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Francesco Adorno: L'etica di Epicuro

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Copyright Rai Educational Nella Lettera a Pitocle, Epicuro afferma: "Salpa l'ancora, ragazzo, e fuggi da ogni forma di cultura". Che cosa voleva dire Epicuro con questa affermazione? (1) Perch Epicuro stato un grande nemico della retorica e della dialettica intesa al modo dei sofisti? Qual per lui il rapporto tra dialettica e felicit? (2) Per Epicuro il mondo ha una sua finalit? (3) Che valore ha l'amicizia per Epicuro? (4) A che cosa servono, per Epicuro, la filosofia e la scienza? (5) Da cosa viene l'importanza del sentimento della paura in Epicuro? (6) Che analogia c' fra gli stoici ed Epicuro? (7) Per Epicuro che rapporto c' tra di e giustizia? (8) vero che Epicuro uno dei fondatori del positivismo giuridico, cio della concezione della legge intesa come pura convenzione fra uomini e non come legge di natura o legge universale di ragione? (9) Quando si parla di Epicuro e della sua morale si pensa immediatamente al porco epicureo, alla persona che cerca a tutti i costi i piaceri sfrenati; eppure noto che laspirazione di Epicuro era la tranquillit della vita. In cosa consiste dunque il piacere per Epicuro? (10) L'aforisma di Marx secondo il quale la libert coscienza della necessit, pu essere fatto risalire ad Epicuro? (11)

Interviste Francesco Adorno

L'etica di Epicuro
20/3/1989

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1 Nella Lettera a Pitocle, Epicuro afferma: "Salpa l'ancora, ragazzo, e fuggi da ogni forma di cultura". Che cosa voleva dire Epicuro con questa affermazione?
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Francesco Adorno: L'etica di Epicuro

Come quando nega la vita politica, Epicuro, nel criticare la cultura, ha di mira una certa cultura, poich per lui la cultura in astratto non esiste. Francesco Bacone ha sottolineato che la cultura il passaggio da una realt a un'altra. Facciamo un esempio: il vino in natura non esiste, n esiste l'olio. Occorre dunque avere abbastanza sapienza ed esperienza per poter strutturare la materia in modo che vengano fuori il vino e l'olio, che sono quindi frutto della tecnica. In natura non si trova niente del genere, o meglio si trova soltanto qualcosa di astratto, che non si riesce a cogliere. L'uomo uomo proprio perch processo, perch farsi, storia, cio cultura. Cultura, infatti, vuol dire coltivare qualcosa che diviene altro da quello che era in natura. Quindi la cultura in astratto non c'. La cultura , via via, l'esperienza di come si forma l'uomo pensando nella storia. Dallo scontro delle varie culture se ne creer una nuova, che non sar pi n quella vecchia, n quella nuova, ma un'altra, n superiore n inferiore, ma diversa. La storia fatta di cose "altre", non di cose superiori o inferiori, altrimenti si dovrebbe postulare una sua mta, un suo progressivo raggiungimento della verit. In molte storie della filosofia non si trova della cultura, ma soltanto notizie su Tizio che ha superato Caio. Ma ci falso: nessuno supera nessun altro. Si pu superare se c' una mta fissa, e dunque quando si dice che Aristotele ha superato Platone, si presuppone che questo si sia avvicinato di pi alla verit. Ma Platone quello che , e parlare di un superamento sarebbe come dire che l'automobile ha superato la carrozza. La carrozza non stata affatto superata dall'automobile, poich carrozza e automobile sono due cose diverse, che rappresentano qualcosa di compiuto in loro stesse, e che hanno due scopi diversi, cos come le scienze. 