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lamed mem nun samech pe
ain tzaddi qof resh shin tau
http://www.nostreradici.it/lettere/lettere_ebraico.htm
Ogni lettera ebraica è un canale tramite il quale vengono riversati nel mondo
correnti di purissima energia, che si differenziano a seconda dell'aspetto
grafico, del suono, del significato del nome, e del valore numerico della
lettera in questione.
Unico tra tutti gli alfabeti del mondo, quello ebraico riunisce in sé una serie
di insegnamenti profondi e ineguagliabili, racchiusi nella triade: suono,
forma, numero.
L'ebraico, come le altre lingue semite, si legge da destra a sinistra.
Le 22 lettere dell'alfabeto ebraico servono anche da numeri; nell'ebraico
non sono state "inventate" le cifre . "la scrittura comprende il computo e
il computo comprende il discorso" dice il Libro della formazione
forma in
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
La lettera Alef rappresenta Dio, Uno, Unico ed Eterno. La forma grafica della lettera Alef simbolizza la natura infinita ed eterna di
Dio. Essa consiste di tre parti: il segmento superiore destro è una Yod, quello inferiore sinistro è, ancora, una Yod, e queste due
lettere sono connesse da una Vav diagonale. Ogni Yod vale 10, e la Vav vale 6. La somma è 26, che è esattamente il valore della
somma delle lettere del Nome Divino formato da quattro lettere (Tetragramma Yod=10, He=5 Vav=6, He=5). Questo è il nome che
rappresenta Dio come Eterno, perché con queste quattro lettere si possono formare le parole HAYA' (era) HOVE' (presente) e
IHIE' (sarà).
ALEF sta anche per ADAM (Uomo), la più nobile tra le creazioni di Dio. Le tre lettere che formano la parola ADAM alludono
all'unicità dell'essere umano: ALEF per ADAM (uomo), DALET per DIBUR (la capacità di parlare), MEM per MAASE' (la capacità di
fare ).
Tutte le grandi cose si fanno con un primo piccolo passo. Mattone su mattone si costruisce una casa, soldo per soldo si mette su
una fortuna. La ALEF (uno), cresce e diventa ELEF (mille), semplicemente cambiando una vocale.
Ma come può un medio essere umano raggiungere la saggezza della Torah, che è profonda come il mare? Come fa un
principiante a partire dal riconoscere una alef per diventare un ALUF (maestro) di Torah? La risposta è data nella Torah stessa:
"Perché questi precetti che io ti comando oggi non sono una cosa straordinaria oltre le tue forze né sono cosa lontana da te; non è
nel cielo.. e neppure al di là del mare..questa cosa è molto vicina a te: è nella tua bocca, è nel tuo cuore perché tu possa
eseguirla." (Deuteronomio 30:11) Per spiegare questo un Midrash descrive un ignorante che entra in Sinagoga. Vedendo la gente
che studiava la Torah, egli chiese: "Come posso io studiare tutto questo?" Chi ascoltava gli rispose: "Comincia con l'alfabeto,
continua con le Scritture, e quindi vai avanti con la Mishnà e la Ghemarà". Dopo aver sentito ciò, egli pensò e concluse: "Come
farò a studiare così tanto?" e se ne andò.
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
PRONUNCIA:
B o V, a seconda che nel centro della lettera appaia oppure no un puntino (daghesh).
Esempio BEN (figlio), EVEN ( pietra)
COSA CI RIVELA
La lettera BET rappresenta benedizione e creazione; dualità e pluralità. Dato il suo valore numerico (ghematria) di 2, la BET
rappresenta il concetto di dualità, concetto che implica diversità in ogni parte della BRIYA' (creazione). L'unicità assoluta prevale
solo nel Creatore. Letteralmente BET significa casa (BAIT), ed allude sia al punto più santo della terra, (BET HAMIKDASH, il
Tempio di Gerusalemme) sia alla casa (BAYT) dell'uomo, casa che egli può trasformare in un BET HAMIKDASH KATAN, un
santuario in miniatura.La differenza tra MIKDASH (tempio, 444) e BAYT (casa, 412) è 32, ovvero il valore numero di LEV (cuore).
Questo ci insegna che soltanto mettendo il proprio cuore in una casa si può trasformarla in un tempio.
