Sei sulla pagina 1di 58

STORIA DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE

AUTORI PER LESAME

Boezio Vita e opere. Il filosofo Anicio Manlio Torquato Severino Boezio nacque verso il 480 da una famiglia senatoriale, fu console e senatore sotto il regno gotoromano e si dedic agli studi fin dall'et giovanile commentando l'Isagoge di Porfirio e componendo dei trattati sulle arti del Quadrivio, di cui restano il De arithmetica e i primi cinque libri del De musica (il quinto incompleto), sui quali si struttur l'insegnamento medievale. Nel 510 venne nominato console e in questi anni tradusse e comment le Categorie e il De interpretatione, fondamenti dell'insegnamento della logica fino al XII secolo, e altre opere purtroppo perdute: i commenti agli Analitici primi e secondi, ai Topici di Aristotele, ai Topici di Cicerone. Scrisse inoltre opere originali di logica: De syllogismis, De divisione, De hypotheticis syllogismis, De differentiis topicis. Molto dibattuto nella storiografia il problema del platonismo o aristotelismo di Boezio, come ancora aperta la questione se egli abbia o no aderito al cristianesimo. In generale si riconosce, oggi, che il pensiero boeziano non si costruito nell'ambito di una scuola, ma emerse come la personalissima ricerca speculativa di un uomo coinvolto nelle problematiche vicende politiche del suo tempo: la strumentazione filosofica fu quindi utilizzata da Boezio in modi e per scopi diversi, ricorrendo tanto agli strumenti analitici della tradizione aristotelica, quanto alla ripresa di temi platonici e neoplatonici, che, soprattutto nell'ultima parte della sua vita, fanno emergere un pensiero d'intonazione quasi religiosa. Al culmine della sua carriera politica, Boezio si trov coinvolto in una crisi che vide scontrarsi, dopo anni di convivenza tutto sommato pacifica, la corte di Teodorico, il papato romano e l'Impero d' Oriente. Una congiura contro di lui scoppi infatti nel 523, quando davanti alla corte di Teodorico, a Verona, egli difese il patrizio Albino, accusato di complottare per l'Imperatore d'Oriente. Imprigionato a Pavia con le accuse di tradimento, sacrilegio e magia, Boezio trascorse il resto della vita in carcere, scrivendo qui la sua opera pi famosa e celebrata, La consolazione della Filosofia. Alla fine del processo, nel 525, venne ucciso per ordine di Teodorico. Traduttore e commentatore. L'opera di traduzione e commento dell'ultimo degli Antichi, come universalmente fu definito Boezio, stata fondamentale per la conservazione e la trasmissione al mondo latino della cultura filosofica greca. La traduzione di Aristotele faceva parte di un programma complesso, che prevedeva anche la traduzione di tutti i dialoghi di Platone, in modo da far emergere la convergenza, nonostante l'apparente

discordanza, delle due maggiori filosofie del passato, come lo stesso Boezio spiega nel suo commento al De interpretatione. Di fatto, il progetto di traduzione si limit alle opere logiche di Aristotele, e la conciliazione dei due massimi filosofi non avvenne. Tuttavia, grazie a Boezio la terminologia logica aristotelica pass alla lingua latina, e la tradizione filosofica medievale se ne serv prontamente: ricordiamo, ad esempio, alcuni concetti universalmente utilizzati in ambito filosofico come atto (actus), potenza (potentia), principio (principium), universale (universale), contingente (contingens). Le arti liberali. Il quadrivio, trascurato nella cultura romana, era strettamente connesso alla tradizione platonica: la scienza dei numeri e delle grandezze, cio l'aritmetica e la geometria, aiutavano a comprendere la realt ideale e immutabile, e, grazie alla musica e all'astronomia, tale comprensione si apriva alla lettura razionale della struttura dell'universo. In tal modo "l'occhio dell'anima", dice Boezio, "si libera attraverso quattro gradi", sollevandosi cos verso la perfetta conoscenza filosofica. Dell'opera boeziana sul quadrivio il mondo medievale conobbe, grazie alla riscoperta in et carolingia, l'aritmetica (che sostanzialmente una rielaborazione dell'aritmetica nicomachea), ma soprattutto la musica (De institutione musica), sulle cui fonti greche (fra le quali Nicomaco) ancora aperto il dibattito e che bench incompiuta - costitu la base dell'insegnamento teorico della disciplina nelle scuole e nelle universit fino agli inizi dell'et moderna. La logica. Boezio scrisse due commenti all'opera di Porfirio, concentrandosi sul problema degli universali. Tenendo presente tanto la tradizione platonica, quanto l'impianto aristotelico trattandosi di commento che si inscrive sulla traccia di Aristotele egli introduce una nozione fondamentale per la logica successiva, quella di concetto (intellectus). Gli universali sono concetti, mentre reale solo l'individuo, secondo la tradizione aristotelica. Ciononostante, il soggetto universale quando lo si pensa, singolare quando lo si avverte con i sensi nelle cose nelle quali ha il suo essere. Nell'ultima parte del suo commento Boezio introduce la funzione strumentale della logica: non tanto scienza a se stante quanto, appunto, strumento e ausilio per le altre parti del discorso filosofico (etica e fisica). I dibattiti religiosi e il concetto di natura e persona. L'importanza della logica aristotelica per la costruzione di una nuova lingua filosofica emerge negli Opuscola Theologica, trattatelli sugli argomenti teologici allora dibattuti presso le corti, fra Goti ariani

e Impero d'Oriente cristiano. Nel Contra Eutychen et Nestorium, che risale al 512, egli illustra come mera questione di linguaggio la differenza fra nestoriani, per i quali Cristo possedeva due nature e due persone distinte, e i monofisiti, per i quali in Cristo la natura umana come contenuta nella natura divina. Il trattato procede dunque esaminando le diverse accezioni del termine natura, con definizioni di derivazione aristotelica e platonica. Una prima definizione implica che la natura sia ci che permette di comprendere le varie cose con l'intelligenza; una seconda, che riguarda le sostanze corporee o incorporee, stabilisce che natura "ci che pu fare o ci che pu subire"; quanto alle sostanze corporee, natura il principio di movimento di per s e non per accidente; e infine natura "la differenza specifica che d forma a qualsiasi realt". Anche la definizione di persona importante per la soluzione dei dibattiti teologici, e Boezio traduce con il termine latino "persona", il greco ypostasis (la sostanza individuale di natura razionale). Gli altri Opuscoli vertono sul rapporto di predicazione nella Divinit (Se Padre, Figlio e Spirito Santo siano predicati sostanziali), sulla Trinit, sul rapporto fra creatore e creatura (In che modo le sostanze siano buone in quel che sono, pur non essendo beni sostanziali), e sulla fede cattolica. L'opera teologica boeziana offr una terminologia generale alla base dogmatica del cristianesimo. Il dibattito teologico successivo, nell'Alto Medioevo, si sposter verso il campo dei sacramenti e della ecclesiologia. Metafisica. Nel trattatello sulla bont delle sostanze (conosciuto anche col titolo De hebdomadibus) si trova un altro contributo fondamentale di Boezio al successivo sviluppo della metafisica: la distinzione fra l'esse (cio l'essere in senso astratto e generale) e l'id quod est (cio il soggetto esistente, e che costituito "dalla composizione metafisica tra la sostanza e l'essere che la fa esistere"). In base a questa differenza, l'essere e ci che si distinguono in quanto "l'essere stesso, infatti, non ancora, ma ci che , ricevuta la forma dell'essere, e sussiste". Su tale distinzione Boezio sviluppa una concezione della partecipazione che permette la distinzione sostanziale fra le creature e il creatore: "Poich [le cose] non sarebbero potute esistere in atto se non le avesse tratte all'essere quello che il vero bene, per questo il loro essere buono; e tuttavia non simile al bene sostanziale ci che da lui scaturito". Siamo ormai, nell'ambito di quel problema del Sommo Bene e del rapporto fra creatore e creature che caratterizza l'opera principale di Boezio, Sulla consolazione della filosofia. Il De consolatione philosophiae. La Consolazione un trattato in prosa e in versi,

oscuro e doloroso in quanto composto nel periodo pi difficile e tragico della vita di Boezio, cio durante gli anni del carcere. E' una meditazione intima e rivolta a se stesso, non, dunque, un contributo erudito o un'elaborazione speculativa rivolta ad altri; ma proprio per questo un testo universale, in quanto mette a fuoco i problemi essenziali del pensiero umano senza altri fini e intendimenti se non dare un senso alla vita, in vista della morte imminente. I temi sono il Bene, il rapporto fra destino e libert, la ricerca della felicit. La Filosofia impersonata da una donna anziana ma alquanto vigorosa, vestita di una candida veste tessuta di fili d'oro sottilissimi, ma estremamente robusti: una personificazione allegorica frequente nella tradizione platonica e neoplatonica, ma che qui mette in evidenza, fin dalla descrizione fisica, la profonda venerazione che Boezio aveva per la cultura ed il sapere, e lo sgomento personale per come il pensiero fosse negletto e abbandonato dagli uomini della sua et. L'allegoria sottolinea l'antichit della filosofia e la sua perennit. Il filosofo intreccia un dialogo con Filosofia, e il pensiero con cui aveva aperto il suo scritto, l'instabilit della fortuna, d modo a Filosofia di rammentare, con accenti platonici e stoici, che la felicit va cercata in se stessi, poich i beni esteriori non sono mai realmente posseduti dall'uomo. Boezio affronta cos, in termini essenzialmente platonici, il discorso sul Sommo Bene, che nel carme centrale erompe in una esaltazione del principio creatore e ordinatore dell'universo. Non si tratta del Dio cristiano, ma di un ente supremo e giusto al quale Boezio si rivolge con una struggente preghiera. Molti temi della cosmologia platonica del Timeo, come la proporzione matematica dell'universo, l'anima del mondo, il legame fra macrocosmo e microcosmo (l'uomo), fanno sviluppare una discussione sulla bont, l'essere, il male. Per Boezio il male dovuto ai limiti della condizione umana, secondo una prospettiva che gi era emersa in Agostino. In tal senso si pu tracciare la distinzione fra la provvidenza e il fato: "Come dunque il ragionamento sta alla intuizione, ci che viene generato a ci che , il tempo all'eternit, la circonferenza al centro, cos il corso mutevole del fato sta all'immobile semplicit della provvidenza." La possibilit dell'agire libero dell'uomo, che costituir l'argomento essenziale del libero arbitrio, l'ultimo tema affrontato da Boezio. La contraddizione fra la libert umana e la necessit dell'ordine divino si risolve sottolineando la profonda diversit del conoscere umano da quello divino rispetto alla necessit degli avvenimenti futuri. La ragione umana, secondo Boezio, cos limitata che crede che l'intelligenza divina consideri le cose future come lei le considera. Ci non pu essere in quanto l'intelligenza divina eterna, e dunque fuori dai condizionamenti del tempo. E' errato, allora, parlare della prescienza divina come capacit di conoscere il futuro, perch in Dio c' un eterno presente. Anche la

sua scienza, travalicando ogni mutamento temporale, rimane nella semplicit della propria presenza "e abbracciando tutti gli spazi infiniti del presente e del futuro li contempla nel proprio semplice atto di conoscenza come se avvenissero proprio in quel momento". Ogni evento, apparentemente mutevole, cos un modo in cui si presenta l'infinita totalit dell'essere. (CP) Giovanni Scoto Eriugena Vita e opere. Giovanni Scoto Eriugena, il filosofo pi rilevante nell'ambito della cosiddetta "rinascenza carolingia", sintetizz nella sua opera la tradizione teologica agostiniana con gli sviluppi teologico-speculativi prodottisi in ambito greco-bizantino. Formatosi nel contesto della cultura irlandese, abbiamo scarse notizie di lui e dellambiente culturale da cui proveniva. Nato probabilmente tra l'800 e l'810 e trasferitosi dall'Irlanda nel continente negli anni Venti dell'Ottocento, inizi la sua carriera di maestro di arti liberali negli anni '30 e divenne maestro di Palazzo alla Corte di Carlo il Calvo nei primi anni '40. Il primo riferimento cronologico sicuro risale all'850-851, quando venne coinvolto nella disputa sulla predestinazione. Prima di questa data scrisse le Glossae diuinae historiae (commento in forma di glosse alla Bibbia) e i commenti collegati all'insegnamento delle arti liberali (Annotationes in Marcianum, glosse al De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella) e probabilmente un commento alle opere grammaticali di Prisciano. Conoscendo il greco, tradusse alcune importanti opere di Padri della Chiesa orientale: il corpus degli scritti attribuiti a Dionigi l'Areopagita, alcune opere di esegesi dottrinale prodotte da Massimo il Confessore (Ambigua ad Iohannem; Quaestiones ad Thalassium), e il trattato antropologico di Gregorio di Nissa noto come De opificio hominis. Il prolungato contatto con un patrimonio testuale con cui la stessa teologia bizantina si sarebbe misurata per diversi secoli contribu ad arricchire la vastit e l'originalit degli interessi speculativi di Giovanni Scoto. Risultato di ci furono le grandi opere della maturit: il Periphyseon (864-866; noto anche come De divisione naturae, sebbene il titolo corretto dell'opera sia quello in greco traslitterato); le Expositiones in ierarchiam coelestem (86570), commentario al primo degli scritti del Corpus dionysiacum, ove accanto alla spiegazione filologica della terminologia svolge unesegesi dottrinale che permette una ricostruzione delle linee fondamentali della teologia dionisiana; l'omelia Vox spiritualis aquilae sul prologo del vangelo di Giovanni (870-872), che offre una sintesi dei temi fondamentali della teologia eriugeniana; e il commentario allo stesso vangelo di Giovanni

(875-877). Tra le altre opere, oltre a un commentario al vangelo di Matteo giuntoci frammentario e a un perduto trattato sulla visione di Dio, si ricorda una consistente produzione poetica caratterizzata dal bilinguismo latino-greco e dalla preponderanza di temi filosofici e teologici. Non abbiamo notizie circa l'ultima fase della vita di Giovanni Scoto, di cui si perdono le tracce dall'877 ca. Predestinazione e libert. Per sostenere la sua tesi sulla doppia predestinazione Gotescalco dOrbai aveva utilizzato argomenti grammaticali. Giovanni Scoto, interpellato in qualit di maestro di arti liberali con il compito di confutare Gotescalco sullo stesso terreno delle argomentazioni grammaticali, non si limit ad assolvere al suo compito di "specialista", ma elabor un'opera (De praedestinatione) di ampio respiro, muovendo dal principio epistemologico per cui "la vera filosofia la vera religione e viceversa", e proponendo un'argomentazione in cui si intrecciano esegesi delle auctoritates, deduzioni sillogistiche a partire dalle dottrine di fede e speculazione teologica. Eriugena utilizz il problema teologico della prescienza e della predestinazione divina come chiave per elaborare una sintesi speculativa in cui inquadrare la totalit delle cose che sono (quae sunt) e delle cose che non sono (quae non sunt); e affront una serie di problematiche classiche del pensiero cristiano (la conciliabilit tra la bont divina e l'esistenza del male, la natura del peccato e del castigo, il problema del fuoco eterno e la sussistenza escatologica delle creature) mediante una rigorosa applicazione delle tecniche delle arti del trivium (grammatica, retorica, dialettica) al discorso teologico, utilizzando le verit di fede come primo termine dell'argomentazione sillogistica per arrivare, attraverso la corretta interpretazione delle parole e dei significati del discorso, a definizioni certe e verificate sulla base delle regole del ragionamento. Confut la teoria della doppia predestinazione mostrando dialetticamente che una simile ipotesi comporterebbe l'introduzione di una doppia volont in Dio e la conseguente negazione dell'assoluta semplicit divina; e sostenendo che le auctoritates devono essere interpretate alla luce delle regole della retorica, sicch in tutti i punti dove il discorso sembra far allusione a una doppia predestinazione Giovanni Scoto mostra come l'auctoritas in realt parli per antifrasi di una unica predestinazione nel bene. Per illustrare i rapporti tra predestinazione divina e libert umana Giovanni Scoto si riferisce alla teoria dell'ordine universale, letta in prospettiva ontologica: la prescienza divina, che pone i limiti dell'ordine universale della creazione e dell'ordine particolare delle creature, ha come fine la preservazione ontologica della creatura stessa. La condizione di miseria in cui una creatura pu cadere col peccato

da imputare alla creatura stessa, che sceglie nel suo libero moto (ovvero attraverso il suo libero arbitrio, definito come moto della volont umana) quale posizione dell'ordine universale occupare: una persona che si ostinasse a fissare il sole si rovinerebbe la vista, scrive Scoto, ma non per questo il sole andrebbe additato come un male. Sul piano cosmologico, la teoria dell'ordine implica la negazione di un luogo dell'universo deputato alla pena; Scoto afferma inoltre che nel fuoco eterno "si realizza da un lato la meravigliosa gioia delle nature e dall'altra l'inesprimibile tormento delle volont malvagie". (XIX.3) La natura. La complessit dell'opera maggiore di Giovanni Scoto, il Periphyseon, accentuata dal fatto che il testo che abbiamo sembra essere una redazione non definitiva. Si tratta di un dialogo tra maestro (Nutritor) e discepolo (Alumnus), figure della ragione che sprona se stessa a oltrepassare i limiti delle modalit di conoscenza che le sono propri, per avvicinarsi agli oggetti di conoscenza di cui l'opera intende trattare: la totalit delle cose, nei loro reciproci rapporti intensivi ed estensivi, nonch nella loro unitariet prima ed ultima. Il filosofo che riflette, utilizzando la dialettica, intorno alla principale divisione dell'intera realt riconosce che il dominio dellontologia (le cose che sono) e quello della meontologia (le cose che non sono) hanno la loro unit in un genere universale che li raccoglie alla stregua di specie, e chiama questo supremo grado unitario di realt 'natura'. Applicando poi da teologo la dialettica al concetto di natura, arriva al fondamento della prospettiva dottrinale cristiana, cio la divisione e la relazione tra increato e creato. Entro questa prospettiva il genere natura viene diviso nelle quattro specie che ne esauriscono le possibilit di divisione: natura non creata creante, natura creata creante, natura creata non creante, natura non creata non creante. Nella prima si intende Dio nella sua funzione di creatore della totalit delle cose; nella seconda si intendono le cause primordiali, create, in quanto prima espressione nella molteplicit della potenza disposta nel Verbo di Dio, e creatrici, in quanto modelli delle cose che verranno create nel mondo fisico; questultimo il livello di realt che costituisce la terza natura, cio la manifestazione corporea della natura creata, la discesa nella materia delle cause creatrici; l'ultima specie di natura Dio come fine ultimo di ogni cosa e somma unit di ogni natura. Questo schema ritrae la tensione 'naturaletra increato e creato, che si sviluppa da una parte come estensione dell'increato nel creato e dall'altra come intensione del creato verso l'increato. Questo duplice moto descritto attraverso i termini di processio e reditus: possiamo dunque considerare il Periphyseon come il percorso speculativo intorno alla processio naturae e al reditus naturae. Dal punto di vista teologico la quadripartizione delle nature implica un

duplice approccio, mutuato dallo ps.-Dionigi: la via affermativa (catafatica), che riguarda ci che Dio nella sua relazione con la creazione, e lo conosce in quanto essere creante; e la via negativa (apofatica), che considerando Dio in quanto essere increato non creante, nega che possa essere conosciuto in relazione alla creazione. La conoscenza. La gnoseologia eriugeniana deve essere compresa alla luce di questa duplicit di prospettive, tenendo sempre presente che la conoscenza per negazione quella che pertiene alla realt nel suo pi sommo grado: la conoscenza di una cosa infatti la manifestazione parziale di ci che di essa non conoscibile in s, ovvero l'essenza della cosa stessa, mentre la vera conoscenza dell'essenza non potr che essere non-conoscenza. In Dio la conoscenza delle cose causa dell'essere delle cose stesse; ma siccome in Dio tutte le cose sono conosciute prima che vengano all'essere, allora la conoscenza che Dio ha delle cose non una conoscenza del loro essere bens del loro non-essere. In quest'ottica le creature vengono intese come teophaniae delle nozioni che Dio ha di tutte le cose, e che costituiscono le essenze individuali delle cose stesse; le creature, presenti essenzialmente in Dio, si intendono come manifestazioni di Dio nell'ambito della molteplicit creata. Per Giovanni Scoto l'essenza conoscibile solo in quanto (quia est), ma non in ci che (quid est), in quanto l'essenza indefinibile (il quid est riguarda infatti gli attributi dell'essenza, che la definiscono ma restano estranei a ci che essa in s). Dio, inconoscibile in s in quanto essenza super-essenziale priva di attributi propri, di conseguenza viene conosciuto indirettamente dalle creature attraverso le teofanie, ovvero manifestazioni per attributi nella forma creaturale. L'essere delle cose dunque manifestazione di ci che le cose non-sono in Dio, ovvero declinazioni affermative di ci che in riferimento a Dio va predicato in negativo. L'identit generalissima delle cose nell'intelletto divino, la cui facolt conoscitiva detta virtus gnostica, e la divisione tra il non-essere delle cose in Dio e il loro essere nella loro condizione creata, garantisce la radicale differenza tra Dio e il mondo. Se non si tengono presenti entrambi gli aspetti, impossibile comprendere il vero nesso di unit e al contempo di diversit che sussiste tra Dio e la creazione: questa incomprensione attir sull'opera di Giovanni Scoto l'accusa di panteismo. Il problema del reditus delle nature alla quarta species, che Giovanni Scoto riconnette a pi riprese alla sentenza paolina "Deus omnia in omnibus" (I Cor 15, 28) si risolve nel contesto di questa comprensione della sussistenza delle essenze nella superessenza divina: "l'essere di tutte le cose infatti la divinit sopra l'essere" .