2 Perch Epicuro stato un grande nemico della retorica e della dialettica intesa al modo dei sofisti? Qual per lui il rapporto tra dialettica e felicit? Quando Epicuro dice che i fisici non amano la dialettica in quanto superflua per fare della fisica, non nega che la dialettica possa servire per altro: afferma soltanto che non serve per fare la fisica. Se invece si fa della morale, serve benissimo, in quanto la retorica e la dialettica non esistono al livello dello studio della realt, ma esistono a livello dei rapporti tra gli uomini. Non un caso dunque che Epicuro tragga gran parte delle analogie dalla dialettica platonica, ma non dalla dialettica relativa alla struttura della realt, quanto dalla dialettica del vivere, del saper parlare, del saper porre una misura. Quel famoso piacere epicureo di cui tanto si parla, in realt era un mettere l'uomo in rapporto con l'altro in modo da costituire una misura, un ordine. Naturalmente, non essendo dato, tale ordine si costituiva volta per volta, senza prevaricazioni, in una misura che realizzava pienamente gli uomini, diventando cos piacere o eudaimonia, cio felicit. Il termine "eudaimonia" viene dal greco eudaimon (eudaimwn), che vuol dire realizzare pienamente il proprio demone, lindole che ci congeniale, in un rapporto che quello che . Ecco perch Epicuro esorta a non pensare alla morte: quando c' la morte non ci siamo noi, quando ci siamo noi non c' la morte. Non bisogna pensare a un al di l per paura degli di, poich agli di non importa nulla degli
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uomini. Epicuro non nega gli di, ma dice che al dio di Platone o di Aristotele, Atto Puro e Ordine del tutto, preferisce gli antichi di, perch sono quelli che meglio rispondono all'esperienza umana. Essi dunque esistono perch esistono dentro l'uomo, come esigenza umana. Tuttavia occorre porli come ideali privi di squilibri, fratture e dolore. Se infatti vero che i mondi nascono da incontri e scontri e sono dolore e pace, un dio, per essere tale, deve essere esente dal dolore ed esistere fra i mondi, non nel mondo. 3 Per Epicuro il mondo ha una sua finalit? Per Epicuro il mondo non ha finalit, quindi meccanicistico. Tuttavia occorre considerare che solo un mondo meccanicistico implica la libert. Per quanto ci possa sembrare contraddittorio, in verit non lo . Infatti, vero che, una volta nato, questo mondo meccanico, ma pur vero che le macchine si possono sempre costruire in una maniera differente, mentre la necessit no. Se tutto va come deve andare necessariamente, l'uomo non ha nessuna speranza che in futuro le cose vadano in maniera diversa. Se davvero fossimo dei metafisici, se avessimo davvero colto tutta la struttura della realt per quella che , il mondo dei rapporti umani sarebbe spacciato, perch non ci sarebbe pi la speranza che le cose possano andare diversamente da come vanno. Pertanto, per Epicuro, solo accantonando la struttura eterna della realt che diviene possibile restituire l'uomo all'uomo, dandogli la possibilit di costruire il proprio mondo. Per Epicuro, infatti, un mondo necessario, eterno, indistruttibile, dove rimane solo la contemplazione e la conservazione dell'ordine che , diventa il mondo della poiesis (poihsiV). 4 Che valore ha l'amicizia per Epicuro? Quando Epicuro nega la politica prevaricante dei politicanti, sottolinea allo stesso tempo che l'uomo non pu che essere politico, o meglio non pu non avere rapporti umani. Ma quello a cui allude non un rapporto politico come lo si intende ora, bens un rapporto di philia, cio di amore, di amicizia. Al posto del termine "politica", che al suo orecchio suonava come "prevaricazione", come qualche cosa di privato, Epicuro impiega la parola "utile": l'uomo uomo in quanto instaura rapporti dove vi sia reciproca utilit. Quindi la molla dell'uomo l'utile, da non confondersi con l'utilitarismo immediato. Ci che infatti chiamato "utilitarismo epicureo" non altro che l'amicizia. Dal punto di vista epicureo, dunque, il rapporto interpersonale, quando prevaricazione, un rapporto doloroso; quando segnato dalla misura diviene un rapporto piacevole e di realizzazione di s stessi. 5 A che cosa servono, per Epicuro, la filosofia e la scienza? Sia all'inizio della Lettera a Erodoto che nella Lettera a Meneceo, Epicuro sostiene che, in fondo, il filosofare e lo studio della natura devono servire per liberare l'uomo. Un tuono un tuono e non viene da Dio; il fulmine un fulmine e non viene da Dio; non bisogna quindi avere timore di essere fulminati da
