specie inquinanti
nell'atmosfera vengono genericamente raccolte sotto la denominazione di dispersione in
atmosfera.
Il termine dispersione non corrisponde ad un preciso meccanismo di trasporto, ma riassume la
molteplicit degli eventi attraversati dall'inquinante nell'atmosfera. Dopo l'immissione
nell'atmosfera le specie inquinanti percorrono una certa distanza basata principalmente sul
trasporto da parte del vento. Durante questo spostamento le specie possono reagire per
trasformarsi chimicamente. In presenza di gocce o particelle si possono determinare fenomeni
di adsorbimento e assorbimento con la possibilit di una successiva reazione. Il trasporto pu
condurre gli inquinanti a quote sempre pi elevate ovvero terminare per diversi fenomeni di
interazione con la superficie terrestre. Le specie inquinanti possono trovarsi anche in fase
condensata (liquido o solido) gi all'emissione. In tal caso assumono rilevanza i fenomeni di
coalescenza, inerziali, gravitazionali e di transizione di fase.
Come detto in precedenza, uno scarico assimilato a unemissione continua (che forma cio
un pennacchio) o istantanea (che forma una nube trasportata dal vento) in funzione del
rapporto tra il tempo che linquinante impiega a coprire la distanza tra la sorgente e il ricettore
(stimato pari al rapporto tra la distanza sorgente - ricettore e la velocit del vento) e la durata
dello scarico. Nel caso di emissione continua un dato ricettore esposto a una concentrazione
costante nel tempo (se sono costanti le caratteristiche meteorologiche e dello scarico), mentre
per unemissione istantanea un ricettore esposto a una concentrazione che inizialmente
cresce nel tempo, per raggiungere un valore massimo e poi ritornare a zero dopo il passaggio
della nube. In entrambi i casi, se il rapporto tra la dimensione della sorgente e la distanza del
ricettore dalla sorgente piccolo possibile considerare la sorgente come puntuale, cio priva
di dimensioni. Viceversa necessario tenere conto delle reali dimensioni della sorgente.
Nella zona vicino alla sorgente le caratteristiche del pennacchio (o della nube) risentono
fortemente delle modalit di emissione (quali il tipo di gas scaricato, o la direzione, velocit e
temperatura dello scarico), mentre allontanandosi dalla sorgente la quantit di aria inglobata
diviene predominante e le caratteristiche del pennacchio o della nube risultano definite
prevalentemente dalle caratteristiche dellaria inglobata.
Pi in dettaglio, si possono distinguere tre regioni a valle dello scarico in atmosfera: una
prima regione, in prossimit dello scarico dove possono prevalere le forze inerziali, una
seconda dove possono prevalere le forze di galleggiamento, e una terza dove il pennacchio
ormai cos diluito da non avere pi memoria della sorgente che lo ha originato se non per la
presenza dellinquinante che viene man mano diluito grazie ai moti turbolenti dellatmosfera.
La prima e la seconda regione possono essere presenti o meno a seguito di un rilascio in
funzione delle caratteristiche della sorgente, mentre la terza regione sempre presente.
Le caratteristiche della sorgente che influenzano la prima regione sono essenzialmente la
velocit dello scarico (che fornisce una certa quantit di moto al pennacchio o alla nube che si
forma) e la sua direzione. Nel caso in cui il rilascio sia diretto verso lalto la quantit di moto
tende a trascinare il pennacchio o la nube verso quote pi elevate.
Un fenomeno analogo avviene nel caso in cui la densit del gas sia inferiore a quella dellaria,
quando cio siano significativi gli effetti di galleggiamento legati alle forze gravitazionali.
Anche in questo caso leffetto che ne consegue un innalzamento dei fumi fino al
raggiungimento di una situazione di equilibrio termico (gas leggeri). Entrambi questi
contributi portano a conseguenze analoghe a quelle che si hanno aumentando la quota di
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

23
emissione, si ha cio una riduzione della ricaduta al suolo in quanto aumenta il cammino che
linquinante deve percorrere prima di arrivare al suolo e quindi il tempo a disposizione per
diluirsi con laria ambiente. Maggiori ricadute si riscontrano viceversa quando la sorgente
scarica verso il basso, quando la densit superiore a quella dellaria (gas pesanti), e in
generale quando esso trascinato verso il suolo. Questo pu accadere anche nel caso in cui il
camino sia in prossimit (o sopra) edifici, in quanto a valle delledificio il vento forma una
scia che tende a catturare il pennacchio e a trascinarlo verso terra, oppure quando la velocit
di scarico insufficiente rapportata alla velocit del vento. In questo ultimo caso i fumi
rimangono intrappolati nella scia del camino stesso.
Esauriti gli effetti legati alla sorgente, cosa che sempre accade quando il pennacchio o la nube
sono sufficientemente diluiti dallaria dellatmosfera, il fenomeno di diluizione
dellinquinante dominata dai moti turbolenti dellatmosfera che provocano un ingresso di
aria all'interno del pennacchio o della nube e, di conseguenza, un aumento delle sue
dimensioni e una diminuzione dei valori di concentrazione al suo interno.
La meteorologia gioca un ruolo fondamentale nella dispersione degli inquinanti, in quanto
definisce lintensit della turbolenza e quindi la velocit del trasporto materiale nellultima
fase della dispersione, solitamente indicata come dispersione passiva. In particolare, la
direzione e velocit del vento sono tra i fattori pi importanti. La direzione del vento
determina la direzione verso cui si muove il pennacchio o la nube, e quindi la regione
interessata dalla ricaduta dellinquinante. Linfluenza della velocit del vento pu essere
intuita schematizzando in maniera grossolana il fenomeno della dispersione atmosferica come
una miscelazione tra la corrente scaricata dalla sorgente e la corrente di aria portata dal vento:
tanto maggiore la velocit del vento, tanto maggiore la portata di aria e quindi la diluizione
del composto scaricato. Come detto, il terzo fattore di grande importanza la turbolenza
atmosferica: infatti, la dispersione dellinquinante in atmosfera non avviene per diffusione
molecolare (che un fenomeno estremamente lento), ma attraverso il movimento di vortici di
aria che nel loro moto trasportano energia, quantit di moto e linquinante immesso dalla
sorgente. La capacit complessiva di una condizione meteorologica di disperdere un
inquinante chiamata stabilit. Unatmosfera stabile tende a smorzare i movimenti di un
volumetto di aria, mentre unatmosfera instabile tende a esaltarne gli spostamenti favorendo
di conseguenza la dispersione.
Infine, sia la topografia sia la presenza di ostacoli in prossimit della sorgente possono
influenzare marcatamente la dispersione. Nei modelli pi semplici si considera la sorgente
localizzata a una certa quota su di una superficie piana. Questo caso limite ben approssimato
da molte situazioni reali, in quanto rispetto alle distanze caratteristiche di un pennacchio o di
una nube la presenza di edifici o di piccole variazioni di quota del terreno rappresenta
semplicemente una rugosit superficiale, in grado cio di influenzare marginalmente alcuni
fenomeni (quali il profilo verticale di velocit del vento) ma non le caratteristiche principali
della dispersione.
Inoltre, esiste sempre la possibilit di reazioni chimiche tra il composto scaricato e i
componenti latmosfera. La esatta valutazione degli effetti di una reazione chimica sulla
dispersione dellinquinante va pesata con la cinetica delle potenziali reazioni. Se la velocit di
trasformazione risulta sufficientemente lenta in relazione al tempo medio di permanenza della
specie inquinante in atmosfera, ragionevole ignorare le reazioni eventuali. Un parametro
fondamentale per valutare la rilevanza delle trasformazioni chimiche quindi la vita media
della specie in atmosfera. Per tutti gli scopi pratici vale la conclusione che le trasformazioni
chimiche, salvo eccezionali condizioni atmosferiche o specie particolarmente reattive
(oligomerizzazione di HF, idratazione di SO
3
, ecc.), sono fenomeni che si manifestano su una
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

24
scala temporale di giorni, e quindi sono problemi di interesse solo per i trasporti di media e
grande scala, nei quali la permanenza della specie inquinante nell'atmosfera si protrae per
lungo tempo.
Infine, la presenza dell'inquinante in condizioni di liquido o di solido modifica in modo
sostanziale la sua dispersione. In primo luogo si usa distinguere fra aerosol, intesi come
sospensioni di particelle solide o liquide in aria, e particelle o gocce le cui dimensioni non
consentono lo stabilirsi di una sospensione. Per questo secondo caso la dispersione viene
regolata da meccanismi macroscopici tipici della meccanica, quali la spinta del vento opposta
alle resistenze inerziali. Per entrambe le categorie la dimensione della singola particella un
parametro che ne determina il comportamento in atmosfera. Non si pu tuttavia parlare in
maniera univoca di diametri poich sono simultaneamente presenti particelle di svariate
dimensioni.
Nel caso di fasi condensate quindi inevitabile una descrizione statistica che utilizza il
concetto di distribuzione. La distribuzione che qui interessa proprio quella delle dimensioni,
rappresentate dal volume, dalla massa, ovvero da una lunghezza convenzionale, di cui la pi
usata il diametro aerodinamico. Per distribuzione si intende una curva che descrive
l'abbondanza relativa di particelle con una certa dimensione. Il solo fatto che, al momento
dell'emissione, si presentino particelle con svariati diametri possibili fa intuire che la
dispersione in atmosfera produrr effetti differenziati per ogni frazione di particelle di analoga
dimensione. In altri termini, anche in un moto completamente segregato (che prescinda cio
dalla ridistribuzione che l'atmosfera invariabilmente opera), si deve attendere una
distribuzione dell'inquinante al suolo non uniforme, come diretta conseguenza della
distribuzione di particelle gi presente all'emissione.
Una ulteriore peculiarit della dispersione di aerosol costituita dai fenomeni di nucleazione,
crescita, e coagulazione. La nucleazione si riferisce al caso molto comune di formazione di
particelle per condensazione di gas attorno a certi nuclei, mentre la successiva crescita
conseguenza di due meccanismi alternativi, quello pi graduale della continua condensazione
sulla superficie e quello della coagulazione di due particelle. Per quanto detto
precedentemente, questi meccanismi condizionano la dispersione in atmosfera, incidendo
sulla dimensione delle particelle e quindi modificando continuamente la distribuzione dei
volumi.
3.1 Modelli di simulazione: generalit
I modelli disponibili per la simulazione della dispersione in atmosfera (si veda per esempio
Zannetti, 1990; EPSC, 1999) possono essere classificati essenzialmente in tre tipologie:
modelli tridimensionali (CFD);
modelli integrali (a tubo di flusso);
modelli gaussiani.
Mentre i modelli CFD (acronimo di Computational Fluid Dynamic) implementano le
equazione cardinali del moto dei fluidi e di conservazione della materia, accoppiate a
opportuni modelli di turbolenza e a condizioni al contorno per rappresentare la topografia
della zona e le caratteristiche della sorgente, i rimanenti modelli derivano in qualche modo
dalle stesse equazioni sulla base di differenti approcci e/o ipotesi semplificative.
I modelli CFD (che matematicamente originano un sistema di equazioni differenziali alle
derivate parziali) sono stati sviluppati allinterno della fluidodinamica computazionale e sono
in grado di rappresentare in modo realistico leffetto della turbolenza atmosferica sulla
dispersione dellinquinante. Possono inoltre rappresentare in maniera concettualmente
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

25
semplice condizioni meteorologiche estreme e qualsiasi tipo di ostacolo o di topografia.
Analogamente, sono in grado di tenere in conto la reale densit dei composti scaricati cos
come le reali condizioni di scarico. Daltro canto, questi modelli richiedono un elevato tempo
di calcolo, sono complicati da utilizzare richiedendo lintervento di personale esperto
contrariamente alle altre tipologie di modelli pi semplici.
I modelli a tubo di flusso cercano di rappresentare lintera storia del pennacchio o della
nube, dalla sorgente fino al ricettore, utilizzando le stesse equazioni di bilancio dei modelli
CFD integrate su una sezione generica del tubo di flusso cui si assimila il pennacchio o al
volume occupato dalla nube. I termini di scambio con l'esterno sono regolati sia dalla
turbolenza interna al pennacchio stesso, sia dalla turbolenza atmosferica. Questo tipo di
modelli non possono essere risolti analiticamente per fornire formule di facile impiego e
matematicamente originano un sistema di equazioni differenziali ordinarie. Le principali
differenze tra i diversi modelli di questo tipo risiedono nella approssimazione usata per la
descrizione del profilo all'interno del pennacchio (gaussiana o uniforme, per esempio), nella
descrizione dei processi di inclusione di aria nel pennacchio e nelle approssimazioni
introdotte per la descrizione dei fenomeni coinvolti nelle immediate vicinanze della sorgente.
Questi modelli sono in grado di rappresentare la dispersione di inquinanti in atmosfera
considerando anche gli effetti inerziali, di galleggiamento o legati alla densit della corrente
scaricata. Daltro canto, essi non sono solitamente in grado di tenere in conto la presenza di
ostacoli di rilevanti dimensioni o di unorografia complessa, cos come di condizioni
meteorologiche o di scarico estreme.
Di pi semplice utilizzo sono invece i modelli gaussiani. Questi modelli rinunciano a
descrivere levoluzione del fenomeno in prossimit della sorgente e si limitano a descrivere
lultima fase della dispersione del composto, cio quella in cui gli effetti inerziali, di
galleggiamento, o comunque legati alle peculiarit della sorgente divengono trascurabili.
Questo implica che tali modelli devono essere associati ad altri modelli in grado di simulare la
prima parte del fenomeno (per esempio, i modelli di innalzamento del pennacchio). Per
ottenere delle soluzioni analitiche delle equazioni di partenza necessario introdurre delle
assunzioni semplificative: a diverse ipotesi corrispondono diversi modelli gaussiani.
L'apparente diversit dei modelli nasce quindi dalle diverse assunzioni che sono fatte al fine
di ottenere delle soluzioni analitiche. Nonostante le assunzioni necessarie per giungere alle
semplici formule gaussiane siano molto stringenti, e spesso solo parzialmente soddisfatte
nella pratica, esse sono ampiamente utilizzate grazie al fatto che i parametri di dispersione
sono stati derivati dal confronto tra le previsioni dei modelli gaussiani e i risultati di misure
sperimentali, anzich essere calcolati partendo da considerazioni teoriche. Questo conferisce
una ragionevole affidabilit a questo tipo di modelli quando sono utilizzati in situazioni
analoghe a quelle per cui sono stati sviluppati. I risultati dei modelli gaussiani sono in grado
di fornire correttamente lordine di grandezza della concentrazione, solitamente
sovrastimando il valore reale. I principali vantaggi e svantaggi delle diverse tipologie di
modelli sono riassunte nella Tabella 4.
3.2 Cenni di fisica dellatmosfera
Come detto in precedenza, la dispersione di inquinanti si basa sulla capacit dell'atmosfera di
diluire la specie inquinante fino a livelli di concentrazione non pi pericolosi. Questa capacit
dell'atmosfera in gran parte basata sulla turbolenza che caratterizza le circolazioni d'aria, gi
a bassi valori di velocit.
Il moto delle masse d'aria nell'atmosfera varia con la posizione sulla superficie e con la quota.
In particolare, il vento negli strati pi bassi dellatmosfera mostra andamenti generalmente
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

26
poco regolari nelle sue caratteristiche principali, che sono la direzione e l'intensit. A questo
fatto si possono ascrivere molte delle difficolt della valutazione a priori degli effetti
dell'introduzione di inquinanti nell'atmosfera.
Il vento determina prevalentemente la direzione orizzontale di allontanamento delle specie
inquinanti, mentre la variazione di temperatura con la quota influisce sulla dispersione
verticale dei fumi. La variazione di temperatura con la quota determinata da molteplici
fattori fra cui la temperatura del suolo, conseguenza degli scambi di calore per irraggiamento
(dal sole di giorno, verso il cielo di notte), la variazione di pressione con la quota, il grado di
umidit, la circolazione locale delle masse d'aria.
Tabella 4: vantaggi e svantaggi delle diverse tipologie di modelli di dispersione atmosferica.
Il concetto di stabilit dell'atmosfera ha un'importanza chiave per la dispersione degli
inquinanti. Esso trae origine dalla possibilit o meno di instaurarsi moti di circolazione
verticali nellatmosfera; questo pu essere previsto con riferimento al profilo di temperatura
potenziale, cio del profilo di temperatura che si avrebbe a seguito di una trasformazione
adiabatica di un volumetto di aria secondo landamento della pressione atmosferica con la
quota. La ragione di questo riferimento nasce da una semplice considerazione: spostando una
porzione di aria verticalmente (a causa per esempio di un vortice turbolento) questa viene a
trovarsi istantaneamente a una pressione diversa (la propagazione della pressione
immediata), ma risulta circondata da aria a una temperatura diversa. Infatti, per adeguarsi alla
temperatura circostante necessario un scambio termico, tipicamente lento per gas. Quindi la
porzione di aria si porta alla temperatura corrispondente ad una trasformazione adiabatica,
dalla pressione a cui si trovava inizialmente alla nuova. A seconda che la variazione di
temperatura (adiabatica, quindi) della porzione d'aria sia stata maggiore o minore di quella
dell'atmosfera circostante, si pu avere una tendenza a riacquisire la quota iniziale ovvero a
variarla ulteriormente. In altri termini, a seconda del gradiente reale di temperatura rispetto al
gradiente adiabatico una porzione di aria si pu trovare in condizioni di equilibrio stabile (nel
qual caso qualsiasi allontanamento dalle condizioni iniziali viene impedito) o instabili (in cui
a una perturbazione infinitesimale delle condizioni iniziali corrisponde un allontanamento
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

27
dalla posizione iniziale non correlato in alcun modo allentit della perturbazione). In
condizioni instabili si innescano moti di circolazione verticale, che sono viceversa impediti in
condizioni stabili.
Le possibili situazioni di stabilit dipendono da diversi altri fattori quando si considera
un'atmosfera non in quiete. Una quantificazione del grado di stabilit pu essere fatta
attraverso diversi parametri, ma nessuno di questi facilmente misurabile. Per questa ragione
si imposta una classificazione delle condizioni di stabilit proposta da Pasquill, secondo il
quale le condizioni di stabilit dell'atmosfera possono essere ricondotte a sei macro categorie
(indicate con le lettere da A a F, da Estremamente instabile a Moderatamente stabile,
rispettivamente).
Successivamente diversi autori hanno convenuto sulla importanza pratica di questa
classificazione (che consente tra laltro di racchiudere in un numero finito di classi le
infinite possibili situazioni con diverse tendenze dellatmosfera a disperdere un inquinante
immesso in essa), e hanno proposto diversi criteri per stimare la classe di stabilit sulla base
di fenomeni macroscopici facilmente misurabili. La Tabella 5 riporta i criteri proposti da
Turner.

Velocit
del vento a
10 m [m/s]
Irraggiamento solare [W/m
2
] Frazione di copertura
notturna del cielo
>700 350-700 <350 >1/2 <3/8
<2 A A-B B
2-3 A-B B C E F
3-5 B B-C C D E
5-6 C C-D D D D
> 6 C D D D D
Tabella 5: classi di stabilit in relazione alla velocit del vento, al grado di insolazione e di
copertura del cielo.
Una classificazione alterativa quella proposta da Doury (EPSC, 1999) che comprende solo
due classi: condizioni di diffusione normale (ND) che combina le classi di Pasquill da A a D,
e condizioni di diffusione debole, simile alla classe F di Pasquill. Le condizioni di occorrenza
delle diverse classi sono riassunte in Tabella 6.

Velocit del vento [m/s] Giorno Notte
< 3 ND WD
> 3 ND ND
Tabella 6: classi di stabilit in relazione alla velocit del vento.
possibile ottenere una espressione analitica per la variazione della velocit del vento con la
quota sulla base dell'analisi dimensionale. Le evidenze da rispettare sono un aumento della
velocit media del vento ed una diminuzione del gradiente con la quota. In altri termini il
vento cresce sempre con la distanza dal suolo e le variazioni pi sensibili sono in prossimit
della superficie, dove la velocit deve annullarsi. Inoltre, stato osservato che le variazioni
sono tanto pi concentrate verso il suolo quanto pi questo liscio, cio tanto pi piccoli
sono gli ostacoli al suolo. Per contro, in presenza di ostacoli di altezza significativa (per
esempio, costruzioni), la variazione di intensit si distribuisce su uno spessore maggiore.
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28
L'analisi dimensionale parte dalla equazione di bilancio di quantit di moto nella direzione
verticale, mediata nel tempo e semplificata utilizzando l'approssimazione di Boussinesq, per il
caso monodimensionale (u
y
=u
z
=0) stazionario e in atmosfera adiabatica, assumendo che la
derivata della pressione lungo x sia indipendente da z:
0
) 0 ( ) 0 ( ) ( = =

+ = = z z
z
P
z z
xz xz xz

Questo un legame tra
0
e ( ) dz / Kdu dz / du K
x x xz
+ = ; poich K (il tensore dei
coefficienti di diffusione turbolenta) a sua volta dipende da variabili quali la rugosit
superficiale, la densit e la quota, la equazione sopra un legame tra cinque variabili che
coinvolgono tre grandezze fondamentali. Con alcuni passaggi e utilizzando il teorema
possibile riassume le evidenze sperimentali discusse in precedenza nella seguente legge di
variazione logaritmica, valida nel caso di atmosfera adiabatica:

=
0 0 0
*
ln ln ) ( ) ( ln ) (
z
z
z
z
z u z u
z
z
k
u
z u
r
r

in cui k la costante di von Krmn che vale circa 0.41, mentre u
*
una velocit
caratteristica, detta di attrito (friction velocity), legata allo sforzo di taglio al suolo secondo la
relazione / u
0 *
= . Si tratta di una grandezza sperimentalmente misurabile sulla base
della velocit del vento a una data quota. Il profilo logaritmico non pu, matematicamente,
essere definito fino al suolo (z = 0). La quota z
0
di riferimento a cui il vento si annulla viene
assunta in funzione della rugosit del suolo, come riassunto per alcune situazioni tipiche nella
Figura 12.
Si vede che esiste una certa incertezza sul valore da utilizzare in una data situazione, pari
mediamente a un fattore di circa 3 (a parte alcune situazioni limite). Unincertezza di questo
tipo comporta una differenza nella stima della velocit del vento con la formula precedente a
una certa quota dellordine di circa il 10%.
Bisogna anche sottolineare che la valutazione del profilo verticale del vento con una legge
logaritmica e un valore di rugosit superficiale si applica ovviamente per quote superiori alla
rugosit superficiale stessa. Questo non un problema quando le dimensioni verticali della
nube (o la sua quota) sono superiori al valore della rugosit superficiale. Viceversa, se
esistono ostacoli la cui dimensione superiore a quella verticale della nube (come spesso
accade nel caso di rilascio di gas densi in aree industriali) si possono avere situazioni
marcatamente differenti da quelle caratterizzate da un profilo logaritmico del vento. Il vento
stesso pu essere canalizzato dagli ostacoli, e la presenza di scie a valle degli edifici pu
portare a concentrazioni decisamente maggiori di inquinanti nella regione a valle degli edifici
stessi.
Qualora le condizioni dell'atmosfera non siano quelle adiabatiche, il profilo di velocit si
modifica. L'analisi dimensionale fornisce anche per il caso generale una relazione
approssimata, che mostra come in atmosfera stabile la velocit del vento cresce pi
rapidamente con l'altezza e viceversa in condizioni di instabilit. Questo corrisponde
all'effetto di livellamento della velocit operato dagli scambi di quantit di moto turbolenta
lungo la verticale. In questo caso la relazione precedente si modifica con lintroduzione di un
parametro caratteristico delle condizioni di stabilit dellatmosfera, la lunghezza di Monin
Obukhov, L:

+ =
L
z
z
z
k
u
z u 5 . 4 ln ) (
0
*

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29
Il parametro L pu essere stimato sulla base dei valori riportati in Tabella 7.