Maschio e femmina li cre. Applicando la propria esegesi alla cosmogenesi antropocentrica presentata dalla Scrittura, Giovanni Scoto identifica nella "doppia creazione" dell'uomo di cui narra la Genesi (1, 26 e 2, 7) le fasi di un processo a cui la rivelazione allude velatamente, ma che il teologo ha il compito di portare pienamente alla luce: appoggiandosi agli insegnamenti di Massimo il Confessore, Eriugena inserisce il racconto biblico all'interno di una quintuplice divisione della natura umana in una serie di generi e specie, nella quale l'intera creazione trova realizzazione progressiva in modalit esistenziali nuove. Queste vengono attualizzate nella divisione del genere in due specie subordinate, dipanandosi entro i due poli creati in principio da Dio, ovvero il "cielo e la terra" (Gn I, 1), nei quali Giovanni Scoto riconosce le cause di tutte le realt intelligibili e le cause di tutte le realt corporee. Le cinque divisioni del genere umano, definite secondo lo schema dellalbero di Porfirio (la specie diventa genere della successiva divisione), costituiscono una progressiva divisione della realt creaturale dalla sua condizione spirituale e incorporea alla sua condizione sensibile e corporea; esse sono: natura non creata e natura creata, intelligibile e sensibile, cielo e terra, paradiso e mondo, maschio e femmina. La divisione dell'uomo nei due sessi costituisce dunque l'estremo gradino della discesa della natura umana nella condizione pi grossolana e corporea della creazione, e al contempo la completa attualizzazione della sua potenza del suo essere. La divisione dei sessi porta tuttavia l'uomo a partecipare della modalit di riproduzione degli animali bruti, svilendo l'eccellenza della sua primigenia condizione, nella quale avrebbe potuto ottemperare al comandamento di crescere e moltiplicarsi (cfr. Gn 1, 28) secondo la modalit di riproduzione propria degli angeli tema che Giovanni Scoto riprende dal De imagine di Gregorio di Nissa. Caduta e ritorno. Dal punto di vista ontologico, il processo di caduta lattualizzazione di un effetto potenzialmente contenuto nella sua causa e, pertanto, gli effetti delle cadute (divisioni successive) della natura umana non possono essere mali, per quanto sia cattivo il moto della coscienza che sceglie di disporsi su un livello ontologico inferiore. Il reditus dunque ritorno degli effetti alle loro cause, riunificazione (adunatio) di tutte le creature nelle proprie ragioni (rationes) e cause. La prima fase ne il ritorno della terza specie della natura (creata non creans: il mondo sensibile) alla seconda (creata creans: le cause primordiali). Ad essa seguono il reditus generalis e il reditus specialis. Il primo il ritorno delle cause e dei principi (rationes) nel Verbo di Dio unigenito, nel quale sono state fatte e sussitono tutte le cose; e poich conseguenza principale della cacciata di Adamo ed Eva

10

dal paradiso era stata la perdita del corpo spirituale, che verr riscattato da Cristo risorto e guadagnato dagli eletti dopo la risurrezione universale del genere umano. In essa consiste il reditus generalis, in cui lintera natura umana sar salvata in Cristo, ma solo gli eletti meriteranno il reditus specialis, la perfetta unione con la natura divina e il mantenimento della loro sostanza personale, oltre alla sostanza generale della natura umana. Deificatio. In chiusura del quinto libro del Periphyseon, per illustrare le due specie del reditus Giovanni Scoto si avvale dell'esegesi di due passi tratti dalla rivelazione, rispettivamente dall'Antico Testamento (Gn I) il racconto della creazione di Adamo nel paradiso , e dal Nuovo testamento (Mt 25) la parabola delle dieci vergini. Nel primo caso la creazione di Adamo nel paradiso viene interpretata come la condizione perfetta della natura umana, mentre nella proibizione di "mangiare il frutto dell'albero della vita" (cio partecipare al Verbo di Dio) viene inteso il dono della deificazione che verr concesso ai soli eletti. Analogamente, nella parabola delle dieci vergini Giovanni Scoto vede allegorizzata l'intera umanit, che sar divisa tra coloro che godranno della salvezza nel ritorno (reditus generalis) della natura umana alla sua condizione primigenia (simbolizzati dalle "vergini stolte") e gli eletti (simbolizzati dalle "vergini prudenti") che invece saranno elevati (reditus specialis) oltre la natura umana nella deificazione. Vediamo dunque come Giovanni Scoto muova la sua speculazione senza soluzione di continuit rispetto al dato scritturistico, in base al quale costruisce le sue argomentazioni teoretiche, e a cui torna per illustrarne e corroborarne i risultati. NellOmelia sul prologo di Giovanni l'uomo divinizzato che ha spinto la propria contemplazione al di sopra di ogni intelligenza e di ogni significato, cogliendo il Verbo "in principio presso Dio raffigurato nel volo dell'"aquila spirituale" figura in cui riconosciamo l'evangelista stesso, capace di andare oltre la natura umana, realizzando la perfetta unione con Dio e divinizzazione di s. Rimandando al fondamentale teologumeno del rapporto natura-grazia, anche nell'Omelia Eriugena precisa che la divinizzazione di Giovanni oltre la natura umana avviene per grazia del Verbo, tema che aveva gi affrontato nel Periphyseon, ove affermava che la natura ci che dato, la grazia invece dono. Ragione e fede. Il fondamento della speculazione eriugeniana la Sacra Scrittura e la storia della salvezza che in essa si narra; in questo Giovanni Scoto del tutto coerente con la prospettiva epistemologia patristica e alto-medievale che vede la teologia come speculazione disciplinare strettamente legata ai dati della Rivelazione biblica. La

11

metodologia esegetica basata sull'applicazione delle arti liberali alla speculazione teologica si giustifica dunque come strumento per estrapolare dalla Scrittura l'insegnamento teologico velato nel linguaggio allegorico-simbolico. In questa luce il cammino di processio-reditus vede come protagonisti il Creatore, che dispone la sua immagine somigliante come centro della creazione, e la creatura, che si allontana dalla volont del Creatore, pervertendo l'immagine divina disposta in s, venendo infine ricondotta allo stato di felicit iniziale attraverso una graduale serie di teofanie che ha culmine nell'Incarnazione del Verbo divino; in essa lunione indissolubile nella persona di Cristo tra la natura divina increata e la natura umana creata, restituita al suo stato di perfezione primordiale mediante la Resurrezione, si pone come premessa alla divinizzazione dell'uomo (deificatio, thosis). NellOmelia sul prologo di Giovanni il rapporto tra fede e conoscenza raffigurato nell'episodio di Giovanni e Pietro che corrono al sepolcro di Cristo risorto: Giovanni visto come simbolo della contemplazione che raggiunge il sepolcro prima dell'azione, simbolizzata da Pietro; tuttavia Pietro, che anche simbolo della fede, entra prima di Giovanni (l'intelletto) allinterno del sepolcro, ribadendo la tradizionale gerarchia cristiana della ascesa della conoscenza a Dio, quale la tradizione esegetica patristica e medievale ha letto nel versetto di Is 7, 9: "Nisi credideritis, non intelligetis". (ESM)

Anselmo dAosta
Vita e Opere.

Anselmo, conosciuto anche come Anselmo di Le Bec e Anselmo di Canterbury,

nacque ad Aosta nel 1033 da una famiglia nobile e inizi gli studi presso l'abbazia di Fruttuaria; dopo la morte della madre si rec in Francia a studiare alla scuola di
Pavia, Lanfranco di

nel monastero di Bec, dove si fece monaco nel 1060. Nel 1063, alla partenza di

Lanfranco, divenne priore di quel monastero, e nel 1078 fu eletto abate. In questi anni scrisse le prime opere, tutte legate alla vita del monastero: la prima meditazione "ad concitandum timorem" e sei preghiere, dedicate alla principessa normanna Adele, figlia di Guglielmo il Conquistatore. Anche la prima delle opere maggiori di Anselmo, il Monologion (1076) una meditazione filosofica nata all' interno di una comunit di monaci. Negli anni immediatamente successivi approfond la sua speculazione filosofico-teologica nel Proslogion (1077-78) ed in seguito si dedic a riflessioni logico-grammaticali che risultarono nella stesura del De grammatico e del De veritate nel periodo fra il 1080 e il

12

1085. A quella stessa data risale anche il primo degli scritti anselmiani che si occupano di questioni teologiche legate alletica, il De libertate arbitrii. Lanno 1093 segn una tappa importante nella vita di Anselmo: venne chiamato Inghilterra da re Guglielmo II, per ricoprire la carica di arcivescovo di Canterbury, che era stata lasciata vacante dalla morte di Lanfranco (1089) perch il sovrano potesse disporre dei beni ecclesiastici. Ma successivamente si verificarono aspri contrasti con il sovrano, tali da spingere Anselmo ad andare in esilio nel 1097: prima si rec a Lione e poi prosegu per lItalia, dove nel 1098 scrisse il Cur Deus homo. In seguito torn a soggiornare a Lione fino alla morte di Guglielmo II, quando nel 1100 fu richiamato in Inghilterra dal nuovo re Enrico. Purtroppo per Anselmo dovette riprendere la via dell'esilio gi nel 1103, dato che erano sorti nuovi motivi di contrasto con il sovrano, ma continu le trattative con la corte inglese finch riusc a far prevalere il suo punto di vista sui beni ecclesiastici. Tornato nel 1106 in Inghilterra, mor a Canterbury nel 1109. il Monologion. Il Monologion nasce dalle riflessioni teologiche che

Una meditazione monastica.

avevano luogo allinterno del monastero di Le Bec: in questo contesto la speculazione filosofica, la ricerca intellettuale diventa un tuttuno con la preghiera, un rivolgersi a Dio con la mente e la pura razionalit oltre che con il cuore. Anselmo dichiara di aver scritto questo testo in accordo con le argomentazioni dei Padri della chiesa e soprattutto di Agostino, di cui cita il De Trinitate, ma sottolinea loriginalit del proprio approccio: ovvero quello di porsi nellanimo di un uomo che si interroga mentalmente tra s e tenta di comprendere cose che prima non aveva capito per arrivare a dimostrare la verit della fede senza ricorrere allautorit delle scritture, ma soltanto attraverso argomenti necessari (rationes necessariae). Fin dai primi paragrafi incontriamo alcuni dei problemi fondamentali del pensiero di Anselmo, che gi erano stati al centro della riflessione di autori come
Boezio

e Scoto Eriugena:

lessenza di Dio, il rapporto fra Dio e le sue creature, il problema del sommo bene e del libero arbitrio. Il metodo usato da Anselmo nella sua meditazione conferisce piena legittimit alluso della dialettica nelle dispute teologiche, affermando che per mostrare la luce della verit bisogna argomentare attraverso rationes necessariae piuttosto che basarsi sullauctoritas scritturale. La razionalit per Anselmo non per uno strumento completamente slegato dalla verit manifesta nelle Scritture: la ragione deve infatti essere utilizzata per approfondire i contenuti di una fede che gi data e che deve soltanto essere compresa pi a fondo. Quando lindagine razionale resta a livello di semplice

13

comprensione della realt circostante essa ha un valore solo soggettivo, e solo quando entra in relazione e tenta di comprendere le verit di fede la ratio umana assume un valore oggettivo ed capace di fornire conoscenza vera. La funzione principale della ragione per Anselmo dunque quella di portare il cristiano ad avere una consapevolezza razionale delle verit di fede contenute nelle scritture, in modo da mettere in grado il fedele di difendere la dottrina cristiana anche allinterno di un dibattito filosofico e di ribattere ad ogni possibile obiezione rivoltagli. Il Monologion si concentra sul problema dellesistenza delle cose buone e della loro origine, il bene sommo, strutturandosi attraverso quattro diverse prove, che permettono di comprendere lesistenza di una natura superiore a ci che esiste, autosufficiente, beata e dotata di immensa bont che conferisce lessere a tutte le altre cose e le rende buone. La prima prova parte dalla constatazione che tutti aspirano a godere delle cose che giudicano buone: poich si possono confrontare beni tra loro diversi, deve esistere un fondamento comune, un criterio di valutazione, il bene sommo, dal quale tutte le cose traggono la bont per partecipazione. Nella seconda prova si dimostra che il bene sommo anche lessere pi grande che possa esistere, dal quale tutto lordine delle cose create riceve la grandezza. La terza prova prende le mosse dalla piena comprensione della distanza ontologica fra il creatore e le creature: tutte le cose create esistono in virt di un qualcosaltro che invece esiste soltanto per se stesso, la somma sostanza che ha fatto tutto luniverso. Il rapporto fra la somma sostanza (lessere) e gli enti viene descritto efficacemente da Anselmo attraverso la metafora della luce: essenza, essere e ente stanno fra di loro nella stessa relazione che troviamo fra la luce, lo splendere e la cosa che splende. La quarta prova si riallaccia alle prime due, considerando il modo nel quale gli enti sono ordinati secondo una scala di perfezione, per concludere che deve esistere una natura somma e pienamente perfetta. Queste quattro prove, dette a posteriori, hanno caratteristiche molto simili alle cinque vie che
Tommaso dAquino

user per provare

lesistenza di Dio: sono permeate da una concezione metafisica marcatamente realistica, di stampo platonico e agostiniano che sostiene la pienezza del mondo (e quindi la superiorit dellessere rispetto al non essere) e che ritroviamo alla base di molte altre filosofie del medioevo. Su questa stessa concezione si basa la possibilit di provare le verit di fede attraverso argomenti necessari, che presuppone una analogia fra il modo in cui strutturata la realt creata e il modo in cui ragiona la mente umana. il Proslogion. Le riflessioni del Monologion

La nuova prova ontologica dellesistenza di Dio.

14

vengono portate avanti da Anselmo nella sua seconda opera, di pochi anni successiva, il Prosologion: una sorta di preghiera o meglio di dialogo con Dio (come indica il titolo) in cui viene illustrata la ricerca di un argomento che da solo realizzi la prova dellesistenza di Dio: la celebre prova ontologica. Nel
Prologo

Anselmo descrive questo difficile processo di

riflessione, da cui emerge chiaramente la natura nuova ed intuitiva di questa dimostrazione, che presenta un modo diverso da quello del Monologion e tutto interiore di arrivare a Dio. La prova ontologica rappresenta il contributo pi originale e fecondo di Anselmo alla storia della filosofia, capace di suscitare interesse e attenzione in molti filosofi posteriori, da Tommaso fino a Kant. Nel passaggio dalle prove del Monologion a quella del Proslogion sembra inoltre darsi un leggero slittamento di prospettiva e la componente morale sembra assumere un valore pi evidente: il Dio di cui si vuole dimostrare lesistenza non pi semplicemente il Sommo Bene, ma si caratterizza come il Dio della Bibbia, che pu e deve essere dimostrato con lintelletto, ma solo da chi lo ha prima accolto con la fede, come mostra laltro titolo del Proslogion, Fides quaerens intellectum (La fede che cerca l' intelligenza), che riecheggia Isaia VII,9: 'se non avr creduto non potr capire'. Anche la negazione dellesistenza di Dio da parte dello stolto (insipiens) disse linsipiente in cuor suo: Dio non esiste, da cui prende il via largomentazione, di origine biblica. Ad essa il filosofo replica che perfino linsipiente, per poter negare lesistenza di Dio deve riconoscere di possedere in s lidea di Dio, ovvero lidea di un qualcosa di cui non si pu concepire il maggiore. Ora, secondo Anselmo se si ammette che lidea di Dio esiste nellintelletto, che ha quindi una realt mentale, necessario ammettere che esista anche nel mondo reale: infatti, poich Dio ci di cui non possibile pensare il maggiore, egli deve avere in s tutte le perfezioni possibili, e dato che lesistenza nel mondo reale una perfezione, impossibile che non la si possa attribuire a Dio, perch in quel caso sarebbe possibile immaginare qualcosa che in virt della sua esistenza reale pi grande e pi perfetto di Dio, cadendo cos in una contraddizione logica. Alla base del discorso anselmiano vi una premessa fondamentale, ovvero lattribuire un intrinseco valore al puro fatto di esistere: lesistenza come perfezione dellessere, secondo il principio della pienezza dellessere, gi ricordato a proposito del Monologion, per il quale una cosa che pu essere solo pensata ha un minor valore ontologico di una cosa esistente nella realt. A questa premessa si aggiungono le considerazioni logiche basate sullanalisi della significatio del termine Dio e sulla possibilit di dedurne la necessit logica della sua esistenza extramentale, passando dal piano del pensiero a quello dellessere. Ancora con considerazioni logiche si spiega lapparente

15

contraddizione nel pensiero dellinsipiente; per Anselmo esistono infatti due distinti significati del termine pensare. Pensare una cosa pu intendersi come pensare alla parola usata per riferirsi a tale cosa e come pensare allessenza della cosa, ovvero il pensiero pu essere mediato dal piano linguistico o pu invece riferirsi direttamente al piano dellessere: quindi lo stolto pu, al livello meramente linguistico del pensiero, negare alla parola Dio lesistenza, ma neanche lui pu pensare che Dio non esista nella seconda accezione (quella pi vera) del termine pensare. Come si pu notare Anselmo fa gi uso in questo testo della distinzione fra appellatio e significatio e della definizione di verit, che verranno esplicitate meglio in testi di poco successivi come il De Grammatico e il De Veritate. Questa complessa

Il dibattito sul Proslogion: la difesa dellinsipiente di Gaunilone e la replica di Anselmo.