Appare simbolicamente significante che AV (padre) ed EM (madre), entrambi iniziano con la lettera BET, mentre BEN (figlio) e
BAT (figlia) iniziano con la lettera BET. (Metzaref Dahava)
La Torah scritta inizia con la lettera BET (Bereshit...), quella orale con la lettera Mem(Meematai...). Le due lettere insieme
formano la parola BAM (di queste cose). Nella preghiera dello Shemà è scritto... vedibartà bam belechtechà baderech... - e parlerai
di queste cose (e non di altre) quando camminerai per strada...(Maghid Taalumà ) BET sta per BEYN UBEYN (tra.. e tra), ovvero
per la capacità di differenziazione e deduzione.. Questi sono i tratti intellettuali che generano la BINA' (comprensione). Rav Bunam
di Pshitcha nota che la radice di ADAM (uomo) viene da DAMA' (confronto). L'uomo è caratterizzato dalla sua capacità di
confrontare e mettere in contrasto, di distinguere e differenziare, di analizzare e comprendere. (Otzar Hachaim). BINA'
(comprensione) è anche la base dell'etica. Rav Israel Salanter diceva che la mitzvà cardinale è "non essere stupido" (Michtav
Eliyahu II,95). Egli comprese che un intelletto che ha nella radice la consapevolezza dei sentimenti degli altri è un prerequisito per
qualsiasi relazione umana.Nella Amidà, la prima richiesta per i nostri bisogni fisici e spirituali non è la preghiera di aver successo
nella nostra lotta quotidiana per il pane, ma di avere BINA' e saggezza. Dio apparve al re Salomone in sogno e gli chiese: "cosa ti
dovrei dare?", e Salomone rispose: "dai al tuo servo un cuore che comprende... in modo da poter discernere tra il male ed il bene"
(Re 3:9)
La forma della lettera BET rappresenta una casa con un lato aperto, per insegnarci che la nostra BAYT (casa) deve essere
aperta agli ospiti, come insegna la Mishnà : " Aprite le vostre case" (Avot 1:4).
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
PRONUNCIA:
G.
Esempio: GAMAL (cammello)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
D.
Esempio: DIN (giudizio).
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
H aspirata.
Esempio: HAR (monte)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
Z morbida.
Esempio: ZMAN (tempo)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
CH.
Esempio: CHALA' (pane dello Shabbat)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
T.
Esempio: TAL (rugiada)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
Y.
Esempio: YOM (giorno)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
La lettera KAF rappresenta la corona e la realizzazione. La sequenza talmudica dell'alfabeto insegna: se fai ciò
che ALEF BET GHIMEL DALET dice, cioè se studi la Torah ed agisci a fin di bene, allora HE VAV, Dio, ti
darà ZAIN HET TET YOD,sostentamento, accettazione, bontà e successione. Infine, Egli ti metterà una KETER (corona). (Shabbat
104a)
Ci sono tre corone: KETER TORA', KETER KEHUNA' e KETER MALCHUT; la corona della Torah, la corona del sacerdozio e la
corona reale, ma la quarta corona, KETER SHEM TOV (la corona del buon nome), è superiore a tutte e tre. (Avot 4:17)
Il valore numerico di KETER (corona) è 620, e rappresenta la totalità delle mitzvot - 613 ordinate dalla Torah e sette mitzvot
rabbiniche. (Guray Haari’)
k come KAF (contenitore) ha un doppio simbolismo. Esso sta per il palmo della mano che serve da contenitore ed, allo stesso
tempo, identifica la misura di quanto esso contiene. KAF quindi definisce la produttività e la realizzazione che risultano da uno
sforzo mentale o fisico, così come la YOD, che sta per YAD (mano), indica potere e possesso. (Ibn Ezra)
La benedizione della Havdalà, che separa la conclusione dello Shabbat dal passaggio al giorno lavorativo, si esegue aprendo e
chiudendo le mani di fronte alla luce della candela. La mano aperta simboleggia il riposo dello Shabbat, mentre la mano chiusa
simboleggia l'essere pronti per l'azione ed il ritorno al mondo del lavoro e della realizzazione. (Maharam Rotenburg)
Nel primo capitolo dello Shemà siamo comandati di "recitare lo Shemà e studiare Torah durante la vostra permanenza in casa"
(Deuteronomio 6:7). Il suffisso -CHA vostro, ci insegna che l'obbligo di imparare la Torah è valido sin quando sei occupato con i
tuoi affari. Comunque, se sei già occupato a fare una mitzvà, sei dispensato dall'osservare le altre, in quel momento. (Berachot
11a)
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
M.
Esempio: MAYM (acqua)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
N.
Esempio: NOACH (Noè)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
S
Esempio: SFARAD (Spagna)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
La lettera AIN rappresenta visione e percezione.
La parola AIN (occhio) fa sì che la lettera AIN significhi percezione e visione. Tra tutti gli organi, l'occhio è quello che rivela
all'uomo più di tutti. E i Saggi dicono: "l'udito non è comparabile alla vista" (Mechiltà, Esodo 19:9)
La parola AIN (correlata a MAAYAN - fonte) significa anche sorgente di acqua (Genesi 16:7). Esattamente come una sorgente
porta l'acqua dalle profondità della terra alla luce del sole, così l'occhio porta la percezione del mondo nella mente dell'uomo. (Rav
Hirsh, Genesi 3:5)
L'organo della vista rappresenta tutto l'essere dell'uomo (Nedarim 64b). Così come ogni uomo è un OLAM KATAN (mondo in
miniatura), in confronto all'universo (More Nevuchim 1:72), l'occhio è il microcosmo dell'universo. (Tanna Shmuel Akatan). L'occhio
è il mondo: il bianco rappresenta l'oceano, l'iride la terra, la pupilla è Gerusalemme e l'immagine che vede chi osserva è il Tempio.
(Derech Erez Zuta).
Così come AIN significa occhio, la parola MEEIN (come) è usata per descrivere l'essenza o la somiglianza a qualcosa. AIN
(occhio) che identifica primariamente l'organo della vista, rappresenta anche la luce, ovvero il veicolo che rende possibile la
visione. La Luce Primordiale era spirituale nella sua natura, e fu rivelata nella prima azione della creazione menzionata nella Torah.
