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INTRODUZIONE ALLA CABALA

LE QUALITÀ DELLE SEPHIROT

Hator Go-Rex

Tratto dall’interpretazione della Torah, ossia il Pentateuco, i primi cinque libri


dell’Antico Testamento scritti da Mosè in cui è esposta
la Legge divina, l’insegnamento cabalistico è sostan-
zialmente finalizzato alla comprensione della natura
di Dio attraverso lo studio della creazione e delle forze
che la governano. Penetrando il senso profondo e non
meramente letterale della Torah la narrazione biblica
si rivela, secondo la Cabala, come l’espressione com-
pleta della manifestazione divina, ogni verso, ricco di
arcano significato, cela una sfumatura della dinamica
interazione tra le potenze divine e il mondo, attuata
per la Cabala ebraica attraverso l’emanazione delle Se-
phirot. La loro origine, ossia il nocciolo primordiale
da cui nasce ogni cosa, l’Ain-Soph (senza fine), es-
sendo un concetto umanamente inaccessibile anche alla contemplazione più profonda, è
quindi per noi deducibile unicamente attraverso lo studio della natura finita delle cose,
percorrendone a ritroso il movimento di esternazione fino all’origine e viceversa, poiché

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“Tutto proviene dall’Uno e tutto ritorna all’Uno’. La
spinta iniziale del principio creativo è denominata
Volontà infinita o primeva, scaturita dal desiderio di-
vino di manifestarsi, precede quindi il pensiero at-
traverso cui, poi, si farà atto. La volontà si evolve
in idea e l’idea in azione, l’Ain-soph, l’unità ema-
nante, in tal modo si separa rivelandosi via via
nella generazione delle Sephirot che rappresentano
i vari stadi d’irradiazione in cui Egli, man mano,
scopre se stesso dall’infinito al finito. Le Sfere,
emerse dalla sostanza divina nel suo traboccare,
sono quindi veri e propri ‘contenitori’ delle potenze
di Dio. Un’attenta traduzione della frase iniziale
della Genesi biblica “Beeshit Barà Elohim Et Ashmain
Veet Haaretz”, vede la parola Elohim come l’unione
di un articolo singolare el con un sostantivo plurale
ohim e tradotta quindi con “Egli-gli Dei”, analoga-
mente il verbo Barà, sulla base dell’integrazione
masoretica e con un occhio rivolto ai principi qabbalistici, tradotto con emanò, come spiega
Apis nel saggio introduttivo del libro “Gli illuminati nella società umana”, delineano un si-
gnificato quale: “Il Principio Primo creò, per emanazione, gli dei da cui furono formati cielo e
terra”. Tale concetto di emanatismo non è riscontrato solo nella Cabala ma ridonda in
varie dottrine, ad esempio nel sufismo, nella filosofia greca, nell’enoteismo egizio la cui
teologia menphitica vede Ptah come Principio Supremo Creatore da cui hanno origine
tutte le altre divinità.
Nel neoplatonismo, secondo Plotino, l’Ain-Soph, essendo perfetto, bastando a se
stesso e non avendo quindi alcuna necessità di creare, trova tale spinta nella sua fertile
sovrabbondanza, come una fonte che riempie il suo ba-
cino e quando straripa da esso alimenta un'altra fonte,
che a sua volta riempie il proprio bacino e straripa,
spiega egregiamente il concetto Dion Fortune nel
suo scritto “La cabala mistica”. L’Uno tracima quindi
della sua sostanza che, dividendosi, perde la per-
fezione iniziale dando origine alle Sephirot che rap-
presentano la sequenzialità dei piani dell’esistenza,
dai più sottili e completi, ai più grossolani e imper-
fetti, intesi come stati differenti di consapevolezza
e percepiti in rapporto all’espansione coscienziale
raggiunta dell’essere. Le Sfere sono strumenti pre-
ziosi per l’evoluzione interiore, a ognuna viene cor-
risposto uno dei dieci nomi di Potere dell’Ineffabile
che, utilizzati nelle operazioni magiche, invocano
le potenze divine nella loro essenza più spirituale.
Per comprenderle al meglio va analizzata la
radice ebraica da cui proviene tale denominazione,

– Peh – Resh ‫ )רפס‬i cui tre significati principali


Sefirà, Sepiroth al plurale, deriva da Safar (Samekh

sono: numero, libro o storia, luce. Per quanto ri-

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guarda il numero (Mispar ‫ )רפסמ‬possiamo a esse
associare le qualità, intese come valore esoterico,

di libro (Sefer o racconto) ‫( פסמ‬Sippur ‫ )רפיס‬come


espresse nei primi dieci numeri interi; nell’aspetto

importanti testi contenenti miti, avvenimenti, sim-


boli, tradizioni e quindi portatrici di tali saggezze;