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Dio per le proprie azioni. Quindi liberare l'uomo dalle paure vuol dire fare una seria fisica, una scienza seria. A tal proposito occorre tener presente che la madre di Epicuro era un'indovina e faceva continui vaticini. dunque possibile che Epicuro fosse stanco di questo genere di cose, tanto da voler rompere con tutto quello che era teologia. Gi Platone chiamava "preti truffaldini" quelli che raccontavano dei misteri orfici, affermando che, se si compivano determinate azioni, si sarebbe andati incontro a un castigo certo nell'aldil. Platone infatti era aspramente critico contro questo tipo di religiosi, anche se, come Epicuro, riconosceva il valore della religiosit come religione aperta, come spirito aperto. In breve, questi due pensatori hanno negato le religioni, ma non hanno negato la religiosit dell'uomo, dove per religiosit si intende il sentirsi spiritualmente dipendenti da una forza superiore, che pu essere la natura o il Padre Eterno, ma della quale comunque non bisogna aver paura, perch quello che . 6 Da cosa viene l'importanza del sentimento della paura in Epicuro? Per Epicuro la paura in gran parte dovuta all'ignoranza. Quando dice che occorre arrivare a un equilibro, afferma anche che il piacere il vero bene e che la virt suprema l'atarassia. Un'altra scuola, in origine vicinissima a quella di Epicuro, ovvero la scuola stoica, usa il termine apatia. L'apatia il liberarsi dalle passioni, dal patire, dall'essere passivo, riconoscendo s come attivit e giudizio. Quindi per gli stoici, l'apatico colui che, mancando di passivit, diventa attivo nel giudizio. Tarasso (tarassw) in greco vuol dire "affanno", quindi l'atarassia la mancanza dell'affanno, o, in termini moderni, la mancanza dell'angoscia. La paura di cui parla Epicuro, propria di ogni uomo, l'ignoranza. Infatti, quanto pi si ignoranti, tanto meno si sa come vanno a finire le cose: questo crea una situazione di affanno. L'angoscia dunque il sentimento del non sapere che cosa sar di noi: il timore di una punizione divina determina la paura della morte. Questa dovuta al non sapere che la morte nulla perch, fino a quando c' la morte non ci siamo noi, quando noi ci siamo non c' la morte. Quindi, dato che siamo in questo mondo, occorre cercare di realizzarsi in esso, senza pensare a un domani che si ignora e che non c' ora. Occorre costruire insieme, in amicizia, questo mondo. La fisica, dunque, porta a rendersi conto che non bisogna avere paura dell'universo, dei tuoni, dei fulmini. Purtroppo, gli scritti di Epicuro ci sono giunti in stato frammentario: tuttavia in Diogene Laerzio abbiamo delle lettere di Epicuro che, pur non essendo opere organiche, sono comunque uno strumento di propaganda. Sul problema della paura, vanno citate due epistole: la Lettera a Erodoto e la Lettera a Pitocle. Nella Lettera a Erodoto, Epicuro scrive a una comunit per avvicinarla a s, parlando di fisica ed afferma: "Per coloro che, o Erodoto, non possono penetrare a fondo in ogni particolare la dottrina sulla natura
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esposta nei nostri scritti e ripercorrere con estremo impegno i libri maggiori della mia opera a questo scopo composta, ho io stesso preparato un'epitome dell'intero sistema dottrinario perch possano conservare in saldo ricordo e in modo sufficiente i princpi pi importanti e siano nella condizione di sostenersi in ogni circostanza sui capisaldi della dottrina, per quanto almeno intraprendano lo studio scientifico della natura. E anche coloro che hanno compiuto un sufficiente progresso nella contemplazione dell'universo devono sempre richiamare alla memoria gli elementi fondamentali di tutto il sistema dottrinario. (...) Dacch anche per chi abbia conseguito una perfetta maturit il requisito fondamentale per ogni esatta cognizione costituito dalla facolt di adottare con acuta rapidit le concezioni principali, in quanto ogni particolare viene ricondotto ad elementi semplici e a termini altrettanto semplici.". Per Epicuro in tal modo si supera il timore di una natura cattiva. Nella Lettera a Pitocle Epicuro scrive: "Apprendi bene questi precetti, tienili a mente e ripercorrili acutamente col pensiero insieme con gli altri che affidammo alla piccola Epitome ad Erodoto. Anzitutto bisogna credere che il fine che si ricava dalla conoscenza dei fenomeni celesti, sia considerati in relazione tra di loro sia autonomamente, non altro se non l'atarassia e la salda fiducia, cos come anche dalle altre indagini.". Pertanto, per Epicuro l'unico scopo autentico dello studio dei fenomeni celesti la tranquillit e la sicura fiducia dell'animo nei confronti delle paure che suscita la natura. 