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STUDI E SAGGI

COLLANA DIRETTA DA
PAOLO ORVI ETO
49
SALERNO EDITRICE
ROMA
NOMINATIVI fRITTI
E MAPPAMONDI
IL NONSENSE
NELLA LETTERATURA ITALIANA
Atti del Convegno di Cassino
9-10 ottobre 2007
a cura di
GIUSEPPE ANTONELLI
E CARLA CHIUMMO
ISBN 978-88-8402-684-2
Tutti i diritti riservati - All rights reserved
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duzione, la traduzione, ladattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con
qualsiasi mezzo effet tuati, compresi la copia fotostatica, il microflm, la memorizzazione
elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Sa lerno Editrice S.r.l.
Ogni abuso sar perseguito a norma di legge.
Alla realizzazione della presente pubblicazione ha concorso
con i propri fondi lUniversit degli Studi di Cassino -
Dipartimento di Filologia e Storia.
7
PREMESSA
Come dare un senso al nonsenso? Il terreno scivoloso, ma proprio per
questo invitante. Da una parte, la sfda critico-metodologica del defnire
e delimitare un genere (o una tecnica? o uno stile? o un linguaggio?) che
di per s non pu essere rigidamente imbrigliato, pena la dissoluzione.
Dallaltra, lattraversamento di una tradizione nonsensical italiana che, pur
con le sue specifcit, si inserisce a pieno titolo nella grande tradizione
europea: dalle fratrasies a Beckett, passando per Rabelais, Sterne, Lear,
Carroll, Jarry.
Da qui il Convegno organizzato presso il Dipartimento di filologia e
Storia dellUniversit di Cassino ( Nominativi fritti e mappamondi . Il non-
sense nella letteratura italiana, 7-9 ottobre 2007). Gli interventi partono
dallindagine su una possibile preistoria medievale del nonsense italiano
(Berisso) per passare subito alla nascita uffciale e al trionfo di questa
tradizione poetica, con il nome di Burchiello e dei cosiddetti burchielle-
schi ad occupare, con discrezione ora minore ora maggiore, lmbito
quattro-cinquecentesco (Zaccarello, Decaria, Chiummo). Una tappa
obbligata si rivela il Seicento in versi e in prosa (Crimi, Guaragnella) e,
dopo una pausa settecentesca, ecco dispiegarsi un variegato e a tratti pi-
rotecnico spazio tra fne Ottocento e, ancor pi, primo e secondo Nove-
cento: non a caso, in questi Atti, con il maggior numero di interventi ad
occuparsi di lingue inventate e strane miscele di surrealismo e nonsen-
so vero e proprio, nel secolo post-cartesiano (e post-hegeliano: e si po-
trebbe continuare con molti altri aggettivi accanto a quel prefsso squisi-
tamente novecentesco) appena trascorso (Castoldi, Iermano, Anglani,
Cedola, Baglioni, Afribo, Serianni).
Romanzi, poesie, opere e autori pi o meno noti, ma comunque illu-
minanti per una nuova rilettura del rapporto antico/moderno e soprat-
tutto per la fondazione del concetto stesso di modernit (Antonelli), a
conferma della carica eversiva, e allo stesso tempo tuttaltro che pura-
mente comico-autoreferenziale, del nonsense, parziale o assoluto, in un
contesto refrattario alle barriere alto/basso, dlite/di consumo, che vive
anzi di travasi e travisamenti di ogni tipo. Come nella speciale e ricorren-
premessa
8
te contiguit, quando non sovrapposizione, con i pi svariati settori e
linguaggi: da quello pittorico a quello teatrale e persino da schietto avan-
spettacolo, o dalla trattatistica (paradossalmente) pi seria alla riscrittura
tra parodia e metaletteratura. Si tratta di una sfda metodologica e di
unindagine storico-letteraria che nel presente volume interessa, nello
specifco, un territorio come quello italiano, nel quale questa tradizione
tanto ricca quanto ancora poco indagata. forse perch troppo anticano-
nica in una storia letteraria considerata fn troppo classicistica, o perch
ritenuta poco rappresentativa, sebbene annoveri tra i suoi incunaboli
lenigmatico Pape Satn Pape Satn Aleppe , insieme ad autori, ben
oltre Dante, quali Pulci, Burchiello, folengo, e via di seguito, che hanno
portato frutti tra i pi ricercati in ogni angolo dEuropa. E sebbene pro-
prio negli ultimi anni sempre pi studiosi si siano impegnati a raccoglie-
re e commentare un materiale cospicuo, per quantit e qualit, che fa
ben sperare in un futuro ancora assai ricco di sorprese in questo peculia-
re campo dindagine.

Desideriamo qui ringraziare il Dipartimento di filologia e Storia


dellUniversit di Cassino, e in particolare i direttori, Silvana Casmirri e
poi Edoardo Crisci, che hanno seguto con generosit e sollecitudine
lorganizzazione del Convegno e la pubblicazione degli Atti.
Cassino, dicembre 2008
Giuseppe Antonelli
e Carla Chiummo
9
Giuseppe Antonelli
IL NONSOCH DEL NONSENSO*
1. Lessenza del nonsenso
Dare un senso al nonsense pu essere rischioso. In un divertissement di
qualche anno fa, Umberto Eco sottoponeva una delle pi note flastroc-
che infantili italiane quella che comincia Ambarab cicc cocc / tre
civette sul com a una dottissima analisi in cui lerudita (e immagina-
ria) bibliografa ostentava il ricorso ai pi raffnati, e allepoca modaioli,
strumenti dindagine testuale.
1
Prima la flologia, con la fssazione del
testo critico in lingua originale e nelle traduzioni francese, tedesca e in-
glese; poi la semiotica strutturalista, per evidenziare simmetrie semanti-
che e opposizioni fonologiche, la psicanalisi di stampo lacaniano e la
linguistica trasformazionale di Chomsky ( la WP ambarab cicc cocc
dove WP sta per What? Phrase, dalla esclamazione di Dwight Bolin-
ger quando era stato esposto, come native informant, alla utterance del qui-
nario ). Tutto questo per giungere passando per gli pseudo Bloom e
Derrida, Searle, Greimas a un parziale scacco ermeneutico: questo, e
non altro, chiede a noi la Poesia .
Il nonsense al quadrato prodotto da una simile parodia (ancor pi eff-
cace perch applicata a un testo irrilevante, oltre che insignifcante)
2
suo-
na quasi come un ammonimento: lessenza del nonsense sfugge a una
* Devo preziose indicazioni a Carla Chiummo, Giuseppe Crimi, Luca Serianni, Elisa-
betta Tarantino, Michelangelo Zaccarello: a tutti loro va il mio pi sentito ringraziamen-
to. Una versione in inglese di questo contributo stata pubblicata come introduzione al
volume Nonsense and Other Senses. Regulated Absurdity in Literature, a cura di Elisabetta Ta-
rantino con la collaborazione di Carlo Caruso, Cambridge, Cambridge University Press,
2009, pp. 1-21.
1. U. Eco, Tre civette sul com, in Id., Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 2001
2
, pp.
164-75.
2. Ci non toglie che ci sia stato chi ha tentato sul serio una ricostruzione etimologica
della flastrocca, ipotizzando un antenato latino *hanc para ab hac quidquid quod-
quod: non che la flastrocca latina offra molto pi senso di quella italiana, ma questo
un dato costante delle flastrocche infantili (V. Brugnatelli, Per unetimologia di am ba-
giuseppe antonelli
10
lettura meccanicamente scientifca; anzi: la scienza del nonsense pu dare
come risultato il nonsense della scienza. Eppure, sintitolava proprio The
Science of Nonsense uno dei primi interventi critici dedicati alla questione.
Nel saggio, apparso sullo Spectator il 17 dicembre 1870, i versi di Lear
erano defniti a trife nearer to the grave talk of an idiot asylum, than to
the nonsense of sane people . Il nonsense di Lear, daltra parte, aveva rap-
presentato una decisa novit nel quadro della letteratura inglese dellepo-
ca, e in particolare della letteratura per linfanzia:
when Lears frst work appeared, the childrens literature market was in a fairly
dire state, being dominated on one hand by utilitarian efforts at edifcation and
on the other hand by moralistic and didactic religious works. To the children
and adults forced to read such works, Lears nonsense must have displayed a
remarkable freshness and originality.
3
2. La sensazione del nonsenso
Com noto, Lear che aveva gi viaggiato a lungo in Italia scelse di
trascorrere gli ultimi anni della sua vita sulla costiera ligure (mor a San-
remo nel 1888). A quel tempo, in un paese che aveva da poco compiuto
il processo di unifcazione nazionale, il campione della letteratura per
linfanzia era il burattino Pinocchio (1873) con il suo naso rivelatore di
bugie: una deformazione punitiva che, pur in un contesto comico-fan-
tastico, agiva ancora in senso pedagogico-moralistico.
4
Niente che vede-
rab cicc cocc , www.brugnatelli.net/vermondo/articoli/ambara.html; tutta la sitografa
aggiornata al 30 novembre 2009).
3. M.B. Heyman, Isles of Boshen. Edward Lears Literary Nonsense in Context, Thesis sub-
mitted for the degree of PhD, Univ. of Glasgow, Department of English Literature, June
1999 (https://dspace.gla.ac.uk/bitstream/1905/330/1/HeymanThesis.pdf, p. 271). Tra
laltro, una delle opere pi fortunate di Lear (The Owl and the Pussycat, pubblicato per la
prima volta nel 1869 e a tuttoggi un classico della letteratura per linfanzia) ha per prota-
gonista una civetta e, come le tre civette di Eco, stata recentemente oggetto di una pa-
radossale e anche in questo caso ironica interpretazione esoterica: the poem by
Edward Lear might not have been just nonsense. Is it possible that beneath this innocent
poem lurked a dark and sinister tale? (S. Ward, The Owl and The Pussycat: a Conspiracy
Theory, www.authorsden.com/categories/article_top.asp?catid=19&id=34621).
4. Perch il nonsense trovasse uffcialmente posto nella letteratura italiana per linfanzia
il nonsoch del nonsenso
11
re con i nasi allegramente iperbolici svettanti nei limerick di Lear, in cui
la deformit non mai vissuta come un dramma e la parte del corpo
in grottesca espansione anzi spesso orgogliosamente esibita :
5
There was an Old Man with a nose,
Who said, If you choose to suppose,
That my nose is too long,
You are certainly wrong!
That remarkable Man with a nose.
There was a Young Lady whose nose,
Was so long that it reached to her toes;
So she hired an Old Lady,
Whose conduct was steady,
To carry that wonderful nose.
There was an Old Man, on whose nose,
Most birds of the air could repose;
But they all few away, at the closing of day,
Which relieved that Old Man and his nose.
6
si sarebbe dovuto aspettare esattamente un secolo: nella Grammatica della fantasia di Gian-
ni Rodari (1
a
ed. 1973), uno dei capitoli sintitola proprio Come si costruisce un limerick. Va
detto tuttavia che la storiografa recente (vd. da ultimo P. Boero-C. De Luca, La let-
teratura per linfanzia, Roma-Bari, Laterza, 2007) ha individuato una linea maestra che da
Collodi porta giusto a Rodari, passando per due scrittori-disegnatori come Antonio Ru-
bino (nato a Sanremo nel 1880, pochi anni prima che vi morisse Lear) e Sergio Tofano, e
per la produzione fantastica di Italo Calvino: cfr. C. Schwarz, Capriole in cielo. Aspetti
fantastici nel racconto di Gianni Rodari, Tesi di Dottorato pubblicata dal Dipartimento di
francese, italiano e lingue classiche dellUniv. di Stoccolma nel 2005 (http:/ /s.diva-por-
tal.org/smash/get/diva2:200325/fULLTEXT01, p. 29).
5. Il pi soggetto a deformazioni il naso che, com noto, fra i motivi grotteschi
pi diffusi e si conserver molto a lungo in questo tipo di imagery (A. Caboni, Non-
sense: Edward Lear e la tradizione del nonsense inglese, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 110 e 109). Gi
C. Izzo aveva notato che il libro di Lear pieno di nasi spropositati (Lumorismo alla luce
del Book of Nonsense, in Ateneo veneto , ccxxvi 1935, vol. 119 pp. 211-19, a p. 217). Si pu
ricordare qui, di sfuggita, che prima di Pinocchio Collodi aveva pubblicato (nel 1880) una
raccolta di bozzetti intitolata Occhi e nasi: non una mostra di fgurine intere. piuttosto
una piccola raccolta docchi e di nasi, toccati in punta di penna e poi lasciati l, senza fnire
(si cita dalla rist. an., firenze, Bemporad, 1980).
6. E. Lear, The Complete Verse and Othier Nonsense, a cura di V. Noakes, London, Pen-
giuseppe antonelli
12
Per capire il differente contesto nel quale ci si muove in Italia, basta
leggere le parole che nella sua fondamentale Storia della letteratura italia-
na (1870-1871) francesco De Sanctis dedicava al Giorno di Parini, messo
a confronto con i modelli di Boccaccio e di Ariosto: l era lironia del
buon senso, qui lironia del senso morale .
7
Non stupir pi di tanto,
allora, che nello stesso periodo in cui il dibattito sul nonsense conosce in
Inghilterra alcuni dei suoi episodi fondativi (il saggio di Edward Strachey
Nonsense as a Fine Art esce nel 1888, Defense of Nonsense di Gilbert Chester-
ton nel 1901), Pietro Micheli pubblichi a Livorno il suo Letteratura che non
ha senso,
8
in cui ignora sia Lear sia Carroll, per dedicarsi piuttosto al sim-
bolismo di Verlaine:
9
quando queste allitterazioni, ripetizioni di suono,
non vanno daccordo con lidea, si ha il bisticcio; quando sopprimono
assolutamente lidea, si ha il non senso .
10
guin, 2001, pp. 158, 91, 178. Potrebbe essere proprio Lear, forse, la fonte di una delle tante
interpolazioni del Pinocchio disneyano (cfr. M. Bernardinis Pellegrini, Il comico nel Pi-
nocchio cinematograco: la versione di Disney e di Comencini, in Pinocchio sullo schermo e sulla scena,
a cura di G. Flores dArcais, firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 29-43). Limmagine degli
uccellini che si appoggiano sul naso manca infatti nella versione collodiana, dove si pu
trovare tuttal pi una scena di timbro ben diverso: alcuni uccellacci notturni, traversan-
do la strada da una siepe allaltra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale
facendo un salto indietro per la paura gridava: Chi va l? (Le avventure di Pinocchio, ed.
critica a cura di O. Castellani Pollidori, Pescia, fondazione Nazionale Carlo Collodi,
1983, pp. 41-42).
7. Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo, Torino, Einaudi, 1958, vol. ii p. 912.
8. Livorno, Raffaello Giusti, 1900; ma alcune parti erano uscite in rivista gi nel 1895:
cfr. infra il contributo di Massimo Castoldi.
9. Laccostamento col simbolismo rimarr piuttosto comune almeno fno alla met del
secolo: nella sua Antologia burchiellesca recensita da Emilio Cecchi (1950), Eugenio Giovan-
netti spiega ancora come il simbolismo, in ultima analisi, non sia che un burchielleggia-
mento squisito, in guanti bianchi , mentre la gazzarra parolibera cui abbiamo assistito
in questi ultimi anni sarebbe da considerarsi un burchielleggiare truculento (Burchiel-
lesca, in E. Cecchi, Libri nuovi e usati. Note di letteratura italiana contemporanea, Napoli, Esi,
1958, pp. 33-37; la citaz. a p. 34).
10. P. Micheli, Letteratura che non ha senso, Livorno, Raffaello Giusti, 1900, pp. 77-78.
Ancora nella monografa La poesia giocosa e lumorismo, di C. Previtera, Mi lano, Vallardi,
1939-1942 (due volumi poi ripubblicati nel 1953 dalla Vallardi di Milano), pur in presenza
di una panoramica piuttosto ampia dedicata alla letteratura inglese ( per molti lhumour
propriet esclusiva deglInglesi o almeno dei popoli anglosassoni: una pianta indigena che
vegeta fra le brume di Albione , vol. i p. 36), manca qualunque riferimento a Carroll e
il nonsoch del nonsenso
13
La tentazione, a questo punto, sarebbe quella di dar ragione a Giusep-
pe Tomasi di Lampedusa, che in una delle sue lezioni di storia della let-
teratura inglese (1953-1954) scriveva:
La letteratura italiana la pi seria delle letterature. Un libro che sia nello stesso
tempo ben scritto e umoristico si pu quasi dire non esista. Siamo costretti a
fngere di sbellicarci per lumorismo con il quale disegnato Don Abbondio e a
trovare Ariosto divertentissimo. [] In Inghilterra lo scrittore comico ha da circa
cento anni scelto la strada del nonsense, della cosa scritta che non ha senso alcuno,
formata da un (apparentemente) fortuito accozzamento di associazioni le quali,
suscitando una serie di immagini disparate, riescono ad un effetto talvolta forte-
mente umoristico. [] Chi non capace di ridere di un limerick in fondo non
capir mai nulla dellInghilterra e della sua letteratura: lInghilterra il paese
dellirrazionale nel quale la logica val pochino. [] Il nonsense qui non pu aver
successo. Come dice france, nous sommes srieux comme des nes .
11
E invece, se si attraversa con sguardo diverso la storia della letteratura
italiana, ci si rende conto che una certa erosione (un volontario occulta-
mento) del senso ha agito in momenti a volte lontani tra loro, dando vita
a un flone carsico rispetto al codice dominante. Scrive in proposito Ales-
sandro Caboni:
Una letteratura tradizionalmente considerata poco incline al fantastico come
quella italiana, tuttaltro che priva di esempi di nonsense: basti pensare al ricco
repertorio della poesia giullaresca medievale, a quella burlesca del Burchiello, di
Berni, ai capricci dei poeti barocchi popolareggianti quali Giulio Cesare Cro-
ce e Anton francesco Doni, o alle mirabolanti metafore di Giambattista Basile;
una tradizione che sopravviver nella cultura popolare dei secoli successivi, fno
a trovare poi, con la rivalutazione dei generi minori, degli sbocchi autonomi,
ad es. nelle misteriose flastrocche della poesia pseudo-simbolistica di Aldo Pa-
lazzeschi, nel nonsense cripto-satirico di Petrolini, in quello comico-surreale di
Achille Campanile, nei sofsticati e oscuri paradossi di Tommaso Landolf. fra i
tentativi contemporanei di poesia nonsensical riportata alloriginaria destinazio-
Lear e alla nozione stessa di nonsense (anche se cronologicamente ci si spinge fno a Geor-
ge Bernard Shaw).
11. G. Tomasi di Lampedusa, Opere, intr. e premesse di G. Lanza Tomasi, Milano,
Mondadori, 1995, nella sez. Letteratura inglese, pp. 527-1330, alle pp. 1167-69.
giuseppe antonelli
14
ne infantile si possono ricordare autori quali Nico Orengo, Antonio Porta,
Toti Scialoia.
12
Il culmine potrebbe essere indicato nelle esperienze neoavanguardi-
stiche degli anni Sessanta e nella loro successiva presa di coscienza. Il
Poema Chomsky di Alfredo Giuliani (1979) affronta di petto la questione
teorica, versifcando in variazioni diverse la frase che il linguista ameri-
cano aveva addotto a modello di nonsense ( furiosamente verdi dormono
idee senza colore / tra rosee zampe a becco furiosamente il prato /dor-
me del verde fuori alato corpo dacqua pietra ).
13
I titoli scelti da Edoardo
Sanguineti per due sue raccolte Bisbidis (1987) e la riassuntiva Il detto del
gatto lupesco (2002) sembrano voler chiudere deliberatamente il cerchio
di questa linea, riallacciandosi a produzioni medievali in cui Zaccarello
riconosce a non-sense effect .
14
La letteratura italiana, insomma, un territorio nel quale il nonsense si
aggira come la pantera odorosa dei bestiari medievali, di cui dappertutto
si sente il profumo senza che nessuno sia mai riuscito a vederla.
3. Lestensione del nonsenso
Siamo nellmbito di quelle che Andrea Afribo chiama in riferimen-
to alla poesia tardonovecentesca approssimazioni al nonsense (cfr.
infra, p. 000), o di quello che per risalire allaltro capo della cronologia
Paul Zumthor defniva il nonsense relativo di alcuni componimenti
medievali.
15
La nozione di nonsense letterario, daltra parte, ha assunto
ben presto tratti metastorici e metanazionali. Dal nonsense propriamente
12. Caboni, Nonsense, cit., p. 15.
13. Lepisodio valorizzato da S. Bartezzaghi nella sua Prefazione allantologia di P.
Rinaldi, Il piccolo libro del nonsense, Milano, Vallardi, 1997, pp. 17-32.
14. M. Zaccarello, Off the Paths of Common Sense: From the frottola to the per motti and
alla burchia Poetic Styles, in Nonsense and Other Senses, cit., pp. 89-116, alle pp. 93, 97, 100 e
passim.
15. P. Zumthor, Fatrasie, fratrassiers, in Id., Langue, texte, nigme, Paris, Seuil, 1975, pp. 68-
88, a p. 77. Cfr., da ultimo, J.V. Molle, Oscurit e straniamento. Per uninterpretazione del
nonsenso fatrasico, in Obscuritas. Retorica e poetica delloscuro, a cura di G. Lachin e F. Zambon,
Trento, Univ. di Trento, 2004, pp. 131-51.
il nonsoch del nonsenso
15
detto (istituzionale o per quanto possa suonare assurdo a proposito di
un genere come questo ortodosso) si sviluppata progressivamente
una serie di proiezioni e di recuperi tale da creare, rispetto al nucleo vit-
toriano, un complesso albero genealogico di antenati e successori con
discusse paternit ed eredit molto contestate.
16
Il tempo del nonsense si
cos dilatato, fno a comprendere secoli e secoli di nonsense ante litteram.
Stando ai dizionari, la prima attestazione di nonsense in inglese risale
(in accezione generica: Often used exclamatorily to express disbelief
of, or surprise at, a statement ; cfr. OED, s.v., par. 1a)
17
al 1614, nella spe-
cifca accezione di A meaning that makes no sense (par. 4) al 1650;
laggettivo nonsensical attestato invece dal 1655. In francese, la prima ci-
tazione di nonsense databile al 1672 (Le Spectateur, ed. 1737); ladattamen-
to non-sens impiegato da Voltaire av. 1778 (cfr. TDF, s.v. non-sens; le
comp. Nonsens existait, au sens de deraison, sottise, en a. fr. ), ma ancora
nel 1769 lo stesso Voltaire usava nonsense in corsivo
18
e langlicismo crudo
entrer nelluso solo dal tardo Novecento: LGR, s.v. nonsense, lo data al
1962, specifcando: une fois en 1829, Jacquemont, avec la valeur non-sens:
Caractre absurde et paradoxal, en littrature .
Quanto allitaliano, nonsenso attestato la prima volta il 15 aprile 1754,
in una lettera di Baretti scritta da Londra al canonico Agudio
19
(cfr. DELI,
16. La relativa maggior fama dei generi nonsensical della poesia francese medievale
[rispetto alle corrispondenti esperienze dellarea italiana] andr imputata pi ai recuperi
e alle predilezioni novecentesche dei surrealisti che ad una loro effettiva incidenza sul
panorama ad essi coevo (M. Berisso, infra, p. 000); sulle forzature derivanti da letture
proiettive insiste anche Molle, Oscurit e straniamento, cit., pp. 136-37.
17. Di seguito lo scioglimento delle abbreviazioni usate: OED = Oxford English Dictio-
nary, Oxford, Oxford Univ. Press, 1989
2
; TDF = Trsor de la langue franaise. Dictionnaire de la
langue du XIX
e
et du XX
e
sicle (1789-1960), Paris, Gallimard, 1971-1994; LGR = Le Grand
Robert de la Langue Franaise, Paris, Le Robert, 1985
12
.
18. I. Klajn, Inussi inglesi nella lingua italiana, firenze, Olschki, 1972, pp. 120-21.
19. Della poesia ne faccio molto moderato uso; e una tenebrosa meditazione di Sher-
lock o di Young sopra la morte o una flosofchissima dissertazione morale di Tillotson o
di Johnson, ti dico il vero, calonaco, mi cominciano a quadrar pi che non tutto il nonsen-
so del Petrarca e del Berni, che un tempo mi parvero il non plus ultra dellumano intelletto
(G. Baretti, Epistolario, a cura di L. Piccioni, Bari, Laterza, 1936, vol. i pp. 96-99, alla p.
98). Sul rapporto di Baretti con lopera di Berni: G. Brberi Squarotti, Baretti: in rima,
giuseppe antonelli
16
s.v.);
20
poi, con una certa continuit, a partire dal primo Ottocento (nes-
suno degli esempi riportati dal GDLI, s.v., si riferisce per alla letteratu-
ra). Mentre il DELI parla di nonsenso come di un calco sullinglese
(anche sulla scorta del fanfani-Arla, cit. ivi, che lo considera un modo
di dire angloitaliano ), il GDLI lo ritiene giunto per tramite francese
(forse sulla scorta del Panzini s.v.: dal fr. non-sens, locuzione con valore
di sostantivo che i francesi tolsero a loro volta dallinglese nonsense ); cos
anche il DEI, s.v. non ( dal fr. non-sens, ingl. Nonsense ), che data generi-
camente non-senso al XIX secolo.
Nonsense e nonsensical compaiono la prima volta in un articolo del
Conciliatore (13 settembre 1818) a frma di Grisostomo (pseudonimo
di Giovanni Berchet), in bocca a un Mylord che intende perfettamente
litaliano; ma nol parla troppo bene, ed usa dintarsiarvi talvolta vocaboli
inglesi .
21
Lacclimarsi dellanglicismo integrale risulta, comunque, mol-
to pi tardo: il supplemento del GDLI, s.v. nonsense riporta solo un passo
di Giorgio Manganelli (1986) in cui il sostantivo indica un componimen-
to letterario; senza riportare esempi, lo Zingarelli data 1985, il GRADIT
1975, il Devoto Oli 1967 e il Sabatini Coletti Grav. 1967.
Quando, nel 1908, Camilla Del Soldato traduce per la prima volta al-
anzitutto il Berni, nel vol. Giuseppe Baretti: Rivalta Bormida, le radici familiari, lopera, a cura di
C. Prosperi, Alessandria, Edizioni dellOrso, 1999, pp. 21-40.
20. DELI = M. Cortelazzo-P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bolo-
gna, Zanichelli, 2
a
ed. a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna, Zanichel-
li, 1999; GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da S. Battaglia, Torino,
Utet, 1961-2002, con il Supplemento 2004, diretto da E. Sanguineti, ivi, id., 2004; Panzini
= A. Panzini, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1942; DEI = C. Battisti-G. Alessio,
Dizionario etimologico italiano, firenze, Barbra, 1950-1957; GRADIT = Grande Dizionario
Italiano delluso, ideato e diretto da T. De Mauro, Torino, Utet, 2007
2
; Zingarelli = Lo
Zingarelli 2008. Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2007; Devoto Oli = G.
Devoto-G.C. Oli, Il Devoto-Oli 2008. Vocabolario della lingua italiana, a cura di L. Serianni
e M. Trifone, firenze, Le Monnier, 2007; Sabatini Coletti = Il Sabatini Coletti. Diziona-
rio della lingua italiana 2008, di F. Sabatini e V. Coletti, firenze, Sansoni, 2007.
21. Oltre a esclamare continuamente All nonsense! (in un caso: What a positive token
of nonsense! ), il Mylord considera a very nonsensical petulancy la disinvoltura con cui le
signore milanesi straparlano di classico e di romantico: amereste voi che la prediletta del
vostro cuore fosse una delle nonsensical creatures, di cui vho parlato? (Il Conciliatore. Foglio
scientico-letterario, a cura di V. Branca, firenze, Le Monnier, 1965, vol. i pp. 62-70).
il nonsoch del nonsenso
17
cuni limerick di Lear nella versione italiana della londinese The Childrens
Encyclopaedia (Lenciclopedia dei ragazzi, Milano, Cogliati),
22
li fa precedere
da una presentazione (intitolata Le sciocchezze di Edoardo Lear), in cui i
nonsense sono defniti ciuccherie . Anche la prima traduzione integrale
(a cura di Carlo Izzo, Vicenza, Il Pellicano, 1946, e in ristampa, Venezia,
Neri Pozza, 1954) esce con il titolo Il libro delle follie, che solo nel 1970 di-
venter Il libro dei nonsense (Torino, Einaudi; la nuova traduzione di Otta-
vio fatca, ivi, id., 2002, sintitola Limericks). Lo stesso Izzo, tuttavia, aveva
pubblicato nel 1935 il testo di una sua conferenza (Lumorismo alla luce del
Book of Nonsense, cit.) in cui nonsense (sempre tra virgolette) utiliz-
zato in diversi contesti e con diverse funzioni
23
(di nonsense stavolta in
corsivo si parla anche nella sua postfazione alla traduzione del 46),
mentre al nonsense verse (ancora in corsivo) accennava gi Mario Praz in
suo articolo del 38.
24
Il vocabolo inglese nonsense penetra in tempi diversi nelle grandi lin-
gue di cultura europee, nelle quali oggi mantiene spesso proprio per il
suo riferirsi a una specifca categoria letteraria una certa autonomia
rispetto agli adattamenti e ai calchi sviluppatisi in precedenza (fr. nonsens,
it. nonsenso, ma anche ted. Unsinn, sp. sinsentido).
25
Solo che questa catego-
ria, nelle diverse tradizioni di studi, ha fnito con lespandere sempre di
pi i suoi confni, fno a inglobare territori un tempo dominio della reto-
rica tradizionale come il paradosso, lossimoro, ladunaton.
26
Il risultato
22. Per la storia della ricezione di Lear in Italia, cfr. P. Rinaldi, Un girotondo intorno al
limerick, postfaz. a M. Manfredi e M. Trucco, Il libro dei limerick, Milano, Vallardi, 1994,
pp. 143-246, con bibliografa ivi citata (sullEnciclopedia dei ragazzi, le pp. 196-204).
23. Tra le altre: la letteratura del nonsense, del non-senso, dellassurdo (p. 213); il
nonsense schietto umorismo? (ibid.); risibile: un nonsense (p. 217); addito nel
nonsense il sale di cui sarebbe condito lumorismo (p. 218).
24. La Stampa , 4 giugno 1938; poi in M. Praz, Motivi e gure, Torino, Einaudi, 1945,
pp. 92-95, a p. 93.
25. Ad es., in German scholarship on the subject, a useful distinction is made betwe-
en Unsinn (in Hildebrandts terms: folk and ornamental nonsense) and Nonsense (literary
or pure nonsense) (W. Tigges, An anatomy of literary nonsense, Amsterdam, Rodopi,
1988, p. 18).
26. Sulla fortuna antica e moderna di queste fgure, cfr. G. Cocchiara, Il mondo alla
rovescia, Torino, Boringhieri, 1963.
giuseppe antonelli
18
a tuttoggi lestendersi di una periferia (il near-nonsense, come lo
chiama Heyman)
27
sempre pi affollata di satelliti circanonsensical .
28
Una delle cause di questa situazione andr ricercata nella sproporzio-
ne fra gli studi dedicati alla dimensione anacronica del nonsense (per
usare la terminologia di Lecercle)
29
e quelli che ne hanno indagato la
dimensione diacronica. Pi che dedicarsi alla ricerca di anelli di congiun-
zione (nel tempo e nello spazio) che potessero dimostrare lo sviluppo di
una tradizione con alcuni elementi condivisi, come ad esempio fonti co-
mu ni,
30
ci si impegnati in uno strenuo tentativo di classifcazione del
nonsense come nozione universale (senza spazio e senza tempo). Per giu-
dicare leventuale corrispondenza al proflo tracciato, si sono poi calate
queste defnizioni nella storicit dei singoli prodotti: il momento indut-
tivo ha fnito cos per prevalere su quello deduttivo e leffetto paradossa-
le in un continuo gioco di agnizioni e disconoscimenti stato quello
di sfumare i confni della categoria proprio mentre si cercava di circoscri-
verla con maggiore precisione ( unfortunately, there are as many defni-
tions of sense, nonsense, and literary nonsense as there are critics ).
31
Un secolo di questi sforzi si trova magistralmente riassunto nel primo
capitolo del cruciale lavoro di Tigges
32
e, in maniera meno sistematica
ma non meno effcace, nella tesi di dottorato di Heyman, premessa indi-
spensabile per la sua introduzione a The Tenth Rasa
33
intitolata An Indian
Nonsense Naissance.
27. Heyman, Isles of Boshen, cit., p. 1.
28. Vd. il saggio di A. Afribo, infra, p. 000.
29. J.J. Lecercle, Philosophy of Nonsense. The Intuitions of Victorian Nonsense Literature,
London, Routledge, 1994, p. 2.
30. Incontrando in una poesia di Scialoja la gazza fragorosa / che fa gli stridi in greco ,
Serianni riporta infra (p. 000) una segnalazione di Zaccarello e Crimi che riguarda un
precedente burchiellesco ( et una gazza che parlava in greco , xviii). Anche io devo a
Crimi lindicazione di alcune analogie tra Lear e Burchiello; tra queste, limmagine degli
uccelli che studiano: There was an Old Person of Hove, / Who frequented the depths
of a grove; / Where he studied his Books, / With the Wrens and the Rooks ; cfr. e le
civette studiano in gramatica (viii 17 delled. Zaccarello).
31. Heyman, Isles of Boshen, cit., p. 203.
32. An anatomy of literary nonsense, cit., pp. 47-88.
33. The Tenth Rasa. An Anthology of Indian Nonsense, ed. by M. Heyman, S. Satpathy and
A. Ravishankar, New Delhi, Penguin, 2007.
il nonsoch del nonsenso
19
4. La rinascenza del nonsenso
Questa tradizione di studi si fondata soprattutto su testi dellarea an-
glofona (in seconda e terza battuta francofona e germanofona), riser-
vando scarsa attenzione almeno fno a qualche tempo fa al flone
nonsenselike della letteratura italiana e al suo contributo nel formarsi del
nonsense propriamente detto. Il riferimento in primo luogo alla cosid-
detta funzione-Burchiello . Come dimostra con dovizia di riscontri te-
stuali un recente libro di Giuseppe Crimi,
34
quel modello (solo in parte
riconducibile a precedenti medievali) infuenz profondamente la poe-
sia rinascimentale italiana: bastino i nomi di Luigi Pulci, di Lorenzo de
Medici e appunto del Berni tanto caro al Baretti. Di certo quel modello
giunse anche, direttamente o indirettamente, alle altre letterature euro-
pee.
La fortuna del Burchiello fuori dItalia un tema che a quanto mi
risulta aspetta ancora di essere esplorato sistematicamente. Noel Mal-
colm,
35
tuttavia, ritiene che John Hoskyns (liniziatore del flone nonsense
della letteratura inglese secentesca) dovesse avere ben presente quel mo-
dello:
the widespread popularity and frequent reprintings of Burchiellos verses thou-
ghout the sixteenth century make him and his well-known imitators, such as
Croce by far the most likely model for Hoskynss own poem; so too does the
very Burchiellesque density of absolute nonsense which Hoskyns achieved.
The case of transmission from Italy to England is very strong, although direct
proof is lacking.
Quanto alla francia, Zaccarello segnala levidente presenza del Bur-
chiello in alcuni componimenti di Mellin de Saint Gelais;
36
per la Spa-
34. G. Crimi, Loscura lingua e il parlar sottile. Tradizione e fortuna del Burchiello, Manziana,
Vecchiarelli, 2005.
35. The Origins of English Nonsense, London, fontana-H. Collins, 1997, pp. 76-77.
36. Cfr. L. Spitzer, Zur Nachwirkung von Burchiellos Priameldichtung, in Zeitschrift fr
Romanische Philologie , lii 1932, pp. 484-89 (si tratta del sonetto In ny a tant de barques en
Venise di Mellin, che con No tiene tanta miel tica hermosa di Lope citato come esempio
di Priameldichtung mutuata da Burchiello, son. lxvi, Non tanti babbion nel mantovano. Cen-
ni sulla fortuna del Burchiello in francia si trovano inoltre in J. Vianey, La part de limita-
giuseppe antonelli
20
gna, Spitzer aveva gi indicato calchi burchielleschi in Lope de Vega e
pi di recente uno studio di Adrienne Laskier Martn riconosce che
the pre-Cervantine burlesque sonnet in Spain still operates clearly within the
Renaissance tradition of imitatio; the Spanish comic poets of this period remain
closely tied to their Italian models. The types of comicity in which they indulge
are those popularized by the classical and by the Italian burlesque sonnet tradi-
tion: anti-Petrarchism, eroticism, burlesque Anacreontic themes, adoxography,
facetiae, and the beginnings of personal and professional invective. While se-
rious Renaissance poets continue to look to Petrarch and Garcilaso for their
inspiration, comic poets still look to the comic hyperbole of Berni and his
followers.
37
Posto fuori del suo contesto originario, il senso preciso dei sonetti alla
burchia era cos opaco da risultare oscuro gi ai commentatori cinque-
centeschi (come il Lasca) e poi a fortiori a quelli secenteschi (come il
Cinelli Calvoli) e primosettecenteschi (come il Salvini).
38
Inevitabile,
anche per questo, che nella tradizione dei testi sincrostassero lezioni
sempre pi divergenti rispetto alla vulgata quattrocentesca, solo da poco
restituita dalledizione critica di Michelangelo Zaccarello.
39
fino a que-
sta edizione e da oltre due secoli il testo di riferimento era rappresen-
tato, com noto, da una raccolta pubblicata nel 1757 a Livorno con la
falsa indicazione di Londra.
40
In quegli anni, i versi del Burchiello veni-
tion dans les Regrets, in Bullettin italien , iv 1904, fasc. 1 pp. 30-48; P. Toldo, tudes sur la
poesie burlesque franaise de la Renaissance, in Zeitschrift fr romanische Philologie , xxv
1901, fasc. v pp. 71-93, 257-77, 385-410, 513-32, e Id., Ce que Scarron doit aux auteurs burlesques
dItalie, Pavia, fusi, 1893.
37. A. Laskier Martn, Cervantes and the Burlesque Sonnet, Berkeley-Los Angeles-Ox-
ford, Univ. of California Press, 1991 (content.cdlib.org/xtf/view?docId=ft4870069m&br
and=eschol).
38. Cfr. M. Zaccarello, La dimensione vernacolare nel lessico dei Sonetti di Burchiello, in
Cuadernos de filologa Italiana , 3 1996, pp. 209-19 (www.ucm.es/BUCM/revistas/
fl/11339527/articulos/CfIT9696110209A.PDf), alle pp. 209-11.
39. Sonetti del Burchiello, ed. critica della vulgata quattrocentesca, Bologna, Commissio-
ne per i testi di lingua, 2000; poi, con ampio commento, I sonetti del Burchiello, a cura di M.
Zaccarello, Torino, Einaudi, 2004.
40. Sonetti del Burchiello del Bellincioni e daltri poeti orentini alla burchiellesca, London [ma
Livorno, Masi] 1757: cfr. M. Berisso, La poesia del Quattrocento, in Storia della letteratura ita-
il nonsoch del nonsenso
21
vano considerati alla stregua delle stravaganze dun ubbriaco ;
41
quello
che nella Londra reale era il nonsense, nella Londra immaginaria diventa-
va un insieme di corbellerie.
42
N le cose sarebbero cambiate per tutto il
secolo successivo: anzi, ancora alla met del Novecento c chi continua
a parlare di un faticoso e noioso accumularsi di stupidaggini idiote e
goffe .
43
Al di l del riconosciuto carattere enigmatico di buona parte dellope-
ra di Burchiello , scrive Zaccarello, lo scacco esegetico palesato dalla
critica anche in anni pi recenti da ricondursi a un problema di stori-
cizzazione: al momento della ricezione moderna del testo, [] il ri-
schio la mancata contestualizzazione del dato espressivo, se non la
perdita o lappiattimento di una prospettiva storico-linguistica .
44
Sulla
stessa linea anche Danilo Poggiogalli che, in apertura di un suo recen-
te saggio, ricostruisce il lungo dibattito tra chi di quei sonetti ha cercato
il senso e chi invece ha preferito attribuirli al nonsenso: per parte sua,
quello burchiellesco un non-sense fttizio, cio solo superfciale e appa-
rente, elaborato mediante una tecnica combinatoria razionale, decrip-
tabile .
45
Secondo Crimi, daltra parte, il rubricare questa poesia come
nonsense ha rappresentato spesso una soluzione di comodo, visto che
letichetta di non senso [] permette di congedarsi con facilit senza
sforzi dallargomento .
46
Insomma: i flologi (almeno quelli italiani) sembrano oggi piuttosto
compatti nel negare che allepoca di Burchiello o addirittura prima
si potessero dare casi di nonsense volontario , mostrandosi convinti (co-
me nota Berisso, infra, p. 000) che le zone di oscurit pi o meno ampia
presenti in determinati testi siano da attribuire a diffcolt interpretative
liana, dir. E. Malato, vol. x. La tradizione dei testi, coord. C. Ciociola, Roma, Salerno
Editrice, 2001, pp. 493-544, alle pp. 524-26.
41. Saverio Bettinelli (in Crimi, Loscura lingua, cit., p. iv).
42. Cos Baretti traduce nonsense nel suo A Dictionary of the English and Italian Languages,
London, C. Hitch and L. Hawes et al., 1760.
43. Previtera, La poesia giocosa, cit., vol. i p. 261.
44. Zaccarello, La dimensione vernacolare, cit., p. 209.
45. D. Poggiogalli, Dalle acque ai nicchi. Appunti sulla lingua burchiellesca, in Studi di
lessicografa italiana , xx 2003, pp. 65-126, alle pp. 66-71; la citaz. da p. 71.
46. Crimi, Loscura lingua, cit., p. iv.
giuseppe antonelli
22
dovute al gap storico-culturale . Ma quanto di questo rifuto, si chiede lo
stesso Berisso, legato a una particolare forma mentis? Quanto al deside-
rio di mantenere linterpretazione nellmbito delle proprie competen-
ze? Si potrebbe rispondere che la sfda esegetica avr sempre bisogno di
un senso da trovare e i vuoti di senso tenderanno sempre a essere satura-
ti dallinterpretazione. Solo, altre scuole critiche reagiscono in modo di-
verso allhorror vacui: vale a dire cercando un senso a posteriori che spesso
consiste in un meta-senso.
Anche rimanendo allinterno della letteratura, si dovranno distingue-
re allora due nonsense diversi tra loro: da una parte, il nonsense flosofco
dello strutturalismo, del decostruzionismo, della psicanalisi, ecc.; dallal-
tra, il (non)nonsense flologico della tradizione storicistica. Ci che nel
primo va letto come il rimosso , ad esempio, nel secondo andr ascritto
al represso ;
47
ci che per gli uni si spiega ricorrendo a defnizioni ana-
cronistiche come scrittura automatica o fantasia diluita di alcuni in-
consci collettivi ,
48
per gli altri pu essere compreso solo rifacendosi al
contesto linguistico e culturale in cui i testi sono stati prodotti.
5. Il suono del nonsenso
Loscurit nasce spesso dalla frantumazione del testo,
49
che ha leffetto
dindebolire anche il signifcato delle singole parole: come nota Zacca-
rello, the text progresses through strategies of verbal association, such
as wordplay, and the interconnecting elements seem to be predominan-
47. Ci sono buonissime ragioni culturali per sostenere che determinati temi di ordine
sessuale, soprattutto quelli relativi a pratiche ritenute degne addirittura di condanna pe-
nale (come la sodomia, etero ed omosessuale), potessero essere espressi solo attraverso la
creazione di una sorta di codice cifrato il quale, una volta organizzato in un testo, fniva
con loriginare evidentemente un nonsense anche se solo apparente (Crimi, loc. cit.). Il
riferimento al discusso lavoro di J. Toscan, Le carnaval du langage. Le lexique rotique des
potes de lquivoque de Burchiello Marino (XV
e
-XVII
e
sicles), 4 voll., Lille, Presses Univ. de
Lille iii, 1981; cfr. infra il contributo di Carla Chiummo.
48. Cfr. Molle, Oscurit e straniamento, cit., p. 140.
49. Nel caso di Sacchetti, lautore stesso specifca come il sonetto sia stato costruito
per motti, cio montato in modo che prevalga il gusto per le parole, per le locuzioni e per
le espressioni singolari (Crimi, Loscura lingua, cit., p. 172).
il nonsoch del nonsenso
23
tly formal and non-semantic (mainly of a rhythmic and phonic kind);
moreover, such texts often escape the logical concatenation that charac-
terizes poetry with traditional content .
50
Linsignifcanza (vera o pre-
sunta) esalta quella che Gian Luigi Beccaria chiamava lautonomia del
signifcante ,
51
tanto da aprire le porte a signifcanti dal signifcato evane-
scente, come le parole inventate
52
o nei casi pi estremi a sequenze
di signifcanti irrelati, come quelli delle lingue inventate.
53
Lo scivolamento dal piano fonematico a quello puramente fonetico
rende il suono del nonsense una sorta di mantra che acquista un suo senso
grazie alla rigida (a volte rigorosa) messa in forma; come osserva Lecer-
cle, there is an excess of phonetic rules in nonsense: rules of phonotac-
tics, of accentuation, of prosody and metrics .
54
E qualcosa di analogo
avviene anche sul piano della testualit: in Scialoja ancora frequente
un procedimento, ampiamente praticato gi dal Burchiello, per il quale
la perdita di coerenza si accompagna a un forte aumento degli indicatori
della coesione testuale, cio dei connettivi tipici di un discorso organiz-
zato razionalmente (Serianni, infra, p. 000). questa, in fondo, la diffe-
renza con le parole degli ubriachi, che di solito non solo non hanno
senso, ma non fanno vista di averlo: condizione necessaria in un libro
stampato .
55
Piacere del signifcante pu signifcare nelleccesso forma senza
contenuto, affabulazione senza fabula, mutilazione zoppa del bicipite se-
50. Zaccarello, Off the Paths of Common Sense, cit., p. 93.
51. G.L. Beccaria, Lautonomia del signicante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli,
DAnnunzio, Torino, Einaudi, 1975.
52. Come accade, ad esempio, nelle Fnfole di fosco Maraini: Il lonfo non vaterca n
gluisce / e molto raramente barigatta, / ma quando soffa il bego a bisce bisce / sdilenca
un poco, e gnagio sarchipatta (cfr. D. Baglioni, Poesia metasemantica o perisemantica? La
lingua delle Fnfole di Fosco Maraini, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di V. Della
Valle e P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 469-80).
53. Nel Dialogo dei massimi sistemi di Landolf, ad esempio, il protagonista ha scritto una
poesia in una lingua sconosciuta, da lui stesso dimenticata: Aga magra difra natun gua
mescin / Snit guggrnis soe-wli trussn garigr / Gnga bandra kuttvol jers-ni
gillra. / Lvi girrscen suttrer lunabinitr (cfr. infra il contributo di Baglioni).
54. Lecercle, Philosophy of Nonsense, cit., p. 38.
55. Come nota Manzoni a proposito dei discorsi di Renzo ubriaco (A. Manzoni, I
Promessi Sposi, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi, 1971, vol. ii p. 339).
giuseppe antonelli
24
gno linguistico, corpulenza senzanima; ma anche, e converso, ludico e
lucido calembour capace di sprigionare concetti originali, gioco coi topoi
che fa della lingua il luogo delentropia. A partire almeno dal nonsense
vittoriano, signifca contestare la rappresentazione realistica della realt
per creare una realt diversa (il nonsense non fgurativo: nella sua forma
pi pura , potremmo dire, astratto). A questobiettivo risponde una
scrittura che per certi versi lequivalente letterario delle geometrie non
euclidee o anche di quella logica onirica a cui Ignacio Matte Blanco dar
lantiaristotelico nome di logica simmetrica.
6. Il dissenso del nonsenso
La dissimulazione del dionisiaco sotto mentite spoglie apollinee alla
base dellambiguo statuto del nonsense, che is on the whole a conserva-
tive-revolutionary genre. It is conservative because deeply respectful of
authority in all its forms: rules of grammar, maxius of conversation and
of politeness, the authority of the canonical author of the parodied
text .
56
Questo rispetto esteriore che corrisponde in realt a uno svuo-
tamento dallinterno di modelli, codici, canoni accomuna il nonsense
ottonovecentesco a precedenti molto pi antichi:
il sonetto alla burchia pu essere descritto come una forma di duplice attacco
alla poetica tradizionale, dallinterno e dallesterno: da un lato la peculiare sin-
tassi di quei versi sovverte le pi elementari concatenazioni logiche, impiegan-
do in modo volutamente incongruo gli operatori sintattici; dallaltro le molte-
plici forme di satira del falso sapiente [] collocano la polemica sulla rivendica-
zione di un linguaggio concreto.
57
La parodia si conferma uno dei tratti costitutivi del genere gi nei suoi
pi remoti antecedenti. Prima della dicotomia senso/nonsenso viene
quella codice/trasgressione, che si risolve in una resa deformata e stra-
56. Lecercle, Philosophy of Nonsense, cit., pp. 2-3.
57. Zaccarello, Burchiello e i burchielleschi. Appunti sulla codicazione e sulla fortuna del
sonetto alla burchia, in Gli irregolari nella letteratura. Eterodossi parodisti funamboli della parola.
Atti del Convegno di Catania, 31 ottobre-2 novembre 2005, Roma, Salerno Editrice, 2007,
p. 117-43, a p. 142.
il nonsoch del nonsenso
25
volta del primo elemento. Un saggio di qualche anno fa dedicato ad al-
cune Considerazioni sul ritratto poetico e la comunicazione lirica era stato sug-
gestivamente intitolato da Amedeo Quondam Il naso di Laura;
58
la gi
citata recensione di Emilio Cecchi a unAntologia burchiellesca del 1950
sintitolava Il naso di Burchiello.
59
Nasi cornuti e visi digrignati si apre il sonet-
to di franco Sacchetti ritenuto il primo esempio di questo genere di
poesia (in principio era il naso, dunque) e una galleria di nasi deformi
occupa un trittico di sonetti che la tradizione attribuisce al Burchiello;
60