Figura 12: valori di rugosit superficiale, z
0
, suggeriti da diverse fonti.
Molto utilizzata nella pratica, e in particolare con riferimento ai modelli di dispersione di
inquinanti, la rappresentazione della velocit media del vento con la quota attraverso una
legge empirica (di potenza) del tipo:
P
r
r
z
z
z u z u

= ) ( ) (
basata su un valore di velocit, u(z
r
), a una quota di riferimento, z
r
. In essa il parametro P
viene determinato sulla base delle condizioni atmosferiche, nota la natura del suolo.
Per una rapida valutazione si possono utilizzare i valori riportati nella Tabella 8. Questi valori
sono stati stimati per emissioni da ciminiere e non dovrebbero quindi essere utilizzati per
quote inferiori a quella di riferimento.
Le previsioni delle diverse relazioni sono riportate per alcuni casi nella Figura 13. Si nota che
le maggiori differenze si riscontrano nel caso di atmosfera instabile, mentre nel caso di
atmosfera neutra non si riscontrano differenze apprezzabili. Un discorso a parte merita il caso
di atmosfera instabile, dove i valori pi elevati dellesponente P portano a previsioni poco
credibili del profilo di velocit del vento. Non si riscontrano infine grosse differenze legate
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30
allutilizzo del parametro L, cosa che giustifica lapproccio usuale che porta ad utilizzare la
relazione pi semplice che ne ignora leffetto.


Classe di stabilit Lunghezza di Monin Obukhov, m
A - 10
B - 50
C - 50
D > 100
E 50
F 10
Tabella 7: classificazione delle condizioni di stabilit atmosferica.

Classe A B C D E F
Riferimento Terreno
CCPS, 2000 Urbano 0.15 0.15 0.20 0.25 0.40 0.60
Rurale 0.07 0.07 0.10 0.15 0.35 0.55
EPSC, 1999 Urbano 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.30
Tabella 8: esponenti per la relazione della velocit del vento in funzione della quota proposti
da diverse fonti.
3.3 Modelli gaussiani
I modelli gaussiani possono essere utilizzati per simulare la fase di dispersione passiva, cio
quella prevalente quando sia gli effetti inerziali sia quelli gravitazionali si sono esauriti. Come
detto in precedenza, questa terza fase sempre presente, e pu risultare lunica nel caso di
emissione di un gas neutro (cio con densit simile a quella dellaria) e senza apprezzabili
componenti della velocit in uscita. Possono rappresentare ragionevolmente anche il caso di
dispersione di una piccola quantit di gas densi, in cui la fase legata alla densit del gas
relativamente breve e poco importante.
Nel caso di emissione continua da una sorgente puntiforme (le cui dimensioni siano cio
trascurabili rispetto alla scala spaziale su cui si vuole simulare il fenomeno, tipicamente
dellordine della distanza tra sorgente e ricettore) linquinante viene trasportato dal vento
formando un pennacchio parallelo al suolo. La concentrazione di inquinante a una certa
distanza dalla sorgente risulter quindi massima in corrispondenza dellasse del pennacchio,
diminuendo progressivamente man mano che ci si allontana. Analogamente, in
corrispondenza dellasse del pennacchio la concentrazione diminuir allaumentare della
distanza per effetto della diluizione progressiva. Per emissioni in quota la concentrazione al
suolo viceversa normalmente sar nulla in prossimit dellemissione in quanto linquinante
non ha ancora raggiunto il suolo, per poi aumentare gradualmente allaumentare della distanza
fino a un valore massimo. A distanze maggiori leffetto della diluizione prevale e la
concentrazione al suolo diminuisce.
Le caratteristiche fondamentali della dispersione di un gas neutro da una sorgente continua
possono essere derivate dalla equazione di bilancio materiale dellinquinante, che pu essere
scritta come:
S C D C u
t
C
+ = +

2

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31
0 2 4 6
0
50
100
150
u, m/s
z
,

m
A, z
0
=1 m
0 2 4 6
0
50
100
150
u, m/s
F, z
0
=1 m
0 5 10 15
0
50
100
150
u, m/s
D, z
0
=1 m
0 2 4 6
0
50
100
150
u, m/s
z
,

m
A, z
0
=0.1 m
0 2 4 6
0
50
100
150
u, m/s
F, z
0
=0.1 m
0 5 10 15
0
50
100
150
u, m/s
D, z
0
=0.1 m

Figura 13: velocit del vento in funzione della quota calcolate per una velocit del vento a 10
m pari a 2 m/s per le classi A e F, 5 m/s per la classe D. (---) relazione col parametro L; ()
relazione senza il parametro L; (- -) relazione empirica coi valori di P secondo CCPS,
(2000); (- .) relazione empirica coi valori di P secondo EPSC (1999).

Essendo la concentrazione dellinquinante in aria solitamente molto bassa, possibile
assumere che la sua presenza non influenzi il campo termico e di moto dellatmosfera. In
questo modo, assunta nota la distribuzione di velocit e temperatura, non necessario
accoppiare il bilancio materiale della specie inquinante alle equazioni di bilancio di energia e
di quantit di moto. Il termine S rappresenta le sorgenti della specie inquinante, dovute a
reazioni chimiche o a immissioni dallesterno del dominio di integrazione.
In assenza di reazioni chimiche e effettuando la usuale operazione di mediazione si ottiene la
equazione mediata:
S C D K C u
t
C
+ + = +

2
) (
dove K il tensore dei coefficienti di diffusione turbolenta e si sono introdotti i valori medi di
velocit e concentrazione. Trattandosi di un moto turbolento, non solo la velocit ma anche la
concentrazione della specie inquinante ha un andamento erratico, tipico di una variabile
casuale. In altri termini, la mediazione dellequazione di bilancio materiale e la conseguente
introduzione di un modello di turbolenza per risolvere il problema della chiusura delle
equazioni impedisce di calcolare il valore istantaneo della concentrazione, limitandosi a
fornire un valore medio. Questo da un lato non un grosso problema in quanto anche
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

32
sperimentalmente siamo in grado di misurare solo valori medi di concentrazione (su intervalli
pi o meno lunghi a seconda dello strumento utilizzato), ma dallaltro pone il problema della
scelta dellintervallo di mediazione (averaging time). Infatti, per una assegnata distribuzione
della concentrazione, i malori massimi e minimi (misurati o calcolati) dipendono dal valore
dellintervallo di tempo scelto per la operazione di media. Ne consegue che un valore di
concentrazione (misurato o calcolato) non ha senso se non associato alla definizione del
tempo di mediazione utilizzato.
Sulla base di diverse assunzioni semplificative si possono ricavare formule diverse, la pi
utilizzata delle quali la seguente:

+
+

=
2
2
2
2
2
2
2
) (
exp
2
) (
exp
2
exp
2
z z y z y
h z h z y
u
q
C



dove il coefficiente di riflessione dellinquinante al suolo (pari a 1 per riflessione
completa, come nel caso di suolo non poroso e di inquinante che non si adsorbe sulla
vegetazione, e pari a 0 per assorbimento completo, come nel caso di HF + acqua).
Questo modello non applicabile in condizioni di calma di vento (cio per velocit medie del
vento inferiori a un dato valore, pari a 0.5 2 m/s a seconda degli autori) in quanto non in
grado di simulare la retrodiffusione presente nelle immediate vicinanze della sorgente come
illustrato in Figura 14.

Figura 14: fenomeni di retrodiffusione a bassa velocit del vento.
Esistono diverse correlazioni per la stima di
y
e
z
in funzione della distanza dalla sorgente,
x, e delle condizioni di stabilit atmosferica. Ciascuna di queste correlazioni differisce dalle
altre per le condizioni in cui sono state effettuate le misure sperimentali utilizzate per ricavare
una particolare formula (tipo e altezza del rilascio, orografia, intervallo di tempo su cui viene
mediata la misura della concentrazione, ecc.). Un confronto tra i valori di Pasquill Gifford e
quelli di Doury riportato in Figura 15.
Si nota come nel caso di dispersione orizzontale la differenza tra le diverse classi di stabilit
piccola e le curve di Pasquill Gifford sono essenzialmente le stesse di quelle di Doury. Nel
caso invece di dispersione verticale, le curve sono differenti per le diverse classi di stabilit. I
due approcci forniscono comunque valori simili, eccetto che per le classi A e B dove le curve
di Pasquill Gifford tendono a divergere per tempi di trasferimento dellordine dei 1000 s.
Questo comportamento appare ragionevole solo in condizioni eccezionali legate alla presenza
di forti correnti convettive.
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

33
Sulla base di diverse assunzioni semplificative si possono ricavare formule diverse anche per
rilasci istantanei, la pi utilizzata delle quali la seguente:
( )
( )

+
+

=
2
2
2
2
2
2
2
2
2 / 3
2
) (
exp
2
) (
exp
2 2
exp
2
z z y x z y x
h z h z y t u x q
C



dove sempre il coefficiente di riflessione dellinquinante al suolo e q la quantit di
inquinante scaricata. I valori dei coefficienti di dispersione nel caso di rilasci istantanei sono
differenti da quelli per il caso di rilasci continui, anche se il limitato numero di informazioni
sperimentali disponibili rende difficile una loro stima affidabile. Un approccio utilizzato
quello di considerare
y x
= pari alla met del valore corrispondente per rilasci continui, e
di considerare viceversa inalterato il valore di
z
.Al variare del tempo di mediazione cambia
il valore di concentrazione (sia misurato, sia calcolato). I valori riportati in letteratura per i
coefficienti di dispersione sono solitamente relativi a tempi di mediazione di 10 minuti.
Questo pu essere adeguato per valutare le conseguenze di molti rilasci tossici, ma non lo
per la stima dei limiti di infiammabilit, dove si interessati a valori di concentrazione
essenzialmente istantanei ed in prossimit del punto di rilascio ove sono maggiormente
rilevanti altri meccanismi di diluizione legati alla densit/velocit delleffluente.
Figura 15: confronto tra valori di
y
e
z
in funzione del tempo di trasferimento dalla
sorgente al ricettore, definito come rapporto tra la distanza e la velocit media del vento.
In prima approssimazione possibile stimare leffetto del tempo di mediazione utilizzando la
relazione:
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34
( )
min 10
10 /
=
=
t
z
q
t
z
t
con t espresso in minuti. Per tempi di mediazione inferiori ai 10 minuti q = 0.2, mentre per
tempi compresi tra 1 e 100 h si assume solitamente q = 0.25 - 0.3. Perch il nuovo valore non
sia inferiore a quello caratteristico di una emissione istantanea il fattore correttivo non pu
essere inferiore a circa 0.5 (il che equivale ad assumere che un rilascio istantaneo avvenga
in circa 20 s). Questa relazione fornisce risultati sostanzialmente coincidenti con la:
( )
min 10
2 . 0
10
=

=
t t
C t C
Leffetto del tempo di mediazione schematizzato in Figura 16.
0 10 20 30 40 50 60
0.6
0.8
1
1.2
1.4
1.6
1.8
2
tempo di mediazione, min
C
t

/

C
t
=
1
0

m
in

Figura 16: confronto tra valori di concentrazione al variare del tempo di mediazione.
Le assunzioni necessarie per giungere alle semplici formule gaussiane sono molto stringenti, e
spesso sono solo parzialmente soddisfatte nella pratica. Ci nonostante, proprio grazie alla
loro semplicit, i modelli gaussiani sono ampiamente utilizzati. La ragione del loro successo
risiede nel fatto che tali modelli sono in grado di rappresentare correttamente i principali
comportamenti qualitativi (per esempio la distribuzione gaussiana della concentrazione
allinterno del pennacchio o della nube), e che un accordo quantitativo con la realt viene
ottenuto tarando i parametri di dispersione presenti nei modelli (
y
e
z
) per confronto tra le
previsioni dei modelli gaussiani e i risultati di misure sperimentali, anzich essere calcolati
partendo da considerazioni teoriche come sarebbe viceversa possibile. Ci nonostante vi sono
delle chiare limitazioni alluso dei modelli gaussiani, quali la presenza di orografie complesse
o ostacoli di dimensioni comparabili allaltezza del pennacchio, condizioni meteorologiche
variabili tra la sorgente e il ricettore, calma di vento, regione vicina allemissione (fino a 100
m). In particolare, il limitare luso di questi modelli a distanze superiori a 100 m dal punto di
rilascio consente al flusso scaricato di stabilizzarsi in un pennacchio (o in una nube) con
distribuzione della concentrazione gaussiana. Dalla Figura 16 si nota come lassunzione di
considerare infiammabile la nube fino a una concentrazione media su 10 minuti pari a 1/2
LFL corrisponde a considerare infiammabile la nube fino a una concentrazione media su 20
secondi pari al LFL.
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35
3.4 Modelli integrali
Un gran numero di incidenti industriali coinvolge la dispersione di gas pi densi dellaria. In
questo caso leffetto della gravit pu giocare un ruolo determinante nelle prime fasi della
dispersione e lutilizzo di modelli gaussiani non corretto. In questo caso necessario tenere
espressamente in conto gli scambi di energia e quantit di moto della nube o del pennacchio
con lambiente, oltre che di materia. Ci pu essere fatto utilizzando le equazioni di
conservazione di queste grandezze scritte per un certo volume di controllo (a cui viene
assimilata la nube nel caso di rilasci istantaneii) o per un tubo di flusso (a cui viene assimilato
il pennacchio nel caso di rilasci continui).
I modelli integrali vengono solitamente utilizzati accoppiati ai modelli gaussiani. Questi
ultimi descrivono la fase di dispersione passiva della nube o del pennacchio, quando cio
linquinante si e diluito abbastanza da rendere trascurabili gli effetti gravitazionali. Ne
consegue che tutte le limitazioni e i problemi discussi in precedenza per i modelli gaussiani
sono presenti anche nei modelli integrali.
Nel caso di emissioni di gas pesanti si possono identificare quattro fasi successive:
1. creazione della nube o del pennacchio;
2. collasso;
3. spargimento al suolo;
4. dispersione passiva.
La prima fase, come sempre nel caso di emissioni istantanee, richiede unassunzione sulla
forma e dimensione della nube. La seconda e terza sono quelle descritta dai modelli integrali,
mentre la quarta viene simulata coi modelli gaussiani. Le diverse fasi sono rappresentate nella
Figura 17.
Nella forma pi semplice, i modelli integrali per emissioni istantanee simulano la caduta della
nube utilizzando le equazioni di Navier Stokes nella forma semplificata di Bernoulli.
Introducendo alcune ipotesi semplificative (velocit di caduta della parte superiore del
cilindro forma a cui solitamente si approssima la nube trascurabile; velocit di
spargimento laterale della nube uniforme; equilibrio tra la sovrapressione media nella nube e
resistenza dellaria allavanzamento del fronte della nube) si ottiene una relazione del tipo:
5 . 0


= H g K
dt
dR
a
a



dove R ed H sono il raggio e laltezza della nube, e K un parametro.
La diluizione della nube a seguito dellingresso dellaria viene rappresentata attraverso delle
velocit di ingresso dai bordi e dalla parte superiore della nube:
( )
2
2 1
2 R
Ri
U
dt
dR
RH
dt
dM
t
a a
a
+

=
dove M
a
la massa di aria trascinata nella nube e
1
e
2
sono due parametri. Alcuni modelli
tengono anche conto degli scambi termici con lambiente attraverso relazioni del tipo:
( ) ( ) ( )
dt
dM
T T C T T
dt
dT
C M C M
a
a Pa suolo ga ga Pa a
+ = +
3

dove
3
un altro parametro. Complessivamente, i fenomeni tenuti in conto da un modello
integrale di questo tipo sono riassunti in Figura 18. Altri fenomeni, come per esempio la
presenza di umidit, possono essere inclusi in questo approccio, ma il principale problema
risulta evidente anche dalle equazioni riportate: per poter ricondurre le equazioni di
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36
conservazione a una forma matematicamente semplice necessario introdurre numerose
semplificazioni che vengono recuperate nel modello introducendo dei parametri adattivi. Il
valore di tali parametri deve essere stimato per confronto con dati sperimentali. Questo
rappresenta il principale limite dei modelli integrali: essendo disponibile solo un numero
limitato di dati sperimentali in scala reale, laffidabilit dei parametri stimati utilizzando tali
dati non garantita, specie in condizioni diverse da quelle indagate sperimentalmente.

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37
Figura 17: Diverse fasi della simulazione di una dispersione di un gas pesante.
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38


Figura 18: meccanismi considerati durante la simulazione della fase di caduta di una nube
con un modello integrale.
Vi poi il problema di legare i risultati del modello integrale a quelli del modello gaussiano
nel momento in cui la densit della nube approssima quella dellaria. A parte la discontinuit
che si pu avere nel profilo di concentrazione passando da un profilo top-hat a uno gaussiano
(come mostrato in Figura 17), il principale problema la definizione di un criterio per la
transizione dalla fase rappresentata dal modello integrale a quella rappresentata dal modello
gaussiano. Si utilizzano solitamente criteri basati su diverse verifiche, quali la differenza di
densit tra la nube e laria, la velocit del fronte della nube, la penetrazione della turbolenza
atmosferica nella nube, ecc. Nessuno di questi approcci migliore degli altri, nel senso che
tutti basano la loro validit sulla capacit di riprodurre ragionevolmente le evidenze
sperimentali.
Nel caso di rilasci continui a bassa velocit (in cui quindi la componente inerziale sia
trascurabile) la modellazione analoga, come mostrato nella Figura 19. Anche le equazioni
risultanti sono simili, originandosi sempre dalle equazioni di Navier Stokes fortemente
semplificate per ricondurre il modello alla forma a parametri concentrati, e quindi le
equazioni a un sistema di equazioni differenziali ordinarie.
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39
Figura 19: modellazione di un rilascio continuo con un modello integrale.
Il discorso risulta analogo anche per il caso di rilasci continui in cui la componente inerziale
non sia trascurabile. In questo caso possibile modellare separatamente la fase di getto
turbolento iniziale (in cui lo scarico si diluisce molto pi rapidamente che durante la fase di
dispersione passiva a causa dellelevata differenza di velocit del getto rispetto allaria
ambiente). I modelli integrali applicati al tubo di flusso sono in grado, sempre sulla base di
parametri stimati sulla base del confronto coi dati sperimentali disponibili, di rappresentare
anche la fase iniziale di getto (almeno oltre la zona di stabilizzazione del flusso, mostrata in
Figura 20 che si estende per alcuni diametri e richiede di essere caratterizzata in modo
differente per fornire le condizioni iniziali al modello integrale), oltre che la fase in cui
prevalgono gli effetti inerziale quelli di dispersione passiva. Contrariamente ai modelli
discussi in precedenza, in questo caso di solito i modelli integrali non si collegano ad un
modello gaussiano per simulare lultima fase della dispersione, ma il modello integrale
ingloba anche una parte di dispersione legata alla turbolenza atmosferica. Questi modelli
riproducono correttamente la fase dominata dalla quantit di moto iniziale o dagli effetti
gravitazionali, ma rappresentano il pennacchio con una sezione circolare anche nella regione
di dispersione passiva, in contrasto con le evidenze sperimentali che mostrano una maggior
dispersione laterale rispetto a quella verticale. Questo produce un pennacchio a sezione
ellittica, come correttamente riprodotto dai modelli gaussiani.
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40

Figura 20: Modellazione di un rilascio continuo a getto con un modello integrale.
Poich tutti i modelli integrali sono stati tarati sugli stessi (pochi) dati sperimentali
disponibili, essi sono sostanzialmente in grado di riprodurli correttamente. In altri termini,
non agevole discriminare tra tali modelli quale sia il migliore, ma soprattutto quale sia il pi
affidabile in condizioni diverse da quelle utilizzate per la sua taratura (per esempio, rilasci di
composti tossici che raggiungono valori di concentrazione pericolosi anche a grandi distanze
dalla sorgente). Elenchi di codici disponibili per la simulazione della dispersione in atmosfera,
cos come confronti dettagliati tra i risultati di diversi codici sono discussi in dettaglio in
numerose rassegne di letteratura (si veda per esempio CCPS, 1996; EPSC, 1999).
I modelli integrali e quelli gaussiani condividono lincapacit di rappresentare linfluenza di
ostacoli presenti nelle vicinanze del punto di rilascio. La Figura 21 mostra alcune di queste
situazioni.
Un confronto con dati sperimentali in larga scala riportato in Figura 22 mostra con chiarezza
leffetto di quanto schematizzato nella Figura 21.
La soluzione pi ragionevole a questi problemi data dallutilizzo di modelli tridimensionali
discussi nella sezione seguente.
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41

Figura 21: esempi di situazioni non correttamente modellate dai modelli integrali e
gaussiani.
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42
Figura 22: confronto tra dati sperimentali in larga scala e previsione di differenti modelli:
gaussiani, integrali e tridimensionali. La figura a sinistra si riferisce ad una situazione con
ostacoli, quella a destra senza.
3.5 Modelli tridimensionali
I modelli tridimensionali (o CFD) implementano le equazione cardinali del moto dei fluidi e
di conservazione della materia e dellenergia, accoppiate a opportuni modelli di turbolenza e a
condizioni al contorno per rappresentare la topografia della zona e le caratteristiche della
sorgente. Essi matematicamente originano un sistema di equazioni differenziali alle derivate
parziali che possono essere complessivamente rappresentate con la relazione generale:
( ) S U

= +



t


Nella relazione precedente U rappresenta il vettore velocit, una generica variabile
associata al moto del fluido (quantit di moto, energia, concentrazione di una specie
inquinante), il coefficiente di diffusione della variabile , e t indicano rispettivamente
la densit del fluido e la variabile temporale, S il termine di generazione o di scomparsa
relativo al bilancio che stiamo considerando.
Tali equazioni descrivono completamente il moto di un fluido e la dispersione di un
inquinante in esso, ma la possibilit di risolvere numericamente il problema dipende
fortemente dalle condizioni di moto in cui il fluido si trova. Infatti, come ripetutamente detto,
nel caso di moti in atmosfera si in presenza di condizioni di moto turbolente. Volendo
risolvere le equazioni come scritte in precedenza, in questo caso le scale di tempo e di
lunghezza sarebbero fortemente ridotte, rappresentando un problema insolubile per le capacit
di calcolo attuali. Come detto in precedenza, un modo per superare questo problema quello
di considerare una media temporale delle grandezze che descrivono il moto del fluido, e non
la loro quantit istantanea. In questo modo per le equazioni di conservazione generano due
nuove quantit: lo sforzo di Reynolds u u = e il flusso di Reynolds u = . Queste due
quantit, a priori sconosciute, possono essere calcolate attraverso lipotesi di lavoro nota come
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43
ipotesi di viscosit turbolenta. Lidea alla base di questo modello che gli sforzi di Reynolds
siano correlati linearmente ai gradienti medi di velocit, in modo analogo a quanto succede
per la relazione sforzi - deformazioni nel caso di fluido newtoniano in moto laminare:
( ) ( )
T
T T
U U U k u u + + =
3
2
3
2

dove
T
la viscosit turbolenta e k lenergia cinetica turbolenta. Analogamente si pu
definire una relazione tra i flussi di Reynolds e il gradiente medio della variabile :
=
T
u
dove
T
rappresenta il coefficiente di diffusivit turbolenta calcolato come
T
T
T

= , con
T

pari al numero di Prandtl turbolento.
I diversi modelli basati sullipotesi di viscosit turbolenta si distinguono nel modo in cui
calcolano la viscosit turbolenta e la diffusivit turbolenta. Il modello pi conosciuto, grazie
alla sua ampia applicabilit, il modello k-.
Come detto, i modelli tridimensionali sono stati sviluppati allinterno della fluidodinamica
computazionale e sono in grado di rappresentare in modo realistico leffetto della turbolenza
atmosferica sulla dispersione dellinquinante. Possono inoltre rappresentare in maniera
concettualmente semplice condizioni meteorologiche estreme e qualsiasi tipo di ostacolo o di
orografia. Analogamente, sono in grado di tenere in conto la reale densit dei composti
scaricati cos come le reali condizioni di scarico. Daltro canto, questi modelli richiedono un
elevato tempo di calcolo, sono complicati da utilizzare richiedendo lintervento di personale
esperto nellutilizzo di codici fluidodinamici.