7 Che analogia c' fra gli stoici ed Epicuro? Epicuro non conosceva gli stoici, ma conosceva il primo stoico, suo contemporaneo, ovvero Zenone di Cizio. Zenone di Cizio sostiene che l'uomo da un lato passivit, dall'altro attivit. Fino a quando passivit, preso da passione; nel momento in cui prende coscienza di s, attraverso il giudizio, comincia a dominare teoreticamente, quindi conoscitivamente, le cose e passa dalla passivit allattivit. Infatti, la virt propria dell'uomo, la capacit dell'uomo, quella di liberarsi dal patire per diventare attivo: tale virt prende il nome di apatia. Per Zenone ci si libera dalla passivit per cogliere l'ordine razionale entro cui rientra l'uomo; non si tratta dunque di un liberarsi dall'errore, n di una "libert di", perch, una volta conosciuto l'ordine, ci si deve adeguare a esso. Epicuro afferma pi o meno lo stesso, ma la sua non una morale teoretica, intellettuale. Anche per lui, infatti, ci si deve liberare dalla passione, ma la passione l'ignoranza, mentre la conoscenza non conoscenza di un ordine che , ma conoscenza di un ordine che viene fatto dall'uomo. Pertanto non bisogna aver paura della realt, poich la libert dall'ignoranza porta l'uomo alla possibilit di ricostruire liberamente, tranquillamente, il proprio mondo, in amicizia, senza affanni, atarassicamente. 8 Per Epicuro che rapporto c' tra di e giustizia? Per Epicuro gli di esistono, ma si occupano dei loro problemi: se si occupassero di quelli umani, sarebbero simili agli uomini. Tuttavia possibile aspirare a essere come loro, in quanto rappresentano,
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nell' intermundia, una misura, un ordine, mentre in questo mondo che luomo deve costruire la sua realt. Epicuro, dunque, elimina del tutto le essenze, le idee, le forme necessarie, affermando che il mondo umano nasce liberamente da scontri-incontri di atomi. Ci significa che l'uomo ha la consapevolezza di potersi inserire nella serie delle cause e degli effetti, essendo causa prima, determinando dei rapporti che vengono a patti tra di loro. Un testo epicureo che giudico fondamentale rappresentato da una delle Massime capitali, in cui si dice che la giustizia non esiste. Il testo greco leggermente diverso: infatti, traducendolo alla lettera, si dovrebbe dire: "La giustizia non era, la giustizia esiste.". una sottigliezza, ma molto importante. Il termine "era", infatti, ripreso da Aristotele, per il quale le essenze delle cose "erano": per esempio, tutte le navi, sia antiche che moderne ci sono perch c'era fin dall'origine la legge del galleggiamento; l'essenza della nave, dunque, non quella di essere di ferro o di legno, ma quella di rispondere alla legge del galleggiamento, che dunque "era" anche prima delle singole navi. Quando Aristotele spiega l'essenza, la ousia (ousia), usa la formula to ti en einai (to ti hn einai ), "Il ci che era l'essere". Pertanto, da Aristotele in poi, quando si vuol parlare delle essenze, si usa l'imperfetto, che in greco ha un valore continuativo. Quando Epicuro afferma che la giustizia non era per s, vuole dire che non esiste la giustizia come essenza universale, in quanto la giustizia qualcosa che nasce nei rapporti reciproci e nei patti, attraverso i quali si stringe l'accordo di non arrecarsi danno reciproco. Quando ci si appella alla giustizia, in genere si dice che questa uguale per tutti. Ma in realt la giustizia non pu essere uguale per tutti, perch la giustizia di un paese non detto che corrisponda alla giustizia di un altro. Epicuro dunque considera la giustizia nello spazio, nel tempo, nelle differenti culture e non come un'essenza universale, ma come qualcosa che si costruisce via via. 9 vero che Epicuro uno dei fondatori del positivismo giuridico, cio della concezione della legge intesa come pura convenzione fra uomini e non come legge di natura o legge universale di ragione? Mentre con gli stoici nasce il giusnaturalismo, con Epicuro nasce il diritto come possibilit