‫ )ריפס‬come centri irradianti il riflesso della Co-


nell’aspetto di luce o pietra preziosa (Sapir, zaffiro

scienza Divina capaci di arricchire coloro che ne ac-


quisiscono le proprietà.
Le dieci Sephirot sono ripartite nell'albero
cabalistico su tre colonne, sulle due laterali quelle
corrispondenti alle funzionalità energetiche, ma-
schili nel pilastro della misericordia e femminili in
quello della severità, mentre le Sfere collocate sul
pilastro centrale i livelli di consapevolezza rag-
giunti nell'equilibrio delle suddette forze opposte;
Daath, la Sephirot occulta, posta tra Kether e Tiphereth nel così detto abisso, è la porta di
passaggio allo stato di coscienza più elevato raggiungibile dall’anima umana in cui il sa-
pere e l’Essere si fondono nell’emersione del Sé e nella vera e propria comunione con il
Divino.
Tale disposizione macrocosmica si rispecchia in un preciso riferimento microco-
smico, come viene detto nel secondo capitolo della Genesi Dio creò infatti l’uomo a sua
immagine e somiglianza e l’albero cabalistico delinea appunto l’Adam Qadmon, l’uomo
primordiale.
Il triangolo formato dalle prime tre Sfere Kether, Cokhmah e Binah, detto superno
corrisponde alla testa che, assieme alla coppia successiva Chesed e Geburah, le braccia,
delineano l'Io Superiore; Tipharet, la quinta Sfera, si trova nel centro del glifo ed è il tronco
microcosmico, il punto di contatto con l'io inferiore o personalità, composto da Netzach,
Hod, le gambe, Yesod è il fallo, il pilastro cosmico e generatore in cui tutte le potenze su-
periori vengono incanalate per prendere forma in Malkuth, il Regno, culmine e obbliga-
torio passaggio per risalire al Divino come suggerisce lo Zohar “Chi entra, deve farlo
attraverso questa porta”.
Le triadi sono formate da coppie di Sephirot le cui forze opposte si equilibrano
nella terza. I quattro inferiori rappresentano tutto ciò che è ingabbiato nella forma mentre
i sei superiori i loro principi archetipali e metafisici. Le Sfere, che nell'insieme formano il
glifo dell'Albero della Vita, sono collegate le une alle altre da 22 linee chiamate sentieri,
corrispondenti alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, non a caso lo studio della Ghematria è
fondamentale per ogni cabalista; tali vie (22 sentieri+10 Sephirot) sono i canali attraverso
cui Dio scende nell’uomo e viceversa, nel percorso inverso di reintegrazione, con cui
l’uomo può ascendere alla Divinità.
L'Albero, considerato da un punto di vista iniziatico, è il nesso tra il microcosmo, che è
l'uomo, e il macrocosmo, che è Dio reso manifesto nella Natura, spiega Dion Fortune nella sua
opera “La Cabala mistica”.
Le Sephirot sono talvolta paragonate a dei veli o delle vesti che man mano coprono,
attenuando, la luce dell’Ain-Soph poiché l’uomo, allo stato attuale di coscienza, non è in
grado di sopportarne la diretta intensità luminosa se non attraverso un’ascesa graduale,
di Sfera in Sfera, come fossero gradini di una scala ciascuno rappresentante un grado su-