( Zohar). Questa luce pesante era 60075 volte più potente della luce del sole (Zohar Chadash), ed è riservata ai giusti nella vita
futura. (Sefer Habair) Alcuni invece sostengono che la luce del sole sia un settimo della Luce Primordiale. (Magen David).
Rav Hirsh sostiene che, data l'intercambiabilità tra ALEF e AIN, anche OR (luce) è intercambiabile con UR (risveglio); così la luce
è l'elemento che risveglia la creazione e la porta allo sviluppo. Così come la luce fisica aiuta le piante a crescere, la luce spirituale
ed intellettuale spinge l'uomo a raggiungere il suo potenziale.
Nella calligrafia della Torah, la AIN è formata da una YOD allungata ed una ZAIN. (Beit Yossef). La ghematria delle due lettere è
17, così come il valore di TOV (bene). Questo insegna che si deve sempre guardare la gente con AIN TOVA' (buon occhio), e
giudicare gli altri favorevolmente, come dice il Salmo: "possa tu vedere il bene di Gerusalemme" (Salmi 128:5)
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
TZ.
Esempio: TZAVA' (esercito)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
Q, K
Esempio: KATAN (piccolo)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
R
Esempio: ROSH (capo)
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
COSA CI RIVELA
PRONUNCIA:
T.
Esempio: TORAH
COSA CI RIVELA
"Ragil" (Normale)
"Millui" (Riempiendosi)
Salmi 34:2-22:
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
http://www.keshet.it/rivista/sett-ott-03/pag9.htm
Ebraico e aramaico sono i tradizionali veicoli linguistici della cultura rabbinica dei primi
secoli dell'era volgare e godono di uno statuto simbolico di eccezionale dignità: per
entrambe queste lingue si usa infatti l'alfabeto ebraico, le cui lettere sono, per il mistico,
cifra conoscitiva dell'intero cosmo. Essendo l'idioma con cui è scritta la Bibbia, l'ebraico è
considerato lingua sacra. Secondo la tradizione, l'ebraico era lingua parlata da tutta
l'umanità fino a quando, dopo la costruzione della Torre di Babele, si suddivise in settanta
linguaggi.
L'alfabeto ebraico (Alef - Bet) è composto di ventidue lettere a cui vanno aggiunte
cinque lettere finali. Il carattere quadrato attualmente in uso è diverso dall'antica scrittura
ebraica. La tradizione sostiene che Ezra abbia adottato la forma attuale al ritorno
dall'esilio babilonese, mentre i caratteri più antichi avevano connotazioni diverse. Non
tutti accettano questa opinione giacché la forma delle lettere, in quanto sacra, è
considerata originaria.
C'è chi ricava messaggi dall'allitterazione dei nomi di ogni singola lettera e chi, partendo
dal fatto che ogni lettera possiede un valore numerico, interpreta ogni parola rilevando il
valore dalla somma delle lettere che lo compongono. Si possono così mettere in relazione
parole o locuzioni che hanno lo stesso valore numerico (ghematrià). L'energia racchiusa
ALFABETO EBRAICO Pagina 55
nelle lettere è il legame nascosto della molteplicità dell'esistere e la ragione ultima del
divenire. La dottrina ebraica dell'alfabeto rappresenta un vero e proprio progetto di
conoscenza, un metodo dinamico per rendere ragione del fluire dell'esperienza e
dell'infinito comporsi e scomporsi delle realtà individuali.
L'idea che l'alfabeto sia non solo uno strumento di denominazione ma anche il mezzo
per controllare la realtà e intervenire su di essa, testimonia una riflessione linguistica che
affonda le radici in un'epoca assai remota. Un gran numero di reperti materiali -
provenienti dal bacino del Mediterraneo, da tutta l'area vicino-orientale e persino dalle
zone più remote dell'Impero romano - testimonia la straordinaria diffusione dell'uso
apotropaico e magico dell'alfabeto a partire dal 2° secolo E.V. Questo orientamento
culturale mantenne il proprio vigore fino al 7° secolo E.V., quando il progressivo
affievolirsi della tradizione aramaica in Oriente, a seguito della conquista islamica, tolse
alla mistica dell'alfabeto un importante sostegno linguistico. Allo stesso modo, vennero a
mancare alcuni fondamentali riferimenti teorici a causa dello spegnersi, in Occidente,
dell'eredità gnostica ed ermetica, soffocata dalla drastica avversione cristiana. Solo
l'esoterismo musulmano e la Cabalà mantennero una fedeltà ininterrotta all'antica
speculazione sull'alfabeto.