storica. Per gli stoici il diritto diritto naturale poich la struttura del tutto una struttura legale e quindi, quanto pi ci si adegua all'ordine del tutto, tanto pi ci si adegua alla legge del tutto, che legge di natura: da qui il giusnaturalismo. Cesare fu detto epicureo non perch si dedicasse ai bagordi, ma perch era legato alla posizione dei Pisoni e di Filodemo di Gadara, in base alla quale era l'uomo che, di volta in volta, costruiva le sue leggi: il passaggio del Rubicone fu un atto in pieno contrasto con l'ordine di Roma, con il Senato e il popolo romano. Al contrario, con Augusto, gli stoici divennero i filosofi ufficiali di Roma, in quanto il loro diritto naturale prevedeva una legge uguale per tutti e ci faceva gioco all'imperatore. Cicerone, nelle Tuscolane, non solo contesta gli epicurei in quanto filosofi, ma li condanna da un punto di
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vista politico, ritenendoli capaci di corrompere l'ordine sociale. Ne propone la condanna con un decreto in quanto rappresentano una minaccia, poich per loro l'ordine non l'ordine costituito, ma l'ordine che fa l'uomo. Cicerone vive in una situazione storica in cui lo Stoicismo simboleggia l'ordine di Roma, la res publica, dove ciascuno ha il posto che gli compete ed obbedisce al diritto naturale. Non un caso che Augusto prese come suo "confessore" di corte Ario Didimo, uno stoico. Nerone, invece, condann gli stoici insieme ai cristiani: questi ultimi perch eversivi nei confronti dello Stato e adoranti un Dio unico; gli stoici perch negavano il potere di Nerone, interpretandolo come clemenza della res publica, ordine del tutto. Nel corso della storia, dunque, Epicureismo e Stoicismo rappresentano delle problematiche politiche: l'ordine costituito contro l'ordine fatto dagli uomini; il mondo della libert contro il mondo della chiusura nella urbs romana, che diventa orbe, il mondo nella sua totalit; il cosmopolitismo contro il giusnaturalismo. Naturalmente, il motivo stoico ha avuto sempre la tendenza a riaffermarsi nel momento in cui si verificata una prevaricazione. Dopo la conquista definitiva della Grecia con la battaglia di Pidna, i vinti vennero condotti a Roma come ostaggi: tra loro c'era lo storico Polibio, che entr a far parte della famiglia degli Scipioni. Scipione Emiliano, uomo molto fine, sent il bisogno di trovare un ordine e una misura che giustificassero il proprio impero e la propria forza: questa funzione poteva essere assolta dalla concezione stoica. Polibio, da parte sua, conscio della fine del mondo greco e del predominio violento di Roma, afferma che quanto i Greci deridono, il fondamento della grandezza romana: la superstizione. Questa presente in ogni aspetto della vita pubblica e privata a un grado tale che non se ne potrebbe concepire uno pi alto. Polibio ritiene che la superstizione serve ad impressionare e controllare le masse. Questo non accadrebbe in uno Stato in cui tutti i cittadini fossero filosofi; ma in uno Stato in cui le masse sono instabili, piene di desideri illeciti, di violente passioni, non esiste mezzo migliore. Le masse vengono tenute a freno col timore dell'invisibile e attraverso idee sugli di, sulla vita ultraterrena e su una giustizia che esiste per s. Polibio conclude che la follia e l'incapacit sono dei Greci, poich credono di disperdere tali illusioni e di avere insegnato la libert. Questa un momento di svolta nella nascita della cultura greco-romana, destinata a scontrarsi con l' emergente cultura giudaico-cristiana. 10 Quando si parla di Epicuro e della sua morale si pensa immediatamente al porco epicureo, alla persona che cerca a tutti i costi i piaceri sfrenati; eppure noto che laspirazione di Epicuro era la tranquillit della vita. In cosa consiste dunque il piacere per Epicuro? Per Epicuro il piacere consiste nella misura, nella capacit di costituire un ordine misurato, in amicizia. Questo implica che la nota immagine del porco epicureo non ha significato, perch quello del porco un modello di piacere discutibile. Epicuro, infatti, riprendendo Socrate e Platone, sottolinea che il mangiar troppo o il bere troppo un male, mentre il bene e il piacere stanno nella giusta misura.