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periore di illuminazione. Ogni Sephirot è
un mondo a sé, pur rispecchiandosi le une
nelle altre si differenziano tra loro dalle
forze archetipali contenute. La loro diffi-
coltà interpretativa, dovuta alle molteplici
interazioni e agli altrettanto diversi rag-
gruppamenti in cui possono essere consi-
derate, rende il loro simbolismo dinamico
e poliedrico, in quanto non può limitarsi a
quello della singola Sfera ma va osservato
in un modo più ampio e relativo allo
schema di differente correlazione preso in
esame. Essenzialmente sono almeno sei gli
aspetti da considerare per comprendere in
modo completo ciascuna: la sua facciata in-
dipendente, quella della Sfera emanante,
l’influenza di quest’ultima, le proprietà
delle Sephirot che la precedono e in essa
quindi contenute, il suo potere di emana-
zione in base all’insieme di questi fattori e
il suo aspetto contenuto nella Sephirot da
lei emanata; da queste correlazioni si intui-
sce che, oltre il flusso di emanazione di-
scendente dall’alto verso il basso, ve ne sia anche uno inverso e ascendente,
un’interconnessione ritmica tra causa che si fa effetto e da effetto che ritorna come causa.
Inoltre ogni Sephirot ha un ulteriore quadruplice natura rispettiva ai quattro mondi ca-
balistici intesi come quattro diverse fasi della Creazione: Atziluth, il Mondo Archetipale,
Divino, del puro spirito o delle Emanazioni dove vengono concepite le idee che daranno
vita al Cosmo - Briah, Il Mondo della Creazione, chiamato anche Khorsia, il Mondo dei
Troni, la mente archetipale della nel quale avviene la progettazione - Yetzirah, il Mondo
della Formazione e degli Angeli, dell’immagine e della coscienza astrale dove tali progetti
vengono disegnati- Assiah, il Mondo dell'Azione, della Materia, nel suo aspetto denso e
sottile e dove ogni cosa prende forma; tali mondi non sono da intendere come separati
bensì compenetranti l’uno nell’altro.
Vediamo ora l'ordine di emanazione dall’alto verso il basso, le denominazioni e le
caratteristiche principali di ognuna.
1) Kether è “l’Uno”, la prima manifestazione dell’Ain-Soph, il senza forma in cui
non vi è dualità, è l’immoto equilibrio raggiunto degli opposti; viene chiamato Corona e
corrisponde microcosmicamente al Shamsara Chakra, il loto dei mille petali che
si trova appunto sopra il capo, anello di congiunzione tra corpo e mondo
spirituali, e nel parallelo sephirotico tra il cosmo e l’infinito. Lo stato del-
l’essere corrispondente a tale Sfera è il fine ultimo, ossia la comunione
con il Creatore, il limite consentito di ogni esperienza mistica poiché al
di là di essa vi è l’infinito, insondabile e incomprensibile per qualsiasi
coscienza umana. Kether è il punto di concentrazione dell’Ain-Soph da
cui traboccano tutte le Sue forze, è la Sfera che contiene in sé tutto il
mondo manifesto e ogni suo stato dell’essere. La virtù di Kether quindi è,
parlando in termini alchemici, il compimento della Grande Opera. Eheieh, Io Sono
Colui Che Sono, puro essere, è il nome di Dio in Kether.