Figura 23: confronto tra misure sperimentali e predizioni di modelli CFD e gaussiani per un
rilascio di ammoniaca allinterno di un complesso industriale.
A titolo di esempio la Figura 23 riporta i risultati di una simulazione della dispersione di un
rilascio accidentale di ammoniaca allinterno di un complesso industriale caratterizzato dalla
presenza di numerosi edifici. Si pu notare come il modello di tipo CFD sia in grado di ben
rappresentare la reale dispersione, al contrario di un pi semplice modello gaussiano.
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44
Il principale vantaggio di questo tipo di modelli che non contenendo, almeno in linea di
principio, dei parametri tarati su dati sperimentali di dispersione, la loro validit non
condizionata dallintervallo delle variabili considerati nella procedura di convalida. Alcuni
esempi di confronto tra i dati sperimentali e le previsioni di un modello tridimensionale sono
riportate in Figura 23 e in Figura 24. In queste figure, oltre che nella Figura 22, si nota come i
modelli tridimensionali siano in grado di rappresentare correttamente anche leffetto della
presenza di ostacoli. Questa propriet anche dovuta alla capacit di questi modelli di
riprodurre il campo di moto in situazioni complesse, come mostrato a titolo di esempio in
Figura 25.
I due principali limiti allutilizzo di questi modelli sono da un lato il costo (in termini di
tempo macchina e di tempo uomo) necessario a ottenere i risultati di una simulazione, e
dallaltro la mancanza di una estesa convalida per confronto coi dati sperimentali disponibili.
Daltro canto, le loro potenzialit sono indubbie, e il loro uso ottimale quindi mirato a un
numero limitato e selezionato di situazioni.

Figura 24: esempi di confronto tra dati sperimentali e previsioni di un modello
tridimensionale.
Un esempio di questo tipo rappresentato dalla dispersione di un gas freddo (metano)
rilasciato da un vent in condizioni di calma di vento (velocit del vento pari a 0.1 m/s). Questa
situazione potrebbe verificarsi durante lo scarico di emergenza da una cosiddetta candela
fredda di un impianto che tratta GNL. Considerando una temperatura del metano
allemissione in atmosfera pari a 144 K, la Figura 26 mostra le curve di isoconcentrazione
verticale ottenute dalla simulazione numerica col codice CFD KFX-99; queste riproducono
fedelmente alcune risultanze sperimentali che evidenziano una ricaduta al suolo della nube
infiammabile (involucro con concentrazione pari al 5% vol.) nelle vicinanze della base del
camino.
Questa situazione chiaramente pericolosa e non prevedibile con codici di calcolo gaussiani o
integrali a causa della caratteristica di gas freddo (avente quindi densit maggiore di quella
dellaria) e la contemporanea condizione di assenza di vento. I modelli gaussiani, come detto,
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45
non sono validi per rilasci di gas pesanti e basse velocit del vento, mentre le relazioni di
entrainment utilizzate nei modelli integrali non sono accurate vicino allemissione, dove si
registrano condizioni estreme di bassa temperatura ed elevata densit che inibiscono la
diluizione.


Figura 25: campo di moto previsto da un modello tridimensionale per la situazione
rappresentata in Figura 23.

Figura 26: valori di concentrazione in un piano verticale contenente il camino.
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46
3.6 Rilasci sottomarini
Tutti i modelli proposti in letteratura, pur nella diversit degli approcci e delle metodologie di
risoluzione, si inseriscono in uno schema comunemente accettato che approssima il comportamento
di un rilascio in profondit suddividendo in tre regioni il percorso compiuto, dalla sorgente fino alla
superficie. La prima zona si situa in prossimit dellorifizio, dove si attua la stabilizzazione del
flusso (ZOFE, Zone Of Flow Establishment) e in cui controllante la velocit di rilascio: si tratta di
una regione interessata da forti turbolenze, che non viene simulata da nessun modello, in quanto
viene ritenuta relativamente poco influente sui risultati finali della simulazione. La ZOFE si estende
per un breve tratto dalla sorgente, fintanto che si possa trascurare leffetto della spinta di
galleggiamento sul movimento del flusso, e il sistema abbia dunque il carattere di getto, cio sia
controllato solo dalla velocit di efflusso. Nella ZOFE il rilascio perde la sua energia iniziale e
rallenta, per passare quindi nella zona di flusso stabilizzato (ZOEF, Zone Of Established Flow),
dove la quantit di moto non dipende solo dalla velocit dello scarico, ma anche dalla spinta di
galleggiamento, generata dalla minore densit del gas e dellolio rispetto allacqua di mare. Questa
regione caratterizza quasi completamente il fenomeno, arrivando a pochi metri dalla superficie:
lungo tutto questo tratto lo scarico viene considerato un plume, cio un pennacchio guidato e
controllato nel suo movimento pi dalla spinta di Archimede che dalla quantit di moto del rilascio,
che si sta esaurendo. La terza zona interessa larea di incontro con la superficie, dove comincia la
dispersione in atmosfera del gas e la generazione di una corrente superficiale, legata al liquido
trascinato. Questa regione viene definita zona di flusso superficiale (ZOSF, Zone Of Surface Flow)
e non tutti i modelli elencati in precedenza la trattano.
Lo schema descritto fin qui ritenuto valido limitatamente a un rilascio in condizione stazionarie,
per cui la portata allefflusso costante nel tempo, cos come i risultati ottenuti dalla simulazione.
Inoltre si pu puntualizzare che gli scarichi di idrocarburi in mare vengono trattati come buoyant
jet, ovvero getto galleggiante, in quanto assumono globalmente sia un carattere di jet che le
propriet tipiche di un plume.
I modelli elaborati sinora simulano quasi esclusivamente solo la ZOEF in cui spicca il carattere di
pennacchio, e possono essere raggruppati in tre categorie in base alla loro affidabilit e
applicabilit. I pi semplici e meno dispendiosi in termini di utilizzo sono quelli empirici, che per
sono meno precisi, seguono i metodi integrali (semi-empirici) che risultano pi affidabili dei
precedenti, e infine si hanno i codici fluido-dinamici (CFD), pi rigorosi ma anche pi onerosi, per i
tempi lunghi di risoluzione di cui hanno bisogno.
I modelli empirici si riferiscono a una trattazione della realt semplificata, che permette di stimare
grossolanamente la sezione di uscita (boil area) del gas in superficie: si assume che lo scarico
gassoso formi un pennacchio conico (cone model), il cui raggio dipenda solo dalla profondit e non
dalla portata volumetrica rilasciata, fissando langolo conico normalmente tra i 10-12. Si ottengono
risultati in prima approssimazione accettabili se questi modelli vengono utilizzati allinterno di certi
intervalli di applicabilit, ma al di fuori hanno una bassa attendibilit, mancando di considerazioni
legate ai processi fisici in atto.
I modelli integrali seguono lo sviluppo del rilascio dalla sorgente fino alla superficie, integrando
lequazione di conservazione della materia e della quantit di moto nella coordinata della profondit
(modelli Euleriani), o nella variabile temporale (modelli Lagrangiani), supponendo la sorgente in
condizioni stazionarie. Rispetto a quelli empirici sono pi fedeli alla realt e permettono di
conoscere informazioni pi dettagliate, relative a velocit, concentrazione e posizione del rilascio in
funzione dello spazio (Euleriani) o del tempo (Lagrangiani). Per hanno limiti intrinseci, essendo
sensibili a coefficienti di natura empirica che variano con la velocit di scarico, con la profondit e
con parametri fluidodinamici locali.
I codici fluido-dinamici (CFD) si basano sulla risoluzione delle equazioni di conservazione della
materia (equazione di continuit) e di conservazione della quantit di moto (equazione di Navier
Stokes) espresse in condizioni non stazionarie. In questo modo si risolve il problema dei modelli
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47
integrali relativo alla stima di coefficienti empirici, poich nei modelli CFD sono modellati
direttamente. Quindi i modelli CFD sono pi affidabili, ma allo stesso tempo richiedono consistenti
informazioni relative allinizializzazione della sorgente e alla caratterizzazione dello scenario, la cui
determinazione spesso troppo dispendiosa.
I modelli integrali si basano sullapprossimare il fenomeno del pennacchio con una serie di volumi
di controllo che si susseguono dalla sorgente fino alla superficie (ZOEF), imponendo che per
ciascuno siano rispettate lequazione di continuit e lequazione di conservazione della quantit di
moto. Di fatto il pennacchio influenzato dallacqua che viene richiamata nel pennacchio per
effetto dellazione di taglio, tra il fluido rilasciato e lambiente circostante in quiete: si determina
infatti un continuo richiamo di acqua (entrainment) che rallenta progressivamente il pennacchio. Di
ci se ne tiene conto applicando lequazione di continuit alla massa liquida, e considerando lacqua
richiamata da ciascun volume di controllo come una vera e propria portata entrante (2b),
dipendente dalle dimensioni (b) e dalla velocit () del volume di controllo considerato, oltre che
da un opportuno coefficiente empirico ():

b
dz
b d
2
) (
2
=
Col procedere del pennacchio, lacqua continuamente risucchiata ha unazione frenante sul sistema
che viene controbilanciata dalla spinta di galleggiamento, di cui si tiene conto mediante la
conservazione della quantit di moto:
( ) g b
dz
b d
a
2
2 2
) (


=
Le equazioni scritte in questo modo appartengono a quei modelli integrali definiti Euleriani, che
integrano il sistema nella coordinata verticale (z), considerando che i volumi di controllo si
mantengano fissi nello spazio: tutte le variabili caratterizzanti il modello dipendono da questa
coordinata, quindi anche i risultati ottenuti saranno in funzione della posizione lungo lo sviluppo del
pennacchio.
Uno di questi modelli quello sviluppato da Fannelop e Sjoen (1980). Questo modello classifica il
fenomeno come un buoyant jet, cio un efflusso che porta con s il carattere di jet e di plume,
in quanto, accanto alla velocit di rilascio, anche la spinta di galleggiamento controllante sulla
quantit di moto del sistema. Per simulare ci, si considera un tratto prossimo alla sorgente (ZOFE)
come un getto, trascurando lazione della spinta di Archimede, e il percorso successivo (ZOEF) fino
alla superficie come un pennacchio, in cui si ritiene che la quantit di moto sia principalmente
indotta dalla differenza di densit tra il gas e lambiente esterno. In realt la regione iniziale non
viene considerata nel modello, in quanto caratteristica di un breve tratto di simulazione che, su
una profondit dellordine di decine di metri, trascurabile. Un calcolo approssimativo delle
condizioni iniziali del pennacchio determina qualche anomalia nei primi metri della simulazione,
ma nel successivo sviluppo i risultati seguono in modo soddisfacente i dati sperimentali,
indipendentemente dai valori iniziali utilizzati.
Quindi il modello segue lo schema di risoluzione di un pennacchio, costituito dalle equazioni di
conservazione della materia, sia per la fase liquida sia per quella gassosa e dallequazione di
conservazione della quantit di moto:
a
b
dz
b d


2
) (
2
=
( ) ( )
0 =
+
dz
A d
s g g


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48
( )

=
a
g b
dz
b d
2
2
) (

In queste equazioni gioca un ruolo fondamentale il valore della portata di acqua risucchiata dal
pennacchio nel suo movimento verso la superficie, che viene calcolata mediante il coefficiente
empirico . Le equazioni tengono conto dellazione della spinta di galleggiamento sulla quantit di
moto del sistema e impongono che la massa gassosa rilasciata si conservi, durante tutto il percorso
del pennacchio, considerando nullo il gas risucchiato dallesterno, e trascurabile la diffusione di
questo nellambiente. Inoltre la fase gassosa non occupa tutta la sezione del pennacchio (b
2
) ma
una frazione di questa (b
2

2
) nella quale si trova a una percentuale volumetrica pari alla frazione di
vuoto (A
g
/b
2

2
): A
g
la sezione attraversata solo dal gas, un fattore che riduce il diametro totale
del pennacchio all80%, corrispondente alla dimensione del cuore gassoso.
Si assume che la densit dellambiente (
a
) sia costante e che sia valida lapprossimazione di
Boussinesq: questa trascura, nel calcolo della densit del pennacchio (), la densit della fase gas
(
g
) rispetto alla densit del liquido (
l
=
a
), tranne nel caso della spinta (
a
-0). Unaltra
assunzione cruciale relativa al comportamento del gas: viene trattato come un gas ideale e si
approssima il fenomeno di espansione a una trasformazione isoterma, poich lecito ritenere che il
gas, a stretto contatto con un ambiente a temperatura costante, abbia tale temperatura lungo tutto il
pennacchio. Quindi la densit gassosa espressa in funzione della coordinata verticale (z) e in base
alla profondit della sorgente (H):
H
z H
z
g
g
=
) 0 (
) (


Infine in profondit maggiori di 20 m, il contributo di velocit di scorrimento (
s
) tra la fase liquida
e gassosa viene trascurato.
Dal modello di partenza si ottiene, con opportune sostituzioni, un sistema di due equazioni che
risolte danno un valore del raggio (b) e della velocit () del pennacchio per ogni intervallo della
coordinata verticale (z), nonch la possibilit di calcolare la frazione di vuoto () mediante la
conservazione della materia gassosa:
( ) b b
dz
d
2
2
=
( )
2 2
0
1
) (
0

b
z
V
g
g

=
( )
) (
) 0 (
0 2 2
z
V g
b
dz
d
g
g



=
Il problema pu essere adimensionalizzato utilizzando le seguenti definizioni:

H
z
Z =
H
b
B
2
=
M
W

=
con
3
1
2
2
0
2
1
) (
) 0 (

+
=

H z
V g
M
g
g


Dalle equazioni precedenti possibile ricavare due soluzioni analitiche per B e W, in funzione di Z:

=
2
13
7
13
1
5
3 Z Z
Z B
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49

+ +

=
2
3
1
39 2
511
39
11 1
12
25 Z Z
Z
W
Quindi a partire da una serie di valori di Z si calcolano W e B: da queste soluzioni, che non sono
vincolate a uno scenario particolare, essendo espresse in forma adimensionale, possibile ottenere
la simulazione di un rilascio qualsiasi, introducendo i valori iniziali di profondit (z), velocit () e
dimensione del pennacchio (b).
I risultati cos ottenuti si riferiscono alle grandezze che le variabili assumono sullasse del
pennacchio, cio rappresentano il valore centrale di una distribuzione gaussiana sulla sezione del
pennacchio. Cos la velocit () e la frazione di vuoto () per un determinato valore di z seguiranno
lungo la coordinata radiale (r), il seguente andamento:
2
2
) ( ) , (
b
r
e z z r

=
2 2
2
) ( ) , (
b
r
e z z r



=
Esiste anche unaltra categoria di modelli integrali, in alternativa a quelli Euleriani, introdotta
originariamente per simulare rilasci liquidi in mare: si tratta di modelli integrali di tipo
Lagrangiano, che seguono lo sviluppo dellefflusso nel tempo, approssimandolo al moto di una
serie di volumi di controllo che si muovono nello spazio lungo il percorso del pennacchio senza
interferire tra loro. Ognuno di questi volumi di controllo considerato una realt a s stante, a cui
sono applicate le leggi fisiche necessarie per descrivere il rilascio: principalmente si tratta
dellequazione di continuit e della conservazione della quantit di moto. Un approccio di questo
tipo permette di descrivere la traiettoria del pennacchio nelle tre dimensioni dello spazio,
consentendo di considerare in maniera pi realistica lazione delle correnti diretta lungo le tre
coordinate spaziali. In questo caso la variabile di integrazione il tempo, e i risultati che si
ottengono dalla simulazione sono espressi in funzione del tempo trascorso dallistante in cui
cominciato il rilascio.
Uno dei primi modelli Lagrangiani proposti quello di Lee e Cheung (1990). Il fenomeno viene
analizzato scomponendolo in una serie di volumi di controllo, ciascuno dei quali viene considerato
una parte del pennacchio, caratterizzata dalla sua posizione individuata dalle tre coordinate x, y e z,
dalla propria velocit media (

V ), dalla concentrazione di inquinante (C), dalla temperatura (T),


dalla salinit (S), e dalla sua geometria. Il volume di controllo approssimato a un cilindro, definito
da un raggio (b) e da uno spessore (h), la cui area di base rappresenta la sezione del pennacchio
perpendicolare al proprio asse, in quella posizione (x, y, z): la direzione dellasse del pennacchio
viene definita mediante due angoli, quello che misura linclinazione rispetto al piano orizzontale ()
e un altro che si forma tra la proiezione dellasse su detto piano e la direzione della coordinata x ().
Il modello studia come queste propriet variano in un incremento di tempo dt, tenendo conto che il
movimento della massa liquida emessa richiama acqua, diluendo lelemento inquinante scaricato,
con un conseguente effetto sulla temperatura, velocit, e geometria del pennacchio. In caso di
assenza di correnti, questo risucchio di acqua (entrainment) dovuto unicamente allo sforzo di
taglio tra il liquido e lambiente: il liquido, avendo una velocit maggiore rispetto allacqua
circostante, tende a trasferire il proprio movimento, trascinandola con s. Invece in un ambiente
agitato si deve tener conto dellazione della corrente, che causa il piegamento del pennacchio e
determina un ulteriore contributo allentrainment: in tal caso si parla di entrainment forzato legato
allacqua, che, spinta dal movimento della corrente, si introduce dallarea laterale del volume di
controllo.
Il termine di entrainment legato allo sforzo di taglio (Q
es
) viene definito mediante lespressione gi
utilizzata per i modelli integrali Euleriani,
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50
cos cos 2
a es
u V bh Q =


in cui compare larea laterale del cilindro di controllo (2bh), il modulo della velocit del
pennacchio (

V ) parallela alla tangente della traiettoria, e il termine u


a
coscos, che rappresenta la
velocit della corrente proiettata lungo lasse del pennacchio: il valore u
a
la componente lungo x
della velocit della corrente, considerata unidirezionale.
In questa equazione, il coefficiente di entrainment, che a differenza del modello di Fannelop e
Sjoen (1980), non viene considerato costante ma si calcola sulla base di unequazione in cui
compare il numero di Froude (F): questo viene definito in funzione della densit del pennacchio (),
del termine di densit dellambiente (
a
), del valore dellaccelerazione di gravit (g) e di una
costante di proporzionalit (E)

cos cos
cos cos
5 1
sin 554 . 0
057 . 0
2
2
a
a
u V
u
F

+
+
=


b g
u V E
F
a
a
a

cos cos

Si osserva che il numero di Froude rappresenta un parametro che fornisce una prima informazione
sul carattere del sistema. Infatti non altro che il rapporto tra la quantit di moto e la spinta di
galleggiamento del fluido considerato, quindi permette di capire quando domina un effetto piuttosto
che un altro: con Fr1 lazione della spinta e della quantit di moto sono confrontabili, per Fr>>1
il flusso assume un carattere di un getto, mentre per Fr<<1 il sistema pu considerarsi un
pennacchio.
A differenza del modello di Fannelop e Sjoen (1980), il coefficiente di entrainment pi flessibile,
in quanto capace di adattarsi ai due regimi possibili, di getto o di pennacchio: allo stesso tempo
per, non perde il carattere empirico, che viene trasferito sulla costante di proporzionalit (E).
Il termine di entrainment forzato (Q
ef
) viene espresso mediante la teoria della Projected Area
Entrainment (PAE) che permette di calcolare larea del volume di controllo del pennacchio
proiettata in direzione della corrente. In pratica questa sezione rappresenta quella che lambiente
vede per introdurre, nella porzione considerata del pennacchio, lacqua esterna quando si verifica
lentrainment forzato. Questa teoria si basa nel considerare la variazione della sezione laterale
osservata in direzione della corrente: infatti, per effetto dellentrainment, si registra, da un intervallo
di tempo allaltro, un aumento del raggio, una conseguente crescita della sezione laterale e un
aumento dellinclinazione. A ciascuno dei tre effetti enunciati corrisponde un termine che
contribuisce nel calcolo della PEA: rispettivamente il termine di crescita (A
w
), il termine di
proiezione (Ap) e quello di curvatura (A
c
). Larea cercata si pu dunque esprimere secondo la
seguente equazione:

+ + =
ds
d
b
ds
db
hb dA
) cos (cos
2
cos cos 1 2 cos cos
2 2


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51
Conoscendo la sezione da cui entra lacqua trascinata dalla corrente (dA) e lintensit di
questultima (u
a
), si pu ottenere la portata legata allentrainment forzato (Q
ef
):
dA u Q
a ef
=
Quindi viene definito un termine globale di entrainment (Q
e
), considerando quale dei due contributi
(Q
es
e Q
ef
), domina e caratterizza levento: Lee e Cheung (1990) optano per il valore massimo:
( )
ef es e
Q Q Q , max =
La portata di entrainment globale (Q
e
) in entrata al singolo elemento del pennacchio, viene quindi
implementato nellequazione di continuit (equazione 2. 21).
e a
Q
dt
dm
=
Sapendo come varia la massa del sistema in un intervallo di tempo dt si possono aggiornare tutte le
altre variabili, che evolvono in seguito a questo cambiamento, ovvero temperatura, concentrazione,
salinit, velocit del pennacchio, densit, geometria e posizione. Ci viene fatto imponendo che
ciascun volume di controllo rispetti alcune leggi fisiche fondamentali, quali il bilancio di energia, la
conservazione dalla materia per ognuna delle specie in gioco (sale ed elemento inquinante), la
conservazione della quantit di moto, lequazione di stato dei fluidi.
E possibile raggruppare le prime tre di queste equazioni ed esprimerle in maniera comune,
considerando che le propriet del sistema (T, S, C) risentono dellentrata di acqua risucchiata
dallesterno, che si trova alle condizioni ambientali (T
a
, S
a
, C
a
): si pu quindi scrivere lequazione
seguente dove I pu essere sostituito con T, S, C.
e a
Q I
dt
dmI
=
Il principio di conservazione della quantit di moto viene espresso lungo le tre coordinate spaziali
(x, y, z) per le tre componenti della velocit del pennacchio rispettivamente u, v, w: lequazione
seguente corrisponde al calcolo della quantit di moto diretto lungo lasse x, che condizionato
dallagitazione dellambiente esterno (u
a
).
( )
e a a
Q u
dt
mu d
=
Le equazioni seguenti esprimono la componente della quantit di moto diretta rispettivamente come
lasse y e lasse z: nella direzione y non si hanno contributi, mentre nella direzione z compare il
termine della spinta verticale di galleggiamento dovuto alla differenza di densit () tra lacqua
dellambiente e il fluido rilasciato ().
( )
0 =
dt
mv d

( )
m g
dt
mw d


=
Infine si inserisce nel modello unequazione di stato capace di calcolare in base ai valori di
temperatura (T) e salinit (S), la densit dellelemento del pennacchio ().
( ) S T, =
Dunque per ogni valore del tempo possibile caratterizzare il sistema e descrivere il fenomeno in
atto: si osserva che il valore delle variabili corrisponde alla media delle propriet del pennacchio
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52
sulla sezione di passaggio, rispettando una distribuzione di tipo top-hat. E possibile convertire
questi termini per una distribuzione gaussiana mediante le seguenti relazioni, con =1.16:
2
b
b
g
= u u
g
2 =
2
2
1

+
= c c
g

Il modello di Lee e Cheung (1990) stato successivamente sviluppato da Yapa e Zheng (1997;
1998; 1999; 2002) con lo scopo di adattarlo a un rilascio di petrolio e ad ambienti pi complessi, in
cui si possano considerare correnti nelle tre direzioni dello spazio. Infatti il modello di Lee e
Cheung (1990) considera la presenza dellinquinante solo in termini di concentrazione senza
trattarlo nel calcolo della densit del pennacchio, che viene approssimata a quella dellacqua, nelle
condizioni di temperatura (T) e salinit del sistema (S). Ci pu essere accettabile se la densit
dellelemento scaricato confrontabile con quella dellacqua di mare, ma nel caso di un rilascio di
olio la differenza di densit diviene importante.
Le modifiche al modello originale consistono nellassumere che lacqua sia immiscibile nellolio
fuoriuscito; quindi i due fluidi vengono trattati con due differenti equazioni di stato, e dalle loro
densit, viene calcolata la densit totale della massa liquida, mediante la concentrazione dellolio.
Quindi lequazione di stato precedente viene sostituita con la seguente:
( ) C S T , , =
Inoltre si introduce la possibilit che lolio, lungo la risalita verso la superficie, in parte si perda per
dissoluzione e per diffusione nellambiente esterno: la massa di olio che si scioglie (m
i
), viene
calcolata sulla base di una costante cinetica di dissoluzione (K
r
), di una costante empirica () pari a
0.7, dellarea laterale del volume di controllo (A=2bh) e della solubilit dellolio in acqua (S
i
).
i r
i
AS K
dt
dm
=
Il termine relativo alla quantit di olio perso per diffusione (m
d
) si ottiene mediante la legge di Fick,
a partire dalla diffusivit dellolio (K
c
), dal gradiente di concentrazione tra lambiente esterno e il
pennacchio (C/r), e dallarea laterale dellelemento del pennacchio (A=2bh).
r
C
A K
dt
dm
C a
d

=
I due contributi (m
i
e m
d
) relativi allolio perso dal pennacchio vengono considerati nellequazione
di continuit come segue:
dt
dm
dt
dm
Q
dt
dm
d i
e a
=
Si introduce inoltre la possibilit di trattare la corrente nelle tre direzioni dello spazio,
considerandola composta da tre contributi u
a
, v
a
, w
a
rispettivamente lungo x, y e z. Quindi il termine
u
a
coscos viene sostituito in tutte le equazioni precedenti dal valore di V
a
che rappresenta in
modo completo la proiezione delle tre componenti della corrente sullasse del pennacchio:
sin sin cos cos cos '
a a a a
w v u V + + =
Inoltre vengono aggiunte altre due equazioni, per tener conto dellentrainment forzato dovuto alla
corrente lungo y (Q
efy
) e lungo z (Q
efz
):

+ + =
ds
d
b
ds
db
hb v Q
a efy
) sin (cos
2
sin cos 1 2 sin cos
2 2


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53

+ + =
ds
d
b
ds
db
hb w Q
a efz
) (sin
2
cos 2 sin


Quindi ritenendo che il temine considerato nel modello precedente coincida con lentrainment
forzato diretto lungo x (Q
efx
), il valore globale (Q
ef
) dellacqua risucchiata per azione della corrente
si pu scrivere come:
efz efy efx ef
Q Q Q Q + + =
Inoltre viene considerato un contributo che considera per le variabili T, S, C linfluenza della
diffusione verso lambiente esterno di calore, salinit e olio: per la conservazione della massa di
olio, si deve anche aggiungere un termine relativo alla perdita per dissoluzione ovvero (dm
i
/dt).
r
I
KA Q I
dt
dmI
a e a

=
Infine viene estesa lapplicabilit del modello alla simulazione di rilasci gassosi, proponendo un
unico schema risolutivo per le diverse tipologie di scarichi. Per realizzare ci, si utilizzano gli studi
precedenti di Fannelop e Sjoen (1980), introducendo la conservazione della massa gassosa m
b
e la
frazione di vuoto () relativa al cuore di gas di sezione
2
b
2
:
0 =
dt
dm
b

b l
l

=
Unaltra modifica inoltre necessaria per trattare il rilascio di gas: lequazione di conservazione
della quantit di moto diretto lungo la coordinata verticale z deve considerare la velocit di
scorrimento (w
b
) tra liquido e gas, e il contributo alla spinta della massa gassosa. Quindi si ottiene:
[ ] h b g h b g
dt
dm
dt
dm
Q w w m w w m
dt
d
b a l a
d
i
i
e a a l b b

2 2 2 2
) ( ) 1 ( ) ( ) ( + +

= + +


in cui si nota che la massa totale del pennacchio (m) data dalla somma di una quantit di liquido
(m
l
) e una massa gassosa (m
b
): in realt la velocit di scorrimento viene trascurata in questo
modello, sulla base degli studi di Fannelop e Sjoen (1980) che ritengono accettabile tale
approssimazione, per rilasci effettuati a elevate profondit.
Il bilancio di energia e la conservazione di salinit e della massa dellolio si mantengono inalterate,
con lunica variante che la massa m si fa coincidere con la sola massa liquida (m
l
). Ne deriva che
nel bilancio di energia viene trascurata la quantit di calore associata al gas rispetto a quella della
fase liquida.
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4 Esplosioni ed incendi
Esplosioni ed incendi hanno alcune caratteristiche fenomenologiche in comune, nel senso che
alcune tipologie di esplosioni derivano dalla rapida combustione di un combustibile. Lo stesso
combustibile, nel caso di combustione pi lenta, origina invece un incendio.
Oltre a questi fenomeni comuni vi sono anche delle ovvie differenze, nel senso che esistono alcune
tipologie di esplosioni che non coinvolgono la combustione di alcun combustibile, cos come vi
sono incendi che non possono generare in alcuna condizione delle esplosioni.
Linterconnessione tra i fenomeni esplosivi e gli incendi riassunta nei diagrammi di flusso
riportati in Figura 27, Figura 29, Figura 38 e Figura 40.

Figura 27 Diagramma logico per la generazione di unesplosione o di un incendio a partire dal
cedimento di unapparecchiatura (esplosione fisica).
Lorigine di ogni incidente rilevante il rilascio allesterno di ununit di impianto (serbatoio,
reattore, apparecchiatura, tubazione, ) del suo contenuto. Questo fenomeno pu avvenire in modo
catastrofico e generare unesplosione fisica, nel senso che la sovrapressione generata per una causa
incidentale allinterno dellunit ne provoca il collasso strutturale (Figura 27).
Se il contenuto dellapparecchiatura era in fase gassosa, il gas si espande istantaneamente dalla
pressione di collasso dellapparecchiatura alla pressione ambiente e genera unesplosione. Infatti,
unesplosione pu essere definita, convenzionalmente, come il rilascio di una certa quantit di
energia in atmosfera in un tempo abbastanza breve e in un volume abbastanza piccolo da generare
figura D
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55
unonda di pressione di entit finita che si allontana dalla sorgente e pu essere sentita (ondo
durto); lenergia rilasciata pu essere immagazzinata nel sistema come energia nucleare, chimica,
elettrica, di pressione, .
Il modo pi semplice per generare unonda durto (caratteristica saliente di unesplosione) il
movimento di un pistone che accelera in un cilindro, come mostrato in Figura 28. Le onde di
pressione generate man mano dal pistone che si muove a velocit crescente si propagano
nellatmosfera davanti al pistone alla velocit del suono, pari, per un gas perfetto, a M RT c = ,
dove il rapporto tra i calori specifici, R la costante dei gas perfetti, T la temperatura e M il peso
molecolare. Le onde di pressione generate pi tardi si trovano quindi a propagarsi in unatmosfera a
pressione maggiore (a causa della precedente propagazione delle onde di pressione generate prima)
e quindi, essendo la compressione isoentropica, a temperatura maggiore. Ne consegue che le onde
di pressione generate successivamente si propagano a una velocit superiore rispetto a quelle
generate precedentemente e tendono quindi a sovrapporsi. La discontinuit dei valori di tutte le
variabili di stato (pressione, temperatura, , che cambiano in modo brusco a cavallo dellonda di
pressione) tende a diventare sempre pi grande fino a generare unonda durto (o shock).
Le conseguenze di unesplosione fisica sono quindi la generazione di unonda di pressione che si
propaga nellambiente dissipando man mano la sua energia e la proiezione di frammenti dellunit
dimpianto che collassa.

Figura 28- generazione di unonda di pressione da parte di un pistone in movimento.
Il gas liberato nellambiente former quindi una nube che si disperder secondo i meccanismi
discussi in precedenza. Come mostrato in Figura 29, in assenza di ignizione (o nel caso di gas non
infiammabili) si avr la semplice dispersione in atmosfera con conseguenze legate alla eventuale
tossicit del composto. In presenza di unimmediata ignizione la piccola porzione di gas
infiammabile che si miscelato con laria per formare una miscela con concentrazione interna ai
limiti di infiammabilit prender fuoco generando una fiamma che si propaga eventualmente poi,
non pi come una fiamma premiscelata ma come una fiamma diffusiva, nella regione della nube
con concentrazione superiore al limite superiore di infiammabilit (il cosiddetto flash fire, Figura
30). In questo caso le conseguenze pi gravi riguardano il coinvolgimento delle persone nellarea
interessata dalla fiamma e lirraggiamento termico nellambiente circostante.
u
p
u
pw
u=0
Pistone
che
accelera
Onda di
pressione
u
p
u
pw
u=0
Pistone
che
accelera
Onda di
pressione
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56
Figura 29 Diagramma logico per la generazione di unesplosione o di un incendio a partire dalla
dispersione di una nube di gas infiammabile.
Se invece linnesco non immediato la nube ha tempo di disperdersi e quindi di creare una quantit
significativa di miscela gas aria con concentrazione interna ai limiti di infiammabilit. In questo
caso, a seguito di un innesco si pu avere non solo un flash fire, ma anche unesplosione (UVCE,
Unconfined Vapor Cloud Explosion) le cui conseguenze principali sono legate, oltre che alla
presenza di una regione investita dalla fiamma, alla sovrapressione generata. Il motivo per cui
necessario che una quantit significativa di miscela gas aria abbia una concentrazione interna ai
limiti di infiammabilit por originare unesplosione (da cui deriva che piccoli rilasci di gas
infiammabile, generalmente inferiori a 1000 kg di gas eccetto composti particolarmente reattivi
quali idrogeno, acetilene, ossido di etilene, non possono esplodere, cos come non possono
esplodere nubi innescate immediatamente dopo il rilascio) pu essere spiegata considerando il
meccanismo con cui una fiamma che si propaga in una miscela infiammabile pu generare unonda
di pressione.
Consideriamo lanalogia tra un tubo riempito di miscela infiammabile ignita a una estremit e il
moto di un pistone discusso in precedenza (Figura 31). Se la tubazione aperta su entrambi i lati i
gas combusti (che si trovano a una temperatura molto maggiore di quelli incombusti e quindi hanno
una densit molto minore) si espandono e si scaricano dallapertura vicina al punto di innesco. La
fiamma (cio londa di combustione) si propaga nei gas incombusti in quiete. Se invece il tubo
chiuso allestremit vicina al punto di innesco, i gas combusti che si espandono non possono
scaricarsi e di conseguenza si spostano verso i gas incombusti, che vengono quindi messi in
movimento. Lespansione dei gas combusti si comporta quindi in modo assolutamente analogo ad
un pistone che spinge i gas incombusti e genera unonda di pressione. Una nube innescata al centro
si comporta in modo analogo, essendo lunica differenza la geometria sferica del pistone che
accelera.
Perch londa di pressione assuma valori significativi necessario che londa di combustione
acceleri significativamente, cos da consentire la formazione di unonda durto come conseguenza
del meccanismo discusso in precedenza di sovrapposizione delle onde di compressione generate da
D
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un pistone che accelera. La velocit con cui il fronte di fiamma avanza non dipende solo dalle
caratteristiche chimico fisiche della miscela infiammabile (riassunte nel parametro chiamato
velocit laminare di fiamma), ma anche dalla fluidodinamica che determina il livello di turbolenza
della miscela infiammabile in cui si propaga la fiamma.

Figura 30 Flash - fire.
Figura 31 Propagazione di unonda di combustione in una tubazione.
La propagazione del fronte di fiamma nei gas incombusti guidata dal trasporto di calore e di
specie radicaliche dai gas combusti ad alta temperatura agli incombusti a bassa temperatura, come
schematizzato in Figura 32. Se la fiamma si propaga in gas incombusti in quiete i fenomeni di
u
p
u
pw
u=0
Pistone Onda di pressione
u
cw
u=0
Onda di combustione
incombusti
combusti
u
cw
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti
Possono
scaricarsi
Non possono scaricarsi:
agiscono come un pistone
u
p
u
pw
u=0
Pistone Onda di pressione
u
cw
u=0
Onda di combustione
u
cw
u=0
Onda di combustione
incombusti
combusti
u
cw
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti u
cw
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti
Possono
scaricarsi
Non possono scaricarsi:
agiscono come un pistone
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trasporto di calore e materia sono determinati dai coefficienti efficaci di trasporto (diffusivit
molecolare e conducibilt termica) secondo le leggi di Fick e di Fourier e la fiamma si propaga con
una ben determinata velocit, solitamente inferiore a 1 m/s.
Figura 32 Schematizzazione del fronte di fiamma.
Se per il fronte di fiamma agisce come un pistone che mette in movimento i gas incombusti,
allaumentare della velocit di questi gas aumenta anche il livello di turbolenza. Inoltre, la presenza
di ostacoli investiti dal moto dei gas incombusti provoca unulteriore aumento della turbolenza.
Leffetto principale di un moto non pi laminare ma turbolento dei gas incombusti risiede
nellaumento della velocit di trasferimento di calore e materia dalla fiamma ai gas incombusti.
Infatti, il valore dei coefficienti efficaci di trasferimento di calore e materia (diffusivit materiale e
termica turbolenta) solitamente molto maggiore degli analoghi valori caratteristici dei fenomeni
molecolari. Questo aumento della velocit di trasporto di materia e calore si riflette su un a anlogo
aumento della velocit della fiamma (cio dellonda di combustione) e quindi in un sempre pi
marcato aumento dellaccelerazione del fronte di fiamma (analogo del pistone) e infine nella
generazione di onde di pressione di entit sempre maggiore.
In conclusione, perch lesplosione di una nube di vapori possa generare una sovrapressione
significativa (ma comunque limitata al valore massimo di circa 1 bar) necessario che la fiamma
acceleri significativamente. Perch questo avvenga necessario da un alato che siano presenti degli
ostacoli per aumentare il livello di turbolenza nei gas incombusti, e dallaltro che la nube si estenda
su unarea sufficientemente grande da dare il tempo ai meccanismi di accelerazione del fronte di
fiamma di diventare efficaci.
Se laccelerazione della fiamma diventa notevole possibile che londa durto che viene a creata
provochi un aumento di temperatura dei gas incombusti attraverso cui si propaga tale da innescarli.
In questo caso non pi londa di combustione che, col meccanismo del pistone che accelera,
genera londa di pressione che si propaga davanti ad essa, ma il passaggio dellonda di pressione
che innesca la miscela infiammabile e genera londa di combustione. Lenergia liberata dalla
combustione consente poi allonda di pressione di sostenersi.
Lo scambio termico
coi gas incombusti
provoca lignizione
Lo scambio termico
coi gas incombusti
provoca lignizione
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I due fenomeni sono marcatamente diversi. Nel primo caso (onda di combustione che genera londa
di pressione) le due onde (di pressione e di combustione) sono disgiunte e la velocit dellonda di
combustione subsonica (dellordine di alcuni m/s) rispetto alle condizioni del gas incombusti
davanti al fronte di fiamma. I valori di sovrapressione a cavallo dellonda di pressione sono modesti
(al massimo alcuni bar, 1 bar nel caso di UVCE) e pressione e densit diminuiscono attraverso
londa di combustione. Si parla in questo caso di deflagrazioni (Figura 33).
Figura 33 Deflagrazioni.
Nel secondo caso (onda di pressione che genera londa di combustione) le due onde (di pressione e
di combustione) sono accoppiate e la velocit dellonda di combustione supersonica (dellordine
di alcune migliaia di m/s) rispetto alle condizioni del gas incombusti davanti al fronte di fiamma. I
valori di sovrapressione a cavallo dellonda di pressione sono elevati (alcune decine di bar) e
pressione e densit aumentano attraverso londa di pressione e combustione accoppiate. Si parla in
questo caso di detonazioni (Figura 34).
Figura 34 - Detonazioni
La transizione da deflagrazione a detonazione (DDT, Deflagration to Detonation Transition)
richiede accelerazioni molto marcate del fronte di fiamma che non solitamente possibile
raggiungere nel caso di esplosioni in campo aperto (UVCE). Viceversa, un fenomeno abbastanza
comune nel caso di esplosioni in tubazioni a causa della turbolenza generata dal moto dei gas
incombusti nelle tubazioni.
Tornando allo schema logico riportato nella Figura 27, se il recipiente che collassa contiene anche
una fase liquida si possono distinguere due situazioni, in funzione del valore della temperatura di
ebollizione normale del liquido rispetto alla temperatura ambiente.
Se la temperatura di ebollizione normale del liquido inferiore alla temperatura ambiente il liquido
risulta sottoraffreddato e non si pu avere il fenomeno di flash discusso in precedenza. In questo
caso lespansione della fase vapore potr provocare i fenomeni discussi in precedenza, mentre la
fase liquida, se infiammabile, potr dar luogo ad un incendio da pozza (pool fire).
Se invece la temperatura di ebollizione normale del liquido superiore alla temperatura ambiente il
liquido risulta surriscaldato (e quindi in condizioni di non equilibrio) e si pu avere il fenomeno di
flash. Questo provoca la formazione di unulteriore quantit di vapore, la cui espansione provoca
unesplosione fisica solitamente di entit limitata a meno che le condizioni non siano tali da
innescare il fenomeno noto come BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion).
u
cw
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti u
cw
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti
u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti u=0
Onda di combustione
u
pw
Onda di pressione
incombusti
combusti
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60
La teoria classica del BLEVE prevede che linnesco del fenomeno di nucleazione omogenea (cio
la formazione di bolle in seno al liquido in assenza di centri di nucleazione, solitamente forniti dalle
asperit presenti sulle pareti del recipiente) renda il fenomeno del flash molto pi rapido e quindi
lentit dellonda durto generata molto pi intensa. Nel caso in cui il recipiente non collassi
completamente ma, come avviene pi comunemente, semplicemente si fessuri con una conseguente
rapida depressurizzione, lestrema rapidit dellevaporazione non consente al vapore formatosi di
scaricarsi attraverso la fessura presente nel recipiente senza pressurizzare ulteriormente il recipiente
che quindi solitamente collassa in modo catastrofico proiettando frammenti nellambiente
circostante.
La nucleazione omogenea pu aver luogo solo se il liquido sufficientemente surriscaldato. Non
quindi sufficiente che la temperatura del liquido sia superiore alla sua temperatura di ebollizione
normale (come per esempio nel caso di propano liquido a temperatura ambiente), ma deve anche
essere superiore a un valore limite caratteristico di ciascun composto. Riassumendo, perch si possa
avere un BLEVE necessario per prima cosa surriscaldare il liquido, cio portarlo rapidamente in
condizioni di non equilibrio (la rapidit necessaria a impedire che il liquido si porti dolcemente
nelle condizioni di equilibrio) caratterizzate da una temperatura superiore alla temperatura di
ebollizione normale (liquido surriscaldato). Questo pu avvenire per rapida depresurizzazione di un
gas liquefatto per compressione (collasso di un serbatoio di GPL), ma anche per contatto di un
liquido freddo con un corpo molto caldo (acqua su metalli fusi; LNG su acqua). La seconda
condizione necessaria per avere un BLEVE che il surruiscaldamento sia sufficiente, che cio la
temperatura sia superiore a quella limite per linnesco della nucleazione omogenea. Il valore della
temperatura critica per linnesco della nucleazione omogena, T
SL
, in funzione della pressione pu
essere stimata dalla relazione ( )
C R C SL
T P T T 895 . 0 89 . 0 11 . 0 + = dove T
C
la temperatura critica in
K e P
R
la pressione ridotta, cio il rapporto tra la pressione e la pressione critica.
Questo pu essere schematizzato sul grafico di Figura 35, dove sono riportate e curve della tensione
di vapore e quella limite di surriscaldamento per linnesco della nucleazione omogenea. Assumendo
che il fluido contenuto in un recipiente si trovi nel punto A (che si trova sulla curva della tensione di
vapore, essendo il liquido in equilibrio col suo vapore), un riscaldamento accidentale del serbatoio
pu portare le condizioni del fluido nel punto B. Se a questa pressione il contenitore cede, la
pressione crolla istantaneamente al valore atmosferico rappresentato dal punto E. Il liquido si trova
quindi, per un breve istante, in condizioni di non equilibrio (la sua temperatura superiore a quella
di ebollizione normale) e quindi evaporer pi o meno rapidamente (flash). Non pu pe innescarsi
il fenomeno della nucleazione omogenea perch il surriscaldamento non sufficiente. Se invece il
collasso del serbatoio avviene quando il liquido arrivato al punto C, la brusca deprssurizzazione lo
porta al punto D, attraversando il confine per la nucleazione omogenea: possibile linnesco di un
BLEVE.
In realt alcune recenti sperimentazioni hanno messo in evidenza che anche si sono prodotti
BLEVE anche a seguito di brusche depressurizzazioni di recipienti ad una temperatura inferiore a
quella limite per la nucleazione omogenea. Ci significa che le considerazioni precedenti non
consentono di definire in modo univoco il fenomeno del BLEVE, ma necessario distinguere due
tipologie di BLEVE, dette BLEVE caldo (quando la temperatura del liquido superiore al limite di
surriscaldamento per la nucleazione omogenea) e BLEVE freddo (quando inferiore). Nel caso di
BLEVE freddi si hanno conseguenze analoghe per certi versi a quelle tipiche dei BLEVE caldi
(distruzione completa del contenitore di un liquido la cui temperatura di ebollizione normale
molto inferiore a quella atmosferica, con susseguente formazione di una palla di fuoco, come
discusso inseguito), ma con sovrapressioni minori. La spiegazione della natura dei BLEVE freddi
non ancora chiara; alcune ipotesi coinvolgono la stratificazione termica allinterno della massa del
liquido che porterebbe solo una parte del liquido al di sopra della temperatura limite per la
nucleazione omogenea; altre coinvolgono la dinamica di depressurizzazione e repressurizzazione
del recipiente tra la fessurazione ed il collasso completo; inoltre i fenomeni descritti (e in particolare
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la debole sovrapressione generata e la formazione di una palla di fuoco) possono anche essere
spiegati in termini di flash con trascinamento in fase vapore di una quantit consistente di aerosol.
Uno schema di massima che rappresenta levoluzione dei fenomeni dalla rottura iniziale del
contenitore fino a BLEVE (caldo, freddo o intermedio) mostrata in Figura 36. SI noti che mentre
nel caso di BLEVE caldi lintero contenuto del serbatoio viene aerodispersoe coinvolto nella
successiva formazione di una palla di fuoco, nel caso di BLEVE freddi si ha un consistente rain out
con la formazione di una pozza ed un possibile incendio da pozza.