queste, rispettivamente, le quartine iniziali:
Io vidi un naso fatto a bottoncini,
che paion paternostri di corallo,
et ha la cresta rossa comun gallo
tutta coperta di balasci fni;
Un naso Padovano qui venuto,
che si berebbe ottobre, e San Martino;
sed egli avesse in suo potenza el vino,
berebbe una ricolta con un futo.
Se tutti i nasi avessin tanto cuore
di vivere a comune, e fare anziani;
i ve ne metterei uno alle mani,
che par de nasi natural signore.
Ma il naso del Burchiello potrebbessere anche quello del Burchiello-
maschera, il personaggio Burchiello che secondo una sorte toccata
molto pi tardi anche a Edward Lear
61
diventa, fn dalla sua morte,
58. Ora in A. Quondam, Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classici-
smo, Modena, Panini, 1991, pp. 291-328; la domanda , con le parole della Civil conversazio-
ne di Stefano Guazzo: per qual cagione Petrarca, nel lodar laltre parti belle di madonna
Laura non avesse mai fatto menzione di questa, se forse egli la tacque perchella avesse il
naso o schiacciato o camuso o gibbuto o torto o smisurato in grossezza o in lunghezza
(p. 293).
59. Poi ripubblicata col titolo Burchiellesca, cit.
60. Si cita dalled. Einaudi cit., pp. 290-92. Come specifca Zaccarello nellintroduzione
alled. del 2000, si tratta di testi infltrati, che attribuzioni pi affdabili assegnano a Barto-
lomeo da Lucca; una rubrica indica forse che si tratta di un sottogenere: Soneti nasorum.
61. Cfr. www.nonsenselit.org/wordpress/archives/2007/02/13/fctional-edward-lear.
giuseppe antonelli
26
licona da affancare a quella del Petrarca come modello di una poesia di-
versa: Petrarca e Burchiello piacevole, / che per sonetti han cotanta me-
moria / lun per dir bene e laltro dilettevole .
62
Rispetto al senso della poesia laureata, quello della frottola e della ri-
meria alla burchia si presenta secondo lindovinata defnizione di Rus-
sell
63
come un controsenso; allo stesso modo, il nonsense veniva defni-
to, nel classico saggio di Strachey, the proper contrary of Sense .
64
Il
senso del nonsenso potremmo dire allora nel suo essere il versante
cattivo del buonsenso. Una modalit (non solo linguistica) che demoli-
sce linterpretazione del mondo dominante e condivisa, e su quelle ma-
cerie costruisce un mondo rovesciato,
65
altro rispetto al senso comune:
in un certo modo, un non-luogo referenziale .
66
62. Cfr. G. Crimi, Burchiello e le sue metamorfosi: personaggio e maschera, in Auctor/Actor. Il
personaggio scrittore nella letteratura italiana. Atti del Convegno di Roma, 16-17 giugno 2005,
Roma, Univ. di Roma Sapienza , i.c.s. (www.disp.let.uniroma1.it/fleservices/
flesDISP/07_CRIMI.pdf); la citaz., tratta da un manoscritto quattrocentesco, riporta-
ta a p. 91.
63. R. Russell, Senso, nonsenso e controsenso nella frottola, in Ead., Generi poetici medievali.
Modelli e funzioni letterarie, Napoli, Societ Editrice Napoletana, 1982, pp. 147-61.
64. Il testo in www.nonsenselit.org/Lear/pdf/nonsense.pdf (la citaz. a p. 515).
65. Cfr. G. Angeli, Il mondo rovesciato, Roma, Bulzoni, 1977. Per il nonsense ante litteram,
il discorso incrocia qui laltro assai complesso e ancor pi vasto del rovesciamento
parodico, apotropaico associato alle festivit carnevalesche e ai testi ad esse collegati. Il
buonsenso potrebbe cos parallelamente ricondursi alla polarit quaresimale (per lintrec-
cio di leggi, costumi, rituali associati a questi due universali del mondo medievale e rina-
scimentale: cfr. G. Ciappelli, Carnevale e quaresima, Roma, Edizioni. di Storia e Letteratu-
ra, 1997).
66. Molle, Oscurit e straniamento, cit., p. 146. Il non-luogo (recente calco dal non-lieu
del francese Marc Aug) come il non-compleanno (calco pi vecchio dallun-birthday dellin-
glese Lewis Carroll): bella propriet della lingua italiana, massime antica, propriet in
mille casi utilissima al dir breve, anzi allevitare un lunghissimo circuito di parole, pro-
priet daltronde comune anche al francese (nonchalance, nonchaloir []), allinglese (non-
sense, nonsensical ec.) ec., quella di certi negativi, sia nomi, sia verbi, avverbi ec. fatti dal
positivo, premessavi la non, congiunta o disgiunta da essa voce (G. Leopardi, Zibaldone
di pensieri, 17 ottobre 1826, p. 4223 si cita dalledizione commentata e revisione del testo
critico a cura di R. Damiani, Milano, Mondadori, 1997, p. 000).
27
Marco Berisso
PREISTORIA (MANCATA) DEL NONSENSE
NELLA POESIA MEDIEVALE ITALIANA
Credo sia prima di tutto necessario premettere qualche parola a spie-
gazione del titolo che ho scelto. Quello che volevo suggerire, proprio in
via preliminare, che, ponendo come punto di avvio della storia del
nonsense in Italia il nome e il caso di Burchiello (come corretto fare),
risulta molto diffcile poi recuperare una rete pi o meno coerente di
testi e autori tale da poter giustifcare la gestazione di quellesperienza,
una tradizione che a quel nome e a quel caso abbia condotto. In realt,
come preciser tra poco, abbiamo gi a disposizione oggi unutile guida
alle tracce di una possibile tradizione del nonsense italiano che dai testi del
Due-Trecento conduca ai primissimi decenni del Quattrocento, e qual-
che altro piccolo elemento ulteriore forse possibile aggiungerlo, o al-
meno cercher di farlo. Detto questo, per, nulla di quanto si pu arri-
vare a dedurre seguendo questa strada assimilabile a quanto si gi da
tempo verifcato in territori a noi limitrof, come quello della poesia oi-
tanica con le fatrasies/fatras e le resveries e persino di quella occitana con i
devinalhs, dove pure qualche distinguo andrebbe fatto.
1
1. Del corpus (non imponente: si veda quanto verr detto tra poco) delle fatrasies e delle
fatras abbiamo unottima traduzione italiana, Fatrasies. Fatrasies dArras, Fatrasies di Beauma-
noir, Fatras di Watriquet, a cura di D. Musso, Parma, Pratiche, 1993, che si raccomanda anche
per la dettagliata Introduzione (pp. 7-34). La bibliografa in merito piuttosto ampia: si
vedano almeno P. Bec, La lyrique franaise au Moyen ge (XII
e
-XII
e
sicles). Contribution a une
typologie des genres potiques mdivaux, Paris, Picard, 1977, 2 voll., i pp. 167-83; P. Zumthor,
Fatrasie, fatrassiers, in Id., Langue texte nigme, Paris, ditions du Seuil, 1975 (cito dalla trad. it.
Lingua testo enigma, Genova, Il Melangolo, 1991, pp. 99-126); P. Uhl, La constellation potique
du non-sens au moyen ge. Onze tudes sur la posie fatrasique et ses environs, Paris, LHarmattan,
1999; M. Suchet, Les Fatrasies: une exprience de la lecture, mmoire de matrise de Lettres
Modernes, cole Normale Suprieure Lettres et Sciences Humaines- Univ. Lumire
Lyon ii, a.a. 2003-2004 (consultabile in rete allindirizzo http://perso.ens-lyon.fr/forent.
bouchez/myriam.suchet/maitrise.php#htoc60). Sulla resverie (oltre a Bec, La lyrique
franaise, cit., pp. 163-66) si tenga conto di G. Angeli, Il mondo rovesciato, Roma, Bulzoni,
1977. Per il devinalh rimane ancor oggi imprescindibile N. Pasero, Devinalh, non senso e
marco berisso
28
Anche a questo proposito, comunque, va aperta una breve parentesi.
Trascuriamo pure il caso dei devinalhs, che si presenta controverso anche
sotto il rispetto della appartenenza o meno di alcuni testi al genere, e
restiamo a quello molto pi pacifco delle fatrasies (e fatras) e delle resveries.
Il numero dei testi, e soprattutto quello dei testimoni, pertinenti tuttal-
tro che cospicuo, come noto: due raccolte di fatrasies, una pi ampia (Fa-
trasies dArras, 54 poesie) ed una seconda molto pi esile (Fatrasies di Beau-
manoir, 11 poesie), pi una di fatras (Fatras di Watriquet, 30 poesie), tutte e
tre a tradizione unica.
2
Stessa cosa per quel che riguarda le resveries: sono
solo tre i testi riconducibili al genere, ognuno riportato da un solo codi-
ce.
3
A questo non amplissimo patrimonio si potranno aggiungere le due
fatras (seppure a schema anomalo) e la lista di incipit non meglio precisa-
bili quanto al genere che sono conservati nelle interpolazioni di Chail-
lou de Pesstain al Roman de Fauvel riportate nel manoscritto fr. 146 della
Bibliothque Nationale di Parigi (il cosiddetto ms. E).
4
Insomma, il qua-
dro complessivo che ne deriva sembra suggerirci che ci troviamo di fron-
te a testi (e quindi a generi) marginali, anche considerando (e non ele-
mento secondario) la data relativamente alta a cui essi possono ricondur-
si (tra met e fne XIII secolo per fatrasies e resveries, addirittura primo
decennio del XIV per i fatras). certo vero, come dichiara Daniela Mus-
so, che questa esiguit [] probabilmente non rispecchia affatto la rea-
le diffusione dei due generi [] (e lo stesso discorso vale, ovviamente,
interiorizzazione testuale: osservazioni sui rapporti fra strutture formali e contenuti ideologici nella
poesia provenzale, in Cultura Neolatina , xxviii 1968, pp. 1-34, a cui si aggiunga adesso M.
Lecco, Gli enigmi del devinalh, in Lenigma. Atti del Seminario di Genova, 23 maggio 2008,
a cura di M. Lecco, i.c.s.
2. Per la tradizione testuale delle fatrasies e fatras cfr. la Nota informativa in Fatrasies. Fatra-
sies dArras, Fatrasies di Beaumanoir, Fatras di Watriquet, cit., pp. 35-38.
3. Cfr. Bec, La lyrique franaise, cit., pp. 164-6, anche per la tradizione manoscritta: i testi
in questione sono lanonima e anepigrafa Nus ne doit estre jolis, la resverie di Philippe de
Beaumanoir En grant esveil sui dun conseil e lanonimo Dit des traverces (tutti pubblicati e
tradotti in appendice a Angeli, Il mondo rovesciato, cit., pp. 107-41).
4. Del ms. E del Roman de Fauvel esiste una riproduzione in facsimile: Le Roman de
Fauvel in the edition of Mesire Chaillou De Pesstain: a reproduction in facsimile of the complete ma-
nuscript Paris, Bibliotheque Nationale, Fond Francais 146, a cura di E H. Roesner, F. Avril e
N. Freeman Regalado, New York, Broude Brothers, 1990 (il testo del Roman de Fauvel
stato pubblicato e tradotto in italiano da M. Lecco, Milano-Trento, Luni, 1998).
preistoria del nonsense nella poesia medievale
29
per le resverie)
5
e forse dobbiamo perci ipotizzare un pi ampio patri-
monio perduto, magari di diffusione primariamente orale come sembra
appunto suggerire la didascalia che introduce i fatras interpolati del Fauvel
col suo esplicito riferimento a sotes chanons que [] font le chalivali
chantent . per altrettanto vero che casi paralleli dal punto di vista sia
dellideologia di riferimento sia dellesecuzione (penso ad esempio ai fa-
bliaux) hanno avuto ben altra fortuna e che, insomma, una tale latenza
testimoniale e recenziorit cronologica potr ben rispecchiare la margi-
nalit pi o meno eretica dei generi di cui stiamo discutendo: generi
che, non a caso, verranno in parte addomesticati ( il caso dei fatras) nei
secoli successivi. Nulla di paragonabile insomma, per intenderci, alla
clamorosa fortuna manoscritta di Burchiello, fortuna che nel suo caso va
a compensare la tarda, anche in questo caso, collocazione cronologica
del genere. Insomma, la poesia del nonsense non sembra aver avuto uno
spazio particolarmente ampio nella mappa dei generi e degli stili dei
primi secoli neppure in letterature che, allapparenza, le hanno concesso
unudienza ben pi antica della nostra. E va aggiunto, per concludere
davvero, che la relativa maggior fama dei generi nonsensical dellantica
poesia francese andr forse imputata pi ai recuperi e alle predilezioni
novecentesche dei surrealisti che ad una loro effettiva incidenza sul pa-
norama letterario medievale.
In Italia, come dicevo, e per riprendere il flo, non comunque possi-
bile rinvenire neppure una simile tradizione, residuale forse ma almeno
morfologicamente piuttosto compatta e come tale riconoscibile in quan-
to genere autonomo. La stessa etichetta con cui comunemente vengono
indicate le poesie del nonsense a partire dal Cinquecento, quella cio di
poesie alla burchia o alla burchiellesca, indica del resto come pi
esplicitamente non si potrebbe desiderare una defnizione di ordine an-
tonomastico, non formale: e che poi tale primogenitura sia probabil-
mente da togliere a Burchiello per essere spostata allindietro di qualche
decennio ed essere devoluta allOrcagna (il nipote Mariotto, morto nel
1424, non il ben pi famoso Andrea, di cui non si hanno notizie dopo il
1368) oggi un dato di fatto che per non cambia pi di tanto i termini
5. Fatrasies. Fatrasies dArras, Fatrasies di Beaumanoir, Fatras di Watriquet, cit., p. 8.
marco berisso
30
della questione, come si vede, n come ambiente culturale n cronolo-
gicamente (siamo sempre insomma nella firenze medicea della prima
met del secolo).
6
Pu essere interessante, semmai, verifcare cosa la tra-
dizione critica antica percepisse come assimilabile al gusto alla burchia
nel momento in cui essa si allontanava dalla pure gi altamente infda
vulgata esplicitamente riconducibile a Burchiello, nel tentativo di recu-
perare testi sparsi da ricondurre alla medesima costellazione. Mi riferi-
sco, insomma, alla famosa e quasi famigerata stampa pseudo-londinese
del 1757 e in particolare alla terza sezione di essa, quella in cui, secondo
lesplicita ammissione introduttiva dei curatori, vengono travasati sonet-
ti che si sono trovati in altri Testi sotto suo nome .
7
Le presenze allotrie,
come noto, sono qui molte, e alcune clamorosamente due-trecentesche:
notissimo il caso dei due sonetti Bicci novel e Ben so che fosti, conclusivi
della tenzone tra Dante e forese, ma non manca addirittura un sonetto,
Messer Tortoso, quanto pi ripenso, che riproduce, mutato il destinatario, la
dispersa petrarchesca Conte Ricciardo, quanto pi ripenso.
8
Un controllo si-
stematico rivela altre acquisizioni trecentesche: intanto, topografca-
mente lontano dal testo petrarchesco che gli risponde, si trova anche il
missivo di Ricciardo il Vecchio Ben che ignorante sia, io pur mi penso.
9
Si
6. Per lidentifcazione di Orcagna con Mariotto di Nardo di Cione cfr. riassuntiva-
mente su tutto F. Bausi, Orcagna o Burchiello? (Sul sonetto Molti poeti han gi descritto Amore ),
in Interpres , xiii 1993, pp. 275-93.
7. Cfr. i Sonetti | Del Burchiello | Del Bellincioni | e DAltri Poeti | Fiorentini
| Alla Burchiellesca, in Londra [ma Livorno, Masi] 1757: la cit. dalla didascalia intro-
duttiva della terza parte, p. 145.
8. Il sonetto presente a p. 153 delled. pseudo-londinese. Cfr. in proposito I sonetti del
Burchiello, a cura di M. Zaccarello, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2000, pp.
cx-cxi.
9. Il sonetto a p. 241 delled. pseudo-londinese. Lo si pu leggere in D. Piccini, Un
rimatore trecentesco che non c pi: i due conti Ricciardo e lignoto Guido di Bagno, in Studi petrar-
cheschi , n.s., xiv 2001, pp. 115-97, a p. 160. Dalle non poche testimonianze del sonetto
nella tradizione manoscritta non risulta alcuna attribuzione a Burchiello (cfr. le pp. 127-37)
ma la coppia (in ordine inverso rispetto al corretto e con attribuzione al Burchiello del-
lanta petrarchesca del dittico) gi nelledizione burchiellesca del 1490 (Sonecti del Bur-
chiello, s.i.t. ma firenze, Bartolomeo de Libri, 1490), mentre la sostituzione incipitaria di
Messer Tortoso a Conte Ricciardo risale al Doni (Rime del Bvrchiello comentate dal Do-
ni, Venezia, francesco Marcolini, 1553; cfr. Piccini, Un rimatore trecentesco, cit., p. 192).
preistoria del nonsense nella poesia medievale
31
possono trovare poi un rifacimento piuttosto libero (viene rimaneggiato
anche lo schema, che passa da ABAB ABAB CDC DEE a ABBA ABBA
CDC DCD, ed aggiunta una coda DEE) del sonetto di Niccolo de Rossi
La femena ch del tenpo pupilla
10
e il sonetto di Ventura Monachi a Giovan-
ni frescobaldi Giovanni, io son condotto in terraquatica.
11
Procedendo un po
avanti con gli anni e verso autori attivi sul fnire del secolo XIV, andran-
no segnalati cinque sonetti attribuibili con varia attendibilit ad Antonio
Pucci, uno conteso tra Burchiello e Niccol Soldanieri
12
e la seconda pa-
ne ruzzola in terza rima di Nicol Povero, S duramente un sonno mi percosse;
13

quindi, passando ai primi decenni del Quattrocento (e dunque ai con-
10. Il sonetto a p. 173 della pseudo-londinese. Per il testo di partenza cfr. F. Brugno-
lo, Il canzoniere di Niccol de Rossi, 2 voll., Padova, Antenore, 1973-1977, vol. i p. 155. Cfr.
anche Rimatori del Trecento, a cura di G. Corsi, Torino, Utet, 1969, p. 686, che segnala la
presenza del sonetto con attribuzione a Burchiello anche nei mss. Laurenziano XL 48 e
Riccardiano 1109. Niccol de Rossi autore che peraltro si presta bene a riscritture: una,
particolarmente articolata e trdita da tre codici (i mss. Conventi Soppressi 122 e Redi 184
della Biblioteca Laurenziana e il codice C 43 della Biblioteca Comunale Augusta di
Pe rugia), del sonetto A fare una donna bella soprano (per cui cfr. Brugnolo, Il canzoniere di
Niccol de Rossi, cit., p. 57) segnala M. C. Camboni, Sulla fortuna di Niccol de Rossi, in Stu-
di di flologia italiana , lxiv 2006, pp. 21-31.
11. Il sonetto a p. 228 delled. pseudo-londinese. Lunica edizione integrale di Ventu-
ra Monachi (morto nel 1348) Sonetti editi ed inediti di Ser Ventura Monachi rimatore orentino
del sec. XIV, a cura di A. Mabellini, Torino-Roma-Milano-firenze-Napoli, Paravia, 1903,
tuttaltro che attendibile. Una scelta di sonetti (da cui Giovanni, io son condotto per esclu-
so) anche in Rimatori del Trecento, cit. Il sonetto riportato nelledizione burchiellesca
comunque di uno dei maggiormente attestati di Ventura (anzi, lunico, visto che il pi
diffuso di tutti, Se la Fortuna tha fatto signore, non di attribuibilit indiscussa).
12. Si tratta di Posto mho n cuor di dir ci che maviene, a p. 175 della pseudolondinese. Zac-
ca rello, nelleditio minor delle Poesie del Burchiello (Torino, Einaudi, 2004, p. 276) segna-
la la non inappuntabile attendibilit dellattribuzione a Burchiello, stante i due soli codici
(Riccardiano 1109 e Vaticano Barb. lat. 3917) che riportano il sonetto e ne corroborano
linclusione nella vulgata quattrocentesca istituita dalla princeps. Per altro lattribuzione a
Niccol si regge anchessa su ununica esplicita didascalia, quella del ms. 1147 della Biblio-
teca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, di contro alla diffusa adespotia del so-
netto (cfr. Rimatori del Trecento, cit., pp. 736-37).
13. alle pp. 177 e sgg. della pseudolondinese. Alla riedizioni dei due capitoli di Nico-
l ha atteso nella sua tesi di laurea Vittorio Celotto (tesi specialistica discussa presso lUni-
versit di Napoli, a.a. 2008-2009, relatore Andrea Mazzucchi): nel frattempo rimane im-
prescindibile E. Levi, Niccol Povero, giullare orentino, in Id., Poesia di popolo e poesia di corte
nel Trecento, Livorno, Giusti, 1915, pp. 79-114 (i testi alle pp. 105-14; gi apparso col titolo Le
marco berisso
32
temporanei di Burchiello) ritroviamo parecchie fgure dellambiente
forentino (da Antonio Matteo di Meglio a Anselmo Calderoni a filippo
Brunelleschi) non di necessit, per, in contatto diretto col barbiere. In-
fne, con clamoroso ma eloquente anacronismo, la silloge pseudo-londi-
nese fnisce con lincludere anche due sonetti di Luigi Pulci in tenzone
con Matteo franco.
14
Il quadro che viene fuori di quella che potremo
defnire la funzione-Burchiello secondo la stampa pseudo-londinese
dunque particolarmente variegato. fermiamoci anche ai soli testi due-
trecenteschi. Il Niccol de Rossi en travesti, la tenzone Petrarca-conte
Ricciardo, i vari Pucci e il conteso Soldanieri rinviano tutti insieme ad un
generale gusto per il sonetto gnomico
15
che poteva tranquillamente ap-
parire ai curatori (e tale era in effetti) come pertinente in pieno alla tem-
perie stilistica quattrocentesca ma che non ci riguarda in questa sede
specifca. Un po pi vicino risulterebbe invece Ventura Monachi, che
col suo sonetto ipertecnico (infatti, come molti dei suoi, interamente
costruito su rime sdrucciole) e a tratti involontariamente oscuro rinvia
comunque ad un settore ben presente nel Burchiello (e non solo), vale a
dire quello dellinvettiva contro popolazioni e citt italiane reputate bar-
bare di costumi e spesso anche di lingua (qui ad essere sottoposta a repri-
menda Venezia).
16
Con lo scambio di sonetti tra Dante e forese, inve-
paneruzzole di Nicol Povero (contributo alla storia della poesia giullaresca nel medio evo italiano), in
Studi medievali , iii 1908, pp. 81-108).
14. Per i rapporti tra Pulci e Burchiello cfr. G. Crimi, Loscura lingua e il parlar sottile.
Tradizione e fortuna del Burchiello, Manziana, Vecchiarelli, 2005, pp. 317-53.
15. Magari espressionisticamente un po pi acceso nel primo testo della sequenza,
giusta la tematica misogina: ma dal punto di vista linguistico e stilistico il sonetto subisce
dalla versione veneta a quella toscana un evidente depauperamento (stante comunque la
gi non eccelsa fattura del testo di partenza). Basti qui a dimostrazione mettere idealmen-
te a fronte anche solo la prima quartina derossiana ( La femena ch del tenpo pupilla /
le plu parte si trova glotta e ladra; / e quando viene en etate nubilla, / sendo ben puita,
alor se tien liadra ) col suo pi tardo remake ( La femina, che del tempo pupilla, / Le
pi volte si trova ghiotta, e ladra, / Sendo ben brutta allor si tien leggiadra, / Mentre che
giovinezza il for distilla ).
16. In un altro scambio con Ventura, sar Giovanni a insinuare nel sonetto Due foresette,
Ser Ventura, bionde 20 che a Pisa [] ogni femmina v per lo ber crespa (cito dalledizio-
ne di Ventura che sto allestendo da ormai troppo tempo). Il motivo comunque ben
trecentesco e lo si ritrova ad es. in Giovanni Quirini, nei due sonetti Io sum tra gente barba-
preistoria del nonsense nella poesia medievale
33
ce, siamo arrivati davvero molto prossimi allarea del nonsense: non in
senso stretto, ovviamente, ma in quanto una certa cripticit probabil-
mente indotta dal genere tenzone (in cui i due corrispondenti non ne-
cessariamente hanno interesse a che le allusioni siano comprensibili an-
che, per dir cos, allesterno)
17
poteva suggerire il sospetto di una inten-
zionale sospensione del signifcato. Cos ad esempio ai vv. 3-4 e 9-11 del
sonetto di Dante ( Gi per la gola tanta rema ha messa / Che a forza gli
convien tor dellaltrui / [] / E tal giace per lui nel letto tristo / Per tema
non sia preso il Lombolare / Che gli appartien quanto Giuseppe a Cri-
sto ) oppure nelle terzine intere del sonetto di forese ( Buon uso ci ha
recato, ben tel dico / Che quel ti caric ben di bastone / Colui hai per
fratello, o per amico. / Ed il nome ti di delle persone, / Che fanno poca
stima del panico; / Dillomi, chi vuo metterlo a ragione ).
18
E non sar
allora un caso, sia detto di velocissimo passaggio (su questo torner tra
poco), che della tenzone Dante-forese sia stata fornita in tempi recenti
uninterpretazione (per quanto scarsamente fondata) allinsegna delle-
qui vocit linguistica a sfondo (omo-)sessuale, in accordo a quanto accade
spesso con testi riconducibili allarea del nonsense. Infne pienamente per-
tinente al nostro ambito il capitolo di Nicol Povero, ricetta medica
parodizzata la cui aggregabilit, quanto al tema, allambito burchiellesco
re e crudele e Sio torno al bel paese di Franchia (cfr. G. Quirini, Rime, a cura di E.M. Duso,
Roma-Padova, Antenore, 2002, risp. pp. 78 e 80). Per un parallelo in Burchiello baster
citare Crimi, Loscura lingua, cit., p. 22, che ricorda come gli abitanti di Arezzo vengano
citati nel corpus in pi di unoccasione per la loro stupidit .
17. Incidentalmente, ma forse non casualmente, si noti come siano proprio i testi in
tenzone quelli preferibilmente cooptati nellorganismo della pseudo-londinese dal con-
testo due-trecentesco: oltre a Dante-forese e Petrarca-Ricciardo un missivo altrove
dotato di risposta (anzi, di pi risposte) anche il sonetto di Ventura.
18. Cito ovviamente dal testo della pseudo-londinese. Il testo critico per molti versi
pi lineare (risp.: gi per la gola tanta rob hai messa, / cha forza di convien trre laltrui
/ [] / E tal giace per lui nel letto tristo, / per tema non sia preso a lo mbo lare, / che
gli apartien quanto Giosep a Cristo e Buon uso ci ha recato, ben ti l dico, / che qual ti
carica ben di bastone, / colu ha per fratello e per amico. / Il nome ti direi delle persone
/ che vhanno posto s; ma del panico / mi reca, chi vo metter la ragion : cito da D.
Alighieri, Rime, a cura di D. De Robertis, firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005, pp. 465-
72, edizione commentata che anche revisione del testo critico fssato nelleditio maior
firenze, Le Lettere, 2002, 3 voll. in 5 to.).
marco berisso
34
stata ampiamente chiarita in questo nostro convegno da Michelangelo
Zaccarello (e ancor pi pertinente sarebbe stata laltra, prima, paneruz-
zola, non inclusa nella pseudo-londinese).
La chiamata in causa di Nicol mi d fnalmente il pretesto per citare
quella mappa per i territori del nonsense pre-burchiellesco a cui allude-
vo allinizio. Si tratta, come si sar capito, del saggio di Giuseppe Crimi
Loscura lingua e il parlar sottile, dedicato appunto, come recita il sottotitolo,
alla Tradizione e fortuna del Burchiello.
19
Un libro importante e ricco di in-
formazioni e analisi (persino troppe, se si vuole, tanto che occorre per-
correrlo senza impazienza) e al quale bisogna riconoscere, per quel che
riguarda il tema che sto cercando di frequentare, di aver quasi esaurito il
discorso. In particolare, i tre capitoli iniziali esaminano minuziosamente
le interazioni possibili tra Burchiello e, nellordine, fatrasies e fatras, tradi-
zione giocosa mediolatina e volgare, Niccol Povero (appunto) e lopera
di franco Sacchetti, incluse per questultimo possibili intersezioni con il
Trecentonovelle. Il percorso affrontato da Crimi largamente sottoscrivi-
bile: e varr infne la pena di ricordare, per riprendere in mano unultima
volta ledizione pseudo-londinese, che il sonetto di Sacchetti Nasi cornuti
e visi digrignanti, attentamente analizzato in Loscura lingua e tradizional-
mente indicato come il pi rilevante precedente della poesia del nonsense,
anchesso incluso in quelledizione, anche se (con lapsus di prospettiva
che mi pare particolarmente signifcativo) non nella terza ma nella quar-
ta parte, quella dedicata ai sonetti alla burchiellesca di tarda imitazio-
ne.
20
Un rilievo particolare assume, nella prospettiva di Crimi, il doppio
binario dellanalisi, che da un lato si richiama alle tecniche compositive,
retoriche e sintattiche, dallaltro scava in un serbatoio metaforico e fgu-
rativo che sembra ripresentarsi immutato da un secolo allaltro. Proprio
a partire da queste premesse mi pare specialmente persuasiva la rivaluta-
19. Cfr. sopra, n. 14.
20. Il lapsus insomma fa coppia con quello prima segnalato, e di segno inverso, circa
Luigi Pulci arretrato cronologicamente a ridosso di Burchiello, a conferma dellappiatti-
mento generale di prospettiva che sottende alledizione pseudo-londinese e di l si propa-
ga alla vulgata editoriale e interpretativa per lungo tempo. Sul sonetto di Sacchetti (il testo
leggibile in F. Sacchetti, Il libro delle rime, a cura di F. Brambilla Ageno, firenze-Perth,
Olschki-Univ. of West Australia Press, 1990) cfr. Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 166 sgg.
preistoria del nonsense nella poesia medievale
35
zione compiuta dellopera di franco Sacchetti, anche attraverso la messa
a sistema degli sparsi rilievi recuperabili nella storia critica sullautore,
21

cos da riuscire a raggruppare attorno a Nasi cornuti alcuni, seppur non
moltissimi, episodi del suo sin troppo ampio Libro delle Rime. E qui apro
una velocissima parentesi per esortare ad un rilancio degli studi su que-
sto tutto sommato non cos frequentatissimo rimatore, per il quale ab-
biamo ottime analisi linguistiche e flologiche che sono per controbi-
lanciate da una sostanziale povert sul versante interpretativo e dei rap-
porti intertestuali.
22
Affermato dunque il ruolo di rilievo che va attribuito a Sacchetti e
Niccol Povero (due esperienze poetiche, va aggiunto, fondamental-
mente provinciali se non addirittura anguste, che ribadiscono una volta
di pi come la preistoria di Burchiello sia, come peraltro la sua storia, in
buona sostanza tutta forentina), bisogner precisare che lindividuazio-
ne di ulteriori tessere per il mosaico incontra, tra gli altri. anche un osta-
colo quasi insormontabile in una peculiare condizione psicologica di noi
moderni lettori ed esegeti di poesia medievale e che, molto semplice-
mente, ci rende diffcile o addirittura impossibile ammettere che prima
di Burchiello si potessero dare casi di nonsense volontario. Da qui ne con-
segue che le zone di oscurit pi o meno ampia presenti in determinati
testi sarebbero da attribuire semmai a diffcolt interpretative dovute al
gap storico-culturale che ci separa dalla poesia dei primi secoli. La stessa
ben nota e discussa operazione di Jean Toscan, per non dire di alcune
applicazioni condotte a ritroso su testi due e trecenteschi (a cui neppure
io mi sono sottratto, anche se spero in maniera suffcientemente cauta),
23

21. Cfr. ivi, p. 165 n. 1.
22. Basti ricordare che la magistrale ed. cit. di franca Ageno corredata da un com-
mento inappuntabile, certo, ma tuttaltro che ampio e prevalentemente di carattere lin-
guistico.
23. Il riferimento ovviamente a J. Toscan, Le carnaval du langage. Le lexique rotique des
potes de lquivoque de Burchiello Marino (XV
e
-XVII
e
sicles), 4 voll, Lille, Presses Univ. de
Lil le iii, 1981. Non rari gli esempi di applicazione del lessico di Toscan alla poesia duecen-
tesca, soprattutto da parte di Mauro Cursietti: oltre che sulla tenzone Dante-forese (da
lui considerata una falso quattrocentesco, contro ogni evidenza paleografca: cfr. M. Cur-
sietti, La falsa tenzone di Dante con Forese Donati, Anzio, De Rubeis, 1995), lo studioso ha
sperimentato il medesimo metodo soprattutto su Cavalcanti, sempre deducendone con-
marco berisso
36
forse leggibile anche in questa chiave, come sintomo di un rigetto di
fronte alla possibile assenza di un signifcato logicamente restituibile. Il
terreno scivoloso e sicuramente non da attraversare in questa occasio-
ne. Va detto che ci sono buonissime e condivisibili ragioni culturali per
sostenere che determinati temi di ordine sessuale, soprattutto quelli re-
lativi a pratiche ritenute degne addirittura di condanna penale (come la
sodomia, etero ed omosessuale), potessero essere espressi solo attraverso
la creazione di una sorta di codice cifrato il quale, una volta organizzato
in testo, fniva con loriginare evidentemente un nonsense apparente. Non
sar un caso, a riprova di questo, che marcate allusioni alla sessualit sia-
no rinvenibili in quasi tutti i testi che sino ad oggi sono stati ricondotti
alla pratica del nonsense, dalle fatrasies, appunto, sino a Burchiello, ma an-
che alle per molti versi analoghe coplas de disparates iberiche. Detto que-
sto, per, pretendere di fornire allanagrafe di questo codice linguistico il
nome di un padre ed una precisa data di nascita (come pure si credu-
to possibile fare) o utilizzare tutto questo come improbabile passepartout
per superare diffcolt che forse sono insuperabili (perch il signifcato in
quel testo o in quella zona di quel testo , molto semplicemente, sospe-
so) sono nel complesso operazioni che a mio avviso eccedono la verosi-
miglianza.
In questa chiave possibile indicare almeno un caso notevole in cui
lutilizzo dellequivoco linguistico ottiene esiti che ormeggiano molto da
vicino il nonsense, ed quello di alcuni sonetti opera di quellenclave di
poeti operanti nella Perugia di met Trecento dei quali mi sono occupa-
to ormai parecchi anni fa.
24
Da quel corpus, in realt tuttaltro che vasto
rispetto allinsieme della silloge, mi limito a segnalarvi come esemplare
seguenze di ordine cronologico (cfr. in partic. Id., Una beffa parallela alla falsa Tenzone di
Dante con Forese Donati: la berta di Cavalcanti cavalcato, in LAlighieri , xl 1999, pp. 91-110,
e Id., I doppi sensi del sonetto Se non ti cagia la tua santalena, in La parola del testo , iii 1999,
pp. 75-83). Una sistematica interpretazione basata sullequivoco linguistico a sfondo ses-
suale stata di recente avanzata da Silvia Buzzetti Gallarati in pi studi sul Rustico filip-
pi comico, culminati in una nuova edizione commentata (R. Filippi, Sonetti satirici e gioco-
si, a cura di S. Buzzatti Gallarati, firenze, Carocci, 2005). Lautoallusione a M. Beris-
so, La raccolta dei poeti perugini del Vat. Barberiniano lat. 4036. Storia della tradizione e cultura
poetica di una scuola trecentesca, firenze, Olschki, 2000, in partic. pp. 257-322.
24. Appunto in Berisso, La raccolta dei poeti perugini, cit. Per i testi cfr. Poeti perugini del
preistoria del nonsense nella poesia medievale
37
il sonetto di Cecco Nuccoli, Andando per via nova e per via maggio. Che si
tratti di un caso eccezionale pure per lepoca e per quel contesto lettera-
rio dove certo non mancavano eccessi stilistici segnalato dalla presenza,
nel codice che solo lo riporta, il Barb. lat. 4036, di una manicula a margine,
una delle due uniche che un lettore ancora trecentesco (forse lo stesso
copista) vi ha apposto. Altrettanto indubbia la prossimit al nonsense del
testo. In effetti, se anche le tecniche retorico-sintattiche utilizzate da
Nuccoli non si avvicinano molto a quelle caratteristiche del sonetto bur-
chiellesco, qualche punto di contatto mi pare degno di nota: penso qui
soprattutto alluso degli antroponimi e pi ancora di una toponomatica
irrazionale che accosta Etiopia e Parigi, fiandra e francia e Galizia.
25

Ammessa per la superfcie del testo para-burchiellesca, il sonetto An-
dando per via nova riceve comunque una luce forse non totale ma neppu-
re episodica se lo si legge in chiave di racconto cifrato di una anche due
avventure erotico-amorose, magari usufruendo alloccasione proprio
del lavoro di Toscan.
26
Procedure analoghe a quella da me operata sul
sonetto di Nuccoli sono applicabili anche a qualche altro testo di appar-
tenenti alla scuola, soprattutto quelli in tenzone (il che ci riporta a quan-
to detto in precedenza a proposito di Dante e forese), spesso confer-
mando intuizioni critiche gi presenti nella invero non ampia bibliogra-
fa su questi autori. Va per aggiunto che la superfcie dei sonetti in que-
stione non forma mai un intrico di sistematica insensatezza come An-
dando per via nova. fa parziale eccezione il sonetto di Cione a Neri Mo-
scoli Da po chio foi ne la cit del Tronto, con la risposta (ben pi lineare, al
punto che a partire da essa che possibile decifrare almeno in parte il
missivo) di Moscoli Ben ve mostra fornito, el vostro conto.
27
Anche in que-
staltro caso la formulazione nonsensical del testo viene prevalentemente
a coagularsi attorno ad una serie di elementi geografci, qui per regio-
nalmente congruenti (Tronto, Pugnano, Offda), nonch al campo lessi-
Trecento (Codice Vaticano Barberiniano Latino 4036), a cura di F. Mancini, 2 voll, Perugia,
Guerra, 1996-1997.
25. Al proposito cfr. ad es. Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 24-25.
26. Gli esiti dellesperimento si possono leggere in Berisso, La raccolta poeti perugini,
cit., pp. 257-69.
27. Cfr. ivi, pp. 301-9.
marco berisso
38
cale della guerra, ben familiare tanto ai frequentatori delle fatrasies quan-
to a quelli del sonetto burchiellesco (ma nemmeno paragonabile per ol-
tranza duso, sia chiaro). Ancora una volta per il nonsense in realt
solo apparente, il segnale codifcato che lautore invia al lettore (che
spesso un lettore ben determinato, vale a dire il destinatario del sonet-
to) per segnalargli lentrata nei territori del linguaggio erotico equivoco.
Da tutto quanto detto sin qui, insomma, spero risulti ben evidente che il
ricorso ad un lessico cifrato di matrice oscena in concomitanza con un
primo livello testuale organizzato intorno al nonsense rinvenibile episo-
dicamente anche ben prima del Quattrocento. Non meraviglieranno, al-
lora, le concordanze rinvenute da Crimi tra Burchiello e lautore che pi
sistematicamente ha praticato lequivoco linguistico, Stefano fininguer-
ri, se le si interpreta come tracce di una relazione pi ampia e forse in
parte ancora da indagare.
28
Nello stesso tempo, per, non dobbiamo di-
menticarci che nel caso dei poeti perugini ci troviamo di fronte ad un
contesto socio-culturale molto particolare, ad un gruppo di poeti che
condividono il medesimo milieu sociale e politico e che, per di pi, af-
fancano a complessivamente pochi sonetti di questo tipo altri sonetti
comici in senso pi tradizionale (oltre, va aggiunto, ad una strabordante
quantit di testi lirici). Insomma, sono appunto casi eccezionali. Altro
conto sar dunque estendere la toscanizzazione (mi si permette il gioco
di parole, che per non va lontano dal vero, per la magica virt che tal-
volta i giochi di parole hanno) a testi che non rispondono a queste carat-
teristiche socio-culturali o ad interi corpora testuali.
Per tornare al punto lasciato in sospeso, la resistenza ad ammettere
che anche prima del Burchiello vi sia la possibilit di organismi testuali
allinsegna del nonsense, come dicevo, comunque fortissima. Vorrei fare
un caso recentemente tornato in discussione, quello del Patafo, per il
quale federico Della Corte ha avanzato di recente la candidatura alla
paternit di franco Sacchetti, rovesciando (a mio avviso in modo con-
vincente) linterpretazione delle concordanze lessicali e stilistiche tra il
poeta forentino e lautore del poemetto che la tradizione critica aveva
gi indicato, salvo vedere nel secondo un imitatore/emulatore del pri-
28. Cfr. Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 261-316.
preistoria del nonsense nella poesia medievale
39
mo.
29
Ma la novit pi consistente delloperazione editoriale di Della
Corte sta nellaver creduto di potere individuare attraverso il dipanarsi
dei dieci capitoli del Patafo una vera e propria trama, sviluppata nelle
forme di unautentica pice teatrale con tanto di scambi di battute. E
quando dico trama non eccedo quanto proposto dallo studioso ma ne
cito esattamente i termini. Ecco infatti quanto dice Della Corte: Ma se
il Patafo avesse invece una trama e un senso? discontinui e arruffatissimi
quanto si vuole, ma li avesse? .
30
Prima ancora,
31
a rendere ancora pi
perspicua lipotesi interpretativa di fondo, veniva fornito uno schemati-
co ma ben conseguente plot ( di nuovo un termine usato da Della
Corte) per la vicenda. Restituita coerenza alla macrostruttura, loltranza
lessicale del poemetto fnir per nascondere, secondo lo studioso (o tra-
vestir, magari, per sovrappi di carica ludico-grottesca), un triangolo
erotico [] con la presenza del seduttore, della donna disponibile
32
che
getta ponti altrimenti insospettabili verso il fabliaux e che per, per col-
mo di ironia, si dimostra anche e al tempo stesso un preciso camuffa-
mento di vicende biografche sacchettiane, che vedono coinvolti franco,
il fratello di lui Giannozzo (anchegli rimatore, come si sa)
33
e la moglie
29. Cfr. f. Sacchetti, Il Patafo, a cura di F. Della Corte, Bologna, Commissione per
i testi di lingua, 2005 (da integrare con il preparatorio F. Della Corte, Proposta di attribu-
zione del Patafo a Franco Sacchetti, in filologia e critica , xxviii 2003, pp. 41-69). Sulledi-
zione si vedano le recensioni di G. Marrani, in Medioevo romanzo , a. xxxi 2007, pp.
221-25, e di G. Crimi, in Bollettino di italianistica , n. s., v 2008, pp. 144-56. Va sottoline-
ato che un netto avvicinamento tra Sacchetti e il poemetto era gi stato effettuato da
Roberto Ballerini, prima per cenni nellarticolo R. Ballerini, Rebus di lingua nelle liriche
del Sacchetti, in Studi e problemi di critica testuale , num. 21 1980, pp. 25-47, poi pi espli-
citamente (anche se non proponendo la paternit del forentino ma dettagliando la rete
delle coincidenze) in Id., Per la fortuna di Franco Sacchetti nel Quattrocento: il caso del Patafo,
ivi, num. 25 1982, pp. 5-17.
30. Sacchetti, Il Patafo, cit., p. xxiv.
31. Ivi, pp. xvii-xviii.
32. Ivi, p. xxvii.
33. Come ricorda Crimi, rec. cit., p. 145, la candidatura di Giannozzo come autore del
Patafo stata affacciata da D. Puccini, rec. a Della Corte, Proposta di attribuzione, cit., in
Lingua nostra , lxvi 2005, pp. 127-28. Delle poesie di Giannozzo abbiamo una recente
edizione critica, G. Sacchetti, Rime, a cura di T. Arvigo, Bologna, Commissione per i
testi di lingua, 2005.
marco berisso
40
di costui Ghita, al punto da far supporre allo studioso che ci si trovi di
fronte al volontario oscuramento del senso di un canovaccio biogra-
fco [] ingombrante e imbarazzante .
34
Loperazione, sia chiaro, con-
dotta da Della Corte con la debita prudenza, molto maggiore di quella
che forse potrebbe apparire da questa mia sintesi. Ma resta il fatto che
anche in questo caso linterprete moderno, posto di fronte ad un agglo-
merato testuale che appare rispondere solo alla logica del puro e sempli-
ce accumulo di riboboli linguistici senza preoccupazioni ulteriori, reagi-
sce cercando una chiave, magari parziale ma che comunque cerchi di
disserrare uno spiraglio di senso.
Sin qui ho parlato di esperienze trecentesche, anzi, prevalentemente
tardo-trecentesche: ci si chieder quindi come mai il Duecento sia rima-
sto fuori dal discorso. In realt per il XIII secolo il raccolto , se possibile,
con ancor meno frutti. Andranno intanto escluse in primo luogo dal no-
stro orizzonte le prove di vera e propria enigmistica letteraria ad opera
di Guittone e di alcuni altri autori a lui in varia misura riconducibili,
perch appunto di enigmi che prevedono una soluzione si tratta.
35
Non
sembra richiamabile qui neppure il Rustico filippi comico, che pure
presenta zone non limpidissime e che ha perci suggerito di recente una
lettura, al solito, in chiave equivoco-erotico che ha suscitato resistenze
penso condivisibili nella sostanza.
36
Allo stesso alveo, e con le stesse pre-
messe e ricadute in ambito critico, andranno ricondotti pure altri, spo-
radici sonetti cavalcantiani di pi o meno controversa interpretazione,
34. Sacchetti, Il Patafo, cit., p. xvii.
35. Penso soprattutto ai due sonetti guittoniani Deporto - e gioia nel mio core pporta,
edito e decifrato in Guittone dArezzo, Canzoniere. I sonetti damore del codice Laurenziano,
a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1994, pp. 230-32, e A far meo porto, c n te, parte cheo,
su cui si veda, anche per ledizione, dA. S. Avalle, Un vanto di Guittone, in Id., La doppia
verit. Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, firenze, Edizioni del
Galluzzo, 2002, pp. 197-204. Per altri casi mi permetto di rinviare al mio Crittograe predan-
tesche, in Lenigma, cit. Aggiungo comunque che, almeno nel caso di Guittone, opzione
enigmistica ed espressione della sessualit procedono ancora una volta affancate.
36. Cfr. la gi cit. ed. a cura della Buzzetti Gallarati: la proposta ha avuto appunto
riscontri contrastanti, dalla radicale opposizione manifestata da U. Carpi, Stupri lologici:
il caso del Barbuto, in Allegoria , n.s., xviii 2006, pp. 196-201, alla convintissima adesione
di S. Trousselard, in Italies , xi 2007, pp. 697-700.
preistoria del nonsense nella poesia medievale
41
nonch la gi citata tenzone tra Dante e forese. Infne non mi pare che i
non molti testi de oppositis della nostra tradizione, a partire da Umile sono
ed orgoglioso di Ruggieri Apugliese, possano essere qui evocati. Il ricorso
agli opposita certo una tecnica frequente nel devinalh, ma non esclusiva
di esso, come ha mostrato qualche decennio fa Nicol Pasero, e dunque
non basta al nostro caso.
37
Rimarrebbe il Detto del gatto lupesco, sul quale
Gianluca Lauta proporr dopo di me una specifca comunicazione, esi-
mendomi perci da ulteriori approfondimenti. Se per posso avanza-
re una mia personale opinione, credo che tra i due poli del nonsense ed
dellallegoria richiamati nel suo titolo da Lauta, sia di gran lunga il secon-
do a fornire la chiave ideale per accedere al testo, sia lallegoria da inten-
dere in senso stretto, alla Guerrieri Crocetti, o (come mi pare pi verosi-
mile) in chiave parodica, alla Jauss.
38
Insomma, quella duecentesca sem-
bra una strada chiusa: se preistoria del nonsense si d, e per quel che poco
che di essa si d, si tratta comunque di preistoria molto recente.
Concluder dunque queste veloci note col genere che forse pi ci si
aspettava che io evocassi in questa occasione, vale a dire quello della
frottola. infatti proprio a proposito della frottola che lapparentamento
col nonsense stata tradizionalmente evocato in passato. Una tradizione
critica che risale almeno a francesco flamini ha sempre visto in essa un
genere caratterizzato dallunione di una struttura metrica arbitraria e di
un procedimento discorsivo allinsegna dellincoerenza e dellaccumulo:
viluppo di proverbi e di allusioni diffcili a spiegare, con poche traccie
di burlesco, ma con bizzarria di modi e punture di sarcasmo .
39
Solo in
tempi recenti questa ipotesi stata sottoposta ad una radicale revisione,
37. Su Ruggieri (e sulla sua fonte Raimbaut de Vaqueiras) cfr. Pasero, Devinalh, non
senso e interiorizzazione testuale, cit., pp. 16-19 (altre considerazioni sul contesto italiano
ivi, pp. 27-31).
38. Per unesposizione precisa delle varie interpretazioni succedutesi sul Detto del Gat-
to lupesco rinvio allIntroduzione a Il Gatto Lupesco e il Mare Amoroso, a cura di A. Carrega,
Alessandria, Edizioni dellOrso, 2000, pp. 6-21.
39. Questa la nota diagnosi di F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai
tempi del Magnico, rist. an. a cura di G. Gorni, firenze, Le Lettere, 1977, p. 494. Natural-
mente occorre ricordare che il suo giudizio va riferito, giusta la sede in cui espresso, alla
frottola quattrocentesca, che dal punto di vista dellorganizzazione discorsiva cosa un
po diversa da quella del XIV secolo.
marco berisso
42
con gli interventi, a voler citare i pi notevoli e in ordine di neutra suc-
cessione cronologica, di Paolo Orvieto, Rinaldina Russell, Sabrine Ver-
hulst e Alessandro Pancheri.
40
Direi, anzi, che il percorso di studi appena
evocato ha operato per un progressivo spostamento dal nonsense al senso
pi o meno compiuto. Se Orvieto infatti impostava il suo ragionamen-
to recuperando lopposizione zumthoriana (su cui torner tra poco) tra
non-senso relativo e non-senso assoluto ed anzi lo applicava alla tradi-
zione italiana opponendo la frottola al sonetto burchiellesco come gi
Zumthor aveva fatto con resverie e fatrasie,
41
la Russell riduceva ulterior-
mente lo spazio del non-senso ad una coerenza logica che sinterrompe
a intermittenza
42
in alcuni (pochi) testi. Il non-senso relativo insomma
riceveva unulteriore relativizzazione, tanto che la studiosa poteva affer-
mare apertamente nel caso delle frottole gnomico-politiche che in tali
casi lautore mira sempre al signifcato, anzi intende rafforzarlo e con-
ferirgli autorit inoppugnabile , dal momento che la tiritera di motti,
sentenze e proverbi ha la funzione di sottolineare i fatti e i concetti, le
minacce e i moniti che si vogliono imprimere nella coscienza dellinter-
locutore e del pubblico .
43
Ipotesi verifcabile puntualmente nella lettu-
ra della frottola di fazio degli Uberti, la prima che ci nota, databile al
1336, O tu che leggi e persino nella risposta di Tommaso di Giunta Negli-
gnoranti seggi,
44
una volta che venga districata con fatica (e spesso cronisti
40. Cfr. P. Orvieto, Sulle forme metriche della poesia del non-senso (relativo e assoluto), in
Metrica , i 1978, pp. 203-18; R. Russell, Senso, nonsenso e controsenso nella frottola, in Ead.,
Generi poetici medievali. Modelli e funzioni letterarie, Napoli, Societ Editrice Napoletana,
1982, pp. 147-61; S. Verhulst, La frottola (XIV-XV sec.): aspetti della codicazione e proposte
esegetiche, Gent, Rijksuniversiteit Gent, 1990 (preceduto da Ead., Note per una nuova impo-
stazione delle ricerche sulla frottola, in Studi e problemi di critica testuale , num. 32 1988, pp.
117-35); A. Pancheri, Col suon chioccio . Per una frottola dispersa attribuibile a Francesco Petrar-
ca, Padova, Antenore, 1993 (da leggere in parallelo alla recensione a S. Verhulst, La frot-
tola, in Rivista di letteratura italiana , ix 1991, pp. 331-38).
41. Cfr. Zumthor, Fatrasie, fatrassiers, cit., pp. 111-12.
42. Russell, Senso, nonsenso e controsenso, cit., p. 161.
43. Ivi, p. 154.
44. Per i due testi cfr. Tommaso di Giunta, Il conciliato damore. Rime. Epistole, a cura di
L. Pagnotta, firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001, risp. pp. 118-26 (che migliora in qual-
che punto ledizione da me procurata in Testo e contesto della frottola O tu che leggi di Fazio
degli Uberti, in Studi di flologia italiana , li 1993, pp. 53-88) e 128-37.
preistoria del nonsense nella poesia medievale
43
coevi alla mano) la rettorica rete
45
dei riferimenti e delle allusioni a
fatti storici. Quanto poi alle ricerche della Verhulst e di Pancheri, esse
hanno deliberatamente ignorato laspetto contenutistico per puntare ri-
solutamente sullindividuazione di una peculiare forma (e in Pancheri
propriamente formula) metrica applicabile al genere. Resta il fatto che
una riproposizione del nesso tra frottola e resverie, un nesso peraltro gi
proposto, indipendentemente da Orvieto, anche da Giovanna Angeli,
46

mi pare possa essere giudicato ancora praticabile, anche se andr applica-
to solo ad una parte del corpus frottolistico trecentesco. Indubbiamente
vi sono frottole costruite tramite il ricorso ad un nonsense relativo, frotto-
le cio che se caractrise surtout par une distorsion smantique concer-
te, qui se situe dans le passage dun nonc lautre, chaque nonc
autonome (distique) tant smantiquement acceptable: en somme, une
s quence alogique dassertions logiques ,
47
dove per contro il nonsense
as soluto (caratterizzante ad esempio le fatrasies), che per usare le parole
di Zumthor introduce una contraddizione nellenunciato in quanto ta-
le, di cui intende dissociare le unit componenti []: il non-senso pene-
tra allinterno del sintagma stesso, fra gli elementi di cui taglia il fusso dei
signifcati attesi ,
48
sembra fondamentalmente estraneo al genere. Natu-
ralmente tutto questo vale, ripeto, non tanto come tentativo di defnizio-
ne della frottola (che era invece un po lobiettivo di Orvieto e della
Angeli) ma in quanto permette di isolare allinterno di essa un flone pi
o meno omogeneo. In questa chiave allora potremmo recuperare e se-
gnalare almeno due delle tre frottole attribuite con varia fortuna al Pe-
trarca, ovvero Di rider ho gran voglia e I ho tanto taciuto (ma anche se si vuo-
le Rerum Vulgarium Fragmenta, cv),
49
e poi le adespote Sar che Dio vorr e
45. Che sintagma di Tommaso, del sonetto Termine corto et minacciar dallunga, 13, ac-
cluso in coda a Neglignoranti seggi e adibito a defnire con felice eleganza il meccanismo di
martellanti rime equivoche esibito da fazio nella proposta.
46. Cfr. Angeli, Il mondo rovesciato, cit., pp. 47-63.
47. Bec, La lyrique franaise, cit., p. 163.
48. Zumthor, Fatrasie, fatrassiers, cit., p. 108.
49. Tutte e tre le frottole attribuite a Petrarca si leggono in A. Solerti, Rime disperse di
Francesco Petrarca o a lui attribuite, rist. an. a cura di P. Vecchi Galli, firenze, Le Lettere,
1997, pp. 261-80 (si vedano anche le schede di aggiornamento bibliografco posposte
allanastatica dalla Vecchi Galli, pp. 403-5). Per la prima si pu vedere ledizione fornita-
marco berisso
44
Le sette son pur sette,
50
probabilmente anche laltra adespota Molto al re par
possente e la sacchettiana Chi drieto va.
51
Non per (a sottolineare una vol-
ta di pi quanto il ricorso al nonsense sia eccezionale) le altre quattro di
Sacchetti. Se La lingua nova
52
si presenta infatti come castigazione morale
della degenerazione linguistica in direzione furbesca e rurale del foren-
tino per fnire per col trasformarsi, paradossalmente ma in modo espli-
cito, in repertorio di quello stesso gergo che si vuole additare al ludibrio
53