Il Talmud (Menahot 29) attribuisce a Rabbi Akivà (2° secolo E.V.) lo studio della scienza
delle lettere, che è il cardine simbolico del pensiero ebraico e trova nell'Alfabeto da lui
scritto l'esposizione narrativa forse più compiuta. Questo testo è noto anche
come Lettere(Otiot) di Rabbi Akivà e apparve per la prima volta a stampa a
Costantinopoli senza data, ma questa edizione viene fatta risalire probabilmente al 1516 o
al 1525. Ogni lettera dell'alfabeto è raccontata nei suoi aspetti sonori e formali con
grande ricchezza di particolari: l'espediente dell'acrostico, al quale il testo largamente
ricorre, consente di ampliare in maniera straordinaria le combinazioni dei versetti della
Scrittura, aprendo la prospettiva di inesauribili significati e nessi allusivi, non solo per
quanto attiene agli aspetti fonetici, ma soprattutto per la loro valenza metafisica. Rabbi
Akivà si soffermò altresì nella disamina dei cosiddetti ornamenti delle lettere dell'alfabeto
e formulò osservazioni sul significato delle curve, degli apici e dei singoli elementi
attinenti alla forma. Pare che questa scienza abbia tratto origine da una tecnica
pedagogica usata per l'insegnamento della scrittura ai bambini.
È stato osservato che l'alfabeto ebraico ha caratteristiche che lo differenziano da tutti gli
altri. Infatti, gli alfabeti relativi ai vari linguaggi sono costituiti da una raccolta di segni
grafici disposti o casualmente o secondo convenzioni derivanti da considerazioni di
comodità o utilità, per cui, al loro interno, sarebbe possibile variare la successione delle
singole lettere. La tradizione attribuisce all'alfabeto ebraico un valore non riscontrabile in
altre culture. In esso ogni lettera, oltre alla forma grafica e al valore numerico, ha una
specifica collocazione. L'Alef - Bet non è tanto una sequela di segni grafici quanto
piuttosto rappresentazione della realtà che, ove avvenisse la più lieve variazione della
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Il Libro dei Proverbi termina con un brano (31,10-31) nel quale viene esaltata la donna
virtuosa. Il passo comprende ventidue versi disposti in ordine alfabetico, segno di ordine
e di completezza, quasi a sottolineare che la donna, più facilmente dell'uomo, può
pervenire ad alti livelli di vicinanza con Dio. È significativo il fatto che, secondo alcuni
Maestri, il brano può essere riferito non solo alla donna ma alla Provvidenza, al Sabato o
all'anima dell'uomo.
La struttura di ogni singola lettera riflette tre dimensioni: quella dello spazio, quella del
tempo e quella dell'anima umana. L'uomo, considerato un microcosmo, possiede poteri
creativi che possono essere impiegati utilizzando una appropriata tecnica di combinazioni
delle lettere dell'alfabeto. Il pensiero ebraico oscilla continuamente tra la necessità di
attenuare le pretese teurgiche di questa pratica e lo straordinario fascino che essa
esercita. Come in molte altre tradizioni culturali, le speculazioni sull'occulto si considerano
lecite solo quando sono volte a operare il bene e a favorire le creature, non a
danneggiarle. Nel novero delle azioni benefiche rientrano naturalmente la protezione dagli
influssi negativi di ogni genere (astrali, demoniaci e umani) e i rimedi alle malattie.
I Maestri della mistica ricavano da ogni dettaglio grafico delle lettere ebraiche molteplici
significati, giungendo ad attribuire a esse qualità pressoché umane tanto da riconoscere
in ogni lettera la proprietà di possedere un corpo, uno spirito, un'anima (Shabat 104). Le
lettere dell'alfabeto sono dunque ideogrammi che esprimono le energie primordiali, il
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protoplasma del creato o, secondo un'altra definizione, i mattoni della costruzione del
cosmo, e l'alfabeto è fonte di energie dinamiche e cosmogoniche. Viene anche proposta
una rispondenza tra le lettere dell'alfabeto e le articolazioni del corpo umano. Si sostiene
che la conoscenza delle diverse modalità con cui si possono combinare le lettere consente
l'avvicinamento dell'uomo a Dio, che ha creato appunto il cosmo attraverso la parola e,
pertanto, rende l'uomo capace di realizzare a sua volta forme di creazione. La richiesta
dell'Eterno ad Adamo di provvedere a dare una denominazione agli animali creati
(Genesi 2,19) può essere vista come conferma del ruolo attribuito all'uomo di prendere
parte alla creazione per ciò che attiene a elementi collegati con il linguaggio.
L'approfondimento della conoscenza del valore della parola può portare a meglio
comprendere il progetto divino della creazione e spingere l'uomo a comportamenti
corretti. Di Bezalel, l'artigiano che fu chiamato da Mosè a sovrintendere alla costruzione
del Tabernacolo (Mishkhan) nel deserto, si afferma che: "Sapeva disporre le lettere
dell'alfabeto con le quali furono creati il cielo e la terra" (Berachot 55). Il Midrash sostiene
che la saggezza di Salomone derivava dal fatto che "Conosceva le lettere divine" (Midrash
Mishlè). Questa considerazione può essere accostata a quanto detto a proposito di
Bezalel. Infatti, il primo era preposto alla costruzione delMishkhan e il secondo edificò il
Santuario di Gerusalemme.