e innovativa dimostrazione non fu accolta unanimemente: molto presto Gaunilone, monaco nellabbazia di Marmourtier, la cui biografia ci quasi del tutto sconosciuta, port avanti le sue obiezioni alle teorie di Anselmo e scrisse un breve opuscolo in risposta al Proslogion intitolato Liber pro insipiente (In difesa dellinsipiente/stolto). Gaunilone attacca al cuore largomento di Anselmo, negando che il legame tra pensiero e realt sia sufficientemente stretto da servire come prova dellesistenza di qualcosa. Secondo Gaunilone non possibile effettuare il passaggio dalludire e comprendere un concetto, ovvero dallavere tale concetto nellintelletto, al suo essere; cio non si pu passare dallesistenza mentale a quella extramentale: lesistenza non una perfezione attribuibile ad un concetto dallintelletto (lesempio che egli porta quello dellisola perfetta: possibile immaginarsi unisola dotata di tutte le perfezioni e tuttavia dubitare della sua esistenza). Per Gaunilone linsipiente pu quindi dubitare dellesistenza di Dio senza incorrere in contraddizione logica. Gaunilone e Anselmo non stanno qui dibattendo realmente sulla questione della fede nellesistenza di Dio: il punto di disaccordo il modo di considerare il linguaggio, la natura del legame fra parole e cose. Nella visione di Gaunilone la distanza fra linguaggio e realt fa s che sia possibile conoscere un oggetto soltanto attraverso lesperienza diretta di esso od il concetto di esso formatosi con lesperienza. Dio al di l dellesperienza sensibile, ci di cui non si pu pensare il maggiore, per sua stessa natura al di l di ogni paragone, e, per Gaunilone, quindi al di l di ogni conoscenza umana che si basi solo sulla ragione. Anselmo rispose alle obiezioni del monaco di Marmoutier nel Liber apologeticus contra Gaunilonem, ove esplicita la sua differente interpretazione del legame fra esperienza e linguaggio; il vero

16

significato delle parole si incontra nellesperienza interiore, che auto-evidente e tale da fornire da sola la certezza della sua verit. La meditazione monastica su Dio sta pian piano mutando forma, trasformandosi in una riflessione logica sul valore e le possibilit del linguaggio come strumento di comunicazione del pensiero: tema a cui Anselmo rivolger la sua attenzione nel periodo successivo. Negli anni fra il 1080 e il 1085, ormai abate di Le Bec, Anselmo

Riflessioni logico- grammaticali.

compone due dialoghi, il De Grammatico e il De Veritate, in cui si propone di portare avanti le sue riflessioni logico-grammaticali sulla corrispondenza fra pensiero e realt in rapporto alle arti del trivio. Per cogliere a pieno limportanza del lavoro di ricerca di Anselmo, bisogna inquadralo allinterno di un contesto monastico tradizionale in cui la parola non mai semplicemente tale: luso del linguaggio viene controllato allinterno delle regole monastiche e si trasforma spesso in preghiera, la parola diventa parola sacra, da meditare. Con il De Grammatico Anselmo affronta il problema legato alla definizione della parola grammatico, ovvero se grammatico si riferisca ad una sostanza o solo ad una qualit, cercando di determinare la recta significatio (il vero significato) di questo termine. La questione prende le mosse da un conflitto esistente fra due auctoritas in questa disciplina: da una parte Aristotele, che nelle Categorie sostiene che la parola grammatico designi una qualit, dall'altra il grammatico latino Prisciano, la cui opera stava alla base di ogni studio della grammatica, utilizza la stessa parola come un sostantivo e quindi lo ritiene un termine inerente ad una sostanza. Per tentare di risolvere questa questione Anselmo distingue due modalit in cui un termine pu
significare, cio stare per

una cosa:

lappellatio, che rappresenta il nesso non necessario fra parola e la cosa significata nel linguaggio comune, e la significatio, ovvero il legame necessario fra un termine ed il suo portato di significato, che quindi viene ad essere legata e a derivare da una sorta di essenza (nel senso boeziano di quidditas) o di idea platonica delloggetto. Nel De Veritate Anselmo va oltre i singoli termini e si pone direttamente la questione di come determinare la verit di una proposizione, giungendo alla conclusione che un enunciato vero quando corrisponde alla realt, ad un determinato stato di cose. La realt qui per Anselmo non significa per lapparenza superificiale, ma la struttura profonda che costituisce lessenza delle cose: in questo senso il concetto di verit assume una connotazione quasi morale e viene a corrispondere con una quaedam rectitudo (una sorta di rettitudine, correttezza). Dato lo stretto collegamento che abbiamo osservato fra parole e cose nel De Grammatico, quando un enunciato rappresenta uno stato di cose reale si ha

17

dunque recta significatio: la verit di una frase corrisponde alla sua rettitudine, in senso logico-grammaticale certo, ma in un modo che suggerisce implicazioni etico morali. Essere veritieri, onesti, usare la recta significatio delle parole diventa quasi un dovere morale per il filosofo: compito della dialettica dunque quello di essere strumento che permette alla mente delluomo che ricerca di riuscire a raggiungere la verit delle cose. Lo stesso termine di rectitudo gioca un ruolo determinante nella dottrina etica

Etica.

anselmiana, che troviamo esposta nei testi degli anni 1085-1090 (De libertate arbitrii, De casu diaboli), che affrontano temi quali la libert delluomo e di Dio, la questione della predestinazione e della prescienza divina (su cui torner negli anni 1107-1108 col De concordia prescientie et predestinationis et gratiae Dei). Altro tema che sta al confine fra letica e la teologia propriamente detta quello della salvezza umana, argomento principale del Cur Deus homo (Perch Dio si fatto uomo) del 1098, in cui il filosofo di Aosta si pone la spinosa questione del perch il Dio onnipotente abbia preso linfima forma umana per redimere gli uomini, giungendo alla conclusione che solo un uomo-Dio poteva espiare degnamente fino in fondo i peccati dellumanit. Nelle opere etiche la riflessione si concentra su tre termini fondamentali: potestas (e quindi libertas), necessitas e voluntas. Anselmo definisce la libert come potenzialit positiva, come possibilit di fare il bene; la libert di scegliere il peccato non quindi vera libert (anche perch altrimenti, Dio che per sua natura non pu peccare non risulterebbe libero), ma la vera libert deve sempre tendere verso un fine positivo, e nascere quindi da una scelta volontaria per il bene, per la rettitudine: ed proprio questa libera scelta della rectitudo ad assicurare valore morale a tutte le altre scelte che da essa discendono. Per Anselmo, inoltre, latto di scegliere la rettitudine rappresenta anche lunica scelta autenticamente cristiana, in quanto comporta la rinuncia agli egoismi mondani per accogliere lamore di Dio; in altri termini il vero cristiano (il cui ideale per Anselmo ancora rappresentato dal monaco) sceglie laffectio rectitudinis (lamore per la rettitudine e quindi per la verit) rispetto allaffectio commodis (allamore di s). La difficolt di coniugare la possibilit della libert di scelta umana con la prescienza divina porta poi Anselmo ad analizzare a fondo il concetto di necessitas: egli, riprendendo un tema boeziano, divide la necessit in necessit logica o conseguente (sequens: lordine che sottende tutte le cose create, che rappresenta lessere libero di Dio nel creare la natura e le sue leggi) e necessit causale o precedente (la successione temporale degli eventi e delle scelte umane): solo questo secondo tipo di necessit che interferisce con la libert umana. Quindi non c alcun conflitto fra la prescienza divina,

18

che concerne lordine della necessit logica, e la libert umana, che ha a che fare con lordine della necessit causale. Anselmo riesce cos a salvare la possibilit della scelta sia umana che divina: anche lIncarnazione infatti non necessaria in senso causale per redimere lumanit, ma nasce da una libera scelta di Dio che sta al di l dellordine temporale degli eventi. In conclusione Anselmo un pensatore eclettico, che si confronta dallinterno della tradizione monastica e agostiniana con i problemi di una realt in continua evoluzione, dove liniziare a porsi domande sulle verit di fede si coniuga allaffermarsi della logica e della dialettica come strumenti del dibattito filosofico e teologico: la filosofia di Anselmo nacque in risposta a questi problemi, tentando di mostrare una possibile via di conciliazione fra fede e ragione, ed esercit una grande influenza su molti filosofi posteriori, fin ben dentro allet moderna.(EB) Abelardo Vita. Pietro Abelardo (1079-1142) il filosofo di maggior rilievo del XII secolo. La sua autobiografia, Historia calamitatum, scritta quando era ormai in et matura, ci rinvia limmagine di un grande studioso, dotato di vasti interessi intellettuali, ma anche quella di un uomo inquieto, nelle cui vicende personali si leggono tutti i fermenti di un tempo di rinascita'. La storia damore con Eloisa, bruscamente interrotta, si riflette nellepistolario (successivo allautobiografia), in cui i sentimenti si intrecciano alle idee, mostrando tutta la novit di una figura filosofica innovatrice nei principali ambiti di riflessione del suo tempo: la logica, la teologia e letica. La vita avventurosa di Abelardo era cominciata da prima di conoscere Eloisa: conformemente alluso degli studenti di quelllepoca, aveva studiato in diverse scuole di dialettica prima di recarsi a Parigi, dove fu allievo di Roscellino e di Guglielmo di Champeaux. Alla scuola di Guglielmo la passione intellettuale e lorgoglio del giovane Abelardo (che ci racconta di aver scambiato le armi della guerra per quelle della dialettica) lo mise in contrasto col maestro, finch, andatosene, fond una propria scuola; poi, dopo aver passato alcuni anni nella natia Bretagna, torn dal maestro, ma subito lo attacc su un punto centrale del suo insegnamento, la
dottrina degli universali.

Infine gli

successe nellinsegnamento presso la scuola di logica di Notre Dame. Maestro subito famoso, visse in quegli anni la storia damore con Eloisa, che a quanto egli stesso ci racconta era elogiata in tutta la Francia per la sua cultura pi ancora che per la sua bellezza. I due ebbero un figlio e furono costretti a sposarsi dallo zio e tutore di Eloisa, Fulberto; ma vollero tenere segreto il mastrimonio per non danneggiare la fama dello

19

studioso (nelle scuole del tempo i maestri erano esclusivamente uomini, celibi, appartenenti ad uno degli ordini ecclesiastici anche se non necessariamente al pi alto, il sacerdozio). Fulberto organizz allora la sua crudele vendetta, facendo evirare Abelardo che fu cos costretto a lasciare Parigi e rifugiarsi presso labbazia di Saint-Gildas. Anche Eloisa, per volere dello sposo, prese i voti e divenne badessa in un monastero femminile, il Paracleto. Dopo il 1121, quando Abelardo fu condannato per la concezione trinitaria espressa nel De Unitate et Trinitate divina, visse per qualche tempo al Paracleto. Negli ultimi anni, in conseguenza di contrasti con i confratelli, Abelardo si rifugi nellabbazia di Cluny, dove rimase fino alla morte. La logica. Nella Logica 'Ingredientibus' (Per i principianti: denominata, come si fa per molti testi medievali, dallincipit, la parola con cui inizia il testo) viene riportata dettagliatamente la lunga disputa sugli
universali

fra Abelardo e il suo maestro, che aveva

modificato la sua posizione passando da quella detta realismo estremo (luniversale come essenza materiale, che una in tutte le cose appartenenti a una medesima specie o genere) a quella detta non-differenza (le cose hanno ciascuna una propria essenza, che per uguale in tutte le cose appartenenti a una medesima specie o genere). Il cambiamento introdotto da Guglielmo di Champeaux tentava di salvare la singolarit degli individui appartenenti ad una stessa specie, che era incompatibile con la posizione del realismo estremo. La teoria della non-differenza, anzich ridurre tutti gli uomini a varianti accidentali delllunico universale-cosa "uomo", sostiene infatti che in tutti gli uomini sussiste in maniera reale un nucleo identico, ma singolare, in virt del quale essi sono detti uomini. Nella sua discussione del problema, Abelardo parte con il distinguere accuratamente le immagini mentali dalle cose fisiche di cui sono immagini e dalle realt propriamente intellettive che sono le idee, o concetti, che chiama intellectus. I nomi e i verbi significano le idee che generano nellascoltatore, ma anche ci di cui esse sono idee, cio le cose: le idee si riferiscono dunque alle cose reali, ma attraverso la mediazione dei nomi. I nomi poi, in quanto vocabolo o suono fisico, sono detti vox; in quanto entit linguistica dotata di significato sono detti sermo: solo nellambito del sermo si trovano termini universali. Un termine infatti non ha valore di universale per pura convenzione come sosteneva Roscellino, ma in quanto esprime un significato (intellectum), che si basa sulla natura comune delle cose da esso indicate: questa soluzione del problema degli universali viene denominata concettualismo. Oltre che nella Logica 'Ingredientibus' (composta verso il 1120), Abelardo espose le sue dottrine logiche nella Dialectica, alla

20

quale lavor fino agli anni della vecchiaia, e in alcuni scritti minori: Logica 'Nostrorum petitioni sociorum' e glosse ai testi della Logica vetus. La teologia. Fra il 1121 e il 1141 Abelardo compose le pi importanti opere teologiche (Theologia Summi Boni o Introduzione alla teologia, Sic et non, Theologia christiana, Dialogo fra un filosofo, un ebreo e un cristiano), per quegli allievi che richiedevano un criterio di studio umano e filosofico, trattando di teologia secondo un criterio razionale che non fosse in contrasto con la Sacra Scrittura. Il ricorso alle
dimostrazioni filosofiche

permette di

mostrare la convergenza del testo sacro con la filosofia, in modo da convincere i non cristiani: poich questi assalgono i cristiani soprattutto con ragioni filosofiche, anche noi risponderemo con questo tipo di argomentazione. La convergenza fra le parole dei filosofi e la rivelazione contiene per due importanti limitazioni: da una parte laffermazione che non si pu in questo modo pretendere di raggiungere la verit, ma solo la verosimiglianza; dall'altra lavvertenza che gli stessi filosofi si sono espressi su argomenti come lanima e Dio metaforicamente e attraverso immagini favolose. Un lavoro di vera e propria discussione metodologica e organizzazione scientifica dei materiali patristici (appartenenti cio alla tradizione cristiana, ma non per questo univoci nelle interpretazioni della Sacra Scrittura) viene poi portato avanti nel Sic et non. Questopera una raccolta di opinioni contrastanti sulle verit della fede cristiana, preceduta da un prologo che costituisce un vero e proprio modello di ermeneutica critica. Il principio generale sotteso a tutto il lavoro lo stesso gi enunciato nella Logica 'Ingredientibus': Attraverso il dubbio si giunge alla ricerca, attraverso la ricerca si giunge alla verit. I testi raccolti vanno dunque sistematicamente sottoposti a critica, seguendo cinque regole fondamentali: (1) analizzare il significato dei termini del testo esaminato, determinando lesatta intenzione dellautore nelluso di essi. (2) considerare lautenticit dei testi; (3) esaminarli nel contesto complessivo dellopera del loro autore; (4) distinguere fra le affermazioni dellautore e le citazioni che fa di altri; (5) classificare i testi esaminati in base allautorevolezza di chi li ha scritti: quando non possibile risolvere le opposizioni fra opinioni diverse applicando le prime quattro norme interpretative, si deve scegliere lopinione dellautore la cui dottrina pi certa nellambito dellinsegnamento tradizionale della Chiesa. Il Sic et non (che deve molto anche agli sviluppi coevi della metodologia giuridica) pertanto una tappa importantissima nello sviluppo del metodo scolastico, ed il vero e proprio punto di partenza della nuova teologia scientifica. Insieme alle altre opere teologiche e logiche di Abelardo, eserciter uninfluenza determinante su autori come
Pietro Lombardo

e Gilberto de la Porre, che

nella seconda met del secolo porteranno avanti questo tipo di riflessione facendo da

21

ponte con la teologia scolastica. Anche lutilizzazione del

metodo questionativo

nella Theologia

christiana collega le ricerche di Abelardo agli sviluppi successivi. Fra i punti dottrinali innovativi, lidentificazione dello Spirito Santo con l anima del mondo (su linee analoghe a quelle sviluppate dagli
autori chartriani)

offre un esempio di quella spiegazione del testo sacro


Bernardo da Chiaravalle.

con le parole dei filosofi che appariva estremamente pericolosa ad un esponente della linea tradizionale della Chiesa come Lo Spirito Santo procede dal Figlio e da esso, cio per mezzo della ragione universale della sapienza divina, governa le opere di Dio, e traduce nella realt le concezioni di Dio. La difficolt di analizzare con un linguaggio rigoroso i rapporti fra le persone della Trinit porta Abelardo su una posizione diametralmente opposta al triteismo del suo maestro Roscellino. Solo il Padre in s tale da poter in se stesso sussistere, affermava Abelardo, suscitando le ire di Bernardo da Chiaravalle e la condanna delle sue tesi, ribadita due volte (a Soissons nel 1121 e a Sens nel 1141). Il dialogo fra le religioni. Lintenzione apologetica, che Abelardo concepisce soprattutto in relazione alla polemica anti-giudaica (che si basava tradizionalmente sulla contrapposizione fra linterpretazione ebraica tradizionale e quella cristiana della Bibbia), era stata sicuramente un potente stimolo allelaborazione razionale dei contenuti di fede. La ricerca di un accordo fra la verit filosofica e quella cristiana prosegue nel
Dialogo

fra un

filosofo, un ebreo e un cristiano, dove Abelardo sostiene che la possibilit di una convergenza di cristianesimo e filosofia visibile nella moralit naturale dei filosofi. Essa viene individuata soprattutto nei temi dello stoicismo antico veicolati dagli scritti di Seneca e Lucano, autori letti e commentati nellambito dellinsegnamento delle
arti liberali.