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2) Cokhmah la saggezza; se Kether è il potenziale la sua prima manifestazione sarà
una forza dinamica, attiva, fecondatrice. Cokhmah è quindi il Padre archetipale, il ma-
schile, l’energia generatrice ma per comprenderla appieno va considerata nell’interazione
con la terza Sephirot, Binah, l’organizzatrice della forza, il femminile, colei che stabilizza
e dà forma a tale energia, l’utero primordiale e metafisico. Da queste due
Sfere, e quindi dalla prima congiunzione tra le forze contrarie dei Superni,
si intesse tutta la vita del cosmo, sono poste al vertice dei due pilastri la-
terali quello positivo della grazia, intesa come forza creatrice, e quello
negativo della severità, intesa come costruttrice di forma mediante la
delimitazione dell’energia in un contenitore.
In Chokmah vige quindi l’azione fecondatrice, la Parola intesa
come Verbo, la matrice vitale che si impianta nell’utero cosmico da cui
viene organizzata e costruita. A tale Sephirot viene attribuito il nome di Dio
Jehova, il Testo yetziratico chiama Chokmah “Intelligenza Illuminante”, possiamo associarla
alle parole bibliche “Sia fatta la Luce”, a un lampo, un’intuizione che fa brillare l’intelletto.
3) Binah "intelligenza o comprensione”; è la terza Sephirot del triangolo superno,
rappresenta il femminile, la matrice delle forme archetipali stabilizzante la forza creativa
di Chokmah. Posta al vertice del pilastro della severità essa la rappresenta in quanto di-
sciplinante un’energia che altrimenti si perderebbe nel cosmo senza manifestarsi, in Binha
nascono gli archetipi della materia che troveranno sviluppo finale nella sfera di Malkuth.
A tale Sfera viene inoltre attribuita la generazione della fede poiché contiene una verità
esistente ma non ancora manifesta, parallelamente la fede è per l’appunto un'adesione
fondata su di una realtà invisibile che si ritiene possibile, seppur sconosciuta.
A Binah corrisponde la virtù del silenzio, della ricettività, il cui vizio, in-
teso come avarizia, sta nel suo eccesso divenendone la qualità negativa.
Il nome di potere a lei attribuito è Jehovah Elohim.
Da ciò fin ora esposto si evince la complementarietà delle due
Sfere, ciascuna contenente una potenzialità essenziale affinchè si mani-
festi, nella loro congiunzione, l’aspetto creativo. Per intenderci meglio
potremmo paragonare Chokmah alla benzina e Binah al motore, e com-
prendere in tale familiare metafora come l'impulso energetico andrebbe per-
duto se non trovasse un contenitore in cui venire raccolto, organizzato e quindi trasmesso;
lo stesso raffronto si può fare con l'apparato riproduttivo dove la qualità generatrice ma-
schile, necessita di fecondare quella incubatrice femminile affinché avvenga la nascita. Il
signore ha fatto la donna dalla saggezza dell'uomo e così lei è l'incarnazione della saggezza animata
dal sentimento d'amore; ed il sentimento d'amore è la vita stessa, così la donna è la scintilla della
vita nella saggezza, mentre l'uomo è la saggezza, scrive Emanuel Swedemborg nella sua opera
“Conversazioni con gli angeli”, riferendosi proprio al maschile e al femminile nella loro mas-
sima espressione metafisica, quella delle due Sephirot.
4) Chesed, grazia; la quarta sfera contiene la grazia equilibrante la severità di Ge-
burah, in essa ha inizio il mondo manifesto e, diversamente dai tre precedenti
superni solamente intuibili, Chesed è uno stato di consapevolezza raggiun-
gibile attraverso una vera e propria esperienza. Da qui il concetto astratto
formulato in Binah comincia a concretizzarsi, l'idea archetipale si svi-
luppa nell'immagine di un atto futuro che verrà via via realizzato nella
discesa dei piani. In tale stato coscienziale si ricevono le influenze dei
Maestri non incarnati, tali ispirazioni si indirizzano al favore collettivo
e non individuale e per farsene tramite indispensabile è quindi avere sa-
crificato completamente il proprio egoismo. La quarta Sephirot viene detta

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dell’intelligenza Coesiva, la sua virtù è l’obbedienza, il nome di Potere è El.
5) Geburah, forza, severità; per comprendere la quinta sfera, chiamata anche il Sa-
cerdote sacrificale o il Distruttore e le sue qualità apparentemente negative, va capito in-
nanzitutto il significato più profondo della parola sacrificio, inteso come la libera e
cosciente rinuncia a un qualcosa per beneficiarne un altra, un necessario co-
raggioso abbandono paragonabile metaforicamente alla potatura di una
pianta. Proviamo a pensare come l'eccesso di ogni qualità divenga dele-
terio, persino negativizzante, ad esempio una smisurata indulgenza sfo-
cerebbe in buonismo, la troppa pazienza in debolezza, una smodata
passione in follia, l'eccessiva forza in crudeltà ed è proprio qui che in-
terviene la severità di Geburah, nel limitare o incrementare l'una o l'altra
mantenendo l’equilibrio attraverso la disciplina, poiché tutto necessita del
giusto rigore, anche l'amore. Questa Sephirot ci mostra due importanti valori,
l'obbedienza e la rinuncia, da comprendere attraverso le esperienze restrittive che la vita
ci offre, distruttive in apparenza per ciò che riguarda la realtà temporale, ma costruttive
al servizio di ciò che è eterno, essa insegna inoltre la giusta visione e manipolazione del
potere e della potenza. Il nome ineffabile a Lei corrisposto è Elohim Gebor.
6) Tipharet, bellezza o compassione; posta al centro dell’Albero rappresenta il punto
di contatto tra l'Io superiore e quello inferiore, a essa sono correlati i Misteri della Croce-
fissione poiché Dio vi discende manifestandosi nella consapevolezza umana tramite il fi-
glio Gesù-Cristo. In questa Sephirot si esplica la comprensione del sacrificio inteso come
morte eroica, atto sprigionante una forza di redenzione necessaria a riequilibrare e redi-
mere le forze avverse del Regno. Per comprenderne meglio il significato dob-
biamo prendere nuovamente in esame la qualità del sacrificio già
riscontrata in Geburah nel suo senso magico-trasmutatorio, ossia come
trasformazione dell'energia liberata da una forma, affinchè ne com-
ponga un'altra in un fine non egoistico, un dare per gli altri, e nell'apice
del suo significato, un donare se stessi partecipando all'ideale più ele-
vato, quello della reintegrazione universale; per opposto il vizio asse-
gnato a Tipharet è l'orgoglio. Trovandosi sul pilastro centrale, indica uno
stato di consapevolezza, un’illuminazione superiore e non più relativa alle
esperienze sensoriali, caratteristica delle quattro Sephirot sottostanti. Nel raggiungere tale
sfera si acquisisce la vera veggenza udendo la voce dell'Io superiore, e quindi dello stesso
Creatore essendo Tipharet il riflesso di Kether, nonchè l’intermediario tra macrocosmo e
microcosmo; in ebraico significa bellezza, intesa come armonia delle proporzioni. Il suo
nome ineffabile è Tetragrammaton Aloah Va Daath.
7) Nezach, costanza, vittoria; detta anche Sfera di Venere, rappresenta gli istinti emo-
zionali, da essa genera la forza primaria che muove ogni essere, l’istinto naturale, le ener-
gie sessuali, capaci sia di elevare che frammentare l’individuo a seconda dello stato
superiore o infimo che le pervade. In questa Sfera ha sede l’amore in tutte le sue variegate
sfumature, dalle più spirituali alle più fisiche. Netzach e Hod, la Sfera che la
segue, parallelamente alle coppie superiori, rappresentano energia e strut-
tura agenti stavolta non su di un piano puramente metafisico ma su
quello della manifestazione. Hod rappresenta l’intelletto, e Netzach la
forza che in esso si attiva creando delle vere e proprie forme pensiero,
senza questa energia che dinamizza la mente immaginifica, vivifican-
dola, Hod rimarrebbe sterile, teorica. Il suo nome di potere è Jehovah
Tzabaoth, il Signore degli Eserciti.
8) Hod, maestà, gloria; come abbiamo visto è strettamente correlata a