Un'opera più recente, risalente al secolo 18°, sostiene che: "Se le lettere dell'alfabeto si
allontanassero e facessero ritorno alla loro sorgente, tutti i cieli tornerebbero al nulla"
(Tanya, Shaar Haichud, 1). Un'eco di questa dottrina è riscontrabile nel Talmud: "Diceva
Ravà: 'Se i giusti volessero, potrebbero creare il mondo. Infatti è scritto: "Sono i vostri
peccati a tenere separati voi dal vostro Dio" (Isaia 59, 2). Pertanto, senza peccato non vi
sarebbe separazione tra uomo e Dio'" (Sanhedrin 65). Il passo può indicare che l'uomo è
in grado di pervenire a elevatissimi livelli, ove sappia liberare le forze spirituali di cui
dispone dalle scorie del peccato. Lo stesso passo talmudico aggiunge che Ravà riuscì a
creare un essere umano. E, secondo Rashì lo poté fare per mezzo del Sèfer Yetzirà, che
indica come ci si possa servire delle ventidue lettere dell'alfabeto per agire sul creato.
L'uomo può utilizzare le energie divine se conosce come servirsene e non si contamina
con il peccato.
Lo Zòhar rileva che il termine Israel può essere letto come acronimo della
locuzione Yesh Shishim Ribò Otiot laTorà (la Torà contiene seicentomila lettere) (Shir
Hashirim). Orbene, seicentomila era il numero degli ebrei usciti dall'Egitto che ricevettero
la Torà. È come se ognuno di essi fosse collegato a una specifica lettera del testo.
Pertanto a ogni ebreo e a ogni lettera è affidato un compito determinato. Tutti assieme
vengono a formare un corpo ricco di potenzialità. Si dice che ogni lettera possiede la
facoltà di ridare la vita ai morti e sono molte le tradizioni secondo cui, grazie all'uso delle
lettere ebraiche, è possibile guarire e riportare in vita i defunti. Questa affermazione trae
forse origine dalla tradizione secondo cui le lettere dei testi sacri sono pressoché
immortali. Allorché Mosè spezzò le tavole: "Le lettere si dispersero nell'aria"
(Pesachin 87). Analogamente, "Se un Sèfer Torà viene bruciato, le lettere volano
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Il pensiero divino si adorna di ventidue lettere celesti. Nella tradizione cabalistica questo
pensiero si sviluppa fino a vedere nelle parole della Torà soltanto uno dei possibili modi di
aggregazione delle lettere che la compongono. L'atto creativo si esplica nel misterioso
susseguirsi delle lettere che formano l'insegnamento (Torà) dato a Israele, mentre le
parole rappresentano solo il primo e più esterno livello di lettura.
La Torà è concepita non solo come raccolta ordinata di prescrizioni rituali e di narrazioni
storiche, ma anche come un'ininterrotta serie di nomi divini, quasi un unico Nome di
inimmaginabile potenza, dal quale trae origine tutto il portento della creazione: nel suono
arcano di questo Nome, le lettere trascendono il limite provvisorio delle parole e mostrano
intatta tutta la loro forza creativa. Un Sèfer Torà da cui manchi una sola lettera, o anche
una parte di questa, è pasul cioè non adatto all'uso. Ove venisse a mancare una lettera
nel testo o un singolo individuo venisse meno alla sua funzione, ne verrebbe
compromesso l'equilibrio del cosmo.
Dunque, nel testo biblico, ogni parola al di là del suo significato letterale, ogni lettera e
ogni più piccolo dettaglio di questa, possiedono valenze solo intuibili dall'intelletto
umano."Ogni lettera può essere vista come la materializzazione di concetti astratti, come
rivestimento di valori metafisici e strumento per rivelare la vera essenza del creato; una
molteplicità di significati il cui numero corrisponde alle possibili combinazioni delle
ventidue lettere dell'alfabeto" (Shem Tov B. Shem Tov, cabalista spagnolo del secolo
14°).
"Biancore superiore" è l'espressione con la quale gli antichi testi cabalistici designano lo
stato antecedente alla creazione, allorché questa esisteva solo nella mente divina.
L'espressione è tratta dalla locuzione "La parte scoperta del bianco" di cui si parla
relativamente a Giacobbe (Genesi 30, 37). Le lettere dell'alfabeto, generalmente di colore
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È stato osservato che pressoché tutte le kinot, vale a dire le elegie liturgiche recitate nei
giorni di lutto, sono redatte in forma di acrostico alfabetico. Ma, allorché si realizzerà la
redenzione dei tempi messianici, questa scaturirà dall'Alef - Bet. Allora l'umanità intera
riprenderà a usare la lingua ebraica: tutti gli uomini faranno uso di un unico linguaggio,
quello di cui Dio si è servito per creare il mondo.
Rav Luciano Caro, rabbino capo della Comunità Ebraica di Ferrara e delle Romagne.
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Dario Giansanti
SOMMARIO
L'ebraico è una lingua appartenente al ramo semitico della grande famiglia afroasiatica. È inoltre
la lingua della Bibbia, e solo per questa ragione meriterebbe di essere studiata al di fuori dei
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circoli dei filologi e dei teologi. Lingua dalle origini remotissime, le prime tracce dell'ebraico si
trovano in antiche iscrizioni rinvenute dagli archeologi nella regione dell'odierna Palestina. In
epoca classica rimase ancora come lingua del culto, allorché la lingua della Palestina era
l'aramaico. Dopo la Diaspora degli Ebrei e la loro dispersione tra i gentili, per quasi due millenni
l'ebraico postbiblico rimase relegato nelle sinagoghe, oppure usato come lingua letteraria nelle
opere rabbiniche. Dopo la fondazione dello stato d'Israele, l'ebraico è tornato a nuova vita, caso
quasi unico nella storia delle lingue, sviluppandosi nell'odierno neoebraico.