Letica. Negli ultimi anni della sua vita Abelardo sistematizz nello Scito te ipsum (Conosci te stesso) gli spunti di riflessione morale che aveva gi introdotto nelle opere teologiche. Lopera assumeva una posizione innovativa nei confronti del problema del peccato, che tradizionalmente era affrontato essenzialmente in analogia col principio giuridico della condanna commisurata al delitto. La concezione della vita morale, notevolmente schematica e legata allesteriorit tanto del peccato come della penitenza, viene ribaltata da Abelardo, che pone laccento sulla distinzione psicologica fra vizio e peccato ed esplicita il principio che soltanto l'assenso allinclinazione malvagia costituisce il peccato (principio che ritroviamo formulato nelle epistole di Eloisa, o a lei attribuite, risalenti agli stessi anni in cui Abelardo scriveva il suo trattato di etica). La presenza di una volont cattiva non dunque in se stessa peccato, e la vita morale si configura come una lotta

22

interiore, nella quale il principio discriminante la volont, lintenzione retta. Il filosofo dunque inquadrava il problema etico in una prospettiva diversa rispetto alle discussioni tradizionali sulla libert dellagire umano e in particolare rispetto alla posizione di Anselmo dAosta, che legava libert e rettitudine; sostenendo che linclinazione al male rimane al di fuori della definizione del peccato, Abelardo si distacca inoltre dalla posizione etica di Agostino, delineata nella polemica contro Pelagio. Una conseguenza, apparentemente paradossale, che si pu peccare senza commettere azioni apparentemente malvage: ci che costituisce il peccato non infatti una qualche realt sostanziale, ma la decisione interiore di andare contro il volere di Dio. Del peccato si pu dare inoltre una definizione negativa, come non fare o trascurare: la definizione agostiniana del male come non esistente, fino ad allora considerata valida soltanto sul piano ontologico, si allarga a comprendere il male morale. Tuttavia il fatto che le azioni peccaminose possano derivare da una volont rettamente intenzionata ma debole e sopraffatta dallinclinazione al vizio non porta a concludere che non debbano essere punite, poich il giudizio degli uomini deve basarsi sulle azioni esterne, visibili. Il giudizio dellintenzione riservato a Dio che scruta il cuore e le reni. Collocare il principio morale nellinteriorit non significa dunque sottrarre luomo alla responsabilit delle proprie azioni; significa per insinuare un principio di relativit, perch ad esempio la persecuzione di Cristo e dei cristiani, effettuata da quegli uomini dellet antica che ritenevano di doverli perseguitare, non risulta pi definibile come peccato nel contesto abelardiano. La convergenza fra la valorizzazione della verit dei filosofi in ambito teologico e quella delletica antica, che risulta dalle argomentazioni sviluppate in ambito morale, segnala in Abelardo la presenza piena del tratto pi caratteristico della filosofia del XII secolo: la positiva valutazione della ragione e della natura umana. (MP) Bernardo di Chiaravalle Vita. Bernardo da Chiaravalle (1091-1153) fond il monastero di Clairvaux, che ben presto divenne il maggiore centro cisterciense. Dalla sua Schola Christi, fondata nel 1115, si oppose strenuamente contro i due mali che imperavano nella "nuova Babilonia", Parigi: la vendita della scienza nelle scuole, e i tentativi di "rendere certa la fede". In questi attacchi ebbe la collaborazione di Guglielmo di Saint Thierry, in prima fila nel concilio di Sens, che forn all'abate di Chiaravalle una attenta e ampia disamina delle dottrine
abelardiane

incriminate; e

quella di Ildegarda di Bingen, che in una delle sue epistole lo definisce "aquila che guarda verso il sole". La sua opposizione alla cultura delle scuole non era tuttavia quella di un

23

uomo alieno dalle problematiche del suo secolo, n tanto meno quella di un incolto. L'eleganza del suo eloquio gli merit da parte di Giovanni di Salisbury la definizione di doctor mellifluus (le cui parole sono come miele): definizione che fra l'altro richiama un motivo spesso presente nell'agiografia patristica e altomedievale, dell'uomo santo sulla cui bocca le api fabbricano il miele (il motivo ricorre ad esempio nella biografia di sant'Ambrogio). Oltre che nei Sermoni, scritti dal 1115 all'anno della morte, Bernardo espose le sue idee in opere come il De diligendo deo, il De gratia et libero arbitrio, il De gradibus humilitatis et superbiae e il De baptismo. Personaggio di grande rilievo nella vita culturale ed ecclesiastica del suo tempo, dedic alcuni dei suoi scritti a Guglielmo di SaintThierry, l'autore della Lettera d'oro ai fratelli di Mont-Dieu (un trattato sulla vita monastica e sull'esperienza mistica) e ad Ugo di San Vittore. Fra i suoi avversari, oltre ad Abelardo e
de la Porre, Gilberto

spicca la figura di Arnaldo da Brescia, che ci permette di sottolineare come

l'impegno di Bernardo non si limitasse al campo della cultura, ma comprendesse anche un intervento sulla politica del suo tempo. La convinzione centrale di Bernardo da Chiaravalle di tipo nettamente integralista; la Chiesa deve mantenere e rafforzare il suo primato nella vita del mondo, sia continuando ad affermare i valori teocratici, sia ampliando i confini della cristianit. Bernardo predic la seconda crociata del 1146 e scrisse una Epistula in laudem novae militiae, a sostegno dell' ordine dei Templari. Un'immagine alla quale ricorrono spesso i pensatori politici dell' epoca quella delle due spade affidate da Cristo a Pietro apostolo, che rappresentano il potere spirituale e temporale: per Bernardo entrambe debbono essere gestite dalla Chiesa, la prima impugnata direttamente, la seconda "a sua difesa e per ordine del sacerdote". La conoscenza mistica. La difficolt esperita nell'affrontare la dottrina trinitaria fece s che Bernardo si rivolgesse per consiglio a
Riccardo di San Vittore,

il quale nella sua risposta si

appell alla impossibilit di parlare di Dio con il linguaggio degli uomini (argomento che ha la sua fonte originaria nello pseudo-Dionigi). Questo tipo di soluzione era congeniale all'inclinazione mistica di Bernardo. Il fine della scienza, la salvezza, quello che definisce limiti e validit del sapere, che in se stesso non che vana e superba curiosit. Nei sermoni sul Cantico dei cantici la conoscenza definita come l'insieme dei luoghi che l' anima pu occupare nella camera dello sposo: la conoscenza di Dio come autore del mondo creato, il timore di Dio come giudice, la contemplazione mistica di Dio. Sapientia viene da sapor: dal gusto provato nel momento in cui l' anima in contatto (afficitur) con il divino. La riflessione teologica di Bernardo non pu dunque che partire dall' amore, fonte di verit e di certezza, e attingere il suo frutto pi alto nell' esperienza mistica. Lamore

24

basta a se stesso ed disinteressato (De diligendo Deo). Il cammino damore, quale appunto si delinea nel De diligendo Deo scandito in quattro gradi: il primo quando luomo ama se stesso per se stesso (amore carnale); il secondo quando luomo ama Dio per s; il terzo quando Dio amato per se stesso; il quarto grado esperito solo dai martiri e ai santi, e per un attimo, ed quel momento della vita spirituale in cui luomo giunge di nuovo ad amare se stesso ma solo per Dio. La ricerca mistica non per Bernardo un modo per ritrarsi dal mondo; cos come non lo per
Guglielmo di Saint-Thierry,

che

pure nella Lettera d' oro ci ha lasciato una delle pi ampie descrizione dei gradi di introduzione a tale esperienza. Bernardo e Guglielmo costituiscono infatti le due figure pi rilevanti di quella "filosofia monastica" che, profondamente avversa all'evoluzione verso le speculazioni razionali astratte delle scuole, si impegn sia in una battaglia contro il sapere come vana curiositas, sia in una elaborazione dell'esperienza monastica, in cui sapienza e pratiche di vita erano strettamente legate. Altri aspetti della spiritualit e della mistica bernardina . Oltre al tema del sapor, della conoscenza mistica, la riflessione di Bernardo incentrata anche su altri temi. In primo luogo la centralit della figura del Cristo, vero tramite dellincontro fra luomo e Dio. Nel Sermone 74 sul Cantico dei Cantici Bernardo sviluppa, sebbene non in forma sistematica, una complessa riflessione cristologia, in cui riveste particolare importanza la funzione mediatrice del Figlio di Dio, che costituisce lunica via che pu condurre al Padre. Non di poco conto, inoltre, sottolineare il debito della mistica bernardina nei confronti dello Pseudo-Dionigi e soprattutto di Massimo il Confessore, dal quale mutua il termine excessus nel senso di estasi. (EC) Avicenna La vita e le opere. Avicenna (ibn Sina) nacque nel 980 e mor nel 1037. Fu filosofo e medico di grande rilievo nellIslam medievale. I suoi interessi attraversano svariati campi del sapere filosofico (metafisica, cosmologia, logica, gnoseologia) e scientifico (medicina, matematica, mineralogia, musica, farmacologia) e si rivolgono altres alla politica, alla poesia, alla mistica. Le sue opere pi importanti, il Libro della guarigione e il Sistema della medicina fuono note al medioevo latino dove influenzarono sia la
metafisica

scolastica, sia

lagostinismo (Gilson 1929), sia gli studi scientifici e farmacologici. Altra importante opera il Libro degli accenni e degli avvertimenti, in cui Avicenna annuncia di occuparsi della sua "filosofia orientale", dopo aver esposto, chiarito e completato concetti di origine greca.

25

La storiografia avicenniana si interrogata sul senso di questa promessa non mantenuta, ritenendo generalmente che quella filosofia dovesse rappresentare un punto di vista pi strettamente avicenniano rispetto alle fonti greche da lui utilizzate, oppure un tipo di conoscenza fondata sulla intuizione piuttosto che sul ragionamento discorsivo (Gutas 1989). Studi recenti hanno tuttavia incoraggiato un approccio unitario al pensiero avicenniano (Hasnawi 1992); effettivamente linflusso orientale che permea le opere composte e tramandateci stato chiaramente messo in luce dagli studi di Corbin (Corbin 1973, pp. 172-179) che hanno sottolineato, tra laltro, le tendenze ismailite del filosofo. La cosmologia. Il processo di amalgama tra fonti greche (soprattutto neoplatoniche e aristoteliche) e teologia islamica iniziato dai suoi predecessori
al-Kindi

e al-Farabi raggiunge

con lui massima compiutezza. Utilizzando lidentificazione Dio-grado supremo dellessere compiuta gi nel neoplatonismo arabo (Discorso sulla esposizione del bene puro, Pseudoteologia di Aristotele, Epistola sulla scienza divina) egli elabora: 1. una metafisica unitaria fondata sulla distinzione tra lessere possibile e lessere necessario; 2. una cosmologia che vede in Dio la prima causa della gerarchia degli esseri che sono allorigine del cosmo e della natura intera. Essere necessario definito quello la cui esistenza interna e fa parte della sua stessa essenza. Tale soltanto Dio, essere semplicissimo che non ammette al suo interno distinzione alcuna, e necessario in quanto causa prima. Tutti gli altri esseri, ricevendo la propria esistenza da altra causa, sono possibili. Ci non toglie, tuttavia, che poich il processo di causazione di tutti gli esseri del Pleroma necessario, gli esseri possibili non sono per questo contingenti. La causa prima, fonte dellintero cosmo, identificata con Dio, essere supremo da cui sgorga, attraverso un atto di autocontemplazione, un primo intelletto. Dal carattere necessario di questa e delle altre emanazioni consegue la dottrina della eternit del mondo, che Avicenna non ritiene contraddittoria con la teologia islamica. Al contrario il filosofo crede che ammettere il carattere necessario ed eterno della azione di Dio sia lunico modo per salvaguardare lassoluta immutabilit della sua natura, che non sopporterebbe linnovazione implicata dal volontarismo creativo. La creazione si esprime pertanto nella priorit ontologica di Dio sul mondo, dovuta alla sua prerogativa di essere necessario. Pensando se stesso come contingente in s il primo intelletto genera il corpo del primo cielo, pensandosi come necessario rispetto alla sua causa esso genera la seconda sostanza intellettuale associata al primo cielo. Questa, a sua volta, pensandosi come contingente in se stessa genera il corpo del secondo cielo (cielo delle stelle fisse), pensandosi come necessaria rispetto alla causa da cui proviene genera la terza intelligenza, associata a quel cielo. Lo stesso

26

processo governa la formazione delle sfere sopralunari (di Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna) e delle rispettive intelligenze, nelle quali Corbin ha visto le gerarchie angeliche delle cosmologie iraniche. Lultima delle intelligenze, associata alla Luna, lIntelletto Agente, identificato con langelo Gabriele della tradizione coranica. Sede delle forme intelligibili esso governa i processi che avvengono nel mondo sublunare. Dallo stesso provengono, inoltre, i singoli intelletti e la materia dei corpi. La modalit di questultima derivazione pone dei problemi interpretativi che Corbin risolve in tal modo: La decima intelligenza non ha pi la forza di produrre anche essa unaltra intelligenza unica e unaltra anima unica. A cominciare da lei lemanazione esplode, per cos dire, nella moltitudine delle anime umane, mentre dalla sua dimensione dombra procede la materia sublunare. Essa viene designata come intelligenza agente o attiva (Aql faal), dalla quale emanano le nostre anime, e la cui illuminazione (ishraq) proietta le idee o forme della conoscenza sulle anime che hanno acquistato la capacit di rivolgersi ad essa. Lintelletto umano non ha n il ruolo, n la capacit per astrarre lintellegibile dal sensibile. Ogni conoscenza e ogni reminiscenza non che unemanazione e unilluminazione proveniente dallAngelo (Corbin 1973 p. 176). La gnoseologia. Lorigine del processo conoscitivo nelluomo il congiungimento (senza fusione) dellintelletto umano con lIntelletto Agente, separato e unico per tutti gli uomini. Come il Sole agisce sia sulle cose sia sulla vista, illuminando entrambe, cos lIntelletto Agente, opera sia sugli intelligibili (rendendoli visibili) sia sullintelletto umano (rendendolo atto a riceverli). Riprendendo le dottrine di al-Kindi e di al-Farabi sullintelletto (Davidson 1972), Avicenna distingue diverse facolt
nellintelletto umano:

1. lintelletto materiale, che la

pura potenzialit di conoscere data a ciascun uomo; 2. lintelletto possibile, che conosce i primi intelligibili; 3. lintelletto acquisito, che rappresenta linsieme delle conoscenze acquisite dalla unione con lIntelletto Agente. L intelletto santo, proprio del profeta, quello capace di unirsi in maniera immediata con lIntelletto Agente: prescindendo cio dalla percezione sensibile e dai gradi della conoscenza razionale (sensazione, immaginazione, estimazione), nonch dagli altri tipi di intelletto. La conoscenza realizzata dallintelletto santo di tipo intuitivo ed interamente fondata sulla facolt della immaginazione che (oltre a rappresentare uno stadio della conoscenza discorsiva) una facolt conoscitiva che si attiva nei momenti di indipendenza dallesistenza sensibile (durante il sonno, nei sogni, nelle visioni)" (Zambelli 1984). Colui che ha raggiunto il massimo grado della conoscenza , secondo Avicenna, la pi adeguata guida della comunit politica e religiosa. (PT)

27

Averro Vita e opere. Nativo di Cordova, nella Spagna musulmana, Abu al-Walid Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Rusd (Averro. Cordova 1126 Marrakesh 1198) fu il pi eminente rappresentante della scuola andalusa (Cruz Hernandez 1957). Erede della filosofia islamica dopo la critica di
al-Gazali

che non ritiene possibile la conciliazione tra

filosofia e religione, e ristabilisce le prerogative e la preminenza della rivelazione nel processo di acquisizione della verit. Allora, mentre in terra spagnola, sotto la protezione degli omayyadi, alcuni pensatori arabi proseguono lelaborazione di sistemi filosofici e lassimilazione del pensiero greco, in terra araba si sviluppano soprattutto approcci mistici (Baffioni 1991). A seguito della condanna, Averro fu costretto all'esilio. Mor a Marrakesh. Tra le principali opere di Averro ricordiamo la Distruzione della Distruzione, contro la polemica antifilosofica di al-Gazali, il Trattato decisivo, il Libro della rivelazione dei procedimenti fallaci, lUnione, il Punto di inizio per il giurista sommo e limite estremo per il giurista medio (importante opera di giurisprudenza che segue lortodossia malikita, fautrice di una interpretazione letterale del Corano), e le Generalit, conosciute in latino come Colliget, testo di medicina in cui Averro misura in termini di progressione aritmetica i gradi dei medicamenti composti, opponendosi ad al-Kindi che li calcola in progressione geometrica sulla base del rapporto tra opposte qualit (Gauthier 1939). Il mondo latino ha conosciuto Averro soprattutto come lettore e commentatore di Aristotele, e gli ha riconosciuto il merito di averlo messo in luce nella sua autenticit, rispetto ai tentativi dei filosofi precedenti di conciliarlo con le dottrine islamiche e con i sistemi neoplatonici. Effettivamente egli ha commentato gran parte dellopera aristotelica, utilizzando molte citazioni esplicite che facilitano il distinguere le parole del filosofo greco da quelle del commentatore. Ci non toglie, tuttavia, che i commenti neoplatonizzanti di
al-Farabi

e Avicenna esercitano una certa

influenza su Averro che tende, lui pure, a una interpretazione teologica del Primo Principio, Intelletto Divino, Dio, Uno. Tra i commenti rimasti ricordiamo i commenti lunghi alla Metafisica e al De Anima; quelli medi alle Categorie, Retorica, Poetica, De Caelo, De Generatione et Corruptione; il commento breve al De Sensu. Molte opere del filosofo cordovese furono tradotte in ebraico e, successivamente, dallebraico al latino; il commento alla Repubblica di Platone ci pervenuto solo nella versione ebraica.

28

Verit filosofica e Verit rivelata. La convinta assimilazione delle dottrine aristoteliche possibile per una rivalutazione delle facolt intellettuali umane. Averro riconosce alla filosofia anche la possibilit di interpretare allegoricamente (tawil) i versi coranici oscuri, ambigui o apparentemente contraddittori con la ragione. Tuttavia, proprio dei filosofi largomentare razionale o dimostrativo, che costituisce una delle modalit con cui gli uomini accedono alla verit. Gli altri due tipi di argomentazione, dialettica e retorica, sono proprie, rispettivamente, dei teologi e delle masse. Riconoscere la possibilit di comprendere lunica verit attraverso diverse modalit non allontana Averro dalla ortodossia musulmana, in quanto egli ritiene che, laddove la dottrina del Corano chiara, tutti, anche i filosofi, devono seguirla (Trattato decisivo). Le verit religiose da accettare come tali sono: Dio come creatore e reggitore del mondo, l'unit di Dio, i nomi divini, la libert di Dio, la creazione del mondo, la profezia, la giustizia divina, la resurrezione dopo la morte. Nonostante egli fosse sostanzialmente un ortodosso, fu costretto allesilio e le sue opere distrutte sotto gli Almohadi. La cosmologia. Da un punto di vista cosmologico Averro critica i sistemi rileva le contraddizioni cui vanno incontro
emanatistici

riprende alcune categorie aristoteliche per spiegare la formazione del mondo. Il filosofo
al-Farabi

e Avicenna spiegando la nascita della

molteplicit dallunit. Essi, cio, vengono meno a due principi su cui pure fondano il loro pensiero: 1. Lidea che dallUno viene soltanto luno; 2. Lidentit tra intelletto e intelligibile. Causa della molteplicit , secondo Averro, la differenza, per ogni essere esistente, delle quattro cause che lo determinano (formale, materiale, efficiente, finale). Lunione di materia e forma, che lorigine della esistenza di tutto, operata direttamente da Dio, Primo Principio. Sia la materia sia le forme intelligibili, che sono nellEssere Supremo, esistono dalleternit. Il mondo, al contrario, stato creato con il tempo dallazione divina, che ha agito su materia e forma fuori dalla
dimensione temporale.