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Netzach, le due Sephirot agiscono e si muovono nel piano astrale, ossia quello emotivo
originando, attraverso la loro unione, il desiderio. Il flusso discendente di tale emanazione,
una volta raggiunto Malkuth, risale portando in esse il riflesso delle esperienze sensoriali
tratte dal Regno, da ciò si intuisce quanto le Sfere ne siano influenzate e come il piano
astrale di conseguenza sia un vero e proprio ricettacolo di psico-creature ge-
nerate dalla mente dell’uomo, assioma che ricorda e ridonda nella Tavola
di smeraldo: “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come
ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola”.
Hod ha la capacità di sublimare, direzionare, controllare la forza
dinamica di Netzach inibendo la natura animale e istintiva attraverso il
raziocinio. In lingua ebraica significa gloria, poiché proprio in essa le
forze naturali prendono forma e l’iniziato, raggiunta tale sfera di consape-
volezza, riuscirà a scorgere in ogni elemento della natura lo splendore e quindi
la gloria di Dio. Hod è la sfera attribuita a Mercurio-Ermete, dio della scienza e dei libri,
dell’intelletto e quindi della Verità celata in ogni cosa, il suo vizio in opposizione è quindi
l’imbroglio, l’illusione, la falsità. Il suo appellativo ineffabile è Elohim Tzabaoth, il Dio
delle Schiere.
9) Yesod, fondamento; questa Sfera è il vero e proprio trasmettitore nonchè il ricet-
tacolo di tutte le emanazioni precedenti che culminano attraverso di essa nel regno, Mal-
kuth. Viene infatti descritta come la sfera che regola il meccanismo dell'universo la cui
base, partecipe sia del mondo materiale che mentale, è l'Akasha o l'Etere del Saggio, il
quinto elemento, non manifesto, in cui trovano spiegazione gli altri quattro. Magicamente,
ogni operazione il cui effetto deve trovare riscontro nel mondo fisico, va ef-
fettuata attraverso Yesod, poichè essa, e quindi il piano astrale, è il tramite
tra Spirito e materia, in quanto l'uno non può agire direttamente sull'al-
tro, ma solo attraverso la mente, tramite l'etere, il regno riceve gli influssi
divini. Yesod è chiamata anche Sfera della Luna, e collegata quindi al-
l'astro che parallelamente riflette la luce solare in Malkuth, questi in-
flussi, dette maree lunari, crescono e decrescono in un ciclo di ventotto
giorni raggiungendo l'apice della loro intensità al plenilunio, regolando in
ampia misura sia i processi fisiologici che le operazioni magiche. Il suo nome
di potere è Shaddai el Chai, l'Onnipotente Dio Vivente.
10) Malkhut, regno; si può notare dal glifo che, diversamente dalle precedenti, que-
sta Sfera non fa parte di alcuna triade, posizionata all’estremità del pilastro centrale, a cui
convergono anche i due laterali, contiene e condensa l’insieme di tutte le emanazioni pre-
cedenti e va considerata in particolare relazione con l'unica a lei direttamente collegata,
Yesod. Malkuth viene denominata Madre inferiore in quanto, come Binah (Madre supe-
riore) fa con Cokhmah, è in grado di racchiudere le energie vitali di Yesod donando loro
in tal modo una forma. Malkuth è il nadir dell'evoluzione, ma esso dovrebbe essere considerato
non come l'infimo abisso della materialità, ma come la boa di virata di una regata. Qualsiasi yacht
prenda la via di casa prima di aver girato la boa viene squalificato. Lo stesso è del-
l'anima, spiega metaforicamente Dion Fortune nella sua “Cabala Mistica”
volendo indicare la caduta come un processo necessario alla risalita in
quanto l’animo umano, proprio attraverso le esperienze sensoriali, avrà
modo di imparare a disciplinarsi, correggersi, dominarsi e infine tra-
scendere la materia ascendendo verso l'Unità con consapevolezza. Da
questo si intuisce l'estrema importanza che le varie incarnazioni posseg-
gono in tale processo essendo quindi l'unico modo in cui trarre i giusti
insegnamenti per la nostra rettificazione, le prove che la vita ci offre altro