e dunque non a rigore collegabile col nonsense (e siamo tra laltro al caso
assolutamente parallelo del gi citato Patafo), le altre tre frottole sono
addirittura lamenti sulla decadenza morale del mondo (che genere
particolarmente caro al Sacchetti soprattutto delle canzoni), evidenti ed
espliciti come tali sin dalle didascalie dellautografo ashburnhamiano e
dai rispettivi incipit: frottola morale di franco detto: Pelegrin sono che
vegno da terra / e passo su per terra, / e vo a terra (che lAgeno collega rinvia
allo scritturale Genesi, iii 19: donc revertaris in terram de qua sumptus
es ), frot tola di franco sopra le nuove disposizioni del mondo mutate
al male: O mondo / immondo / e di ben mondo e infne frottola fatta per
la mala disposizione del mondo: Ohi, ohi, omoi! / Che ha tu, cristian, che
ne da Pancheri cit., pp. 125-34 (segnalo che se ne ha anche unaltra parecchio diversa per
opera di P. Trovato, Sullattribuzione di Di ridere gran voglia (Disperse ccxiii). Con una
nuova edizione del testo, in Lectura Petrarce , xviii 1998, pp. 371-423); per la seconda (te-
nendo conto che in tempi pi recenti ne stata ritrovata una nuova testimonianza) cfr. P.
Vecchi Galli, Una frottola attribuita al Petrarca, in Atti dellAccademia delle Scienze del-
lIstituto di Bologna. Classe di scienze morali. Rendiconti , lvi-lvii 1977-1978, pp. 259-73.
50. Entrambe edite in f. Trucchi, Poesie italiane inedite di dugento autori della lingua inno
al secolo decimosettimo, 2 voll., Prato, Guasti, 1846-1847, vol. ii pp. 126 sgg. e 16 sgg.
51. La frottola Molto al re par possente, trdita dal codice C 152 della Biblioteca Marucel-
liana di firenze, , a quanto ne so, ancora inedita. Per Sacchetti si veda led. cit. a cura
dellAgeno, pp. 70-82.
52. Ed. cit., pp. 195-215.
53. Si veda in questo senso il congedo, vv. 375-84, con i rinvii alla pi consolidata tradi-
zione lessicografca medievale con cui la ciancietta si mette in competizione: Cian-
cietta mia, che nuova ciancia cianci, / certi seran che ti terran ciarliera; / altri diran che dir
pi si porria. / A primi d che chi va quanci o lanci, / mal non pu far dun ceston una
paniera; / agli altri d chUguccione e Papa, / Grecismo e tutti, ancor non scrisson tutto,
/ di che si fa costrutto, / Ma prima chi ci dice, il detto chiosi, / poscia componga quel
chio non composi .
preistoria del nonsense nella poesia medievale
45
s ti duoi? .
54
Insomma, la distribuzione del nonsense nellambito delle
frottole sacchettiane segue una proporzione di quattro testi in cui esso
assente contro uno, e ci conferma cos, ancora una volta e infne, la mar-
ginalit del registro anche l dove pi ci si aspetterebbe di vederne un
seppur modesto successo. Il Libro delle Rime relato autografo dallAshbur-
nham 574, secondo le ipotesi pi accreditate, sarebbe stato compilato da
Sacchetti in una successione grosso modo cronologica, cos che la frotto-
la cccviii verrebbe a risultare il penultimo tra i testi scritti dal forentino,
o perlomeno ad essere trascritto sul codice.
55
Secondo lipotesi di data-
zione dellAgeno, infatti, Ohi, ohi, omoi! risalirebbe al 1399, giusto un anno
prima della morte di franco nel 1400. Per chiudere questa nostra preisto-
ria mancata, insomma, non si potrebbe dare confne pi simbolicamente
netto a cui convenga, come sto per fare, arrestarsi.
54. Cfr. risp. ed. cit., pp. 244-51, 389-400 e 495-503.
55. Segue solo la canzone La prima legge, che dal ciel divino, che Sacchetti data all anno
MCCCC (Sacchetti, Patafo, cit., pp. 503-6). Sulla stratifcazione dellautografo sacchet-
tiano cfr. L. Battaglia Ricci, Tempi e modi di composizione del Libro delle rime di Franco Sac-
chetti, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Atti del Convegno di
Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 425-50, e Ead., Comporre il li-
bro, comporre il testo. Nota sullautografo di Franco Sacchetti, in Italianistica , xxi 1992 [= Studi
in memoria di Giorgio Varanini, i. Dal Duecento al Quattrocento], pp. 598-614.
47
Michelangelo Zaccarello
UNA FORMA ISTITUZIONALE
DELLA POESIA BURCHIELLESCA:
LA RICETTA MEDICA, COSMETICA, CULINARIA
TRA PARODIA E NONSENSE
1. La ricetta come forma istituzionale della rimeria alla bur-
chia
Il sonetto costruito secondo uno schema farmacopeico rappresenta
una delle forme pi caratterizzanti della rimeria di stile burchiellesco: la
presenza di sintagmi formulari, una sintassi ripetitiva con larga prevalen-
za della paratassi, lampia libert di utilizzo dei materiali lessicali pi di-
sparati e delle pi bizzarre iuncturae sono elementi distintivi della tecnica
alla burchia che trovano nella struttura della ricetta una sede ideale, in
forza dellampio orizzonte tematico disponibile. Per la rimeria giocosa,
la ricetta costituiva anche un potente veicolo di diffusione, data la fami-
liarit di cui godevano tali forme scritte presso tutte le fasce della societ
medievale. Nei vari testi che prenderemo in esame, infatti, un medesi-
mo schema strutturale opera
per la ricetta culinaria, che nei suoi adattamenti letterari ammicca allossessio-
ne per il cibo ed alle immagini dabbondanza tipiche del flone carnevalesco;
1
per quella medica, dove confuiscono le ricche tradizioni, tra loro collegate,
della satira del ciarlatano e dallampia tematica dellinvectiva contra me di cum;
2
1. In tal senso, non pu stupire che le pi tarde visioni del Paese di Cuccagna attingano
a piene mani dai ricettari coevi, come accertato da Piero Camporesi per il Prologo alla
Contralesina. Overo ragionamenti e lodi della splendidezza, del Pastor Monopolitano, Venezia,
G.B. Ciotti, 1604, nei confronti della Singolare dottrina del celebre cuoco Domenico Ro-
moli detto Panunto, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1560 (P. Camporesi, Il paese
della fame, Bologna, Il Mulino, 1978, poi Milano, Garzanti, 2000, da cui si cita: pp. 88-89).
2. Per il primo termine, sia consentito il rinvio al mio Indovinelli, paradossi e satira del
saccente: naturale e accidentale nei Sonetti del Burchiello, in Rassegna europea di letteratu-
ra italiana , xv 2000, pp. 111-27, con la bibliografa ivi citata; il secondo naturalmente
dominato dallarchetipo petrarchesco delle Invective contra medicum che, pur rivolte a un
michelangelo zaccarello
48
per quella meno nota, ma assai diffusa nel primo Rinascimento, della ricetta
cosmetica (dove si pu pure intravedere un rapporto vitale, anche se meno
diretto, con la polemica sulle mode femminili, che attraversa molti generi
coevi in verso e prosa).
Com noto, il compiacimento per lelencazione delle vivande possie-
de radici molto antiche che uniscono la rimeria toscana al plazer transal-
pino. Diffcile stabilire storicamente i canali di diffusione di tematiche
tanto diffuse e soggette a performance orale, ma probabile che unimpor-
tante ruolo di mediazione sia stato svolto del giullare Niccol Povero. Le
sue paneruzzole o mattane si distinguono per il tono burchiellesco pro-
dotto dal vertiginoso accumulo di voci e sintagmi disparatissimi, ove
tuttavia prevale il referente gastronomico e non manca un accenno di
ricetta, condotta nel consueto tono paradossale:
Piovon frittelle e iscodelle di lente
e macheron che son ben incaciati
e molte quaglie ci son di presente []
e se ti vuoi guarir del mal del fanco
mangia otto some e pi di matton rotti.
Se riposar ti vuoi quando se stanco,
porta un gran peso e va sempre correndo
e di cattivit non sarai manco.
3
Con intento pi o meno serio, sono molti i menu messi in rima, per
mezzo di testi che si riducono a sfrenata esibizione di prelibatezze, spes-
so sciorinate con una sintassi di grado zero, mera giustapposizione di
sintagmi nominali. Cos gi in Simone de Prodenzani, che descrive
una grande abbuffata con un trittico di sonetti (li-liii), in cui sensibile
la parodia dei generi seri, a partire dalla invocazione di una specialissima
bersaglio specifco (larrogante e importuno medico di papa Clemente VI), hanno ispira-
to innumerevoli variazioni sul tema fra XIV e XV secolo: il pi recente editore del libel-
lo petrarchesco, francesco Bausi, ne segnala ben undici esempi (F. Petrarca, Invective
contra medicum. Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientie aut virtutis, a
cura di F. Bausi, firenze, Le Lettere, 2005, p. 22 e n. 47).
3. Sono i vv. 163-65 e 173-77 della prima paneruzzola, riportata da G. Crimi, Loscura
lingua e il parlar sottile. Tradizione e fortuna del Burchiello, Manziana, Vecchiarelli, 2005, p. 133.
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
49
triade di santi protettori, quali il pasticciere Macario, Tomaciello e Gau-
deno, ricondotti ovviamente a macaroni, tomacelli (ovvero polpette) e
godere rispettivamente.
4
La consonanza con i testi burchielleschi evi-
dente nel son. lii, dove lapparato sintattico ridotto allosso (vengono
impiegati solo tre verbi, evidenziati in corsivo):
Tortelli in scudella e bramangieri,
suppa franciesca, lasagnia e ntermesso,
raviuoli prima e poi ci venne el lesso:
polli sommate, cinghiale e pevieri,
poi caprioli e lepori in civieri,
tordi, piccioni, starne arrosto apresso,
con vin vermegli et aranci con esso,
poi parmigiane, tartare e pastieri.
Bianchi savori, verdi e camellini,
composta, ulive concie qui si pone,
per far nostri apititi agui e fni;
pere cotte e treggiea quivi sone,
uva passarmelle appie e nociellini,
poi anasi confetti e l ciantellone.
5
La rassegna di pietanze sopraffni solo uno dei modi in cui si concretiz-
za la visione del regno di Cuccagna, motivo letterario dallampio spettro
sociologico dove la parata dellabbondanza e della ghiottoneria desti-
nata a strabiliare il pubblico ma soprattutto ad esorcizzare la fame e la
carestia, come splendidamente ha illustrato Piero Camporesi nel cit. sag-
gio Il paese della fame.
Del resto, il sonetto burchiellesco come qualunque altro testo che
prenda ad oggetto il cibo non pu sottrarsi a una delle pi universali
chiavi dinterpretazione della letteratura del Rinascimento, la dialettica
tra Carnevale e Quaresima, due polarit che il testo comico sviluppa in
termini ugualmente iperbolici e paradossali. Nei Sonetti del Burchiello tro-
4. Simone de Prodenzani, Rime, ed. critica a cura di F. Carboni, Manziana, Vecchia-
relli, 2003: si tratta del son. li (i nomi parlanti si trovano ai vv. 1, 5 e 9). San Godenzo che
anche un toponimo dellappennino tosco-emiliano appare due volte anche nei Sonet-
ti del Burchiello, xcix 7 e cviii 9.
5. Simone de Prodenzani, Rime, cit., lii, p. 302.
michelangelo zaccarello
50
viamo infatti uno che f il Burchiello per la quaresima (xc: Apro la
bocca secondo i bocconi; la rubrica del Trivulziano 976, ma condivisa da
altri due codici), ove invece di inebrianti visioni dabbondanza troviamo
una rassegna di cibi penitenziali, quali pesce minuto e di qualit scaden-
te, legumi vari indicati con voci di sapore gergale: [mangio] talor quel
dipintor co suo prigioni / che niun per povert fu mai riscosso / quando
quel calzaiuolo (xc 5-7); grazie al soccorso di glosse marginali di alcuni
copisti sappiamo che si tratta, rispettivamente, del pisello e del fagio-
lo.
6
Per converso, il sonetto clxxxi, Da buon d, gelatina mie sudata im-
perniato su ununica vivanda, la gelatina di carne appunto, di cui si tesse
un appassionato elogio passandone in rassegna i vari ingredienti; la desi-
gnazione di questi non tuttavia diretta, ma lambiccatamente perifrasti-
ca, al limite dellindovinello o del gergo (vv. 9-14):
Quel tra Lerice e l porto dellAmore
o ne primi cuiussi del poeta,
7
non ti manc n pesto il venditore,
n la dolceza che s gli orsi allieta
e quando atrista il suo agricultore,
vin, sal, gruogo, acqua, aceto a man discreta.
Anche a fronte della notevole libert concessa dal codice burchielle-
sco, si tratta di un gioco linguistico decisamente anomalo per un testo
farmacopeico, e invano si cercherebbero in questo sonetto le cifre for-
mulari e stilistiche che caratterizzano questo sottogenere e che verranno
esaminate in questo contributo. Occorre dunque defnire (a) quali siano
i connotati formali distinitivi del sonetto farmacopeico allinterno di cor-
pora poetici ispirati allo stile burchiellesco; (b) sia pure in via di approssi-
6. Si tratta di glosse marginali del Vat. Rossiano 985, c. 105v, ma nel Panciatichiano 25
della Nazionale di firenze tali glosse appaiono subentrate al testo e creano versi grosso-
lanamente ipermetri: talor quel dipintor pisello co suoi prigioni [] quando quel chal-
za[i]uolo fag[i]uolo (c. 78r: cfr. il mio Morfologia e patologia della trasmissione nei Sonetti di
Burchiello, in Studi di flologia italiana , lvii 1999, pp. 257-76, a p. 266).
7. Lallusione forse al dum conderet urbem, nei primissimi versi dellEneide di Virgilio, il
poeta per antonomasia: cfr. P. Vergilius Maro, Aeneidos liber primus, edited with intro-
duction, notes and vocabulary by H.E. Gould & J.L. Whiteley, Bristol, Bristol Classical
Press, 1990, i 5, a p. 1.
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
51
mazione, lincidenza quantitativa di questa tipologia testuale nei Sonetti
del Burchiello ed in altri corpora poetici che per ampiezza e variet
possono fornire indicazioni soddisfacenti.
2. Incidenza quantitativa nel corpus burchiellesco
Allinterno dei Sonetti del Burchiello, lincidenza di testi propriamente
svolti secondo uno schema farmacopeico signifcativa ma non amplis-
sima. A prescindere dagli accenni puntuali a questa tipologia testuale,
disseminati in moltissimi testi alla burchia, si hanno infatti solo sette
testi (su 223) interamente sviluppati sullo schema della ricetta, sebbene
con modalit via via divergenti (i testi sono citati da Sonetti del Burchiello
2004):
Se vuoi far larte dellindovinare (iii, p. 5)
Se tu volessi fare un buon minuto (xxxi, p. 43)
Signor mio caro, se tu hai la scesa (lxxxvii, p. 124)
Chi guarir presto delle gotte vuole (ciii, p. 146)
Qualunque al bagno vuol mandar la moglie (cxxvii, p. 178)
Son medico in volgar, non in grammatica (cxxxi, p. 184)
Se vuoi guarir del mal dello nfreddato (clxiii, p. 228)
Solo in tali testi operano tutti i fattori caratteristici di questo particolare
flone, e in particolare quel tasso di formularit che rinvia esplicitamente
alle compilazioni mediche e culinarie dellepoca:
lincipit ipotetico Se vuoi / Se tu volessi, seguito dalle fnalit di applicazione
della ricetta medica o dal piatto desiderato, come nei ricettari coevi, dove
viene anche usato a mo di rubrica per lintera ricetta: cfr. il tipo Se vuoi buon
vermicelli per xij persone, che ricorre nella raccolta dei xii ghiotti;
8
il verbo formulare, alla seconda persona, che introduce la lista di ingredienti
tipicamente To / Togli: per citare solo passi che presentano affnit contenu-
tistiche con i nostri testi, si confronti questa ricetta dellAshburnham 349, c.
8. Il testo non edito modernamente, ma se ne pu avere una campionatura nel bel
saggio di L. Bertolini, Problemi testuali dei libri di cucina: lorganizzazione del testo nella tradi-
zione dei XII ghiotti, Bullettino senese di storia patria , a. c 1993, pp. 47-81.
michelangelo zaccarello
52
11r: Se alcuno fosse refreddato ch(e) non potesse parlare togli orpim(en)to e
peve e tritale b(e)n , che si pu confrontare con Sonetti, clxiii, Se vuoi guarir
del mal dello nfreddato; nello stesso codice, c. 16v: Se uno avesse cattiva memo-
ria togli unerba ch(e) nome gallitrico e ma(n)za lerba [] , da confrontare
con i vari riferimenti alla mnemotecnica presenti nel corpus burchiellesco
(specie iii 9 et pparare a mente la memoria).
Togli era il pi diffuso equivalente del latino Recipe, normalmente reso
in forma abbreviata, e spesso conservato anche in contesto volgare: di
uso diffuso gi nel sec. XIII (Zucchero Bencivenni, GDLI), passa alluso
sostantivato per ricetta solo nel sec. XVI, sulla scorta del francese (DEI).
9

A noi interessa solo luso formulare, che introduce lelenco degli ingre-
dienti: Unguento da ochij perfectissimo. R(ecipe) onto sotille onci .j. e
lavalo tre over quatro volti cu(m) aqua roxa [] (nel quattrocentesco
ms. Laur. Ashburnham 348, c. 95r) o in contesto poetico Recipe a
liberar dal mal del morbo , incipit di un so netto trdito dalledizione
pseudo-londinese dei Sonetti del Burchiello.
10
A questa struttura si conformano non solo i testi di carattere pratico e
applicato, ma gran parte delle pi nobili compilazioni in materia. Sebbe-
ne il mondo dei ricettari tre-quattrocenteschi sia un mare magnum ancora
solo in minima parte esplorato, possono bastare gli esempi pi noti (e
diffusi in testimonianze depoca) ad esemplifcare il nostro discorso: lano-
nimo Liber de coquina o de arte coquinaria, lAntidotarium magistri Nicolai, mae-
stro Martino de Rossi, Bartolomeo Platina, lo pseudo-Michele Savona-
rola, i citati xii ghiotti. Dal Liber de arte coquinaria, nella versione toscana
pubblicata da francesco Zambrini, possiamo citare uno stralcio casuale:
9. Il riferimento, da intendere s.v., naturalmente risp. a S. Battaglia-G. Brberi
Squarotti, Grande Dizionario della Lingua italiana, Torino, Utet, 1961-2002 (21 voll. con un
Supplemento 2004), e a C. Battisti-G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, 5 voll., firen-
ze, Barbra, 1950-1957.
10. Si tratta del n. 233 dei Sonetti del Burchiello, del Bellincioni e daltri poeti orentini alla
burchiellesca, Londra [ma Lucca-Pisa-Livorno] 1757 (p. 153): esso compare allinizio della
parte dedicata ai sonetti trovati in altri Testi sotto suo nome, imper ci parso bene
mettergli separati dagli altri (pp. 145-234). Ledizione fu pubblicata con ogni probabilit
per iniziativa e cura di Anton Maria Biscioni (1674-1745), il noto bibliotecario della Lau-
renziana e cultore di testi volgari.
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
53
Togli capponi arrostiti, e i fegati loro con le spezie, e pane abbrusticato, trita nel
mortaio; e distempera nel mortaio buono vino bianco et succhi agri, e poi
smembra i detti capponi.
11
Sullampio spettro di utilizzo di tali ricettari si dir pi avanti, bastino
per adesso alcuni esempi che di tale rigido impianto formulare offre il
Ricettario medico-cosmetico attribuito a Michele Savonarola (ferrara, Bi-
blioteca Ariostea, Cl. II 147), che illustra tra laltro il modo di realizzare oro
liquido e colori per la miniatura:
Recipe lo marmore bianco et mettilo ne lo letame fno che se comincia a rego-
lare, te habbi del fore di guado, cio de la schiuma, cio quando li tintori tinze-
no, sia ben seco et mettilo a tridare suso la pietra et quanto pi ne metti tanto
pi viene aperto.
12
Da questo passo emerge luso di un altro verbo formulare, (h)abbi, usa-
to per indicare la disponibilit di un ingrediente o per semplice variatio
rispetto a togli e recipe. Anche questa voce prontamente recepita nella
parodia burchiellesca (iii 5-8):
poi fa Volterra in tutto dimagrare
et habbi del bitur dun anitrocco
e di compieta il primo e sezzo tocco
e questo l modo se tu vuo volare [].
Tra i verbi caratteristici della preparazione farmacologica, i pi fre-
quenti sono stillare o distillare, che indica lestrazione o purifcazione del
principio per bollitura dei solidi o per condensa dei liquidi, come nel
Ricettario Bardi:
11. Libro della cucina del sec. XIV, testo di lingua non mai n qui stampato, a cura di F. Zam-
brini, Bologna, Romagnoli, 1863, rist. an., Bologna, forni, 1968, p. 23. Di tali fonti esistono
spesso edizioni parziali e/o sintesi moderne, fnalizzate ad estrarne le ricette ad uso di
cuochi e curiosi: su questa linea divulgativa, ma di ottimo livello scientifco, O. Redon
F. Sabban-S. Serventi, A tavola nel Medioevo, con 150 ricette dalla Francia e dallItalia, pref. di
G. Duby, Roma-Bari, Laterza, 2004.
12. Pseudo-Savonarola, A far littere de oro. Alchimia e tecnica della miniatura in un ricettario
rinascimentale, a cura di A. P. Torresi, pref. di M.G. Ciardi Dupr Dal Poggetto, ferra-
ra, Liberty House, 1992, p. 104.
michelangelo zaccarello
54
Recipe il mese di marzo ne fumi, dove fanno le rane una certa schiuma, che
drento vi stanno tre o quattro rane, e radunala, e poi la metterai a stillare a bagno,
quando ne avrai ragunata quanta vorrai, e questa si domanda sperma di rane
stillata [] ottima per linfammazione della faccia, di occhi e di tutto il corpo.
13
Puntualmente, il verbo compare in vari luoghi dei Sonetti del Burchiello,
applicato ai pi disparati ingredienti:
Se vuoi far larte dello ndovinare
tgli un sanese pazzo et uno sciocco,
un aretin bizzarro et un balocco
e fagli insieme poi tutti stillare. (iii 1-4)
Stilla tre pipistregli
e begli quando il giudice va a banco:
questa ricetta buona al mal del fanco. (clxiii 15-17)
Scontr messer Mariano
che distillava barbe di tartuf
per guarir del veder civette e guf. (clxxii 15-17)
Altrettanto caratteristico, e dunque passibile di impiego allusivo pe-
stare o battere, che indica la frantumazione degli ingredienti nel mortaio
dello speziale, come nella ricetta per la tintura azzurra nel Cl. II 147
dellAriostea di ferrara:
A fare azuro
Recipe lapis lazuli et pistalo bene sutilmente, te fa uno pastello di trementina
e di sapone, et di rasa di pino, et quando haverai fatto lo pistello lascialo stare per
4 d, te poi fa una liscia dolce che sia bene chiara e bella []
14
Al pari di ungere, il verbo si presta a un impiego di forte allusivit erotica,
come del resto la metafora del mortaio, vulgatissima a partire dal
Decameron;
15
nei Sonetti, esso designa la particolare terapia destinata a ri-
13. Il ricettario Bardi. Cosmesi e tecnica artistica nella Firenze medicea, a cura di A.P. Torresi,
ferrara, Liberty House, 1994, p. 130.
14. Pseudo-Savonarola, A far littere de oro, cit., p. 104.
15. Si tratta delle parole con cui monna Belcolore restituisce il tabarro del prete da Var-
lungo (si cita da G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1980):
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
55
pristinare la fertilit di una moglie mediante il bagno termale: Credi a me
che son medico cerugo: / fa che ogni sera pesti un petronciano / e priemil
con duo man e beti il sugo (cxxvii 9-11). Altrettanto si pu dire dellequi-
valente battere, che pu tuttavia indicare anche latto di sminuzzare fne-
mente gli ingredienti. Lesempio seguente ha un incipit che ricorda da vi-
cino quello di uno dei nostri sonetti, il iii Se tu volessi fare un buon minuto:
Se vuoli fare minuto nella migliore maniera che fare si puote, togli due libre di
mandorle et una buona anguilla frescha, e togli buone erbe oglenti bene monde
e bene lavate, e mettele a lessare e battile bene.
16
Gran parte dei rimedi illustrati nei ricettari del secolo XV sono con-
cepiti per lapplicazione esterna, localizzata nellarea sofferente: impia-
stri, pittime (cio impacchi, come negli stessi Sonetti, lxxxvii 9), lattovari,
ma soprattutto unguenti. La famiglia ungere/unzione/unguento la pi
ampiamente rappresentata nel linguaggio farmacopeico, come dimostra
questo esempio tratto, ancora dal Ricettario Bardi, che propone un equi-
valente quattrocentesco dellodierna pillola blu:
Oleum ad erectionem Priapi
Recipe olio di pistacchi, olio di seme di senapa ana oncia meza; belgivi dram-
ma una; fa linimento et unta le parti genitali.
17
3. Lapporto della tradizione mediolatina e dellInvectiva contra
medicum
Il sonetto imperniato sulla ricetta medica intrattiene un rapporto di
analoga complessit con la tradizione precedente, cui contribuiscono in
pari misura da un lato generi seri, quali linvectiva contra medicum (lesem-
Dirai cos al sere da mia parte: La Belcolore dice che fa prego a Dio che voi non pe-
sterete mai pi salsa in suo mortaio, non lavete voi s bello onor fatto di questa. Il cheri-
co se nand col tabarro e fece lambasciata al sere, a cui il prete ridendo disse: Dirale,
quando tu la vedrai, che sella non ci prester il mortaio, io non presterr a lei il pestello
(viii 2 44, p. 904).
16. lvii ricette dun libro di cucina [= Ricc. 1071] del buon secolo della lingua, [a cura di S. Mor-
purgo,] Bologna, Zanichelli, 1890, p. 21.
17. Il ricettario Bardi. Cosmesi e tecnica artistica, cit., p. 130.
michelangelo zaccarello
56
pio pi cospicuo il Petrarca di Familiares, v 19, e delle Invectivae appunto),
dallaltro varie forme di parodia o satira del medico imbroglione o ciar-
latano, attestate tanto in prosa quanto in versi. Si pensi a Mariano da Pisa,
il messer Mariano citato sopra, che viene satireggiato tanto nei Motti e face-
zie del Piovano Arlotto quanto nei Sonetti del Burchiello attraverso la ricetta
della sua specialit segreta, la famigerata utriaca che gli impostori smer-
ciavano nelle piazze per curare ogni genere dinfermit; quella di Maria-
no non potrebbe essere pi inconsistente (lx 1-4):
Limatura di corna di lumaca,
vento di fabbro, dorgano e di rosta
perch mosca giamai non vi saccosta
mette mastro Marian nellutraca [].
Il sonetto abbandona poi lo schema della ricetta per dare libero sfogo
alla variet tipica dei testi alla burchia, ma Mariano ricompare in un
altro sonetto del corpus, il ccxvi, attribuibile ad Andrea de Medici e inte-
ramente dedicato a mettere in berlina un impostore anche peggiore del
proverbiale imbroglione pisano, il sarto castellan fatto sensale, che vanta
anchegli studi nella prestigiosa facolt pisana di medicina (ccxvi 5-14):
Mandagli il segno tuo nellorinale
e sollazando fa che fugga lozio,
che, non che tu, ma se fusse uno Scozio
ti chiarer come fratel carnale.
Chicchi bichiacchi dice il tuo sanguigno,
intendi me che gi studiai a Pisa
et ogni mal conosco senza signo .
Mariano chode scoppia delle risa,
ondegli stringe i denti e l viso arcigno,
bestemmia ogni potenza alla ricisa.
In mancanza di adeguate conoscenze anatomiche, losservazione del
campione dellurina era la principale pratica diagnostica insieme a varie
forme di palpamento del corpo.
18
Chi pretende di conoscere una malat-
18. Come stabilire una diagnosi, per esempio? Attraverso la vista e il tastamento, il
medico riconosce senza sbagliarsi i disturbi la cui manifestazione esterna [] numero-
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
57
tia senza signo (un vero controsenso per un medico serio, specie se laure-
ato a Pisa) non pu che affdarsi a un confuso sproloquio, fnalizzato a
gettare fumo negli occhi del paziente; la locuzione impiegata denota
unignoranza ciarliera e petulante, ed cos spiegata nellHercolano di Be-
nedetto Varchi:
Dun ceriuolo o chiappolino il quale non sappia quello che si peschi n quante
dita sabbia nelle mani e vuol pure dimenarsi anchegli per parer vivo o guizzare
per non rimanere in secco, andando a favellare hora a questo letterato o mercan-
te e quando a quellaltro, si dice: egli un chicchi bichicchi e non sa quanti piedi
sentrano in uno stivale.
19
In epoca antecedente al Burchiello, si trova un impiego diverso della
ricetta allinterno di testi dal pi spiccato carattere drammatico o narrati-
vo; nella commedia mediolatina, ad esempio, spesso la preparazione di
medicine o unguenti miracolosi a risolvere situazioni complicate. In alcu-
ni casi, gli autori indulgevano ad elencare gli ingredienti del composto,
perlopi improntati allossimoro o alladynaton. Da ultimo, questo ti po di
ricette impiegate in contesto letterario stato studiato da Armando Bi-
santi, che si sofferma su un espediente attestato tanto nella commedia la-
tina medievale quanto nella novellistica volgare (con esempi nel Baucis et
Traso e nel Novelliere di Giovanni Sercambi), ovvero la ricetta destinata a
restituire la malconcia verginit a una futura sposa in vista del suo ma-
trimonio;
20
il pedigree letterario di questo motivo non deve per fare di-
menticare che tale prassi ben attestata nei serissimi ricettari delle poca:
Ad restringendam vulvam
Recipe grani di sommaco, di mirto, di coriandoli, lente, cappelli di ghiande
ana drame dua, palle di cipresso, di quercia preforata ana once quattro, allume di
si trattati laiutano a stabilire la diagnosi fondandosi su due segni principali: il ritmo del
polso e il colore o la consistenza delle urine (D. Jacquart, La medicina medievale alla prova,
in Per una storia delle malattie, a cura di J. Le Goff e J.-C. Sournia, Bari, Dedalo, 1986 [ed.
or. Les maladies ont une histoire, Paris, Seuil, 1985], pp. 71-76, a p. 71).
19. B. Varchi, LHercolano, ed. critica a cura di A. Sorella, pres. di P. Trovato, 2 voll.,
Pescara, Libreria dellUniversit, 1995, Intr. 704, pp. 620-21.
20. A. Bisanti, Enea Silvio Piccolomini e le ricette impossibili, in Schede umanistiche , n.s.,
2 2001, pp. 25-34.
michelangelo zaccarello
58
rocca oncia meza, cime di squinanti mezo manipolo. farai polvere dogni cosa,
e farai bollire in acqua serrata libbre otto, alla consumatione del terzo, poi cola e
sprem, e spesso con una spugna in loco vi bagnate, e poi fatto questo userai
questaltro: scorze di pino oncia una, allume di rocca oncia meza, cipperi drame
dua. farai polvere dogni cosa e farai e farai bollire nella detta decotione, e poi
bagnerete pezete di lino e le metterete spesso nel luoco dentro per otto giorni,
che restringer come se fosse fanciulla.
21
Ma il saggio di Bisanti sottolinea anche il riutilizzo della ricetta in
mbito umanistico, dove la rassegna degli ingredienti stravaganti e para-
dossali offre il destro per esibire un raffnato repertorio mitologico; lo
studioso cita un passo dei Carmina di Enea Silvio Piccolomini:
Tolle sonum ciceris, sicca dum veste tenetur,
cum galli cantu decoque utrunque simul;
Arpalices, quantum cursus capit, accipe dextra
deque domo sumas tres Aquilonis apes;
Tres Niobe lachrimas, duo tantum basia Prognes,
illud, quod rapuit, det tibi litus, Hylam;
Herculee libram dumtaxat sumito clave
et pullum, feta est quem tua mula tibi;
intuitum post hec captato libistidis urse
et quicquid veri Lesbia dicit habe.
22
Nelle sue fni annotatiunculae ai carmi del Piccolomini, Mario Martelli
rileva il tono burchiellesco di questi adynata, e lo mette in relazione a un
testo che si trova giustapposto ai Sonetti in alcune testimonianze quattro-
centesche.
23
Si tratta di un capitolo ternario indicato dalle rubriche come
Medicine; esso narra una visione in cui appare un medico da strapazzo che
espone le sue improbabili ricette e le propriet di una moltitudine di
21. Il Ricettario Bardi. Cosmesi e tecnica artistica, cit., p. 56.
22. Aeneas Silvius Piccolomini, Carmina, a cura di A. Van Heck, Citt del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1994, epigr. xli. Il passo in questione citato da Bisanti,
Enea Silvio Piccolomini e le ricette impossibili, cit., pp. 26-27.
23. M. Martelli, In Aeneae Silvii Carmina Annotatiunculae, in Interpres , xvi 1997, pp.
245-73; lo studioso cita in proposito due degli esempi farmacopeici offerti dai Sonetti del
Burchiello (ciii e clxiii).
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
59
strampalati ingredienti. Ne cito alcuni stralci dal ms. Vat. Barb. lat. 3936,
c. 34r-v e 35r:
In prima dicie: A crescier i capelli,
togli un quaderno de cichale lesse
e grilli bianchi, e mescola co(n) elli;
e poi le palme tongirai co(n) esse
di piei: e statte al suol tridici nocte
sena dormire e faraile spesse. []
A chi avesse i denti troppo secchi
dagli a mangiar nove mactine a veglia
una carrata di rose e di stecchi []
E si di porri vorrai guarir tosto
torrai tre salta di lumacha e fagli
bollire al vento e non dir: I mi scosto,
et leghategli a piey con tre sonagli
e uno archo di ponte e al sereno
te sta tre d, e fa che no(n) abagli .
E cos via, per un totale di 209 versi nella redazione del Barberiniano (216
nella versione che Martelli cita dalledizione pseudo-londinese):
24
nel
Quattrocento era dunque possibile organizzare un intero, lungo testo
interamente sullo schema delle ricette bizzarre o paradossali, in modo
che sui motivi tradizionali della satira del ciarlatano prevalesse larga-
mente il gusto per il virtuosismo linguistico e retorico, la ricerca ossessi-
va di adynata e di iuncturae ossimoriche. Nel saggio di Martelli non se ne
azzarda lattribuzione; tuttavia, sebbene adespoto (e inserito dalledizio-
ne pseudo-londinese nella terza parte, quella delle rime dubbie), il testo
da identifcarsi con la seconda mattana del giullare Niccol Povero,
gi autorevolmente indicato come uno tra i principali precursori dello
stile burchiellesco.
25
La scelta dei copisti che abbinano questo strano ca-
24. Sonetti del Burchiello, del Bellincioni e daltri poeti orentini alla burchiellesca, cit., pp. 178-79.
25. Questo rimatore, studiato ai primi del Novecento da Ezio Levi, stato da tempo
indicato come uno dei pi signifcativi precursori dello stile burchiellesco: cfr. principal-
mente Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 128-29 e n. 6, che riassume la bibliografa pregressa.
Delle mattane o paneruzzole del giullare manca unedizione moderna che sostituisca quel-
la offerta da Levi. La prima paneruzzola, riproposta di recente da Tito Saffoti (I giullari
michelangelo zaccarello
60
pitolo ai Sonetti dunque ben motivata, e non a caso ripresa dai compila-
tori della citata edizione pseudo-londinese: nonostante la vistosa infra-
zione dellomogeneit metrica della raccolta (un criterio che porta mol-
ti scribi a omettere ad esempio, la canzone Voi che sentite gli amorosi vampi,
certamente del Burchiello), il testo condivide con i sonetti alla burchia
il gusto per il gioco di parole, linfrazione di varie forme di concatenazio-
ne logica, la sbrigliata inventiva lessicale. E come nel sonetto alla bur-
chia, tale caleidoscopica variet convive con una sintassi rigida e mono-
tona, che non solo risulta in cola rigorosamente circoscritti alla singola
terzina, quando non al singolo verso, ma scandita periodicamente dal-
le frasi ipotetiche e dagli altri elementi formulari caratteristici della ricet-
ta (a partire dal canonico Se vuoi).
4. Lorizzonte tematico del ricettario
fin qui, ci si primariamente soffermati su aspetti linguistici e forma-
li del testo farmacopeico; tuttavia, importantissimo notare che la mag-
gioranza dei ricettari, e soprattutto le forme pi comuni di compilazione
ad uso familiare o di una piccola comunit, non si limitavano a ricette di
carattere medico o culinario, ma cercavano di mettere insieme un auten-
tico prontuario destinato a risolvere i molti problemi della vita quotidia-
na per tutti i membri della comunit: con un occhio alle donne, destina-
tarie delle molte ricette di cosmesi, e con una certa attenzione per i pro-
blemi degli animali da trasporto (vi si trovano spesso intercalate ricette
di mascalcia). Infne, in questa svariata fenomenologia testuale venivano
mescolate e intercalate ricette di tipo magico-astrologico, incantesimi
vari ed excerpta dai pi famosi alchimisti del Medioevo, come dimostra la
frequentissima inclusione di testi di Ramon Lull e Arnaud de Ville-Neu-
ve: si possono citare esempi di notevole pregio estetico o storico come il
Laur. Ashburnham 1166 e il citato Ricettario medico-cosmetico attribui-
to a Michele Savonarola. Ma per illustrare lampio spettro dimpiego di
queste compilazioni farmacopeiche, converr citare alcune ricette estrat-
in Italia: lo spettacolo, il pubblico, i testi, Milano, Xenia, 1990, pp. 445-46) pubblicata dallo
stesso Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 129-33.
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
61
te dal ms. firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 349, codice car-
taceo della met circa del secolo XV:
Se tu voli chun arboro n(on) abia foglie fn ala festa de san Zovan batista quella
mattina de san Zovan(n)o inanti ch(e) leve el sole p[i]anta q(ual) arboro tu voli
e n(on) far foglia fn al dito d de san Zovan(n)o (c. 5v).
Se tu voli che le tethe n(on) crescano mai a le fantine, fa castrare un porco e col
sangue del coglione destro ungiglie la mamilla destra e con sangue del sinistro
ungiglie la mamilla sinistra e mai n(on) cresceran(n)o pi (c. 13v).
Se tu vol sempre avere i(n) memoria una do(n)na, q(ua)n(do) tu ma(n)ze de
cappone togli q(ue)llossecello pi picholo ch(e) i(n) cima de lala destra e
ma(n)za q(ue)llosso p(er) so amore [] (c. 18v).
Credo che esempi come questo ci aiutino a demarcare con maggiore
rigore quanto nei Sonetti o in altri testi possa (o non possa) defnirsi non-
sense. In altre parole, occorre defnire in via preliminare lorizzonte di
quanto era atto a produrre questo tipo di straniamento in un lettore
quattrocentesco, venendo percepito come bizzarro e deliberatamente
strampalato; per converso, solo una pi articolata conoscenza di tipolo-
gie testuali non letterarie o semi-letterarie, che costituivano nondimeno
letture diffuse, addirittura consuete in certi mbiti privati e familiari,
pu servire a delimitare profcuamente il territorio della parodia e a di-
stinguerne i bersagli. Se ricettari come i citati vantavano un ampio cre-
dito da parte di vaste fasce dutenza, non inverosimile supporre che le
fasce in tellettualmente pi avvedute nutrissero per tali testi un divertito
scetticismo, che consuonava per giunta con lampia letteratura prosasti-
ca (ed il repertorio novellistico) afferenti alla citata tradizione contra me-
dicum.
5. Le raccolte di ricette e le descrizioni di banchetti: effetti di
aggregazione spontanea e comicit involontaria
Nel 1968, Domenico De Robertis pubblicava un saggio unanimemen-
te considerato un pilastro della critica burchiellesca,
26
in cui indicava nei
26. D. De Robertis, Una proposta per Burchiello, in Rinascimento , viii 1968, pp. 1-68.
michelangelo zaccarello
62
libri di gabella, e pi in generale negli elenchi inventariali, un punto di
riferimento importante per comprendere il gusto combinatorio delle
enumerazioni burchiellesche, nonch la spontanea formazione di ende-
casillabi che risulta dalla giustapposizione di sintagmi nominali e dalle
movenze di una sintassi modulare e prevedibile. La proposta dello studio-
so, suggerita in relazione a semplici elenchi e inventari di merci andrebbe
per applicata anche ad altre tipologie testuali, basate sullelencazione ma
non del tutto riconducibili a serie nominali. Laddove anzi lenumeratio
viene introdotta e accompagnata da una sia pure elementare e ripetitiva
sintassi, quelle suggestive analogie sembrano moltiplicarsi e estendersi
dalla semplice materia lessicale ai connettivi sintattici, dalla rigida scansio-
ne della paratassi al ricorrere di giri frasali che assumono spesso il tono
formulare e memorabile dei clich burchielleschi. Il testo farmacopeico
senzaltro una di queste tipologie: vi concorrono luso di un lessico incon-
sueto e peregrino, che evoca spesso lesotico e il raro, lampia prevalenza
della paratassi, labbondanza dei nessi e delle strutture formulari.
Ma i documenti depoca non ci informano sulla gastronomia solo at-
traverso le ricette: molto apprendiamo anche dai resoconti di banchetti
e conviti. Nella notevole variet che li caratterizza (compilati da dipen-
denti della corte per esigenze di rendicontazione interna, da privati citta-
dini per informarne familiari e amici, o persino da storici e cronisti nel-
lambito di opere di ampio respiro, ad esempio Bernardino Corio), essi
condividono tratti comuni, specie relativi alla compresenza di una-
nalitica descrizione delle vivande (eventualmente corredata di informa-
zioni sul costo dei relativi ingredienti) e di dettagliate informazioni sulla
presentazione di esse, che non solo privilegiava fattori quali la stravagan-
za simbolica o levocativit letteraria nella guarnizione dei cibi, ma avve-
niva con modalit autenticamente teatrali. Nelle varie forme di descri-
zione di questi sontuosi apparati, la sbrigliata fantasia dei registi dava
corpo a visioni pienamente burchiellesche, che accozzavano animali ra-
ri e composizioni vegetali con molteplici riferimenti mitologici; al con-
tempo, la modularit del dettato produceva attraverso un ritmo ben
scandito e spesso monotono un gran numero di cola ritmici, che risul-
tano assai spesso in endecasillabi involontari. Se ne trova un gran nume-
ro nei vari testi pubblicati da Claudio Benporat nella sua monografa sui
una forma istituzionale della poesia burchiellesca
63
banchetti di corte nel Quattrocento.
27
La casistica tale e tanta che
possibile divertirsi a mettere insieme un sonetto burchiellesco di una
qualche plausibilit (sistema rimico a parte):
Zellatina de pesci in piatti grandi, [p. 159]
el Coliseo contraffatto e ornatissimo [p. 157]
fece il Duca presenti di valuta [p. 144]
e collui il fattore dellabate. [p. 137]
Mense, trespoli et altri fornimenti 5 [p. 137]
corso amabile et vino de Grandoli [p. 159]
meritamente li fo consegnata [p. 188]
cum deci monstri marini argentati. [p. 272]
Uno Hercule con un leone socto [p. 169]
e colli supradicti Herculi Baccho 10 [p. 170]
di duecento miliara di forini: [p. 141]
ancora furono portate in tavola [p. 174]
fcatelli de pulli e de capretti, [p. 281]
geladia in conche di vincorno. [p. 175]
Per domenicha sera 15 [p. 145]
furonvi servitori e cortigiani, [p. 240]
fnalmente compiuto il desinare. [p. 143]
Mi si perdoner lo sconfnamento ludico, se pu servire a dare ragione del-
la relativa facilit di questo tipo di versifcazione, in cui la sintassi, frantu-
mata e addomesticata dalle lunghe enumerationes, consegna al rimatore
unampia messe di materiale, che permette di impostare il gioco su ele-
menti accessori, quali il virtuosismo lessicale o lesercizio retorico, co-
munque lontani da un qualsiasi sviluppo dei contenuti logici o narrativi.
Solo in questi termini il testo farmacopeico pu vantare una qualche
cittadinanza nel variegato mondo del nonsense.
6. Conclusioni
Concludo con due avvertenze di carattere generale: se vogliamo atte-
nerci alla sostanza di questi testi, e anche allevidenza delle testimonian-
27. C. Benporat, La cucina italiana del Quattrocento, firenze, Olschki, 1997 (2001
2
).
michelangelo zaccarello
64
ze depoca, sar bene non tracciare un confne troppo netto fra cucina e
farmacologia: pi che di contiguit e complementariet tra i due mondi,
infatti opportuno parlare di due aspetti della medesima materia. Senza
addentrarci in un terreno troppo vasto per gli scopi di questo saggio, si
pu dire in sintesi che da un lato la salute umana era descritta in termini
di equilibrio dei diversi umori e stabile complessione, rifesso dunque di
unalimentazione conforme allindividuo, dallaltro lintervento sulla nu-
trizione era di fatto lunica terapia farmacologica disponibile, con cibi e
ingredienti disponibili in natura e destinati a controbilanciare scompen-
si nellequilibrio umorale (bisognava attendere per altri due secoli per
vedere i primi contributi della chimica applicata alle cure mediche). In-
fne, la compresenza di una sbrigliata variet tematica e di rigide costri-
zioni sintattiche e formulari accomuna le sillogi di testi burchielleschi e
i ricettari coevi anche sul piano della trasmissione testuale, in forza della
notevole fuidit che i testimoni manifestano quanto a canone ed ordina-
mento, ma anche per la funzione-guida che in tali futtuazioni assumo-
no certi nuclei testuali. Sia che questi risalgano a precoci sistemazioni
redazionali, sia che rifettano lopera pi tarda di copisti-collettori, si trat-
ta di fattori che rendono possibile tracciare un proflo tassonomico della
tradizione che pu guidare la restituzione dei testi e al contempo offrire
unimmagine del contesto socio-culturale in cui il testo si diffuso, un
rifesso insomma delloperato di quanti a partire da un insieme fuido
di unit testuali apparentemente slegate tra di loro hanno cercato di al-
lestire un prodotto funzionale ai gusti o alle esigenze del loro particolare
ambiente. In tal modo ha operato Lucia Bertolini, nel saggio citato so-
pra: ricco di suggestioni metodologiche, esso che analizzava la tradizio-
ne dei XII ghiotti attraverso un attento monitoraggio degli spostamenti
di determinati blocchi di ricette fra le varie testimonianze manoscritte.
28
28. Si veda loriginale approccio metodologico in Bertolini, Problemi testuali dei libri di
cucina: lorganizzazione del testo nella tradizione dei xii ghiotti, cit.
65
Alessio Decaria
CON BURCHIELLO DOPO BURCHIELLO.
IL NONSENSE NELLA POESIA TOSCANA
DEL SECONDO 400
Dir subito che il titolo, rifatto su quello di un recente libro di Giusep-
pe Marrani sulla fortuna di Dante lirico nel Trecento,
1
promette di pi
di quanto potr mantenere: lo dico adesso per evitare di fare la fne del
Burchiello, che, secondo che afferma Pietro Aretino nel Ragionamento
delle Corti, par che dica gran cose dicendo niente .
2
La fortuna della poe-
sia burchiellesca, com noto, vasta e duratura, per cui ovvio che, pur
restando allinterno dellambito cronologico prescelto, non ci si potr
che limitare a pochi esempi; anche perch dopo le due meritorie edizio-
ni di Michelangelo Zaccarello e la monografa di Giuseppe Crimi, espli-
citamente dedicata alla fortuna dell oscura lingua del barbiere, c pi
bisogno di precisazioni puntuali che non di trattazioni generali svolte su
unampia forbice diacronica.
3
1. Quando giunse a firenze la notizia della morte di Domenico di Gio-
vanni detto il Burchiello, avvenuta a Roma nel gennaio del 1449, si desta-
rono le muse dEtruria e molti poeti scrissero lepicedio del defunto.
Non il caso entrare nei dettagli dei singoli testi peraltro non tutti
1. Cfr. G. Marrani, Con Dante dopo Dante. Studi sulla prima fortuna del Dante lirico, firen-
ze, Le Lettere, 2004. A sua volta, il titolo del libro del Marrani debitore del volume di
M. Barbi, Con Dante e coi suoi interpreti. Saggi per un nuovo commento della Divina Commedia,
firenze, Le Monnier, 1941.
2. Insomma, il flosofo imita il Burchiello, il quale par che dica gran cose dicendo
niente (P. Aretino, Ragionamento delle Corti, a cura di F. Pevere, Milano, Mursia, 1995,
p. 48).
3. Vd. risp.: I sonetti del Burchiello, ed. critica della vulgata quattrocentesca a cura di M.
Zaccarello, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2000, e led. commentata, da cui
si trarranno sempre le citazioni, I sonetti del Burchiello, a cura di M. Zaccarello, Torino,
Einaudi, 2004; G. Crimi, Loscura lingua e il parlar sottile. Tradizione e fortuna del Burchiello,
Manziana, Vecchiarelli, 2005.
alessio decaria
66
spregevoli ma alcune considerazioni sono fondamentali per il mio di-
scorso, anche perch nessuno (che io sappia) ha mai proposto una rifes-
sione dinsieme su queste poesie.
4
Gi il numero dei componimenti
scritti in morte del Burchiello ben sei straordinario, anche ipotiz-
zando, con poco realismo, che ci sia pervenuta lintera produzione che i
contemporanei dettero fuori per la luttuosa occasione. Se si vanno a ve-
dere i nomi degli autori di questi testi ci simbatte in alcuni dei maggiori
poeti toscani della prima met del secolo (Mariotto Davanzati e france-
sco dAltobianco Alberti), in altri decisamente minori (Migliore di Lo-
renzo Cresci, Betto Busini e Piero di Rosso), pi un personaggio noto
per altri meriti come Antonio di Tuccio Manetti, operoso copista e cul-
tore di cose dantesche, in rapporto con alcuni fra i maggiori artisti e in-
tellettuali dellepoca.
5
Tanta attenzione da parte dei contemporanei
confermata dalle altre notizie che abbiamo sullampio giro di relazioni
coltivato dal barbiere anche dopo la sua partenza da firenze: bench non
si possa prendere in tutto per buona la rappresentazione idealizzata del-
la bottega di Calimala come ritrovo di letterati,
6
innegabile, anche dal
solo esame dei Sonetti del Burchiello, che molti intellettuali furono in con-
tatto col barbiere (bastino i nomi di Leon Battista Alberti e Rosello Ro-
4. Si d qualche cenno su alcuni di questi testi soltanto nei recenti saggi di G. Crimi,
Burchiello e le sue metamorfosi: personaggio e maschera, in Auctor/Actor. Lo scrittore personaggio
nella letteratura italiana, a cura di G. Corabi e B. Gizzi, Roma, Bulzoni, 2006, pp. 89-119,
alle pp. 90-91, e S. Cremonini, Una topica petrarchesca: i versi in morte di amici, colleghi e mece-
nati, in Il Petrarchismo. Un modello di poesia per lEuropa, ivi, id.,, 2006, vol. ii, a cura di F. Ca-
litti e R. Gigliucci, pp. 329-47, alle pp. 331-32. Un panorama ancora utile sulle voci bi-
bliografche pi antiche in C. Mazzi, Il Burchiello. Saggio di studi sulla sua vita e sulla sua
poesia, in Il Propugnatore , x 1877, pp. 204-45, a p. 214.
5. Per il Manetti si veda da ultimo la voce di G. Tanturli, Manetti, Antonio, in Diziona-
rio Biograco degli Italiani, Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, vol. lxviii 2007, pp. 605-9,
che contiene i rinvii alla bibliografa precedente; si veda inoltre, per qualche dato ulterio-
re, A. Decaria, Un copista di classici italiani e i libri di Luca Della Robbia, in Rinascimento ,
s. ii, xlvii 2007, pp. 243-87.
6. Sul mito della bottega di Calimala come ritrovo di letterati si vedano le assennate
considerazioni di L. Boschetto, Burchiello e il suo ambiente sociale: esplorazioni darchivio sugli
anni orentini, in La fantasia fuor de conni. Burchiello e dintorni a 550 anni dalla morte (1449-
1999). Atti del Convegno di firenze, 26 novembre 1999, Roma, Edizioni di Storia e Let-
teratura, 2002, pp. 35-57, alle pp. 49-51.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
67
selli); altri si espressero sulla sua poesia (si pensi agli epigrammi di due
umanisti del calibro di Leonardo Dati e Cristoforo Landino, ma anche
quelli di Alessandro Braccesi e Ugolino Verino),
7
segno comunque di
unat tenzione per quella che certo lesperienza poetica pi innovatrice
e sconvolgente della prima met del secolo XV. Bench questi epicedi
risentano fortemente della retorica connessa al genere, essi costituiscono
comunque un punto di partenza inevitabile per chi intenda concentrarsi
sulla ricezione della poesia burchiellesca presso i contemporanei. Qua-
si tutti gli autori dei testi scritti in memoria di Burchiello accennano in
qualche misura alla vena poetica del defunto e, se alcuni adattano, con
scarso rispetto per i fatti e contro la presumibile volont del celebrato, il
modello paludato e prefabbricato dellepicedio in morte di poeti cor-
tesi,
8
tirando in ballo dei e dee (peraltro non sempre pertinenti),
9
perso-
7. Questo lepigramma del Landino (Xandra, ii xxviii): Plurima mitto tibi tonsoris
carmina Burchi; / haec lege. Sed quid tum? Legeris inde nihil (Christophori Landini
Carmina omnia, ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa, florentiae, in aedi-
bus Leonis S. Olschki, 1939, p. 79); non diversamente il Dati: Burchius qui nihil est,
cantu tamen allicit omnes, / esto parasitus vatibus Etruriae (cfr. F. Flamini, Leonardo di
Piero Dati poeta latino del sec. XV, in Giornale storico della letteratura italiana , xvi 1890,
pp. 1-107, a p. 9) e il Braccesi: Myrtea, Syllani, componite serta, poetae, / Pinguia quae
purgent tempora Lucilii. / Burchius Aoniis migravit collibus alter, / Qui quoque nimi-
rum carmen inane facit: / Lucilius prisco tanto praestantior illo, / Quanto hunc extollit
Musa Latina magis (xii 1-6: cfr. Alexandri Braccii Carmina, A. Perosa edidit, floren-
tiae, Bibliopolis, 1944, pp. 105-6). Il testo del Braccesi, di norma trascurato a vantaggio
degli altri due, giustamente riconsiderato da Crimi, Burchiello e le sue metamorfosi, cit., pp.
90-91.
8. Esemplare, a questo riguardo, il testo del Davanzati, nato, del resto, su sollecitazio-
ne di quello manettiano, come si apprende dalle rubriche premesse ai due sonetti nel
codice II IV 126 della Nazionale di firenze, autografo del Manetti. Baster qui riprodurre
la prima quartina e lultima terzina: Piangete, occhi mia lassi, perchio temo / che, quan-
to dureracci el mortal vello, / pi risguardiate un s dolce Burchiello, / chor lascia il
mondo dogni bene scemo. / [] Piangete Muse, amanti e lor consorti, / po che s car
tesauro vi sasconde; / e cantin lalme a cui el cielo el rivela (cfr. Lirici toscani del Quattro-
cento, a cura di A. Lanza, Roma, Bulzoni, 1973, vol. i p. 440).
9. Su uninsistita esortazione al pianto e sullevocazione di un gran numero di divinit
giocato il sonetto di Betto Busini: Or piangi Marte nella tua Tessalia, / e pianga Orfeo
e spezzi la sua cetra, / e per dolor Cupido la faretra, / [] Pianga Minerva e con lei pian-
ga Apollo, / piangan lamate donne e giovanetti, / pianga Vulcano e pianga Mungibel-
lo! ( il sonetto i del Busini, vv. 1-3, 9-11: cfr. Lirici toscani, cit., vol. i p. 337).
alessio decaria
68
naggi del mito, satiri e fauni, amanti e amate donne,
10
altri forniscono
qualche indicazione pi preziosa. Non si hanno dubbi nel conferire il
lauro poetico a un poeta come Burchiello (vi insistono Antonio Manetti
e Mariotto Davanzati), a immaginarlo in compagnia del pi bel drap-
pello dei poeti del passato (il Davanzati), a farne addirittura la quarta co-
rona forentina (francesco Alberti). E la poesia, i versi assurdi e surreali,
quella buffonesca accozzaglia di riboboli senza nesso, di ghiribizzi sen-
za senso, di slatinature fuor di proposito , secondo la defnizione di Vit-
torio Rossi?
11
Apparentemente, queste liriche verbose e costrette nella
manierata retorica del planctus non ne fanno parola. Tra qualche notazio-
ne curiosa (quella ad esempio del Cresci, secondo cui ogni acqua corse
el burchiel con sue vele , v. 10) e il ricorso a temi laudativi di repertorio
(lirreparabilit della perdita e la superiorit del defunto a ogni altro),
12