La gnoseologia. Riguardo la dottrina dellintelletto Averro apporta una fondamentale innovazione nella quadripartizione, di ispirazione aristotelica, sostenuta gi da
al-Kindi

ed

elaborata fino ad Avicenna. Egli ritiene, infatti, che non solo lIntelletto Agente, di origine divina, ma anche lintelletto materiale sia unico per tutti gli uomini, in quanto pura potenzialit. Per spiegare poi lindividualit della conoscenza egli sottolinea lorigine sensibile del processo gnoseologico umano. La percezione del sensibile, da cui gli uomini astraggono gli intelligibili, essendo legata alla fantasia e alla immaginazione, varia da uomo a uomo e produce lindividualit della conoscenza. Compito essenziale dellIntelletto Agente , in

29

questo contesto, quello di rendere possibile lastrazione. E lunione dellIntelletto Agente con lintelletto possibile a rendere immortale la parte intellettiva dellanima, cio lintelletto speculativo, che costituisce lattualizzazione della conoscenza nelluomo. Laverroismo latino. Le interpretazioni latine di Averro tesero ad accentuare gli aspetti pi problematici della sua dottrina, e a risolverli in un modo sostanzialmente estraneo alla reale ispirazione del suo pensiero: il diverso statuto della verit filosofica e della verit rivelata; leternit del mondo; la negazione della immortalit individuale. ( PT)

Mos Maimonide Vita e opere. Mos Maimonide (Cordova 1135-1204) era un ebreo spagnolo e, come gli altri filosofi di religione ebraica fino al XIII sec., scrisse in arabo la sua opera filosofica, Guida dei perplessi. La Guida si indirizzava a quanti, gi istruiti nella filosofia e nelle scienze, erano incerti sul modo di conciliarne le conclusioni col senso letterale delle scritture: questo problema aveva caratterizzato gli sviluppi della riflessione filosofica negli ambienti ebraici spagnoli, i cui rappresentanti pi significativi, oltre a
Salomon Ibn Gabirol,

erano stati lautore dei Doveri del cuore, Bahya Ibn Paquda (XI sec.), che aveva strettamente legato la ricerca razionale della sapienza alla rivelazione; e Giuda Levita (XII sec.), che nel dialogo Kuzari o difesa della religione disprezzata aveva sostenuto la totale estraneit della tradizione filosofica alla rivelazione della Legge. La filosofia, ovvero la tradizione greca comera stata recepita ed elaborata nella cultura islamica (laristotelismo neoplatonizzante di pensatori come
al-Farabi

e Avicenna), continuava nondimento ad attrarre

gli intellettuali ebrei, producendo un conflitto che riguardava tanto la coscienza intima che la condotta esteriore di quanti volevano rimanere credenti pur praticando la filosofia; nel contesto di tale conflitto si ebbe la ripresa delle tematiche specialmente contro la filosofia di Maimonide. Verit filosofica e allegoria. Anche nellopera di Maimonide le concezioni aristoteliche, che ne costituiscono lossatura, non sono prive di quegli apporti neoplatonici caratteristici di tutta la tradizione araba ed ebraica; ma lintento del filosofo quello di mostrare come loggetto della filosofia sia la conferma razionale della Legge. Nella prima parte della Guida il problema viene affrontato utilizzando il metodo dellesegesi allegorica del testo biblico, in particolare identificando la fisica con lopera della Creazione (il riferimento
kabbalistiche,

in funzione polemica

30

biblico ai primi capitoli del Genesi), e la metafisica con lallegoria del Carro (il riferimento alla visione di Ezechiele); cio accostando a due temi centrali della meditazione rabbinica e kabbalistica i contenuti della filosofia aristotelica. Lidea che la Sacra Scrittura presenti, velati sotto il manto dellallegoria, quei contenuti di verit a cui non tutti
possono accedere allo stesso livello:

idea che circolava nella cultura islamica spagnola del suo


Averro;

tempo, e che trov espressione soprattutto nellopera di

tuttavia, al contrario di

Averro, Maimonide ritiene che linterpretazione allegorica possa e debba essere comunicata anche ai non filosofi e scrive unopera destinata al vasto pubblico, il Codice delle Leggi (Mishneh Torah), oltre a sviluppare nella terza parte della Guida una spiegazione razionale (speculativa, storica e comparata) della legislazione biblica. Guida filosofica. I contenuti filosofici della Guida sono nelle loro grandi linee una rielaborazione di temi aristotelici. Lesistenza di Dio viene dimostrata attraverso la concatenazione degli oggetti mossi e moventi, che conduce al riconoscimento del primo motore immobile; e inoltre attraverso lesame della dinamica potenza/atto e del rapporto fra contingenza e necessit: si riconoscono i temi di tre delle cinque vie che verranno elaborate allo stesso scopo da Tommaso dAquino, sulla cui posizione filosofica linfluenza di Maimonide certa. La conoscenza speculativa di Dio non possibile, perch gli attributi positivi che possiamo attribuirgli non esprimono la sua radicale alterit; si pu per, a partire dalla rivelazione, comprendere sul piano morale lagire di Dio e prenderlo a modello della condotta umana. La libert di Dio permette di concepire razionalmente lorigine del mondo nel tempo, ovvero la creazione di cui la rivelazione ci rende certi, anche se laffermazione opposta, che cio il mondo sia
eterno,

non solo accettabile sul piano


afferma Maimonide,

razionale (argomento che torner in Tommaso dAquino) ma,

potrebbe

essere accolta anche in una possibile interpretazione allegorica dei testi scritturali. Dio conosce e regge con la sua provvidenza il mondo creato; luomo, perfezionandosi moralmente e intellettualmente, pu arrivare a congiungersi con la pi bassa delle gerarchie angeliche, identificata con laristotelico intelletto agente, ed in tal modo raggiunge il livello della
conoscenza profetica o

illuminativa. Questa dottrina radicata nella

tradizione islamica, ma al contrario di al-Farabi e di Avicenna, Maimonide afferma che la concessione del dono della
profezia,

pur necessitando della disposizione umana, dipende

per la sua realizzazione da una libera concessione da parte di Dio. Il profeta, che afferma la stessa verit del filosofo, sa per anche proporla in quella forma simbolica che la rende fruibile a tutti: perci anche il capo politico e legislatore ideale (lesempio ne ,

31

naturalmente, il legislatore biblico: Mos). Solo il filosofo-profeta raggiunge lunione con Dio che assicura la beatitudine. (MP)

Bonaventura da Bagnoregio Vita e opere. Giovanni (nome di battesimo di Bonaventura) da Fidanza, nato intorno al 1217 a Bagnoregio, nell'Italia centrale, oblato nel convento dei francescani di Bagnoregio a 17 o 23 anni, fu poi a Parigi negli anni 1235-1243, studente alla Facolt delle Arti; nel 1243 entr effettivamente nell'ordine francescano, e forse inizi gli studi in teologia sotto la guida di Alessandro di Hales. Nel 1248 inizi a commentare la Scrittura come baccelliere biblico e nel 1250-1252, come baccelliere sentenziario, scrisse il commento alle Sentenze. Alla fine del 1253 o ai primi anni del 1254 divenne maestro reggente nellUniversit di Parigi. Dal 1257 divenne ministro generale dellordine francescano da lui interamente riorganizzato. Nel 1273 fu nominato arcivescovo di Albano e cardinale. Bonaventura mor durante il Concilio di Lione del 1274. Lo scritto fondamentale del Doctor seraphicus senza dubbio il Commentarius in quattuor libros Sententiarum, composto a partire dal 1248, durante il suo insegnamento parigino. Il suo capolavoro mistico lItinerarium mentis in Deum (1259). Altri scritti di notevole importanza sono il De scientia Christi, le Quaestiones disputatae, il Breviloquium, le Collationes in Hexameron. Bonaventura scrisse inoltre molti opuscoli mistici, sermoni e scritti relativi al suo operato allinterno dellordine francescano. Mentre negli scritti teologici Bonaventura accoglie come punto di partenza il pensiero di Agostino per riassumere tutta la tradizione scolastica, negli opuscoli mistici egli trova ispirazione nella mistica di Bernardo, nei Vittorini (Ugo e Riccardo di San Vittore). La scienza e la necessit dellilluminazione della fede . Per il Doctor seraphicus, rispetto alle verit di fede, maggiore ladesione alla verit che si ottiene attraverso la fede. Infatti, rispetto alle altre verit, la fede possiede una certezza di adesione maggiore rispetto alla certezza di speculazione della scienza. Ladesione implica un affectus, mentre la speculazione il puro intellectus. La certezza della scienza un puro fatto teoretico, indubitabile relativamente al campo in cui resta costretta; non esige ladesione che senza dubbio limpegno personale del fedele. Fede e scienza, o fede e opinione possono tuttavia coesistere. Il fedele pu possedere non solo ladesione alle proprie verit di fede, ma pu anche sostenerle attraverso molte ragioni probabili. In tal modo la scienza coadiuva la fede, che tuttavia non esclude la scienza perch da molti punti di vista

32

superiore ad essa: si pu infatti dimostrare indubitabilmente che Dio esiste ed uno; ma scrutare lessenza divina accettando la sua coesistenza con la pluralit delle persone, necessita lilluminazione della fede. La fede implica limpegno dellessere umano nei confronti della verit. La conoscenza. Alla questione, se ogni conoscenza derivi dai sensi, il Doctor seraphicus risponde di no: lanima conosce se stessa e tutto ci che al suo interno senza laiuto dei sensi esterni; tuttavia lanima non pu fornire la conoscenza intera. Questultima deve provenire, per la maggior parte, dallesterno, veicolata dai sensi. Tutto ci costituisce una forte concessione all'aristotelismo. In particolare sembra di poter affermare che Bonaventura dellaristotelismo assume specialmente il linguaggio: nei commenti alla Scrittura e alle Sentenze il francescano non si sottrae alla generale influenza dell'aristotelismo; tuttavia, pur accettandone la terminologia e i concetti fondamentali, come atto e potenza, forma e materia, sostanza e accidente, ne legge le dottrine all'interno di una prospettiva agostiniana che ne modifica anche profondamente il significato. Dai sensi, infatti, non pu che pervenire il materiale della conoscenza: le species (le similitudini delle cose, quasi pitture delle cose stesse) e i termini oggettivi da cui la conoscenza risulta. In realt lanima stata creata nuda (In Sententiarum), priva delle species. In questo, per Bonaventura, ha ragione Aristotele, che affermava che lanima una tabula rasa. Ma la conoscenza, sebbene necessiti dellausilio dei sensi, condizionata e fondata su quei principi che sono indipendenti dai sensi, innati ed infusi direttamente da Dio. Affermando questa linea fondante della conoscenza, il Doctor seraphicus riprende in modo completo la tesi fondamentale dellagostinismo. La
certezza

della conoscenza garantita allanima umana da un lumen directivum, da una directio naturalis. Tale lumen proviene direttamente da Dio. Nel De scientia Christi il francescano afferma a chiare lettere, basandosi sulle parole e lautorit di Agostino, che la mente, nella sua conoscenza certa deve essere guidata da norme immutabili ed eterne, non da una sua disposizione (habitus). Il nostro intelletto risulta quindi congiunto con la Verit eterna. Attraverso lanalisi dellItinerarium possibile stabilire quali siano le condizioni a priori della conoscenza umana. Il mondo esterno entra nellanima attraverso i sensi, producendo nellessere umano lapprendimento, il giudizio e il diletto. Nellanima entrano tuttavia non le sostanze stesse delle cose, bens le species, cio le immagini delle cose. Il giudizio astrae la specie sensibile, portandola dai sensi allintelletto. Gi latto del giudizio implica lilluminazione divina: infatti il giudizio latto della ragione che astrae dal luogo e dal mutamento. Quindi il giudizio eterno, e ci che eterno Dio stesso. Le species astratte

33

dal giudizio sono loggetto dellattivit intellettuale, che si esplica in tre momenti: la percezione dei termini, delle proposizioni e delle illazioni. La percezione dei termini procede la successiva definizione di un termine con il ricorso ad un termine superiore, cio pi esteso, fino ad arrivare a termini supremi per estensione. Il termine pi esteso quello di essere. Lessere pu essere anche imperfetto; ma poich, secondo quanto afferma
Averro,

la negazione non pu intendersi se non in base allaffermazione, possiamo

comprendere limperfezione dellessere solo in relazione allEssere completissimo, attualissimo e purissimo. Cos funzionano anche gli altri due tipi di comprensione: la nostra mente, per natura mutevole, non potrebbe comprendere la verit immutabile delle proposizioni, se non per illuminazione di una luce immutabile, n potrebbe, senza questa luce, formulare delle illazioni in cui le conclusioni discendono direttamente dalle premesse. Lintelletto subordinato alla volont per una iniziale spinta al bene detta sinderesi. NellItinerarium la sinderesi lapex mentis ed fatta coincidere con lultimo grado dellascesa a Dio, che precede di poco il rapimento finale. Metafisica e teologia. Bonaventura accoglie il principio dell ilemorfismo universale da Avicebron e dallaristotelismo ebraico. Una materia deve essere attribuita non solo agli esseri corporei, ma anche a quelli spirituali. Lessere spirituale risulta quindi non essere affatto semplice: composto di potenza ed atto, traducibili con materia e forma. La materia spirituale non soggetta, come quella delle cose corporee, alla privazione e alla corruzione: non estesa, non quantitativa, generabile o corruttibile. Essa pura potenza e costituisce, con la materia corporea, ununica materia omogenea. Questa dottrina diventa uno dei capisaldi dellagostinismo francescano. Ogni essere creato quindi costituito di materia e forma. Ma quale sar la sua individuazione? Non dipender da un principio esterno, ma dallunione e dalla communicatio tra la materia e la forma. La materia per il Doctor seraphicus potenza non solo passiva, ma anche attiva, capace di trarre da s le forme. La potenza attiva della materia la ratio seminalis. La luce la prima forma di tutti i corpi, a questa forma si aggiunge l'informatio specialis di ciascun esistente attraverso le successive forme che costituiscono gli esseri nella loro concretezza. Secondo Bonaventura la natura interessa come luogo della manifestazione di Dio. questa la tesi dellesemplarismo, che indaga il mondo creato per ritrovarvi le orme di Dio. In questo senso la natura, l'insieme delle creature, pu costituire una delle "vie" della dimostrazione dell'esistenza di Dio: non per l'unica n la privilegiata. Nella Quaestio disputata de mysterio Trinitatis, che risale agli anni 1253-57 (gli anni dell'insegnamento parigino) Bonaventura si chiede se l'esistenza di Dio sia una verit indubitabile e risponde di s,

34

seguendo una "triplice via": sostiene infatti che (1) una verit naturalmente impressa in ogni intelligenza; (2) proclamata da ogni creatura; (3) verissima e certissima in se stessa. Nella prima e nella terza via l'esistenza di Dio in verit, pi che dimostrata, mostrata intuitivamente, seguendo un percorso per molti aspetti vicino a quello di
d'Aosta, Anselmo

il cui Proslogion richiamato pi di una volta. La seconda via si sviluppa secondo

dieci argomenti, di cui a mo' di esempio ricordiamo il primo: se c' un ente che viene dopo, c' un ente che viene prima; ma il primo relativo rinvia a un primo assoluto, che Dio; nelle creature c' un prima e un dopo, dunque c' un primo principio. Itinerarium mistico. LItinerarium vuol essere una guida per ascendere alla contemplazione di Dio attraverso i gradini scanditi dal carattere di vestigium e di imago Dei della realt, rispettivamente infraumana e umana, per compiere poi il balzo oltre l'umano (supra nos). stato gi detto come, relativamente allItinerarium e agli opuscoli mistici, i veri punti di riferimento siano Bernardo e i Vittorini. Al pari di
Ugo di San Vittore,

Bonaventura ravvisa tre

occhi o facolt della mente umana: il primo occhio rivolto alle cose esterne ed la sensibilit; il secondo lo spirito, rivolto a se stesso; lultimo, rivolto al disopra di s, la mente. Ognuna di queste facolt pu scorgere Dio per speculum, cio attraverso limmagine di Dio riflessa negli enti creati, o in speculo, cio attraverso la traccia che lessere di Dio lascia nelle cose stesse. Le facolt determinano sei potenze dellanima. Seguendo il cisterciense Isacco della Stella, Bonaventura enumera le sei potenze: il senso, limmaginazione, la ragione, lintelletto, lintelligenza, lapex mentis o scintilla della sinderesi. Ad ognuna di queste potenze dellanima corrisponde uno dei sei gradi dellascesa dellanima a Dio. Nel primo le cose sono considerate nel loro ordine, nella loro bellezza e nella loro origine divina. Il secondo grado coincide nella considerazione delle cose nellanima umana che ne apprende le species e le purifica, astraendole dalle condizioni sensibili, attraverso il giudizio. Nel terzo grado si contempla limmagine di Dio nella memoria, intelletto e volont, poteri naturali dellanima. Nel quarto si contempla Dio nellanima umana illuminata e perfezionata dalle tre virt teologali. Nel quinto Dio contemplato nel suo primo attributo, lessere. Nel sesto Dio contemplato nella sua massima potenza, il bene, per il quale si diffonde nelle tre persone della mistica attraverso lattuazione di una sorta di
Trinit.

Al termine

di questa fase attiva di ascesa a Dio, lanima completa e perfeziona la sua ascesa
trascendenza radicale

rispetto alle cose e a se

stessa, e tramite labbandono di tutte le operazioni intellettuali per porre tutto laffetto in Dio. Questa la condizione di estasi (excessus mentis), descritta da Bonaventura con le parole dello ps. Dionigi: una sorta di docta ignorantia, un momento non pi intellettuale, ma

35

unione vivente

delluomo con Dio, attraverso la quale luomo ammesso a penetrare

lessenza del suo Creatore. (EC) Ruggero Bacone Vita e opere. Profondamente legato ai metodi e alle tematiche sviluppate da
Grossatesta, Roberto

del quale tuttavia forse non fu diretto allievo, e ai motivi pi tipici dell'ispirazione

francescana, Ruggero Bacone (1214ca.-1292) deline un grande e originale progetto enciclopedico del sapere. Nato ad Ilchester, nel Dorsetshire, intorno al 1214, studi dapprima ad Oxford; verso il 1230 si rec a Parigi, dove studi nella Facolt delle Arti e vi insegn dal 1240; fu forse il primo a commentarvi i libri aristotelici
banditi

nel 1210: la Fisica,

la Metafisica e diversi libri naturali. I dati biografici sono incerti, ma sembra che sia tornato ad Oxford intorno al 1250, ove ebbe modo di entrare in contatto col francescanesimo inglese. Nel 1257 Bacone entr fra i Minori e si fece ben presto promotore di una riforma della societ cristiana che doveva essere realizzata a partire dalla riorganizzazione degli studi; ma il suo progetto di riforma fu ostacolato dalla rigida applicazione delle "Costituzioni Narbonesi" (1260), che vietavano ai frati di scrivere e diffondere i propri scritti se non per ordine dei superiori. Nel 1264-'68 si colloca il pontificato di Clemente IV, il Papa Angelico del gioachimismo francescano, che sostenne ed incoraggi Bacone affinch esponesse il suo pensiero, liberando dal dovere di obbedire al divieto. I tre opera del '67, Opus maius, Opus minus e Opus tertium sono il preambolo della grande enciclopedia delle scienze, lo Scriptum principale, della quale ci rimangono solo pochi frammenti. La morte del papa e la censura e condanna del 1278 ad opera del Generale dei Minori Girolamo d'Ascoli non impedirono a Bacone di continuare a sviluppare la sua opera: della produzione degli ultimi anni appare particolarmente interessante il Compendium studii theologiae, scritto nel 1292 (dopo di che non si hanno altre notizie biografiche), in cui Ruggero propone una riflessione sul modo in cui i termini significano la realt, riproponendo dunque, anche nell'ambito della logica, l'orientamento eminentemente pratico della sua filosofia. Riforma del sapere. Fin dagli anni dell'insegnamento delle Arti, Ruggero Bacone vedeva nell'acritica accettazione delle auctoritates la fonte principale della decadenza negli studi, e non manc di denunciare apertamente nei suoi scritti l'insofferenza verso una concezione del sapere tesa a promuovere passivamente le dottrine dei maestri allora in voga presso l'Universit di Parigi, come Alessandro di Hales, Alberto Magno e il suo giovane allievo, Tommaso

36

d'Aquino.