Figura 35 Curva della tensione di vapore e della temperatura limite per la nucleazione
omogenea.
Come discusso in precedenza, la quantit di rain out solitamente limitata. In caso di liquido
infiammabile, il liquido ricaduto l suolo potr dar luogo ad un incendio da pozza (pool fire).
Il vapore invece segue la stessa fenomenologia discussa in precedenza nel caso di composti non
infiammabili o di innesco ritardato. Se invece linnesco immediato si pu innescare il fenomeno
della palla di fuoco (fireball). Unevaporazione molto veloce di una gran massa di liquido
infiammabile genera infatti una nube di vapore di cui inizialmente solo una piccola parte, sul bordo
esterno, ha una concentrazione interna ai limiti di infiammabilit. La presenza di un innesco
immediato provoca la formazione di una fiamma localizzata sulla superficie della nube, come
schematizzato in Figura 37. Poich la nube di combustibile interna alla fiamma, si stabilizza una
fiamma diffusiva sulla superficie della nube stessa. La velocit del fronte di fiamma in questo caso
limitato dai fenomeni di diffusione del combustibile (dallinterno della nube) e del comburente
(dallesterno) verso il fronte di fiamma. Inoltre, man mano che la combustione procede la nube di
combustibile da un lato si consuma e dallaltro si riscalda, diminuendo di conseguenza la propria
densit e muovendosi quindi per effetto della spinta di galleggiamento verso lalto.
Unesplosione pu anche originarsi allinterno di ununit dimpianto, come indicato nello schema
di Figura 38 col termine di esplosione confinata.
Lunit dimpianto pu essere una struttura poco resistente meccanicamente, quali forni, serbatoi
atmosferici, essiccatori, , nel qual caso lesplosione solitamente dovuta allinnesco di una
miscela esplosiva formatasi al suo interno.

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62


Figura 36 Diagramma logico per la formazione di un BLEVE.
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63

Figura 37- Schematizzazione di un fireball.
Figura 38 Diagramma logico per la generazione di unesplosione o di un incendio a partire da
una esplosione confinata.
Il meccanismo per cui aumenta la pressione nel caso di innesco di miscele infiammabili in ambienti
confinati differente rispetto a quello discusso in precedenza per il caso di esplosioni di nubi di gas
non confinate ed schematizzato nella Figura 39. Nel caso di deflagrazioni di gas inconfinate la
combustione avviene a pressione allincirca costante. A causa della temperatura maggiore dei gas
combusti rispetto agli incombusti (circa 8 volte maggiore per miscele stechiometriche di idrocarburi
in aria) il volume dei gas combusti aumenta (di circa 8 volte per miscele stechiometriche di
B
fig C
100% fuel
0% fuel
UFL
LFL
100% fuel
0% fuel
UFL
LFL
100% fuel
0% fuel
UFL
LFL
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64
idrocarburi in aria, sulla base della legge dei gas perfetti) e si pu generare unonda di pressione
secondo il meccanismo del pistone che accelera discusso in precedenza.
Se invece la deflagrazione completamente confinata la combustione avviene a volume costante e
in questo caso laumento di temperatura risulta inevitabilmente in un aumento di pressione (di circa
8 volte per miscele stechiometriche di idrocarburi in aria, sempre sulla base della legge dei gas
perfetti). In questo caso la velocit con cui evolve il fenomeno (cio la velocit del fronte di
fiamma) non gioca alcun ruolo sul livello di pressione generato, che risulta unicamente dal vincolo
di volume costante.
Figura 39 Meccanismi di aumento della pressione per deflagrazioni di gas confinate o
inconfinate.
Se lunit dimpianto in cui avviene la deflagrazione non fornita di dispositivi di scarico di
emergenza (pannelli di scoppio) laumento di pressione provoca il collasso dellapparecchiatura con
conseguenze analoghe a quelle discusse in precedenza. In caso contrario, se i pannelli dis coppio
sono correttamente dimensionati lapparecchiatura non collassa e si ha lo scarico di gas combusti ed
incombusti attraverso i portelli di scoppio.
Fenomeni analoghi si possono avere anche in apparecchiature meccanicamente pi resistenti, quali
serbatoi, reattori chimici, colonne di distillazione, Inoltre, in queste apparecchiature si pu avere
unesplosione anche a seguito di altre cause di processo, quali reazioni runaway o decomposizione
di composti instabili che possono portare al collasso dellapparecchiatura, con conseguenze
analoghe a quelle discusse in precedenza, in assenza di dispositivi di scarico di emergenza (dischi di
rottura) correttamente dimensionati. Ovviamente, dischi di rottura o pannelli di scoppio sono
efficaci solamente contro le deflagrazioni. Nelle detonazioni londa di pressione si propaga ad una
velocit supersonica e raggiunge quindi le pareti del recipiente prima che linformazione che
nellapparecchiatura sta aumentando la pressione (informazione che si propaga alla velocit del
suono) possa raggiungere il dispositivo di emergenza.
Il fluido rilasciato attraverso il dispositivo di emergenza deve essere convogliato ad un impianto di
contenimento e/o abbattimento. Se questo impianto non risulta in grado di contenere tutto il fluido
rilasciato, parte di questo viene scaricato in atmosfera. Le conseguenze di un rilascio in atmosfera di
un composto infiammabile (proveniente da un dispositivo di emergenza, da una fessurazione in un
recipiente o in una linea, da una perdita da un flangia, ) sono schematizzate nel diagramma di
Figura 40.


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65
Figura 40 Diagramma logico per la generazione di unesplosione o di un incendio a partire da
uno scarico in atmosfera.
In funzione della fase del rilascio (gassosa, liquida o bifase) si ha la dispersione del composto
secondo le modalit discusse in precedenza. Lunica variante riguarda il caso dellinnesco
immediato di un getto gassoso o bifase che pu originare un getto incendiato (jet fire) le cui
principali conseguenze sono al solito di tipo termico (riscaldamento delle pareti di
unapparecchiatura colpita dal getto o irraggiamento sullambiente circostante).
4.1 Esplosioni di nubi inconfinate (UVCE)
La principale conseguenza di una UVCE leffetto domino. Circa il 65% delle UVCE avvenute ha
causato effetti domino, solitamente con conseguenze pi gravose rispetto alleffetto diretto termico
o di sovrapressione. Questo una diretta conseguenza del fatto che gli impianto sono vulnerabili
alle sovrapresioni, come riassunto nella Figura 41.
Il calcolo delle sovrapressioni generate da una UVCE richiede la conoscenza di alcuni parametri
chiave, tra cui la massa di gas coinvolta nellesplosione e il punto di ignizione. Per il calcolo della
massa di gas coinvolta nellesplosione si possono utilizzare dei modelli di dispersione che
forniscono la quantit di gas presente con una concentrazione compresa tra i limiti di
infiammabilit. Un metodo shrt cut quello di assumere che il 10% della massa di gas rilasciata si
nella regione infiammabile; leffetto di tale assunzione ovviamente molto diverso a seconda delle
condizioni meteorologiche e del rilascio considerate. Viceversa linfluenza del punto di ignizione,
che pu giocare un ruolo importante nellevoluzione dellUVCE, essendo essenzialmente
C
fig D
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66
impredicibile non viene solitamente considerato nei modelli utilizzati per la simulazione del
fenomeno.
Figura 41 Effetti delle sovrapressioni sugli impianti.
4.1.1 Metodo del TNT equivalente
Questo metodo approssima gli effetti della deflagrazione di una nube di gas con quelli di una
detonazione ideale di un esplosivo solido. La detonazione di un esplosivo solido viene solitamente
chiamata ideale in quanto ben approssimabile con una esplosione puntiforme; londa durto viene
generata dallespansione praticamente istantanea dei gas generati dalla decomposizione
dellesplosivo solido.
In realt i due fenomeni sono marcatamente diversi, come evidente anche dalla Figura 42 che
riporta landamento nel tempo della sovrapressione ad una data distanza per i due fenomeni
esplosivi. Daltro canto la teoria delle esplosioni ideali ben consolidata e confermata da un gran
numero di dati sperimentali di origine militare, e quindi lutilizzo di questo semplice modello
almeno come prima approssimazione molto diffuso.
Il problema del campo di pressione generato da un pistone sferico che accelera pu essere
formalizzato nei bilanci di materia, energia e quantit di moto a cavallo dellonda durto.
Assumendo che la pressione generata sia molto maggiore di quella atmosferica, che il gas segua
lequazione di stato dei gas perfetti e che lesplosione sia ideale, le equazioni di bilancio possono
essere risolte analiticamente per fornire la soluzione generale:
( )

= =
3 / 1
3
ln 3 ln cost
Q
R
P
Q
R P
shock
shock
shock shock
a
da cui si vede che i valori di pressione raggiunti ad una certa distanza a seguito della detonazione di
una certa quantit di esplosivo solido si devono allineare su di una rette in un grafico bilogartmico
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67
che riporti la pressione in ordinata e il rapporto
3
/ Q R in ascissa, essendo R la distanza e Q la
quantit di esplosivo (e, equivalentemente, lenergia rilasciata dalla sua esplosione).
Figura 42 Andamento della pressione nel tempo per una detonazione (in alto) e una
deflagrazione (in basso).
I dati sperimentali si allineano bene secondo questa relazione, come mostrato nella Figura 43. Il
metodo del TNT equivalente si basa sullassunzione che esplosioni che coinvolgono il rilascio di
una certa quantit di energia abbiano effetti analoghi, almeno nel campo lontano dal centro
dellesplosione (cio laddove lesplosione possa essere effettivamente considerata puntiforme).
Lapplicazione di questo metodo al caso di una UVCE richiede quindi la valutazione della quantit
di TNT equivalente, dal punto di vista dellenergia immessa nellesplosione, con la relazione:
E
H
H
M M
TNT c
gas c
gas TNT
,
,

=
Il rapporto tra le energie rilasciate dalla combustione di 1 kg di gas infiammabile e da 1 kg di TNT
(4377-4765 kJ/kg) pari a circa 10 per molti idrocarburi. La principale incertezza nellutilizzo di
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68
questo metodo risiede nella stima della massa di gas (come detto in precedenza) e dellefficienza
dellesplosione, E. Questultimo parametro racchiude tutte le differenze tra unesplosione ideale e
una UVCE e pu essere stimato solo sulla base di esperienze storiche. Per tali dati non solitamente
disponibile la massa di gas presente allinterno dei limiti di infiammabilit e quindi il valore
dellefficienza dellesplosione viene solitamente stimato sulla base dellintera massa rilasciata.
Purtroppo tale efficienza risente di numerosi parametri tipici del singolo episodio (condizioni
meteorologiche, orografiche, del rilascio, ) che si riflettono su una grande variabilit
dellefficienze di esplosione, come mostrato nella Figura 44.
Figura 43 Diagramma del TNT equivalente.
Si nota che il valore centrale della distribuzione pari a circa il 3%, anche se valori superiori sono
stati sporadicamente riscontrati. Il 97% dei casi presenta comunque un valore inferiore al 10%.
Utilizzando un valore del 3% e considerando il rapporto tra le energie rilasciate pari a 10, la massa
di TNT equivalente risulta pari a circa il 30% della massa totale di gas rilasciata. Se si effettua un
calcolo di dispersione per valutare la reale quantit di gas nella regione di infiammabilit, da tale
massa si pu ricavare una massa di TNT equivalente moltiplicando per 3 invece che per 0.3, sulla
base dellassunzione che mediamente il 10% della massa di gas rilasciata risulta essere allinterno
dellintervallo di infiammabilit.
Linfluenza del valore assunto per lefficienza di esplosione sulla distanza a cui si riscontra unc erto
valore di pressione riassunto nella Figura 45.
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Figura 44 Efficienza di esplosione.

Figura 45 Effetto del valore di efficienza di esplosione sulla distanza a cui si ha un cero valore di
sovrapressione.
Si vede come aumentando il valore dellefficienza dal 3% al 15% (massimo valore ragionevole) la
distanza a cui si ha una data sovrapressione aumenta di circa il 70%. Un effetto analogo si ah per la
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
2
0 5 10 15 20
effi ci enza, %
x
(
E
)

/

x
(
E
=
3
%
)
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70
stima della massa di gas: incrementando di 5 volte il valore della massa di gas la distanza a cui si
riscontra una data sovrapressione aumenta di circa il 70%.
Questo metodo non applicabile in prossimit del centro della nube esplosiva, in quanto fornirebbe
valori irrealisticamente elevati di sovrapressione. Una modifica solitamente utilizzata quella di
considerare il massimo valore di sovrapressione raggiungibile da una UVCE pari a 1 bar e limitare
cos superiormente la curva base del TNT, come mostrato in Figura 46 dove la quantit di esplosivo
presente in ascissa relativa al gas rilasciato. Assumendo unefficienza pari al 10% e un rapporto
tra le energie del gas e del TNT pari a 10 le quantit di gas e di TNT equivalente ovviamente
coincidono, mentre assumendo unefficienza minore la curva risulta traslata verso sinistra.
Figura 46 Curva di sovrapressione per una UVCE in funzione della quantit di gas rilasciata.
4.1.2 Modello TNO
Il modello proposto dal TNO fino al 1997 (o modello di Wiekema) assimila la deflagrazione di una
nube allespansione di un pistone emisferico che si muove con una data velocit media definita, con
riferimento alla Figura 47, come il rapporto tra r
1
e il tempo della deflagrazione. Velocit medie di
deflagrazione elevate sono caratteristiche di composti molto reattivi e/o la cui velocit di fiamma
molto sensibile alle accelerazioni causate dalla turbolenza (per esempio ossido di etilene), mentre il
contrario vero per bassi valori della velocit media di deflagrazione (per esempio, metano).
Risolvendo il modello di un pistone emisferiche che accelera per diversi valori della velocit media
il modello fornisce diverse correlazioni (una per ciascuna velocit media) tra la sovrapressione
adimensionalizzata rispetto al valore atmosferico (P-P
o
/P
o
) e il rapporto adimensionalizzato tra la
distanza e la radice cubica dellenergia contenuta inizialmente nella nube,
3
/
o c o
P E V r . In questa
relazione V
o
il volume iniziale della nube in zona infiammabile, mentre E
c
=3.5 10
6
J/m
3

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71
rappresenta un valore medio dellenergia di combustione contenuta in un metro cubo di miscele
stchiometriche di idrocarburi in aria. Si nota come, in accordo con quanto discusso in precedenza
per esplosioni ideali, la Figura 47 prevede un andamento lineare su di un diagramma bilogarotmico
della sovrapressione in funzione del rapporto tra la distanza e la radice cubica dellenergia rilasciata
dallesplosione.