un paio di spunti meritano di essere valorizzati. francesco dAltobianco
Alberti, dopo aver individuato rispettivamente in Calliope, nellElicona
e nel fonte di Parnaso i responsabili dellispirazione di ciascuna delle tre
corone, si chiedeva:
Ma quel Burchiel, che Cloto nha or tolto,
chinne concesse al suo dolce intelletto
tanto riso e piacere in gioco vlto?
13
10. Si veda il Cresci: Piangan gli dei e le dee tanto tesoro, / silvani fauni, satiri e ogni
rura , che addirittura arriva a parlare di mite risposte e dolci rime (ii 3-4, 12: ivi, vol. i
p. 393).
11. Cfr. V. Rossi, Il Quattrocento, reprint delledizione del 1933 riveduta e corretta, ag-
giornamento a cura di R. Bessi, intr. di M. Martelli, Padova, Vallardi, 1992, p. 409. Anche
altrove il Rossi espresse giudizi analoghi: Tutti ormai sanno che duna parte dei sonetti
sciamati fuori del cervello fantastico del barbiere sarebbe vano tentare uninterpretazio-
ne. Contesti di stramberie, di ghiribizzi, di riboboli, di slatinature, vanno rassegnati nel
novero copioso di quelle composizioni che per il regolare andamento delle concordanze
e dei nessi grammaticali e il gradevole rotondeggiare dei ritmi, paiono nascondere in
quel laccozzaglia il flo di un ragionamento, mentre in realt non dicono cosa alcuna e
non hanno un briciolo di senso (V. Rossi, Un sonetto e la famiglia del Burchiello, in Id.,
Scritti di critica letteraria, firenze, Sansoni, 1930, vol. ii. Studi sul Petrarca e sul Rinascimento, pp.
359-69, alle pp. 359-60).
12. Sono motivi presenti un po in tutti questi epicedi, ma vi insistono particolarmente
quelli di Antonio Manetti e Mariotto Davanzati.
13. Cito il testo dalla mia recente edizione (Francesco dAltobianco Alberti, Rime,
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
69
Che gi qualcosa di pi preciso rispetto alle lodi convenzionali di chi
faceva del barbiere un campione di poesia amorosa o un sapiente in ogni
scienza. Anche il Manetti, vedendo
un burchielletto assai leggieri e snello,
carco dassai thesauro e dun gioiello
bel s chun simil mai veder potemo
14
poneva laccento sul disimpegno dello stile e sulla leggerezza della poe-
sia, in tacita ma evidente contrapposizione allerudizione e alla retorica a
volte asfssiante della lirica per cos dire seria dei contemporanei. En-
trambi (lAlberti e il Manetti) chiudevano i rispettivi testi (i soli epicedi
entrati nella vulgata dei Sonetti del Burchiello) ribadendo luno come lieve
burchio mosse s lieta onda (v. 17), laltro dichiarando che lunica ragio-
ne di consolazione per gli amici dello scomparso che l gioiel [cio la
poesia del Burchiello] rinvolto nelle fronde / dun lauro verde alcuna
acqua non vela (vv. 13-14). Dunque, leggerezza e disimpegno, ma anche
gioco in grado di suscitare unonda lieta e riso. Laggettivo dolce solo
apparentemente generico , assegnato al Burchiello o alle sue rime in
diversi di questi epicedi, rimarca invece il lindore armonico di quella li-
rica, notoriamente esibito nel sonetto Fior di borrana,
15
ritenuto da molti
una sorta di manifesto della poesia del barbiere di Calimala. Si insiste,
insomma, su alcuni aspetti certo fondamentali della poesia del barbiere,
che la inseriscono senza esitazione nellarea della produzione comica e
realistica. Nessun cenno, invece, alleffetto di nonsense che quella poesia
suscitava nel lettore coevo e che per noi posteri giunge amplifcato dalla
perdita dei dati contestuali che permettono di intendere le allusioni e di
ed. critica e commentata a cura di A. Decaria, Bologna, Commissione per i testi di lin-
gua, 2008, testo cxcvi, vv. 12-14). Segnalo per che una variante minoritaria legge al v. 14
canto e cos mette a testo Zaccarello nella sua edizione della vulgata burchiellesca, dove il
sonetto compare al num. clxxvii.
14. Sonetti del Burchiello, clxxvi 2-4 (ed. cit., p. 247).
15. fior di borrana, se vuo dire in rima / convienti esser pi grasso dagettivi, / di
nomi e verbi, con versi corsivi / salir bello e suave e vago in cima (Sonetti del Burchiello,
ed. cit., cxix 1-4). Com noto, il testo diretto al poeta petrarchista Rosello Roselli, e fa
parte della lunga e acre tenzone che oppose i due rimatori.
alessio decaria
70
apprezzare il gioco polisemico che affolla quei versi. Lo provano alcune
ben note testimonianze: Burchius qui nihil est scriveva lumanista Le-
onardo Dati, e il Landino ribadiva il concetto quasi con le stesse paro-
le; e per restare allinterno della vulgata dei sonetti, Anselmo Caldero-
ni, collegando la poesia burchiellesca alla maniera dellOrcagna, ne dava
unimportante descrizione:
faccendo salti da Roma alla Magna,
mettendo granchi per cipolle in resta,
cha topi faceva trovar la pesta
delle formiche cheran nella Spagna.
16
Tutto ci a conferma che tale effetto di nonsense costituiva lelemento
pi peculiare e innovatore di quella poesia, bench, appunto, non privo
di ascendenti. Preso atto di questi primi indizi sul modo di leggere Bur-
chiello da parte dei contemporanei e di chi gli sopravvisse, bene entra-
re pi da vicino nel mondo tutto municipale, ma non privo dinteresse,
della poesia forentina di questo periodo e provare a misurare lincidenza
dellesperienza burchiellesca, limitando lanalisi al modo di poetare alla
burchia che connota solo alcune delle poesie del barbiere. Se ai poeti a
cui si gi accennato si aggiungono quelli che, comparendo nella silloge
della vulgata dei Sonetti del Burchiello, testimoniano inequivocabilmente
una contiguit alla produzione del barbiere di Calimala, si ottiene un
panorama se non completo, comunque ben rappresentativo della lirica
toscana del quindicesimo secolo. La rete di rapporti che si dipana intor-
no a Burchiello lascia in parte sorpresi perch testimonia che egli ebbe
relazioni anche con poeti afferenti a tuttaltra area culturale: degli uma-
nisti si gi detto, ma anche la rimeria pi tradizionalista di un Anselmo
Calderoni, o di un Domenico da Prato, o il petrarchismo quasi ortodosso
di Rosello Roselli e Niccol Tinucci dovevano rappresentare opzioni
culturali diverse e spesso in confitto con la poetica del barbiere; eppure
tutti costoro furono suoi corrispondenti.
16. Il sonetto del Calderoni il num. lxxxviii della vulgata. Per i giudizi dati dai poste-
ri sulla poesia del Burchiello si rinvia senza esitazione ai due lavori di Crimi, entrambi gi
citati, Loscura lingua e Burchiello e le sue metamorfosi.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
71
Non facile determinare in che misura lo stile di Burchiello infuisse
sui poeti coevi e quanti di essi fossero in grado di percepirne la novit e
di mettere a frutto, magari con qualche necessario adattamento al pro-
prio gusto, le peculiarit di quella che il Varchi avrebbe chiamato la terza
forma del poetare forentinamente .
17
Ai consueti problemi di crono-
logia, di mediazione e di dipendenza reciproca dei testi che si trova ad
affrontare chi intende svolgere un discorso sulla fortuna di un qualche
autore, si aggiunge infatti la particolare situazione ecdotica della tradi-
zione burchiellesca. Come insegna Zaccarello, la vulgata dei sonetti si
fss fra gli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento e incluse da subito
testi sicuramente spettanti a Domenico di Giovanni, ma ospit anche
altri componimenti certamente non suoi, oltre a diversi di paternit in-
certa. Il problema attributivo di molti di questi testi, insomma, si pone al
momento come pressoch insolubile, anche perch davvero necessa-
rio chiedersi, come avverte il recente editore della vulgata, se Burchiel-
lo indicasse il barbiere o non fosse piuttosto una sigla di genere facil-
mente applicabile ,
18
un marchio stilistico pi che una propriet let-
teraria , secondo la defnizione di Stefano Carrai.
19
Per schivare quanto
pi possibile questi ostacoli, ho pensato di istituire un confronto fra due
sillogi liriche ben defnite, e cio da una parte lampia edizione dei Lirici
toscani del Quattrocento pubblicati da Antonio Lanza, che ho esaminato
alla ricerca di testi alla burchia, dallaltra la vulgata dei Sonetti, considerata,
come nelledizione di Zaccarello, come corpus unitario, anche se compo-
sito. In alcuni casi si registrano interferenze e sovrapposizioni fra le due
sillogi, ma per la massima parte dei testi analizzati le tradizioni a cui at-
17. Poetare si pu forentinamente almeno in sette maniere tutte diverse. [] La
prima e principale quella di Dante e del Petrarca. La seconda quella di Luigi e Luca
Pulci. La terza come scrisse il Burchiello, che fu poeta anchegli. La quarta, i capitoli del
Bernia. La quinta, i sonetti dAntonio Alamanni (quesito viii 63-65; cito da B. Varchi,
LHercolano, ed. critica a cura di A. Sorella, pres. di P. Trovato, Pescara, Libreria dellUni-
versit, 1995, to. ii p. 804).
18. Cos leditore nellintroduzione alla sua edizione critica (p. xix).
19. Il nome di B[urchiello], insomma, assai per tempo dovette confondersi con quel-
lo del genere poetico da lui messo in voga, passando a denotare un marchio stilistico pi
che una propriet letteraria (S. Carrai, Burchiello, in Letteratura italiana, dir. A. Asor Ro-
sa, vol. xviii. Dizionario degli autori A-C, Torino, Einaudi, 2007, pp. 412-13).
alessio decaria
72
tingono le due raccolte risultano indipendenti e ci permette di distin-
guere la poesia del Burchiello (impinguata da qualche testo dellOrcagna
e da altri della pi precoce e fedele scuola di imitatori) da quella degli
altri poeti contemporanei.
2. Anticipando brevemente i principali risultati dellindagine, si deve
rilevare che se nei due grossi tomi della raccolta del Lanza i testi compo-
sti secondo la modalit alla burchia sono pochissimi, daltra parte lin-
fuenza della poesia del Burchiello molto estesa e non c quasi testo
darea comico-realistica che non presenti importanti contatti con la sillo-
ge dei Sonetti del Burchiello.
20
Volendo fornire una pur minima esemplifcazione della penetrazio-
ne, limitata ma non trascurabile, dello stile alla burchia nel Parnaso to-
scano coevo e immediatamente successivo a Burchiello, eviterei di con-
siderare qui gli autori minimi e diffderei degli scriptores unius carminis,
anche se non sempre poco signifcativi: Iacopo Borgianni, ad esempio,
che pure fu copista di alcuni testi del Burchiello in un codice corsiniano
(43 C 34), autore di un pregevole sonetto alla burchia, che riproduco
qui sotto per dare unidea delladerenza alla maniera del maestro:
Cicerbita e scherola e perpinella
e venticinque mogge docchi torti
andandone a dormir furono scorti
da merli, che guardavan due capella.
Allor, vedendo questo, una gonnella 5
baia, stracciata, disse: Tutti morti
sarete, prima chusciate di porti,
sicch per voi sar trista novella .
Dicesi a Norcia che stato veduto
un pesce azzurro colla coda verde 10
20. Lesito della mia indagine viene dunque a coincidere con le considerazioni propo-
ste da Michelangelo Zaccarello in un suo recente saggio: Burchiello e i burchielleschi. Appun-
ti sulla codicazione e sulla fortuna del sonetto alla burchia, in Gli irregolari nella letteratura.
Eterodossi, parodisti, funamboli della parola. Atti del Convegno di Catania, 31 ottobre-2 no-
vembre 2005, Roma, Salerno Editrice, 2007, pp. 117-43, in partic. alle pp. 142-43, non anco-
ra disponibile al momento di scrivere la mia relazione per il convegno cassinese.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
73
fuggirsi pella piena a Montaguto;
e s si sta lass pascendosi erbe
e per la sete stillava un suo liuto;
e dice pel freddo la coda si perde.
Deh, non far tante merde: 15
andiancene pi tosto inverso Roma
e troverren la bertuccia che toma!
21
Il sapore burchiellesco di questo testo immediatamente percepibile
anche dal lettore meno esperto. bene tuttavia sottolineare, per intro-
durre il discorso che sto facendo, che rimandano evidentemente al mo-
dello la sintassi dei primi tre versi, con la caratteristica enumerazione dei
soggetti che ritarda fno al v. 3 il predicato, la corposa irruzione nel testo
poetico del mondo animale e vegetale (alle erbe dellincipit, che poi ri-
tornano come cibo del pesce azzurro con la coda verde al v. 12, rispondo-
no i merli, le caprette, limmancabile bertuccia), la presenza di cose ani-
mate e parlanti (la gonnella) e di azioni assurde o compiute da soggetti
inadeguati (le erbe e gli occhi torti che vanno a dormire). Ma ancora pi
signifcative, perch segno di una penetrazione profonda dei meccanismi
della poesia alla burchia, sono certi passaggi logici nascosti e alcune spe-
ricolate associazioni che riconducono in recinti pi ragionevoli, almeno
per gli iniziati, lapparente nonsense del sonetto. Certe immagini, come
quella del pesce che fugge per la piena a Montaguto, sono indubbiamen-
te paradossali: in caso di piena, infatti, non tanto il pesce a fuggirsi, ma il
fume ad espellerlo. E il paradosso cresce poi su se stesso, sfruttando un
altro degli strumenti su cui si costruisce questo tipo di poesia, ovvero le
potenzialit polisemiche ed equivoche del lessico: il pesce rifugiatosi a
Montaguto, pascendosi erbe, conduce una vita da romito e, di conseguenza,
il sostantivo piena varr qui anche come sinonimo di calca, folla.
Proprio alcuni dei tratti pi nonsensical del testo, poi, si spiegano a nor-
ma del modello, cio ripensando a passi o procedimenti adoperati dal
barbiere nei suoi testi: parlo della mossa del v. 5, che inscrive sotto una
connessione causale del tutto incongrua i quadri oggettivamente separa-
ti che occupano le due quartine; e soprattutto delle venticinque mogge doc-
21. Cito, con qualche aggiustamento, da Lirici toscani, cit., vol. i p. 325.
alessio decaria
74
chi torti, che furono scorti dai merli certo perch Guardare e merli soglio-
no e pagoni (Sonetti del Burchiello, cli 1)
22
e perch i pagoni portano ap-
punto, secondo il mito ovidiano citato nello stesso sonetto del barbiere,
cento occhi nella coda.
23
N a un orecchio burchiellescamente esercitato
potrebbe sfuggire la motivazione per cui il pesce azzurro dalla coda ver-
de dice pel freddo la coda si perde : questultima sarebbe infatti sogget-
ta al destino delle foglie degli alberi e cadrebbe con larrivo del freddo,
certo particolarmente intenso a Montaguto.
24
Si potrebbe andare avanti
svelando altri dei meccanismi tipici della poesia alla burchia sciorinati in
questo sonetto, ma quanto si detto suffciente per mostrare come nel
Borgianni limitazione del modello sia assai raffnata;
25
e si pu rimpian-
gere il fatto che egli abbia composto (o che a noi sia giunto) un solo
esemplare di questa sua vena burchiellesca.
Gli autori forentini pi prolifci e scaltriti, invece, restano tutto somma-
to insensibili alla sirena della poesia alla burchia: tra questi si devono com-
prendere anche francesco Alberti e Mariotto Davanzati, che pure furono
corrispondenti del barbiere e ne scrissero accorati epicedi. Per quanto
concerne il primo, che, come si visto, quello che nel suo sonetto com-
memorativo fornisce le indicazioni pi pertinenti riguardo alla poesia del
22. Il contatto di per s eloquente, ma vale la pena riportare il secondo verso di quel-
lo stesso sonetto per avere conferma che proprio quel passo doveva avere in mente il
Borgianni: nel tempo che le pecore han la tossa . Non forse inutile, alla luce di quello
che si dir fra poco, ricordare che Mercurio, quando scese in terra per uccidere, per ordi-
ne di Giove, Argo, il mostro dai cento occhi: hac [sc. virga] agit ut pastor per devia rura
capellas (Metam., i 676).
23. Ma per la gran malitia / che Giove us ad Argo del vitello / le lepri dorman cogli
occhi a sportello (vv. 15-17).
24. Non manca forse unallusione, con evidente scadimento di registro, alla chiusa
della seconda stanza della canzone petrarchesca RVF, xxiii: facendomi duom vivo un
lauro verde, / che per fredda stagion foglia non perde (39-40).
25. Si portano soltanto altri due esempi: il passaggio dalle erbe elencate nellincipit
alle venticinque mogge docchi torti del verso seguente forse giustifcato dalla presenza della
scarola, che una variet di quella indivia, popolarmente detta anche invidia, che ben si
prestava a chiamare in causa gli occhi torti. La coda, invece, nellalludere scopertamente al
son. xxxix della vulgata burchiellesca, che si chiude cos: e, come dice Orpheo, / sol
dallegrezza la bertuccia toma / portar veggendo agli asin s gran soma (vv. 15-17), vuol
dire: andiamocene verso Roma e staremo allegri.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
75
Burchiello, nelle sue 202 rime ci si sarebbe aspettati di trovare qualche
esperimento della maniera alla burchia, anche perch lAlberti fu rimatore
assai versatile e si applic ai pi svariati generi poetici, non disdegnando
affatto la poesia comica. Ebbene, se nel mio commento alle rime albertia-
ne il nome del Burchiello uno di quelli citati con maggiore frequenza, la
ricerca di rime alla burchia nel corpus albertiano non darebbe che pochissi-
mi frutti. In sostanza, c solo un sonetto che pare davvero avvicinarsi alla
maniera del Burchiello, quello che propongo qui di sguito:
Ritto e rovescio al fodero intarlato
della vezzosa e dolze Nastasia
per tutto manifesto si scorgia
ferrara e l Mantovan tutto anebiato,
Cotron, Salluzo e quel di Monferrato 5
con tutta quanta lor genologia,
e ci che l Soldan tiene in Tarteria,
e l Vecchio Testamento e l Nuovo allato;
eranvi le riccheze di Siccheo,
el cuoio di Birsa, che condusse il cerchio 10
cha Roman poi fu s acerbo e reo;
eravi Gionas, chiuso nel coperchio
del pesce ceto, e Giuda Maccabeo,
che vendic de filistei il soverchio;
eravi il gran commerchio 15
del trullo culiseo termini e botte
ellei entrovi, atratta colle gotte.
26
Un esame puntuale del testo richiederebbe troppo tempo e non risulte-
rebbe particolarmente utile, in ragione dei molti problemi interpretativi
che restano aperti. Per questi aspetti si rinvia dunque al commento del
testo nella recente edizione da me curata. Mi piace per sottolineare, per
mostrare ladesione alla vena del caposcuola, che, come gi vide Mario
Martelli,
27
il sonetto adotta nella sua prima parte (e recupera nel fnale)
26. il son. lxxxiv della mia edizione.
27. Cfr. M. Martelli, Letteratura orentina del Quattrocento, firenze, Le Lettere, 1996,
p. 303.
alessio decaria
76
il lessico equivoco e osceno caratteristico di certi sonetti del barbiere e
adoperato non di rado dallo stesso Alberti: in particolare, liter suggerito
ai vv. 4-5, apparentemente assurdo, acquista un senso qualora si ricordi
che il carattere comune ai domini evocati quello di far parte di un qual-
che marchesato: risulter allora chiaro come il gioco verbale, che sar
sfruttato anche dal Pistoia, alluda a impedimenti mestruali che impedi-
scono i rapporti sessuali. Anche nella perifrasi del v. 7 probabilmente
rintracciabile un senso: il Soldano governa in Tarteria su Bagdad, ossia, per
un fiorentino del 400, Baldacca o Baldracca, che, oltre che designare la
capitale dellattuale Iraq, indicava anche una strada di firenze sede di
postriboli e di una celebre osteria (e anche Burchiello ha una citazione
ambigua di Baldracca nel son. viii, schiettamente alla burchia).
28
La secon-
da parte del sonetto albertiano, di pi ostica decifrazione, presenta un
effetto complessivo ben noto ai lettori della poesia burchiellesca: persa
ogni unit tematica, compaiono come in rassegna personaggi del mito
greco-romano e della storia sacra, enumerati tramite nessi associativi
non sempre evidenti per una sorta di trascinamento (le ricchezze di Si-
cheo attireranno il cuoio di Birsa, usato da Didone per segnare il traccia-
to della rocca della futura Cartagine; il v. 8 alluder alla Bibbia, che ri-
chiamer forse la sfera del bere, cos come Maccabeo, da scomporre nei
due elementi Macca-beo, e forse anche lo stesso Siccheo, che potrebbe rin-
viare a siccus assetato); n mancano il rovesciamento e la degradazione
di spunti desunti dalla letteratura alta e la parodia del relativo linguaggio
(si veda la notazione dei vv. 10-11, ma anche la dittologia vezzosa e dolze
indicante Nastasia, probabile partner del poeta).
Le differenze rispetto alla maniera del maestro, per, sono altrettanto
rilevanti, soprattutto per quanto concerne la sintassi, che non si discosta
28. Egli un gran philosopho in Baldracca / che insegna molto ben beccare a polli /
e d lor ber con una salimbacca (Sonetti del Burchiello, viii 12-14). Si ricordi che gi il Boc-
caccio sfruttava lequivoco suscitato da tali designazioni toponomastiche nel discorso di
frate Cipolla, che menziona, fra altri luoghi della firenze dallora, proprio Baldacca: Per
la qual cosa messomio in cammino, di Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo
de Greci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Pa-
rione, donde, non senza sete, dopo alquanto pervenni in Sardigna (Dec., vi 10 38; cito da
G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 1976, p. 571).
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
77
di molto dalle abitudini dellAlberti giocoso, morale o anche amoroso.
Linfuenza di Burchiello, insomma, c ed evidente, ma tutto sommato
resta circoscritta a pochi aspetti; e anche francesco dAltobianco si pro-
dusse in un solo esperimento di poesia alla burchia.
Bottino lievemente pi grasso si ottiene scandagliando le poche ma
non insulse rime di Giovanni de Pigli, da lui trascritte nel suo ampio
zibaldone poetico, conservato nella Nazionale forentina (codice II IV
250 del fondo Nazionale), che contiene anche unampia silloge burchiel-
lesca, corredata da rare ma preziose postille. fra le 21 liriche di Giovanni
si possono classifcare come genuinamente alla burchia almeno 4 sonet-
ti, di cui si riproduce qui il xvi delledizione Lanza:
29
Prezzemoli bolliti in acqua amara,
porri scalogni e agli con cipolle
cantavano a Bologna per bimolle,
come fanno gli Ermin con voce chiara.
Per questanno la mostarda cara, 5
che a mangiarne troppa sarie folle,
se gi non vi mettessi vin di Colle
o de vermigli del pian di ferrara.
E questi sarieno atti a ristagnare
chi orinassi troppo, al parer mio, 10
e con essi mangiar frittelle amare.
Per consiglio te, compagno mio,
che tu ne faccia ognanno insaleggiare,
e farannoti pro per men chun fo.
Dimmi s tu credi chio 15
guarisca della tossa o dellorina,
usando spesso questa medicina.
Questi versi, e gli altri alla burchia scritti da Giovanni, testimoniano una
radicata assimilazione dello stile del barbiere, bench la dipendenza si
fondi soprattutto sulladozione degli artifci pi facilmente imitabili, co-
me la struttura accumulativa dellesordio (da cui si tiene invece alla larga,
come si visto, lAlberti, come sempre originale), ladesione allo schema
29. Lirici toscani, cit., vol. ii p. 272.
alessio decaria
78
del sonetto farmacopeico e a quello della ricetta medica burlesca, per lo
pi stipata di ingredienti satirici, ineffcaci o indicanti il nulla.
30
fanno la
loro comparsa anche personaggi tipici della tradizione burchiellesca co-
me mona Ciola, o luoghi caratteristici di quellimmaginario come il Mu-
gnone, le due fonti senesi Beccia e Gaia, nonch vari esemplari gi com-
presi nellarca di No burchiellesca (pipistrelli, botte, le immancabili
chiocciole, ma anche la ghiandaia, le farfalle, il castrone e la bertuccia),
spesso com regola nella maniera responsabili di azioni assurde o
bizzarre.
31
Signifcativo per, per limitarmi ora al sonetto riprodotto
qui sopra, il trapianto di interi nessi e locuzioni (ad esempio cantare per
bimolle associato agli Ermini),
32
o di motivi quasi ossessivi della poesia di
Burchiello come il prezzo delle derrate (si veda il v. 5) o la presenza del
cibo e del vino, ma ancor di pi luso di artifci formali e stilistici peculia-
ri del modello e gi presenti nel sonetto per motti sacchettiano Nasi
cornuti e visi digrignati.
33
Tra questi si dovr certo comprendere la sintassi
incipitaria (e prezzemoli, lemma desordio, inaugura il son. clxi della vul-
gata), con laccumulazione dei soggetti e la dilazione del verbo reggente
al terzo verso, che propone unazione almeno apparentemente in con-
trasto con la natura dei soggetti che la compiono; ma soprattutto sono
degni dattenzione alcuni procedimenti associativi che costituiscono la
marca stilistica della poesia alla burchia: da una parte un nesso causale del
30. Particolarmente ricco di questi ingredienti il son. xviii di Giovanni, che inizia
cos: A voler ben guarir dellanguinaia, / tolgasi quatro fette di popone / e pestinsi con
sugo di mellone / e con un dolce canto di ghiandaia / e mettavi il romor duna pescaia.
[] (vv. 1-5). Per questi aspetti della poesia burchiellesca si rinvia a M. Zaccarello,
Schede esegetiche per lenigma di Burchiello, in La fantasia fuor de conni, cit., pp. 1-34, alle pp.
28-34, nonch alla relazione dello stesso studioso in questi atti.
31. Cos prosegue il son. xviii: Queste hanno gi guarito pi persone, / mettendovi
dellacqua di Mugnone, / o vuoi di fonte Beccia o fonte Gaia (vv. 6-8).
32. Io ho studiato il corso de destini / e truovo che le pillole di gera / fanno cantare
a grilli fatto sera / per bimolle la zolfa degli Armini (Sonetti del Burchiello, xcvii 1-4). Su
questa locuzione e i suoi molteplici signifcati si veda, oltre al commento di Zaccarello ad
locum, lo studio dello stesso Schede esegetiche, cit., p. 8.
33. Su questo sonetto, vero e proprio incunabolo della poesia alla burchia, vd. lintro-
duzione di Zaccarello alled. einaudiana dei Sonetti del Burchiello, cit., pp. xv-xvii, e Crimi,
Loscura lingua, cit., pp. 168-93.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
79
tutto incongruo come il per del v. 5,
34
dallaltra il trapasso tra fronte e
sirma attuato anche mediante un espediente polisemico: ferrara, citt
circondata da luoghi paludosi, richiama ristagnare, che per nel contesto
del periodo che sinaugura al v. 9 andr assunto come termine tecnico
del linguaggio medico e varr fermare il fusso di una secrezione corpo-
rea (in questo caso lorina). Se il gioco polisemico talora scoperto,
35
nei
sonetti di Giovanni manca del tutto, invece, uno dei motivi portanti del-
la rimeria del Burchiello, la satira antipedantesca, che forse il Pigli si
premura di evitare perch anchegli coltivava la partita doppia della lirica
giocosa e petrarchista.
I casi dellAlberti e del Pigli sono suffcienti a testimoniare la diffusio-
ne della tecnica alla burchia presso gli amici e i contemporanei di Bur-
chiello; ma non che poi gli esempi disponibili sarebbero moltissimi.
Sembra di constatare, insomma, che i poeti toscani del primo e del pieno
Quattrocento ricevono e assimilano il verbo burchiellesco e si provano,
in qualche rara occasione, nel nuovo (o rinnovato) genere del sonetto
alla burchia, quasi per mostrarsi allaltezza della sfda lanciata dal barbie-
re di Calimala, ma poi prediligono differenti tecniche espressive, se vo-
gliamo pi tradizionali, anche restando nel perimetro della rimeria co-
34. Tale nesso richiama alla mente quegli assurdissimi perch che facevano asserire
al De Robertis che nella poesia del Burchiello i rapporti logici e temporali sono solo
apparenti (D. De Robertis, Una proposta per Burchiello, in Rinascimento , s. ii, viii 1968,
pp. 3-119, poi in Id., Carte didentit, Milano, feltrinelli, 1974, pp. 105-58, a p. 110, da cui si
cita).
35. Credo che anche il vin di Colle giochi sullambiguit: assai probabile mi pare che il
toponimo Colle celi unallusione alla colla del celebre incipit I beo dun vino a pasto che
par colla dei Sonetti del Burchiello (clxxxviii 1), anche perch la rubrica di quel testo lo
assegna ad Anibaldo Pantaleoni quando era a fferrara col marchese . Cos si spiega il
riferimento alla citt estense del verbo seguente: dal Colle si passa, per opposizione, al
pian, ma la qualit del vino resta scadente: cos seguita infatti il testo del Pantaleoni: e tien
di muffa e sa di riscaldato / e parmi con assentio temperato, / con fele e rabbia e sugo di
cipolla (vv. 2-4), e cos recita un sonetto sulla mala cena del Pistoia: Il vin fu da ferrara
moscodato, / tanto bon che flava per paura, / un pan che haveva s la faccia oscura, / che
l mi parse il vecchion ch il porco allato (xx 5-8: cfr. A. Cammelli, I sonetti faceti secondo
lautografo ambrosiano, editi e illustrati da E. Prcopo, intr. di P. Orvieto, Pistoia, Libreria
dellOrso, 2005 [rist. an. delled. Napoli, Jovene, 1908], p. 63). Anche qui, allora, leffetto di
non far orinare sarebbe dovuto alla cattiva qualit del vino.
alessio decaria
80
mica. Pare di osservare, nelle incursioni burchiellesche di questi poeti,
un certo gusto di saggiare le possibilit del nuovo linguaggio, un qualche
compiacimento nel partecipare a una sorta di gioco di societ per inizia-
ti: non per niente, almeno un paio dei sonetti alla burchia del Pigli fanno
appello, allinterno del testo, a un compagno o a un car fratello in grado di
decrittare il linguaggio oscuro e percepirne allusioni e giochi verbali.
36
Procedendo verso let laurenziana, il panorama non muta di molto:
ci sono, vero, altri interpreti, anche squisiti, della maniera burchielle-
sca; ampia fu, del resto, la fortuna che lintera area comica conobbe alme-
no nella prima et biografca e culturale di Lorenzo; ma la poesia alla
burchia resta un sottogenere tutto sommato poco frequentato: anche chi
scrisse diverse liriche in quello stile, come il Bellincioni e il Pistoia, ad
esso riserv una percentuale estremamente contenuta della propria de-
bordante produzione sonettistica. Il caso di Alessandro Braccesi, notaio
e prolifco poeta in latino e in volgare, che mise insieme un vero e pro-
prio canzoniere burchiellesco di 200 pezzi (di cui almeno una sessantina
schiettamente alla burchia) sembra rappresentare la classica eccezione
che conferma la regola.
37
36. Oltre al sonetto riportato a testo, mi riferisco al xvii, che fa appello allinterlocuto-
re al v. 6 ( non ti maravigliar ) e nella coda ( Deh, non mi dar parole / e dimmi, car fra-
tello, se lortica / sarebbe buona al mal della vescica , vv. 15-17).
37. Lelegante codice Vaticano latino 10681, che conserva le poesie volgari del Braccesi,
riserva la prima parte alle rime petrarchesche, mentre la seconda (che inizia a c. 38r) tra-
smette il canzoniere burchiellesco, introdotto da un sonetto proemiale e apologetico,
chiuso da un testo di congedo e di scusa e arricchito da una ricca serie di esplicite dichia-
razioni interne ai testi che segnano la struttura chiusa della raccolta. Mi sembra partico-
larmente rilevante che il Braccesi tenti anche, allinterno della generale imitazione del
modello, pi precisi calchi: nel suo canzoniere si trovano infatti imitazioni di singoli
pezzi della silloge burchiellesca, come il sonetto latino o quello basato su sistematiche
inversioni che inizia Sabato Tessa ci fu mona sera; e, come il caposcuola, Alessandro non ri-
nuncia a comporre e a includere nella silloge una canzone damore (parodica). Molti dei
testi comici del Braccesi si leggono anche (autograf) in una sezione del composito Ric-
cardiano 2725, cc. 80r-131v, studiato di recente da M. Zaccarello, An Unknown Episode of
Burchiellos Reception in the Early Cinquecento: Florence, Biblioteca Riccardiana, Ms. 2725, fols. 80r-
131v, in Modern Language Review , c 2005, pp. 78-96 (ora anche in Id., Reperto. Indagini,
recuperi, ritrovamenti di letteratura italiana antica, Verona, fiorini, 2008, pp. 183-215, in italiano
e con aggiunte, fra cui unappendice di testi trascritti dal Ricciardiano: Una silloge primocin-
quecentesca di rime alla burchia nel ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2725, pp. 397-422).
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
81
fra i cultori del genere di quella stagione anche filippo Scarlatti, co-
pista del codice Acquisti e Doni 759 della Laurenziana, altro monumento
della rimeria quattrocentesca; e a questo punto non si pu non sottoline-
are che i protagonisti di questa poesia sono allo stesso tempo suoi autori,
copisti e divulgatori, i garanti, vorrei dire, della specifcit e della forenti-
nit di quella maniera che gi si era fatta tradizione. fra le sue numerose
poesie si rintracciano diversi sonetti alla burchia, nei quali lo Scarlatti
mostra una notevole abilit a riprodurre i modi di quelloscura tecnica, a
lui certo ben nota, dato che in quello stesso manoscritto copi una novan-
tina di sonetti del caposcuola. Tutto questo rientra nel quadro gi traccia-
to. Desta una qualche sorpresa, invece, trovare nelle rime scarlattiane una
tenzone in sonetti alla burchia col frate carmeli tano Giovanni di Lorenzo
Manzi, che, gi corrispondente di filippo,
38
sembrerebbe il primo a pas-
sare al gergo burchiellesco, richiamandomi alla mente il precedente di
quel messer Nicol che os sfdare il Burchiello sul terreno sdrucciolevo-
le della poesia alla burchia (sonetti xcvi e xcvii della vulgata).
39
Vorrei fermarmi un po pi a lungo su un altro episodio su cui ci rag-
guaglia il medesimo zibaldone scarlattiano, un episodio che, in verit,
concerne pi laneddotica che la poesia. filippo, dopo aver inviato una
lunga serie di sonetti amorosi a Piero di Jacopo Tanaglia dallAncisa, con-
tenenti fra laltro reiterati inviti a rispondere e a ricambiare quella che
egli chiama amicizia (e che si preoccupa di distinguere dalla carnalit,
ch vizio istrano ),
40
si vide recapitare da questi, in data 23 settembre
Sulla poesia del Braccesi si rinvia alla voce di A. Perosa, Braccesi, Alessandro, in Dizionario
Biograco degli Italiani, cit., vol. xiii 1971, pp. 602-8, in partic. a p. 604, e alledizione (com-
prendente le sole rime petrarchesche) A. Braccesi, Soneti e canzone, ed. critica a cura di F.
Magnani, Parma, Studium Parmense, 1983.
38. Le poesie fra lo Scarlatti e il carmelitano occupano i numeri cxviii-cxxi delled.
Lanza: con la coppia di sonetti posta sotto il num. cxxi che si passa allo stile alla burchia.
39. Il son. xcvi della vulgata (Pignatte con bombarde e duo mulini: di messer Nicol al
Burchiello ) ritenuto da Zaccarello (p. 137 del suo commento) lunica proposta che
sfdi il B[urchiello] sul terreno a lui pi congeniale della tecnica alla burchia , ma un altro
caso analogo rappresentato dal sonetto di Domenico pisano a cui il barbiere rispose col
cli della vulgata.
40. Oh, beato colui chamor dispensa / in perfetta amicizia e faccia triegue / colla
carnalit, ch vizio istrano! (cxlviii 12-14: cfr. Lirici toscani, cit., vol. ii p. 604).
alessio decaria
82
1474, il sonetto alla burchia che riporto qui sotto, che burla il mittente,
ritorcendogli contro quella maniera poetica a lui congeniale:
41
Sugo duno scambietto dun coltrone
e mescolato col mughio dun bue,
del qual se ne vuol tr sei once oppie,
encorpora
42
con grasso di moscione,
et farane di tutto ununzone, 5
et per dicozon beco di grue;
ugni le reni et tiralo allo [n]gie,
43
se guarir vuoi del mal dellamatrone.
Questa t data per prima ricetta
et, sella non ti giova, manda tosto 10
per una allo spezial della cornetta.
falla far buona e non guardare al costo,
togli unoncia di sguardo di civetta
e cuocine con essa un pollo arrosto.
Azuffati col mosto,
44
15
chetti far posar po me la testa,
fuggendo e ghiribizzi ellor tempesta.
La viglia della festa,
cio la notte della Ephiphania,
molti guariscon dogni malattia.
45
20
41. Ivi, vol. ii p. 612 (ma il son. che si propone, anche nella risposta che si riproduce
poco oltre, rivisto sul codice). Il testo introdotto dalla seguente rubrica: Sonetto fatto per
Piero di Iacopo Tanaglia e mandato amme Filippo Scarllatti a d 23 di settenbre 1474.
42. encorpora: mescola.
43. Lanza mette a testo allo gie, ed effettivamente tale la lezione del codice. Mi pare
probabile che sia caduto un compendio. Dato il contesto, ci si potrebbe riferire allora alla
credenza, gi nota per la cicogna, secondo cui questo uccello, sentendosi malato, si fareb-
be un clistere col becco (cfr. la nota di Zaccarello a Sonetti del Burchiello, ed. cit., cciii 13-14,
p. 282).
44. Azzuffati col mosto: ubriacati.
45. Si allude a una credenza, molto diffusa presso i giocosi e i burchielleschi del Quat-
trocento e non solo, secondo cui la notte di Befana gli animali avrebbero la facolt di
parlare. Basti ricordare Sonetti del Burchiello, xi 9-11: E voi messer lo Giudice de nuovi /
gonfalonier del popol verdemezo, / fate che Befania non vi ci truovi , e pi chiaramente
cxviii 12-14: Tu nascesti la notte di Bephana, / quando ogni bestia legata si snoda / e
nsieme parlan sanza turcimanni .
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
83
Lo Scarlatti, nella risposta (signifcativamente perspicua e non bur-
chiellesca), tra deluso e indispettito per lo smacco ricevuto ( di tal ragion
ricette atte saspetta , scrive fra laltro), invita paradossalmente il corri-
spondente a non seguir de doti lor setta , quasi rinnegando quel latte
che laveva cresciuto:
Sugo non di coltron, ma dun metone,
che grida come l bo che non pu pie
e vuolsi mescolar con chi verte,
ma troppo pesa sua prosunzone.
E stu farai di ci conclusone, 5
la dicozion saran lopere tue,
chesse fen buone ti merranno in se,
dove si truova ogni consolatione.
Di tal ragion ricette atte saspetta,
cio qual sopra appunto t proposto, 10
e non seguir de doti lor setta.
fa chal ben far tu non ne stia discosto,
chegli mirato altrui po molto in fretta,
scernendo la ignoranza o virt tosto.
Se nel mese dagosto, 15
quandio rivolsi alle Muse la cresta,
mavessi atteso, i sare daltra gesta.
Onde che per te resta
et parmi chettu musi villania
non volermi mostrar quanto chessia. 20
Deh, per tuo cortesia,
sendoti stato, et son, buon servidore,
non mi negar deser mie precettore!
chttu narai honore,
per chogni or mi duplica la voglia, 25
avendo il mezo tuo, sor
46
la soglia.
La poesia alla burchia, dunque, si rivela sorprendentemente uno stru-
mento di socialit letteraria, bench, almeno in questo caso, una socialit
46. Il manoscritto ha una lezione poco perspicua: sorro, come legge Lanza, che correg-
ge in serra, o forse sorvo. Io preferisco in ogni caso mettere a testo sor , cio se ora ho.
alessio decaria
84
paradossale, frutto di un dialogo fra sordi che ben sattaglia alluniverso
del nonsense. Diventare strumento di condivisione e di conversazione,
comunque, non poco per una poesia la cui sostanza , secondo il cele-
bre epigramma landiniano, nihil.
3. Riprendiamo il flo principale del discorso, ricordando come il bot-
tino della nostra ricerca di testi alla burchia nei poeti del Quattrocento si
sia rivelato, alla fn fne, piuttosto magro, soprattutto in rapporto alla
quantit dei testi esaminati. Giunti a questo punto, non che si debba
necessariamente concludere che gi nel Quattrocento la poesia del non-
sense avesse solo circolazione limitata e sotterranea. Oltre a ribadire la
foritura di unampia scuola intorno a Burchiello, tanto prossima al ma-
estro da entrare a far parte della sua tradizione (sia nelle stampe sia in
manoscritti come il Magliabechiano VII 1167, copiosamente sfruttato dal
Messina per i suoi Sonetti inediti),
47
si deve considerare che la nostra inda-
gine si concentrata sulla produzione poetica in sonetti, escludendo un
territorio assai fecondo per gli studiosi del nonsense come quello della
frottola. Si dovr anche tenere a mente che uno degli indirizzi stilistici
dominanti nel secolo quello che stato defnito espressionistico,
48
fon-
dato su una sistematica oscurit del dettato e sul gusto per unornamen-
tazione retorica che pare compiacersi delle complicazioni e dellinfra-
zione delle regole, nonch di una sintassi agile quanto brachilogica. Lef-
fetto di questa poesia sui lettori non differisce poi di molto da quello
suscitato dai versi alla burchia, bench lo straniamento che ne deriva ab-
bia diversa origine. E soprattutto per certe poesie di ambito comico-rea-
listico, trasparenti nella lettera, ma oscure nei riferimenti a situazioni o
persone per noi ormai misteriosi, non affatto detto che i contempora-
nei fossero sempre a conoscenza dei fatti sottesi, spesso di minimo mo-
mento e legati alla quotidianit anche meschina dellautore e del suo ri-
stretto ambiente; il che poteva generare, anche nel pubblico coevo,
47. Domenico di Giovanni detto il Burchiello, Sonetti inediti, raccolti e ordinati da
M. Messina, firenze, Olschki, 1952.
48. Per questa defnizione cfr. Martelli, Letteratura orentina del Quattrocento, cit., pp.
283-85, 303-4.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
85
unapparenza di nonsense.
49
Su questo piano si muovono, ad esempio, al-
cuni sonetti di francesco Alberti che risulterebbero del tutto incom-
prensibili se non sincontrassero i nomi di alcuni dei personaggi menzio-
nati nelle portate al catasto dellautore: il lavoratore di un suo podere, un
calzaiuolo suo vicino di casa (son. ci) e soprattutto la sua schiava Marta,
che bee volentieri , come risulta dal documento archivistico cos come
dal gustoso son. clxii.
50
Anche per questo sottogenere, del resto, era
stato lo stesso caposcuola a dare lesempio e, ancora una volta, non
senza avere alle spalle una cospicua tradizione , con sonetti come Qua-
rantaquattro orin dor, brigata (cxli) o Mari Bastari, tu e la tuo Betta (clxiv).
Le vie della poesia del nonsenso insomma, come quelle della Provvi-
denza, sono spesso molteplici e quasi sempre insondabili; solo in qualche
caso fortunato possibile rimettere insieme i pezzi che ci permettono di
districare alcuni dei nodi che il tempo ha avviticchiato intorno a testi
destinati a una circolazione limitata e circoscritta. E non accade forse lo
stesso anche per molti sonetti del barbiere? Chi infatti avrebbe potuto
ritenere altro che nonsense una locuzione come lo specchio del Gabur-
ro , se una provvidenziale postilla apposta a un codice trivulziano non
avesse chiarito che Gaburro era beccaio alla loscia del ponte Vecchio
verso Por Santa Maria et il suo specchio era Arno ?
51
Alla luce di tutto questo, resta da chiedersi se lo studio di questi testi di
autori minori e quasi dambito privato porti qualche utilit pi generale
allinterpretazione dei versi del Burchiello. Prescindendo da spunti ese-
getici applicabili al singolo contesto, ci si dovr porre il problema fonda-
mentale: per la poesia di Burchiello e sodali si pu parlare di nonsense?
C qualche metodo in quella pazzia? Nellillustrazione dei sonetti alla
49. un aspetto al quale accenna Claudio Giunta per le tenzoni burchiellesche (ma si
pu estendere a diversi altri testi che entrano nella vulgata), dove i dialoganti fanno riferi-
mento a una sorta di codice ristretto per cui le parole adoperate dal poeta sono relati-
vamente chiare ma i fatti, gli eventi a cui il poeta allude, oscuri: per tutti tranne che per il
suo corrispondente (C. Giunta, Premesse per un commento alle tenzoni di Burchiello, in La
fantasia fuor de conni, cit., pp. 75-100, a p. 80).
50. Anche per questi testi rimando al mio commento.
51. Cfr. Sonetti del Burchiello, ed. cit., lxxiii 7-8, p. 103: chio avevo s secca questa foce,
/ che vto arei lo specchio del Gaburro e, per la chiosa, il relativo commento.
alessio decaria
86
burchia proposti, mi sono mosso gli specialisti se ne saranno accorti
sulle orme di Michelangelo Zaccarello, che, superando la nozione di
nonsenso, rileva come nella poesia burchiellesca il testo si dipani per
associazioni immanenti alla materia verbale, utilizzata questultima in
modo vistosamente diverso dal suo valore corrente e abituale : di queste
associazioni lo stesso studioso ha dato ampia esemplifcazione in un suo
eccellente saggio del 2002
52
e nel commento einaudiano. I pi fedeli se-
guaci della maniera burchiellesca che, come ha rilevato Giuseppe Cri-
mi, non ha bisogno di proclami, ma attua la sua poetica direttamente ed
esclusivamente nei sonetti
53
capiscono il meccanismo di quella poesia
e lo riproducono, anche se talora evidente lo sforzo di adesione al mo-
dello, che toglie naturalezza al dettato: in particolare, negli imitatori
manca uno dei fenomeni caratteristici della poesia del barbiere (che gi
compare nel brunelleschiano Panni alla burchia e visi barbizechi), cio la
fusione e il trascolorare di un testo meramente comico in poesia alla
burchia e viceversa, il saltuario emergere, nelle accozzaglie pi disparate,
di un riferimento sensato, di unallusione perspicua, di un indovinello
arduo ma solubile, che spesso solo un bagliore; poi, in virt di quellin-
calzare del ritmo e di quel sottentrare di sempre nuove forze a cui ac-
cennava Domenico De Robertis,
54
si risprofonda nellassurdit, o alme-
no in quello che per noi ha la sua apparenza. Questo fenomeno testimo-
nia come la maniera alla burchia fosse, in Burchiello, lesito estremo, ma
in fondo consequenziale, di un linguaggio comico preesistente (e pree-
sistente era del resto anche quella particolare variante di poesia comica
che defniamo poesia alla burchia).
55
I seguaci, invece, nella smania di
saggiare il nuovo modo, tentano la via delladesione puristica e separano
in modo piuttosto netto i due moduli espressivi; tanto che nelle rubriche
52. Zaccarello, Schede esegetiche, cit. (da l, p. 1, provengono le parole riportate a te-
sto).
53. Vd. Crimi, Loscura lingua, cit., p. 282.
54. Cfr. De Robertis, Una proposta per Burchiello, cit., p. 111.
55. Per le tappe essenziali che anticiparono lesperienza del Burchiello si possono con-
sultare i primi quattro capitoli del lavoro di Crimi, Loscura lingua, cit., o anche solo il breve
proflo che di quella storia traccia Zaccarello nellintroduzione alla sua edizione com-
mentata (pp. xiii-xx).
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
87
autografe, solo i sonetti alla burchia del Pigli sono defniti alla burchiel-
la, cos come un sonetto alla burchia del Libro dei sonetti di Luigi Pulci e
Matteo franco il solo a essere esplicitamente designato, nel recente-
mente recuperato codice Dolci,
56
come burchiellesco, bench lintera
opera sia di esclusiva pertinenza comica.
4. Visto che si menzionato Luigi Pulci, non ci si pu esimere di riser-
vare a lui almeno qualche cenno, proponendo alcune considerazioni su
quello che giustamente viene ritenuto il pi genuino erede di Burchiel-
lo. Mi limiter a qualche rifessione sul Libro dei sonetti,
57
che, com noto,
accoglie anche i documenti letterari della lunga tenzone che vide sfdar-
si Luigi Pulci, gi animatore principe della brigata medicea, e il pi gio-
vane Matteo franco, astro nascente in quel medesimo circolo. Oltre ai
testi della tenzone, il Libro, che reca nella tradizione una confgurazione
particolarmente instabile per canone e ordinamento dei pezzi, trasmette
altri componimenti di entrambi i poeti, diretti a destinatari diversi dal
contendente. Nel Libro dei sonetti che testimonia una vera contrapposi-
zione fra i due rimatori e non solo uno scherzo letterario Burchiello
una presenza costante;
58
la sua infuenza si manifesta a vari livelli: ci sono
citazioni dirette, richiami di lessemi e sintagmi, o anche limitazione di
motivi e luoghi comuni. In particolare, com ovvio, il modello portante
ed esplicito va riconosciuto nella vituperosa tenzone del barbiere con
Rosello Roselli, di cui si ripropongono analiticamente i temi e il linguag-
56. Per questo manoscritto, recentemente ricomparso sul mercato antiquario, cfr. A.
Decaria-M. Zaccarello, Il ritrovato Codice Dolci e la costituzione della vulgata dei Sonetti di
Matteo Franco e Luigi Pulci, in filologia italiana , iii 2006, pp. 121-54.
57. Il titolo, in verit, non rispecchia i dati della tradizione, ma si adotta per comodit
in quanto consente di riferirsi alledizione pi completa di questi sonetti (L. Pulci-M.
Franco, Il Libro dei sonetti, a cura di G. Dolci, Milano-Genova-Roma-Napoli, Societ
Anonima Editrice Dante Alighieri, 1933). Per una pi precisa trattazione del problema cfr.
M. Zaccarello, Continuit e specicit nella tradizione a stampa dei Sonetti iocosi & da ridere di
Matteo Franco e Luigi Pulci, in Tipoflo logia , i 2008, pp. 105-27 (ora anche in Id., Reperta,
cit., pp. 357-95).
58. Per averne unidea si pu ricorrere al quinto capitolo di Crimi, Loscura lingua, cit.,
pp. 317-53, che esamina i passi pulciani che riprendono passi burchielleschi (per i Sonetti
vd. in part. pp. 336-48).
alessio decaria
88
gio. Come ho sostenuto in altra sede,
59
per, dietro alla costituzione del
Libro c anche qualcosa di diverso e una strategia pi sottile: la confgu-
razione recata dal codice Dolci, in particolare, sembra frutto di una cer-
nita e di un montaggio dei sonetti tesi ad accreditare la vittoria del fran-
co nella tenzone e il suo subentrare a Luigi nel ruolo di poeta comico
principale della cerchia medicea. Anzi, direi piuttosto nel ruolo di erede
di Burchiello nellet laurenziana, dato che il pegno reale della disputa
dovette risiedere proprio nel riconoscimento di questo ruolo, come si
evince da ripetute ed esplicite dichiarazioni dei due contendenti.
Nel Libro, infatti, la presenza di Burchiello s costante, ma manca
quasi del tutto il poeta alla burchia; n ci deve meravigliare, dato che il
genere della tenzone in vituperium non consente mai un linguaggio trop-
po coperto; fguriamoci se pu sopportarlo una tenzone come questa,
svolta manifestamente davanti a un pubblico e per quel pubblico (quel-
lo della cerchia laurenziana). Nel codice Dolci solo un paio di testi del
franco (uno invero di attribuzione controversa) presentano andamento
alla burchia. Basti la prima quartina di uno di essi per evidenziare il rigo-
re dellimitazione:
Un arrosto smarrito sanza taglia
e dua Gimignanesi da Romena
corson ne frati a far sonare a cena,
perch Cupido temessi di maglia.
60
I due sonetti si collocano, nella strategia compositiva del codice, in
una sezione in cui, venuto meno il contrappunto di botta e risposta, la
voce di Luigi ormai assente e il franco pu esibire sia le sue relazioni
coi principali personaggi dellambiente mediceo (destinatari di quasi tut-
ti i sonetti della seconda parte del codice), sia la sua adeguatezza a suben-
59. A. Decaria, Il Pulci ritrovato e nuove ipotesi sul Libro dei sonetti, in Collezione privata.
Notizie storico-lologiche e recuperi testuali dal mondo del collezionismo e dellantiquariato librario.
Atti del Convegno di Ascona, Monte Verit, Centro Stefano franscini, 16-17 novembre
2006 = fasc. mon. del Bollettino Storico della Svizzera Italiana , cxi 2008, pp. 247-81.
60. Pulci-Franco, Il Libro dei Sonetti, cit., lxxiv 1-4, p. 72. Proprio questi versi sono
citati e illustrati da Zaccarello, Burchiello e i burchielleschi, cit., pp. 130-31, che vi riconosce
uno dei rari esempi di poesia alla burchia det laurenziana.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
89
trare a Luigi come poeta comico per cos dire uffciale: e saper fare sonet-
ti alla burchia doveva costituire una delle referenze obbligatorie per il
curriculum di un aspirante poeta comico. Oltre a questi due esempi, tutta-
via, ser Matteo non adopera altrove quella modalit, mentre sfrutta sa-
pientemente tutta la gamma di generi e situazioni caratteristiche della
poesia giocosa e burlesca, e anche in quei testi molto forte la presenza
del Burchiello (quello, per, dei testi realistici e perspicui).
E Luigi, che, quando avveniva tutto questo, era ormai quasi sempre
fuori di firenze? Anche nella produzione del Pulci incredibile a dirsi
si stenta a trovare tracce di poesia alla burchia. Eppure egli, funambolo
del linguaggio (come dimenticare il Vocabolista, i sonetti dialettali irti di
giochi verbali e doppi sensi, la satira antipedantesca nei sonetti contro
Bartolomeo Scala e Marsilio ficino?), in questo senso davvero nuovo
Burchiello, riusciva tanto infuenzato dal caposcuola da vedere accolti
alcuni suoi sonetti gi nella princeps veneziana dei sonetti del Burchiello
e quindi (bench col senno del poi) fn nella stampa pseudo-londinese;
Luigi, inoltre, aveva assimilato tanto a fondo la maniera del maestro da
comporre un sonetto che pare contaminare la modalit alla burchia con
quella realistica e polemica (E risono una volta pi di septe).
61
Nonostante
tutto questo, anchegli lascia alla tecnica alla burchia solo pochi spiccio-
li della sua ampia produzione, spesso destinando questi testi a una circo-
lazione ristretta e privata che ha permesso solo a pochi di salvarsi fortu-
nosamente dal naufragio. Al contrario, il ritornello ormai noto, del
Burchiello realistico e perspicuo trasuda ogni suo verso, e in qualche
caso Luigi d un grande aiuto agli esegeti di Burchiello perch trapianta
immagini e locuzioni da sonetti alla burchia del barbiere in testi realisti-
ci, decrittando lenigma.
62
Ad esempio, in uno dei sonetti contro lo Scala
(Messer Bartolomeo de bellinchini) si legge:
61. Per questo sonetto vd. lo studio di S. Carrai, Schede per i sonetti di Luigi e del Franco,
in Id., Le Muse dei Pulci. Studi su Luca e Luigi Pulci, Napoli, Guida, 1985, pp. 75-84, alle pp.
80-84, che ne ritrov e pubblic lautografo. Mi sia poi concesso rinviare ad A. Decaria,
Luigi Pulci e Francesco di Matteo Castellani. Novit e testi inediti da uno zibaldone magliabechiano,
firenze, Societ Editrice fiorentina, 2009, pp. 107-8 (per questo sonetto) e 185-92 (per la
produzione alla berchia di Luigi).
62. un fenomeno riscontrato anche da Crimi, Loscura lingua, cit., p. 325, che cita altri
esempi.
alessio decaria
90
Ben tu s fatto un di que paladini,
che ne vanno a firenze con la pala.
63
Il Pulci, pur nel furore della satira contro lumanista, ha nellorecchio
un passo preciso del suo modello e, piegandolo alle proprie necessit
polemiche, scopre il gioco che nei versi del barbiere risultava decisamen-
te pi ostico da decifrare:
I non potrei contar tanta sciagura
cio de paladin condotti a tale
che ricogliendo van la spazatura.
64
5. Venendo al tirar delle somme, il dato nuovo che emerge dallinda-
gine sulla poesia alla burchia nella seconda met del Quattrocento con-
siste in questo: i poeti di quella stagione si cimentano di rado con la pi
genuina maniera alla burchia, preferendo invece adoperare quei testi
apparentemente senza senso come miniera da cui estrarre singole tesse-
re e locuzioni da ricontestualizzare in ambito genericamente burlesco.
Questi fenomeni, che Giuseppe Crimi constatava per francesco Berni
e, in misura minore, gi per Lorenzo de Medici,
65
sono dunque presen-
ti fn dallinizio nella ricezione della nuova maniera. Burchiello risulta
insomma, paradossalmente e fn da subito, pi imitato per la sua produ-
zione realistica (tutto sommato pi conservatrice) che come caposcuola
di un nuovo modo di far poesia, che poi, peraltro, proprio nuovo non era.
Questo almeno per quanto concerne la riproducibilit in proprio, da
parte dei poeti coevi, di quella maniera. I rimatori contemporanei e gli
immediati discendenti che si muovono sul terreno del riso ammirano il
barbiere, alcuni ne piangono anche la morte o corrispondono con lui,
ma non lo seguono sulla strada del nonsense (o di quel particolare nonsense,
63. Sonetti del Burchiello, del Bellincioni e daltri poeti orentini alla burchiellesca, Londra [ma
Lucca-Pisa, s.c.,] 1757, pp. 161-62 (testo 239, vv. 5-6).
64. Sonetti del Burchiello, ed. cit., xxii 9-11, p. 31.
65. Si rinvia ai capp. vi-vii del pi volte citato lavoro di Crimi, Loscura lingua. Una pi
sintetica, ma non meno rilevante indagine sul riuso dei testi burchielleschi nel secondo
Quattrocento e oltre si trova ora anche in Zaccarello, Burchiello e i burchielleschi, cit., pp.
130-38.
il nonsense nella poesia toscana del secondo 400
91
ch, si visto, il Quattrocento conobbe anche altre esperienze poetiche
avvicinabili a tale defnizione). I pi stretti seguaci della poesia alla bur-
chia, del resto, li indica la tradizione stessa, dato che i pezzi apocrif o
presunti tali che sinfltrano da subito nella vulgata dei sonetti costituisco-
no davvero la massima parte della fortuna e dellimitazione di quello
stile, e limitazione pi fedele. Gli altri, come si visto, limitano lomag-
gio a pochi pezzi. Si ha insomma la sensazione che la scomparsa di Bur-
chiello innescasse il rapido declino di quella societ letteraria che, sullon-
da degli estri del barbiere di Calimala, aveva alimentato quel particolare
genere di poesia e aveva posto le basi per la sua trasmissione alle genera-
zioni future. Con laffevolirsi di quella ftta conversazione fra i burchiel-
leschi della prima ora, un gruppo che pare da collocare in un orizzonte
culturale e geografco piuttosto ristretto, la poesia alla burchia era desti-
nata a morire, o a divenire altra cosa. Gi i poeti comici toscani dellulti-
mo quarto del secolo si trovarono ad abitare tuttaltro mondo: chi, fuori
di Toscana, come il Bellincioni e il Pistoia (e da un certo momento anche
il Pulci), doveva fare i conti con le occasioni che alla poesia offriva, ma
anche imponeva, la realt della corte, doveva per forza di cose rivolgersi
a un pubblico pi vasto ed eterogeneo di quello che assaporava le fanta-
sticherie del Burchiello. Il poeta cortigiano era costretto a ricorrere a un
linguaggio che, se non del tutto alieno da allusioni, enigmi e giochi di
parole, doveva limitare gli artifci a un numero ridotto e ben riconoscibi-
le. Non che la burchiellesca fantasia dovesse rinunciare a tutti i suoi
colori, ma certo la tavolozza andava un po ridotta. La progressiva muta-
zione della poesia burchiellesca e il suo trapianto, depurata delle punte
pi eversive, in terreni pi prossimi al genere comico-realistico, da altri
messa adeguatamente in luce, a mio avviso si spiega anche coi fattori
appena indicati.
66
E il fatto che questo processo nella patria di Burchiello
si inneschi, nei primi anni Settanta, proprio in corrispondenza di un net-
to e radicale processo di smunicipalizzazione della cultura, conferma
66. Molto verosimile anche lipotesi proposta da Michelangelo Zaccarello per giusti-
fcare la rapida eclissi dello stile alla burchia in epoca laurenziana, che andrebbe ricer-
cata nel rapido successo ottenuto in quegli ambienti dalla letteratura carnascialesca
(Burchiello e i burchielleschi, cit., pp. 132-33).
alessio decaria
92
lipotesi della fne di un mondo. A ulteriore riprova, si pu constatare che
la strenua imitazione burchiellesca di Alessandro Braccesi tutta creata
in laboratorio e non reca alcuna traccia di apertura allesterno: nel suo
libro non per niente ermeticamente congegnato alla maniera di un
canzoniere lirico, strutturato cio in modo affatto contrario a quello del-
le sillogi del barbiere, aperte nel canone e nellordinamento alle soluzio-
ni pi varie non entrano altri interlocutori, corrispondenti, complici o
avversari, ma c spazio solo per il confronto col modello, anzi con quel
libro, fssato proprio in quel torno danni nella rassicurante forma della
vulgata. Ma era un libro che ormai apparteneva a unaltra stagione.
Questo, almeno, il panorama che emerge dalla mia parzialissima rico-
gnizione sulla prima fortuna della poesia alla burchia; un viaggio che
forse valso la pena percorrere, anche per iniziare a riaprire la diffcile
partita flologica dellassegnazione dei singoli testi che entrano nel corpus
della tradizione burchiellesca. Una partita che, senza indagare le perso-
nalit poetiche di poca o nessuna fama di cui ho parlato, non pensabile
affrontare.
93
Carla Chiummo
S GRANDE APELLE, E NON MINORE APOLLO :
IL NONSENSE DEL BRONZINO MANIERISTA*
Parlare del Bronzino poeta burlesco signifca veramente addentrarsi
in una selva ancora in buona parte oscura. Di clandestinit quasi assolu-
ta parlava Mutini nel 1988, nella Introduzione alledizione pi recente e
commentata delle Rime in burla bronziniane, a cura di franca Petrucci
Nar delli (Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1988), seguta dal-
lunica vera edizione critica, sebbene parziale, di questo Bronzino, cio
quella dei Salterelli dellAbbrucia sopra i Mattaccini di Ser Fedocco, a cura di
Carla Rossi Bellotto (Roma, Salerno Editrice, 1998), ma con unedizione
completa ancora addirittura ottocentesca, e niente affatto flologicamen-
te attendibile, del suo Canzoniere petrarchesco (Sonetti di Angiolo Allori
detto il Bronzino ed altre rime inedite di pi insigni poeti, a cura di Domenico
Moreni, firenze, Stamperia Magheri, 1823).
1
A ci si aggiunga la neces-
* Desidero anzitutto ringraziare Renzo Bragantini e Giuseppe Crimi per avere pa-
zientemente letto questo lavoro e per i preziosi suggerimenti offertimi.
1. Dopo il meritorio, ma ovviamente ormai datato A. Furno, La vita e le rime di Angiolo
Bronzino, Pistoia, Tip. flori, 1902, lunica monografa dedicata interamente al Bronzino
scrittore quella di D. Parker, Bronzino. Renaissance Painter as Poet, Cambridge-New
York, Cambridge Univ. Press, 2000, dove al poeta burlesco dei Salterelli si fa solo un rapi-
do cenno nel capitolo dedicato alle Rime in burla, pp. 14-39. Un cenno ancora pi rapido e
generico alla sua attivit poetica nella monografa di M. Brock, Bronzino, Paris, ditions
du Regard, 2002. Ci sono tuttavia alcuni recenti segnali di una sua maggiore, almeno re-
lativa, popolarit letteraria su questo versante poetico: uno di questi va per esempio ben
al di l della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, ed la pubblicazione del suo com-
ponimento Dello starsi. Cap. i, in Versi da ridere. Poesie comiche italiane, a cura di D. Piccini,
Milano, Saggiatore, 2007. Signifcativo che solo un decennio prima, in unaltra raccolta a
carattere divulgativo e di un certo successo, dedicata alla poesia del nonsense, Il piccolo libro
del nonsense, a cura di P.P. Rinaldi, Milano, Vallardi, 1997, il nome di Bronzino fosse del
tutto assente, mentre il Capitolo de Romori, con commento, in Burchiello e burleschi, a cura
di R. Nigro, Roma, Ist. Poligrafco e Zecca dello Stato, 2002, pp. 925-32. Sul Bronzino
petrarchista, si veda invece ora G. Tanturli, Formazione dun codice e di un canzoniere: Delle
Rime del Bronzino pittore Libro primo, in Studi di flologia italiana , lxii 2004, pp. 195-224,
in cui per si fa ancora riferimento alledizione ottocentesca dei Salterelli (Bologna, Gae-
carla chiummo
94
saria sfda di guardare agli inevitabili rapporti tra il poeta e il pittore,
senza cadere nella trappola delle forzature interpretative; per di pi, nel
caso delle rime burlesche di cui ci occuperemo, dovendo sciogliere il
nodo, tuttaltro che meno intricato, del valutare fno a che punto sia le-
gittimo parlare di nonsense, relativo o assoluto che sia.
2
Le risposte qui
non potranno che essere parziali. Ma qualche nodo pu essere sciolto (e
insieme, per alcuni aspetti, aggiunto, nella prospettiva di nuove, future
indagini ed eventuali conferme), se si parte da un discorso di poetica,
che, come nel caso pi lampante della sua pittura, pu certamente def-
nirsi, per molti aspetti, manierista. Per il poeta serio e per quello bur-
lesco.
Se il Manierismo artisticamente anzitutto gusto del ricalco e del
dj lu ,
3
certo, come scriveva lo storico dellarte Shearman,
4
il parallelo
tra il Manierismo pittorico e il petrarchismo alla Bembo, o meglio il
bembismo linguistico-poetico, pi o meno ortodosso, pu reggere be-
ne; ma se vero che il concetto di Manierismo ha in s anche il suo con-
trario, ovvero una tecnica anti-classicistica del ribaltamento e della con-
tropoetica ,
5
allora a maggior ragione il nome del Bronzino poeta e pit-
tore avanzato da Pinelli va senzaltro aggiunto.
6
Anzi, direi che proprio il
Bronzino pittore e poeta risponde al meglio a questa doppia identit ar-
tistica. Da una parte il pittore superbamente glaciale
7
come scrisse
tano Romagnoli, 1863); riguardo pi genericamente a questo fronte petrarchesco, cfr. il
fasc. monografco a cura di B. Porcelli, Petrarca volgare e la sua fortuna sino al Cinquecento, in
Italianistica , v 2004, fasc. 2, sebbene si fermi alle soglie del territorio manierista (man-
cando quindi di qualsiasi riferimento al Canzoniere bronziniano).
2. Cfr. P. Orvieto-L. Brestolini, La poesia comico-realistica. Dalle origini al Cinquecento,
Roma, Carocci, 2000, e in partic. il cap. 11.
3. A. Pinelli, La maniera: denizione di campo e modelli di lettura, in Storia dellarte italiana,
vol. vi. Dal Cinquecento allOttocento, Torino, Einaudi, 1981, to. i p. 141.
4. J. Shearman, Mannerism. Style and Civilization, Harmondsworth, Penguin, 1967 (trad.
it. Id., Manierismo, a cura di M. Collareta, firenze, Spes, 1983), pp. 37-39, passim. con
questo studio che dialoga anzitutto Pinelli nella sua introduzione ai rapporti tra il Manie-
rismo letterario e quello pittorico e poi tra il Bronzino petrarchista e Bembo (Pinelli, La
maniera, cit., pp. 140 sgg.).
5. Pinelli, La maniera, cit., p. 147.
6. Ivi, pp. 146-48.
7. R. Longhi, Un San Tommaso del Velzquez e le congiunture italo-spagnole tra il Cinquecen-
il nonsense del bronzino manierista
95
Longhi che ritrae la sua Laura, la poetessa Laura Battiferri, con il Can-
zoniere petrarchesco fra le mani,
8
citando lAndrea del Sarto della Giova-
ne donna con un volume di Petrarca; dallaltra il pittore di un allegorismo
che sfora il nonsense apparente dellenigmatica Allegoria londinese (gi
nota come Allegoria del trionfo di Venere o Allegoria del Piacere),
9
con linquie-
tante inversione nella disposizione naturale delle mani della fgura fem-
minile in basso sulla destra (allegoria del Piacere, secondo le indicazioni
di Vasari),
10
o del ritratto, ricordato con enfasi da Vasari, del nano della
corte medicea, Morgante,
11
dipinto recto/verso su una stessa tela, o il
to e il Seicento, in Vita artistica , ii 1927, pp. 4-12 (ora in E. Baccheschi, Lopera completa del
Bronzino, Milano, Rizzoli, 1999, p. 12).
8. La stessa costruzione en abme (il ritratto che gioca sul citazionismo esibito: una poe-
tessa che cita un poeta caro sia a lei che al pittore/poeta) un espediente tipicamente ma-
nierista, cui Bronzino ricorre volentieri nei suoi quadri, e in particolare nei suoi ritratti. Qui
i due sonetti petrarcheschi mostrati dalla poetessa sono facilmente riconoscibili: il xlix e il
clxxxii. Su questo ritratto e le sue citazioni da Petrarca, cfr. anche R. fedi, La memoria della
poesia. Canzonieri, lirici e libri di rime nel Rinascimento, Roma, Salerno Editrice, 1990, pp. 79-80;
J. Woods-Marsden, In la Persia e nella India il mio ritratto si pregia : Pietro Aretino e la costru-
zione visuale dellintellettuale nel Rinascimento, in Pietro Aretino nel cinquecentenario della nascita.
Atti del Convegno di Roma-Viterbo-Arezzo, 28 settembre-1 ottobre 1992; Toronto, 23-24
settembre 1992; Los Angels, 27-29 ottobre 1992, ivi, id., 1995, to. ii pp. 1099-125, alle pp.
1107-8; Laura Battiferra [sic] and haer literary circle: an anthology, a cura di V. Kirckhan, Chicago,
Univ. of Chicago Press, 2006; N. Macola, Sguardi e scritture: gure con libro nella ritratistica
italiana della ...... del Cinquecento, Venezia, Ist. Veneto di Scienze, lettere e arti, 2007, pp. 76-85,
172-76; L. Bolzoni, Poesia e ritratto nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 215-17.
9. A questa allegoria sono state date infatti le interpretazioni pi diverse, sempre par-
tendo per da quanto scritto negli studi ancora imprescindibili di Panofsky e di Zeri (cfr.
su questo aspetto A. Cecchi, Bronzino, firenze, Scala/Riverside, 1996, e A. Paolucci,
Bronzino, firenze, Giunti, 2002). Anche la Parker si sofferma su questo quadro nel cap. iv,
The poetics of Bronzinos Painting, in Ead., Bronzino, cit., pp. 128-33; pi di recente tornata a
parlarne, tra gli altri, S. Malaguzzi, LAllegoria di Bronzino. Il piacere e linganno, in Art e
Dossier , xix 2004, fasc. 9.
10. G. Vasari, Le vite dei pi eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di M. Marini, Ro-
ma, Newton, 2007, p. 1341.
11. Ritrasse poi Bronzino al duca Cosimo Morgante nano ignudo tutto intero, et in
due modi, cio da un lato del quadro il dinanzi e dallaltro il di dietro, con quella stravagan-
za di membra mostruose che ha quel nano, la qual pittura in quel genere bella e meravi-
gliosa (ivi, p. 1342). Come noto, Morgante fgura emblematica della poesia burlesca:
da Pulci in poi. Lo stesso fatto che il nano di corte dei Medici abbia il nome di un gigante
non poteva non stimolare la vena paradossale di Bronzino, come gi di altri poeti burle-
carla chiummo
96
disegnatore degli splendidi arazzi che incastonano le fgure pi biz-
zarre.
12
Cos, senza voler forzare troppo luso della sua scrittura per spiegare la
sua arte pittorica come si rischiato di fare nel suo caso
13
ritroviamo
da una parte il poeta di un canzoniere di circa 230 componimenti in stile
ipermanieristicamente petrarchesco (il che per signifca anche con tra-
dimento profondo del pi rigido petrarchismo bembesco);
14
dallaltra,
schi. Ricordo qui lepitaffo del Grazzini/Lasca A Morgante nano: Un nano, chebbe nome
di gigante, / giace sepolto in questo ricco avello, / chebbe natura, colore e sembiante /
duomo, di bestia, di pesce e duccello. / fu cos contraffatto e stravagante / e tanto brutto
che pareva bello; / onde, e con ragion, si potr dirgli: / tu sol te stesso, e nullaltro somigli.
/// . La Longhi nota la citazione petrarchesca dellultimo verso da RVF, clx 4, e ricorda
che Grazzini compose anche una madrigalessa per Morgante, dal titolo Ben avrebbe di tigre
o di serpente, dove gli stessi spunti si stemperano senza effcacia in un discorso prolungato
e monotono (Poeti del Cinquecento, i. Poeti lirici, burleschi, satirici e didascalici, a cura di G.
Gorni, M. Danzi e S. Longhi, Milano-Napoli, Ricciardi, 2001, p. 996).
12. Vd. Baccheschi, Lopera completa del Bronzino, cit., pp. 96-98 (con utile nota biblio-
grafca sulla arazzeria di Bronzino a p. 96), e Parker, Bronzino, cit., p. 38.
13. Cfr. M. Bugg, Tra immagine e parola, in Critica darte , lxii 1999, pp. 61-71: qui
linterpretazione dei rapporti tra scrittura e pittura in Bronzino si fonda su schemi che
appaiono un po troppo meccanici e unilaterali (modello opposto di equilibrato e dina-
mico confronto tra arte visiva e letteraria si trova invece negli studi di L. Bolzoni o, seb-
bene non inerenti al caso Bronzino, nelle parole di E.N. Girardi, La notte di Michelangelo,
in Letteratura italiana e arti gurative. Atti del xii Convegno dellAISLLI, Toronto-Hamil-
ton-Montral, 6-10 maggio 1985, a cura di A. franceschetti, firenze, Olschki, 1988, vol.
ii pp. 473-83, a p. 473: un tertium che, lasciando alla scultura ci che della scultura, e alla
poesia ci che della poesia, ne spieghi innanzitutto la compresenza ; o in R. Scrivano,
Il modello e leccezione. Studi rinascimentali e manieristici, Napoli, Liguori, 1993, e pi specifca-
tamente nel cap. La cultura letteraria di Raffaello).
14. Vd. su questo aspetto Parker, Bronzino, cit., in partic. il cap. ii che tocca proprio la
questione tuttora aperta del rapporto tra questo Canzoniere e i suoi modelli, Petrarca e
Bembo in primis (a p. 48, sul rapporto tra il Canzoniere petrarchesco e quello di Bronzino,
a titolo esemplifcativo, soffermandosi su un confronto diretto tra i due sonetti proemia-
li, la Parker scrive: The opening of Bronzinos canzoniere is much more clearly structu-
red than the ending. The frst sonnet offers a brief account of the collections contents
and, more importantly, exemplifes the way in which the painter tends to engage the lyric
tradition []. Bronzinos sonnet is not simply derivative of Petrarchs poem; it lovingly
registers and engages lines and motifs from its predecessor . Si tenga presente che solo
una minima parte di questo Canzoniere circol in edizioni a stampa e che nel Canzonie-
re del Magl. II IX 10 della Biblioteca Nazionale Centrale di firenze vi appaiono insieme
molti componimenti di altri autori.
il nonsense del bronzino manierista
97
lautore burlesco dei Capitoli e soprattutto dei Salterelli dellAbbrucia, i pi
decisamente sconfnanti nellambiguo territorio del nonsense. Ch va
detto subito se gi stato ampiamente confutato come nonsense assolu-
to
15
nella poesia burchiellesca e ancor pi in quella bernesca cui lo stesso
Bronzino guarda con molta attenzione (e parziale devozione), ancora
pi decisamente confutabile in senso assoluto in un poeta che manie-
risticamente ricalca le impronte di quella tradizione con una consapevo-
lezza letteraria tuttaltro che scontata. Insomma, la riscrittura del poeta
serio sconfna nella parodia del poeta in burla, che, come scriveva re-
centemente Garavelli a proposito del bernismo atipico di un Caro o di
un Molza, o del Della Casa faceto compagni di strada del Bronzino
poeta non pu comunque prescindere dalla parola assoluta del Petrar-
ca .
16
E non solo dalla sua, come vedremo.
15. la tesi sostenuta in Orvieto-Brestolini, La poesia comico-realistica, cit., cos come
nelle pi recenti e accreditate ricerche su questo versante della poesia burlesca, a partire
dai lavori di Zaccarello su Burchiello (oltre alled. crit. da lui curata per la Commissione
dei testi in Lingua [Bologna 2000], si veda almeno la sua edizione commentata dei Sonetti,
del Burchiello, Torino, Einaudi, 2004) fno al pi recente e densissimo studio di G. Crimi,
Loscura lingua e il parlar sottile. Tradizione e fortuna del Burchiello, Manziana, Vecchiarelli, 2005
(e di questa meritoria collana di Vecchiarelli si vedano anche Cinquecento capriccioso e irrego-
lare. Eresie letterarie nellItalia del classicismo, a cura di P. Procaccioli e A. Romano, 1999, e A.
Corsaro, La regola e la licenza. Studi sulla poesia satirica e burlesca fra Cinque e Seicento, 1999; sul
rapporto arte-letteratura: Autorit, modelli e antimodelli nella cultura artistica e letteraria fra Ri-
forma e Controriforma. Atti del Convegno di Urbino-Sassocorvaro, 9-11 novembre 2007, a
cura di A. Corsaro, M. faini e P. Procaccioli, e, appena pubblicato, quando questo
lavoro era gi in composizione, Ofcine del nuovo. Sodalizi fra letterati, artisti ed editori nella
cultura italiana tra riforma e controriforma. Atti del Convegno di Utrecht, 8-10 novembre 2007,
a cura di H. Hendrix e P. Procaccioli, 2008). Interessanti riferimenti a questo ambito
letterario nel vol. Gli irregolari nella letteratura. Eterodossi, parodisti, funamboli della parola.
Atti del Convegno di Catania, 31 ottobre-2 novembre 2005, Roma, Salerno Editrice, 2007
(in partic. negli interventi di A. Corsaro, M. Zaccarello, D. Ro mei, A. Amaduri, A. Di
Grado, A. Manganaro). Si tratta di una linea di studi sulla poesia burlesca che ha seguito
le ricerche flologico-linguistiche imprescindibili avviate diversi decenni fa dalla Ageno e
poi portate avanti, anche su altri fronti interpretativi, per citare solo alcuni degli studiosi
pi noti, da A. Tartaro, M. Martelli, D. De Robertis, A. Lanza, facendo luce su questo
versante apparentemente nonsensical della poesia burlesca, in specie quella forentina tre-
quattrocentesca.
16. E. Garavelli, Presenze burchiellesche (e altro) nel Commento di ser Agresto di Annibal
Caro, in La fantasia fuor de conni. Burchiello e dintorni a 550 anni dalla morte (1449-1999). Atti
carla chiummo
98
Un tale impegno su pi fronti poetici smentisce subito la lettera della
stessa defnizione data da Bronzino alla sua poesia, come ingenua zam-
pogna di contado ,
17
puro ripiego alle fatiche dellartista (defnizione mo-
dulata sullantico e fortunato topos rinverdito dalle nugae petrarchesche e
spesso usato dai poeti comici cinquecenteschi),
18
e spiega gi in parte
lentusiasmo di un Cellini che loda proprio il poeta dei sonetti, cos come
di un Vasari che invece sa apprezzare anche il poeta faceto; per non par-
lare delle reiterate lodi del Grazzini/Lasca e di quel Varchi che lo incor-
nicia in un solenne s grande Apelle e non minore Apollo .
19
Certo, lappellativo elogiativo del Varchi va subito fltrato attraverso
la sua natura, il caso di dirlo, di maniera. Di maniera anzitutto perch
lartista/poeta cui era stato prima attribuito era come noto Michelan-
gelo, maestro di arte pittorica e poetica indiscusso per Bronzino e
tutta la sua cerchia dellAccademia fiorentina. E per di pi era stato Ber-
ni, nel Capitolo dedicato al pittore Fra Bastian del Piombo (1534), a elogiare
in questi termini assieme lartista e poeta Michelangelo, fno a decretar-
ne la superiorit letteraria persino rispetto al modello petrarchesco:
del Convegno di firenze, 26 novembre 1999, a cura di M. Zaccarello, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2002, p. 231. A proposito di autori come Molza e Della Casa, che
giocano sul doppio fronte della poesia petrarchista e della sua parodia apparentemente
bernesca, Garavelli scrive, sulla linea degli studi di S. Longhi, Lusus. Il capitolo burlesco del
Cinquecento, Padova, Antenore, 1983: La rettifca parodica della parola assoluta del Petrarca
sembra approdare cos, anzich alla legittimazione dello spazio alternativo del bernismo,
alla formulazione di una proposta che dal Petrarca non pu comunque prescindere ;
conclude per, riguardo al Caro e al suo Commento, e insieme a tutta quella cerchia roma-
no-toscana di antibembisti: ci troviamo di fronte al bizantinismo manieristico e un po
decadente di una societ letteraria di parvenus che, malata di complessi di inferiorit per-
ch impietosamente subordinata nella quotidianit, tenta di autolegittimarsi sperimen-
tando linversione carnevalesca (p. 238). Scivoloso per laccostamento di manierista e
decadente, con una nuance moralistica, che rischia di riportare in acque melmose, secondo
un Manierismo storico letto di per s come decadente, con unaccezione tendenzial-
mente negativa e limitativa di questa seconda voce.
17. Rossi Bellotto, Introduzione a I Salterelli dellAbbrucia, cit., p. 15.
18. Orvieto-Brestolini, La poesia comico-realistica, cit., p. 205.
19. Per una rassegna dei giudizi critici dei contemporanei, cfr. Baccheschi, Lopera
completa del Bronzino, cit., p. 11, e Parker, Bronzino, cit., pp. 14-15. La citazione da Varchi
tratta da Opere di Benedetto Varchi ora per la prima volta raccolte, 2 voll., Trieste, Lloyd Austria-
co, 1858, vol. ii p. 992, son. lxxxix, A Bronzino, pittore.
il nonsense del bronzino manierista
99
Costui credio che sia la propria idea
della scultura, e dellarchitettura,
come della giustizia, mona Astrea,
e chi volesse fare una fgura
che le rappresentasse ambe due bene, 5
credo che faria lui per forza pura.
Poi voi sapete quanto egli da bene,
comha giudicio, ingegno, e discrezione,
come conosce il vero, il bello e l bene.
Ho visto qualche sua composizione: 10
sono ignorante, e pur direi davlle
lette tutte nel mezo di Platone;
s chegli nuovo Apollo, e nuovo Apelle:
tacete unquanco, pallide vole
e liquidi cristalli, e ere snelle: 15
e dice cose e voi dite parole.
20
Lasciando perdere per ora la valenza realistica di questo raffronto
cose/parole ad un primo livello opposta rispetto a qualsiasi poetica
manierista e ancor pi nonsensical quello che ci interessa la valenza
appunto di maniera che assume subito quel gioco (anche linguistico)
Apelle/Apollo. Lo usa, per Bronzino, Varchi, cos come lo usa la Laura,
di nome e di fatto (nel senso petrarchistico, e quindi ancora di manie-
ra) Battiferri, poetessa e senhal dafneo delle rime serie del Canzoniere
di Bronzino:
21
novello Apelle Apollo
22
lo chiama la Battiferri, in uno
scioglilingua alle soglie del nonsense di lunga fortuna popolare. Ma di fa-
cile maniera si tratta: basti pensare che Varchi nelle sue rime usa pi
20. Cito dalled. delle Rime di Beni a cura di D. Romei, Milano, Mursia, 1985, pp. 183-84
(il sonetto era gi nel Primo Libro del / lopere Burlesche, di M. / Francesco Berni. / Di Messer
Gio. della Casa, del / Varchi, del Mauro, di M. Bino, / del Molza, del Dolce, & / del Firenzuola. /
Ammendato; e ricorretto; e / con somma diligenza / Ristampato. / In Firenze, mdlii, segnatura
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: 68 9 G 4; il corsivo nel testo).
21. La Parker rileva come lappellativo di Apelle/Apollo sia rivolto a Bronzino anche
da altri sodali forentini, quali Sellori e Antonio de Bardi (vd. Parker, Bronzino, cit.,
p. 60).
22. Ivi, p. 63. Sulla fortuna cinquecentesca del mito di Apelle, vol. R. Arqus, I Sonetti
dellarte. Aretino tra Epelle e Pignolione, in Letteratura & Arte , i 2003, pp. 203-12
carla chiummo
100
volte e per vari artisti le due voci, sebbene non in forma di dittologia co-
me nel sonetto per Bronzino.
23
Interessante per, per avere una prima
23. Opere di Benedetto Varchi, cit., vol. ii, Sonetti Spirituali, lxxxix, Al Bronzino, pittore, p.
992: Dogni cosa rendiam grazie al Signore / Che le ci d, che cos vuole Dio, / Caro e
chiaro e cortese Bronzin mio, / Cui ebbi ed aggio ed avr sempre onore. // E se l vostro
Alessandro al primo fore / La bellopera ha fatto, ove ancor io / Sempre vivr fuor del
comune oblio, / Solo stata di Dio grazia e favore. // Noi siam nulla, Bronzin, voi che
sete /S grande Apelle e non minore Apollo; / Nulla che vostro sia, no, nulla avete / E
che voi Bronzin mio, come dovete, / Ogni ben vostro e suo da Dio tenete; / Il credo
certo, anzi per certo sollo. /// ; ccxl, Ad Alessandro Allori, pittore, p. 868: Caro Alessan-
dro mio, chal primo fore / De pi verdi anni, non pur del gran nome / Superbo andate,
ma del bel cognome / Vostro, chio porto sacro in mezzo al core; // Seguite il tosco Apel-
le, eterno onore / DellArno, e fate s chancor si nome / Il secondo Bronzin, pria che le
chiome / Cangiate, e l mondo dopo lui vonore; // Questo uman sonno cos breve,
nulla / Risvegliare altro e far longevo puote, / Che dardente virt ben caldo raggio: //
Io, che pur dianzi maddormiva in culla, / Or di neve mischiato ambe le gote, / Quanto
vorrei salir, tanto ognor caggio. /// ; dxv, A M. Lattanzio Roccolini, p. 909: Lattanzio, se
l mondo ha nuovo filippo / A quellantico ed al gran fglio eguale, / Egli ha bene anche
un altro nuovo, quale / fu quellantico, anzi maggior Lisippo. // ; vv. 12-14: Ben deve
ogni gentil sopra le stelle / Lo grande Aretin nostro, e Giorgin mio / Alzar, Tosco Mirone
e Tosco Apelle. /// ; dai Sonetti colle risposte e proposte di diversi, p.te ii, son. xlvii, A M. Lo-
dovico Castelvetro, p. 926: Voi, che da fragil vetro il nome e lopre / Pi salde e belle chada-
mante ed oro / Avete; voi, in cui luce e si suopre / DApollo ogni nascosto e bel tesoro:
//[] . Altri versi in cui invece Varchi richiama il poeta/pittore, suo amico, sono il son.
ccxliii, A maestro Antonio Bacchiacca, ricamatore, p. 868: Antonio, i tanti, e cos bei lavori, /
Che vostra dotta mano ordisce e tesse, / Lodi varrecan s chiare e s spesse, / Che piccio-
li appo voi feno i maggiori. // Chi , non dico tra i pi bassi cori, / Ma fra i pi alti inge-
gni, il qual credesse, / Che poca seta, e picciol ferro avesse / Agguagliato il martel, vinto
i colori? // Onde superbo, e pien di gioia parmi / LArno veder, che s felice chiami, / E
dica: i fgli miei mhan fatto bello: / I bronzi al gran Cellin deono; i marmi / Al Buonar-
roto; al Bacchiacca i ricami; / Le pietre al Tasso; al Bronzino il pennello /// ; il son.
ccxxxix, Al Bronzino, pittore (ibid.): Ben potete, Bronzin, col vago, altero / Stil vostro,
eletto a s grande speranza, / formare coi color lalta sembianza / Della donna gentil
dArno e dIbero: // Ma l bel di dentro e quello invitto, intero / Cortese cor, che sol
tutti altri avanza, / Chi ritrarr, dove non ha possanza / Vostra arte, e nulla val gran ma-
gistero? // Voi, ma con altro e non men chiaro stile, / N meno ornato che dal quarto
cielo / febo vinspira e con pi bei colori; // Raro ed esempio e pregio il mortal velo /
Potete eterno e leterno a migliori / far dal mar dIndia conto a quel di Tile. /// . Ma
anche i Componimenti pastorali, pubblicati postumi a cura di Cesare Salvietti (1576), hanno
qualche interesse nel nostro discorso, per i possibili rinvii cifrati e con sottintesi osceni,
riferiti alla cerchia di amici e artisti, Bronzino incluso, nascosti sotto i nomi arcadici (ivi,
pp. 1003 sgg.).
il nonsense del bronzino manierista
101
idea della fama e dei riconoscimenti del Bronzino poeta fra i suoi con-
temporanei: un vero e proprio erede del Michelangelo artista e letterato,
stimato da autorit indiscusse quali Varchi, Doni, Berni, Caro, Grazzini,
e ovviamente Vasari. E non c da meravigliarsi, dal momento che Agno-
lo di Cosimo, alias Bronzino, una delle presenze pi in vista di quella
Accademia fiorentina, nata dalla libera Accademia degli Humidi, coer-
citivamente riformata e posta sotto pi stretto controllo mediceo da Co-
simo, nel 1541, con lanno di massima crisi, il 1547, che vede lespulsione
dei pi riottosi, tra cui lo stesso Bronzino, poi riammesso solo nel 1566.
24