(testo 1). Il tema della decadenza degli studi si leg saldamente in Ruggero
fece propria la visione profetica

Bacone al millenarismo tipico del francescanesimo spirituale, che

dell'abate Gioacchino da Fiore saldandovi l'inquietudine per i profondi cambiamenti politici e sociali del tempo, come lo sviluppo dell'economia mercantile, i particolarismi dei nascenti stati nazionali, la denuncia degli abusi perpetrati dai potenti e dalle gerarchie ecclesiastiche. Decadenza culturale, morale e politica - quest'ultima aperta ad uno scenario apocalittico anche per la minaccia dei Mongoli alle porte dell'Europa centrale e dei Saraceni nel Mediterraneo - venivano infatti considerate segni dell'avvicinarsi dell'Anticristo e della prossima la fine dei tempi. Queste idee erano particolarmente sentite nell'ambiente di Oxford, dove Adamo Marsh se ne era fatto interprete. L'enciclopedia delle scienze. Fin dai primi anni del suo magistero in Arti, Bacone aveva subito l'influenza di uno scritto pseudo-aristotelico, ma allora ritenuto autentico, che circolava col titolo di Secretum secretorum. Per il tramite di questo testo aveva iniziato a interessarsi a quelle scienze che promettevano il dominio sulle forze naturali occulte, ritenendo che proprio ad esse avrebbe fatto ricorso l'Anticristo per conquistare il mondo, e che dunque i Cristiani, per fronteggiarlo, avrebbero dovuto conoscerle e utilizzarle a loro volta. Questo tema affrontato da Bacone nell'Opus Maius, la prima delle tre opere che nel corso del 1267 invi al papa Clemente IV. Se la conoscenza era in prima battuta strumento di controllo del Male, essa era anche il mezzo pi idoneo per creare sulla terra la societ cristiana riformata. I fini del sapere sono infatti per Ruggero l'ordinamento della Chiesa (ordinatio ecclesiae Dei), l'organizzazione dei regni cristiani (dispositio reipublicae fidelium), la conversione degli infedeli (conversio infidelium) e la repressione dei malvagi (repressio reproborum). Il progetto di riorganizzazione delle scienze proposto da Ruggero aveva perci al suo vertice la Sacra Scrittura, la Parola di Dio verso la quale confluiva tutto il sapere umano, un sapere che guida l'azione dell'uomo nella respublica christianorum. La conoscenza, per l'uomo, era pertanto profondamente radicata nella morale, ma il percorso verso la sapienza si sviluppava per Bacone in tappe successive, cos che l'apprendimento si articolava in un preciso programma scientifico di chiara stampa oxoniense. Alla base del programma sta in primo luogo l'individuazione di quattro principali cause d'errore, che sono: (1) la tendenza a celare la propria ignoranza; (2) il ricorso acritico al principio d'autorit; (3) il radicamento delle cattive abitudini; (4) l'accettazione dei pregiudizi comuni. In secondo luogo fondamentale riconoscere che la sapienza perfetta coincide con la Sacra Scrittura, radice e fondamento dell'albero del sapere, che si dipana nelle scienze particolari individuate nei rami e nelle foglie per poi sbocciare nei frutti, le opere di

37

diritto canonico e di filosofia. La filosofia procede attraverso lo studio delle lingue (l'ebraico, l'arabo e il greco), che permettono di attingere alle fonti originarie del sapere senza ricorrere alla mediazione delle traduzioni, spesso corrotte e inattendibili; tradizione agostiniana, Ruggero segue e, usando una terminologia
averroista, la sapienza,

dono divino, infatti tanto pi intatta quanto pi antica e vicina all'origine. Coerente alla
Grossatesta

anche in relazione al tema

dell'illuminazione divina dell'intelletto: la filosofia si ottiene per il tramite dell'illuminazione, Bacone d il nome di intelletto agente al maestro interno che ci istruisce: il Verbo. Questa teoria permette a Ruggero di tracciare la storia dell'umanit come processo di riconquista della sapienza infusa ad Adamo e ai Patriarchi e poi pi o meno occultata nelle varie et della storia. Nell'albero del sapere acquistano un ruolo di enorme rilievo alcune scienze particolari, prima fra tutte la matematica, strumento principale della filosofia grazie alla quale si ottengono verit certe pi che in ogni altra scienza. Parte fondamentale del sapere poi l'ottica, "che procura un enorme godimento e una grandissima utilit". Bacone scrisse un De multiplicatione specierum, in cui sviluppava la teoria dell'irraggiamento gi insegnata dal Grossatesta. La scientia experimentalis. Se i maestri inglesi Grossatesta e Adamo Marsh furono i suoi modelli per l'importanza che tributarono alla matematica e allo studio delle lingue, il francese Pietro di Maricourt, autore dell'Epistola sul magnete, elogiato da Ruggero per il grande impulso che dette allo studio di una scienza eccelsa, trascurata dai latini: la scienza sperimentale. Essa " la maestra di tutte quelle che la precedono poich supera le altre per tre prerogative fondamentali": infatti (1) insegna a provare mediante l'esperienza i risultati raggiunti nelle altre, come dimostra l'esempio dell'arcobaleno, gi trattato dal Grossatesta nel De iride; (2) consente di attingere a verit che le altre scienze non possono di per s raggiungere, ma solo esprimere nel proprio linguaggio, come i segreti per prolungare la vita mediante un farmaco prodigioso, o come la produzione di un oro pi puro di quello naturale con l'arte dell'alchimia; (3) infine
la terza prerogativa,

che porta a

compimento la scientia experimentalis configurandola come una vera e propria tecnologia. La scientia experimentalis baconiana va dunque oltre il ricorso all'esperienza nella costruzione della scienza naturale per sfociare nel sogno di una scienza applicata, di una tecnologia in cui i ritrovati di tutte le scienze e anche quelli di origine occulta possano contribuire alla utilitas della societ cristiana. Tanto le fonti dell'antica sapienza ermetica, come le ricerche sperimentali di Pietro da Maricourt, si affiancano alla concezione scientifica aristotelica, fondata sulla dimostrazione sillogistica, per costruire un sapere che non si limiti alla contemplazione della natura, ma miri alla sua trasformazione. In questa

38

prospettiva risulta particolarmente illuminante un famoso e suggestivo passo del De secretis operibus, in cui Bacone immagina future realizzazioni pratiche, descrive macchine per navigare senza rematori, carri che si muovono da soli, senza la forza dei muscoli, macchine volanti, macchine per sollevare pesi, macchine per scendere nelle profondit dei mari. Al di l della visione "profetica" di queste parole, il concetto di conoscenza sviluppato qui dal francescano ha il suo pi profondo e originale significato nell'idea dell'inesauribilit delle risorse conoscitive umane, di progresso che non arriva ad una meta preconcetta e, in special modo, di ricerca ininterrotta della verit, nella consapevolezza che di fronte alla verit infinita di Dio nessuno pu rivendicare una superiorit rispetto ad altri. La scienza applicata baconiana al servizio della realizzazione spirituale degli uomini, come mostra la collocazione della scienza morale al grado supremo della gerarchia delle scienze, e costituisce la garanzia che tutto il sapere si collochi
al servizio della teologia.

"Il fine prossimo

delle cose naturali sono le opere artificiali, ma il fine ultimo la beatitudine futura: poich il fine delle opere artificiali la virt e il fine della virt la beatitudine futura, non solo secondo la fede, ma anche secondo la filosofia, come Aristotele,
Avicenna

e altri affermano".

Si avverte in queste parole anche la lettura dell'Etica a Nicomaco, e ancora una volta risulta determinante l'influenza del Grossatesta. "Infatti, afferma Bacone, l'arte (ars cio techne, attivit operativa degli uomini) porta a perfezione la natura, la virt porta a perfezione l'arte, la felicit porta a perfezione la virt." Il superamento della natura per l'uomo il percorso privilegiato verso la felicit futura: superamento che per Bacone conoscenza e operativit. (CP) Raimondo Lullo Vita. Nato verso il 1232 a Palma di Maiorca da una famiglia aristocratica, Lullo ricevette una educazione di tipo cortese adatta alla vita di corte cui era destinato. Gi in et adulta, per, ebbe unesperienza visionaria, che narra nella Vita (1311) come una visione del Cristo crocifisso, dalla quale fu spinto a dedicare da quel momento tutte le sue energie alla elaborazione di un metodo per la conversione degli infedeli (in primo luogo i seguaci dellIslam). Dopo un periodo di studio nelluniversit di Montpellier ebbe una seconda esperienza di carattere intuitivo, in cui gli fu rivelato il metodo che avrebbe permesso la realizzazione del suo progetto: larte combinatoria. Da allora (1274 ca.) la sua vita fu caratterizzata dal continuo intreccio fra la scrittura di numerosissime opere (257, alcune delle quali molto ampie) ed i viaggi a Parigi (sede delluniversit pi prestigiosa), a Roma (sede della curia papale) ed in tutti i principali centri del Mediterraneo. Nella sua attivit di

39

propaganda, svolta con molta attenzione alle circostanze e agli atteggiamenti dei suoi interlocutori, Lullo mantenne sempre fermo lobiettivo fondamentale, proponendo fra laltro la creazione di collegi di lingue per formare missionari in grado di convertire i non-cristiani sulla base di argomentazioni razionali, da lui definite con il termine gi usato da Anselmo dAosta - di ragioni necessarie (rationes necessariae). La sua morte, avvenuta nel 1316 di ritorno da un viaggio a Bugia in Tunisia, dove aveva per lultima volta tentato la sua opera di conversione mediante la predicazione, leggendariamente attribuita alla lapidazione che avrebbe subito come conseguenza di ci. Altre leggende fiorirono attorno alla figura di Lullo, le cui opere furono apprezzate da molti pensatori del Rinascimento, ed a cui vennero attribuite anche numerose e importanti opere di
alchimia.

I correlativi e larte combinatoria . Negli anni 30 del XIII secolo il re catalano, Giacomo II, aveva appena concluso la sua opera di riconquista, e nel suo regno convivevano a stretto contatto musulmani, ebrei e cristiani; la cultura islamica tradizionale, e in minor misura anche quella ebraica, lasciarono tracce importanti nella filosofia lulliana, a partire da una concezione della logica che derivava dal filosofo
Al-Ghazali.

In essa la struttura

fondamentale, derivata da una caratteristica della grammatica araba, era quella dei cosiddetti correlativi, in cui ogni ente logico si strutturava non nella forma binaria di potenza/atto, ma in una forma ternaria che ne esprimeva la dinamicit: bonum (il bene), ad esempio, si esplicava in bonificativum o bonificans (che esprime l'attivit del concetto: ci che produce il bene), bonificabile o bonificatum (che esprime la passivit: ci che diventa buono), e bonificare (che esprime il legame, il medio, la relazione fra attivit e passivit) (Lohr). La Logica del Gatzel o Compendium logicae Algazalis (1271-2) forse la prima delle opere scritte da Lullo. Al 1274 risale invece la cosiddetta illuminazione sul Monte Randa, il cui frutto fu l'invenzione di una tecnica combinatoria, la celebre ars lulliana. Mediante luso di dispositivi grafici basati sulla rotazione di figure geometriche (cerchi concentrici o con triangoli o quadrati inscritti) si mettono in relazione fra loro le strutture fondamentali della realt, identificate con gli attributi divini e con i soggetti reali da essi derivati (il mondo angelico; i cieli; luomo con le sue facolt intelletto, memoria, volont; le realt del mondo terreno dagli animali agli elementi). Le realt appartenenti ad ogni livello sono indicate da lettere dellalfabeto, distribuite nei cerchi in settori uguali, che possono venir messe in relazione secondo tutte le combinazioni possibili; si ottengono cos tavole combinatorie (matrici a due o a tre lettere) che permettono di costruire con la sicurezza di un calcolo tutti i discorsi possibili attorno alla realt. Quest' arte combinatoria venne esposta per la prima volta in un testo dal titolo Art abreujada d' atrobar veritad, o -

40

nella versione latina - Ars compendiosa inveniendi veritatem (1274). Fino allArs Demonstrativa (1283) Lullo utilizza sedici lettere dell'alfabeto organizzate in figure che rappresentano le dignitates o attributi divini, le facolt dell'anima intellettiva, i principi della logica, le virt e i vizi, i concetti della teologia, quelli della filosofia e quelli del diritto. A partire dal 1290 riduce le lettere dell'alfabeto (e di conseguenza i principi nelle varie figure) a nove, in modo da ottenere un pi facile raccordo con la struttura ternaria che svolge un ruolo fondamentale nel suo pensiero, sia dal punto di vista della logica (con i correlativi), sia dal punto di vista della teologia, perch facilita la dimostrazione del mistero trinitario, massimo punto di divergenza fra la teologia cristiana e quella musulmana. Le pi importanti esposizioni dell'ars sono degli anni 1305-1308, e si intitolano rispettivamente Ars brevis e Ars generalis ultima. Esse furono lette e commentate durante il Rinascimento da quanti cercavano in esse un sistema di mnemotecnica che fosse anche un modello per la costruzione del sapere universale: da Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim a Giordano Bruno, al teorico della pansofia Jan Komenskj (Comenius); ancora Leibniz si interess a fondo alla combinatoria lulliana. Attraverso l'uso dell'arte Lullo riteneva di aver fondato un nuovo tipo di dimostrazione (demonstratio per aequiparantiam), riformando alla radice la logica. La filosofia in volgare. Lullo fece uso della lingua catalana (uno degli idiomi romanzi) per scrivere le sue prime opere di filosofia; manterr quest' uso per tutta la vita, talvolta redigendo i suoi testi in catalano e volgendoli poi (personalmente o ad opera di collaboratori) in latino, talvolta redigendoli prima in latino e poi dandone una versione catalana. Alcuni testi dei primissimi anni sembra fossero addirittura scritti in arabo - lingua che Lullo si era proposto di imparare per poter meglio convertire i musulmani, secondo lo scopo che si era prefisso. Nella Vita si narra che, per apprendere l'arabo, si era procurato un servitore-insegnante, col quale tuttavia sorse un conflitto cos grave che questi tent addirittura di uccidere il filosofo. L'apprendimento delle lingue per poter meglio svolgere l'opera missionaria (che nei primi tempi Lullo concepiva unicamente come legata alla persuasione mediante la predicazione e l'argomentazione filosofica) fu dall'inizio alla fine della sua attivit uno degli obiettivi pi tenacemente perseguiti; nel 1276 aveva ottenuto da Giacomo II la fondazione di un collegio di lingue per missionari a Miramar; nel 1311, al Concilio di Vienne, presenter ancora una petizione in tal senso al papa. Come si ricorder, il tema dell'apprendimento delle lingue occupa un posto importante anche nel programma di riforma del sapere di
Ruggero Bacone.

Pur nella sostanziale diversit, in effetti,

Bacone e Lullo presentano alcuni tratti comuni: non ultima l'adesione al francescanesimo (Lullo divenne terziario francescano dopo una gravissima crisi psicologica nel 1292); ma

41

soprattutto il progetto di una riforma del sapere, che per Lullo doveva incentrarsi su una ristrutturazione dell'enciclopedia delle scienze mediante la sua arte. Esemplarismo elementare. La struttura del mondo che stava dietro alle figure combinatorie era un emanatismo fortemente imbevuto di elementi neoplatonici, paradigma comune alla maggior parte dei pensatori cristiani, musulmani ed ebrei del tempo. Su tale base Lullo innest il suo metodo apologetico basandosi sul cosiddetto esemplarismo elementare (Yates): le propriet degli elementi del cosmo venivano dimostrate mediante alfabeto e figure, e poi si trasponeva per ogni lettera il significato da quello relativo agli elementi a quello relativo ad argomenti teologici, dimostrando cos verit come l'Incarnazione di Cristo o la Trinit mediante ragioni necessarie. Sembra che questa intuizione costituisse il contenuto dell'illuminazione sul Monte Randa: di fatto appare gi nella prima opera enciclopedica di Lullo, il Liber Contemplationis, scritto verso il 1274, che non si vale ancora della combinatoria. Lenciclopedia e gli alberi lulliani. Altre opere a carattere enciclopedico sono l'Arbor Scientiae (1295-96), e i due romanzi filosofici scritti in volgare: il Blaquerna (1283; al suo interno spicca il piccolo gioiello mistico di Lullo, il Liber de amico et amato, che riprende la simbologia nuziale del Cantico dei Cantici per descrivere l'esperienza di unione dell'anima con Dio), e il Felix o Libre de les meravilles del mon (1288-89; contiene al suo interno un bestiario moraleggiante, il Libre de les besties). Alle singole scienze, in particolare la medicina, l'astronomia, la geometria e il diritto, Lullo dedic diverse opere. In alcune di esse la struttura di ciascuna disciplina rinnovata organizzandone i contenuti mediante le figure combinatorie e mediante la figura dell'albero. La struttura ad albero, presente gi in alcuni dei primi testi lulliani, viene usata sistematicamente nell'Arbor Scientiae per organizzare il quadro generale del sapere (enciclopedia) da cui gli stessi dispositivi combinatori attingono la loro base dottrinale. I contenuti di tutto il sapere sono ripartiti nei singoli ambiti del reale (elementi, mondo vegetale, animale, umano; cielo, mondo angelico, mondo divino; chiesa, societ, mondo morale) e in ciascuno di essi sono messi in relazione sistematica come radici, tronco, rami, foglie, fiori e frutti. In verit Lullo non introdusse alcuna novit di contenuto nelle scienze: del tutto opposto in questo a Ruggero Bacone, il suo approccio alle scienze teso ad una risistemazione dei contenuti tradizionali, non ad un loro rinnovamento sulla base dell'esperienza.

42

Dal dialogo fra le religioni alla crociata e allantiaverroismo . A partire dal 1275-76, la vita di Lullo scandita da una serie di viaggi nei paesi del Mediterraneo; le sue mete pi frequenti furono Montpellier, nella cui universit medica complet la sua formazione; Roma, dove cerc di convincere i pontefici ad adottare la sua arte come strumento di rinnovamento del sapere e di persuasione degli infedeli; Parigi, dove tent di fare lo stesso con i magistri dell'universit - ottenendo complessivamente scarso successo - e con la corte di Filippo il Bello, per cui scrisse una breve esposizione della sua filosofia nella forma di una "sacra rappresentazione" del Natale (Liber Natalis pueri parvuli Christi Jesu, 1311); Tunisi, dove personalmente prov a utilizzare il suo metodo di discussione coi sapienti musulmani, convinto che, se avesse persuaso i dotti, la conversione del popolo sarebbe venuta di conseguenza. Nel Liber de Gentili et tribus sapientibus (1274-76) Lullo aveva messo in scena una disputa fra i seguaci delle tre grandi religioni monoteistiche del Mediterraneo, un ebreo, un musulmano e un cristiano, i quali sottopongono al giudizio di un filosofo pagano le loro credenze religiose. La preghiera del Gentile, che chiude il libro, uno splendido esempio di religione filosofica, e non a caso a questo testo si ispirer Nicola Cusano per la sua opera sulla tolleranza. Ma la convinzione pacifista di Lullo venne meno dopo la battaglia di Acri (1291), e nel Liber de fine (1305) non esit a sostenere la crociata armata, anche se consigliando ai crociati di inserire nel loro equipaggiamento una ventina di suoi libri (elencati titolo per titolo), i quali avrebbero permesso loro di predicare alle folle sottomesse, per convertirle. Nellultimo periodo della sua vita, infine, rivolse la sua attenzione a quei filosofi scolastici che riprendevano linterpretazione di Aristotele data da
Averro,

formulando dottrine incompatibili con lortodossia cristiana e perci oggetto di sulleternit del mondo lo scritto dello stesso Tommaso e le pagine di

polemiche filosofiche (sullunicit dellintelletto possibile si ricordino i trattati di Alberto Magno e di


Tommaso dAquino; da Bagnoregio) Bonaventura

e di condanne negli anni 70. La prima chiara presa di posizione in questo senso

emerge nella Declaratio per modum dialogi edita (1298), in cui Lullo riprende gli articoli della condanna emessa dal vescovo di Parigi, Stefano Tempier, nel 1277, per opporre alle dottrine averroistiche le proprie dimostrazioni in accordo con le verit di fede. Numerose altre opere antiaverroistiche, per lo pi molto brevi, furono scritte durante lultimo soggiorno parigino (1309-1311): in esse l'esposizione secondo il metodo combinatorio abbandonata a favore del metodo sillogistico, ma non cambia il contenuto dottrinale, come se Lullo avesse identificato nell'Averroismo l'espressione intellettuale della religione musulmana nella cittadella cristiana. Negli ultimi anni (1312-1313) Lullo, deluso da tutti coloro presso i quali aveva cercato appoggio per il suo progetto missionario, rivolse la sua