Figura 47 Diagramma per luso del metodo di Wiekema.
Il metodo fornisce quattro curve che delimitano tre intervalli, ciascuno caratteristico di un dato
intervallo di velocit media di deflagrazione. La principale novit introdotta da questo metodo
stata quella di parametrizzare diversi composti infiammabili in funzione proprio della loro reattivit
e tendenza ad accelerare il fronte di fiamma in tre categorie di reattivit: bassa, media ed alta. In
questo modo si associato a ciascun composto un intervallo di sovrapressioni in funzione della
distanza sul diagramma di Figura 47. In altri termini, si risolto a priori il problema della scelta del
valore dellefficienza di esplosione nel modello del TNT equivalente. Pi precisamente, si ristretto
il campo di variabilit di tale parametro. Infatti il metodo fornisce per ciascuna classe di reattivit, e
quindi per ciascun composto infiammabile, un intervallo di sovrapressioni per una data distanza che
rappresenta linfluenza della presenza di ostacoli, e quindi dellaccelerazione che la fiamma pu
subire a causa della turbolenza, sulla sovrapressione. Il valore inferiore caratteristico di esplosioni
in aree poco congestionate, mentre il valore superiore caratteristico di aree molto congestionate. Il
metodo fornisce tipicamente un rapporto 2 3 tra il valore della distanza a cui si ha una certa
sovrapressione utilizzando il limite inferiore e quello superiore. Questa incertezza non molto
differente da quella riscontrabile nella scelta del valore di efficienza col modello del TNT
equivalente, come riassunto nella Figura 45. Prendendo un valore medio nellintervallo la variabilit
si riduce a un valore analogo a quanto visto col metodo del TNT equivalente.
4.1.3 Modello Multi Energy
Lidea di base di questo modello che perch una nube di gas infiammabile possa originare una
UVCE necessario che linnesco avvenga in unarea sufficientemente congestionata da causare un
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72
significativo aumento della velocit del fronte di fiamma secondo i meccanismi discussi in
precedenza.. Di conseguenza non tutto il gas rilasciato partecipa allesplosione, e nemmeno tutto il
gas presente nel campo di infiammabilit, ma solo quello appunto allinterno di aree congestionate
(o, in aggiunta, in regioni con turbolenza particolarmente elevata, come per esempio quelle in
prossimit di un rilascio ad alta velocit). La violenza dellesplosione dipende infine, secondo un
approccio analogo a quello di Wiekema discusso in precedenza, sia dal tipo di gas sia dal grado di
congestione dellarea.
Ne consegue che la nube di gas rilasciata solitamente non origina una sola esplosione, ma pi
esplosioni, i cui effetti devono essere considerati separatamente, localizzate nelle diverse aree
congestionate dellimpianto.
Leffetto delle diverse esplosioni viene riprodotto con un approccio del tutto analogo quello del
precedente modello di Wiekema, parametrizzato questa volta su una scala di 10 diverse velocit
medie della deflagrazione come riportato nella Figura 48.
Figura 48 Diagrammi per la valutazione dei parametri dellesplosione col metodo Multy - Energy
le linee a tratto contino sono caratteristiche di una detonazione con un fronte durto verticale,
mentre le linee tratteggiate rappresentano onde durto pi graduali, caratteristiche delle
deflagrazioni. I valori dei parametri sugli assi dei diagrammi sono adimensionalizzati come per il
precedente metodo di Wiekema.
Per quanto cerchi di rappresentare pi correttamente la fenomenologia di una UVCE, anche questo
metodo come i precedenti sconta la scelta arbitraria di alcuni parametri che, in ultima analisi, sono
riconducibili allo stesso senso fisico dellefficienza nel metodo del TNT equivalente. In particolare,
necessario definire quali sono le zone di un impianto che si devono considerare congestionate e
quali no, necessario definire oltre quale distanza due aree congestionate generano due esplosioni
indipendenti (25 m un suggerimento comune ma arbitrario) ed infine necessario definire la
classe dellesplosione, da 1 a 10.
Mentre al suddivisione delle aree congestionate o meno pu essere ragionevolmente intuitiva, la
scelta della classe dellesplosione laspetto pi cruciale. Il valore 10 fornisce risultati analoghi
allapplicazione del metodo del TNT equivalente (limitato ovviamente al gas presente in una data
regione congestionata) con unefficienza del 20% (simile al valore del 30% relativo alla sola massa
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di gas presente nella regione infiammabile discusso per il metodo del TNT equivalente). Il valore 7
sembra essere ragionevole per molte situazioni pratiche; si nota anche per valori tra 6 e 7 non c
differenza nei valori di sovrapressione inferiori a 0.1 bar e la massima pressione 1 bar. Per aree
non congestionate e miscela quiescente un valore 1 appare adeguato, mentre per aree non
congestionate e miscela non quiescente un valore 3 pu essere pi adeguato.
Un guida per la definizione della classe della deflagrazione riportata in
Il livello di congestione si pu considerare alto quando se il grado di pieno (rapporto tra il volume
degli ostacoli e il volume totatle della zona congestionata) maggiore del 30% e lo spazio tra gli
ostacoli inferiore a 3 m. Il confinamento esiste se, oltre al suolo, la regione confinata da una o due
altre superfici piane. Lenergia di ignizione alta se viene causata, per esempio, da unesplosione
confinata allinterno dellarea, mentre bassa per scintille, fiamme, zone calde,

Figura 49 Criteri per la definizione della classe di deflagrazione.
Una differenza di due ordini di grandezza nella sovrapressione a una data distanza si pu originare
dalla scelta di una classe di deflagrazione 1 o 10.
4.1.4 Metodo di Baker Strehlow
Questo metodo riprende lidea di Wiekema di utilizzare una reattivit dei composti combinandola
con lapproccio del metodo Multi Energy, che considera la deflagrazione solo di quella parte di
nube presente in zone congestionate dellimpianto, per definire per velocit caratteristica della
deflagrazione e quindi un diagramma di sovrapressione in funzione della distanza (parametrizzato
questa volta sulla massima velocit raggiunta del fronte di fiamma nel corso della deflagrazione)
come mostrato nella Figura 50. Analogamente ai modelli precedenti il problema viene spostato alla
scelta della curva pi opportuna per la situazione in esame.
Anche in questo caso la scelta pu essere guidata dal grado di congestione dellarea considerata,
come riassunto, per il caso di ignizione non violenta, nella Figura 51. La tipologia di espansione
(analoga al confinamento da piani paralleli per il metodo Multi Energy) viene calcolata sulla base
delle considerazioni riportate in Figura 52, mentre il grado di congestione viene stimato come
riassunto in Figura 53.
La reattivit della miscela infiammabile viene classificata con considerazioni analoghe a quelle
utilizzate dal metodo di Wiekema: considerata alta per esempio, per lidrogeno, bassa per il CO e
il metano e media per la maggior parte dei gas.

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74

Figura 50 Diagramma di Baker - Strehlow
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75
Figura 51 Velocit di fiamma caratteristiche (in termini di numero dio Mach) da utilizzare col
metodo di Baker Strehlow.
4.1.5 Confronto tra i diversi approcci
I tre diversi approcci utilizzano dei grafici adimensionali (le cosiddette coordinate di Sach)
parametrizzati su una variabile che definisce lintensit della deflagrazione. Anche il metodo del
TNT equivalente pu essere parametrizzato sulla base dellefficienza dellesplosione. Un confronto
tra i tre metodi su grafici con coordinate uniformi mostrato in Figura 54. Appare evidente che, pur
di selezionare opportunamente il parametro utilizzato dai diversi metodi, praticamente sempre
possibile ottenere risultati analoghi.

Figura 52 Tipologie di espansione della fiamma per il modello di Baker Strehlow..
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76

Figura 53 Definizione del grado di congestione per il modello di Baker Strehlow.
Selezionando come parametri rappresentativi di una deflagrazione non eccessivamente violenta
unefficienza del 10% per il metodo del TNT equivalente, una classe 5 per il metodo Multi
Energy e una velocit di fiamma di 0.25 Mach per il metodo di Baker Strehlow, le curve relative
possono essere poste su un unico diagramma come mostrato in Figura 55. Si vede come, a parte il
campo vicino al centro dellesplosione dove ovviamente il metodo del TNT equivalente sovrastima
gli effetti, le curve tendono a collassare in ununica correlazione.
Applicando queste relazioni alla deflagrazione di 1000 kg di propano in uno spazio congestionato si
ottengono coi diversi metodi i risultati riassunti in Figura 56 in forma grafica e in Figura 57. in
forma numerica. Si pu notare anche in questo caso che, a parte la zona di campo vicino alla sorente
dellesplosione, le differenze tra i metodi sono comprese in un fattore 2 in termini di distanza a cui
sono attesi determinate conseguenze, che essenzialmente lo stesso ordine di incertezza derivante
dalla scelta (ragionevole) del singolo parametro utilizzato dai diversi metodi.

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77
Figura 54 Confronto tra i diversi metodi su scale omogenee.
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78
Figura 55 Confronto tra i vari modelli per il caso di deflagrazione di media bassa intensit.


Figura 56 Risultati dei diversi modelli per la deflagrazione di 1000 kg di propano.
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79
Figura 57 Distanze a cui si prevedono gli stessi valori di sovrapressione
In linea di principio solo i modelli avanzati possono essere considerati realmente predittivi, in
quanto i modelli semplificati contengono alcuni sottomodelli tarati su alcuni set di dati sperimentali.
Daltro canto, il principale problema dei modelli avanzati (a parte le grande quantit di risorse
richiesta, sia in termini di esperienza delloperatore sia in termini di prestazioni delle macchine, che
ne limita lapplicazione a geometrie relativamente semplici), la rappresentazione dellinterazione
tra la turbolenza e la reazione di combustione che rende i modelli CFD in questo settore meno
affidabili che non, per esempio, nel caso della dispersione in ambiente dove la complicazione legata
alla presenza di reazioni chimiche non presente.
Per contro, come mostrato a titolo di esempio in Figura 58, il grado di dettaglio ottenibile da questo
approccio estremamente pi elevato rispetto ai metodi discussi in precedenza.

Figura 58 Esempio di simulazione CFD di una deflagrazione.
4.2 Esplosioni puntuali
Si intendono con questo termine esplosioni che coinvolgono un piccolo volume di esplosivo, quali
tipicamente le esplosioni di composti instabili o di esplosivi solidi. In questo caso lapproccio del
TNT equivalente discusso in precedenza risulta adeguato con unefficienza unitaria; lunico fattore
di scala da considerare il valore dellenergia liberata dallesplosione del composto considerato
rispetto a quella del TNT. Un elemento di incertezza la quantit di composto che realmente
partecipa alla formazione dellonda durto: non sempre tutta la quantit presente si decompone cos
rapidamente da contribuire allesplosione.
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80
4.3 Esplosioni fisiche
Si riassumono con questo termine tutte le esplosioni generate da una rapida espansione di un
composto in fase liquida o vapore senza che vi sia alcuna reazione chimica collegata alla
formazione dellonda durto, quale quella di combustione coinvolta nelle UVCE. Una reazione
potrebbe essere coinvolta nella fase di pressurizzazione di un recipiente, come per esempio nel caso
di una deflagrazione confinata che aumenta la pressione in un recipiente che poi collassa.
Tipicamente si hanno infatti esplosioni fisiche a seguito del collasso di un recipiente, col
conseguente rilascio in ambiente sia della massa, sia dellenergia interna contenuta. La differenza
tra lenergia interna posseduta dal composto nel recipiente e nellambiente rappresenta la massima
energia disponibile per generare lesplosione.
In realt non tutta lenergia disponibile viene utilizzata per generare londa durto: una parte viene
trasformata in energia cinetica dei frammenti del recipiente che vengono proiettati anche a grande
distanza (e spesso rappresentano la principale fonte di pericolo in caso di collasso del recipiente per
i possibili effetti domino che pu innescare); una parte pu essere utilizzata per deformare il
recipiente prima della rottura; una parte viene dissipata nel riscaldamento dellaria durante
lespansione. La parte di energia interna che invece viene utilizzata per espandere il fluido forma
unonda durto le cui caratteristiche dipendono dalla velocit caratteristica del fenomeno di
espansione: maggiore la velocit del fenomeno, tanto pi le caratteristiche dellonda durto
generata assomigliano a quelle generate dallesplosione di un esplosivo solido (TNT). La frazione
di energia che pu formare londa durto di difficile quantificazione: pu essere stimata tra il 40%
e l80% dellenergia disponibile. Fratture fragili forniscono valori maggiori. Un approccio
conservativo (ragionevole in quanto le sovrapressioni generate dal collasso di un recipiente non
sono solitamente cos elevate da generare effetti disastrosi a grandi distanze) prevede di considerare
che tutta lenergia disponibile vada a formare londa durto.
Londa durto viene quindi generata dalla trasformazione di parte dellenergia interna del fluido in
energia meccanica. Lenergia interna del fluido disponibile per la formazione dellonda durto
dipende quindi dallo stato termodinamico del fluido, che a sua volta dipende dal tipo di fluido
contenuto nel recipiente e dalle condizioni a cui il recipiente stesso collassa. Il calcolo dellenergia
interna posseduta dal fluido al momento del collasso pu essere effettuata in modo differente a
seconda dello scenario coinvolto: espansione di un gas ideale o non ideale, di un liquido che
evapora (flash o BLEVE, caldo o freddo), deflagrazione confinata,
Analogamente a quanto discusso in precedenza per il caso di UVCE, i metodi pi utilizzati sono
delle varianti del metodo del TNT equivalente, che pu a sua volta essere utilizzato direttamente.
Anche in questo caso le previsioni risultano poco accurate nella regione prossima al recipiente (fino
a circa 10 20 diametri), mentre risultano ragionevoli a distanze superiori.
La valutazione della proiezione di frammenti viceversa molto aleatoria stante lincertezza legata al
modo di rottura del recipiente. Questo tipo di analisi viene solitamente utilizzato per investigare
incidenti pi che per prevederne gli effetti nellanalisi di rischio, anche se come detto leffetto
principale del collasso di un recipiente pu essere proprio leffetto domino innescato dai frammenti.
Lutilizzo del metodo del TNT equivalente (o di altri, che prevedono delle correzioni per la regione
prossima alla sorgente) richiede la stima dellenergia rilasciata.
Se il recipiente contiene del gas assimilabile a un gas ideale la differenza di energia interna tra lo
stato iniziale prima del collasso e quello finale in condizioni ambiente si pu calcolare come:
( )
1
1
1 1

V P P
E
a

dove il pedice 1 si riferisce alle condizioni del gas nel recipiente prima della rottura, P
a
la
pressione ambiente, V il volume e il rapporto tra i calori specifici.
Se il recipiente contiene anche liquido bisogna verificare se pu dare flash o BLEVE confrontando
la temperatura ambiente con la temperatura di ebollizione normale e con quella limite per la
nucleazione omogenea. Se il liquido non pu dare flash si ha lespansione del solo vapore. Se pu
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81
dare BLEVE anche lespansione del liquido evaporato contribuisce alla formazione dellonda
durto, se pu dare flash lespansione del liquido evaporato pu contribuire alla formazione
dellonda durto. In questo caso un approccio conservativo quello di considerare anche la frazione
di liquido evaporata per il calcolo dellenergia disponibile.
In tutti i casi la variazione di energia interna pu essere effettuata utilizzando un diagramam
termodinamico per il fluido in esame o effettuando un calcolo di flash isoentropico con un
simulatore di processo. Nel caso di utilizzo di diagrammi di stato nelle condizioni di temperatura e
pressione del recipiente prima del collasso si leggono sul diagramma i valori di entalpia specifica, h,
e di volume specifico, v. Seguendo una linea isoentropica si calcolano le stesse grandezze a
pressione ambiente. Lenergia interna specifica viene calcolata come u = h Pv. Nel caso in cui lo
stato finale sia costituito da una miscela di liquido e vapore saturo, le grandezze specifiche della
miscela si calcolano come m
mix
= (1-x)m
L
+ x m
V
. In questa relazione m una grandezza specifica
qualsiasi, L e V si riferiscono al liquido e al vapore saturo, mentre x il titolo in vapore, anchesso
fornito dal diagramma di stato.
4.4 I ncendi da pozza (pool fire)
Un incendio da pozza pu essere definito come una fiamma diffusiva turbolenta sopra la superficie
orizzontale di un combustile liquido che evapora cos lentamente da avere una quantit di moto
iniziale sostanzialmente nulla. Una caratteristica fondamentale di questo tipo di incendi la
presenza di un feedback tra la fiamma e il combustibile in quanto, in misura pi o meno importante,
il trasferimento di calore dalla fiamma alla pozza di liquido influenza (e al limite controlla) la
velocit di evaporazione del combustibile e quindi in ultima analisi le dimensioni della fiamma.
La variabile principale che influenza le dimensioni di un pool fire, e quindi sia la possibilit che la
fiamma avvolga delle unit dimpianto vicine sia lirraggiamento nelle aree circostanti, il diametro
della pozza. Per diametri inferiori al metro la fenomenologia dellincendio differente che per
diametri maggiori, che sono per quelli di interesse per gli incidenti industriali . La temperatura del
rilascio determina essenzialmente la possibilit che parte del liquido dia origine a un flash e
limportanza relativa del trasferimento di calore dal terreno (che risulta importante per liquidi
criogenici). In questo caso, come discusso per il caso dellevaporazione da pozza, anche le
caratteristiche del terreno possono influenzare la velocit di evaporazione del liquido. Infine la
velocit del vento ha unimportanza non trascurabile sulla lunghezza e inclinazione (tilt) della
fiamma, nonch sul possibile trascinamento della fiamma nella direzione del vento (drag).
La modellazione di un incendio da pozza utilizza solitamente diversi sottomodelli per ciascuno dei
fenomeni coinvolti: velocit di bruciamento, diametro della pozza, geometria della fiamma, fattore
di vista, trasmissivit atmosferica e potenza emessa dalla fiamma.
Il calcolo del diametro della pozza il primo parametro da determinare in quanto determina la
geometria della fiamma. La velocit di bruciamento determina invece la massima potenza
complessivamente emessa dalla fiamma nellipotesi che il combustibile bruci con una quantit
stechiometrica di aria (in realt, trattandosi di una fiamma diffusiva, le condizioni sono fortemente
non stechiometriche e inoltre lenergia fornita dalla combustione incompleta del combustibile in
parte viene irraggiata e in parte viene dispersa coi fumi caldi). La velocit di bruciamento per
comunque correlata alla potenza realmente irraggiata dalla fiamma. Il flusso termico che colpisce
un ricettore infine determinato non solo dalla potenza irraggiata dalla fiamma, ma anche dalla
trasmissivit dellatmosfera (che determina la frazione di energia irraggiata che non viene assorbita
dallanidride carbonica e dallumidit dellatmosfera) e da fattore di vista (che determina la frazione
dellenergia emessa dalla superficie della fiamma che viene intercettata dal ricettore).
Le dimensioni della fiamma possono essere imposte dal confinamento, per esempio un bacino di
contenimento, oppure essere definite dal bilanciamento tra la portata scaricata di combustibile e la
sua velocit di consumo ad opera della fiamma. Si noti che anche nel caso in cui sia presente un
confinamento, le massime dimensioni della pozza possono essere inferiori a quello del bacino di
contenimento se la perdita di combustibile di limitata entit. Il rilascio del combustibile pu essere
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82
schematizzato come istantaneo o continuo in funzione del valore della durata del rilascio, t
R
,
rispetto a un tempo caratteristico della combustione, t
C
. Questultimo pu essere stimato come il
rapporto tra una dimensione caratteristica dello scarico (pari per esempio alla radice cubica del
volume di liquido combustibile rilasciato, V
L
) e la velocit lineare di bruciamento, y in m/s. La
schematizzazione del fenomeno come continuo o istantaneo viene quindi fatta sulla base del valore
del rapporto tra i tempi caratteristici:

<
>
=
istantaneo 002 . 0
continuo 002 . 0
3
y V
t
L
R

Nel caso di rilascio istantaneo le dimensioni della pozza non confinata dipendono dallo spessore
limite assunto, come discusso precedentemente. Nel caso invece di rilascio continuo la pozza si
espande finch la velocit con cui il combustibile viene consumato dalla fiamma bilancia la portata
volumetrica rilasciata, m
L
:
4
2
D
y m
L

=
In realt il massimo valore del diametro della pozza risulta superiore a quello calcolabile con la
relazione precedente in quanto nel periodo di tempo tra linizio dello scarico e il raggiungimento del
valore di equilibrio la portata di combustibile bruciato inferiore a quella riportata nella formula
precedente. Si ha cos che una parte del liquido scaricato si accumula e provoca un piccolo aumento
del diametro della pozza incendiata (stimabile in un fattore pari a 2 ), che poi si contrae per
raggiungere il valore di equilibrio.
La velocit di bruciamento il risultato di un bilancio tra le energia scambiate dalla pozza di liquido
con lambiente e lenergia necessaria per evaporare il liquido, come mostrato nella Figura 59.
Figura 59 Scambi termici tra la pozza di liquido combustibile e lambiente che determinano la
velocit di bruciamento.
Si vede come tutti i contributi dipendono dal quadrato delle dimensioni della pozza tranne il termine
di scambio termico con lambiente, che quindi diviene importante solo per bassi diametri (inferiori
al metro) o per alte differenze di temperatura tra il combustibile e lambiente (cosa impossibile per
combustibili liquidi caratterizzati da una bassa temperatura di ebollizione, ma molto comune per
combustibili solidi, che devono raggiungere temperature elevate per emettere gas combustibili).
Irraggiamento
D
2
Conduzione con
la fiamma D
2
Conduzione dal
terreno D
2
Scambio con
lambiente D
Importante per
liquidi criogenici
Importante per
piccoli diametri
o alti T
Irraggiamento
D
2
Conduzione con
la fiamma D
2
Conduzione dal
terreno D
2
Scambio con
lambiente D
Importante per
liquidi criogenici
Importante per
piccoli diametri
o alti T
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83
Questo, insieme ai diversi regimi fluidodinamici che si instaurano al variare delle dimensioni della
pozaz, spiega landamento sperimentale della velocit di combustione dei liquidi riportato nella
Figura 60 che evidenzia come per dimensioni superiori a circa 1 m la velocit di combustione
assume un valore allincirca costante. Questo valore asintotico riassunto per alcuni combustibili
tipici in Tabella 9.
Figura 60 Andamento della velocit di combustione di combustibili liquidi con le dimensioni
della pozza.

combustibile velocit di bruciamento,
kg/(m
2
s)
idrogeno liquido 0.169
LNG 0.078
LPG 0.099
butano 0.078
esano 0.074
eptano 0.101
benzene 0.085
xilene 0.090
benzina 0.055
kerosene 0.039
JP-5 0.054
metanolo 0.015
etanolo 0.015
Tabella 9 Velocit di bruciamento su terreno di alcuni combustibili liquidi.
Si deve tener conto che si tratta comunque di un dato sperimentale soggetto a notevoli incertezze,
come mostrato nella Figura 61, che mostra anche come il termine di scambio termico col terreno
pu diventare importante per pozze di combustibili a bassa temperatura, come LNG o LPG. I dati
sperimentali possono essere rappresentati dalla retta riportata nella stessa figura:
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84
] / [ 10 27 . 1
6
s m
dT C H
H
y
b
a
T
T
P ev
comb

+

=


Assumendo una densit media paria 787 kg/m
3
la relazione precedente fornisce unequazione per la
stima della velocit di bruciamento ponderale:
)] /( [ 10
2 3
s m kg
dT C H
H
m
b
a
T
T
P ev
comb
b

+

=


che, confrontata coi dati sperimentali in Figura 62 mostra una buona capacit previsionale.
Figura 61 Andamento delle velocit lineari di bruciamento su terreno.
Pi complicato il caso di rilasci su acqua. Per combustibili liquidi sottoraffreddati la velocit di
bruciamento su acqua non differisce sostanzialmente da quella su terreno, mentre per quei
combustibili per cui lo scambio termico col terreno o con lacqua gioca un ruolo importante
nellevaporazione del combustibile (come per esempio LNG o LPG) la velocit di bruciamento pu
essere molto superiore (per esempio, di circa un fattore 2 per LPG e di un fattore 3 per LNG), come
mostrato nella Tabella 10.
La geometria della fiamma importante sia per definire la superficie irraggiante sia per verificare la
possibilit che apparecchiature vicine vengano a contatto con le fiamme. Le principali
caratteristiche geometriche di una fiamma da pozza sono riassunte in Figura 63, dove viene anche
evidenziato il carattere non geometricamente ben definito della fiamma. Infatti, le correlazioni
utilizzate solitamente per calcolare la lunghezza della fiamma si riferiscono alla parte visibile della
fiamma stessa. Normalmente, trattandosi di fiamme diffusive turbolente, vi una gran quantit di
particolato carbonioso presente nella fiamma che scherma gran parte della superficie esterna, come
mostrato in Figura 64. Ne consegue che laltezza a cui i fenomeni di combustione cessano ben
maggiore dellaltezza della fiamma visibile, e di questo si dovrebbe tener conto nellanalisi di
eventuali effetti domino su parti sensibili dellimpianto. Inoltre la configurazione geometrica di una
fiamma presenta un effetto pulsante con periodo di circa 1 secondo in cui grosse fiamme
raggiungono la superficie esterna della fiamma. I valori stimati dalle correlazioni disponibili
rappresentano quindi dei valori medi nel tempo, cos come i seguenti valori stimati
dellirraggiamento che da tali fiamme proviene.
Scambio termico
col terreno
Scambio termico
col terreno
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85