Lingua semitica, dunque affine all'arabo, l'ebraico presenta tutte le principali caratteristiche di
questo grande gruppo linguistico. Foneticamente, uno stop glottale, una serie di aspirate e
faringali, varie consonanti faringalizzate. Dal punto di vista grammaticale predomina il
triletterismo: ogni parola è caratterizzata da tre consonanti radicali, e declinazione e
coniugazione sono affidate alle variazioni interne delle vocali. Assai simile all'arabo nel
consonantismo, l'ebraico presenta però uno sviluppo mirabile del sistema vocalico.
LESSICO FONDAMENTALE
UOMO ĀDĀM CIELO ŠĀMAYĪM ACQUA MAYĪM
DONNA IŠŠĀH TERRA ẸRẸṢ ALBERO ĒṢ
PADRE ĀB SOLE ŠẸMẸŠ CANE KẸLẸB
MADRE ĒM LUNA YĀRĒ Ḥ A
GATTO ḤĀTÛL
L'ALFABETO
Come la maggior parte delle scritture semitiche, l'alfabeto ebraico è di tipo abjad, cioè
esclusivamente consonantico. Consta infatti di 22 lettere, tutte consonanti, il cui numero e
ordine si trova già nelle Lamentazioni di Geremia e in altri carmi alfabetici della Bibbia, quali i
Salmi. La scrittura procede da destra a sinistra. Le lettere sono caratterizzate da una o più tozze
linee orizzontali dalle estremità oblique o arrotondate, connesse da linee verticali più sottili,
dalle caratteristiche estremità tracciate a forma di clava. Molto lettere hanno forme molto simili,
ragione per cui è necessario fare attenzione alla presenza di grazie e al tipo di connessione tra
elementi orizzontali o verticali.
Nelle antiche scritture, le parole non potevano essere spezzate per andare a capo (tra gli Ebrei la
parola scritta assumeva una particolare sacralità che ne impediva di fatto la frammentazione);
alcune lettere venivano peròe opportunamente allungate finché la parola non arrivava alla fine
del rigo. Negli stampati odierni quest'uso è ormai scomparso.
L'alfabeto ebraico viene ancora usato, praticamente immutato, per scrivere l'odierno neoebraico.
Nel corso dei secoli è stato anche usato per scrivere le parlate dei luoghi di residenza degli
Ebrei, come ad esempio il ladino (il dialetto spagnolo degli Ebrei di Spagna) e lo jiddisch (la
parlata tedesca degli ebrei dell'Europa centro-orientale).
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IL SISTEMA CONSONANTICO
Il sistema presenta le tipiche classi di suoni (aspirate, glottidali e faringali) delle lingue
semitiche. In particolare notiamo l'importante lettera segnata in trascrizione con lo spirito dolce
del greco:
Si tratta della famosa ālẹp, l'importante consonante muta tipica delle lingue semitice, compreso
l'antico egiziano. All'inizio di parola funge semplicemente da aggancio vocalico (in questo caso
viene omessa in trascrizione), mentre nel mezzo della parola corrisponde invece a un colpo di
glottide, praticamente ad un istantaneo arresto nell'emissione del suono.
Queste due lettere sono rispettivamente la faringale sorda e sonora, quest'ultima resa in
trascrizione come lo spirito aspro del greco. Il loro punto di articolazione è più arretrato di
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quanto non sia per h. Consistono in una sorta di raschio ottenuto col passaggio forzato dell'aria
attraverso la gola. In particolare, la sorda ḥ [ḥēt] suona come una specie di hfortemente
strozzata, mentre la sonora ´ [´ayin] si ode come un curioso schiacciamento della vocale
successiva.
È una consonante uvulare, una sorta di k articolata in fondo al velo palatino, simile
alla c italiana di "cubo". La lettera q [qōp] va tenuta ben distinta da k che è invece il normale
suono velare di "china".
Le consonanti faringalizzate formano un gruppo tipico delle lingue semitiche. Tale gruppo si era
piuttosto ridotto nell'ebraico biblico, dove rimanevano soltanto le consonanti ṭ e ṣ [ṭēte ṣādẹ] a
costituire le rispettive forme faringalizzate delle normali dentali t ed s.
La penultima lettera, anch'essa una sibilante, consiste in realtà in due lettere. Sta a distinguerle la
posizione di un punto posto sopra la lettera, anteriormente o posteriormente: ś [ śīn] si pronuncia
ancora come la s sorda di "sole", mentre š [ šīn] corrisponde al suono sc(i) dell'italiano
"sciocco".
DĀGẸŠ LENE
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Un punto posto nel corpo della lettera, chiamato dāgẹş serve a distinguere l'intensità della
pronuncia delle consonanti, in diversi modi, come ora vedremo.
Un asse di opposizione, nella fonetica ebraica, gioca sul contrasto tra consonanti occlusive e
fricative. Essa riguarda le sei consonanti b g d k p t [bēt, gimẹl, dālẹt, kap, pē e tāw], le quali
possono presentare sia la pronuncia occlusiva che quella fricativa.