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non sono che gradini per un’evoluzione spirituale. Il nome di potere di Malkuth è Adonai
Melekh o Adonai ha Aretz.

Da quanto fin ora detto si intuisce come l'emanazione esplichi una continuità tra
emanatore ed emanato e come perciò ogni essere sia parte della divinità, il limite nel com-
prendere tale verità risiede quindi nella mancata e scarsa cognizione mentale, incapace
di scorgere la reale essenza di ogni cosa. L’idea che “Dio sia l’anima delle anime” ne dichiara
la consustanzialità a quella umana, seppur intesa come neshamah, ossia nella sua parte
più alta (nefesh) non contingente al corpo, che non discende affatto nei mondi inferiori
ma che li irradia e incapace di peccare, un modus operandi che vede quindi Dio in essa, e
quindi nel mondo ma allo stesso tempo fuori da esso. L’uomo tuttavia non percepisce il
divino che è in lui finché non comincia la propria rettificazione e il conseguente percorso
di ascesa, un riavvicinamento che man mano darà così modo al Creatore di svelarsi. La
possibilità di correggerci viene data solo nel regno di Malkuth, ovvero dove le forze im-
pure scaturite dai piaceri del mondo sensibile possono agire, venire comprese, contrastate
e trascese attraverso gli insegnamenti della sofferenza, lo studio, la meditazione, fino alla
completa catarsi delle passioni, dissoluzione dell’ego e conseguente volontaria obbe-
dienza ai precetti del Creatore. L’uomo è l’unico essere in grado di discernere il male, re-
spingerlo e rettificare così i propri desideri, solo in tal modo potrà ottenere l’intercessione
divina, l’unica capace di redimerlo interiormente e che può agire solo previa il consenso
dell’umana volontà, quando l’individuo avrà compreso e rifiutato la sua natura egoistica
e opposta a quella del Creatore. L’Ineffabie trova piacere nel dare, l’uomo, al contrario,
nel ricevere, è infatti questo divario che da Lui ci allontana poiché le affinità dipendono
dalle vicinanze spirituali, non fisiche e l’unico modo di reintegrarci è quello di acquisire
le qualità divine.
“Il nostro cuore è la somma dei nostri desideri egoistici e il piccolo punto che si trova al
suo interno è parte del desiderio spirituale e altruistico che vi è stato inserito dall’Alto, dal Creatore
stesso. È nostro compito nutrire questo embrione di desiderio spirituale, nella misura in cui possa
(lui e non la nostra natura egoistica) determinare tutte le nostre aspirazioni. Allo stesso tempo, il
desiderio egoistico del cuore si arrenderà, si contrarrà, appassirà e alla fine scomparirà.
Dopo essere nato nel nostro mondo, l’uomo è obbligato a cambiare la natura del proprio cuore da
egoistica ad altruistica, mentre vive nel mondo. Questo è lo scopo della sua vita, la ragione della
sua presenza nel mondo e lo scopo di tutta la creazione”. (Zohar, la luce della Kabbalah – tradu-
zione e commento del Prof. Michael Laitman). n

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