fatto ancora pi interessante: sappiamo dalla viva voce del Lasca, cura-
tore del Primo Libro dellopere Burlesche (1548) oltre che dei Sonetti del
Burchiello (1552) e dei Canti carnascialeschi (1559) , che lAccademia degli
Humidi principalmente fa professione [] dello stil burlesco, giocon-
do, lieto, amorevole e, per dir cos, buon compagno (Dedica del Lasca
a messer Lorenzo Scala, Primo Libro dellopere Burlesche).
25
Una traccia fon-
damentale da seguire per i sonetti dei Salterelli, cos come per i Capitoli
bronziniani in terza rima.
Lomaggio burchiellesco dei Salterelli, sulla scia di Caro, era stato prece-
duto dai suoi primi Capitoli berneschi, in prevalente concomitanza cro-
nologica piuttosto che come eredit letteraria, come pi volte stato
detto con quella terza decade del Cinquecento che vede una forente
pratica collettiva
26
in questo ambito poetico: il Berni comico del decen-
nio precedente inizia infatti a circolare in edizioni a stampa proprio negli
anni Trenta.
27
E alcuni Capitoli Di Bronzino pittore (Capitolo primo in
lode della Galea; Capitolo secondo in lode della medesima; Capitolo de Romori,
M. Luca Martini; Capitolo contro le Campane, al medesimo; e Capitolo in lode
24. SullAccademia degli Humidi e questo contesto culturale forentino si veda ancora
il classico M. Plaisance, Culture et politique Florence de 1442 1551: Lasca et les Humidi aux
prises avec lAcadmie Fiorentine, in Les crivains et le pouvoir en Italie lpoque de la Renaissance,
a cura di A. Rochon, ii
e
srie, Paris, Univ. de la Sorbonne Nouvelle, 1974, pp. 149-242, ora
in Id., LAccademia e il suo Principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco
de Medici, Manziana, Vecchiarelli, 2006, pp. 123-234.
25. Dora in poi citer dalledizione del Primo Libro dellopere Burlesche, cit.
26. Orvieto-Brestolini, La poesia comico-realistica, cit., p. 201.
27. Vd. f. Berni, Rime, a cura di D. Romei, Milano, Mursia, 1985, p. 20.
carla chiummo
102
della Zanzara, Messer Benedetto Varchi) fniscono nel Secondo libro dellopere
Burlesche, nelledizione giuntina che segue la prima curata direttamente
dal Lasca:
28
due Libri che fsseranno il canone della poesia burlesca del
Cinquecento (insieme al commento doniano a Burchiello), secondo quel
linguaggio cifrato e con doppi sensi equivoci, se non proprio esplicita-
mente osceni, utile a rileggere anche i Salterelli di Bronzino.
Lo stesso Lasca defnir Bronzino poeta e pittor [] / di molto pre-
gio e di poca ventura ,
29
per quanto nella sua cerchia forentina, inclusi
tutti gli addentellati romani, fosse tuttaltro che sconosciuto come poeta.
Di questo Bronzino scrittore, Vasari dir che sopra tutto (quanto alla
poesia) maraviglioso nello stile e capitoli berneschi, intantoch non
oggi chi faccia in questo genere di versi meglio, n cose pi bizzarre e
capricciose di lui .
30
Ma il fatto che, sebbene abbiano avuto una fortuna
relativamente maggiore e duratura rispetto a quella incontrata dai suoi
Salterelli
31
e sebbene si inseriscano pi facilmente in una tradizione in
senso generico bernesca, e quindi bene in vista nella tradizione comica
cinquecentesca, poco hanno a che vedere con un discorso sul vero non-
sense: paradosso, doppio senso osceno, capovolgimento delle ortodosse
gerarchie morali e non; un nonsense solo relativo, insomma. Mentre le pa-
role di Vasari fanno intuire quali spunti favoriscono sul versante di una
poetica che possiamo defnire manierista.
Di bizzarria e capriccio parlava Vasari; e rispetto alle coeve teorizza-
28. Nel Primo libro il Lasca aveva inserito le Opere burlesche di M. Francesco Berni, di
Messer Gio. Della Casa, del Varchi, del Mauro, di M. Bino, del Molza, del Dolce, e del Firenzuola,
creando il canone della poesia burlesca cinquecentesca, tuttora imprescindibile. Nel Se-
condo libro / Dellopere Burlesche, di M. /Francesco Berni. / Del Molza, di M. Bino, di M. / Lodo-
vico Martelli. / Di Mattio Francesi, dellAretino, / Et di diversi Autori. / Nuovamente posto in Luce,
Et con / diligenza Stampato. / In Fiorenza, mdlv. / Con Privilegio (segnatura Biblioteca Nazio-
nale Centrale di Roma: 68 9 G 5), la dedica a Messer Alessandro Ottaviano de Medici
frmata da filippo Giunti (8 maggio 1555) e non pi dal Lasca.
29. Sono versi dallEpitafo in morte del Bronzino (cfr. Baccheschi, Lopera completa del
Bronzino, cit., p. 11).
30. Vasari, Vite, cit., p. 1344.
31. Vd. Introduzione ad Agnolo Bronzino, Rime in burla, cit., e Introduzione ad Agnolo
di Cosimo (il Bronzino), I Salterelli dellAbbrucia, cit. pur vero comunque che i Salterel-
li furono scelti come testi di riferimento da Salviati, allievo di Varchi, per il Vocabolario
della Crusca.
il nonsense del bronzino manierista
103
zioni classicistiche, come tali possono suonare queste rime in burla. In
effetti, quei cinque Capitoli inseriti nel Secondo libro dellopere Burlesche, gi
solo dai titoli richiamano un particolare genere, o sottogenere, tutto cin-
quecentesco, che quello dellencomio paradossale, squisitamente ma-
nieristico.
32
Questo, certo, implica una ostentata ascendenza classica, ma
in una rilettura burlesco-erasmiana (si rileggano le ascendenze dirette
segnalate nella breve Dedica di Erasmo a Tommaso Moro nellElogio
della follia) che capovolge per un momento lordine costituito, cui per
Bronzino sembra sempre alludere, tanto nei suoi versi ortodossamente
petrarcheschi, quanto in quella superfcie levigata e apparentemente
soddisfatta di s che la sua pittura. Ad esempio, alla smaccata citazione
del Culex pseudo-virgiliano del Capitolo delle zanzare, dedicato allamico
Varchi, si accosta sin dallincipit un paradosso al quadrato nella operazio-
ne di deminutio, anzi superamento, per quanto burlesco, di quel modello
classico:
Varchi, io vo sostener con tutti a gara
che fra le bestie, chhanno qualche stocco,
il principato tenga la zanzara.
Ecci qualchautor, che nha gi tocco,
ma non la conoscendo, ha detto cose, 5
che non si saren dette dun allocco.
33
Una sorta di gioco nel gioco, nellanticlassicistico rifuto del modello
virgiliano, in nome di un presunto ma chiaramente paradossale rea-
lismo assoluto; anzi, medico-scientifco si potrebbe dire, nelle ragioni
addotte ai vv. 73-87 ( Cercon la prima cosa di destarci / co canti lor,
perch noi ci coprino / [] e par che dican: Poi che costui / vuole del
male a far, che nabbia; non di meno / gl mal che giova molto e poco
duole, / chelle ci traggon certo sangue, pieno / di materiaccia ), oltre
32. Cfr. anzitutto P. Cherchi, Lencomio paradossale nel Manierismo, in forum Italicum ,
ix 1975, pp. 368-84; fno al pi recente vol. di M.C. figorilli, Meglio ignorante che dotto.
Lelogio paradossale in prosa nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 2008 (altri rinvii a questo ver-
sante, in partic. per la poesia cinquecentesca, Longhi, Lusus, cit., pp. 138-81; Orvieto-
Brestolini, La poesia comico-realistica, cit., p. 201).
33. Il corsivo nostro. Si cita, dora in poi, dalled. a cura di Petrucci Nardelli.
carla chiummo
104
che morale (vv. 49-51: La vorrebbe veder gluomini in atto, / travagliar-
si, star desti e far faccende, / come colei chintende il mondo affatto ).
Il dettato linguistico, poetico, metaforico dei Capitoli non presenta
oscurit e slittamenti vistosi (neanche dove il nonsense sembra in effetti in
agguato, come nel dialogo flosofco del Capitolo in lode del dappoco,
tutto rivolto alla gatta Corimbo: A te mi volgo, a te vo favellare, / Co-
rimbo mia , vv. 22-23); e anche il sottinteso osceno altrettanto vistoso
nelle due Lodi alla galea, nei Romori e Contro a le campane
34
non gioca su
implicazioni sottilmente ambigue, come invece nei Salterelli e ancor pi
nella tradizione burchiellesca cui questi ultimi guardano pi direttamen-
te. Nei Capitoli si tratta di un codice noto, largamente condiviso dalle
altre Lodi paradossali che riempiono il primo e il secondo Libro delle Ope-
re burlesche,
35
sebbene senzaltro interessante per i rinvii molteplici al rap-
34. Cfr. il commento della Petrucci (cui resta sostanzialmente fedele la Parker): la
galea rinvierebbe al membro maschile nella pratica omosessuale (soprattutto ai vv. 127-
32); i rumori al movimentato rapporto sodomitico e le campane agli organi femmi-
nili. Ma questultima voce, nel Dizionario storico del lessico erotico italiano, a cura di V. Bog-
gione e G. Casalegno, Milano, Tea, 1999 (ne esiste unedizione pi recente per la Utet,
2000, ma si citer sempre dalled. Tea), indica i testicoli o pi in generale gli organi ma-
schili (vd. anche Crimi, Loscura lingua, cit., p. 270).
35. Oltre alla gi citata Dedica del Lasca a messer Lorenzo Scala , con lesplicito rife-
rimento allappartenenza allAccademia degli Humidi, in cui lo stil burlesco di casa,
ancora nel Primo Libro dellopere Burlesche, a p. 2 v si legge: Ma tu Berni dabbene, Ber-
ni gentile, [] ci fai conoscere la perfezzione della Peste, la bont della Gelatina, la bel-
lezza della Primiera, lutilit delle Pesche, la dolcezza dellAnguille, e i segreti e la profon-
dit di millaltre cose belle & buone ). Ai Capitoli di Berni in lode si affancano poco pi
di trenta sonetti: tra questi ultimi, appaiono i pi celebri Chiome dargento ne, irte & attorte;
O spirito bizzarro del Pistoia; Cancheri & beccachi, magri arrosto; Contro M. Pietro Aretino
( lingua fracida, marcia, senza sale / [] / presuntuoso porco, mostro infame, / [] ).
Di Varchi si legge il Capitolo del nocchio / Al Bronzino / Dipintore / ( S io dovessi Bronzin,
perdere unocchio / E da fanciulli haver dietro la caccia, / Io v dir qualche cosa del fnoc-
chio. // Che non cibo che tanto mi piaccia, / Ne che piacer pi dovesse ad ognuno /
Che avesse qualche gusto, qualche faccia. // In questo almen non scrupolo alcuno, /
Che non sia buon, perch si vede ognora, / fra frati e specialmente nel digiuno. // O f-
nocchio gentil, chi non thonora / Chi non ti loda, si pu dir che sia / Tutto e per tutto di
Bologna fuora. // Sio fossi inquisitor delleresia, / Io vorrei pur intender la cagione, / che ti tien
impiccato tutta via. // Forse ch te sha far le fregagione / Come le fave, e altri semi et frutti; /
Tu non dai un disagio alle persone. // Tu fai per luoghi molli, e per li asciutti, / In piani e
monti, e sei propio un solazzo / Duomini, e donne, di vecchi e di putti. // E se non chio
il nonsense del bronzino manierista
105
porto poesia/pittura
36
(un topos manieristico e tardo-cinquecentesco) e
per il dialogo parodiante con il modello tanto dantesco quanto petrar-
chesco.
37
La Petrucci Nardelli e la Parker insistono quasi esclusivamente
sulla valenza erotica dei sottintesi di questi Capitoli; altri ha insistito su
quella autobiografca (per es. esplicita nel Capitolo contro a le campane e nei
Romori nel dettato a prima vista cronachistico; pi sofsticatamente ma-
nieristica la lettura in chiave autobiografca del Nigro dellOrologio del Pon-
tormo, a proposito in particolare della rievocazione, o forse sarebbe me-
glio dire ricreazione leggendaria, dei rapporti Bronzino/Pontormo, al-
lievo e maestro, nella Prigione).
38
Direi per che la chiave pi interessante resta quella del gioco lettera-
rio, raddoppiato dal rovesciamento ludico di un genere gi di per s a
contraggenio come quello dellencomio paradossale. Ma di vero e pro-
prio nonsense, soprattutto a livello linguistico, non si pu parlare, anche l
dove la Petrucci ha rilevato una concomitanza pi stringente con i Salte-
relli, e cio nei due Capitoli Delle scuse, dove peraltro lanalogia mi sembra
si fermi genericamente al tema metaletterario e metartistico, presente in
altri di questi componimenti. Nel primo dei due Capitoli, per le scuse
addotte per il suo sacrifcare tempo e forze allarte poetica invece che a
quella artistica di cui ben pi esperto: Riprendami chi vuol, cha tutti
cedo / per la mia parte in dir chio farei meglio / a non tentar quel che
ben far non credo (vv. 334-36: probabile allusione allallontanamento
sarei tenuto pazzo, / Sempre come divoto e tuo fedele / Ne porterei da ogni mano un
mazzo. // Quel darti sempre dietro fra le mele, / E una usanza che sha presa il mondo; / come de
fare i zuccherin col mele. // [] // E voi Bronzino, in questa Primavera, / Senza che pi
ve l dica, velo scriva, / fatemene una selva intera, intera. // Io ne voglio in iscorcio e n
prospettiva, / Dolce, forte, piccin, grande, e mezzano, / Tanto in su quanto la pittura ar-
riva. // [] Voi direte Bronzin, chio vinnocchi, / ma non ve ne mostraste mica schivo, / Che non
si lascia intendere gli sciocchi. // [] // Per hora ho disegnato di fnire, / Darengli unaltra
volta il suo dovere: / Odi le sette, io voglio ir dormire, / Bronzin, senza dir pi che d
buon bere. /// (le citazioni sono riprodotte fedelmente, con interventi di ammoderna-
mento minimi. Il corsivo nostro).
36. Cfr. in partic. i Capitoli Delle scuse, i (vv. 316-67) e ii (vv. 52-272).
37. Cfr. La serenata, vv. 133, 272; Contro a le campane, v. 38; Della cipolla, ii 112-13.
38. Cfr. S.S. Nigro, Lorologio di Pontormo. Invenzione di un pittore manierista, Milano, Riz-
zoli, 1998, pp. 42-43, 72-73.
carla chiummo
106
forzato dallAccademia fiorentina, dice la Nardelli; ma forse questa im-
plicazione non poi cos cogente). Nel secondo Capitolo omonimo, per
il discorso artistico, moderno, manierista, gi da Querelle des Anciens et des
Modernes, sulla libert inventiva rispetto ai canoni classici, con pi di una
pointe ironica rivolta contro gli anticlassicisti assoluti e coloro che si ripa-
rano dietro la scusa, appunto, che l sentiero / omai del Buonarroto
sia tropperto (vv. 145-46):
Cos glAntichi si posson da banda
mandare, anzi si mandano, e lonore
nha delle scuse la schiera onoranda.
Chi sa se forse col tempo in favore
saranno certe cose che son oggi
dogni buon uso e dogni legge fuore?
[]
Non fa vago a veder nascer nel seno
forsun d duna donna, ovha le poppe,
le gambe? architettando non di meno?
E porre il viso loro in su le groppe,
forar gli stinchi e turar bocche e occhi
e i veli in terra e n su tener le cioppe?
e qui potrebbe riferirsi ai celebri nonsense pittorici di artisti come Bosch,
visto che ai vv. 199-201 scrive: E se gi si pigliar glOltramontani / tanta
licenzia e furon s lodati, / con tutto choggi ognun ne levi i brani [] .
39

Ma persino nel terzo Capitolo dedicato Alla Cipolla c un confronto di-
retto tra poesia e pittura, secondo un Leitmotiv culturale primo e tardo-
rinascimentale: Son due sorelle e ciascuna si parte / da un padre mede-
simo e un fne / conseguono immitando o in tutto im parte. // (vv.
193-95; si ricordi che lo stesso Bronzino risponde allinchiesta voluta da
Varchi nel 1547 sul primato della pittura o della scultura, parteggiando
per la prima).
Ben pi interessanti per il territorio del nonsense comunque parziale,
mai assoluto i suoi Salterelli, in continuit diretta e ineludibile con i Mat-
39. La Petrucci Nardelli suppone invece cautamente un riferimento al passato stile
gotico.
il nonsense del bronzino manierista
107
taccini di Annibal Caro. Tra la fne del 1560 e linizio dellanno se guente,
40