Si chiama dāgẹş lene il punto, posto nel corpo della lettera, che attua la distinzione:
Quando tali consonante sono prive del dāgẹş lene, la durata del loro suono si prolunga nel tempo
e da occlusive si trasformano nelle rispettive fricative. In trascrizione vengono talvolta
segnate bh gh dh kh ph th (o utilizzando v ed f in luogo di bh ed ph), ma più correttamente si
usa porre una lineetta sotto la lettera per indicarne l'avvenuta trasformazione:
Nel caso delle occlusive labiali p e b, il loro suono viene adesso soffiato tra le labbra,
arretrando contemporaneamente in posizione labiodentale, sicché le rispettive
fricative pe b vengono a udirsi come la f italiana di "faro" e la v italiana di "vento".
Nel caso delle occlusive dentali t e d, le rispettive fricative t e d finiscono per
rassomigliare al th sordo e sonoro dell'inglese "thing" e "that".
Nel caso delle occlusive velari sorda e sonora k e g, le rispettive
fricative k e g corrispondono al ch tedesco di "Bach" e alla g spagnola di "general".
DĀGẸŠ FORTE
Come il lene, il dāgẹš forte consiste anch'esso in un punto posto nel corpo della lettera, ma in
questo caso nota la geminazione della consonante, che viene ad avere un suono rafforzato.
CONSONANTI FINALI
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SCHEMA GENERALE
Ed ecco uno spaccato generale dell'alfabeto ebraico, con le forme alternative e la loro pronuncia:
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SISTEMA VOCALICO
L'ebraico, al contrario dell'altra grande lingua semitica, l'arabo, che è piuttosto povera di vocali,
presenta uno spettro vocalico insolitamente ricco e variegato. Le vocali fondamentali sono sette:
In ebraico le vocali possono essere brevissime, brevi, medie e lunghe. Tra i vari gruppi vi è
differenza non solo di lunghezza, ma anche di colore, essendo le vocali brevi e brevissime
generalmente aperte, mentre le medie e le lunghe sono chiuse. Tra medie e lunghe, inoltre, non
v'è differenza di lunghezza, essendo entrambe le classi pronunciate ugualmente lunghe; la
differenza piuttosto è etimologica, essendo le lunghe derivate da antichi dittonghi. Non tutti i
gruppi comprendono le sette vocali, come ora vedremo.
VOCALI BREVI
Ne sortì un sistema assai preciso e complicato, per quattro serie di vocali: lunghe, medie, brevi e
indistinte.
VOCALI MEDIE
Si sarà notato che ci sono due segni in comune tra la serie delle brevi e quella delle medie;
il qāmẹṣ indica qui la ā media e là la o breve, l'ḥîrẹq indica qui la ī media e là la i breve. In
pratica, però, non esiste confusione perché le vocali medie e brevi càpitano in contesti diversi
(ma qui il discorso si fa complicato giacché entra in gioco la posizione dell'accento tonico e il
tipo di sillaba). In caso di ambiguità si usa un segno chiamato mẹtẹg "freno", il cui compito è di
rallentare la velocità di pronuncia del qāmẹṣ o del l'ḥîrẹq, distinguendo così le brevi dalle medie.
VOCALI LUNGHE
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Esempi:
VOCALI BREVISSIME
Lo šewa mobile è due specie: lo šewa "semplice", indicato per segnare la vocale semimuta
(la e francese di "petit"), e lo šewa "composto", così chiamato perché combinato
conpataḥ, segōl e qāmẹṣ forma una serie di tre semimute colorate rispettivamente con le vocali a
e o e pronunziate assai rapidamente.
Esempi:
ASSENZA DI VOCALE
Identico nell'aspetto allo šewa mobile, che nota la vocale semimuta, è lo šewa quiescente, che
indica in realtà assenza assoluta di suono vocalico.
Di norma lo šewa quiescente non viene mai segnato nelle consonanti finali di parola, tranne che
nella kap (si vedo l'esempio precedente).
VOCALE FURTIVA
IL MAQQẸF
Il maqqẹf è una linea grassetta posta in alto tra due parole per formarne un gruppo fonetico. In
tal caso la parola che precede il maqqẹf perde l'accento, diviene proclitica e spesso è costretta ad
abbreviare qualche sua vocale.
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ACCENTAZIONE
1. Funzione musicale, per indicare il tono recitativo con cui il testo sacro doveva venir letto.
Col tempo però la nozione melodica è andata perduta.
2. Funzione tonica, in quanto indicavano la sillaba su cui poggiava l'accento tonico delle
singole parole (e questo un po' come in italiano).
3. Funzione pausale, per correlare le parti del periodo e guidare all'esatta comprensione del
testo. Gli accenti pausali potevano essere sia disgiuntivi per separare gli elementi del
periodo (e in questo erano analoghi ai nostri punti d'interpuntizione), sia congiuntivi per
indicare il nesso esistente tra una parola e la seguente.
La bizzarria di questo sistema, almeno dal nostro punto di vista, sta nel fatto che in pratica nella
scrittura ebraica il "punto" e la "virgola" non vanno messi alla fine del periodo, ma come accenti
sulla sillaba tonica dell'ultima parola.