Figura 62 Velocit di bruciamento ponderale di combustibili liquidi su terreno.
Esistono numerose correlazioni per calcolare la massima altezza della parte visibile della fiamma ed
alcune di esse sono riportate in Figura 65. Si nota come non vi sia una marcata differenza tra le
diverse relazioni, se utilizzate in intervalli ragionevoli dei diversi parametri coinvolti.
Analogamente, il trascinamento della fiamma nella direzione del vento comporta che la dimensione
caratteristica della pozza (solitamente assunta di forma circolare) sia maggiore nella direzione del
vento che perpendicolarmente ad esso, facendo cos assumere alla base della fiamma una forma
ellittica. Il rapporto tra le due dimensioni in funzione della velocit del vento pu essere espresso in
funzione di un numero di Froude (che compara i termini inerziali del vento con quelli gravitazionali
di galleggiamento, gD u Fr
2
10
= ) come:
48 . 0 069 . 0
2
25 . 1
'

=
a
V
gD
u
D
D


Linfluenza della velocit del vento riportata in Figura 66, da cui si vede che come stima di
massima anche una modesta velocit del vento pu incrementare la dimensione nella direzione del
vento della pozza infiammata del 50%. Questo pu essere importante, pi che per il calcolo
dellirraggiamento sullambiente circostante, per valutare la possibilit che la fiamma coinvolga
apparecchiature poste nelle vicinanze. Appare evidente che valori del rapporto tra le dimensioni
inferiori a 1 non hanno alcun significato.
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

86

Tabella 10 Confronto tra le velocit di bruciamento su terreno e su acqua.
Analogamente anche linclinazione della fiamma ad opera del vento pu essere stimata sulla base
del numero di Froude precedente come:
117 . 0 333 . 0
Re 66 . 0
) cos(
) tan(
Fr =


dove sia il numero di Reynolds sia quello di Froude sono basati sulla velocit del vento a 10 m e sul
diametro della pozza. In alternativa, la stessa inclinazione pu essere stimata come:
( )
3 / 1
*
*
5 . 0
6 . 1 *,
*
1
1 1
cos
V
mgD
u
u
u u
u

>
<
=


Un confronto tra le due relazioni mostrato in Figura 68 mostra come, a paret la zona a bassa
velocit di vento che, essendo caratterizzata da unintrinseca elevata variabilit non consente una
stima accurata dellinclinazione della fiamma, per velocit del vento superiori a 1 m/s le due
correlazioni convergono su valori simili. Analogamente alla stima del drag, anche la stima del tilt di
una fiamma da pozza pu essere importante, pi che per il calcolo dellirraggiamento sullambiente
circostante, per valutare la possibilit che la fiamma coinvolga apparecchiature poste nelle
vicinanze.
Nota le geometria della fiamma, assimilata a un tronco di cono con le dimensioni calcolate in
precedenza, necessario stimare lemissivit specifica della superficie, cio la potenza emessa per
unit di superficie. Il principale problema consiste nel fatto che la fiamma non un emettitore
superficiale, ma volumetrico. In altri termini, sono i gas caldi e le particelle incandescenti
allinterno della fiamma che irraggiano; le particelle solide che raggiungono la superficie esterna
viceversa ne oscurano lemissione.
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87

Figura 63 principali parametri geometrici di una fiamma.
Poich le fiamme da pozza sono fiamme a diffusione, il diametro della pozza gioca un ruolo
fondamentale sulla possibilit che laria richiamata dallambiente possa miscelarsi correttamente
anche con i vapori emessi nella parte centrale della pozza. A bassi valori del diametro della pozza si
ha una piccola produzione di particolato e la fiamma risulta pulita. Aumentando viceversa il
diametro della fiamma la quantit di particolato incombusto via via aumenta riducendo lemissivit
della fiamma stessa. Ovviamente il tipo di combustibile gioca un ruolo fondamentale: idrogeno,
propano, etano, LNG e altri composti idrocarburici leggeri non formano particolato.
Lapproccio pi semplice quello di dividere la potenza emessa dalla fiamma per la superficie del
cilindro a cui la fiamma viene assimilata. Se lintera portata evaporante di combustibie bruciasse
stechiometricamente con aria e tutta lenergia liberata dalla combustione venisse irraggiata dalla
fiamma, la potenza emessa sarebbe facilmente calcolata moltiplicando la portata di combustibile
evaporante per il calore di combustione. Ovviamente ci non vero, sia per la parziale combustione
del combustibile dovuta alla natura diffusiva della fiamma, sia per il parziale oscuramento della
fiamma stessa ad opera del particolato. Di questo si pu tener conto, in modo del tutto analogo a
quanto fatto nel caso delle esplosioni per il metodo del TNT equivalente, con un fattore di
efficienza che dia conto della frazione di energia disponibile che viene effettivamente irraggiata, .
Noto questo valore la potenza irraggiata dalla fiamma pu essere calcolata come:

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88
Figura 64 Schematizzazione di una fiamma fumosa.

c pool b
H A m Q =
mentre lemissivit superficiale pu essere calcolata dividendo tale potenza emessa per la superficie
del cilindro equivalente, le cui dimensioni sono state calcolate in precedenza, come:
DH
Q
E


Valori tipici dellefficienza di irraggiamento, tipicamente dellordine di 0.15 0.4, sono riportati in
Tabella 11.
Esistono anche altri approcci per la stima dellemisivit superficiale. Per idrocarburi che formano
fiamme fumose la emissivit superficiale pu essere stimata come una media pesata sul diametro
della pozza tra lemissivita massima della zona luminosa della fiamma (E
m
, circa 140 kW/m
2
) e
quella del particolato (E
s
, circa 20 kW/m
2
):
( )
D
s
D
m
e E e E E
12 . 0 12 . 0
1

+ =
In alternativa, nota la temperatura di ebollizione normale di un idrocarburo, la emissivit
superficiale della fiamma pu essere stimata anche come:
b
T E 313 . 0 117 =
Un confronto tra le diverse correlazioni per un incendio di una pozza di benzina mostrato in
Figura 69. Si nota che lemissivit superficiale pu variare anche significativamente col diametro,
coerentemente con le osservazioni sperimentali che mostrano come, per un incendio da pozza di
kerosene, si possa passare dai 130 kW/m
2
di una pozza di 2 m, ai 60 kW/m
2
di una pozza di 10 m,
fino ai 35 kW/m
2
di una pozza di 20 m. Daltro canto questo vero per fiamme fumose. Fiamme di
LNG presentano per esempio valori dellordine dei 140 kW/m
2
anche per diametri elevati.

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89

Figura 65 confronto tra diversi modelli per la stima della lunghezaz di una fiamma da poza.
Figura 66 Effetto della velocit del vento sulla dimensione prevalente della pozza incendiata.
Definita la emissivit superficiale lultimo passo la stima dellirraggiamento su di un dato
recettore. Per fare questo bisogna tener conto del fatto che una frazione dellenergia irraggiata viene
assorbita dallumidit e dallanidride carbonica presente nellatmosfera. La frazione assorbita
tipicamente non trascurabile, essendo solitamente dellordine del 20 40%, e pu essere stimata
in funzione dellumidit atmosferica e della distanza tra emettitore e ricettore, X, come:
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
0 1 2 3 4 5
vel vento, m/s
D
'
/
D
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
0 1 2 3 4 5
vel vento, m/s
D
'
/
D
1
2
3
4
5
6
7
0 1 2 3 4 5
vel vento, m/s
H
/
D
61 . 0
42

gD
m
a

044 . 0
10 *,
254 . 0
2 . 6

u
gD
m
a

21 . 0
10 *,
67 . 0
55

u
gD
m
a

( )
3 / 1
*
V
mgD
u
u

=
( )
02 . 1 26 . 0
5 / 2

D
A H m
c
thomas
1
2
3
4
5
6
7
0 1 2 3 4 5
vel vento, m/s
H
/
D
61 . 0
42

gD
m
a

044 . 0
10 *,
254 . 0
2 . 6

u
gD
m
a

21 . 0
10 *,
67 . 0
55

u
gD
m
a

( )
3 / 1
*
V
mgD
u
u

=
( )
02 . 1 26 . 0
5 / 2

D
A H m
c
thomas
Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

90
( )
09 . 0
02 . 2

= X P
w A

Il termine

=
A
w
T
RH P
5328
4114 . 14 exp 25 . 1013 rappresenta linfluenza dellumidit relativa
percentuale dellatmosfera, RH.
Il modello pi semplice per il calcolo del flusso di energia che colpisce un dato ricettore, come
sempre, di tipo puntuale e assume che tutta lenergia venga irraggiata dal centro geometrico della
fiamma distribuendosi quindi su di una superficie sferica, Figura 67. Il fattore di vista in questo
caso, cio la frazione di energia irraggiata che viene intercettata dal recettore, semplicemente il
reciproco della superficie della sfera con raggio pari alla distanza tra il centro della fiamma e il
ricettore e lirraggiamento sul ricettore, I, si calcola semplicemente come:
] / [
4
2
2
m kW
X
Q
I
A

=
Figura 67 Modello di fiamma puntiforme.
Lincertezza nellutilizzo di questo approccio essenzialmente confinata nella stima dellefficienza
di irraggiamento.
Se invece si considera la fiamma come un emettitore solido di geometria definita (il cilindro di cui
si sono calcolate le dimensioni precedentemente) necessari calcolare il fattore di vista, F, di un
recettore con una data inclinazione relativa rispetto allorizzontale e posto ad una certa distanza dal
cilindro inclinato come integrale sulla superficie dei fattori di vista infinitesimali della superficie del
cilindro. La soluzione di questo integrale di superficie solitamente analitica ed disponibile per un
certo numero di inclinazioni relative fiamma recettore. In questo caso lirraggiamento sul
recettore si calcola come:
] / [
2
m kW F E I
A
=
Lincertezza nellutilizzo di questo approccio essenzialmente confinata nella stima dellemissivit
superficiale, analogamente a quanto avviene per il modello puntiforme dove lincertezza risulta
concentrata nella stima dellefficienza di irraggiamento.

Valutazione delle conseguenze di incidenti rilevanti Prof. R. Rota 2004

91
Figura 68 Influenza della velocit del vento sullinclinazione della fiamma.
4.5 Fiamme da getti turbolenti (jet flame)
Una fiamma da getto turbolento una fiamma diffusiva risultante dalla combustione di un
combustibile (liquido o gassoso) rilasciato in modo continuo con una quantit di moto non
trascurabile in una ben definita direzione.
Tabella 11 Efficienza di irraggiamento.
0
10
20
30
40
50
60
70
0 1 2 3 4 5
vel vento, m/s

,

g
r
a
d
i
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92
Figura 69 Stima della emissivit superficiale in funzione del diametro della pozza.
La principale differenza tra questo tipo di incendi e gli incendi da pozza che non esiste alcun
feedback dalla fiamma al combustibile che determina circolarmente la velocit di bruciamento e
quindi la potenza emessa dalla fiamma e la sua geometria. Nel caso di getti turbolenti la velocit di
bruciamento pari alla portata di combustibile scaricato e la geometria della fiamma interamente
determinata dalle caratteristiche fluidodinamiche del getto.
Getti turbolenti non si originano necessariamente da scarichi sonici. Jet fire originati dallinnesco di
scarichi gassosi subsonici sono molto influenzati dalla velocit del vento e dalla spinta di
galleggiamento dopo la zona iniziale della fiamma che viceversa dominata dalla quantit di moto
del getto scaricato. Il richiamo di aria nei getti subsonici non particolarmente elevato e quindi
presentano tutte le caratteristiche tipiche delle fiamme diffusive risultando relativamente lunghe ,
fumose ed emissive. Analogamente, lo scarico di gas liquefatti origina un jet fire di goccioline di
combustibile che possono dare flash e sono quindi anchessi solitamente caratterizzati da una bassa
velocit come i getti subsonici. Il richiamo di aria viceversa molto maggiore nei getti sonici,
generando fiamme con caratteristiche pi simili alle fiamme premiscelate e risultano quindi
relativamente corte, poco fumose e poco emissive (lirraggiamento proviene principalmente da
anidride carbonica e acqua piuttosto che dal particolato incandescente). Infine, jet fire si possono
originare anche dallo scarico di liquidi meno volatili i pressione che generano uno spray. In questo
caso le goccioline che evaporano persistono nella fiamma per una lunga distanza e il richiamo di
aria e la velocit dei gas risulta simile a quella presente in un pool fire.
I numeri adimensionali che caratterizzano i diversi regimi delle fiamme sono il numero di Reynolds
basato sul diametro dellorifizio e sulla velocit di scarico del getto, uD = Re , il numero di
Froude che compara i termini inerziali con quelli gravitazionali di galleggiamento, gD u Fr
2
= (o.
analogamente il numero di Richardson,
3
1 Fr Ri = ), e un flusso termico adimensionale,
( )
2 *
D gD T C Q Q
a a P a
= dove si indicata con Q la potenza termica generata dalla combustione
50
75
100
125
150
0 2 4 6 8 10
Diametro, m
E
,
k
W
/
m
2
( )
D
s
D
m
e E e E E
12 . 0 12 . 0
1

+ =
DH
Q
E

b
T E 313 . 0 117 =
50
75
100
125
150
0 2 4 6 8 10
Diametro, m
E
,
k
W
/
m
2
( )
D
s
D
m
e E e E E
12 . 0 12 . 0
1

+ =
DH
Q
E

b
T E 313 . 0 117 =
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93
del getto di combustibile scaricato. Le caratteristiche geometriche dei diversi tipi di fiamma a
diffusione possono essere classificate in funzione di Fr, come mostrato nella Figura 70 per il
rapporto lunghezza della fiamma sul diametro dellorifizio di scarico.

Figura 70 - Classificazione delle fiamme in funzione del numero di Froude
Le regioni I e II di questa figura corrispondono a fiamme a diffusione turbolente dominate dalla
convezione naturale, come tipicamente avviene per gli incendi di pozze di liquido o di materiali
solidi. Viceversa, la regione V caratterizzata da alti numeri di Froude corrisponde a jet fire
pienamente turbolenti.
Leffetto della velocit di scarico del getto sulla geometria della fiamma al variare della velocit di
scarico rappresentato invece nella Figura 71.
Figura 71 Andamento qualitativo dellaltezza di una fiamma diffusiva verticale in aria calma al
variare della velocit di scarico.
Si nota che a basse velocit di scarico la fiamma risulta laminare a allaumentare della velocit di
scarico aumenta anche la lunghezza della fiamma che pu raggiungere valori considerevoli. Ad un
certo punto si innescano i meccanismi turbolenti che richiamano aria in maggior quantit allinterno
della fiamma. Questo porta a ridurre la lunghezza della fiamma in quanto i meccanismi di
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combustione risultano accelerati dalla presenza di una maggiore quantit di aria che si miscela col
combustibile scaricato. Oltre un certo valore della velocit di scarico la lunghezza della fiamma non
varia pi significativamente. Il valore critico della velocit oltre la quale il getto diventa turbolento
definito da un valore critico del numero di Reynolds basato sul diametro dello scarico e
dipendente dal tipo di combustibile. Valori tipici variano da circa 2000 per lidrogeno a circa 9000
per il propano; ne consegue che rilasci di interesse dal punto di vista degli incidenti rilevanti
originano sempre fiamme turbolente.
Lapproccio alla modellazione dei jet fire analogo a quello seguito per i pool fire: determinata la
geometria della fiamma si prosegue con la stima dellemissivit superficiale e quindi del fattore di
vista per giungere alla valutazione dellirraggiamento su di un dato recettore, come mostrato nella
Figura 72. Pi che nel caso dei pool fire, il problema del coinvolgimento di apparecchiature vicine
nella fiamma con conseguente effetto domino importante nel caso dei jet fire a causa della loro
direzionalit che pu portare la fiamma anche a distanze considerevoli dal punto di emissione, per
esempio nel caso di getti orizzontali.
La definizione della geometria dei jet fire incontra problemi analoghi a quella dei pool fire.
Laspetto delle fiamme di jet fire varia da fiamme praticamente invisibili, come quelle
caratteristiche della regione vicino al punto di rilascio di gas naturale scaricato ad alta pressione, a
fiamme molto fumose, come la parte lontana dal punto di scarico di rilasci di idrocarburi pi
pesanti. Analogamente al caso dei pool fire , la fiamma viene solitamente definita come la regione
visibile, trascurando quindi la zona oscurata dai fumi. Inoltre, la traiettoria della fiamma sempre,
in modo pi o meno accentuato, curvilenea in quanto risulta dal bilancio delle azioni della quantit
di moto iniziale, del vento e della spinta di galleggiamento. La definizione di una lunghezza di
fiamma quindi soggetta ad alcune ambiguit. Come i pool fire, anche i jet fire sono fenomeni
pulsanti ed intrinsecamente non stazionari: le previsioni dei modelli sono sempre quantit mediate
nel tempo.
Complessivamente lo sviluppo di modelli di simulazione per jet fire segue lo stesso percorso
seguito per il pool fire, anche se la maggior variet delle casistiche che si possono incontrare (getti
di gas subsonici e sonici, getti bifase, getti liquidi soggetti a flash, getti liquidi sottoraffreddati, ...)
porta a risultati meno consolidati.
Analogamente al caso dei pool fire, i modelli di simulazione della geometria dei jet fire si possono
dividere in due categorie: quelli che determinano solo la lunghezza della fiamma ed applicano poi
un modello puntiforme, assumendo che lintera energia venga rilasciata dal centro della fiamma, e
quelli che rappresentano la fiamma come un tronco di cono con una data emissivit superficiale. Per
entrambi gli approcci esistono diversi modelli per la stima delle caratteristiche geometriche della
fiamma. Un principio generale di una certa rilevanza quello di non utilizzare delle correlazioni
proposte nellambito di un certo modello per caratterizzare la geometria della fiamma per poi
utilizzare correlazioni per il calcolo dellirraggiamento sviluppate nellambito di un diverso
modello. Le due fasi della modellazione (calcolo della geometria e dellirraggiamento) sono
intrinsecamente correlate e la convalida di ciascun modello riguarda (essendo solitamente effettuato
sul risultato finale: lirraggiamento al suolo) linsieme dei due sottomodelli.

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95
Figura 72 Schematizzazione di un jet fire.
Le fiamme turbolente tendono a produrre un mescolamento tra combustibile e aria molto pi
efficace e quindi a ridurre la formazione di particolato carbonioso. Di conseguenza le fiamme
laminari tendono ad essere pi luminosi e ad avere una emissivit pi elevata, anche se questo
effetto dipende ovviamente dal combustibile. Indicativamente, la frazione di energia irraggiata da
una fiamma a diffusione di metano o propano circa il 30% per una fiamma laminare, ma si riduce
a circa il 20% per una fiamma turbolenta.
La situazione pi semplice, anche se di scarso interesse per il caso di eventi incidentali,
rappresentata da una fiamma laminare verticale in aria calma. In questo caso, per jet fire di
idrocarburi la lunghezza della fiamma, L, pu essere calcolata con la relazione di Hottel e
Hawthorne:
T T
o V
j
DC D
C Q
d
L
4
=
dove d
j
il diametro dellorifizio da cui viene scaricato il getto, Q
V
la portata volumetrica del getto,
C
o
la frazione molare del combustibile nel getto, C
T
la frazione molare del combustibile per una
miscela stechiometrica con aria e D
T
la diffusivit termica.
Analogamente semplice, ma di maggior interesse, il caso di una fiamma turbolente verticale in
aria calma. Per questa situazione sono disponibili diverse correlazioni per stimare la lunghezza della
fiamma in funzione di diverse variabili: concentrazione stechiometrica del combustibile, limite
inferiore di infiammabilit, quantit di moto del getto, spinta di galleggiamento della fiamma,
potenza rilasciata dalla fiamma, velocit di ingrasso dellaria ambiente, ...
Una delle prime relazioni sviluppate quella di Howthorne:
( )

+ =
F
a
T T
j T
F
T j
M
M
C C
T
T
C d
L
1
3 . 5


dove L la lunghezza della parte visibile della fiamma turbolenta (a partire cio dal punto in cui la
fiamma laminare diviene instabile), T
F
la temperatura adiabatica di fiamma, T
j
la temperatura del
getto, M
a
e M
F
il peso molecolare dellaria e del combustibile e
T
il rapporto molare tra reagenti e
prodotti di combustione per una miscela stechiometrica.
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96
Questa relazione applicabile per jet fire dominati dalla quantit di moto, e quindi per alti numeri di
Froude. Questa relazione in buon accordo con diverse osservazioni sperimentali e mostra come la
lunghezza della fiamma dipenda linearmente dal diametro dellorifizio ma sia indipendente dalla
portata volumetrica del getto.
Per getti di idrocarburi a temperatura ambiente i parametri presenti nella relazione precedente
assumono dei valori allincirca costanti e tali per cui C
T
<<1,
T
1 e T
F
/ T
j
8. La relazione
precedente si approssima quindi con la seguente:
F
a
j
M
M
C d
L
T
15

Un altro modello analogo quello di Brzustowski che si basa sullassunzione che la fiamma, per
getti fortemente turbolenti caratterizzati da numeri di Reynolds molto elevati, termini laddove,
sullasse del getto la concentrazione del combustibile pari al limite inferiore di infiammabilit.
Utilizzando la teoria dei getti liberi turbolenti in atmosfera calma, possibile derivare una relazione
per valutare la distanza a cui si raggiunge sullasse di un getto turbolento non reagente una
concentrazione pari al limite inferiore di infiammabilit e ottenere quindi una stima della lunghezza
della fiamma:

+ = 1
297 . 0
1
1
32 . 0
L F
a
a
j
j
C M
M Y
d
L


dove M rappresenta il peso molecolare, dellaria e del combustibile, rispettivamente, C
L
il limite
inferiore di infiammabilit come frazione volumetrica, Y la frazione massica del combustibile nel
getto e la densit, dellaria e del getto, rispettivamente.
Anche questa relazione pu essere semplificata per getti di idrocarburi puri a temperatura ambiente
considerando che i parametri presenti nella relazione precedente assumono dei valori allincirca
costanti e tali per cui Y=1,
a F a j
M M e 0 1
a F
M M :
F
a
j
M
M
C d
L
L
5 . 10