Bronzino compone infatti una corona di undici sonetti caudati, con il
titolo di Salterelli dellAbbrucia sopra i Mattaccini di Ser Fedocco.
41
forma me-
trica e titolo dicono gi molto della loro collocazione letteraria: la prima
li pone lungo la linea, ricchissima nel Cinquecento, della tradizione bur-
chiellesca (si badi, ormai in un territorio di fruizione squisitamente let-
teraria di quella tradizione;
42
nel caso specifco del Bronzino, o del Caro
o del Varchi burleschi, rientrando in un canone, per quanto inverso, ad-
dirittura paritetico rispetto a quello petrarchesco). Il riferimento diretto
ai Mattaccini nel titolo
43
li colloca nel territorio incandescente ( il caso di
dirlo, pensando alla condanna al rogo per eresia infitta a Castelvetro e
ricordata dallAbbrucia del titolo bronziniano) della polemica fra il Caro/
Ser fedocco e il Castelvetro, posto qui sul banco degli imputati. Non
ripercorrer tutta la storia di questa disputa, scoppiata a Roma nel 1555 e
protrattasi per oltre un lustro,
44
rinviando in particolare allIntroduzione di
40. La studiosa retrodata la stesura dei Salterelli al 1555-1558, perch sembrerebbero []
antecedenti allApologia del Caro, se non alla stesura del 1555 almeno alla pubblicazione del
1558 (Rime in burla, cit., p. 418); pi convincente la datazione della Rossi Bellotto (I Salterel-
li, cit., pp. 45-62), che li colloca dopo la pubblicazione dellApologia e forse anche dopo la
pubblicazione delle Ragioni di Castelvetro avvenuta nel 1560; a favore di questa ipotesi
soprattutto il riferimento alla condanna per eresia contro Castelvetro, emanata nellottobre
del 1560 (l abbrucia del titolo sarebbe unallusione piuttosto chiara al rogo per eresia).
41. La Rossi Bellotto, contrariamente alla Petrucci Nardelli, si schiera contro lattribu-
zione a Bronzino dei tre sonetti dellAggiunta di Fra Stoppino, presenti in coda ai Salterelli nel
codice Magliabechiano VII 115 della Biblioteca Nazionale Centrale di firenze, il codice pi
importante per il testo dei Salterelli; questo peraltro presenta delle glosse di tipo soprattutto
linguistico ai testi dei sonetti, che per, anche in questo caso, la Rossi non attribuisce allo
stesso Bronzino, come invece fa implicitamente la Petrucci (cfr. I Salterelli, cit., pp. 53-62).
42. A. Corsaro, Burchiello attraverso la tradizione a stampa del Cinquecento, in La fantasia
fuor de conni, cit., p. 129: nel secondo Cinquecento Burchiello diventa insomma un testo
da biblioteca ; o come scrive Zaccarello un repertorio di immagini che pu defnirsi
manieristico (Burchiello e i burchielleschi, in Gli irregolari nella letteratura, cit., p. 143). Per le
stesse ragioni non condivido del tutto il riferimento a una tradizione popolareggiante e
antiletteraria forentina avanzato dalla Rossi Bellotto per i Capitoli berneschi (I Salterelli,
cit., p. 19).
43. Come I Mattaccini, anche I Salterelli rinviano a una forma di danza (ivi, pp. 59-60).
44. Ma se includiamo lHercolano di Varchi si arriva al 1570, anno della sua pubblicazio-
ne postuma (sebbene sembri che i primi progetti riguardanti questopera siano stati addi-
carla chiummo
108
Jacomuzzi allOpera di Caro (Torino, Utet, 1974, vol. i) e alledizione
critica dei Salterelli curata dalla Rossi Bellotto. Ricordo solo che, nata da
un commento durissimo, in chiave linguistica e rigorosamente petrar-
chesca, di Castelvetro alla Canzone di Caro Venite allombra de gran gigli
doro, in lode dei Valois e dei farnese,
45
vede scatenarsi una diatriba anti-
Castelvetro in parte seria si pensi allHercolano di Varchi in parte in
forma di invettiva e parodia.
Ne protagonista Caro, autore di quellApologia che, come scrive lo
stesso autore per bocca del personaggio di Pasquino,
46
include appunto i
dieci pazzi sonetti dei Mattaccini, dove appaiono gi metro, schema ri-
mico, nomi, protagonisti e gesta puntualmente ripresi da Bronzino nei
Salterelli.
Che ci troviamo sul terreno della poesia di eredit burchiellesca, ri-
scritta in quella che si chiamer lingua ionadattica
47
e passata per la deter-
rittura precedenti rispetto alla polemica Caro-Castelvetro: cfr. A. Sorella, Introduzione a
B. Varchi, Hercolano, ed. crit. a cura dello stesso, pres. di P. Trovato, Pescara, Libreria
dellUniversit Editrice, 1995, to. i pp. 45, 69. Di diverso avviso Marazzini: cfr. Id., Il secon-
do Cinquecento e il Seicento, in Storia della lingua italiana, a cura di f. Bruni, Bologna, Il Mu-
lino, 1993, p. 150 n. 1).
45. Sulle ragioni storico-politiche della diatriba, cfr. S. Lo Re, Venite allombra de gran
gigli doro . Retroscena politici di una celebre controversia letteraria, in Giornale storico della
letteratura italiana , clxxxii 2005, fasc. 599 pp. 362-97.
46. Cfr. Caro, Opere, cit., vol. ii p. 254. Il personaggio di Pasquino richiama quel gene-
re delle pasquinate ormai ben noto, secondo Marzi, fuori di Roma nella seconda met
del Cinquecento che, attraverso Caro e non solo, porta alcune movenze linguistiche e
formali interessanti per il nostro contesto (Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinque-
cento, a cura di A. Marzo, Roma, Salerno Editrice, 1990, p. 17; sui rapporti tra la tradizione
burlesca toscana e la Roma delle pasquinate, Id., Contro lortodossia: da Pasquino ad Aretino,
in Gli irregolari nella letteratura, cit., p. 177): oltre al motivo religioso (sebbene solo legato
al personaggio di Castelvetro nei Salterelli), si vedano ad esempio i doppi sensi osceni, e in
particolare quelli legati alla rima in -oni e -one (ad es. in Pasquino cerca il suo naso o in Delli
cozzoni, pur se non rilevati da Marzi in questultimo; e il guardanaso di Pasquino cerca il
suo naso sembra avere la stessa funzione dei cogloni / consolti di maglia a tutta botta
in Salterelli, vii 7-8: cfr. Pasquino e dintorni, cit., pp. 125 sgg.; ma vd. anche Pasquinate romane
del Cinquecento, a cura di V. Marucci et alii, 2 voll., Roma, Salerno Editrice, 1983, passim, e
il pi recente Ex marmore. Pasquini, pasquinisti, pasquinate nellEuropa moderna. Atti del Con-
vegno di Lecce, 17-19 novembre 2005, a cura di C. Damianaki, P. Procaccioli e A. Ro-
mano, Manziana, Vecchiarelli, 2006).
47. Di una lingua ionadattica nella poesia cinquecentesca parlava gi nel 1903 Re-
il nonsense del bronzino manierista
109
minante esperienza di Berni (e almeno dei Canti carnascialeschi e delle
pasquinate), ce lo dicono subito alcuni vistosi elementi strutturali: a li-
vello retorico, il contesto corale di parodia e scambio di invettive; a livel-
lo metrico, la ripresa dello stesso schema rimico dei sonetti caudati
48
del
Caro, con un pericoloso a livello metaforico scheletro in otta : oni : oni
: otta : otta : oni : oni : otta : aia (nel i sonetto in rima ricca con paia) : elli :
uche : aia : elli : uche : uche : ollo : ollo (nel i sonetto in rima ricca con collo); e
da qui al livello linguistico-semantico il salto breve, anzi brevissimo.
Per chi ha un minimo di familiarit con la tradizione burlesca e carna-
scialesca, gi quella rima in -oni mette subito in guardia,
49
e infatti il son.
nier, in un pionieristico studio sul linguaggio a doppio senso, in parte soggettivo ed in
parte convenzionale, fondamentalmente scherzoso, talora accortamente trovato per ce-
lare pensieri e fatti che non piaccia di far intendere a tutti, talaltra condotto sino alla stra-
nezza di accozzaglie insensate di vocaboli , tipico di una tradizione forentina quattro-
cinquecentesca (aggiungendo, secondo un adagio oramai obsoleto, che in questa lingua
si sbizzarr la scioperataggine accademica forentina, facendo poco opportuno sfoggio di
acume ). I meccanismi linguistici riportati, principalmente attraverso le parole di Loren-
zo Panciatichi, uno dei suoi artefci cinquecenteschi, sono la designazione di oggetti per
metafora, il vocabolo sostituito che conserva una reale analogia con quello di partenza
solo nella prima sillaba, la deformazione della parola, i nomi di citt per suggerire altri
concetti (riportando Verona per verit, Piacenza per piacere); tutti meccanismi che si ritrova-
no nei Salterelli (R. Renier, Cenni sullantico gergo furbesco nella letteratura italiana, in Miscella-
nea di studi critici edita in onore di Arturo Graf, Bergamo, Ist. italiano darti grafche, 1903, pp.
123-42, alle pp. 126 sgg.).
48. Sulla tradizione del sonetto burlesco, cfr. in partic. Longhi, Lusus, cit., capp i 1-4, e
P. Orvieto, Sulle forme metriche della poesia del non-senso (relativo e assoluto), in Metrica , i
1978, p. 218. Vi fa riferimento la Rossi Bellotto (I Salterelli, cit., p. 62), che evidenzia anche
la presenza dello stesso richiamo fonico, con vibrante+vocale, nelle due corone di sonet-
ti (ivi, pp. 60-61).
49. Cfr. la famosa Canzone de cialdoni di Lorenzo (e cfr. G. ferroni, Il doppio senso ero-
tico nei Canti carnascialeschi orentini, in Sigma , xi 1978, pp. 233-50). Sui rapporti Lorenzo/
Burchiello, cfr. almeno Crimi, Loscura lingua, cit., p. 364, e, prima, M. Zaccarello, Buffon
non di comun n dalcun sire: il Burchiello posseduto da Lorenzo (Laur. Pl. XL, 48), in La Toscana
al tempo di Lorenzo il Magnico. Atti del Convegno di firenze-Pisa-Siena, 5-8 novembre
1992, Lucca, Pacini, 1996, vol. ii pp. 609-36. In Caro ci sono degli equivoci spenzoloni
( e n su la stanga spenzoloni : ii 2); spuntoni ( dove le vespe aguzzan gli spuntoni , iii
3); cos come potrebbero essere equivoci soffoni e maccheroni (iii 7 e iv 3: lo sospet-
ta anche Gorni, cfr. il suo commento a Mattaccini, iv, in Poeti del Cinquecento, i. Poeti lirici,
burleschi, cit.), ma anche mosconi , occhioni , stranguglioni (vi 7), pifferoni (vii 3),
culattando i colombi e i perticoni (vii 6), i gazzoloni (viii 2), i fa sconi e panioni
carla chiummo
110
vii vede puntualmente realizzarsi questa equivoca aspettativa metrico-
linguistica, ai vv. 5-8: Nuove cose vedrai, se vai a buonotta, / felice
etade, e quasi in processioni / ir glalfabeti e glenni andar cogloni / con-
solati di maglia a tutta botta (dove la maglia a tutta botta direi che
potrebbe celare un coerente senso osceno, non meno burchiellesco).
Certo, la creativit anarchica della originaria poesia alla burchia si
riconvertita ormai, nella poesia burlesca del maturo Cinquecento, in un
repertorio e in un lessico preordinato e inquadrato, come ha chiarito
Zaccarello.
50
Ma proprio questo secondo aspetto che apre le porte ad
una lettura pi stratifcata dei Salterelli, rispetto alle ultime interpretazio-
ni, tenendo presente la funzione anti-pedantesca della tradizione burle-
sca e insieme lausilio flologico-linguistico dellHercolano di Varchi per
alcune voci popolari e proverbiali citate nei Salterelli.
Il commento della Rossi Bellotto chiarisce sonetto per sonetto il con-
tenuto e le modalit parodiche della diatriba inizialmente solo linguisti-
ca tra Caro e Castelvetro e il ruolo pro-Caro dei Salterelli. Non ripeter i
puntuali rinvii a questo discorso avanzati dalla studiosa; ma al suo com-
mento e alla sua linea interpretativa provo ad aggiungere alcune compo-
nenti che, nella felice ambiguit linguistica e semantica, mi sembra sve-
lino altre movenze di eredit burlesca, ridimensionando lapparente
nonsense
51
a un linguaggio oscuro con un suo proprio vocabolario e una
sua propria tradizione. Riassumo subito queste possibili componenti in
quella oscena e della parodia letteraria; e questultima non solo in una
chiave petrarchesca, come poteva autorizzare direttamente la polemica
(x 2 e 6); nei Salterelli di Bronzino troviamo altrettanto equivoci braconi , cicaloni ,
faccoloni , berrettoni , stalloni , calzoni , capponi , stranguglioni , fasconi .
50. Sonetti del Burchiello, cit., pp. xxiii-xxiv. Interessante per le consonanze lessicali e
anche il contesto un dirompente effetto nonsense sullinserimento di nuovi vocaboli
nella lingua forentina la frottola della Lingua nova di Sacchetti: cfr. f. Brambilla Age-
no, Riboboli trecenteschi (1952), in Ead., Studi lessicali, a cura di P. Bongrani, f. Magnani e
D. Trolli, Bologna, Clueb, 2000, pp. 32-72: ad es. per le voci barbaro (per la lingua),
altri discesi da Nembrotto , ruggioloni e sergozzoni (vv. 43-48); dicon sciarpello-
ni (v. 51); segli avvalla / e calla, / la palla / andr di palo in passo / e l sasso / far fra-
casso / insin dentro la berta (vv. 64-70); e caricangli la berta (v. 338).
51. La Nardelli scrive che nei Salterelli le argomentazioni di costui [scil. Bronzino] so-
no spesso generiche e sempre di ardua interpretazione (Rime in burla, cit., p. 418).
il nonsense del bronzino manierista
111
in oggetto e in particolare il porsi lo stesso Caro, nellApologia, a cavallo
tra Petrarca e Burchiello
52
quanto anche dantesca, come appare ovvio
pensando alla eredit burchiellesca, alla tradizione dellinvettiva e delle
tenzoni e allo stesso stile comico
53
(in Caro e in Bronzino con forti im-
plicazioni anti-bembesche).
54
Due chiavi di lettura che rappresentano peraltro un passepartout privi-
legiato non solo genericamente al territorio della poesia burlesca del
Cin quecento, ma altrettanto al territorio contiguo o pi spesso parte
in tegrante di quello del commento burlesco e della tenzone parodian-
te
55
(e si ricordi che il giovanile Commento cariano di Ser Agresto da Ficaruo-
lo sopra la prima cata del padre Siceo si richiamava sin dalla scelta del nom de
plume del Caro allautorit di Burchiello).
56
Soprattutto riguardo alla in-
terpretazione oscena, sono ben consapevole di trovarmi sul fronte oppo-
sto rispetto alla Rossi, che nellIntroduzione ai Salterelli si dichiara con-
vinta che questo tipo di lettura, in specie omosessuale, apra ben poche
porte .
57
Ma quella lettura era gi implicita nel linguaggio burchiellesco
(e non solo) di maniera, e in questo il suo interesse. Anzi, ribalterei
linterpretazione che ne d la studiosa, che parla di una doppia chiave di
lettura e gi qui direi che i piani vanno al di l della secca duplicit
dove da quella pi superfciale risulta un Bronzino burchiellesco e face-
to [] , e dallaltra, un secondo livello di interpretazione testuale, dal
52. Caro, Opere, cit., p. 255.
53. Sul codice parodico dantesco e petrarchesco gi di origine burchiellesca, cfr. D.
Poggiogalli, Dalle acque ai nicchi. Appunti sulla lingua burchiellesca, in Studi di lessicografa
italiana , xx 2003, pp. 65-126. Sulla tenzone , cfr. C. Giunta, Premesse per un commento
alle tenzoni di Burchiello, in La fantasia fuor de conni, cit. (ora Id., Sulle tenzoni di Burchiello, in
Id., Codici. Saggi sulla poesia del Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 253-78) e Id., Versi a
un destinatario. Saggio sulla poesia italiana del Medioevo, ivi, id., 2002, e in partic. il Cap. iii, La
Tradizione comico-realista, pp. 267-354; Crimi, Loscura lingua, cit., pp. 197-203.
54. Sul Caro anti-bembesco, cfr. E. Garavelli, Perch Prisciano non facci ceffo . Ser Agre-
sto commentatore, in Cum notibusse et comentaribusse. Lesegesi parodistica e giocosa del Cinquecento.
Atti del Convegno di Viterbo, 23-24 novembre 2001, a cura di A. Corsaro e P. Procac-
cioli, Manziana, Vecchiarelli, 2002, pp. 57-78; P. Cosentino, LAccademia delle Virt: dicerie
e cicalate di Annibal Caro e di altri Virtuosi, ivi, pp. 177-92.
55. Cfr. Longhi, Poeti lirici, burleschi, cit., p. 627; Cosentino, LAccademia delle Virt, cit.
56. Garavelli, Presenze burchiellesche, cit., pp. 233-34.
57. I Salterelli, cit., p. 18.
carla chiummo
112
quale emerge, in fligrana, un poeta colto e capace, pur ricorrendo ad
espressioni gergali e popolari, di ammiccare maliziosamente al pubblico
di accademici suoi pari .
58
A me pare che questo secondo livello sia quel-
lo da cui non poteva non partire Bronzino (e che riassorbe in s il primo),
e senza il quale infatti tutta la costruzione dei Salterelli resta del tutto
priva di senso; mentre quella maniera burchiellesca che la Rossi defni-
sce gergale e popolare , era unintricata rete allusiva entrata nel canone
(o se vogliamo controcanone) cinquecentesco, in cui si inserisce il Bron-
zino serio e faceto (Caro Berni Varchi Doni Grazzini: sono i compagni
di strada di Bronzino e sono coloro che avevano canonizzato Burchiello
in quello che qualcuno si ostina a chiamare Antirinascimento ,
59
ma
che cultura rinascimentale tout court, o se vogliamo proprio aggiungere
un aggettivo, diciamo pre-controriformistica, o cripticamente anti-con-
troriformistica ormai negli anni Cinquanta e Sessanta).
60
A questo fne prender in esame pi specifcatamente il ii, il iv e il ix
componimento dei Salterelli, ma aggiungo in forma parentetica uno o
due note sul I sonetto, che introducono nel nostro percorso.
61
La prima
riguarda il nome di Bertuccia gi al v. 3 di questo primo sonetto. La Ros-
si Bellotto ricorda che mona Berta era evocata anche nel primo sonet-
to dei Mattaccini; ma Berta nome burlesco, lungo la linea burchielle-
sca e quattrocentesca, fno alla famosa Berta dellOrlandino del folengo,
di ascendenza anzitutto dantesca, come spesso in questa tradizione,
62
e
58. Ivi, p. 95.
59. la Bugg del saggio bronziniano prima citato che adotta la defnizione di Anti-
rinascimento per la maniera di Bronzino.
60. E basti pensare al successivo ripudio delle sue rime burlesche da parte di Della
Casa per avere un referente chiaro di questo drammatico cambiamento culturale.
61. Riproduco qui di seguito il testo del son. i: Mentre che l Gufo ruguma, e la frotta
/ gli cresce intorno degli scioperoni, / Bertuccia, toi de fogli e de carboni, / fammel da
piedi infn alla cicotta. // Questa mi par la Brutta inculincotta. / Dov la pelle? O questi
drappelloni? / Ecco il giudice, o Ribi, ecco i braconi; / Maso ecco, Matteuzzo, e lasse
rotta. // Tu lhai schizzato? O buono! Or, perche paia / pi desso, to l colore e de pen-
nelli; / fniscil tosto pria chaltri il dibruche, // chi corbi, e le cornacchie, e l Trentapaia
/ ci son volti e voglionlo in brandelli. / Gli sta ben troppo! Or vo che si conduche // un
che me lo riduche / in istampa, e mandarne pi dun collo / pel mondo, e che si venda
a faccacollo. /// (Salterelli, cit., p. 73).
62. Vd. Par., xiii 139: Non creda donna Berta e ser Martino / [] . Per la tradizione
il nonsense del bronzino manierista
113
che in Bronzino, come gi nei Mattaccini del Caro, annuncia il contenuto
da berta , da burla appunto, dei sonetti (ribadito nel son. viii 12: ora
converso il tutto in berta e n baia ). Inoltre si colloca in una tradizione
ben precisa, cui concorre il terzo richiamo semantico del nome, e cio
quello inerente a un bestiario perfettamente integrato nella tradizione
burlesca e nel gioco letterario di Caro.
63
Infatti, la bertuccia accompagna
nel primo sonetto di Bronzino quel Gufo/Castelvetro, protagonista di
tutta la polemica dellApologia, in versi e in prosa, con Il sogno di ser Fedocco
incentrato sullo stesso Gufo, cui risponder Castelvetro scegliendo co-
me suo emblema invece la civetta, nel senso di uomo saggio, e ponen-
dola sul frontespizio delle sue Ragioni, risposta allApologia cariana. Ma
oltre che nel prosastico Sogno, anche nei sonetti dei Mattaccini Caro ap-
profttava del gioco di tradizione burlesca sul nome di gufo e di altri
uccelli notturni, con allusione a persona sciocca (lo chiama di nuovo
gufo nella Corona, vi 9-11, e Barbagianni nei Mattaccini, iii 16), risa-
lente gi a Burchiello, allo Za e a Pulci.
64
Il secondo punto interessante, in questo primo sonetto, riguarda il
doppio gioco di specchi tra letteratura e pittura in Bronzino, dal mo-
mento che alla Bertuccia che la voce poetante chiede di fare un ritratto
del Gufo, pria chaltri il dibruche : e sul senso, anzi i sensi ambigui di
epica e pulciana del nome, cfr. Brambilla Ageno, Studi lessicali, cit., p. 396; sullequivoco
monna associato a scimmia e Berta , cfr. anche G. folena, Il linguaggio del caos. Stu-
di sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 87 n. 36 (e p. 47 per
berta con signifcato di gazza , con attestazioni quattrocentesche milanesi-forenti-
ne), per berta e berteggiare , vd. anche lHercolano (op. cit., to. ii p. 566).
63. Zaccarello, I sonetti del Burchiello, cit., pp. 273-74, vv. 10-11: lallusione a questo
animale lascivo e forse ai cinedi , per postura e natiche colorate (ivi, p. 274). In Bur-
chiello o la bertuccia era in cxcvi in un chiaro contesto osceno (con tafani, meloni e gran-
chiolini), e anche in zoccoli nel son. vi, v. 9 ( lo stesso sonetto dell imbottar nebbia ),
come pure nel Pulci (Morgante, viii 74 8).
64. Ivi, p. 12 (per la voce fatappio ), p. 13 (per la voce civetta ). Un possibile senso
osceno di questo animale suggerito, nellHercolano di Varchi, da una glossa sulla civetta,
uccello spesso assimilato al gufo nella tradizione burlesca (vd. pure GDLI, alla voce gu-
fo , nel signifcato di Persona sciocca , le citazioni da Pulci e Cammelli): alla voce ci-
vettare si precisa che sinonimo di uccellare , ovvero prendere in giro, ed usato in
quel proprio signifcato che i Greci dicono [] fare alla civetta, cavando hora il capo
della fnestra, e hora ritirandolo dentro (Varchi, Hercolano, cit., to. ii p. 566).
carla chiummo
114
quel dibruche pi di un sospetto di oscenit viene fuori,
65
legittimato
peraltro dalle allusioni equivoche della voce bertuccia
66
nel lessico
post-burchiellesco, e dal contiguo riferimento ai pennelli , oggetto di
uno dei Capitoli pi noti di Bronzino, a evidente doppia chiave, artistica
e sessuale.
Sono per il ii e il iv sonetto a essere considerati dalla Rossi Bellotto
i pi vicini a un linguaggio oscuro, ai limiti del nonsenso burchiellesco.
Tuttavia, in questi sonetti, proprio come in quellapparente tradizione di
nonsense, non uno, ma pi sensi riposti vengono fuori, man mano che si
scava nei meandri del loro linguaggio e del contesto in cui si muovono.
65. Scrive la Rossi Bellotto che lannotatore anonimo del Magl. VII 115 spiega che
dibrucare e sbrucare diciamo la selbastrella e il cavolo, quando non si lascia loro altro che
le costole o il nervo , e lei stessa aggiunge che ancora in Toscana signifca mondare una
frasca facendovi scorrere la mano semichiusa (Salterelli, cit., p. 89); lo stesso rinvio fatto
dalla Rossi ai versi dei Mattaccini non contraddice, anzi, rafforza il possibile sottinteso
osceno (cfr. ii 16, ma anche vi 14). Tanto pi che Bronzino gira ripetutamente intorno a
questa voce verbale nei versi equivoci del i e ii sonetto: (cfr. il dibruche di i 11 e lo
sbruche di ii 11, cui corrispondono semanticamente e metaforicamente in ii 9 la voce
verbale sprunate e nei Mattaccini, vi 14 il sintagma li suoi lauri imbruche (nel GDLI,
alla voce dibrucare si legge: Letter. Liberare un albero (o un bosco) dai polloni inutili
e dannosi ).
66. Per le implicazioni oscene della bertuccia nella poesia burlesca, oltre ai I sonetti
del Burchiello, cfr. Brambilla Ageno, Studi lessicali, cit., pp. 183-84 ( berta, come incrocio, a
sua volta, del nome proprio Berta col gergale berta tasca, bisaccia, che continua il latino
averta, viene a signifcare genitale muliebre, ed anchesso parola gergale ) e la voce
corrispondente nel DEI e nel Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit. Riguardo al
primo sonetto dei Salterelli, si veda in questultimo Dizionario anche alla voce gufo (con
citazioni da Burchiello, e dai Nuovi canti carnascialeschi con senso osceno); ai capitoli 1.7.4.
Tessitura e confezioni degli abiti e 2.1.4. filatura, tessitura e abbigliamento per lam-
bito semantico connesso al vestiario, ricorrente nei sonetti seguenti di Bronzino (con le
voci drappelloni , braconi ); e alla voce schizzare (vd. anche a p. 237, alla voce fru-
gatoio , per luso della doppia zz, come in schizzare, in allusioni oscene: Qualche folte
per sollazze / scazzatoie su lanzi rizze, / e spinzende queste mazze / sue materie fuori
schizze: / quando drente, tutte guizze / queste sode frugatoie: / perch nostre scazzatoie
/ star galante scutte vaie! (Giuggiola, Canzona di lanzi che fanno schizzatoi, 26, in Canti
carnascialeschi, 24); seguono due altre citazioni dallAretino in prosa delle Sei giornate. Per il
possibile sottinteso equivoco in presenza della doppia zz, si leggano anche i vv. 16-17 del
son. viii dei Salterelli (e per il senso osceno dello schizzare , cfr. f. Sacchetti, Il Patafo,
ed. critica a cura di f. Della Corte, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2005, p.
156).
il nonsense del bronzino manierista
115
Qui il primo livello di interpretazione chiaramente legato alla questio-
ne linguistica al centro della disputa Caro/Castelvetro, riassunta nei ver-
si fnali del secondo sonetto,
67
nellauspicio da parte del Bronzino a che
il forentino artifcioso, letterario e iperpetrarchesco sostenuto da Ca-
stelvetro faccia invece un bagno rigeneratore nelle taverne forentine,
se condo un adagio variamente modulato anche dal Caro dellApologia e
dal Varchi dellHercolano
68
( e n qualche Marmeruche / dun catelano a
buche / vestite il parlar tosco ). Ma gi la doppia metafora iniziale della
bi scotta / lama
69
di Caro/Ser fedocco e della trivella del Gufo/Ca-
stel vetro che va strasciconi si apre subito a una chiave di lettura oscena,
70

confermata dai versi seguenti: con la minchiatarra che, nella frequente
ambiguit paretimologica della tradizione burlesca, include il signifcato
osceno (la Rossi qui si spinge solo ad ammettere una punta maliziosa e
67. Riproduco qui di seguito il testo del son. ii: La targa del fedocco e la biscotta /
lama, provata a tutti i paragoni, / fannandar la trivella strasciconi, / n pi si fcca, anzi
sdrucciola e smotta. // E poi che minchiatarra e bergamotta / ci arreca il Bratti ciarpa, i
mascalzoni / nostri aprir doverranno a cicaloni / e metter dentro gongole e pagnotta. //
O sprunate mai pi questa callaia, / e passisi alle verze e a limonchielli, / e ognerba e
ognalbero si sbruche. // Pongasi fne a questa ciangolaia; / e cavinsi le stanghe e chiavi-
stelli, / o sardan glusci; e n qualche Marmeruche // dun catelano a buche / vestite il
par lar tosco, e por si vuollo / con quattro flze di lingue a armacollo. /// (Salterelli, cit.,
p. 74).
68. Cfr. Caro, Opere, cit., pp. 212-13, e Varchi, Hercolano, cit., to. ii p. 888 (e le rifessio-
ni sulla esuberante variet morfologica del forentino , nellIntroduzione di A. Sorella,
ivi, to. i pp. 120-21). Serianni si soffermato sulla consuetudine col Varchi da cui il Caro
dellepistolario dovette trarre quel senso della lingua viva, alloccorrenza speziata di
forme strettamente idiomatiche e di immagini triviali (L. Serianni, La lingua letteraria.
La prosa, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, vol. i. I luoghi della
codicazione, Torino, Einaudi, 1993, p. 500), mentre Marazzini sottolinea piuttosto limpor-
tanza per Varchi del forentino parlato colto (Il secondo Cinquecento, cit., p. 153).
69. Lequivoco linguistico si fonderebbe ovviamente sulla polisemia di quella prima
voce (cfr. Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit.: Inzuppare il biscotto : per il rinvio
osceno cfr. p. ix, con ulteriori rinvii al Molza della Ficheide e al Caro del Ser Agresto per la
sola voce biscotto ) e insieme sullallusivit della seconda.
70. Come la bertuccia e in parte lo stesso Gufo, anche il simbolo del trespolo , pro-
prio dellemblema della citt di Modena, ha un doppio senso osceno nella tradizione
burchiellesca (cfr. Sonetti del Burchiello, cit., p. 32), su cui sembrano giocare sia Caro nei
Mattaccini (con la gruccia di i 5; anche con la trivella del Sogno di ser Fedocco), sia Bron-
zino nei Salterelli (con la trivella di ii 3 e la trivellotta di iv 1).
carla chiummo
116
lallusione, anche, alla minchionate ;
71
ma predilige il senso di giocatori
di tarocchi , anche per il sonetto di Pulci in cui gi appariva lespressione
minchiatarr Napoletani ).
72
Eppure il rinvio alla tradizione burchielle-
sca esplicito, per la Rossi Bellotto, nella citazione del sintagma del v. 8,
gongole e pagnotta ; e dunque quasi certamente anche il doppio senso
osceno della biscotta lama e della trivella , come pure dei cicaloni ,
delle verze , delle stanghe e dei chiavistelli , per non parlare delle
buche , era facilmente fruibile per i lettori contemporanei del Bronzi-
no, in quanto parte viva della tradizione burchiellesca.
73
Daltronde, accanto al lessico con precise corrispondenze oscene, il
rinvio fgurato e il doppio senso di certe voci e paretimologie ad avallare
questa ipotesi. Si pensi ai vv. 5-8 del secondo sonetto, dove, secondo
unallusivit semantica comune al territorio burlesco, i mascalzoni a
fne verso richiamano i calzoni , che aprir doverranno a cicaloni / e
metter dentro gongole e pagnotte .
74
In questo componimento, il piano
71. Salterelli, cit., p. 93. Il senso confermato dalla ripresa del son. ix 17: Vostra Min-
chioneria . Per la voce minchia , con esempi da Matteo franco e Aretino, cfr. Dizionario
storico del lessico erotico italiano, cit.
72. Interessante a questo proposito il confronto con il son. xxxi di Burchiello, per il
contesto linguistico in cui inserita la voce (si pensi anche al Ser Agresto di Caro): poi gli
condisci con uno scrignuto / e per sal vi trita entro votacessi, / e per agresto minchiatar fra essi
/ [] ; il votacessi richiama quel castellan della rocca de carrelli , ovvero castellano della
rocca delle latrine, come verr defnito Castelvetro da Bronzino nel Salt. v 10, e linvito f-
nale a Castelvetro nel Salt. x 16-17, a prendere laccollo / la Civillara e l chiasso Buongi-
gollo , ovvero, come riporta in nota la Rossi Bellotto, svuotare i pi grandi chiassi del
ducato in cui si scaricano gli escrementi (per il minchiatar , nelle note a Burchiello, Zac-
carello riporta invece la defnizione del GDLI cialtroni, buoni a nulla : ed. cit., p. 43).
73. Si veda per tutte queste voci il commento ai testi di Burchiello a cura di Zaccarello
(Sonetti del Burchiello, cit.) e con la dovuta cautela a volte carente, in questo studio J.
Toscan, Le Carnaval du langage. Le lxique rotique des potes de lquivoque de Burchiello
Marino, 4 voll., Lille, Presses Univ. de Lille, iii, 1981, soprattutto alle voci chiavistelli, buche e
uccelli notturni.
74. Peraltro il son. v espliciter questo rinvio: cfr. vv. 5-8 ( E sun mi presta e poi me le
rimbrotta, / tengasi le sue brache e suoi calzoni, / chi vo pi presto al palio ir zoppiconi,
/ che sul dosso dun barbero che trotta ), con tutte le possibili allusioni ad atti di sodomia
passiva e attiva (per landare al palio , cfr. Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit.). A
proposito del senso osceno, cfr. qui iii 15-17 ( Ben vo, pria che si sdruche / la cornamusa,
ognun le dia lo ngollo, / ma che saccordi al nostro torlorollo ) con Burchiello, lxviii 9-11
il nonsense del bronzino manierista
117
metaforico sessuale coerentemente battuto e ribattuto in tutte le quar-
tine e terzine, pi compattamente, mi sembra, che in qualsiasi altro so-
netto della corona dei Salterelli (e persino il rinvio alla taverna delle Mar-
meruche strizza locchio al linguaggio burlesco, includendo il frequente
ricorso di questo a nomi di taverne e luoghi forentini pi o meno postri-
bolari, con allusioni, in parte rimaste oscure, implicite in quei nomi. Qui,
avverte la stessa Rossi Bellotto, il signifcato letterale delle marmeru-
che indica la rucola e larbusto spinoso della marruca , riportando allo
sprunare e sbrucare di ognerba e ognalbero dei versi precedenti,
con la possibile accezione equivoca, prima ricordata per il primo so-
netto).
75
Se passiamo poi al iv sonetto,
76
considerato dalla studiosa il pi bur-
chiellesco , non si pu dimenticare che limmagine della Torre di Nem-
brot, prima che dal Varchi e dal Caro, in un contesto per loro evidente-
mente legato al motivo linguistico di questa querelle, era stata portata in
auge dal Burchiello del son. lx (Limatura di corna di lumaca, v. 9; e nella
tradizione preburchiellesca, gi dalla celebre frottola di Sacchetti sulla Lin-
( Portando a battezzare un lor fanciullo, / gli suonan lo stento colla ribeca / e colla cor-
namusa il tullurullo ; e il verso dopo contiene un riferimento al battezzare alla greca ,
con rinvio allusivo alla sodomia. Una ribeca, con rinvio osceno, gi nel Sacchetti del Pataf-
o: cfr. la voce corrispondente nel Glossario, cit.). Per i signifcati osceni della cornamusa
(con interessante menzione della raffgurazione pittorica fattane nellInferno musicale di H.
Bosch: p. 253) e delle danze per lo pi vivaci e rumorose (p. 161), come gli stessi salta-
relli , si vedano le voci corrispondenti in Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit. (per i
rapporti Bosch/letteratura e arte nonsensical, vd. anche G. Cocchiara, Il mondo alla rovescia,
Torino, Bollati Boringhieri, 2007
3
, in partic. il cap. 17, e Crimi, Loscura lingua, cit., passim).
75. Ma anche la voce callaia qui richiamata (v. 9: O sprunate mai pi questa calla-
ia ) presente nel Dizionario storico del lessico erotico italiano per il sottinteso sessuale (peral-
tro con un rinvio al Pulci della Beca).
76. Riproduco qui di seguito il testo del son. iv: Dovarren la fusta trivellotta, / ar-
mata di chimere e rovescioni, / e quanti furno a peso i verrettoni / che percosson la fab-
brica nebrotta, // e se un ranocchio, a dir guotte e non guotta, / sarebbe censurato da
rabboni, / e quanto buio, andando brancoloni, /simbottere con la vostra barlotta, //
vorrei sapere, e se la succiolaia / dal Pontevecchio, stampando cartelli, / vuol far troppar-
ti, e a questo che linduche, // e quanto sia l pescar duna ragnaia / da grilli a braccia
quadre e martinelli / tirato, e se tra granchi e le pesciuche // di loliche e ferruche / pu
farsi un ponte, e di lolla, che n collo / tenga la piena che s mal conciollo. /// (Salterelli,
cit., p. 76).
carla chiummo
118
gua nova, mirabilmente studiata dalla Brambilla Ageno);
77
cos come il
gracidare del ranocchio col gioco linguistico anti-Castelvetro sulle desi-
nenze fnali, in guotte/guotta era nel son. cxlix di Burchiello, con i
ranocchi [] nel fangaccio che dicono il mattino avaccio avaccio .
78

Mentre il buio [che], andando brancoloni, / simbottere con la vostra
barlotta (vv. 8-9), riporta alla memoria quellespressione quanto mai bur-
chiellesca dell imbottar nebbia , gi usata nel primo sonetto dei Mattac-
cini (v. 4: ove il Gufo ancor buio e nebbia imbotta ), dove in Btonzino
forse incluso il doppio senso paretimologico del barlotta/Barletta , in
Burchiello richiamante il campo semantico del barile e quindi del bere
(ma l imbottare associato pi realisticamente ai piaceri della carne, con
valenza anche sessuale, era gi nello Za della Buca di Montemorello e ancor
pi nel franco del sonetto Non so come non thai laria corrotta, vv. 3-4: la
casa tua di soddoma coverta, / dove semprolio si trangugia e mbotta ).
79
Per non parlare della succiolaia / dal Pontevecchio . La Rossi annota
a questo proposito che le argomentazioni del critico modenese sono
paragonabili alle castagne bollite vendute sul Pontevecchio . Ma non si
pu dimenticare che in un sonetto (ix 9-11) Burchiello scriveva fichi
77. Cfr. Brambilla Ageno, Studi lessicali, cit., pp. 32-72.
78. Per la polemica anti-Castelvetro del grotte / grotta , vd. Rossi Bellotto, I Salte-
relli, cit. 100 n. 5. Per il sottinteso osceno del ranocchio , cfr. alla voce corrispondente nel
Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit. Nello stesso son. cxlix di Burchiello su citato
si trova limmagine del vescovo [che] tien ritto el pasturale (per lallusione oscena, vd.
il commento di Zaccarello), che pu aiutare a leggere il senso equivoco del son. viii dei
Salterelli, vv. 10-11: e stavan co mantelli / tesi a spettar le grazie modenuche . Infne, il
ranocchio che dice guotte e non guotta al v. 5 del quarto Salterello potrebbe anche
essersi ricordato, nel senso propriamente uditivo, del son. ix di Burchiello, per quel Voi
non sapete porger gli utti (v. 14), che peraltro rinviava proprio allambito sonoro (Zacca-
rello spiega in nota che porger gli utti equivale a dare il la, la nota dattacco ).
79. Per il signifcato osceno di botte , specie con citazioni da Aretino, e per i rinvii in
questo senso di barile e bariletto , cfr. Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit. (con
un rinvio alluso realistico della voce imbottare nel Simposio di Lorenzo: capp. vi 116 e
vii 26). Per lambiguit sul vin di Barletta ; cfr. M. Zaccarello, Schede esegetiche per lenig-
ma di Burchiello, in La fantasia fuor de conni, cit., p. 16; per una lettura equivoca dell imbot-
tar nebbia di Burchiello, cfr. Toscan, Le Carnaval du langage, cit., vol. iii p. 1600. Varchi,
nellHercolano, riporta anche la fraseologia toscana inerente al barlotto (cfr. Glossario
allHercolano, cit., to. i p. 292).
il nonsense del bronzino manierista
119
aquilini e succiole ghiacciuole / e l sol Lion co chiavistelli asciutti / pi-
gliavan tordi colle vangaiole , dove ricorreva una delle antitesi pi note
del lessico burchiellesco (la castagna lessa
80
peraltro con possibile rin-
vio osceno del succiare etimologico nelle succiole di contro ai
chiavistelli asciutti: latto sessuale consueto e quello sodomitico), insie-
me a un contesto con pi analogie con quello di Bronzino. Qui infatti,
nei versi seguenti del iv sonetto, si trova un adynaton nonsense, in perfetto
stile Burchiello: e quanto sia l pescar duna ragnaia / da grilli a braccia
quadre e martinelli / tirato, e se tra granchi e le pesciuche / di loliche e
verruche / pu farsi un ponte, e di lolla, che n collo / tenga la piena che
s mal conciollo (si rileggano i versi del son. ix di Burchiello prima cita-
to, anche per il rinvio al sol Lion co chiavistelli asciutti e al pigliare
tordi colle vangaiole ). Il riferimento principale allassurdit dellope-
razione del Castelvetro, ancora simile al signifcato del burchiellesco e
gi cariano imbottar nebbia
81
(oltre a esserci il rinvio ai burchielle-
schi chiavistelli , di cui abbiamo gi detto, e ai granchi e avannotti
con possibile traslato osceno).
82
Comunque, certo che la succiolaia
che vuol far tropparti lascia ampio spazio alle ipotesi pi ardite sulle
arti da lei esercitate a Pontevecchio.
E arriviamo al ix sonetto
83
forse il meno ermetico della collana ,
80. Per le castagne lesse e il rinvio osceno del binomio lesso/secco, cfr. Sonetti del
Burchiello, cit., p. 15; vd. anche le voci castagna e succiole in Toscan, Le Carnaval du
langage, cit., vol. ii p. 831; nel vol. iii pp. 1215-19, viene discusso il signifcato osceno del
succiare in rapporto alla voce soffare (ma, nonostante i dubbi di Toscan, la citazione
da lui stesso fatta dalla Canzone delle forese di Lorenzo Apri ben la bocca e succia!
porta verso il sottinteso osceno).
81. Cfr. Sonetti del Burchiello, cit., pp. 14-15.
82. Cfr. per granchio , Sonetti del Burchiello, cit., pp. 5, 37, 67, 152.
83. Riproduco qui di seguito il testo del son. ix: Gi nove volte in man la scurotta /
s presa, o arcifnfan de frusoni, / per farvi andar girando a balzelloni / come palo che
barbera e pirlotta. // Dovete aver sentito una manotta / gagliarda intorno al capo, di
tempioni / fornirvi, di cazzotti e rugioloni, / n per molto aggravar mai perder dotta. //
Imparerete a frugar la vespaia, / e destare il Giordan che vi sbudelli, / e sverre al lion
bravo le peluche. // Or nuova tela, e con nuova telaia, / daltra trama e daltropra in su
cannelli / si mette in punto a far toghe e vestuche, // acci sinconte e nduche / di Giron,
di Grosseto e Battifollo / Vostra Minchioneria, che pur dirollo. /// (I Salterelli, cit.,
p. 81).
carla chiummo
120
annota prudentemente la Rossi Bellotto
84
dopo il vii, con i suoi richia-
mi diretti (anche stilistici) al Petrarca al centro della polemica letteraria,
e lviii, in cui vengono evocate le tre Corone, nei toponimi Certaldo
Ancisa e l ponte alla Carraia , come sempre anche con possibili sottin-
tesi osceni ( Certaldo, Ancisa e l ponte alla Carraia / facean gi trebbio,
e stavan co mantelli / tesi a spettar le grazie modenuche : la Rossi non
accenna affatto a quegli strani mantelli tesi pronti allassalto del modene-
se, n al sottinteso osceno di tradizione burchiellesca dell Ancisa ).
85
A
me sembra che la parodia dantesca chiuda questo trittico con stilemi e
richiami impliciti a quel nume tutelare non solo della lingua eletta tra i
modelli pi alti tanto dal Caro quanto dallo stesso Bronzino (e poi dal
Varchi dellHercolano), ma di tutta la tradizione burchiellesca. Il primo
richiamo dantesco, nel son. ix, gi forse in quel nove che contraddi-
stingue la posizione del componimento allinterno del ciclo dei Salterel-
li, e insieme, nellesordio tutto parodisticamente dantesco, non solo nella
numerologia sacra: Gi nove volte (un Dante cui si aggiunge, nel-
l arcifnfan de frusoni del v. 2, un richiamo cariano-rabelaisiano).
86
A
84. Ivi, p. 111.
85. Per lallusione oscena dell Ancisa , Sonetti del Burchiello, cit., p. 5. A rafforzare il
sottinteso osceno, quel mattufol che si vede sur un zollo / rizzar e alla guazza pol-
lo dei versi fnali del son. viii (cfr. le voci rizzare e guazza in Dizionario storico del
lessico erotico italiano, cit.; per il possibile signifcato equivoco del mattufol , cfr. Toscan,
Le Carnaval du langage, cit., vol. ii p. 1029). La polisemia del mantello, che indica anche una
parte dellarmatura (cfr. G. Crimi, Ispirazione proverbiale, polisemia e lessico criptico nei sonetti
di Burchiello, in Studi di italianistica per Maria Teresa Acquaro Graziosi, a cura di M. Savini,
Roma, Aracne, 2002, p. 86), coerente con il linguaggio bellicoso della disputa in oggetto,
non esclude, come sempre in questo ambito, il signifcato da me richiamato.
86. Riguardo al doppio richiamo all arcifnfan delle lingue usato da Caro per apo-
strofare Castelvetro nella Rimenata del buratto dellApologia (ma anche il barbassoro
delle fanfaluche dei Mattaccini, i 14) e lorigine prima della voce, che, come gi suggeriva
Jacomuzzi (Caro, Opere, cit., p. 209), potrebbe essere direttamente rabelaisiana: vd. Les
Fanfrelouches antidotes ( le fanfaluche antidotiche ) che aprono il cap. ii del libro di Gar-
gantua, in pieno stile nonsense (f. Rabelais, Gargantua, a cura di P. Michel, Paris, Galli-
mard, 1969, p. 69; la nota esplicativa precisa: Les Fanfrelouches sont une nigme, genre littrai-
re la mode au XVI
e
s. , ivi, p. 68; si tenga per anche presente che lantico francese fanfalu-
ce derivava dal tardo latino fanfaluca: cfr. Dictionnaire de la langue franaise par P. Robert, Paris,
Snl, 1979, p. 758). Negli anni Sessanta, Rabelais senzaltro noto ai letterati italiani ed
dunque da valutare meglio il rapporto di questo contesto letterario con il Gargantua e
il nonsense del bronzino manierista
121
questa parodia dantesca incipitaria si affanca quella, direi palese e su pi
piani, dei vv. 9-11, dove giustamente la Rossi azzarda un riferimento
allHercolano che stava elaborando Varchi sullonda della polemica Caro/
Castelvetro: Or nuova tela, e con nuova telaia, / daltra trama e dal-
tropra in su cannelli / si mette in punto a far toghe e vestuche , con eco
di Par., xxv 7-9 ( con altra voce omai, con altro vello / ritorner poeta, ed
in sul fonte / del mio battesmo prender l cappello ). Una parodia su
pi piani, perch, pur con ben altri signifcati, Bronzino sembra riutiliz-
zare anche la stessa metafora tessile (giocando sullaequivocatio del vel-
lo dantesco, e sul cappello preso nel signifcato letterale), che allo
stesso tempo si aggancia allirriverente critica di Caro, nellApologia, alla
cantonata di Castelvetro riguardo al sintagma panno a vergato .
87
E la
parodia dantesca mi sembra ulteriormente confermata dallaequivocatio
sulla fede che fa conte / lanime a Dio (Par., xxv 10-11), con quel conte
isolato a fne verso che rimbalza nella parodia del verso seguente di
Bronzino, acci sinconte e nduche , dove il parasintetico inconte per di
pi neoformazione di stampo linguistico, appunto, squisitamente dante-
sco.
88
Dunque, probabile parodizzazione in chiave dantesca, dopo quel-
Pantagruele: per es. anche per luso delle false etimologie, per gli stessi versi nonsense delle
Fanfaluche antidotiche, per il sottinteso burlesco dei nomi inventati, ecc. In Rabelais c
anche un avalleurs de frimars (ivi, p. 185; ruminatori di nebbia , Id., Gargantua e Panta-
gruele, a cura di M. Bonfantini, Torino, Einaudi, 1993, p. 65), contiguo all imbottar neb-
bia di eredit burchiellesca. Resta per il divario di fondo tra la poetica e la flosofa di
vita libertaria, erasmiana e pi pulciano-folenghiana di Rabelais e la temperie italiana
degli anni Cinquanta e Sessanta in cui agiscono Caro e Bronzino, trovandosi sul fronte
opposto al perseguitato ed eretico Castelvetro (sebbene la loro ortodossia cattolica sia
tuttaltro che inattaccabile). Aggiungo che la voce rabelaisiana fanfaluche in Aretino
fanfalughe si ritrova nel Varchi dellHercolano (ed. cit., to. i p. 622) e in un testo assai
interessante proprio sui ghiribizzi di chi pazzeggia col poetizzare , e cio una lettera
di Aretino del 1540; e ancora in Doni, che nel 1550 usa la voce fanfalucole per defnire
le poesie di Burchiello (cfr. La fantasia fuor de conni, cit., pp. 141, 174), oltre che nel sottoti-
tolo della sua Zucca. Per un accostamento Aretino/Rabelais, vd. anche f. Guardiani,
Aretino e Rabelais, in Pietro Aretino nel cinquecentenario, cit., to. ii pp. 1009-25.
87. Cfr. Caro, Opere, cit., pp. 212-13; ne parla anche Varchi nellHercolano (ed. cit., to. ii
pp. 813-14).
88. Oltre ad esserci, in quei versi danteschi, il Mira, mira (Par., xxv 17), che sar pi
volta rimodulato dalla poesia burlesca del Cinquecento, da Berni in poi (cfr. Crimi, Loscu-
ra lingua, cit., pp. 392-93).
carla chiummo
122
la petrarchesca del son. vii,
89
e ancora riuso del doppiofondo osceno del-
la tradizione burlesca: a cominciare dalla prima quartina, con la scurot-
ta , ovvero sferza, in man [] presa dall arcifnfan de frusoni , ov-
vero dei passeri,
90
insieme al possibile sottinteso osceno del seguente
girando a balzelloni / come palo che barbera e pirlotta ,
91
su una va-
riazione delle stesse immagini e voci equivoche del son. v 6-8 ( tengasi
le sue brache e suoi calzoni, / chi vo pi presto al palio ir zoppiconi, /
che sul dosso dun barbero che trotta ). Con qualche ulteriore ombra
equivoca sulla manotta / gagliarda intorno al capo dei vv. 5-6
92
e qual-
che dubbio su una possibile allusivit oscena anche di quei toponimi f-
nali, di Giron, di Grosseto e Battifollo , tra le pieghe del doppio senso
non osceno delle tre voci, equivalenti rispettivamente a matto idiota e
folle , come segnalato dalla Rossi Bellotto.
93
Gli esempi di questo linguaggio burlesco e cifrato, ormai di manie-
ra, si moltiplicano se si prendono in considerazione anche gli altri so-
netti. Ma certo che questa contaminazione tra serio e faceto che attra-
versa lintera produzione poetica di Bronzino va inserita nel nobile ter-
89. [] / dove saran gli strigoli e glarnioni / digrassati al Petrarca otta per otta? //
Nuove cose vedrai, se vai a buonotta, / felice etade [] , vii 3-6. Ricordo che peraltro nel
Cinquecento il parallelo letterario Dante-Petrarca si rispecchiava spesso nel parallelo
artistico Michelangelo-Raffaello (cfr. Pinelli, La maniera, cit., p. 138).
90. Cfr. alla voce passero nel Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit.
91. Qui il commento autografo del codice Magliabechiano di grande aiuto, con il
rinvio alla commedia veneta rinascimentale: barberare della trottola che, mentre gira,
quando ha il ferro torto, gira balzellando e non continuata. Pirlotta un verbo bergama-
sco tolto da Zanni che pirlava il tondin . A proposito del barbero e della polemica
con Castelvetro: cfr. Sonetti del Burchiello, son. viii, al v. 1 (dove usa Barberia e il sintagma
camarlingo dellortografa , citato da Caro nellApologia parlando di Castelvetro; inte-
ressante per il contesto linguistico di questa polemica il verso fnale di Burchiello, e le
civette studiano in gramatica ). Per luso di barbaresco riferito alla tenzone Burchiello-
Roselli, cfr. Crimi, Ispirazione proverbiale, cit., p. 89. Per il palio , vd. il cap. 1.6.b. Giostra
in Dizionario storico del lessico erotico italiano, cit.
92. E forse per il frugar la vespaia del v. 9 (in Burchiello, son. xxxvi, il gran vespaio
del v. 14 si colloca in un contesto ambiguo, con allusivit oscena).
93. Peraltro anche solo in questo signifcato di matto, minchione , rinviano a un ricco
sottobosco equivoco cariano che parte dal Commento di ser Agresto (cfr. Garavelli, Presenze
burchiellesche, cit., pp. 235-36). Vd. anche alla voce battifolle nel Dizionario storico del lessico
erotico italiano, cit.
il nonsense del bronzino manierista
123
reno, ancora in parte da dissodare, della messa in discussione cinquecen-
tesca, mai radicale ma oramai disinibita, di qualsiasi rigido dettame clas-
sicistico rispetto ai grandi modelli (pur continuando altrove a omaggiar-
li ed emularli), per via di parodia. Allo stesso tempo con una consapevo-
lezza letteraria, abbagliante nella diatriba dei Salterelli, che si inserisce nel
cuore delle polemiche anticlassicistiche e che svela la sua chiave manie-
ristica nella stessa citazione diretta di quei dibattiti e di tutto un territorio
post-quattrocentesco, squisitamente forentino, delle baie, burle e poe-
sie alla burchia. E questo, nel caso di Bronzino, inevitabilmente incrocia
il suo essere pittore: perch quella poesia alla burchia, e poi la tradizione
burchiellesca e bernesca, avevano tra i fondatori e animatori pittori co-
me lOrcagna (che fosse, come sembra poco probabile, il pi noto artista
o il pi modesto Mariotto di Nardo di Cione),
94
lAlberti che duetta con
Burchiello, il Brunelleschi almeno di Panni alla burchia e visi barbizechi,
95