43

attenzione allambiente dei francescani spirituali, ricercando contatti con il sovrano che li proteggeva, Federico III di Sicilia, e con il medico e profeta catalano Arnaldo da Villanova; anche nelle opere scritte in questo contesto, sermoni per lo pi, le sue dottrine sono messe al servizio della dimostrazione della fede, cui dedic anche lultimo viaggio in Tunisia e lultimo tentativo, fallito come gli altri, di convertire i seguaci dellIslam alla fede cristiana. (MP) Giovanni Duns Scoto Vita. Giovanni Duns Scoto, francescano di origine scozzese, nacque fra il 1265 e il 1270 e mor nel 1308. La sua breve vita fu tutta spesa nellinsegnamento, negli anni del vivace conflitto dottrinale tra quanti parteggiavano per la sintesi aristotelico-cristiana di Tommaso e quanti, soprattutto teologi, la contrastavano. Studi ad Oxford e poi a Parigi; insegn ad Oxford (1300-1302), a Parigi (1305-1307) e a Colonia nellultimo anno di vita. Scrisse di logica, nella forma di commenti e quaestiones sulle opere aristoteliche e su Porfirio; fra le opere di metafisica si ricordano le Quaestiones super de anima e le Quaestiones super libros Metaphysicorum Aristotelis, un trattato De primo rerum omnium principio, le Collationes Parisienses, lOpus oxoniense. Teologia e filosofia. Duns Scoto si contrappone al crescente coinvolgimento dei teologi nei dibattiti propriamente filosofici e alla stretta relazione fra teologia e filosofia, che era conseguenza dellapplicazione del
metodo dimostrativo aristotelico Tommaso dAquino.

alla teologia (teologia

scientifica) compiutamente realizzato da

Tommaso aveva inteso

conservare lautonomia reciproca del sapere filosofico e di quello teologico, pur nella convergenza metodologica; Scoto sottolinea invece con forza la radicale diversit tra filosofia e teologia, e afferma che il filosofo non pu in alcun modo parlare di Dio con le sue sole forze perch non vi sono strutture concettuali (come lanalogia dellessere nella dottrina tomista) applicabili tanto alla conoscenza delle creature che a quella del creatore. Questo non significa per eliminare la domanda su quali siano le condizioni per costruire una dottrina teologica; questa domanda anzi al centro della speculazione di Duns, ed affrontata nel prologo dellOpus Oxoniense. Il compito del teologo si fonda sulla determinazione del fine a cui luomo tende (la beatitudine, che per il credente la visione di Dio) e dei mezzi a sua disposizione per raggiungerlo. Laristotelismo, in particolare nellinterpretazione degli averroisti latini, dava una chiara risposta alla domanda relativa al mezzo: la filosofia, che porta alla massima perfezione la natura razionale delluomo, lo

44

strumento che conduce alla vita beata. La risposta di Duns parte invece dalla distinzione fra perfezione di natura e perfezione soprannaturale; egli ritiene infatti, richiamandosi ad un elemento di fondo del pensiero di Agostino, che il peccato originale non abbia soltanto privato luomo del dono superiore della grazia, ma ne abbia intaccato profondamente la natura (anche su questo punto, dunque, il filosofo francescano si contrappone recisamente alla visione positiva della natura umana, struttura portante della filosofia tomista). Questo il significato dellespressione homo viator o in statu viae, che si traduce come in cammino (ma forse meglio sarebbe tradurre in esilio rispetto alla patria, il paradiso della creazione); lespressione, utilizzata nel Commento alle Sentenze da
Lombardo, Pietro

diventa centrale nella teologia scotista. La conoscenza del fine delluomo non ,

in questa condizione, accessibile alla ragione naturale, ed concessa soltanto dalla rivelazione. La posizione del filosofo e quella del teologo non sono pi concatenate, ma divergenti; la scelta di assumere il punto di vista teologico non la naturale conseguenza dellassunzione del punto di vista razionale, ma determinata dalla considerazione del
limite stesso

della razionalit. Il fine delluomo dunque, per il teologo, il Dio persona, che

soggetto della Rivelazione e, nella sua determinazione essenziale (ut hic), oggetto della teologia. Questo tipo di teologia deve per definizione contenere in s tutte le verit che riguardano la dinamica interna della divinit (teologia dei necessari: i misteri della vita divina, come la Trinit, la prescienza, lonnipotenza) e la sua attivit esterna (teologia dei contingenti: la creazione e il rapporto di Dio col mondo); ma queste conoscenze sono accessibili in maniera perfetta solo a Dio, il quale conosce s naturalmente. Gli esseri limitati, tanto gli uomini in statu viae come anche i beati, possono produrre soltanto una teologia 'imperfetta', costruita a partire dalla Rivelazione e perci necessariamente legata allinterpretazione della Sacra Scrittura. Questa teologia non ha i caratteri della filosofia, ma piuttosto quelli della sapienza, perch la conoscenza che essa produce finalizzata alla salvezza: insegna ad agire secondo verit. La teologia dunque scienza pratica. La metafisica e la prova dellesistenza di Dio. Una sola nozione della teologia, il concetto di ente infinito, anche accessibile alla ragione dellhomo viator per quanto non direttamente comera nella perfezione originaria: la condizione desilio degli uomini dopo il peccato originale rende infatti necessario che la conoscenza dellessere sia guadagnata attraverso la considerazione degli aspetti essenziali delle realt sensibili (quidditates rerum sensibilium). Di conseguenza, il discorso sullessere non pu svilupparsi sul piano della teologia: il livello pi alto ove il pensiero umano pu cimentarsi con le sue forze quello della metafisica, la scienza razionale dellessere completamente indipendente dalla teologia.

45

A partire dal concetto di ente si costruisce la metafisica come scienza teoretica pura, nella quale si tratta, utilizzando lo strumento analitico della distinzione, di ci che comune a tutte le scienze speciali: lessere in quanto essere (definizione
avicenniana),

prima e al di

sopra di tutte le sue determinazioni, che sono oggetto delle scienze particolari, lessere comune a tutto ci che , illimitato e indefinito. Laffermazione metafisica per eccellenza suona cos: tutto ci che , essere, e si colloca dunque sul piano della massima astrazione. Pertanto la metafisica si distingue anche dalla
fisica,

i cui concetti non sono

semplici in assoluto, come quello dellessere, ma si ricavano per astrazione dalle contrazioni dellessere, ovvero a partire dalle realt contingenti che convengono nellessere ma sono distinte fra loro; l'univocit dell'essere fisico infatti intesa come univocit naturale, secondo che alcune cose convengono in una natura reale. La metafisica dunque indipendente non solo rispetto alla teologia, ma anche alla fisica; e, rispetto questultima, diverso il processo conoscitivo, che nella metafisica non muove dagli effetti alla causa, ma procede deduttivamente a partire dallevidenza del principio. Si comprende perci il netto rifiuto che Duns oppone tanto alle vie tomistiche di dimostrazione dellesistenza di Dio quanto allidentificazione operata da
Averro

fra Dio e il Motore

Immobile. Lunivocit dellessere sul piano metafisico, in quanto concetto comune in assoluto, pu essere invece strumento per tale dimostrazione, perch pu attingere in perfetta purezza lidea di ente primo, perfetto, infinito, sulla cui possibilit di esistenza Scoto si interroga in questi termini: Se fra gli enti ve ne sia alcuno che esista come infinito in atto. La risposta viene formulata senza fare alcun ricorso allesperienza esterna, ma rimanendo allinterno del puro pensiero, analogamente a come era strutturata la prova ontologica anselmiana, per arrivare a concludere che lessere primo lintrinseca necessit che la possibilit stessa della sua esistenza richiede: non una necessit di ordine logico o fisico, ma la necessit di un essere che esista da s (ex se). Lente infinito cui la metafisica attinge non d per alcuna conoscenza del Dio persona della Sacra Scrittura, la cui caratteristica fondamentale la libert; tale libert si manifesta nellassoluta che Scoto concepisce in analogia alla potenza del sovrano assoluto, che non condizionato da nientaltro che dal proprio volere nel promulgare le leggi, e rimane comunque libero di abrogarle. Secondo tale concezione, latto creatore rimane indimostrabile, e anzi non sarebbe concepibile senza lautorivelazione divina, che ne mostra il carattere assolutamente libero e volontario; inoltre le leggi cui il creato sottoposto non hanno carattere di necessit rispetto al creatore, che rimane sempre libero di modificarle. Dalla libert della Causa infinita e dalla sua onnipotenza assoluta deriva
onnipotenza,

46

dunque la contingenza radicale del suo effetto: contingenza che non , per Duns Scoto, una limitazione, ma piuttosto il modo positivo di essere degli enti che Dio ha prodotto senza essere necessitato a farlo. Non dimentichiamo che la filosofia scotista nasce allindomani della condanna del naturalismo e del determinismo nel 1277 e, portando avanti la critica teologica alla filosofia aristotelica, produce una svolta epistemologica che verr pienamente esplicitata nella filosofia di Trecento. Contingenza degli enti e problema degli
universali. Ockham

e negli sviluppi del pensiero scientifico del

Latto creatore per Duns Scoto il

libero esito di un atto della volont divina, che pone da s le proprie condizioni; Dio non agisce in conformit a idee o essenze preesistenti, ma nella sua libert fonda ciascun ente nellatto effettivo in cui lo trae allesistenza dal nulla. Gli esseri creati sono perci caratterizzati da una radicale contingenza: questa affermazione rende possibile una critica di fondo alla scienza aristotelica, ma Scoto, pur rifiutando la distinzione reale fra esse ed essentia, non giunge alla radicalit che sar propria del nominalismo metafisico di Ockham (ovvero allaffermazione che solo gli individui hanno esistenza reale). Riprende invece la riflessione agostiniana, rielaborata nella scolastica da pensatori di scuola francescana quali Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Giovanni Peckham, sviluppando secondo la sua ottica contingentista la dottrina della pluralit delle forme. Secondo questa dottrina, ogni piano di composizione degli enti reali caratterizzato da una propria forma o essenza e tutte queste forme sono ordinate gerarchicamente e ricomprese nellultima o superiore, che propriamente lessenza dellente considerato: nelluomo, per esempio, abbiamo (1) la forma della corporeit, che ne definisce la concretezza materiale; (2) la forma elementare, che ne caratterizza il corpo come misto elementare; (3) la forma vegetativa, che conferisce al corpo la vita; (4) la forma animale, che lo rende mobile e sensibile; infine (5) la forma intellettiva (razionalit), che le sussume tutte e lo identifica come uomo. Le cinque forme cos identificate non danno luogo a cinque enti diversi, ma ordinandosi gerarchicamente danno luogo ad un ente complesso e, per cos dire, stratificato ma unico che un uomo. Questa dottrina interpretata da Duns in relazione al tema della contingenza come effetto di una disposizione liberamente posta dalla volont divina: restando allesempio sopra riportato, lultima forma (lanima intellettiva) non deriva come conseguenza necessaria della presenza organizzata delle forme precedenti, ma viene allesistenza per libera decisione divina, quando un organismo pronto ad accoglierla. Non possiamo pertanto distinguere unessenza prima o oltre lesistenza delle cose create: la distinzione avicenniana e tomistica fra essenza ed esistenza non per Scoto una

47

distinzione reale. Tuttavia essa non nemmeno una distinzione puramente di ragione, come sar nella metafisica nominalista di Ockham, per cui solo gli individui esistono. Scoto introduce la cosiddetta distinzione formale, che permette di distinguere come possano aversi pi individui di una stessa specie senza che si moltiplichi lessenza che li determina. Dal punto di vista ontologico, la distinzione formale indica esclusivamente la possibilit che un dato ente venga ad esistere (la cavallinit non la determinazione essenziale dei cavalli, ma indica la possibilit che esista qualcosa che un cavallo), senza il carattere di necessit che questa possibilit implicherebbe se la intendessi, aristotelicamente, come potenzialit che presuppone lattualit corrispondente. Dal punto di vista gnoseologico, la distinzione formale posta quando lintelletto pu isolare gli aspetti che compongono un ente esistente (questo cavallo un cavallo ma anche bianco, giovane, ecc.; ed esistono sicuramente cavalli che sono tali pur essendo neri, vecchi ecc.); ci non implica per che ci siano due nature (essenza ed esistenza) in questo cavallo, poich quello che ho di fronte un individuo di cui conosco intuitivamente e contemporaneamente tanto lesistenza quanto il fatto che un cavallo. Il fatto dunque di conoscerlo come cavallo implica che ne percepisca la distinzione formale, che garantisce la possibilit della conoscenza astrattiva - la conoscenza delloggetto conosciuto in relazione ad altri oggetti, il suo posto nella trama della realt. Gli universali hanno perci, per Scoto, un fondamento reale nella natura comune degli individui quella che mi permette di riconoscere due cavalli diversi come cavalli. Ora, la natura communis degli individui non n una realt a sua volta individuale (la cavallinit non n un cavallo n lessenza del cavallo), n un mero concetto logico, ma la non-differenza (indifferentia) che si riscontra negli individui. Daltra parte, Scoto non pone il principio dindividuazione nella materia; di conseguenza lunit dellindividuo (definito come sostanza che in nessun modo pu essere ulteriormente suddivisa in parti che siano a loro volta sostanze) risulta non riducibile ad altro che non sia lintuizione della sua propria entit singolare, posta dalla libera volont di Dio e dunque radicalmente contingente. Ciascuna cosa di cui si possa dire che questo, questa, ci (hic, haec, hoc) deve il suo essere questo alla sua haecceitas (neologismo coniato da Duns), propriet che la definisce ma che non n universale n comunicabile a molti, bens appartenente al singolo e indivisibile. La haecceitas definisce dunque lindividuo come contingente e indeducibile, bench radicato nellessere e manifestazione di esso. Univocit dellessere e conoscenza degli enti. Il nostro intelletto, di per s fatto per conoscere lessere assoluto, nello stato attuale riesce a concepirlo soltanto come

48

movente delle cose sensibili, distinguendo oltre le contrazioni dellessere (le sue manifestazioni concrete) per arrivare al concetto di ente comune, che rigorosamente univoco. Lunivocit dellessere costituisce la pi vistosa differenziazione rispetto alla metafisica di Tommaso: definire lessere come univoco, cio predicabile di tutti gli enti con lo stesso significato, consente allintelletto umano di trascendere i concetti formati a partire dallesperienza sensibile, mettendone a nudo la struttura e attraversandoli fino a coglierne la trama ontica, nella quale si rende visibile ci che di Dio possibile vedere agli occhi umani. Lintelletto una potenza di per s attiva, possiede cio intrinsecamente la capacit di elevarsi ai livelli pi astratti della conoscenza fino allessere in quanto essere; tuttavia nella vita mortale non pu di fatto prescindere dalloggetto sensibile. Dunque lattivit della conoscenze intellettuale rimane sempre legata ai sensi, come insegna la gnoseologia aristotelica: questa nozione espressa da Duns, nel suo peculiare linguaggio, con laffermazione che la quiddit delle cose sensibili linsostituibile movente della conoscenza, anche di quella intuitiva, perch lanima non sempre attiva ma, per esserlo, deve essere sollecitata dalloggetto. La presenza delloggetto suscita un effetto attraverso i sensi su cui agisce; e tuttavia la conoscenza vera e propria opera dellintelletto, che compone i concetti semplici formando proposizioni complesse e dando ad esse il proprio assenso. Lassenso dellintelletto non dipende per dai concetti semplici, ma dalla correttezza del processo di formazione delle proposizioni complesse, dunque da unarticolazione normativa a priori; in questo consiste lattivit dellintelletto, ed il fantasma prodotto dallimmaginazione, che caratterizza la conoscenza dellindividuale, non necessario per la conoscenza delluniversale. Ci che pi universale pu essere presente allintelletto senza la presenza del meno universale: pur non rifiutando la struttura di fondo della gnoseologia aristotelica, Scoto si infatti ispirato alla tradizione matematizzante di Oxford nella metodologia deduttiva di costruzione del suo sistema di pensiero e nella ricerca delle condizioni della scienza dellessere (metafisica), da cui tutte le altre scienze discendono. (MP) Guglielmo di Ockham Vita e opere. Nato verso il 1280 nel Surrey, in Inghilterra, entr nellordine francescano prima del 1306. Nel 1318 era ancora studente di teologia ad Oxford, dove inizi la carriera dinsegnamento facendo lezione sulle Sentenze di
Pietro Lombardo

e sulla Sacra Scrittura

come baccelliere ed ottenendo un immediato successo. Negli anni oxoniensi, oltre al commento alle Sentenze (conosciuto col titolo di Ordinatio per la prima parte, Reportatio

49

per la seconda), aveva scritto due trattati di logica (Expositio aurea, Summa totius logicae), commenti ad Aristotele (alla Fisica e ad opere di logica), e sette
questioni quodlibetali

su argomenti di natura filosofica e teologica. Ockham per non divent mai magister perch nel 1323 il cancelliere delluniversit di Oxford, Giovanni Lutterell, accus presso il pontefice la sua opera di contenere falsit filosofiche, eresie religiose e aberrazioni morali. Nel 1324 il filosofo fu convocato presso la curia papale ad Avignone e rinchiuso nel convento francescano, per essere processato. Il processo per non arriv mai alla conclusione, perch nel 1328 Guglielmo d' Ockham fugg da Avignone a Pisa insieme a Michele da Cesena, il generale dell'ordine francescano, anchegli messo sotto processo perch favoriva il movimento degli Spirituali. I due si schierarono al fianco dell'imperatore Ludovico il Bavaro che, incoronato a Roma all' inizio del 1328, aveva dichiarato deposto il papa Giovanni XXII (che Michele considerava eretico) pochi mesi dopo. Fra il sostenitore della povert evangelica e il francescano inglese esisteva una convergenza di fondo, che si manifest negli scritti di Ockham successivi alla fuga da Avignone, opere teologicopolitiche spesso fortemente polemiche: l'Opus nonaginta dierum (1333-1334), sulla povert francescana; il Dialogus de imperio et pontificia potestate (1342); il Breviloquium de potestate papae e l' ultimo grande scritto, De imperatorum et pontificum potestate, scritto nel 1347. Inoltre otto quaestiones sulla distinzione fra il potere spirituale e il potere civile e, forse, le Allegationes de potestate imperatoris (la cui attribuzione dubbia). Ockham mor a Monaco, probabilmente nel 1347. Con la sua vita e le sue opere aveva rappresentato un modello nuovo di intellettuale cristiano, e la sua dottrina incontr un successo notevole nelle scuole di filosofia, sia in Inghilterra che in Francia. Filosofia e fede. Ockham rifiuta ogni posizione concordista - che voglia cio mostrare l'accordo fra la fede e la filosofia d'impianto greco. Questo rifiuto, che risuona in tutte le sue dottrine, stato interpretato come una forma di scetticismo, in cui si sarebbe espressa la crisi di un sistema filosofico che aveva ormai raggiunto e superato il suo vertice pi alto. In realt, Ockham piuttosto l' iniziatore di un nuovo modo di pensare, che riprende dalla radice il problema fondamentale della filosofia nel mondo cristiano: quello della creazione. A partire da una ferma fede, che assume come proprio centro il dogma dell'onnipotenza divina espressa nel Credo Niceno ("Credo in un solo Dio onnipotente creatore del cielo e della terra"), e da una filosofia che vuole restare completamente fedele al pensiero di Aristotele, Ockham si colloca al punto d'incontro tra
religiosi, interessi filosofici e interessi

e il suo pensiero si mostra ai suoi contemporanei come la dottrina d'un credente.

50

Logica nominalista. Il nominalismo di Ockham prima di tutto un sviluppa a partire dalla tradizione delle Summulae logicales di

nominalismo logico,

che si

Pietro Ispano.