Il rapporto tra le due relazioni approssimate peri, per idrocarburi, a circa 0.8 e sono quindi
essenzialmente equivalenti, nel senso che la differenza tra le previsioni dei due modelli dello
stesso ordine di grandezza dellincertezza nella stima della lunghezza della fiamma.
Un approccio ancora pi immediato per getti di combustibile gassoso proposto nelle norme API
RP 521 e prevede di correlare la lunghezza della fiamma alla potenza termica del getto come
mostrato nella Figura 73.
Questa correlazione pu essere rappresentata, per potenze Q=30-10000 MW, dallequazione:
Q L
3
10 23 . 2

=
Unultima correlazione utilizzata quella di Baker e Kalghatgi basata sullassunzione che la
lunghezza della fiamma dipende dalla distanza sullasse della fiamma stessa dove il combustibile e
laria formano una miscela stechiometrica. Il principale parametro coinvolto in questa correlazione
un numero di Richardson che definisce la transizione tra i regimi dominati dalla quantit di moto
(getti ad alta velocit) e quelli dominati dalla spinta di galleggiamento (getti a bassa velocit). Il
numero di Richardson pu essere visto come linverso della radice cubica del numero di Froude:
( ) ( ) ( ) D Du g u gD Ri
3 / 1
2
3 / 1
2
= = . Normalmente si utilizzano nella definizione di Ri per la
correlazione della lunghezza di fiamma due lunghezze caratteristiche, il diametro del getto e la
lunghezza della fiamma: ( ) ( ) L u d g Ri
j
3 / 1
2
= , come evidente dalla seguente equazione:
L
u d
g
LW
d
o o
o
3 / 1
2 2
3 / 2
024 . 0 2 . 0
85 . 2

+ =


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97

Figura 73 Correlazione tra la lunghezza della fiamma e la potenza del jet fire.
La lunghezza della fiamma ricavata dalla soluzione di questa equazione dove W la frazione
massica stechiometrica del combustibile e il pedice o si riferisce alla sezione di getto espanso dopo
lo scarico, le cui condizioni devono quindi essere caratterizzate.
Nel caso di efflusso sonico di una gas perfetto, la temperatura del getto nella sezione espansa pu
essere stimata assumendo una trasformazione isoentropica tra linterno del recipiente e la sezione
del getto espanso come ( )
1
=
S a S o
P P T T , avendo indicato col pedice S le condizioni iniziali del
getto. La pressione viceversa viene assunta pari al valore critico ( ) ( )
1
1 2

=

S o
P P . Con questi
valori di pressione e temperatura si determina il numero di Mach del getto espanso e quindi,
attraverso la velocit del suono nelle condizioni del getto espanso, la sua velocit:
( )( )
j
o
o o
a o
o
M
RT
M u
P P
M

+
=

a
1
2 1
1

Il diametro effettivo del getto espanso viene definito come il diametro di un getto virtuale in grado
di scaricare una portata di aria pari a quella del getto alla velocit u
o
:
a
j
j o j
j
a
o
d d u
d
u
d
m

= = = a
0
2
0
2
4 4

Nel caso di efflusso liquido o bifase, la relazione precedente viene modificata come (Cook et al.,
1990):
a
v j
j o
d d


=
avendo indicato col pedice v le condizioni del vapore.
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98
Figura 74 Influenza del vento sulla geometria della fiamma.
La presenza di vento modifica sostanzialmente la geometria della fiamma. A basse velocit del
vento la fiamma si inclina leggermente, ma soprattutto si ha un marcato aumento della velocit di
ingresso dellaria nella fiamma in quanto in vento incontra tutta la sezione laterale della fiamma.
Questo provoca al solita una migliore combustione e quindi un accorciamento della lunghezza della
fiamma, come mostrato in Figura 74. Un ulteriore aumento della velocit del provoca una marcata
inclinazione della fiamma che diviene quasi parallela alla direzione del vento. la lunghezza torna ad
aumentare in quanto prevale inizialmente leffetto di trascinamento del vento, per poi riprendere a
diminuire quando torna a prevalere leffetto della diluizione: Elevate velocit del vento strappano
infine la fiamma, provocandone lo spegnimento.
Di tutti questi fenomeni i modelli disponibili in generale rappresentano solo la riduzione della
lunghezza della fiamma ad opera del vento e la sua inclinazione sulla verticale, olrte che
eventualmente le dimensioni della base maggiore e minore del tronco di cono a cui la fiamma viene
assimilata, come mostrato nella Figura 75.
Una stima delle dimensioni di un jet fire derivante dallo scarico di un liquido in grado di dare flash
pu essere effettuata in funzione della potenza del jet fire con la relazione di Clay et al., 1988:
66 . 161
444 . 0
Q
L =
Il metodo di Brzustowski pu essere modificato per tener conto della presenza del vento
introducendo delle coordinate adimensionali (con origine allorifizio di scarico del getto come
mostrato nella Figura 75) contenenti il rapporto tra le velocit del getto, u, e del vento, w (anche se
in realt il parametro che pi correttamente tiene conto dellinfluenza relativa delle velocit del
getto e del vento il rapporto tra le relative quantit di moto):

=
=
=
R
d
Z
Z
R
d
X
X
u
w
R
j
L
L
j
L
L
j
a


che vengono utilizzate per correlare le osservazioni sperimentali, come mostrato nella Figura 76.
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99
Figura 75 Effetto del vento sulla geometria di un jet fire.
La lunghezza e linclinazione della fiamma in presenza di vento pu essere valutata calcolando in
sequenza alcuni parametri:

= + =

=
=
=

= >
= + <

= >
= <
=

L
L
L L
L L
L L
L L
L L
L L L
L
L L
L L
a
F
L L
Z
X
Z X L
R dj Z Z
R dj X X
X Z
S X
S X X
S
C S
C S
M
M
w
u
C C
arctan 04 . 2
65 . 1 35 . 2
0 05 . 2 04 . 1 35 . 2
71 . 2 5 . 0
04 . 2 5 . 0
2 2 28 . 0
28 . 0 2
625 . 0
03 . 1
a a a a
a
a
a
a
a
a

Anche la lunghezza della fiamma calcolata col il modello di Baker e Kalghatki pu essere
modificata per tener conto della presenza del vento come segue:
( ) 49 . 0 4 . 0 exp 51 . 0
) 0 (
) (
+ =
=
w
w L
w L


Figura 76 - Correlazione dei dati sperimentali con coordinate adimensionali.
Nel caso di scarico non verticale (che formi cio un angolo con lorizzontale nella direzione del
vento) questa relazione pu essere ulteriormente modificata come segue:
( ) ( ) ( ) ( ) + =
=

90 10 07 . 6 1 49 . 0 4 . 0 exp 51 . 0
) 0 (
) (
3
w
w L
w L

Il modello pi diffuso per rappresentare la fiamma come un tronco di cono quello Chamberlain
(1987). Questo modello richiede, per caratterizzare la geometria della fiamma, una preventiva
caratterizzazione del getto scaricato in termini di velocit e diametro della sezione espansa, come
discusso in precedenza per il modello di Baker e Kalghatki. Sulla base della lunghezza della fiamma
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100
cos calcolata e utilizzando una serie di relazioni semiempriche possibile calcolare linclinazione e
le dimensione del tronco di cono a cui viene approssimata la fiamma, come mostrato nella Figura
77 per il caso generale di scarico non verticale in presenza di vento. Si noti che il tronco di cono
distanziato dal punto di scarico del getto di una distanza indicata con b.
Figura 77 Approssimazione della fiamma di un jet fire con un tronco di cono.
Analogamente al caso del pool fire, il modello pi semplice per il calcolo dellirraggiamento su di
un ricettore quello della fiamma puntiforme schematizzata in Figura 78.
Figura 78 Modello puntiforme per un jet fire.
Nota le geometria della fiamma lemettitore viene localizzato nel baricentro del solido
approssimante la fiamma. Se lintera portata di combustibile scaricata bruciasse
stechiometricamente con aria e tutta lenergia liberata dalla combustione venisse irraggiata dalla
fiamma, la potenza emessa sarebbe facilmente calcolata moltiplicando la portata di combustibile per
il calore di combustione. Ovviamente ci non vero, sia per la parziale combustione del
combustibile dovuta alla natura diffusiva della fiamma, sia per il parziale oscuramento della fiamma
stessa ad opera del particolato. Di questo si pu tener conto, in modo del tutto analogo a quanto
fatto nel caso del pool fire con un fattore di efficienza che dia conto della frazione di energia
disponibile che viene effettivamente irraggiata, . Noto questo valore la potenza irraggiata dalla
fiamma pu essere calcolata come:
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101

c
H m Q =
mentre lemissivit superficiale pu essere calcolata dividendo tale potenza emessa per la superficie
del tronco di cono a cui viene assimilata la fiamma. Ai fini del calcolo dellirraggiamento anche
possibile approssimare il tronco di cono con un cilindro equivalente, come mostrato nella Figura 79.
Figura 79 Approsimazione dellarea laterale della fiamma con un cilindro equivalente.
Date le dimensioni del cilindro equivalente, lemissivit superficiale si calcola come:
DH
Q
E


Valori tipici dellefficienza di irraggiamento, tipicamente dellordine di 0.15 0.4, sono riportati in
Figura 80.
Figura 80 Fattori di efficienza di irraggiamento per jet fire.
Il fattore di efficienza radiativa pu anche essere stimato con relazioni semiempiriche quale:
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102
( ) 11 . 0 00323 . 0 exp 21 . 0 + =
j
u
eventualmente moltiplicato per un fattore correttivo funzione del peso molecolare del combustibile
(Cook et al., 1987):
[ ]

= >
=
= <
69 . 1 ) ( 60
21 ) ( 60 21
1 ) ( 21
F
F F
F
F
M F
M M F
M F
M
a
a
a

Definita la emissivit superficiale lultimo passo la stima dellirraggiamento su di un dato
recettore. Per fare questo bisogna, analogamente al caso del pool fire, tener conto del fatto che una
frazione dellenergia irraggiata viene assorbita dallumidit e dallanidride carbonica presente
nellatmosfera.
Nel caso di fiamma puntiforme, il fattore di vista, cio la frazione di energia irraggiata che viene
intercettata dal recettore, semplicemente il reciproco della superficie della sfera con raggio pari
alla distanza tra il centro della fiamma e il ricettore, e lirraggiamento sul ricettore, I, si calcola
semplicemente come:
] / [
4
2
2
m kW
X
Q
I
A

=
Lincertezza nellutilizzo di questo approccio essenzialmente confinata nella stima dellefficienza
di irraggiamento.
Se invece si considera la fiamma come un emettitore solido di geometria definita (il tronco di cono
o il cilindro equivalente di cui si sono calcolate le dimensioni precedentemente) necessari
calcolare il fattore di vista, F, di un recettore con una data inclinazione relativa rispetto
allorizzontale e posto ad una certa distanza dal solido inclinato come integrale sulla superficie dei
fattori di vista infinitesimali della superficie del solido, Figura 81. La soluzione di questo integrale
di superficie solitamente analitica ed disponibile per un certo numero di inclinazioni relative
fiamma recettore. In questo caso lirraggiamento sul recettore si calcola come:
] / [
2
m kW F E I
A
=
Si noti che nel caso di jet fire orizzontale il fattore di vista da utilizzare quello di una superficie
circolare, come mostrato nella Figura 82.
4.5.1 Confronto tra le previsioni dei diversi modelli.
Un confronto tra le previsioni dei diversi modelli precedentemente discussi stato effettuato
considerando la rottura a ghigliottina di una tubazione da 20 cm di metano a 40 bar di pressione
diretta verticalmente verso lalto. La temperatura del gas pari a 15 C e la portata scaricata a 132
kg/s in assenza di vento.
Utilizzando le relazioni discusse in precedenza si possono calcolare i risultati riassunti nella Tabella
12 (il modello denominato SHELL quello di Chamberlain). Si nota come il modello SHELL e
quello di Brzustowski forniscano risultati analoghi, mentre il modello API 521 sovrastima la
lunghezza della fiamma ma sottostima lirraggiamento al suolo. Si noti infatti che sovrastimare la
lunghezza della fiamma pu essere conservativo per la valutazione di eventuali effetti domino
(coinvolgimento di apparecchiature vicine nella fiamma, soprattutto nel caso di getti orizzontali),
ma sottostima lirraggiamento al suolo nel caso di getti verticali se si utilizza il metodo della
fiamma puntiforme. Infatti in questo caso la sorgente radiante viene posta al centro della fiamma:
una fiamma pi lunga allontana quindi la sorgente radiante dal suolo e riduce quindi lirraggiamento
su di un ricettore al suolo.


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103
Figura 81 Calcolo dellirraggiamento da jet fire col metodo della fiamma come emettitore solido.

Figura 82 Fattore di vista per un jet fire orizzontale.
Analogamente, in presenza di un vento con una velocit di 10 m/s i risultatid ei diversi modelli sono
riassunti nella Tabella 13.
Tabella 12 Risultati delle comparazioni in assenza di vento.
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104
Tabella 13 Risultati delle comparazioni in presenza di vento.
Si nota ancora come i due modelli siano in buon accordo, ma soprattutto come la presenza di vento
aumenti significativamente la distanza di danno al suolo.
4.6 Sfere di fuoco (fireball)
La formazione di un fireball pu essere la conseguenza pi importante di un BLEVE. La
modellazione degli effetti di una palla di fuoco seguono solitamente i seguenti passi sequenziali:
determinazione del diametro della sfera di fuoco; determinazione della durata dellincendio;
determinazione dellinnalzamento della sfera di fuoco; calcolo dellirraggiamento; determinazione
degli effetti sulle persone esposte. Si tratta di un approccio del tutto analogo a quello seguito per i
pool fire e per i jet fire: prima si determina la geometria della fiamma e poi si calcola
lirraggiamento su di un dato ricettore. La differenza pi importante rispetto ai fenomeni termici
legati ai polo fire e ai jet fire lintensit e la durata del fenomeno. Pur essendo ben noto che
leffetto dellesposizione del corpo umano allirraggiamento dipende sia dallintensit
dellirraggiamento, sia dal tempo di esposizione, nel caso di fenomeni di lunga durata (quali i pool
fire e i jet fire) si assumono solitamente delle soglie di irraggiamento indipendenti dal tempo e pari
per esempio a 5 kW/m
2
per gli effetti letali e a 3 kW/m
2
per gli effetti significativi sulle persone.
Questi valori derivano dal fatto che lirraggiamento necessario per fornire una dose legata a effetti
letali o significativi non aumenta indefinitamente col tempo ma tende ad un valore asintotico
allaumentare del tempo; per un tempo di esposizione superiore al minuto (che pu essere
considerato convenzionalmente dello stesso ordine di grandezza del tempo necessario ad una
persona per mettersi al riparo dallirraggiamento) i valori di irraggiamento che causano dati effetti
sono praticamente indipendenti dal tempo. In pratica per la durata di un fireball spesso inferiore
al minuto e quindi risulta necessario calcolare la dose correlata allesposizione di durata finita.
Questa solitamente esprimibile come lintegrale dellirraggiamento elevato ad un certo esponente
(solitamente pari a 4/3) nel tempo. Assumendo lirraggiamento costante, la dose si riduce
semplicemente al prodotto dellirraggiamento alla 4/3 per il tempo di esposizione: I
4/3
t. I valori
soglia della dose per effetti letali e per effetti significativi possono essere stimati pari a circa 1000 e
600 (kW/m
2
)
4/3
s.
Gli effetti termici del fireball sono stati investigati essenzialmente solo per idrocarburi. Sono
disponibili diversi modelli, tutti di origine empiriche, che forniscono la geometria del fireball e delle
linee guida per la stima dellirraggiamento. Analogamente al caso dei dei fire, anche in questo caso
bene considerare ciascun modello come un unicum, evitando di utilizzare la correlazione proposta
da un modello per la stima di una propriet geometrica insieme a quella poroposta da un diverso
modello per la stima di una differente propriet.
Il modello proposto dal CCPS (1994) consente il calcolo del diametro massimo, d, e della durata del
fireball, t, sulla base della massa coinvolta nel fenomeno, m:
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>
<
=
=
kg m se m
kg m se m
t
m d
30000 6 . 2
30000 45 . 0
8 . 5
6 / 1
3 / 1
3 / 1

Lirraggiamento viene poi valutato con un modello a fiamma solida utilizzando lusuale relazione:
] / [
2
m kW F E I
A
=
Il fattore di vista viene calcolato assumendo che la sfera di fuoco non si alzi dal suolo, cio che il
centro della sfera si ad unaltezza pari a met del diametro massimo. Lemissivit superficiale viene
invece posta pari a 350 kW/m
2
che rappresenta un valore decisamente conservativo.
Un secondo modello viene proposto nello Yellow Book del TNO, in due versioni leggermente
diverse nella edizione del 1992 e in quella del 1997. In entrambe le versioni la geometria viene
calcolata con le relazioni:
26 . 0
325 . 0
825 . 0
48 . 6
m t
m d
=
=

Lirraggiamento invece viene calcolato sulla base sempre di un modello di fiamma solida, ma con
assunzioni leggermente differenti. In particolare, la versione del 1992 assume, come il modello del
CCPS, che la sfera di fuoco rimanga al suolo (cio che il centro della sfera si ad unaltezza pari a
met del diametro massimo), mentre la versione del 1997 assume che la sfera si sollevi da terra in
modo tale che il suo centro raggiunga una quota pari al diametro. Inoltre, lemissivit superficiale
viene assunta, nella versione del 1992, pari ai valori riportati nella Tabella 14, mentre nella versione
del 1997 utilizza un valore calcolato dividendo la potenza totale irraggiata per la superficie della
sfera di fuoco.
Come per i casi del pool fire e del jet fire, se lintera massa coinvolta nel fireball bruciasse
stechiometricamente con aria e tutta lenergia liberata dalla combustione venisse irraggiata dalla
fiamma, lenergia totale irraggiata lungo lintera durata del fenomeno sarebbe calcolata
moltiplicando la quantit di combustibile per il calore di combustione. Anche in questo caso si
utilizza, in modo del tutto analogo a quanto fatto nel caso del pool fire e del jet fire, con un fattore
di efficienza che d conto della frazione di energia disponibile che viene effettivamente irraggiata,
. Noto questo valore la potenza irraggiata dalla fiamma lungo lintera durata del fenomeno pu
essere calcolata come:
t
H m
Q
c

=
Lemissivit superficiale pu essere calcolata dividendo tale potenza emessa per la superficie della
sfera a cui viene assimilata la fiamma:
2
d
Q
E


Tabella 14 Valori di emissivit superficiali suggeriti da TNO (1992) per il fireball
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Il valore tipici dellefficienza di irraggiamento, che fornisce valori di emissivit superficiale
dellordine di 300 350 kW/m
2
, viene stimato con la relazione:
32 . 0
00325 . 0
V
P =
dove P
V
la tensione di vapore del fluido nel contenitore in Pa.
Un approccio differente quello sviluppato dalla TRC (SHIELD, 1993 e 1995) sulla base di alcuni
dati sperimentali riguardanti il collasso di serbatoio da 5 10 m
3
contenenti propano e butano.
La principale differenza rispetto agli altri modelli il tentativo di modellare la fenomenologia del
fireball come una serie di eventi transitori invece che come una situazione pseudostazionara. In
particolare viene considerata una prima fase (di espansione) in cui si ha la formazione della sfera di
fuoco e la sua espansione fino al massimo valore del diametro. In questa fase il raggio e
lirraggiamento della sfera di fuoco crescono linearmente col tempo fino al loro valore massimo.
La seconda fase considerata quella di combustione. La durata della sfera di fuoco, dallignizione
fino allinizio dellestinzione, viene posta uguale al tempo di combustione delle goccioline
formatesi a seguito dellevaporazione violenta del gas liquefatto. Durante questa fase la temperatura
della sfera di fuoco viene assunta diminuire dal suo valore massimo fino al valore di estinzione.
Durante questa fase la velocit ascensionale e la dimensione della sfera sono costanti.
Nella terza fase (di estinzione) il diametro della sfera diminuisce linearmente col tempo e laltezza
della sfera rimane costante.
Nonostante una maggior congruenza con i fenomeni realmente osservati nel corso della formazione
di un fireball (come mostrato per esempio nella Figura 83), laccuratezza di questo modello (o pi
precisamente, dei sottomodelli che rappresentano ciascuna delle fasi descritte) si basa su una serie
di relazioni semiempiriche tarate sui ati sperimentali considerati. Dal punto di vista del suo campo
di validit, questo modello non risulta quindi significativamente superiore rispetto agli atri due
precedentemente discussi.
Si deve sottolineare che tutti questi modelli rappresentano le conseguenze di un fireball a seguito di
un BLEVE caldo. Non esistono modelli disponibili per la modellazione del fireball e del pool fire
seguenti un BLEVE freddo.
Figura 83 Sviluppo della quota di un fireball.
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Rispetto ai dati sperimentali disponibili, tutti i modelli sono in grado di prevedere valori corretti
(come ordine di grandezza) per il diametro e la durata del fenomeno. Viceversa laltezza della sfera
di fuoco (che un parametro importante per la definizione delle distanze di danno) assunta dal
modello TNO 1997 non conservativa. Il modello CPCCS conduce alle maggiori distanze di
danno, principalmente a causa della scelta del valore di emissivit superficiale. Il modello TRC
lunico che segue le diverse fasi del fenomeno e fornisce in generale risultati in ragionevole accordo
coi dati disponibili.

Tabella 15 Sensibilit dei risultati dei modelli al variare di alcuni parametri.
Un confronto tra i risultati dei diversi modelli sono riassunti nella Figura 84 in termini di valori
previsti al variare della massa di combustibile coinvolta nel fireball, e nella Tabella 15 in termini di
sensibilit dei risultati del modello (distanze di danno) al variare di alcuni parametri. Si vede che
ingenerale la sensibilit abbastanza bassa ed uniforme tra i vari modelli.

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Figura 84 Confronto tra le previsioni dei diversi modelli di fireball.
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109
5 Conclusioni
In conclusione, valori tipici delle incertezze correlate alla scelta di alcuni parametri chiave nei
modelli di simulazione discussi in precedenza sono riassunti nella Tabella 16.

Tabella 16 Valori tipici delle incertezze legati ad alcuni parametri.
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