un certo Leonardo (penso ai suoi Pensieri, alle Favole, al Bestiario, alle Fa ce-
zie),
96
insieme al Michelangelo giocoso (con tutte le pi diverse e caute
defnizioni attribuibili alla sua poesia bernesca).
97
E perch, in ultima
istanza, questa poesia bronziniana, piena di stravaganze e bizzarrie , co-
94. Cfr. M. Cursietti, Alle radici della poesia burchiellesca: lOrcagna pittore e lo Za buffone,
in La parola del testo , vii 2002, pp. 157-68, dove si ripercorre puntualmente questa dia-
triba sullidentit dellOrcagna.
95. Se nel 1980 Tartaro dichiarava di incerta paternit brunelleschiana questo sonet-
to (Burchiello e burchielleschi, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 90), Zaccarello si dichiara invece
ormai certo dellattribuzione ( i codici gli attribuiscono univocamente almeno Panni alla
burchia e visi barbizechi : Sonetti del Burchiello, cit., p. vi).
96. Si vedano i Pensieri, 96: Ti diacciano le parole in bocca e faresti gelatina in Mongi-
bello ; 98: Salvatico quel che si salva (crede sul serio a questa etimologia o un para-
dosso?); 104: farisei frati santi vol dire ; in Profezie, 174: O Moro, io moro, se con la tua
moralit non mi amari; tanto il vivere m amaro! ; i calembours linguistici e osceni delle
Facezie, 6 7. Daltra parte i due elenchi della biblioteca di Leonardo in nostro possesso,
quello del Codice Atlantico e quello di Madrid, rivelano che la sua non sterminata biblio-
teca includeva il Morgante, le Facetie di Poggio, Geta e Biria, Ciriffo Calvaneo, e soprattutto
Burchiello, ricordato in entrambi gli elenchi (Leonardo da Vinci, Scritti letterari, a cura di
A. Marinoni, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 74, 138, 140, 241-43).
97. Per una radicale riconsiderazione delleventuale bernismo michelangiolesco, cfr.
in partic. D. Romei, Berni e berneschi del Cinquecento, firenze, Ed. Centro 2P, 1984, p. 139, e
pi in generale tutta la p.te iii sul Bernismo di Michelangelo ; il lavoro di Romei stato
ristampato: cfr. Id., Da Leone X a Clemente VII. Scrittori toscani nella Roma dei papati medicei
carla chiummo
124
me scriver Vasari, pu anche aiutare, paradossalmente, a far meglio luce
sulla purezza gelida e affascinante
98
tuttora prevalentemente attribui-
ta in toto alla sua pittura di maniera.
(1513-1534), Manziana, Vecchiarelli, 2007; vd. anche A. Corsaro, Michelangelo, il comico e la
malinconia, in Id., La regola e la licenza, cit.
98. Sono parole di G. Briganti, cit. in Baccheschi, Lopera completa del Bronzino, cit., p.
14. Sulla compresenza di serio e faceto anche nella sua pittura pi uffciale, oltre che
nella poesia, cfr. Parker, Bronzino, cit., pp. 158-64.
125
Pasquale Guaragnella
IL NONSENSE IN ALCUNE FIABE
DEL PENTAMERONE DI GIAMBATTISTA BASILE
Ne Lo cunto de li cunti, ovvero il Pentamerone, pubblicato nel terzo de-
cennio del Seicento e destinato come altre opere di Giambattista Basi-
le alla conversazione nelle piccole corti napoletane, lautore dedica il
primo racconto della prima giornata alle singolari vicende di una fgura,
in parte ridicola e in parte subumana, ma certamente aliena dalla malin-
conia: quella dellidiota. Uno studioso ha osservato a questo proposito
che contro lintellettualismo del secolo [] rinasce la simpatia per lin-
sensato e il paese di Cuccagna: lidiota nemico della malinconia, le sue
parole sembrano dettate dalloracolo, ed il custode di una arcaica sag-
gezza . Senonch, allinterno di questo clima di simpatia per la fgura
dellidiota, questultima rappresenta soprattutto linvito ad una interpre-
ta zione letterale del mondo , contro ogni forma di malizia e di ingan-
no.
1
Attesta suggestivamente di questi motivi appunto la prima faba della
raccolta di Basile, quella dellorco e di Antuono da Marigliano, un sim-
paticissimo idiota, il quale, dopo essere stato ingannato per due volte da
un oste, perverr poi a grande ricchezza. La faba di Antuono sembra
di sporsi tra i due poli culturalmente antitetici, e pur complementari,
della economizzazione della vita, da un lato, e del sogno di abbondanza,
dallaltro lato. Nella prima parte della narrazione, infatti, Masella, che
rappresenta il decalogo della prudenza e dellordine, non fa che rimpro-
verare al fglio i comportamenti di un lazzaronismo perdigiorno, ovvero
il suo parassitismo:
1. S. Calabrese, Gli arabeschi della aba. Dal Basile ai romantici, Pisa, Pacini, 1984. Per un
inquadramento generale, si vedano pure N. L. Canepa, From Court to Forest: Giambattista
Basiles Lo cunto de li cunti and the Birth of the Literary Fairy Tale, Detroit,Wayne State Univ.
Press, 1999, e Giovan Battista Basile e linvenzione della aba, a cura di M. Picone e A. Mes-
serli, Ravenna, Longo, 2004.
pasquale guaragnella
126
Che ci fai in questa casa, maledetto il pane che mangi? Squaglia pezzo di niente,
seccati maccabeo, sprofonda piantaguai, levati da qui scolacastagne, mi sei stato
cambiato dentro la culla e in cambio di un bambolino cicciotello piccolino bello
mi c stato messo un maialone mangialasagne!
2
E tuttavia Masella parlava, ma Antuono fschiettava: sino a quando
un giorno come gli altri , randellato a dovere dalla madre, il nostro
eroe, riuscito a sfuggirle dalle mani, gira i calcagni e si allontana da
casa . Comincia ora il viaggio esoterico e purifcatore ; e infatti, dopo
una faticosa giornata di cammino, sullimbrunire e cio quando i
confni tra luce e ombra si fanno incerti Antuono arriv sotto i piedi
di una montagna cos alta che giocava a cavallina con le nuvole e dove,
sopra una grande radice di pioppo sotto una grotta decorata di pietra
pomice, stava seduto un orco e mamma mia comera brutto! .
O mamma mia comera brutto : lespressione non di Antuono il
quale mostrer invece di non avere alcuna paura ma della fabula trice,
Zeza la sciancata. E infatti, quella dellorco una fgura perturbante del-
limmaginario collettivo fra Medioevo ed Et moderna. Questo spaven-
to nel quale si racchiudeva un tab antropofago certamente abba-
stanza diffuso , attestato indirettamente da un numero molto alto di
favole piene di orchi, di mangiatori di carne di cristiani, di uomini selva-
tici e da episodi consimili frequenti nei poemi cavallereschi del XV e del
XVI secolo, dai giganti del Ciriffo Calvaneo mangiatori di bambini, al-
lOrco dellOrlando innamorato a quello del Pentamerone .
3
Del resto, la
rap presentazione che nel cunto si tenta dellorco d unidea di questo
per turbante :
Quello era nano e manico di scopa, aveva la testa pi grossa di una zucca indiana,
la fronte tutta bitorzoli, le sopracciglia unite, gli occhi strabici, il naso ammacca-
to con due froge che sembravano due fogne, una bocca grande quanto una
macina da mulino, da questa uscivano due zanne che gli arrivavano alle ossicine
dei piedi, il petto peloso, le braccia da aspo, le gambe a volta di cantina e i piedi
larghi come quelli di una papera: insomma sembrava uno spirito maligno, un
2. G.B. Basile, Lo cunto de li cunti, a cura di M. Rak, Milano, Garzanti, 1986, p. 32.
3. P. Camporesi, Introduzione a Il libro dei vagabondi. Lo Speculum cerretanorum di Teseo
Pini, Il vagabondo di Raddaele Frianoro e altri testi di furfanteria, Torino, Einaudi, 1980, p. 37.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
127
diavolaccio, un brutto straccione e proprio un fantasma che avrebbe fatto rabbri-
vidire un Orlando, spaventare uno Scanderbeg e impallidire un lottatore.
4
La descrizione procede secondo una tecnica peculiare, come si pu age-
volmente rilevare: va dallalto verso il basso, ripetendo in questo modo
lessere dellorco, ovvero il suo essere divinit terrigena: e non un caso
che la prima visione di Antuono sia quella dellorco seduto sulla radice di
un pioppo. Ora, nonostante ogni particolare della fgura incontrata
dovesse indurlo a un sentimento di paura, la presenza dellorco non pro-
cura ad Antuono alcun brivido. Anche in questa occasione Antuono si
riveler in pieno una specie di eroe del non-sense , a tal punto che,
fatto un inchino col capo disvelando in questo modo un codice corti-
giano improvviso cos Antuono si rivolge allorco: Buongiorno signo-
re, come va? Come stai? Vuoi niente? Quanto manca da qua al posto
dove devo andare? . il trionfo del nonsense. Lorco, a sentire di questo
discorso di palo in frasca , si mise a ridere , e perch gli piacque lumore
della bestia [e cio di Antuono, paragonato a una bestia] gli disse: Vuoi
fare il servo? . La replica di Antuono sar singolare: E quanto vuoi al
mese? ; e signifcativa poi perch improntata a sentimenti di saggezza
e tenerezza la risposta defnitiva dellorco: Bada a servirmi decente-
mente, andremo daccordo e ti andr tutto bene .
5
Ci ricorderebbe Piero
Camporesi che limmagine dellorco, che grava a lungo sulla cultura
occidentale come un pesante rimorso, viene esorcizzata, nel tentativo di
rimuoverla , proprio attraverso la rappresentazione comico-grottesca, secon-
do un meccanismo tipico che riduce a spauracchio per bambini un incu-
bo della coscienza collettiva .
6
Alimentato da una esperta arte del rove-
sciamento grottesco, il dialogo tra Antuono e lorco una suggestiva al-
legoria di un movimento di contrazione fra bestialit e saggezza :
come si visto, Antuono, il fanciullo, rivela ancora gli umori della bestia,
e lorco invece rappresentato in una sua eccezionalit fatta di saggia
vecchiezza. Senonch, anche nel loro andamento grottesco, queste con-
4. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 34.
5. Ibid.
6. P. Camporesi, Introduzione, in Il libro dei vagabondi, cit., p. 38.
pasquale guaragnella
128
trazioni tra il magico e il bestiale ricordano tipologie di derivazione
bruniana secondo cui il bestiale richiede di essere compreso sia nella
componente della passiva naturalit, sia in quella della migliore possibi-
lit umana e viceversa.
7
Ma non questo ritmo biunivoco, gi di deri-
vazione umanistica, costitutivo della antropologia del pazzo? Una ripro-
va nella domanda che il picaro Antuono rivolge allorco a proposito del
luogo in cui deve andare: si tratta di un luogo ignorato dallorco che
interpreta il parlare di Antuono, s rilevato, come un trascurso da palo
m pertica ma in verit ignorato soprattutto da Antuono. Quando
scappato da casa il ragazzo non aveva alcuna meta. Cosa si nasconde al-
lora dietro questo giuoco del non-sense? Esattamente una critica del viag-
gio, della sua cultura: in questo modo che da eroe del viaggio e
dellavventura, Antuono annuncia una delle non poche metamorfosi del
Cunto: Antuono si atteggia segretamente a spettatore critico di quella
cultura. in ragione di consimili effetti di rovesciamento che il pazzo
umilia i saggi di questo mondo, compresi naturalmente i dottori e i teo-
logi . Ci ricorda Klein che la Nave dei pazzi non solo piena di discorsi
contro lerudizione e la curiosit del sapere libresco tema che si ri-
trova largamente nel Pentamerone ma nel capitolo lxvi, assai signifcati-
vamente, contiene rivolto contro i viaggiatori un accenno ai pazzi che par-
tono sulle loro navi per dimostrare che la terra rotonda . Dietro il co-
mico di Antuono si nasconde ormai una dose sottile di ironia e fnanche
di autoironia: tanto che si pu rilevare lazione di una polarit ovvero
di una intima connessione fra coscienza ottenebrata e coscienza distac-
cata .
8
Pure questultimo movimento potrebbe, del tutto lecitamente, far
pensare a Bruno: ma qui si aprono le differenze fra il Nolano e il Basile.
Nella cui visione il riso concresce e il rapporto tra Antuono e lorco
una riprova tra chi simpegna a un patto di fedelt e il suo padrone:
ovvero tra il cortigiano e il suo signore, a testimonianza di un legame di
7. N. Badaloni, Filoso, utopisti, scienziati, in Cultura e vita civile tra Riforma e Controrifor-
ma, a cura di N. Badaloni, R. Barilli, W. Moretti, Roma-Bari, Laterza, 1973, p. 70.
8. R. Klein, Il tema del pazzo e lironia umanistica, in Id., La forma e lintellegibile. Scritti sul
Rinascimento e larte moderna, Torino, Einaudi, 1975, pp. 477-97.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
129
solidariet. Non v dubbio: per una ideologia esplicitamente cortigiana
quale quella di Basile il miglioramento delle possibilit umane passa
attraverso linscrizione nel sistema del potere aristocratico-cortigiano,
nel sistema dei suoi codici. Il potere la fonte della saggezza, il cui con-
siglio bisogner tenere segreto: in fondo, venendo meno ai suoi divieti,
Antuono si riveler un pessimo segretario dellorco. Ma in verit questo av-
viene perch, al di l delle apparenze, la permanenza di Antuono presso
lorco continua a disvelare un carattere perturbante e sotto una forma
ambiguamente moderna: non gi leccezionale e meravigliosa bruttezza
dellorco far paura ad Antuono, ma qualcosa di pi spaventoso: il quotidiano.
Questo quotidiano, nel Seicento, trascorre sotto la pressione di due allu-
cinazioni collettive contrapposte fra loro: la fame e labbondanza. Di qui
una profonda e inquietante ambiguit: lintera epistemologia della cre-
scita (iniziazione del fanciullo) ne irrimediabilmente attraversata. Non
ci resta che seguire il racconto di Basile:
Cos concluso questo patto Antonio rimase al servizio dellorco, dove il mangia-
re si gettava a terra e in quanto al lavorare si faceva il pecorone e al punto che in
quattro giorni Antonio si fece grasso come un turco, tondo come un bue, sveglio
come un gallo, rosso come un gambero, ver de come un aglio e panciuto come
una balena e cos massiccio e tarchiato che non ci vedeva pi.
9
Senonch, la situazione di abbondanza nella quale si trova inviluppato
Antuono soltanto una prima facies. Siamo indotti a rilevare questo dal
fatto che non passarono due anni che, annoiato dal grasso, gli venne
desiderio e voglia grande di dare unocchiatina a Pascarola e, pensando
alla sua casetta, sera quasi ridotto comera prima . fastidio de lo gras-
so e desiderio de la casarella soia : qui il male oscuro di Antuono.
signifcativo: si ripete in questunica la storia duplice di Bertoldo e Ber-
toldino ovvero del padre che morir in una situazione di abbondanza ma
desiderando fno allultimo le cose naturali , e del fglio che pur poten-
do godere di una situazione di abbondanza, far ritorno a casa dando
soddisfazione a un suo insopprimibile desiderio . A proposito di questo
strano desiderio , Giancarlo Mazzacurati ha posto acutamente un in-
9. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 35.
pasquale guaragnella
130
terrogativo: perch il padre, cos saggio, resta a corte e vi muore [] e il
fglio, cos folle, sembra comprendere per istinto il pericolo di quel luogo, e se ne
torna a casa, alla sua natura felice e ricco? .
10
Pertanto, Antuono si vede nutrito e ingrassato in un luogo s senza
confni ma che, per un singolare paradosso, risulta anche solo che si
affli larma del sospetto un vero e proprio recinto . E per un altro
intreccio di paradossi, quellorco che per Antuono il quale allinizio
della storia senza padre ormai un vero padre, dispiega una sua natu-
ra tanto pi inquietante quanto pi diventa agli occhi di Antuono fgura
familiare: proprio perch diventato padre. Bisogna andare alla inquieta
facies interiore delluomo comune dellet preindustriale per capire qua-
le groviglio di irresolubili antinomie ci troviamo qui di fronte: sempre
legato psicologicamente a una sorta dinfanzia , questi un uomo che
non appartiene tutto a se stesso e non pu scegliere il suo essere so-
ciale .
11
Di qui la follia apparentemente inesplicabile delle sue reazio-
ni: e di qui anche un comportamento scisso tra la gratitudine e il deside-
rio di uccisione del padre. Infatti, quellorco che prima facie non induce
timore alcuno nellanimo di Antuono, successivamente determina una
sorta di insecuritas: e il luogo dellabbondanza produce semplicemente
paura del luogo, ovvero una sorta di paura della stasi.
E il viaggio di Antuono dovr ricominciare, conferma che in quel
luogo egli non ha fatto ancora una decisiva esperienza. Intanto lorco fa
dono ad Antuono di un asino che potr alleviargli le fatiche del viaggio,
ma ingiungendogli di non pronunciare mai la formula magica Corri,
defecazecchini. Ma Antuono contravviene al divieto di pronunciare la for-
mula magica Corri, defecazecchini e pertanto conoscer i poteri magici del-
lasino che evacua gioielli e denari, ma sperimenter altres le prime di-
savventure ad opera di un oste al quale ha chiesto da mangiare e da dor-
10. G. Mazzacurati, Narrativa e romanzo nel Seicento, in La letteratura italiana. Rinascimen-
to e Barocco, a cura di S. Battaglia e G. Mazzacurati, firenze, Sansoni, 1974, p. 421. Sul
tema della tradizione favolistica italiana, cfr. G.B. Bronzini, Lo Cunto de li Cunti serbatoio
letterario di abe popolari, in La parola del testo , 1 2000, pp. 181-88. Su Bertoldo, daltro
canto, si vedano almeno Q. Marini, Bertoldo, Bertoldino, Marcolfo, Casale Monferrato, Ma-
rietti, 1986, e P. Camporesi, La maschera di Bertoldo, Milano, Garzanti, 1993.
11. P. Camporesi, Introduzione a Il libro dei vagabondi, cit., p. 131.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
131
mire. Loste della nostra faba fa mangiare e bere Antuono quanto pi
possibile, per poi mandarlo a dormire. Durante il sonno dello sciocco,
loste corre alla stalla e dice allasino: arre cacaure, e lasino fece la soleta
operazione . Al pari della faba di Nardiello vero e proprio fratello
maggiore di Antuono faba nella quale si registrer un triplice inadem-
pimento, per inganno, nella consumazione di un atto sessuale, in questa
di Antuono assistiamo, in ragione di inganni non molto diversi (dallad-
dormio) a un triplice inadempimento delle raccomandazioni dellorco.
Intanto, il risveglio di Antuono designa la scena dei gesti e dei mo-
vimenti propri di un pecorone che stato ingannato dalloste:
E quando si fu svegliato la mattina quando esce lAurora a svuotare il vaso del
suo vecchio, tutto pieno di renella rossa, alla fnestra dellOriente si strofn gli
occhi con la mano, si stiracchi per mezzora e dopo una sessantina di sbadigli e
peti a forma di dialogo, chiam loste dicendo: Vieni qua, amico, conti frequen-
ti e amicizia lunga, restiamo amici e facciamo azzuffare le borse; fammi il conto
e pagati .
12
Senonch, vedremo, Antuono non poi dissimile da Bertoldino: al pari
del personaggio di Giulio Cesare Croce non un babbeo volgare, uno
di quei goff subumani, tutto funzioni biologiche, di cui la narrativa pre-
cedente ci ha lasciato qualche esemplare . Anche Bertoldino, al pari di
Antuono, sar in grado di trasformare anche il pi semplice e fsiologico
degli scambi dialogici in un esempio di acuta ironia a danno ma in sen-
so benevolo degli interlocutori ingenui o soltanto sprovvisti della me-
desima acuzie. Si osservi ad esempio questo scambio tra Bertoldino e la
regina, tra le protagoniste femminili delle Sottilissime astuzie di Ber toldo:
Regina: Come taddimandi tu?
Bertoldo: Io non domando nulla.
Regina: Come ti chiami?
Bertoldo: Chi mi chiama, io gli rispondo.
Regina: Dico come tu tappelli.
Bertoldo Io non mi sono mai pelato, chio mi ricordi.
12. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 39.
pasquale guaragnella
132
Piero Camporesi ha rilevato che scambi come questi, trionfo concet-
tuale e dialogico del nonsense, appartenevano al repertorio dei comici
dellarte i cui legami con la cultura popolare della festa sono senza dub-
bio fortissimi. Trionfo del nonsense sono anche alcune battute oggi for-
se le chiameremmo freddure una domanda rivolta alla madre: Quan-
do mi facesti, ci eravate voi? ; oppure, similmente: Ditemi un poco, chi
nacque prima, io o mio padre? .
Torniamo ad Antuono. Egli, scoperto il potere magico dellasino, in-
vita la madre Masella ad apparecchiare le pi belle lenzuola di corredo
sulle quali lasino potr evacuare il suo oro. Ma ben altro che oro evacua
lasino, facendo na bella squacquerata gialla ncoppa a li panne ianche .
Masella vede bene su quale fondamento pu sostenersi la sua fortuna:
sullo sterco, il commento del cantafavole. vero che lambivalenza
caratterizzante la rappresentazione della pazzia si manifesta con for-
me consentanee a unispirazione paradossale a tal punto che, con la
costante del rovesciamento , proprio il motivo della casa e delle
fondamenta si rivela dobbligo.
E proprio Antuono, capriccio e automa della natura, rinvia alla
ossessione di una rovina che, in ragione del suo folle comportamento,
incombe sulla casa di Masella: quella Masella che rappresenta la volont
di un calcolo razionale, lesperienza e il desiderio di prosperit. Su tutto
questo lasino evacua sterco:
La povera Masella, che vide questa liberazione di pancia e che quando sperava
di arricchire la sua povert ne ricavava un fnanziamento cos abbondante da
impuzzolentire tutta la casa, prese un bastone e, non dandole neanche il tempo
di mostrarle le pietre pomici, gli fece una buona rammendata, per questo subito
lui se la squagli alla volta dellorco.
13
qui prefgurato il motivo fnale della faba: la bastonatura che serve a
far rinsavire dalla pazzia. Stessa scena con lorco, presso il quale Antuono
si ripara: inevitabile laccusa di inguaribile e subumana stolidezza da parte
del primo. Perch Antuono ha fatto molto rumore, ha ciarlato oltre ogni
misura con la sua bocca da scorreggia e la sua abitudine insana di vo-
13. Ibid.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
133
mitare tutto quanto ha in corpo. Perch lungi dal mostrarsi perfetto se-
gretario dellorco scrivendo nella memoria il divieto, ha disvelato in-
vece un segreto con lingenuit metafsicamente folle di un candido. Ha
distrutto un codice. Per questo lorco gli far dono, la terza volta, di una
mazza per memoria sua . La mazza infatti lo strumento atto a ricon-
durre al rinsavimento i pazzi: come lacqua fredda. Ed signifcativo
che lintero discorso dellorco sia a questo punto giocato sulla tipologia
della esperienza che una buona volta Antuono dovr realizzare: Lope-
ra loda il maestro; le parole sono femmine e i fatti sono maschi; ci con-
vinceremo quando lavremo visto; tu mi hai sentito meglio di un sordo:
uomo avvisato mezzo salvato .
14
Senonch ancor pi signifcativo
che per la terza (ma si potrebbe dire anche lennesima) volta, mentre
lorco seguita a parlare, Antuono gi lo ha lasciato, affrettandosi verso
casa. Dopo tante vicende sembra non avere imparato proprio nulla.
Ma la verit unaltra: Antuono ha la giovanile capacit di distruggere
lesperienza. Non bastano le parole, non basta quanto ha subto a opera
delloste con la sostituzione prima dellasino caca-denari e quindi del
tovagliolo fatato. Lesperienza risulta sempre povera. E che cosa pu im-
parare, dunque? Lunica esperienza che Antuono far quella che ri-
pete e conferma la sua pazzia. Perch, a ben considerare, quella mazza,
di cui gli ha fatto dono lorco, anche linequivoco segno di riconosci-
mento del pazzo: infatti, proprio con la mazza i pazzi venivano armati
per difesa contro i passanti che tiravano loro addosso le pietre . La basto-
natura dunque rinsavisce dalla pazzia, ma quel bastone di cui in posses-
so Antuono anche il segnale di riconoscimento di un pazzo quale
Antuono. Si realizzano singolari effetti di ambiguit: da questa mazza
saranno bastonati prima Antuono e quindi loste che tenta per la terza
volta di gabbarlo. Ma chi dei due il vero pazzo: ladulto o il ragazzo?
Perch, per parte sua, Antuono conferma di essere metafsicamente lon-
tano dal mondo degli adulti e dalla loro esperienza. E al suo peculiare
destino nel quale si attua una vera e propria distruzione dellesperienza
ben si addice il raggiungimento di una eccezionale fortuna con la resti-
tuzione da parte delloste ingannatore tanto dellasino caca-denari, quan-
14. Ivi, pp. 43 e 45.
pasquale guaragnella
134
to del tovagliolo: ma soprattutto di quella mazza che restituisce defniti-
vamente Antuono alla sua condizione di pazzo. E ben si addice il detto
fnale della faba: A pazze e a peccerille Dio laiuta .
Pazzi e ragazzi. follia e fanciullezza sono dunque i due grandi luoghi
in cui lesperienza (degli adulti) autenticamente rifutata. Come nella
qute di Don Quijote, al quale Antuono un po somiglia per il suo can-
dore . E Don Quijote, si sa, pazzo e ragazzo a un tempo. Ma non
vero che proprio in questi mascheramenti consiste lintero destino gno-
seologico della faba, nel quale si rifette la sua confittuale identit? Per-
ch una scrittura che si fonda sul primato dellinverosimile riesce anche ad
essere pi vera della realt in quanto ne segnala implacabilmente falsit
e irresolubili follie.
Signifcativa in questo senso la vicenda incredibile di Peruonto e
Vastolla. Basile qui autore di una faba quasi analoga a quella di Pietro
Pazzo compresa nelle Piacevoli notti di Straparola. Ora cos recita la rubri-
ca della favola di Straparola che conviene qui richiamare:
Pietro pazzo per virt dun pesce chiamato tonno, da lui preso e da morte cam-
pato, diviene savio; e piglia Luciana, fgliuola di Luciano re, in moglie, che prima
per incantesimo di lui era gravida.
15
Il signifcato di questa rubrica segnalato dallincipit della faba, incen-
trato su una rifessione tutta tardo cinquecentesca, si direbbe, sugli stra-
ordinari esiti che talvolta registra la pazzia a tal punto da mutarsi in sa-
viezza. Ed infatti:
Io trovo, amorevoli donne, s nelle istorie antiche come nelle moderne, che
loperazioni di un pazzo, mentre che egli impazzisce, o naturali o accidentali
che esse siano, li riusciscono molte volte il bene. Per tanto mi venuto nellani-
mo di raccontarvi una favola dun pazzo: il quale, mentre che impazziva, per
una sua operazione savio divenne, e per moglie ebbe una fgliuola dun re.
Nella faba di Basile il ritratto delleroe, e sarebbe meglio dire del sub-
eroe, pi caricato: trattasi infatti di uno sciaurato de coppella ; senza
15. G.F. Straparola, Le piacevoli notti, a cura di M. Pastore Stocchi, Roma-Bari, La-
terza, 1979, p. 105 (da qui anche la citaz. successiva).
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
135
dire che nella faba napoletana, anche se Peruonto sar riconosciuto co-
me genero dal padre di Vastolla, non si parla propriamente di conquista
del trono. Guglielminetti ha osservato che, anche per questa ragione, la
moralit iniziale del racconto suona in dialetto assai meno eversiva che
in Straparola. Questa la moralit in bocca alla novellatrice del cunto, Me-
neca:
Il fare del bene non mai andato perduto; chi semina cortesia miete benefcio e
chi pianta gentilezze raccoglie amorevolezze: il favore fatto a un animo grato
non mai stato sterile ma produce gratitudine e fglia premi. Se ne vedono tan-
ti casi nella storia degli uomini e ne vedrete un esempio nel racconto che sono
sul punto di farvi ascoltare.
16
Scompare, ha commentato in proposito Guglielminetti
ogni traccia di alternativa del tipo di quella segnalata dallo Straparola tra pazzia
e saviezza alternativa non lontana dalla dinamica di promozione sociale che
delle Piacevoli notti e della faba popolare di magia. Quella del Basile una sen-
tenza etica, di costume civile; non a caso, perci, alla pazzia di Pietro, quale
sciagura da rimuovere, egli ha sostituito la stupidaggine di Peruonto, un sarchia-
pone per antonomasia.
17
Da questo sarchiapone , dopo vari e vani tentativi di vederlo fnalmen-
te laborioso, la madre riesce ad ottenere che almeno vada nel bosco a
raccogliere fascina. Peruonto, dunque, dovr camminare
Giunto nel mezzo della campagna, Peruonto ci avvaliamo qui della
traduzione di Croce trov tre giovinetti, che, fattosi strapuntino
dellerba e capezzale duna selce, cos alla sferza del sole che l batteva a
perpendicolo, dormivano come scannati. Peruonto, che vide questi pove-
retti diventati una fontana dacqua in mezzo a una calcara di fuoco, preso
da compassione, con laccetta che aveva seco tagli certe frasche di quer-
cia e intrecci sopra di loro una bella infrescata . Sorprendentemente, il
comportamento dello sciocco disvela i segreti valori di un codice fonda-
16. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 75.
17. M. Guglielminetti, La cornice e il furto. Studi sulla novella del 500, Bologna, Zanichel-
li, 1984, p. 96.
pasquale guaragnella
136
to sulla flantropia: e dunque la fortuna, a partire dalla fatagione datagli
dai tre giovani per gratitudine, il risultato della sollecitudine che il per-
sonaggio ha mostrato nei confronti di altri uomini. A conferma, si po-
trebbe aggiungere, di quel principio bruniano che riconosce proprio
nella sollecitudine un precedente rispetto alle opzioni che la fortuna
opera tra gli individui.
Giunto nel bosco, Peruonto taglia una cos grossa fascina che per
trasportarla sarebbe occorso un carro . E lidea del veicolo e del viaggio
solletica anche Peruonto. Vedendo infatti che gli era impossibile caricare
sulle spalle la fascina,
ci mont sopra dicendo: bene mio, se questa fascina mi portasse camminando
come un cavallo! . Ed ecco che la fascina cominci ad andare col passo dellam-
bio, come un cavallo di Bisignano, e, arrivata davanti al palazzo di un re, fece
giri e giravolte incredibili.
18
Effcace leffetto di rovesciamento: ci che deve essere trasportato diven-
ta veicolo che trasporta; ed inoltre veicolo e viaggio sono altrettante im-
magini del gioco del mondo, cos del suo livello elementare (la genera-
zione, essendo trasparente la metafora sessuale della fascina) come del
suo livello pi complesso, il potere e la sua regalit. In questo gioco si
distende lavventura di Peruonto: linterpretazione della cui stultitia co-
me condizione universale dellumanit. Nel primo caso essa tende a
diventare unincarnazione grottesca dellantiumano : perch il pazzo o
lidiota sono tutti allo stesso modo gli strumenti di una catarsi attraverso
il disgusto o il disprezzo . Lironia picaresca sfrutter largamente questo
flone, ci ricorda Klein. Ma, come avviene appunto nella letteratura
picaresca, lo stesso abbandonarsi allignominia o alle passioni pu costi-
tuire una critica di quelli che vi si abbandonano. Lanalisi condotta da
Hanckel delle rappresentazioni del folle nelle scene erotiche o nelle sa-
tire dellamore nel Rinascimento, ha dimostrato come il personaggio
grottesco fguri alternativamente, e talvolta anche simultaneamente,
nella veste di schernitore e di schernito .
19
18. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 77.
19. Klein, La forma e lintelligibile. Scritti sul Rinascimento e larte moderna, cit., p. 487.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
137
Del resto comprensibile il signifcato osceno della fascina sulla quale
Peruonto, e che si libra nellaria. Vastolla, abituata alle procedure del-
lamore cortigiano, lo disprezza. E la risposta di Peruonto, nella sua osce-
nit questa volta esplicita, risulta demistifcatrice di quelle procedure da-
more: O Vastolla, vai, che tu possa restare incinta di me! . Qui lidiota,
il pazzo insieme lesempio da evitare e lo spettatore non coinvolto che
dichiara la moralit del gioco . Senonch, si pu ben rilevare, a questo
punto, che ogni distinzione tra il pazzo stupido e il pazzo saggio non
sempre valida. Salvo il caso del pazzo naturale, cio dellalienato e
dellidiota, alle cui spalle i re si divertivano, allo stesso modo che dei nani
e dei mostri e pu anche darsi che, allinizio della faba, Vastolla rida
di Peruonto ritenendolo appunto un pazzo naturale si deve ricono-
scere alla fgura del pazzo unambivalenza in qualche modo costituzio-
nale: egli insieme stupido e saggio, schiavo dei suoi istinti e spettatore
della sua condotta : e della condotta degli altri. In defnitiva, se si devono
classifcare i personaggi, non si guarder al loro grado di intelligenza,
ma alla dosatura di partecipazione e di distacco, che c in loro e che
colloca il comico delle loro azioni e dei loro gesti a una distanza ogni
volta diversa dal puro sfrenarsi come dalla pura ironia .
20
Nella faba, Vastolla resta incinta: e quando il re scopre la nuova realt,
fuori di senno, convoca il Consiglio dei saggi per pronunziarvi la sua ora-
zione. La pazzia di Vastolla induce il re nella opinione che sia pi oppor-
tuno farle fgliare lanima prima che partorisca una malarazza [] di
farle sentire prima le doglie della morte che le doglie del parto . Le me-
tafore della morte e della vita si incrociano; sarei di pensiero , esclame-
r il re riferendosi a Vastolla, di farla uscir fuori del mondo prima che da
lei esca germoglio e semenza .
Intanto, come volle il cielo, arriv lora del parto e con quattro doglie
leggere leggere alla prima soffata nellampolla, al primo incitamento
della mammana, alla prima spremuta di pancia, gett in grembo alla
comare due mascoloni come due mele doro . Il re corre dai suoi consi-
glieri: ecco, mia fglia ha fgliato, il momento di darle una mano con
un bastone . Ma essi lo esorteranno a continuare il giuoco della simula-
20. Ivi, p. 481.
pasquale guaragnella
138
zione sino a che i due infanti non compiranno sette anni: sar allora che
si potr individuare la fsionomia del padre .
Passano fnalmente i sette anni: dunque arrivato il tempo di di-
spiegare linganno e la vendetta. Ma come potr realizzarsi tutto questo?
Uno dei consiglieri del re partorisce lidea di
un gran banchetto, dove sia costretto a venire ogni nobiluomo e gentiluomo di
questa citt e stiamo attenti, e con gli occhi sulla tavola, a chi i bambini si rivol-
geranno pi volentieri, spinti dalla Natura, perch quello senzaltro sar il padre
e noi subito lo portiamo via come una cacatina di cornacchia.
21
Difatti, non appena Peruonto compare nella sala del banchetto, i fgli si
avvicinano e gli fanno festa. In seguito alla terribile scena dei nipoti qua-
si calamitati dal padre naturale, per placare lira del re sar comminata
una terribile pena: e pertanto Peruonto, Vastolla e i due fgli sono rin-
chiusi in una botte che viene gettata in mare. Soltanto la piet di alcune
damigelle consentir di far cadere nella botte un po di uva passa e fchi
secchi. E cos la botte, come una nave, va Come una piccola nave di
pazzi essa sar unimmagine del mondo. Infatti, che si tratti di botte sul
mare, o di barca o di nave lidea di veicolo che soprattutto interessa:
noi siamo imbarcati . Peruonto uno sciocco e Vastolla una peccatri-
ce : le pazzie si incrociano con i vizi; e nellambito di questo movimento
sar facile passare da unimmagine del mondo come follia alla follia co-
me vizio.
Intanto, nella botte-nave anche Vastolla piange e si lamenta nel men-
tre chiede a Peruonto di dirle quale diavolo lo avesse tentato a metterla
incinta. Quale incantamento facesti, e con quale verga? , chiede pian-
gente Vastolla: e Peruonto, dopo aver fatto orecchie di mercante, dammi
uva passa e chi , risponde. Ottenuto quel che voleva, il pazzo racconta
fnalmente tutto a Vastolla: la quale, ripreso animo, per aver saputo dei
poteri magici di lui, propone a Peruonto: E perch non trasformiamo
questo legno in una bella nave che ci tragga dal pericolo e ci conduca a
buon porto? . Dammi uva passa e chi , risponde Peruonto in una sorta
di automatismo linguistico; e Vastolla subito pronta gli riemp la gola
21. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 81.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
139
perch aprisse la gola, e come una pescatrice di carnevale, con luva pas-
sa e i fchi secchi gli pescava le parole fresche dai denti . Ed ecco che,
dicendo Peruonto quello che desiderava Vastolla, la botte si trasform
in una imbarcazione con tutto il sartiame necessario per la navigazione
e con tutti i marinai che servivano per il governo del vascello . Le parole
escono fresche, il desiderio si dilata: e insieme con questo si dilata il paz-
zo gioco del mondo. E per scorgere gli altri immaginari pazzi che sono
insieme con Peruonto sulla nave baster soltanto allungare lo sguardo
sulla scena :
e l avresti potuto vedere chi tirava la scotta, chi arrotolava le sartie, chi metteva
mano al timone, chi faceva vela, chi saliva sulla gabbia, chi gridava orza, chi
pioggia, chi suonava una trombetta, chi faceva fuoco coi cannoni e chi faceva
una cosa e chi unaltra.
22
Potremmo dire che agiscono qui due archetipi e modelli resistentissi-
mi: i cui residui attraversano lossessione controriformistica e barocca
del peccato e della caduta. Esemplarmente, Klein ci ricorda che
Josse Bade, nella sua Grant nef des folles, fa rappresentare Eva come madre stolta,
e colloca la caduta su una nave dei pazzi. Il platonismo cristiano risulta eviden-
ziato dalla classifcazione delle follie e vizi in base ai cinque sensi che hanno la
loro radice in Eva.
Anche nella faba di Basile i due protagonisti sono accusati del peccato
grave della carne e della sensualit: e Vastolla la madre stolta, cacciata
con i due fgli su una botte che si trasforma in nave. Ci segnala Klein che
la traduzione francese della Nave dei pazzi di Brant, ad opera di Pierre
Rivire , aggiunge al capitolo primo questi versi: Je suis des grans folz
navigans / Sur la mer du monde profonde . La verit che risulta facile
allinterno di questa flosofa o di questa religione passare dal mondo
come follia alla follia come vizio .
Questultimo concetto in realt vecchio quanto il platonismo cristia-
no; forse lo si deve far risalire a san Girolamo che ha tradotto il primo
verso del salmo lii con Dixit insipiens in corde suo, mentre il signifcato del
22. Ivi, p. 85.
pasquale guaragnella
140
termine ebraico naval sarebbe quello di villano, oppure cattivo, pi che
stolto. Naval, villano, stolto: questa la progressione semantica: del re-
sto, in questo ambito di archetipi, la nave dei pazzi anche contrappo-
sta a quella della chiesa e della salvezza .
23
Non diversamente, nella faba
di Basile, Vastolla, dopo aver espresso il desiderio di vedere trasformata
la botte in una nave, signifcativamente chieder a Peruonto, alla fne
della giornata, di trasformare la nave in un bel palazzo. La faba potrebbe
concludersi qui: ma non si conclude ancora. Questa rappresentazione
damore polemicamente atteggiata nei confronti del mito ha bisogno di
un suo epilogo: altrimenti la felicit di Vastolla e Peruonto, a mezzo del
racconto fabesco, sarebbe una felicit risolta soltanto in un palazzo in-
cantato, ancora muto. La voce lontana dei padri dovr fondare la voce
dellamore veramente felice.
Infatti, mentre il palazzo nel quale vivono ormai Vastolla e Peruonto
sembra designare il fondamento della felicit, locchio di Basile si sposta
e ci rinvia a unaltra casa: essa in rovina ed la casa del padre di lei, il re.
Intanto, per distrarlo da una invincibile tristitia i cortigiani lo esortano a
trovare ricreazione nella caccia. E non un caso che proprio la caccia
porti il re lontano, tanto che, sul far della sera, gli sar impossibile far ri-
torno alla reggia. In una situazione ambientale siffatta, il re ha occasione
di volgere lo sguardo a una lucernetta alla fnestra di un altro palazzo, a
noi noto: quello di Peruonto e Vastolla. Non solo la tristitia del re, come
evidente, ma anche la felicit di Peruonto e Vastolla stanno per trovare
il loro compimento: perch una felicit senza la benedizione dei padri
solo una maschera della felicit. Baster ripercorrere, a riprova, il flo di
questa ricerca: non solo ad opera del re, ma anche ad opera di Vastolla e
Peruonto:
il re, che da quel giorno in cui gli era capitato questo disastro era stato sempre
pieno fno alla gola di lasciami stare, fu portato per svago a caccia dai suoi corti-
giani; dove, sorprendendoli la notte e vedendo brillare una lucernina a una fne-
stra di quel palazzo, mand un servitore a chiedere se lo volevano alloggiare.
24
23. Klein, La forma e lintelligibile, cit., p. 486.
24. Basile, Lo cunto de li cunti, cit., p. 87 (le successive indicazioni dei soli numeri di
pagina dir. nel testo).
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
141
Il re dunque entra nel palazzo, sale su per le scale, attraversa le stanze;
non incontra nessuno salvo i due fanciulli che gli dicono Nonno, non-
no . Prime voci, prime parole: e non a caso da due infanti. Qui ricomin-
cia lamore, qui il cominciamento della vera felicit: perch lattraver-
samento delle stanze come lo svolgersi di una poesia damore che nelle
stanze ricerca la voce sua pi segreta. E che cosa si nasconda nelle stanze,
si pu ora cominciare a intuire: Mnemosine, la memoria. E non un
caso che a dar voce le prime voci alla memoria sepolta sia il convito,
consumato alla presenza dei due infanti e di una musica dolce:
e sedendosi stanco a una tavola, vide che mani invisibili stendevano l tovaglie
di fiandra portavano piatti pieni di questo e di quello, tanto che mangi e bevve
veramente da re, servito da quei bei ragazzi e mai si interruppe, fnch rimase a
tavola, una musica di colascioni e tamburelli che gli penetr fno alle ossicine dei
piedi (p. 87).
Il re solo nella stanza, con la propria memoria alimentata dalla musi-
ca e dalla presenza dei due fanciulli. Infatti, gli altri cortigiani siedono a
cento altre tavole apparecchiate nelle altre stanze ; altre tavole, dunque,
per i cortigiani e, soprattutto, altre stanze. Di poi, per il re, come per gli
altri, il sonno della notte, ristoratore, varr ad accarezzare con nuova
dolcezza la memoria. E trascorre pertanto il tempo in cui le tenebre do-
vranno fnalmente cedere il luogo alla luce, ovvero alla ripresa della pa-
rola e del linguaggio dei nomi . Infatti, venuta la mattina, e volendo
ripartire, il re voleva portare con lui i due bambini; ma apparve Vastolla
con il marito e gettatasi ai suoi piedi gli chiese perdono, raccontandogli
tutte le sue fortune (p. 89). Lautentica felicit potr dunque realizzarsi
non gi nel bellissimo palazzo di Peruonto e Vastolla, ma nellaltra casa:
ovvero la casa di sempre, quella dei padri.
Avevamo detto allinizio, a proposito della fgura dello stolto, ovvero
di colui che compie azioni almeno allapparenza prive di senso, che nel-
le fabe di Basile lidiota, nel signifcato appunto di un emblema del non-
sense, riguadagna simpatia in risposta allintellettualismo del secolo e alle
scoperte del Nuovo Mondo: lidiota, lo stolto nemico della malinconia,
le sue parole sembrano dettate da un oracolo, e proprio per questo egli
il custode di unarcaica saggezza. Tuttavia, allinterno di questo clima di
pasquale guaragnella
142
simpatia la fgura basiliana dellidiota rappresenta soprattutto linvito ad
una interpretazione letterale del mondo. Ci non stupisce: a ben guar-
dare, difatti, tutto quello che in fatto di paradossi abbiamo ereditato dal-
la tradizione deriva da azioni letterali di insensati. faceva notare
Thompson a titolo esemplifcativo che lespressione cercare un ago in
un pagliaio nasce da una faba in cui appunto un idiota tentava questa
diffcile operazione.
25
In Basile, un corrispettivo dello stolto nel senso, si detto, di perso-
naggio che interpreta alla lettera la realt che gli si para dinanzi, e per
conseguenza reagisce alla lettera, rappresentato da Vardiello, protago-
nista del quarto cunto della prima giornata de Lo cunto de li cunti. Gi la
descrizione fornita in apertura del racconto introduce effcacemente la
tipologia di personaggio: inspiegabilmente fglio di Grannonia dApra-
no , donna di molto giudizio , Vardiello invece il pi sciagurato
semplicione di quel paese . La mamma, i cui occhi, come quelli di tutte
le mamme sono incantati e stravedono, aveva per lui un amore profon-
dissimo e se lo covava e lisciava continuamente come se fosse la creatu-
ra pi bella del mondo . Anche in questo caso prevale il topos dellamo-
re materno, orbo rispetto ai difetti del fglio stolto, e dei suoi comporta-
menti insensati: il percorso che nel racconto porter al momento cen-
trale, che a sua volta rappresenter loccasione per Vardiello di ricavare
dal suo destino di stolto e fautore di gesti insensati un qualche vantaggio,
sar costellato di brutte disgrazie , che come gli anelli di una catena
andranno, nello spazio di una breve narrazione, a saldarsi, dando luogo
a un quadro di disastri domestici. Interpretando alla lettera le racco-
mandazioni di sua madre, uscita di casa per sbrigare delle faccende, Var-
diello si apprester difatti a ricacciare la chioccia nella sua camera; se-
nonch
la chioccia non muoveva una zampa e Vardiello, vedendo che la gallina faceva
lasino, dopo lo sci sci si mise a sbattere i piedi, dopo lo sbattere i piedi a gettare
il cappello, dopo il cappello le lanci un matterello, che, cogliendola in pieno, le
fece tirare le cuoia e allungarle i piedi (p. 97).
25. Si veda S. Thompson, La aba nella tradizione popolare, Milano, Il Saggiatore, 1979
(ed. orig. 1946).
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
143
Ancor peggiori saranno, paradossalmente, i risultati del tentativo di
Vardiello di rimediare al danno compiuto: per salvare le uova, private
del calore della mamma chioccia, Vardiello calate le braghe, si sedette
subito sulla cova ma, andando gi di colpo, ne fece una frittata ; per non
perdere laffetto di sua madre di fronte a queste due disgrazie decide
di nascondere la chioccia scegliendo il pi idoneo dei sistemi: cuocendo-
la allo spiedo per mangiarla. In questo caso si ha quasi limpressione che
Vardiello debba riuscire nellimpresa: inflata la chioccia in uno spiedo, e
fattala cuocere, gli riesce addirittura di apparecchiare la tavola; ma quan-
do, volendo spillare un boccale di vino per accompagnare il pasto, egli si
alza dal desco, ecco che le disgrazie della realt tornano a incom-
bere:
sul pi bello della mescita, sent un rumore, un fracasso, una rovina per la casa
[]: per questo tutto spaventato, girati gli occhi, vide che un gattone aveva arraf-
fato la chioccia con tutto lo spiedo. [] Vardiello per rimediare a questo danno
si lanci come un leone scatenato addosso alla gatta e per la fretta lasci stappato
il barilotto e, dopo aver fatto a acchiappami per tutti gli angoli della casa, recuper
la gallina ma il barilotto sera vuotato (p. 99).
Al ritorno dalle sue commissioni, insomma, la madre di Vardiello trove-
r realizzate tutte le disgrazie che con i suoi consigli si era proposta di
evitare: consigli che, interpretati alla lettera dal fglio, avevano fnito per
perdere il loro signifcato, divenendo, forse, essi stessi insensati di fronte
ai comportamenti esattamente opposti di Vardiello. Ma sentite tutte le
disgrazie, sempre animata da inestinguibile amore materno, Grannonia
ebbe da fare e da dire per togliere dalla testa di Vardiello [il suo] umore
malinconico . Ed per porre rimedio allumore melanconico del fglio
che Grannonia gli affda un incarico che, date le fattezze del personag-
gio, non sembra esagerato defnire di responsabilit: datogli un bel pez-
zo di tela, gli disse di andarlo a vendere, avvertendolo di non trattare
questaffare con persone di troppe parole .
Ci si aspetterebbe, forse, che il comportamento di Vardiello subisca
una decisiva inversione di tendenza, come in una sorta di miracolo det-
tato dalla responsabilit: ma questo non accade. Vardiello, difatti, si com-
porter esattamente alla stessa maniera, nella chiave di una interpreta-
pasquale guaragnella
144
zione letterale delle raccomandazioni ricevute: ma in questo caso la sua
stoltezza, il non tradurre il suo senso (inteso come sentire) in buon-
senso, ovvero in duttilit rispetto alle circostanze, sar la fonte di una
inaspettata fortuna per sua madre. Uscito di casa per andare a compiere
la sua missione, gridando per la citt di Napoli [] tela, tela! [], a
quanti gli chiedevano Che tela questa?, lui rispondeva non fai per
me, parli troppo . Il percorso di Vardiello continua in questi termini
fnch, scorta nel cortile di una casa disabitata una statua, le si rivolse con
una domanda; e vedendo che questa non rispondeva
gli sembr un uomo di poche parole e aggiunse Vuoi comprarti questa tela, ti
faccio un buon prezzo? . E vedendo che la statua continuava a tacere, disse Pa-
rola mia, ho trovato quello che cercavo! Prenditela e falla esaminare e dammene
quel che vuoi, domani torno per i denari (p. 101).
Nellassurdit, nel nonsense di questa scena costruita ad arte da Basile per
il suo personaggio sar, si detto, la scoperta di una fortuna inaspettata:
tornato al giardino il giorno seguente, egli interrogher la statua per
chiederle se fosse disposta a dargli quei quattro soldini per il bel tocco
di tela ricevuto,
vedendo che la statua restava muta, afferr un sasso e glielo scagli con tutta la
forza [] tanto che gli ruppe una vena, e fu la salvezza per casa sua, perch,
crollati quattro pietrosi, scopr una pentola piena di monete doro, che afferr a
due mani e corse a rompicollo verso casa gridando: Mamma, mamma, quanti
lupini rossi, ma quanti, ma quanti! (p. 103).
Il dovere della madre, per resta pur sempre quello di proteggere il
fglio dai suoi comportamenti senza senso che, ella sa per certo, non sono
scomparsi di certo allapparire delle monete doro: dunque ella inventa
per il fglio un passatempo parimenti stolto, insensato, che allontani da
lui il desiderio e la possibilit concreta di raccontare laccaduto a quanti
avesse incontrato. E dunque, fattolo sedere sulluscio di casa ad aspettare
il lattaio, la mamma fece grandinare per pi di mezzora dalla fnestra
pi di sei rotoli di uva passa e fchi secchi ; e Vardiello, fedele a se stesso,
li raccoglieva e strillava: Mamma, mamma, tira fuori catini, metti ti-
nozze, prepara secchi, perch se dura questa pioggia diventiamo ricchi.
il nonsense in alcune fiabe del pentamerone
145
E quando se ne fu ben riempita la pancia, se ne and di sopra a dor-
mire .
Il successo dellespediente di Grannonia sembra quasi scoraggiare
ogni speranza, per il lettore, di assistere ad una redenzione di Vardiello:
senonch il quotidiano, labitudinario, spesso considerati innocui pro-
prio perch tali, altrettanto spesso forniscono allinsensato occasione di
sfuggire alla razionalit dellabitudine. Ed ecco che un giorno Vardiello,
assistendo ad un litigio tra due operai che si disputavano una moneta
doro trovata per terra , si lascia sfuggire ma non avendo affatto sento-
re che si tratti di una pericolosa fuga unaffermazione rivelatrice del-
la sua avventura: Che asinacci siete a litigare per un lupino rosso come
questo, io non ne tengo conto, perch ne ho trovato una pentola piena
piena (p. 103). A nulla, pare, sono valsi i sensati espedienti escogitati
dalla madre saggia per scongiurare il comportamento insensato di Var-
diello: il quale chiamato a rispondere davanti alla Corte del ritrova-
mento di un simile tesoro. Ma qui, complice anche certa giustizia terre-
na, si realizza, se vogliamo, la redenzione dello stolto: Vardiello, letteral-
mente interrogato dai giudici, alla lettera risponde di aver trovato le
monete in un palazzo, dentro un uomo muto, quando c stata quella
pioggia di uva passa e fchi secchi . Signifcativa della fnale (anche se,
forse, solo parziale) redenzione di Vardiello la conclusione del raccon-
to: il giudice incaricato di appurare laccaduto,
sentendo questo salto di nota a vuoto, subodor laffare e ordin che fosse inter-
nato in un ospedale, che era il giudice competente. Cos lignoranza del fglio
fece ricca la mamma e il giudizio della mamma pose rimedio allasinaggine del
fglio (p. 105).
La risposta di Vardiello espone senza dubbio la verit, ma enunciata
letteralmente: lo sciocco, e dunque il nonsense che sta alla base del suo
essere, non solo interpreta alla lettera ci che gli si dice, ma dice anche
letteralmente ci che gli accade. Nel suo racconto letterale, noi ricono-
sciamo il progetto di una lingua impossibile, opposta alle menzogne me-
taforiche e agli eufemismi della lingua cortigiana. Ha rilevato uno stu-
dioso che il vero prosecutore dellopera basiliana, Carlo Gozzi, non si
stancher di invocare un ritorno alla purit del nostro letterale linguag-
pasquale guaragnella
146
gio . Lidiota diviene cos il precedente immediato del mito del buon
selvaggio, ed inoltre, ristabilendo, in un certo senso, la sincerit dei rap-
porti delluomo col mondo circostante, si rivela fgura in un senso
simmetricamente rovesciato, e tuttavia al passo con il personaggio senza
nome del Saggiatore galileiano al passo con i paradigmi della nuova scien-
za alle origini dellet moderna.
147
Giuseppe Crimi
UN CASO DI POESIA NONSENSICA
SECENTESCA: I SONETTI DELLA BUGIA
DI FRANCESCO MOISE CHERSINO
La mappa del nonsense in mbito peninsulare soffre ancora di molte
lacune. quasi superfuo ricordare che, dalla seconda met del Quattro-
cento fno a tutto lOttocento, misurarsi con la poesia dellassurdo signi-
fcava fare i conti inevitabilmente con il Burchiello o con chi con tale
soprannome si era frmato. Va considerato un fatto innegabile, ossia che
la poesia nonsensica post-burchiellesca si origina e si sviluppa anche in
base al grado di ricezione dei versi del fortunato caposcuola. sintoma-
tico un caso, quello quasi metaletterario della coda di un sonetto che
invita a una disperante ricerca: Chi cercasse con pena / per ritrovare il
capo dun gomitolo, / legga nel terzo Ovidio sine titolo .
1
A lungo, pro-
babilmente, questi versi hanno parlato solo di riferimenti irreali.
2
Ora
interessante notare come almeno il sine titolo in questione corrisponda
ad unopera davvero esistente, ovvero agli Amores ovidiani: lo ricordava
Vittore Branca, riproponendo un passo delle Esposizioni del Boccaccio:
compose [Ovidio] uno [libro], partito in tre, il quale alcun chiamano Liber amo-
rum, altri il chiamano Sine titulo: e pu lun titolo e laltro avere, per ci che dal-
cuna altra cosa non parla che di suoi innamoramenti []; e puossi dire simile-
mente Sine titulo, per ci che dalcuna materia continuata, dalla quale si possa
intitolare, favella, ma alquanti versi duna e alquanti dunaltra, e cos possiam
dire di pezi, dicendo, procede (iv litt. 119).
3
1. Si trae la citazione da I sonetti del Burchiello, a cura di M. Zaccarello, Torino, Einau-
di, 2004, cxlvi 15-17, p. 206 (= SB); cfr. il commento ad locum.
2. Sul passo si veda L. Spagnolo, rec. a I sonetti del Burchiello, cit., in La lingua italiana ,
ii 2006, p. 162 n. 3. Raffaele Nigro parafrasa: Legga nel terzo libro di unopera di Ovidio
che qui non nomino (in Burchiello e burleschi, a cura di R. Nigro, Roma, Ist. Poligrafco e
Zecca dello Stato, 2002, p. 205). Cfr. pure D. De Robertis, Una proposta per Burchiello
(1968), in Id., Carte didentit, Milano, Il Saggiatore, 1974, p. 122.
3. Passo citato in G. Boccaccio, Decameron, nuova ed. a cura di V. Branca, 2 voll.,
Torino, Einaudi, 1992, iv Intr. 3 (vol. i p. 460 n. 1). Si veda anche M. Picone, Linvenzione
della novella italiana. Tradizione e innovazione, in La novella italiana. Atti del Convegno di
giuseppe crimi
148
Un senso, quindi, allinterno del nonsenso. Questo piccolo esempio
appare istruttivo, perch, in modo analogo, un poeta deciso a seguire la
musa comica, adottando come referente un testo alla burchia, gene-
ralmente spacciato come privo di ragione, nellatto della scrittura scim-
miesca non faceva che riprodurre e moltiplicare ci che del testo epi-
dermicamente aveva compreso, depauperando nella maggior parte
dei casi loperazione iniziale.
4
Nel 1952 Michele Messina, nel tentativo
primordiale di fornire un proflo sintetico della fortuna del barbitonso-
re di Calimala e della poesia burchiellesca in genere, precis in modo
lapidario che nel Seicento poche notizie si possono spigolare sul Bur-
chiello; assai scarsa la sua for tuna in questo secolo spagnolescamente
grave e cattolicamente ombroso .
5
Tuttavia, a proposito degli imitatori
secenteschi Messina additava autori come francesco Ruspoli,
6
Pier
Caprarola, 19-24 settembre 1988, Roma, Salerno Editrice, 1989, to. i pp. 119-54, a p. 145 e n.
23, e L. Battaglia Ricci, Boccaccio, ivi, id., 2000, p. 149. Per il passo burchiellesco proporrei,
quindi, di stampare sine con la maiuscola iniziale.
4. A questo proposito cfr. il caso riportato da M. Zaccarello, An unknown Episode of
Burchiellos Reception in the early Cinquecento: Florence, Biblioteca Riccardiana, Ms 2725, fols 80r-
131v, in The Modern Language Review , 100 2005, p. 93, per i versi della coda di un so-
netto tratto dal ms. Ricc. 2725 (xxxi 15-17), Leggi nel nono Statio / et troverrai come l
sole inacquato / non pu mai rasciughar bene un buchato , i quali, secondo lo studioso,
si ispirerebbero proprio alla coda succitata. Una riscrittura quasi automatica si legge anche
in Domenico di Giovanni detto il Burchiello, Sonetti inediti, raccolti ed ordinati da M.
Messina, firenze, Olschki, 1952, xxxiii 15-17, p. 33: Et ego dixi sibi: / Va, leggi Prisciano
al zero foglio, / troverai che lucerne vivon doglio . Diverso il caso di Alfonso de
Pazzi, che scrive in uno stile burchiellesco personale al quale si pu attribuire un signifca-
to pi chiaro anche in virt dei suggerimenti lasciati dallo stesso autore: si veda G. Masi,
Politica, arte e religione nella poesia dellEtrusco (Alfonso de Pazzi), in Autorit, modelli e antimodel-
li nella cultura artistica e letteraria tra Riforma e Controriforma. Atti del Seminario internaziona-
le di Urbino-Sassocorvaro, 9-11 novembre 2006, a cura di A. Corsaro, H. Hendrix e P.
Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2007, pp. 301-58.
5. M. Messina, Introduzione a Burchiello, Sonetti inediti, cit., p. 33. Le conclusioni sono
condivise da R. Nigro, Introduzione a Burchiello e burleschi, cit., p. xxxi.
6. Nella produzione del Ruspoli esaminata sono assenti testi nonsensici (cfr. f. Ruspo-
li, Sonetti, editi ed inediti col commento di A. Cavalcanti non mai fn qui stampato,
Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1968
2
, e Id., Poesie, commentate da S. Rossel-
li con altre edite ed inedite per cura di C. Arla, Livorno, Vigo, 1882); di intonazione
oscena i versi selezionati nellopuscolo Otto sonetti inediti di Francesco Ruspoli in aggiunta alle
sue poesie, s.i.t. [ma forse Livorno, Vigo, 1882]; cfr. C. Chiodo, Le rime burlesche di Francesco
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
149
Salvetti,
7
Lorenzo Panciatichi,
8
francesco Moneti e Anton francesco
Carli.
9