Vi erano inoltre accenti non tonici, che venivano applicati alla lettera iniziale o finale della
parola (si parla dunque di accenti prepositivi o pospositivi) senza riguardo alla sillaba tonica.
Si tenga comunque presente che nei tre libri poetici della Bibbia (Salmi, Giobbe, Proverbi), il
sistema di accenti era differente. Se nel verso vi erano due grandi pause, queste erano segnate
dai seguenti accenti:
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Attenzione. In certi casi, alcuni accenti (come zāqēp) venivano disposti su una qualunque lettera,
senza riguardo alla reale accentuazione, ma semplicemente per distinguere quella parola da
un'altra omofona.
IL MẸTẸG O "FRENO"
L'accento mẹtẹg ["freno"] è una linea verticale simile al sillûq che, posta sotto una vocale media
o lunga, indica che su quella vocale cade un accento secondario.
Il mẹtẹg è molto utile perché, per una serie di motivi legati al fonetismo degli accenti, aiuta a
fare molte importanti distinzioni.
Una vocale col mẹtẹg è spesso separata dalla tonica da uno šewa mobile: il mẹtẹg è dunque un
indizio sicuro per identificare lo š wa mobile; in assenza del mẹtẹg si ha invece lo šewa
e
quiescente.
Inoltre, cadendo soltanto su vocali medie o lunghe, il mẹtẹg aiuta a distinguere quelle mozioni
vocaliche che possono essere facilmente confuse, per esempio la ā media dal la o breve (indicate
entrambe dal qāmẹṣ) o la ī media dalla i breve (indicate entrambe dall'ḥîrẹq).
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In certi punti sembrava ai massoreti che il Testo Sacro fosse errato, e quindi fu creato un
apposito diacritico per l'errata corrige. Questo segno, chiamato qerê (un cerchietto posto sulla
parola sbagliata), rimanda infatti alla lettura corretta che veniva scritta al lato del testo. Vi era il
segno di modificazione, dove la parola andava sostituita con un'altra, il segno di inserzione di
una parola mancante, il segno di soppressione di una parola superflua.
Vi era infine il qerê perpetuo per alcune parole più frequenti, in cui la parola stessa veniva
corretta direttamente nel testo.
SEGNI D'INTERPUNTIZIONE
L'unico vero segno d'interpuntizione nell'ebraico biblico è il cosiddetto sôp pasûq, due punti che
venivano posti a segnare la fine del verso.
L'ebraico (come del resto il greco) attribuiva alle lettere dei particolari valori numerici, sicché in
ebraico si potevano esprimere numeri usando appunto le lettere. Il sistema di numerazione era
puramente addittivo.
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Il fatto di poter convertire le lettere in numeri e viceversa ha portato, nella mistica ebraica,
all'importante metodo divinatorio detto "gematria", dove si cercavano relazioni tra parole e nomi
della Bibbia correlandone i valori numerici e viceversa. Si tratta di un campo d'indagine
affascinante, che presenta molti addentellati con le più complesse teorie cabalistiche. Il poco
spazio a disposizione impedisce di approfondire questo interessante discorso.
IL NOME DI DIO
Ēl ["dio"] è un termine generico, valido tanto per Dio quanto per qualunque divinità pagana.
Stupirà sapere che la Genesi usa anche, nei confronti di Dio, il termine Ẹ̆lōhîm, che altri non è
che il plurale di Ēl; il verbo però viene sempre messo al singolare.
In Esodo (3: 14), Dio stesso parlando a Mosè si nomina Ẹhyẹh ["Io sono"], da cui il termine
derivato Hāyāh ["È", "Colui che è"].
In quanto al vero Nome Divino, esso non veniva mai pronunciato. Nel citarlo, le copie della
Bibbia usavano il nudo scheletro consonantico YHWH, tralasciandone volutamente le vocali. È il
cosiddetto Tetragramma, che tanto importanza avrebbe avuto in seguito nella mistica ebraica:
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I massoreti introdussero nel testo biblico un q rê perpetuo e fecero in modo che, al fine di poter
e
leggere i versi, alle consonanti del Nome venisse data la vocalizzazione di Ădōnāy.
Fu così che, con alcuni passaggi fonetici, il Tetragramma assunse la pronuncia di Y hōwāh, che
e
in realtà è solo una lettura convenzionale, ma non è la vera pronuncia del Nome. Quale che sia,
la vera pronuncia è dimenticata. È inutile riferire qui le argomentazioni dei biblisti, che
pretendono di ricostruire il Nome Sacro da sottili analisi filologiche e fonetiche, aiutandosi dagli
accenni degli scrittori classici. Per quel che mi riguarda, se gli Ebrei hanno voluto nascondere il
nome del loro Dio, avranno avuto le loro buone ragioni.
PATRIARCHI E RE BIBLICI
Concludiamo il nostro lavoro, dando la forma originale del nome di alcuni dei più noti patriarchi
e re biblici:
UN MONDO DI SCRITTURE
Le scritture ebraiche: Alfabeto Ebraico Biblico
Le scritture ebraiche: Alfabeto Neoebraico
Le scritture arabiche: Introduzione
Le scritture arabiche: Alfabeto Sudarabo
Le scritture arabiche: Alfabeto Arabo
Le scritture arabiche: Alfabeto Persiano
L'ANGOLO DI DARIO
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