Secondo quanto

afferma nella Expositio aurea, la logica un sapere pratico, poich verte sulle nostre proprie operazioni che sono perci interamente nostre proprie attivit, e non deve essere considerata altrimenti che come una scienza del linguaggio priva di implicazioni metafisiche. La logica analizza e insegna le regole delle proposizioni, operazioni linguistiche mediante cui si costruiscono le scienze: tanto le scienze reali (cio che vertono su oggetti di realt, come la fisica) quanto quelle razionali, che vertono su oggetti mentali (come la matematica). Le proposizioni possono essere mentali (in mente), enunciate (in voce) o scritte (in scripto). In ogni caso, comunque, hanno carattere composito (complexa), e possono essere suddivise nelle loro parti (termini): suoni, lettere dell'alfabeto e, nel caso delle proposizioni pensate, concetti o intentiones animi. Nella definizione del concetto come intentio viene in primo piano la sua funzione di segno, che tende verso, ovvero indica, le cose a cui si riferisce. Anche gli
universali

sono concetti e

dunque segni: ma di cosa? Per il logico non ha alcun senso chiedersi se gli universali vertano sulla realt, perch si tratta di un problema metafisico. Il realismo considerato assurdo, poich deriva da un'inferenza che va oltre le premesse: riconoscendo che la somiglianza fra individui che, oggi diremmo, appartengono a una certa classe (Socrate e Platone) maggiore di quella fra individui che appartengono a classi diverse (Socrate e un asino), i realisti concludono che i primi si assomigliano perch hanno in comune una essenza reale o natura comune. Il loro errore sta dunque nel postulare una terza realt (la natura communis) che si interpone fra le due realt singolari (Socrate e Platone) che convengono fra loro in una somiglianza. Per Ockham invece, c una maggiore convenienza tra Socrate e Platone che tra Socrate e l'asino non in ragione di qualcosa che si distingue da essi ma perch convengono maggiormenti tra di loro per se stessi. La realt infatti composta esclusivamente di individui singolari; di conseguenza, il filosofo deve per chiedersi come possibile che qualcosa vi sia di comune e di universale; la risposta chiama in causa la funzione significativa del linguaggio, e in particolare la dottrina della suppositio. La dottrina della suppositio. Il logico si interessa ai termini come segni non per determinare lo status ontologico di ci che essi significano, ma per analizzare la loro propriet fondamentale in quanto segni, che il loro stare al posto di (supponere pro) qualcosaltro. La supposizione (suppositio) la propriet che i termini hanno di significare, e una proposizione vera quando il soggetto e il predicato suppongono per la stessa cosa:

51

nei casi in cui questo non avviene si danno gli errori logici denominati

fallacie.

La suppositio

permette inoltre di distinguere fra i diversi tipi di discorso scientifico: si avr infatti una scienza reale o razionale a seconda che i termini stiano al posto di realt concrete o mentali. Nella dottrina della suppositio troviamo l'elemento di novit fondamentale della teoria logica di Ockham: la distinzione della suppositio in tre livelli: suppositio materialis, che si ha quando un termine indica se stesso in quanto termine ("uomo un nome di due sillabe", "correre un verbo" ecc.); suppositio personalis, quando un termine indica una realt individuale ("Un uomo corre"); suppositio simplex, quando un termine indica un universale ("uomo una specie"), ovvero non una realt o essenza universale, ma un concetto mentale nella sua natura di concetto. Metafisica nominalista e contingenza del reale. La metafisica di Ockham indubbiamente coerente con l'impostazione logica, ma non deve essere confusa con essa; il nominalismo metafisico fa pernio infatti su un postulato extra-logico: la realt composta esclusivamente da individui (da cui il famoso aforisma noto come rasoio di Ockham: non si devono moltiplicare gli enti ponendone di non necessari). Tutto
ci che esiste realmente

un

individuo; tradotta in termini astratti, questa intuizione filosofica pu essere cos enunciata: ogni essere indiviso in s e diviso dagli altri. Ockham sviluppa questa intuizione semplificando al massimo l'impalcatura concettuale costruita sul tema dell'essere e dell'essenza dai suoi predecessori (Tommaso dAquino e Duns Scoto). La considerazione della struttura metafisica della realt cede cos il posto ad una centralit degli individui reali, un mondo di cose singole, in cui non si danno mediazioni come quelle espresse tradizionalmente dai termini di natura o essenza: le realt individuali esistono in quanto frutto immediato e assolutamente contingente della volont divina. A ci si deve aggiungere il fatto che in Dio, che assolutamente semplice, la volont si identifica con lintelletto; non possiamo, di conseguenza, porre in Dio nessuna distinzione, per esempio fra latto del conoscere e quello del produrre. Per questa ragione non possibile ricondurre lordine del mondo a un ordine precedente l'atto della creazione, e cade pertanto un postulato fondamentale dellaristotelismo scolastico: l'esistenza di un piano ideale o essenziale della creazione, comprensibile da parte della ragione umana; diventa pertanto impossibile attingere razionalmente i preamboli della fede a partire dalla conoscenza delle cose (nozione centrale nella filosofia tomista). Lopposizione di Ockham alla teologia scientifica dimpianto tomista nettissima. Se la ragione umana non pu neppure attingere alla dimostrazione razionale dellesistenza di Dio (si pu provare la necessit della trascendenza, ma ci non significa conoscerla o dire alcunch su essa), a

52

maggior ragione gli articoli della fede cristiana non costituiscono una scienza, perch non sono principi della dimostrazione, n conclusioni, n possono essere dimostrati; solo lassoluta dipendenza delle realt dalla causa prima, cio la contingenza assoluta degli esseri, pu essere affermata in quesambito. Questa ed analoghe affermazioni di Ockham hanno indotto ad etichettare il suo pensiero come fideismo (se si sottolinea l'autonomia del fondamento della fede) o scetticismo (se al contrario si sottolinea che la scienza non pu conferire tale fondamento). Tuttavia, proprio la fiducia nella conservazione delle cose nella regolarit del mondo- da parte della potenza di Dio, rende possibile ad Ockham articolare in maniera nuova il discorso sullonnipotenza divina, offrendo un inedito fondamento alla conoscenza scientifica, cui la discussione sul linguaggio come sistema di segni si connette senza smagliature. Onnipotenza divina e conoscibilit del mondo. Ockham elabora infatti una posizione che gli permette di salvare la conoscibilit del mondo senza dover ricadere in nessuna forma di determinismo; lo fa paragonando l'azione di Dio a quella di un sovrano che promulga una legge che egli stesso s'impegna a rispettare: il mondo creato dunque di fatto un ordine, bench un ordine contingente; l'ordine che Dio (il Dio della Bibbia) ha decretato che fosse, con un patto cui si autonomamente obbligato (l'obbligazione cui il Dio sovrano si vincola non infatti frutto di un contratto fra parti, ma autonoma decisione del creatore nei confronti della creatura). In questo modo Ockham, identificando la potentia ordinata con la realizzazione di fatto della potentia absoluta, riesce a salvare la fiducia nella conoscibilit del mondo senza dover ricorrere ad un ordine razionale che condizioni l'azione creatrice di Dio. Ma c unaltra conseguenza, di ordine epistemologico: se il mondo non la realizzazione dell'ordine ideale, la conoscenza del mondo non pu essere conoscenza di idee universali astratte: la conoscenza astratta o deduttiva non pu dirci infatti nulla su un mondo di individui, qual il mondo reale. Non viene con ci negata la validit logica della conoscenza deduttiva, bens la sua capacit di dirci qualcosa sul reale (posizione analoga a quella di Ruggero Bacone). Luomo, immerso in un mondo contingente retto dalla volont divina, pu conoscere pertanto solo ci che gli dato nell'esperienza: l'empirismo di Ockham ha dunque una radice schiettamente teologica ed perfettamente coerente con la sua metafisica. E' la conoscenza intuitiva-empirica che ci d l'evidenza della realt e dell'esistenza di una cosa, o anche del suo contrario (si pu conoscere che una cosa non : questa affermazione una delle pi problematiche, e dar luogo ad una discussione fra gli stessi seguaci di Ockham); e che permette allintelletto di afferrare il singolare in quanto tale: la conoscenza intuitiva di una cosa una conoscenza in virt della quale si pu conoscere

53

se una cosa o non . Se , immediatamente l'intelletto giudica che quello che . Di conseguenza viene rifiutata l'articolazione dell'atto conoscitivo e le mediazioni fra la cosa e l'intelligibile (le species intelligibiles) che caratterizzano la gnoseologia aristotelico-scolastica. Oltre a ribadire, sul piano della conoscenza, il principio del rasoio (Si fa inutilmente con molti mezzi ci che si pu fare con pochi), Ockham sostiene che non si deve considerare come necessario in assoluto ci che appare necessario in relazione ad un determinato ordine di cose: la possibilit di prevedere eventi di natura cambia cos status, da dimostrazione necessaria ad anticipazione probabile. Su questa base egli elabora le sue teorie fisiche, che nelle grandi linee possono essere cos indicate: la riduzione della quantit alla sostanza; la negazione di una realt del movimento distinta dalla realt del corpo che si muove; la negazione della realt assoluta del
tempo

se non nell'anima. Si pu

su questa base affermare, senza inconvenienti filosofici, che il mondo creato da Dio ab aeterno e che non assurda l'esistenza di un infinito in atto. Il pensiero politico. Anche nellambito politico la posizione di Ockham originale e si distacca nettamente da quella degli averroisti politici, Giovanni di Jandun e Marsilio da Padova, che pure erano anchessi schierati nel partito imperiale. La netta affermazione dellindipendenza del potere temporale da quello spirituale ha in Ockham una matrice schiettamente teologica, poich discende da una riaffermazione della priorit del primato apostolico e dalla constatazione della relativa ininfluenza del potere civile, che riguarda i beni inferiori, dei quali si pu anche fare a meno pur vivendo rettamente in vista del fine supremo. Il primato del papa per non inteso da Ockham nel senso della
teocrazia

tradizionale: viene infatti definito da lui non una signoria, ma un servizio (non dominativus, sed ministrativus) ed limitato dai diritti legittimi dei sovrani nonch dei semplici fedeli; anche in ambito spirituale infatti il potere del pontefice si esercita nei confronti di uomini che rimangono, per definizione, liberi. Applicando anche qui il suo rasoio nominalista, Ockham dichiara con nettezza che la chiesa lassemblea dei fedeli (Ecclesia est multitudo fidelium). Il papa non pu pertanto limitare la libert dei cristiani, perch la Chiesa non un' entit superiore all' assemblea dei fedeli, e nessuna verit che non sia contenuta esplicitamente o implicitamente nella Sacra Scrittura pu essere imposta dal pontefice come verit di fede. Con queste affermazioni egli dava un sostegno filosofico ai francescani spirituali, il cui ideale era la restaurazione della simplicitas evangelica in tutta la Chiesa e l' abbattimento di ogni forma di possesso, perch l' avanzare diritti sulle cose e sulle persone fare violenza alla volont di Dio. ( MP)

54

Nicola Cusano Vita. Nato a Kues (Cusa) nel 1401, studi diritto e teologia nelle universit tedesche di Heidelberg e Colonia, dove fu allievo di Eimerico da Campo, e a Padova, dove complet gli studi di diritto canonico nel 1423. Non pratic linsegnamento: la sua carriera fu quella di un dignitario ecclesiastico e uomo politico, che ricopr importanti cariche ed effettu missioni diplomatiche per diversi papi. Le numerose opere che scrisse sono per lo pi brevi trattati, ben diversi come genere dagli scritti degli autori scolastici, cos come extrascolastico il contesto nel quale elabor la sua filosofia, nel vivo delle vicende politiche pi rilevanti del suo tempo: fu tra i protagonisti del concilio di Basilea (1431-1449), e fu ambasciatore del papa Eugenio IV a Costantinopoli (1439). Cardinale dal 1448, vescovo di Bressanone due anni dopo, concluse la sua carriera a Roma, dove era stato chiamato da Pio II nel 1458. Mor nel 1464. La sua vita si colloca in un tempo che nelle nostre categorie storiografiche vede sovrapporsi medioevo ed et moderna; per quanto la sua formazione fosse di impianto scolastico, essa presenta alcuni elementi peculiari, in primo luogo il contatto con i testi ermetici e con il pensiero di Raimondo Lullo, che Cusano conobbe forse gi a Padova, o durante gli studi con Eimerico da Campo: sicuramente nel 1428, a Parigi, medit a lungo sui manoscritti lulliani, da cui copi e annot ampi estratti. Nella sua riflessione riprende anche temi della tradizione platonica medievale, in particolare chartriana, e della tradizione tedesca della mistica speculativa. Opere. La sua opera principale, La dotta ignoranza, scritta nel 1440, contiene gli elementi fondamentali del suo pensiero e costituisce uno dei grandi classici della storia della filosofia occidentale; insieme alla Apologia della dotta ignoranza (scritta nel 1449 per rispondere ai numerosi attacchi rivolti allopera precedente), e al trattato Sulle congetture (1441), presenta elementi di originalit e di modernit tali che Ernst Cassirer apr con unamplissima analisi del pensiero cusaniano la sua Storia del problema della conoscenza nel pensiero moderno (nota col titolo di Storia della filosofia moderna). Nei Dialoghi dellidiota (1450), il tema della dotta ignoranza risuona nella pagina dapertura, insieme a quello della ricerca della sapienza. Alla Caccia della sapienza dedicata una delle opere pi tarde: il tema della caccia (venatio), che Lullo aveva utilizzato nel titolo di alcune sue opere logiche, ebbe notevole successo nel Rinascimento, diventando per pensatori come Francesco Bacone lemblema della ricerca di una filosofia innovativa. Pi medievali nellargomento, le opere cusaniane sulla visione di Dio (De visione Dei, 1453; De non

55

aliud, 1462; De apice theoriae, 1464) devono molto agli sviluppi che le tematiche della mistica speculativa avevano conosciuto in area tedesca, a partire da Eckhart. Cusano scrisse inoltre unopera di carattere ecclesiologico (De concordantia catholica La concordanza universale, 1433, ove analizza le dottrine conciliaristiche, inserendosi nel dibattito aperto a Basilea), un Esame critico del Corano (Cribratio Alcorani, 1461) e il trattato Sulla pace della fede (De pace fidei, 1454), che segna il passaggio dal dialogo fra religioni dimpostazione medievale alla moderna ricerca filosofica della tolleranza. Lignoranza sapiente. Il passo fondamentale operato dal Cusano in ambito epistemologico esprime lesigenza di superamento della ragione discorsiva e il riconoscimento del non-sapere, che permettono di andare oltre la dimensione limitata del discorso e della dimostrazione per raggiungere quella intuitiva della mente. Questa modalit di conoscenza permette di cogliere la coincidenza di massimo e minimo nellinfinito, poich in modo incomprensibile, al di sopra di ogni discorso razionale, vediamo che il massimo assoluto linfinito cui nulla si oppone e con il quale il minimo coincide. Richiamando il tema ermetico della sfera infinita, e articolandolo con gli enunciati della teologia negativa, la dotta ignoranza permette una nuova dimostrazione dellesistenza infinita di Dio, attuata attraverso luso delle immagini matematiche perch alle cose divine si pu accere solo per simboli e fra questi i segni matematici sono i pi convenienti, per la loro irrefragabile certezza. La metafora della conoscenza intesa come docta ignoranza per Cusano limmagine di un poligono che, aumentando i lati allinfinito, cerca di adeguarsi al cerchio. Questa valorizzazione del conoscere matematico, che opera una svolta fondamentale nella concezione dellinfinito in ambito teologico, viene applicata alla conoscenza della realt sensibile nel De coniecturis (1441-1444), mediante cui la mente umana, forma congetturale del mondo, come quella divina forma reale si serve del numero, ossia della struttura che le propria, conoscendo le cose nel modo stesso in cui Dio, mente infinita, comunica lessere alle cose nel Verbo a lui coeterno. Il numero lesemplare (archetipo) in cui la mente divina e quella umana convergono, ed nel conoscere basato sul numero sul misurare e sulle figure la raffigurazione geometricache la mente umana pu comprendere la dinamica ontologica della complicatio ed explicatio, ovvero del modo di essere degli esseri nel principio divino e nella creazione. Linfinito non-altro. Questa innovativa concezione epistemologica porta conseguenze metafisiche di amplissima portata. La molteplicit degli enti reali contenuta (complicata)

56

nellinfinit di Dio che il loro principio, sicch le differenze e le opposizioni, che caratterizzano il mondo del molteplice (explicatio), sono in Dio come coincidenza degli opposti. Fra Dio e il mondo si ha un rapporto di partecipazione, ove la molteplicit del mondo si configura come immagine simbolica dellinfinit divina: questa concezione, che richiama temi neoplatonici e chartriani nonch la figura A della combinatoria lulliana, permette di definire il mondo un Dio creato (Deus creatus), riecheggiando lermetico Asclepius; dalla mente umana la coincidenza degli opposti raggiungibile attraverso la meditazione sul non-altro, descritta con toni che al nostro orecchio suonano quasi zen . Sul piano cosmologico, il rapporto di reciproca implicazione fra finito e infinito porta a rifiutare la cosmologia aristotelica: il mondo pi descritto come una sfera finita con al centro la terra, ma applicando ad esso limmagine della sfera infinita che lermetico Liber XXIV philosophorum aveva utilizzato come definizione di Dio. In questo modo, prima di Copernico (il cui De revolutionibus orbium caelestium apparir nel 1494) e per ragioni di ordine essenzialmente metafisico, Cusano scardina la concezione tradizionale del mondo, aprendo la via all infinito universo e mondi di Giordano Bruno. La pace nella fede. Sul piano etico-religioso, la coincidenza degli opposti in Dio porta Cusano a concepire, sullonda dello sconvolgimento provocato nella cristianit dalla caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi nel 1454, un progetto di pace nella fede basato sulla valorizzazione delle differenze religiose che, pur mantenendo la forma del dialogo medievale fra esponenti di leggi diverse, presenta due elementi innovativi: sul piano puramente descrittivo, il Cusano non si limita a dare una idea monolitica di ciascuna delle tre religioni monoteistiche, ma ne prende in considerazione le articolazioni interne, nonch alcune forme di sincretismo filosofico-religioso, attraverso i vari personaggi che partecipano al discorso; sul piano dottrinale, va oltre lidea di un confronto mirante a stabilire la superiorit di una religione e, come a dare un contenuto positivo alla conclusione del lulliano Libro del Gentile e dei tre Savi, afferma che non c che una sola religione nella variet dei riti, che la loro (dei riti) stessa variet costituisce un incremento della devozione, e che lunicit delladorazione ricercata non deve corrispondere ad altro che allunicit del principio divino, che con diversi riti e con diversi nomi tutti ricercano, senza che nessuno dei riti e dei nomi possa esaurirne linfinit, non essendovi proporzione alcuna tra il finito e linfinito. Si riconosce, in questa argomentazione, lidea di fondo dellepistemologia cusaniana; mentre nelle parole con cui presentato il tema dellIncarnazione ritroviamo i temi del massimo contratto elaborato nel De docta ignorantia, nonch quello dellunione mistica. La centralit della figura di Cristo viene

57

dunque riproposta (e come sarebbe stato possibile altrimenti, nellopera di un cardinale della chiesa romana?), ma attraverso unargomentazione filosofica che lo presenta come simbolo estremo dellunione di finito e infinito, realizzabile dalluomo attraverso il poter vedere della mente che supera il suo poter comprendere e permette lunione contemplativa col potere stesso che Dio. Lumanesimo del Cusano, la modernit della sua filosofia, hanno dunque radici in una lettura originale del problema squisitamente medievale del rapporto fra Dio, il mondo e luomo: lettura che si nutrita di tutta la gamma possibile di elaborazioni filosofiche dei secoli XII-XIII ed maturata fuori dalle scuole, nel contesto di un mondo scosso dai profondi mutamenti e dalle fratture che avrebbero segnato let nuova. ( MP)

58

Potrebbero piacerti anche