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Il punto essenziale per quello colto da Marx, il quale, tornando su Epicuro, mostra come l'ignoranza sia il grande male dei popoli, in quanto consente ad altri di dare a intendere molte cose. Marx, dunque, risentendo profondamente dell'influenza di Epicuro, afferma che occorre abbandonare le religioni, le costruzioni astratte, al fine di vedere l'uomo com' e restituirlo a se stesso, dandogli una cultura, nel senso buono della parola. Rovesciando i termini del rapporto, l'uomo a costruire il suo mondo secondo giusta misura. 11 L'aforisma di Marx secondo il quale la libert coscienza della necessit, pu essere fatto risalire ad Epicuro? Quella di considerare la libert come coscienza della necessit una posizione pi stoica che epicurea. Ritengo che Marx abbia ripreso tale idea da una tesi di Spinoza, il quale, a questo proposito, era stoico. Spinoza sosteneva infatti che sebbene sia Nerone che Oreste avessero ucciso la madre, Nerone lo aveva fatto credendo di essere libero di farlo, mentre Oreste sapeva di non poterne fare a meno, ovvero di non essere libero dalla necessit della sua natura. Per Spinoza, dunque, la libert stava nel liberarsi dall'errore per adeguarsi all'ordine, e questa non una posizione epicurea, ma stoica. Marx ha scritto una splendida tesi di dottorato su Democrito ed Epicuro, che importante non tanto per quanto vi si dice, poich l'interpretazione di Marx avvicina moltissimo questi due pensatori, secondo gli schemi della storiografia ottocentesca e secondo lo schema hegeliano, ma per il fatto che Marx ritiene che sia Democrito sia Epicuro fossero materialisti e rappresentassero il rovesciamento dell'idealismo; che, dunque, per essi non si dovesse partire dall'idea che procede da se medesima e fa la storia alle spalle dell'uomo, attraverso l'astuzia della ragione. Marx, riprendendo Feuerbach, sostiene che le idee dell'uomo nascono dai suoi tubi digerenti. Il materialismo marxista consiste pertanto nell'idea che la nostra condizione viene dai dati materiali, da quello che siamo. Siamo come siamo perch viviamo in una certa cultura, in un certo ambiente e la nostra materia fatta di questo; se mangiamo bene abbiamo certe idee, se mangiamo male ne abbiamo delle altre; se viviamo in una certa societ abbiamo un tipo di idea, se viviamo in un'altra societ abbiamo un altro tipo di idea. La condizione di partenza dunque la materia. Occorre pertanto rovesciare il discorso idealista e ammettere che non esiste una necessit ideale. Prima, con lidealismo, si camminava sulla testa e coi piedi per aria; con Marx si dovr camminare con i piedi per terra, costruendo le idee e le ideologie. Lo scontro, dunque, per Marx, non fra tesi e antitesi, ovvero fra idee come per Hegel, ma tra le culture, tra le opinioni, tra le classi, tra i modi di ordinarsi insieme. Inoltre, la tesi e l'antitesi non hanno una risultante necessaria, dunque occorre giungere alla rivoluzione per ottenere una soluzione. per questo che Marx, in Epicuro e in Democrito, ha visto dei rivoluzionari.

Biografia di Francesco Adorno


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