A osservare bene la mappa provvisoria abbozzata da Messina, il bur-
chiellismo secentesco allignerebbe sopratutto in terra toscana, ma va su-
bito precisato che nei succitati rimatori il nonsense latita abbondantemen-
te: i loro versi sfruttano la tradizione comico-realistica, insistendo su
motivi di stampo bernesco,
10
ma schivano di fatto laspetto alla bur-
chia. Certo, fno alla fne del Cinquecento il mito di Burchiello persiste,
se si pensa alle Rime del Lomazzo, molte delle quali sono improntate sul
nonsense,
11
o allesperienza di Giulio Cesare Croce, che compose anche la
Spalliera in grottesco alla burchiellesca (Bologna, s.e., 1597), di cui sono so-
pravvissute varie ristampe.
12
un periodo di transizione, questo (esplo-
Ruspoli (1981), in Id., Il gioco verbale. Studi sulla rimeria satirico-giocosa del Seicento, Roma, Bul-
zoni, 1990, pp. 93-114.
7. Sul Salvetti vd. M. Aglietti, Rime giocose edite e inedite di un umorista orentino del se-
colo XVII (Pier Salvetti), con note illustrative e cenni biografci e critici, firenze, Bertelli,
1904; G. Getto, Un poeta giocoso barocco (1952-1953), in Id., Barocco in prosa e in poesia, Milano,
Rizzoli, 1969, pp. 201-15; C. Chiodo, Anticonformismo, misura umana e formale nelle Rime
giocose di Pier Salvetti (1978), in Id., Il gioco verbale, cit., pp. 117-25; G. Ponsiglione, Tradizione
e innovazione nella lirica satirico-giocosa di Pier Salvetti, in Studi secenteschi , xlvii 2006, pp.
137-49.
8. Vagamente nonsensico il Ditirambo duno che per febbre deliri (si legge in L. Pancia-
tichi, Scritti vari, raccolti da C. Guasti, firenze, Le Monnier, 1856, pp. 73-88). Riscontri
negativi per i sondaggi su Curzio da Marignolle, Rime varie, con le notizie intorno alla
vita e costumi di lui, scritte da A. Cavalcanti, raccolte da C. Arla, Bologna, presso Gae-
tano Romagnoli, 1885, in partic. pp. 49-114.
9. Messina, Introduzione, cit., pp. 34-35 e n. 50.
10. Si veda a questo proposito E. Russo, Marino, Roma, Salerno Editrice, 2008, pp.
49-57.
11. Cfr. G.P. Lomazzo, Rime ad imitazione de i grotteschi usati da pittori con la vita del auttore
descritta da lui stesso in rime sciolte, a cura di A. Rufno, Manziana, Vecchiarelli, 2006. Per il
secondo Cinquecento vd. D. Romei, Ironia ed irrisione, in Storia letteraria dItalia. Il Cinque-
cento, a cura di G. Da Pozzo, to. iii. La letteratura tra leroico e il quotidiano. La nuova religione
dellutopia e della scienza, Padova-Milano, Piccin-Vallardi, 2007, pp. 1655-88.
12. Testi nonsensici sono pure assenti, per il versante tardo-cinquecentesco e per quel-
lo primo-secentesco, nella rassegna dei volumi Le pi belle pagine dei poeti burleschi del Sei-
cento, scelte da E. Allodoli, Milano, Treves, 1925; Parnaso Italiano. Poesia del Seicento, cura
di C. Muscetta e P.P. Ferrante, Torino, Einaudi, vol. ii, 1964, pp. 1109-676 (sez. Lettera-
tura e poesia popolaresca, giocosa e comica), e Cos per gioco. Sette secoli di poesia giocosa, parodica e
giuseppe crimi
150
rato poco, peraltro), in cui si fregiano del titolo di eredi della tradizione
burchiellesca, in genere, i fo rentini, come Alessandro Adimari.
13
Ma a parte rari casi, tra la fne del XVI secolo e gli inizi del XVII, sem-
bra che la poesia alla burchia dia segni manifesti di cedimento. Nel 1634,
Nicola Villani, nelle Rime piacevoli, scaglia un giudizio che suona ne gativo:
E vo cantando in numeri moderni / Come soglion cantar presso a la
tavola / i buffoni febei: il Burchiello e Berni .
14
Che il Seicento sia stato
un secolo allergico allo stile burchiellesco in senso proprio confermato
dai versi severi di Salvator Rosa: O febbo, o febbo, e dove sei ridotto? /
Questi gli stud son dun gran cervello? / Sono questi i pensier dun capo
dotto? / Lodar le mosche, i grilli, il ravanello / e laltre scioccherie chhan-
no composto / il Bernia, il Mauro, il Lasca et il Borchiello? .
15
satirica, a cura di G. Davico Bonino, ivi, id., 2001. Stesso discorso per il monumentale vol.
Burchiello e burleschi, cit. Carente nella sezione italiana, per il periodo in questione, anche
la breve disamina divulgativa di P.P. Rinaldi, Il piccolo libro del nonsense, pref. di S. Bartez-
zaghi, Milano, Vallardi, 1997. Sulla poesia giocosa secentesca un punto di partenza la
monografa di A. Asor Rosa-S.S. Nigro, I poeti giocosi dellet barocca, Roma-Bari, Laterza,
1975. Di scarsa utilit f. Neri, Burleschi del Seicento, in Id., Saggi di letteratura italiana francese
inglese, Napoli, Loffredo, 1936, pp. 229-35 (una sorta di recensione al vol. dellAllodoli).
13. Si veda il sonetto Tredici libbre di cervel dUlisse, / E cinque fla dorzo in un
canneto, / Un gallo, un gatto, una correggia, un peto / Profumaron la barba al Re Cam-
bisse; / E un che non parl mentre chei visse, / Le pecore e lovil si tir dreto, / E con un
pajol dacqua e un daceto / Dal cocuzzolo ai pi gli benedisse. / Levossi un grillo dal
giardin dAtlante / Dicendo: State su, gente indiscreta, / Che sha correr la posta per
Levante; / Ma la quistion fra lH e fra la Z / fece con lo starnuto dun gigante, / Chavan-
ti al Vespro si cant Compieta; / Allora una cometa / Nel ciel del forno minacciando
danni / Disse che morr presto il Prete Gianni (da Antologia burchiellesca, a cura di E.
Giovannetti, Roma, Colombo, 1949, p. 183). SullAdimari si rinvia a S. Mamone, Li due
Alessandri, in La passione teatrale. Tradizioni, prospettive e spreco nel teatro italiano: Otto e Nove-
cento. Studi per Alessandro dAmico, a cura di A. Tinterri, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 223-45;
Ead., Andromeda e Perseo: Cicognini, Adimari & co. sulle scene di Accademia a Firenze, in Teatri
barocchi. Tragedie, commedie, pastorali nella drammaturgia europea fra 500 e 600, a cura di S.
Carandini, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 409-38; B. Giancarlo, Introduzione ad A. Adimari,
La Polinnia [], a cura dello stesso, Terni, Thyrus, 2007, pp. 9-61.
14. Luogo ricordato da C. Chiodo, Le rime piacevoli di Nicola Villani (1980), in Id., Il
gioco verbale, cit., p. 215.
15. Si cita da S. Rosa, Satire, a cura di D. Romei, commento di J. Manna, Milano, Mur-
sia, 1995, ii 328-33, p. 80. Cfr. U. Limentani, La satira nel Seicento, Milano-Napoli, Ricciardi,
1961, p. 162: la satira di poco successiva al 1642. E ancora sul Burchiello il Rosa, ai vv.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
151
Nella ricerca di epigoni, sia pure indegni, ci si muove quindi in un
sottobosco insidioso e dissestato, certo bisognoso di altre scoperte. Un
piccolo tassello utile alla mappa da disegnare pu essere costituito da una
raccolta di sonetti (in un periodo, si osservi, in cui si predilige il capitolo
in terza rima per il versante comico) che val la pena di sottrarre alloblio.
Ne riporto innanzitutto il frontespizio:
BVGIE | capricci | fantastichi, | veri non veri, | Di diuerse fantasie. | Opera
piaceuole, e ridicolosa, nella qual si | raccontano varie, & innite galanterie. | Raccolte con
nuoua fatica del | chersano [segue incisione dello stampatore] | in brescia,
mdcx. | Per Bartolomeo fontana. | Con licenza de Superiori.
16
Prima di esaminare lautore con i testi, bene premettere qualche sin-
tetica annotazione sulle ragioni, pi o meno casuali, che mi hanno per-
messo di conoscere questo testo.
in corso di stampa, per mia cura, lopera di Baldassarre da fossom-
brone intitolata El Menzoniero overamente Bosa drello: si tratta di una raccol-
ta di cinquantasette sonetti caudati, scritta in modo verosimile tra il 1450
e il 1470 da uno dei segretari di Ludovico Gonzaga e di Barbara di Bran-
deburgo, presto caduto nel dimenticatoio.
17
Il testo fu stampato, quasi
466-68 della stessa satira (p. 83), scrive alludendo al commento doniano: La fama, in
somma, un colpo di fortuna: / Borchiello e Jacopone hanno il comento, / cotanto il
mondo regolato a luna! .
16. In 12, cc. 30. Registro: A-B6, C3. Esemplare consultato proveniente dalla Bibliote-
ca Alessandrina di Roma, con segnatura Misc. XIV A 22 4. In Italia ne esiste un secondo
esemplare, presso la Biblioteca Civica di Lodi, con segnatura Sez. iv, P. 240: cfr. Le edizioni
bresciane del Seicento. Catalogo cronologico delle opere stampate a Brescia e a Sal, a cura di U.
Spini, intr. e indici di E. Sandal, Milano, Editrice Bibliografca, 1988, p. 38 num. 164, sen-
za indicazione di segnatura, recuperata grazie alla disponibilit del personale della biblio-
teca laudense. Lopera veniva gi segnalata in repertor ottocenteschi: cfr. V. Lancetti,
Pseudonimia [], Milano, Pirola, 1836, p. 60, ed E. Weller, Lexicon Pseudonymorum [],
Regensburg, Alfred Coppenrath, 1886, p. 107. Per quanto riguarda la trascrizione, si distin-
gue u da v, si sciolgono i tituli, & viene resa con et, lh viene ricondotta alluso moderno, si
inseriscono la punteggiatura e le maiuscole ove necessarie, si impiega lapostrofo nei
plurali tronchi per distinguerli dalle omografe forme singolari. Si indicano gli interventi
sul testo in apparato; si introduce la numerazione dei sonetti con le cifre romane secondo
lordine progressivo nella stampa.
17. Per ora basti rinviare a G. Crocioni, Baldassarre da Fossombrone e il suo Menzoniero o
Bosadrello alla corte dei Gonzaga, in La Rinascita , xxxi 1943, pp. 224-57.
giuseppe crimi
152
certamente postumo, nel 1475 a ferrara dal prototipografo Severino da
ferrara, grazie anche alle fatiche di felice feliciano. I sonetti che com-
pongono la raccolta, in parte ispirati allesperienza burchiellesca in parte
imperniati su alcuni mirabilia medievali, rappresentano fnora lesempio
pi antico e pienamente consapevole delle poesie della bugia nella
nostra cultura letteraria.
18
Ai pi questa defnizione dir ben poco,
19
ma
in realt le poesie della bugia costituiscono un sottogenere poetico, certo
minoritario, praticato in Germania, in Inghilterra, in francia, in Russia e
persino in Turchia, almeno dal Duecento fno al Novecento, e cha ha
conosciuto estese propaggini popolari. Il Bosadrello riscosse una rapida
fortuna nel Cinquecento sotto il titolo di Bugiardello o Busardello come
opuscolo anonimo, mutilo di due sonetti, e con funzione ludica al
punto che ho potuto accertare la presenza di almeno tre diverse impres-
sioni (una quarta fu segnalata da Carlo Enrico Rava, ricomparsa di recen-
te nel mercato antiquario).
20
Nella recensio delle stampe, ho esteso la ri-
cerca a tutte le opere che contenessero nel titolo la parola bugia o ter-
mini affni, e cos mi sono imbattuto nel le Bugie, che, alla lettura, hanno
svelato una singolare sorpresa: dei centodieci sonetti caudati ospitati nel
volumetto, la met esatta stata prelevata da una delle edizioni del Bu-
giardello, ma, ovviamente, senza dichiarazione del plagio (in taluni casi
lautore pi o meno maldestramente si perfno preoccupato di ca-
18. Le prime ricerche sul genere furono condotte da G. Giannini, Canzoni alla rovescia,
in Rassegna nazionale , s. ii, a. xxxviii 1916, pp. 36-54, a cui fecero sguito le esplorazio-
ni di G. Cocchiara, Il mondo alla rovescia, pres. di P. Camporesi, Torino, Boringhieri,
1981
2
, pp. 164-74 per il versante italiano e pp. 175-86 per quello europeo; si veda anche il
pi recente C. Lapucci, Il libro delle lastrocche, Milano, Garzanti-Vallardi, 1987, pp. 125-55.
Un paio di esempi del genere sono riportati da P. Micheli, Letteratura che non ha senso,
Livorno, Giusti, 1900, p. 62 e n. 1.
19. Cfr. C. Mller-Fraureuth Die deutschen Lgendichtungen bis auf Mnchhausen, Hil-
desheim, Olms, 1965 (reprint delled. Halle, Niemeyer, 1881). Abbiamo esempi in abbon-
danza delle poesie della bugia anche nella letteratura inglese, come testimonia lottimo
lavoro di N. Malcolm, The Origins of English Nonsense, London, fontana Press, 1997: per
un panorama europeo delle origini si veda ivi, pp. 53-61. Un canto della bugia inglese,
adespoto e risalente al XV secolo, stato tradotto da Cocchiara, Il mondo alla rovescia, cit.,
p. 134.
20. Ho affrontato le questioni intorno al Bosadrello e alla sua fortuna nellintroduzione
e nella nota al testo delledizione, alle quali rimando.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
153
muffare lincipit). Gli altri cinquantacinque testi, che si presume siano
farina del sacco del Chersino, saranno editi in una delle appendici al
Bosadrello: in questa sede ci si limiter, in modo cursorio, a rilevare i mo-
tivi ricorrenti, soffermandosi sui testi pi emblematici della raccolta.
In primo luogo, appare assai preziosa la testimonianza di una produ-
zione comica volgare a Brescia (perdipi nonsensica) e a questaltezza
cronologica, vista la scarsit del materiale fnora disseppellito da biblio-
teche e archivi.
21
Ma faccio un passo indietro per cercare di aggiungere
qualche minimo dettaglio biografco sullautore, sul quale certamente
larchivio potrebbe essere pi generoso. Nella dedica dellopuscolo, che
si legge ai ff. 2a-2b, il versifcatore dichiara per esteso il suo nome, fran-
cesco Moise Chersino: la specifcazione Chersino (ma Chersano
nel frontespizio) rinvia senza diffcolt alla famiglia dei Moise di Cherso
dIstria.
22
Dopo una breve ricognizione, tra i titoli secenteschi ho rinve-
nuto lopera di un sospetto francesco Moise, ossia Le rose damore spiegate
da diversi illustri ingegni (Vicenza, Brescia, 1614):
23
si tratta di unantologia
21. Per la poesia a Brescia nel Cinquecento si rimanda a Storia di Brescia. vol. ii. La domi-
nazione veneta (1426-1575), Brescia, Morcelliana, 1963, pp. 513-27 e 571-95; mentre per il
Seicento cfr. ivi, vol. iii. La dominazione veneta (1576-1797), ivi, id., 1964, pp. 223-29, dove si
segnala la presenza del poeta scherzoso Martino Aldigeri. Alcuni testi secenteschi in
dialetto bresciano sono stati antologizzati nel vol. Nuova antologia del dialetto bresciano, a
cura di A. Fappani e T. Gatti, pres. di G. Valzelli, Brescia, La Voce del Popolo, 1978, pp.
49-66. Tra le opere a carattere popolare stampate a Brescia nel Cinquecento si segnalano
El Costume delle donne (Damiano e Giacomo filippo Turlini, 1536), il Contrasto de Lacqua e
del Vino (ivi, s.a.) e la Frottula noua tu nandare col bocalon (ivi, s.a.): per la descrizione vd. C.
Angeleri, Bibliograa delle stampe popolari a carattere profano dei secoli XVI e XVII conservate
nella Biblioteca Nazionale di Firenze, firenze, Sansoni Antiquariato, 1953, numm. 12, 7 e 165.
Su altre stampe a carattere comico si veda E. Sandal, La stampa a Brescia nel Cinquecento.
Notizie storiche e annali tipograci (1501-1553), Baden-Baden, Koerner, 1999, passim. Opere,
sempre impresse a Brescia e di impronta comica, vicine cronologicamente alle Bugie del
Chersino sono G.C. Croce, Operetta bellissima doue sintende alquante stantie ridiculose. Con la
tramutatione di quelle, & ogni cosa fatta per ridere, s.i.t. (ma forse la data intorno al 1575), e
Poncino Dalla Torre, Le piacevoli, e ridicvlose facetie [], Brescia, Policreto Turlini, 1599.
22. La Piccola Enciclopedia Giuliana e Dalmata, diretta da S. Cella, Gorizia, LArena di
Pola, 1962, p. 133, defnisce quella dei Moise antica famiglia chersina del corpo nobile
cittadino (vi sono riferimenti anche al nostro autore). fuori strada, invece, Vincenzo
Lancetti, che considerava il nome uno pseudonimo (Lancetti, Pseudonimia, cit., p. 60).
23. Il frontespizio recita: LE ROSE | DAMORE | SPIEGATE DA DIVERSI | ILLVSTRI
giuseppe crimi
154
di poesie amorose di vari autori, che ha conosciuto una seconda ristampa
(Vicenza, Grossi, 1615).
24
Anche se in questo caso nel frontespizio non si
specifca lorigine del curatore, egli stesso che si premura di palesarla,
ancora una volta nella lettera di dedica (a p. 3), quando scrive:
Alli molto Illustri sig. giovani gentilhuomini chersani. Lesserio nato in una
Patria medesima insieme con voi, mi mette in obligo di vera affezzione, accom-
pagnata da un vivo desiderio dhonorarvi in ogni occasione nel miglior modo
chio posso.
A ci si aggiunga che, a p. 5, la lettera si conclude con lindicazione:
Da Brescia il i. di Genaro 1614. Il vostro compatrioto francesco Moise .
Quindi francesco Moise scrive da Brescia, luogo in cui era stato dato
alle stampe il nostro opuscolo sulle bugie (credo che si possa pacifca-
mente ritenere che si tratti dello stesso autore). E specifca il suo nome
da accademico spalancato, ossia lAllegro;
25
nella succitata ristampa del
1615 il Moise che questa volta dedica lopera, oltre che ai gentiluomini
di Cherso, alla nobile vicentina fulvia Zuffati
26
fgura come apparte-
INGEGNI | In grado della Giovent Virtuosa. | Raccolte con nobil pensiero | DA fRANCE-
SCO MOISE. | NellAcademia de Spalancati | LALLEGRO. | Con licenza de Superiori [segue
fregio] | IN VICENZA, | PER IL BRESCIA. | MDCXIV , pp. 116 (esemplare della Bibliote-
ca Alessandrina di Roma, segnatura Misc. XIV a 46 3). Una diversa impressione (per via
del frontespizio lievemente differente e per il numero complessivo delle pagine, ossia
120) quella conservata nella Biblioteca dellArchiginnasio di Bologna con segnatura 16
B VII 10 (6) e descritta in f. Giambonini, Bibliograa delle opere a stampa di Giambattista
Marino, 2 voll., firenze, Olschki, 2000, vol. i pp. 343-44 (num. 296).
24. Si veda ivi, vol. i pp. 344-47 (num. 297; provenienza: Venezia, Biblioteca Marciana,
segnatura 202 c 158). Aggiungo che un esemplare delledizione del 1614 e un altro del 1615
sono conservati nelle biblioteche doltralpe: cfr. S.P. e P.H. Michel, Rpertoire des Ouvra-
ges imprims en langue italienne au XVII
e
sicle conservs dans les bibliothques de France, vol. v,
Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifque, 1975, p. 184.
25. LAccademia degli Spalancati ignota al regesto di M. Maylender, Storia delle Ac-
cademie dItalia, 5 voll., Bologna, Cappelli, 1928-1930, vol. v, n viene ricordata tra quelle
bresciane della seconda met del Cinquecento e dei primi del Seicento (cfr. Storia di Bre-
scia, cit., vol. ii pp. 508-12 e vol. iii pp. 213-16).
26. Trovo menzionata la Zuffati sempre ammesso che si tratti della stessa persona
nellopuscolo Per lo inestimabile, et inimitabile lavoro di esquisitissimo ricamo opera delle virtuosis-
sime signore madri Fulvia Zuffati, et Diamante Viola professe in S. Dominico di Vicenza. Idillio
danonimo a instanza di A. Sperindio, In Verona, per Gio. Battista, & fratelli Merli, 1653
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
155
nente allAcademia de Capricciosi con il nome emblematico di fanta-
stico: si ricordi che il titolo dellopuscolo qui esaminato contiene il sin-
tagma capricci fantastichi .
27
Il Chersino lasci anche un prontuario di epistolografa amorosa: la
stampa pi antica di cui fnora si ha notizia quella indicata da Maria C.
Napoli (che per, forse per una mala lettura, indica lautore con il nome
di Moise Cherbino ): Amori di Fileno. Lettere scritte a Rosalba [1638 ca.].
28

(esemplare conservato presso la Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza, segnatura Gonz
296 018: ringrazio il personale della biblioteca per lindicazione).
27. Il termine capricci gi spiccava nel frontespizio del Dono, ouer presente di varii, e
diuersi capricci bizzarri, mandato da vn humor fantastico di era alla sua dama; con il disegno dvna
spalliera in grottesco alla burchiellesca. Et un sonetto molto curioso nel ne; Di Giulio Cesare dalla
Croce, In Bologna, presso gli heredi di Gio. Rossi, 1597 (Bologna, Biblioteca dellArchigin-
nasio, segnatura A V G IX 1, op. 400) e in quello dei Capriccii, et nuove fantasie Alla Venetiana,
Di Pantalon de Bisognosi [] (Venezia, Biblioteca Marciana, Misc. 2402 5; descrizione di
questo opuscolo in A. Segarizzi, Bibliograa delle stampe popolari della R. Biblioteca Naziona-
le di S. Marco di Venezia, vol. i [unico pubblicato], Bergamo, Ist. Italiano dArti Grafche,
1913, pp. 290-96): si noti, peraltro, laggettivo fantastico nel primo opuscolo e il sostan-
tivo fantasie nel secondo. Per luso di fantastico va menzionata anche la quasi coeva
fANTASTICA | VISIONE | Di Parri da Pozzolatico, moderno| in Piandigiullari. [se-
gue fregio] | IN LUCCA, | mdc. xiii. | Con Licenza de Superiori (opera di Alessandro Allegri).
altrettanto vero, come nota Silvia Longhi, che capricci e fantasie sono lemmi che
contraddistinguono anche la poesia burlesca primo-cinquecentesca (cfr. S. Longhi, La
poesia burlesca, satirica, didascalica. i. Il Cinquecento, in Manuale di letteratura italiana. Storia per
generi e problemi, a cura di f. Brioschi e C. Di Girolamo, vol. ii. Dal Cinquecento alla met
del Settecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, p. 296). Per quanto riguarda lAcademia de
Capricciosi, invece, in Maylender, Storia delle Accademie dItalia, cit., vol. i p. 502, con que-
sto nome sono ricordate quattro accademie (Cartoceto, Crispino, Pisa, Viterbo), ma sono
attive soprattutto nel tardo Seicento e quindi incompatibili con il nostro caso. Un Bizzar-
ro Accademico Capriccioso invece operante a Roma negli anni 1620-1621 (cfr. Dizionario
enciclopedico universale della musica e dei musicisti, diretto da A. Basso, Le Biograe, vol. i, Tori-
no, Utet, 1985, p. 545).
28. La data si presume dalla richiesta di permesso di stampa (20 giugno 1637) e dalla
presenza negli elenchi Ginammi del 1640 (M.C. Napoli, Limpresa del libro nellItalia del
Seicento. La bottega di Marco Ginammi, Napoli, Guida, 1900, p. 100, e vd. anche p. 144). Con
il titolo Amori di Fileno scritti a Rosalba abbiamo una ristampa a Verona nel 1670 e una a
Venezia remondini, 1680 circa (ma ne viene indicata anche una terza a Venetia, D. Lovisa,
s.d.): si tratta di un opuscolo che viene registrato in alcuni cataloghi ottocenteschi e che
per non sono riuscito fsicamente a recuperare. Ne esiste una ristampa settecentesca
(francesco Moise Chersino, Amori di Fileno scritti a Rosalba in lettere amorose, aggiuntovi di
nuovo Le lettere amorose famigliari dellIretreo, ed altre da vari autori, Milano, frigerio, Allievo
giuseppe crimi
156
E allo stesso autore dovrebbe essere imputata la Scielta di varie sorti dottaue
amorose, bellissime, in lingua Ceciliana, & Madrigali. Cosi raccolte per il Chersino,
Brescia, per francesco Comincini, 1628.
29
Possiamo fornire informazioni supplementari su francesco Moise
poeta: alcuni suoi versi in latino vengono inclusi nella terza edizione de
Lo stato rustico di Gian Vincenzo Imperiali (Venezia, Evangelista Deuchi-
no, 1613),
30
nella quale il poema era accompagnato da omaggi in versi al-
lImperiali, offerti da poeti contemporanei.
31
Un autore, quindi, il nostro,
del Gagliardi & Nava, 1732: cfr. G. Marchiesi, Romanzieri e romanzi del Settecento [],
Manziana, Vecchiarelli, 1991 [rist. anast. ed. 1903], p. 374). probabile che alcune delle
lettere siano state ristampate ne Il segretario alluso moderno, nel quale vi sono le formole di ogni
genere di lettere, col modo di spedire patenti per gli ofciali, e governatori di diverse parti. Aggiuntavi
unannotazione a Tommaso Costo da Giacinto Granozio Amadeo. Con nuova aggiunta. Di lettere
amorose del Clinica, del Gabrieli, e del Chersino, In Venezia, s.e., 1752, con una ristampa lanno
seguente e una terza ed. Napoli, Migliaccio, 1762. Altre due edizioni ottocentesche (1864
e 1873) sono registrate da G. Giannini, La poesia popolare a stampa nel secolo XIX, con pref.
di L. Sorrento, 2 voll., Udine, Ist. delle edizioni accademiche, 1938, vol. ii pp. 645-46,
alle quali aggiungo unedizione del 1800 ca. (Milano, gli eredi di G. Agnelli), di cui si co-
noscono due esemplari (British Library, General Reference Collection, 10910 b 14, e Bi-
bliothque Nationale de france, Tolbiac-Rez de Jardin-Magasin 16 Z 8360) e unaltra del
1845 (Parma, ferrari). Si rivela preziosa la notizia offerta da Giuseppe Vidossi nel recen-
sire proprio il volume di Giannini: Sospetto poi (ma forse il sospetto infondato) che in
francesco Mos Chersino, Chersino sia indicazione della patria, Cherso dIstria, dove
esiste un casato Moise, reso noto dallabate Giovanni, autore dunottima grammatica
italiana (G. Vidossi, in Giornale storico della letteratura italiana , cxiv 1939, p. 228).
Lanonimo curatore di un elenco di libri in vendita (Curiosa [], Catalogo Secondo, fi-
renze, Sansoni Antiquariato, 1949, p. 66 num. 217), nel presentare il vol. Amori di Fileno
scritti a Rosalba, identifcava lautore con lo stesso delle Rose damore. Gli Amori sono men-
zionati nel romanzo Il naufragio felice allo scoglio del Disinganno (1780 ca.), come segnala G.
Aleri, La lingua del consumo, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifo-
ne, vol. ii. Scritto e parlato, Torino, Einaudi, 1994, p. 181 e n. 33.
29. Ne ho notizia dal Catalogue of Seventeenth Century Italian Books in the British Library,
vol. i: A-L, London, The British Library, 1990
3
, p. 222: la segnatura 1071 g 16 (i).
30. Descrizione in Giambonini, Bibliograa, cit., vol. i pp. 325-28 (num. 292); la sezione
contenente le rime di francesco Moise indicata a p. 327. Gli incipit dei testi sono i se-
guenti: Rustica Vincenti, dum pangis commoda tecum; Dum Rus Musa probat, dum ciues crimine
tangit; Rusticus agresti proscindit vomere terram; Italides Muse, nam et vos iam munere diuum; Ite
tryumphales circum sacra tempora lauri, e O ego qum tecum, Vincenti, Heliconis in hortos.
31. Cfr. A. Belloni, Il Seicento, Milano, Vallardi, 1929
3
, p. 238 n. 42; C. Colombo, Cul-
tura e tradizione nell Adone di G.B. Marino, Padova, Antenore, 1967, p. 68; O. Besomi, Ricer-
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
157
non proprio isolato, e che nei primi decenni del Seicento si adoper
nella divulgazione di opere altrui soprattutto con fni didattici.
Torniamo di nuovo allopuscolo sulle bugie. Per ricostruire il contesto
culturale nel quale i sonetti vengono scritti, qualche altra notizia si pu
strappare alla lettera di dedica. Ai ff. 2a-2b si legge:
Al favoloso Mausoleo di Zan Tabarino.
Queste pompose et autentiche bugie, capricci straordinari, veri, non veri,
inpropriamente proportionati a chiunque fabrica castelli in aria francesco Moi-
se Chersino perpetuamente annoda et inchioda senza aver pensiero daltro che
della verit.
Una dedica asciutta ma eloquente: lo Zan Tabarino in questione era al
secolo Giovanni Tabarin, un celebre attore forito nella seconda met del
Cinquecento, il quale interpret spesso il ruolo di Zanni.
32
Ora nel son.
lxxxv 13 della raccolta citato il Ganassa, ossia Alberto Ganassa, altro
celebre attore, anchegli interprete del ruolo di Zanni.
33
Il contesto, quin-
di, sembrerebbe ricondurre, almeno parzialmente, alla Compagnia dei
Gelosi, attiva allincirca tra il 1574 e il 1604.
34
Come anticipato, i versi di francesco Moise si inscrivono nel flone
delle poesie della bugia. Il punto di riferimento il Bugiardello, dal qua-
che intorno alla Lira di G.B. Marino, ivi, id., 1969, pp. 190-91; E. Russo, Imperiale Gian Vin-
cenzo, in Dizionario biograco degli Italiani, Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, vol. lxii
2004, p. 298.
32. Sul personaggio si veda O.G. Schindler, Zan Tabarino, Spielmann des Kaisers. Ita-
lienische Komdianten des Cinquecento zwischen den Hfen von Wien und Paris. Mit 10 Abbildun-
gen, in Romische historische Mitteilungen , 23 2001, pp. 411-544. Si ricordi che a Brescia
era stato ristampato nel 1582 lopuscolo di Giulio Cesare Croce lOpera noua nella quale si
contiene il maridazzo della bella Brunettina. Sorella de Zan Tabar canaia de Val Pelosa. Et vna vi-
lanella in dialogo napolitana, con vn sonetto sopra lagio, cosa molto diletteuole, degna da esser letta da
ogni spirito gentile.
33. Cfr. Pisciava allor la zana nella secchia, / per far al mio Ganassa un pastolato / da
farlo andar tre anni a la galia (lxxxv 12-14). Si veda L. Rasi, I comici italiani. Biograa, biblio-
graa, iconograa, 3 voll., Firenze, Bocca, 1897, vol. i pp. 979-81; per i rapporti tra il Tabarino
e il Ganassa cfr. Schindler, Zan Tabarino, cit., pp. 462-70.
34. Sulla compagnia si veda A. DAncona, Origini del teatro italiano [], 2 voll., Roma,
Bardi, 1966 (ed. anast. delled. Torino, Loescher, 1891), ad indicem, e S. Ughi, Di Adriano
Valerini, di Silvia Roncagli e dei Comici Gelosi, in Biblioteca teatrale , vol. 3 1972, pp. 147-54.
giuseppe crimi
158
le desunto anche il refrain impiegato costantemente al v. 15, ma non
solo. La poesia della bugia, forse nata in Germania e che alla base delle
fatrasies e dei sonetti alla burchia, conosce varie forme metriche e con-
tiene immagini iperboliche, impossibili, improbabili o meravigliose,
facenti capo perlopi al motivo del mondo alla rovescia:
35
gi Claudio
Claudiano sintetizzava il senso da assegnare ai versi mendaci: Atque
aliquis gravior morum: si talibus, inquit, / Creditur et nimiis turgent
mendacia monstris .
36
Nella letteratura italiana, come esempio di versi sulla bugia successivi
al Bosadrello vengono generalmente indicati quelli di Pompeo Sarnelli
(1684), dove prevale la visione antropomorfa del mondo animale:
E lauta sera, quanno fuje la festa,
Pigliaje la ronca e ghiette a semmenare.
Trovaje no sammuco de nocelle:
Quanta ne cuze de chelle granate!
E benne lo patrone de le przeche:
E b che non te magne ste percca!
Laseno, che saglieva a lo ceraso
Pe cogliere no tmmolo de fco,
Cadette n terra, e se rompjo lo naso:
Li lupe se schiattavano de riso:
La vorpe, che faca li maccarune,
Li fglie le grattavano lo caso;
La gatta repezzava le lenzla,
Li srece scopavano la casa.
Esce no zampaglione da la votta,
Piglia la spata, e se ne va a la corte:
35. Non a caso la sesta parte delle Rime del Lomazzo, nella quale sono contenuti com-
ponimenti nonsensici, si apre con un sonetto i cui primi quattro versi fanno leva sulla
menzogna: Lalte menzogne e la mortal ruina / Mentrr in letto ciascheduna bella, / Et
io le pinsi sotto la padella, / Nel ritrovarmi sotto la cortina (in Lomazzo, Rime, cit., vi 1
1-4, p. 505). Da aggiungere che il tema del mondo alla rovescia viene lambito nella com-
media GlInganni del bresciano Nicol Secco, attraverso la citazione della frottola del
Zucca (ed. a cura di L. Quartermaine, Exeter, Exeter Univ. Printing Unit, 1980, ii v, pp.
26-27 e n. a p. 95).
36. C. Claudianus, Carmina, recensuit Th. Birt, accedit appendix vel spuria vel su-
specta continens, Berolini, Apud Weidmannos, 1892, p. 87.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
159
Sio Capetanio, famme no faore:
Piglia la mosca, e miettela mpresone!
La mosca se nascje pe la cancella
No povero cecato, na panella!
37
La raccolta del Chersino, costituita da centodieci sonetti, aperta da
un testo proemiale e chiusa, simmetricamente, da uno di congedo. Par-
tiamo da quello iniziale (i):
38
Per darvi un poco di piacer onesto
vho portato, signor, de le bugie,
ma di quelle non gi che sono arpie
del vero et util vivere modesto.
In somma, le buggie caggio nel cesto 5
son tutte al fne ziffere natie,
son tutte ben sensate dicerie,
tolte da Giove per millanni in presto.
Dimandate a Comin fornaro e a Toni
se son vere o bugiarde le mie rime, 10
channo sembiante di galanteria!
Me le dett il cervello de minchioni
e certe vecchiarelle e grince e grime
37. In P. Sarnelli, Posilecheata, testo, trad., intr. e note di E. Malato, firenze, Sansoni,
1962, p. 44. A titolo esemplifcativo si veda La lastrocca di bugie raccolta dai fratelli Grimm:
Vi voglio proprio raccontare una storia. Ho visto due polli arrosto volare svelti e avevano
le pance rivolte al cielo e le schiene allinferno, e unincudine ed una macina, senza fretta
nuotare sul Reno, piano pianino, e una rana a Pentecoste, se ne stava seduta a mangiare
un vomere sul ghiaccio. E cerano tre tipi che inseguivano una lepre e andavano con le
grucce e i trampoli, il primo era sordo, il secondo cieco, il terzo muto, e il quarto non
poteva muovere le gambe. Volete sapere come successo? Il cieco vide per primo la lepre
trotterellare sopra il campo, il muto chiam lo storpio, e lo storpio la acchiapp per il
collo. Quei tali che volevano navigare per terra, spiegarono la vele al vento e navigarono
attraverso grandi campi, poi navigarono su un alto monte dove affogarono miseramente.
Un gambero faceva scappare una lepre e in cima al tetto giaceva una mucca che si era
arrampicata fno lass. In questo paese le mosche sono grandi come qui le capre. Apri la
fnestra perch le fandonie possano volarsene via (J. e W. Grimm, Tutte le abe, a cura di
B. Dal Lago Veneri, Roma, Newton & Compton, 2003, 160, p. 440). Per altri componi-
menti si scorrano le suindicate pagine del saggio di Cocchiara (n. 18).
38. In questo sonetto si intervenuti al v. 12: la stampa aveva i, che si emendato in il.
giuseppe crimi
160
cavevan la forma de lastrologia. 15
Questa non bugia,
che, se leggete mai questi miei versi,
diventarete al fn gnocchi roversi.
Un sonetto programmatico, questo, sul quale si deve indugiare per un
duplice motivo. In primo luogo per il riferimento del v. 5: lidea di offri-
re lopera letteraria come un cesto colmo faceva capolino gi nelle matta-
ne trecentesche di Niccol Povero, altrimenti chiamate paneruzzole, ossia
cesti nei quali riporre materiale eterogeneo;
39
n da escludere il motivo
giullaresco del venditore di piazza si noti lapostrofe signor di poesie
e di opuscoli, che qui va letto come compiaciuto travestimento lettera-
rio.
40
In secondo luogo, mi pare utile non sottovalutare il sostantivo ga-
lanteria del v. 11, perch un termine-chiave che compare nel fronte-
spizio delle Bugie e in quello dellopera plagiata da francesco Moise:
Bugiardello opera piacevole da dar spasso, nella quale si comprende varie, & inni-
te galanterie, ma sono tutte busie [].
41
Si noti, inoltre, la presentazione dei
versi come ziffere , ossia scritti cifrati,
42
e al medesimo tempo in
tono palesemente paradossale come pieni di senso ( sensate dicerie ),
concetto smentito subito dai vv. 12-14. Ma gi in questi primi versi affo-
rano alcuni elementi che si incontreranno in altri sonetti, ossia la com-
parsa di personaggi dellaneddotica locale (Comin e Toni) e lintroduzio-
ne di lemmi fortemente realistici ( grince e grime ).
43
La coda del sonet-
to risuona come una pena per chi legge, la magica metamorfosi (o assi-
39. Si veda anche M. Plaisance, Funzione e tipologia della cornice, in La novella italiana, cit.,
to. i, pp. 103-18, a p. 105, il quale ricorda che Gentile Sermini presenta le sue novelle come
un paneretto dinsalatella .
40. Vd. pure lattacco del son. xiv, Vendo, signori, un oglio di Medusa, e quello del xv, Le
mie balle, signor, non son di quelle.
41. Descrizione in Segarizzi, Bibliograa, cit., pp. 148 e 152 n. 163, con incipitario.
42. Proprio a Brescia Lodovico Britannico stampava nel 1555 i Noui et singolari modi di
cifrare di Giovanni Battista Bellaso (ripubblicato nove anni dopo da Iacobo Britannico).
43. Laggettivo grince sta per grinzose, mentre grime per malaticce: cfr. G. Aquilec-
chia, Pietro Aretino e la lingua zerga (1967), in Id., Schede di italianistica, Torino, Einaudi, 1976,
p. 163 (che riporta il passo aretiniano: Un vecchio grimo, grinzo, rancio, lungo e ma-
gro ).
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
161
milazione) in sciocco e sempliciotto ( gnocchi roversi ): un motivo,
questo metamorfco, che conoscer sviluppi pi complessi. Per entrare
in con tatto con il mondo assurdo del Chersino, suffciente leggere il
son. iii:
Portava un d Nettuno una cavalla
a vender su l mercato di Verla,
e nel passar duna grossa seriola
pesc pel fondo suo anco la stalla.
Onde chincominci Goito e Guastalla 5
a caminar comun che vada e vola,
per comprar questa bella bestuola
per farne un sacrifcio a Caracalla.
Ma quindi Re Buffon e Buffalora
incominciaro a dir: Noi la voliamo 10
ch di voi prima ci mettemo in via!.
Ma tronc la lor lite indi lAurora,
che la giumenta diede al duca Namo,
presente tutta la sua baronia.
Questa non bugia, 15
questa cavalla ha fatto un poledrino
cha per suo volto il culo di Mambrino.
44
Si tratta di rilevare, fn da questi primi esempi, la tecnica adottata: la scrit-
tura dei sonetti nonsensici arricchita di avverbi che sembrerebbero
guidare il lettore in un percorso logico ben preciso (onde, quindi). Nella
prima quartina si assiste alla degradazione delle divinit mitologiche,
45

tema gi caro a Sacchetti e al Burchiello: Nettuno ridotto a vendere una
cavalla, ma, da esperto pescatore quale , nel veder passare una seriola,
ossia un tipo di pesce dotato di aculei sul dorso, si cimenta nella pesca
improbabile della stalla dellequino. Subentrano a questo punto (vv. 5-8)
due localit che, personifcate (come rigorosamente vuole la poesia del
nonsenso),
46
intendono acquistare lanimale. Colpo di scena successivo:
44. Mambrino: si tratta di Mambrino dUlivante.
45. Cfr. anche ci 9-11: Ma castig costu Marte, che venne / col brocchier di salsiccie
milanese, / legate tutte in una bragheria .
46. Si vedano altri casi: quando corsero lacque di Monpiano / a vendere nel borgo de
giuseppe crimi
162
intervengono un personaggio ed unaltra localit bresciana (Buffalora),
che reclamano la cavalla. La questione viene troncata dallAurora, che
assegna loggetto della contesa a Namo. Nella chiusa paradossale lani-
male in questione partorisce un bizzarro puledrino.
Il testo procede per aggregazione di elementi eterogenei, inserendo
quasi per ciascun verso una novit. Se ne potrebbero citare vari esempi:
Venne una nova, gi millanni sono, [] / quando che Zan Tognazzo e
un tal Zambono [] / Venne fra tanto un certo ser armato (ii 1, 5 e 12)
o Una bilancia fatta di mascherpa / pesava un molinel duna tesadra
[tessitrice] / [] quando una fata convertita, Euterpa (cv 1-2 e 5), e
cos via. Non di sicuro una logica ferrea che presiede allevoluzione
degli eventi, ma, con un flo narrativo esile e pretestuoso, la volont di
meravigliare e disorientare continuamente il lettore, pescando situazio-
ni improbabili e aggiungendo personaggi (classici, biblici, letterari) che
mai entrerebbero in relazione tra loro.
Il sonetto appare prezioso perch restituisce altre coordinate culturali
del Chersino: ad esempio, il Re Buffon del v. 9 corrisponde a Re Buffo,
protagonista di una sacra rappresentazione conservata manoscritta pres-
so la Queriniana di Brescia (fnora assegnata alla fne del Cinquecento o
agli inizi del Seicento);
47
si noti, nei versi in questione, lattrazione che il
i pippioni (xi 3-4), Di rovaiotto e di panco gialdo, / cavea la scorza come le castagne, /
si pasce il Mongibello e l Montebaldo, / essendo lor scodelle le campagne (xxi 1-4), ma
in quello istante venne Barcellona / a portargli un piatto di raffoli (li 3-4) e Stava con
la camisa sola in dosso / Montechiaro a sentir questarmonia (li 9-10).
47. Della rappresentazione dato un assaggio nella Nuova antologia del dialetto bresciano,
cit., pp. 49-50; si veda anche N. Messora, Le lingue nei drammaturghi bresciani del 500, in Il
Rinascimento. Aspetti e problemi attuali, a cura di V. Branca et alii, firenze, Olschki, 1982, p.
544. La menzione nei versi del Chersino dovrebbe spingere a pensare, quindi, che la sacra
rappresentazione sia anteriore al 1610. Altre testimonianze del bagaglio delle letture si
trovano nei versi Ma la Zucca del Doni venne a starsi / in mezzo a la tenzon, a le ferute,
/ e gli fece far pace in Albania (lxxxvi 12-14: per il v. 14 si cos intervenuto sul testo: e
gli < Egli; pace < face). La Zucca (v. 12) unopera del Doni pubblicata per la prima volta
nel 1551-1552; altre edizioni furono impresse fno al 1607. Si preferito stampare con la
maiuscola, perch il riferimento allopera sembrerebbe evidente; meno probabile che si
tratti di un sostantivo riferito allingegno bizzarro dello scrittore: cfr. Lomazzo, Rime, cit.,
vi 142 1-4, p. 590: Le cinque cotte che descrisse il Doni, / Nelle quai il Burchiel fece suoi
versi, / Di lungo se nandr con pan diversi, / A ritrovar la zucca con gli sproni .
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
163
nome esercita sullattante successivo per associazione fonica (Re Buffon-
Buffalora).
48
Restando nellambito onomastico, non sar inutile ricordare
casi simili di nomi parlanti, come Scroccheria: Venite pur al suon de la
mia tromba, / o tutti voi che siete sgalonati / da la vacca di monna Scroc-
cheria (lxxxix 12-14),
49
e che per le poste andata in Normandia / pro-
vede di peliccie quando focca / il cuium pecus de la Scroccheria (cviii
12-14).
50
E la chiusa ad effetto con il parto straordinario unarma retorica spe-
sa anche altrove: La Gosa da Mompian tolse la rocca / e correndo frez-
zosa in su la via, / partor una gran torre con la bocca (cviii 9-11),
51

Que sta non bugia, / chuna galera piena di biscotto / partor delle
48. Si veda anche il caso simile nei versi e lo port in un fasco a Re Buffone / senza
dimostrar mai buffoneria (ix 10-11). Giochi fonici affni si rinvengono in altri casi: e cer-
te vecchiarelle e grince e grime (i 13), vidi vicina a certi cacatori (vi 3), chincantava le
berte e i bertoni (xii 7), per spada et elmo un spiedo et un parolo (xxiii 17), chuna ga-
nassa duna gazza indiana (lxxxviii 16), chan ovi freschi e frittole e felici (xc 10), Ma
castig costu Marte, che venne (ci 9). Corsivo mio.
49. Il nome sembra modellato su quello contenuto nel verso burchiellesco ciascuno
vorrebbe diventar lo Scrocchi (SB, v 13, p. 9, con lemendamento di Spagnolo, rec. cit.,
p. 164). Si vedano anche i versi di Giovan Battista Ricciardi Io so che si trovano in firen-
ze / Gente che non sa pi che sien li scrocchi , in C. Chiodo, Le rime burlesche di G.B.
Ricciardi (1977), in Id., Il gioco verbale, cit., p. 163 e n. 28, pp. 163-64, dove si ricorda il passo
del commento al Malmantile racquistato, Venezia, 1687, p. 296: il proprio signifcato della
parola Scrocchi quando uno per trovar denari, piglia a credenza una mercanzia per
venticinque scudi, la quale ne vale venti: e poi la vende quindici; e questo si dice pigliar lo
scocchio (commento a iii 74). Cfr. anche P. Salvetti, Voglio amar chi mi pare, o questa
bella!, vv. 35-36: Piglierebbe lo scrocchio / Chi servir la volesse (in Aglietti, Rime gioco-
se, cit., p. 118). Si aggiunga il modo di dire Essere come la gallina di Monna Cionna detta
la Scrocchina (ricordato in G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini,
1856
2
, p. 152).
50. Con cuium pecus si intende un bestione: cfr. P. Aretino, Il Marescalco, Prologo: Ora
se si pecca mortalmente a non dare un cavallo a quel venerabile castrone, che non ha
paura dessere un cujum pecus (in Id., Tutte le commedie, a cura di G.B. De Sanctis, Mi-
lano, Mursia, 1968, p. 33) e Id., La Cortigiana, Prologo: forestiere: Mi par vedere che sar
opra di qualche pecora, quae pars est (in Id., Tutte le commedie, cit., p. 118): la fonte Vir-
gilio, Buc., iii 1. Si veda pure Secco, GlInganni, cit., iii ii, p. 41 e n. a p. 98.
51. frezzosa: di fretta: vd. T. folengo, Baldus, a cura di M. Chiesa, Torino, Utet,
2006
2
, viii 370 (vol. i p. 384): nescio quo pariter frezzosis passibus ibant .
giuseppe crimi
164
quaglie e del vin cotto (ciii 15-17),
52
e Sar dunque bugia, / suna peco-
ra fatta di faloppia / faccia un camelo con la testa doppia? (cv 15-17).
53
In
modo analogo, in altre occasioni e pi spesso nella coda i versi si tin-
gono di una natura irreale, raccontando sorprendenti metamorfosi:
Questa non bugia, / che l Turco diventato una comare / per allevar
un fgliuolin del mare (viii 15-17), Pavia e Milan son fatti per incanto /
due scarselloni da portar costali (x 1-2), Questa non bugia, / fan di-
venir con la lor schiuma sola / le cimici giganti in la cariola (xv 15-17),
che un orinal si pose nel pensiero / di voler diventar un cavaliero
(xcvii 16-17),
54
un gran million di regi incoronati / diventr mortadelle
e cervellati (c 16-17).
Altri spunti rilevanti si ricavano dal sonetto cvii 1-14, dove peraltro si
pu raccogliere un ulteriore riferimento alle letture del Chersino: nei
versi viene menzionato Zizalardon, nome di un oste ingordo della Rosel-
mina, favola di Giovanni Battista Leoni:
55
52. In questo caso la meraviglia pi palese, perch nei viaggi per mare certamente
non era consuetudine portare quaglie e vino cotto, ma la semplice galletta: cfr. f. Sac-
chetti, Il libro delle rime, edited by f. Brambilla Ageno, firenze-Perth, Olschki-Univ. of
Western Australia Press, 1990, lxiv 76-77, p. 72: ch l biscotto / si porta in galea .
53. Aspetto meraviglioso suggerito dalla doppia gobba del cammello. Su questi parti
eccezionali cfr. Fatrasies dArras, 19 1: Dragons de geline (in Fatrasies. Fatrasies dArras. Fa-
trasies di Beaumanoir. Fatras di Watriquet, a cura di D. Musso, Parma, Pratiche, 1993, p. 56;
trad.: Un drago nato da gallina ) e ivi, 33 1-3: Vache de pourcel, / Aingnel de vel, /
Brebis de malart (ivi, p. 70; trad.: Vacca nata da porcello, / agnello da vitello, / pecora
da anatra ). I parti anomali, come forma di adynaton, erano gi presenti in Nevio (cfr.
Cocchiara, Il mondo alla rovescia, cit., p. 80). Per i parti di oggetti, gi nel Trecento, si ve-
dano i versi del Povero La mia gallina fatto un tal martello / ched ogni d farebbe un
gran palagio / lavorando con esso un montanello (in E. Levi, Niccol Povero, giullare oren-
tino [1908], in Id., Poesia di popolo e poesia di corte nel Trecento, Livorno, Giusti, 1915, p. 105).
54. Si noti linteressante convergenza con Fatrasies dArras, 48 7: Uns paniers ce fst
chevaus (in Fatrasies, cit., p. 82; Un paniere divent cavallo ).
55. Si tratta di roselmina | favola | tragisatiricomica, | di | lavro settizonio, | da
castel sambucco | Recitata in Venetia, lanno m. d. xcv. | da gli Academici Pazzi Amorosi. | con
privilegi. [segue fregio] | in venetia, m. d. xcv. | Appresso Gio. Battista Ciotti Senese. | Al
Segno della Minerva (esemplare della Biblioteca Alessandrina di Roma, Misc. XV f 18 9);
Zizzalardone viene descritto come persona vorace: Eh, Zizzalardone, questa tua vitac-
cia, che non ad altro tende, che alla sodisfattione del ventre, anzi di questo poco palato, di
questo breve gargarozzo (i iii, p. 15). Cfr. M. Rak, Logica della aba, Milano, Bruno Mon-
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
165
Menando la favetta a rompicollo,
Zizalardon, famoso parasito,
si scott nel morter il braccio e un dito,
n volse pi di lei farsi satollo.
Ma preso con le mani un grasso pollo 5
lebbe in un fato quasi trangiottito
e poi fece il taglier netto e polito,
slongando il muso e ritorcendo il collo.
Onde quella favetta svergognata
sarross di vergogna e fugg via, 10
come se fusse una poiana alata.
Se nand in Viena e poscia in Scarperia,
dove da una fanciulla trappolata
rimase insegna al fn dunosteria.
Anche in questo secondo caso il sonetto sembra essere basato su un
andamento diegetico lineare, il che fa pensare ad un aspetto nonsensico
parziale. Lattacco un evidente rinvio allautoerotismo,
56
ma poi i versi
si concentrano sulla natura ingorda del personaggio: proprio sullingor-
digia iperbolica il Chersino insiste in altre occasioni.
57
Si ritorna quindi
dadori, 2005, pp. 261 e 263 n. 6. Il nome torna in un passo dei Discorsi politici e morali (x) di
A.G. Brignole Sale: Niente pi, secondo me, di quel che possa quel Zizzalardone pareg-
giar a tanti fondi di marina rivoltati sottosopra , (cfr. Il buratto ed il punto. Concettismo, Reto-
rica, e Pittura fra Genova e Bologna, 1629-1652, a cura di M. Pieri e D. Varini, Trento, La
finestra, 2006, p.te ii p. 199).
56. Cfr. SB, clxxii 1-2: Racomandovi un poco el maniscalco / che la fava men pel
Giubbileo , e Benchio non sia malato, io non son sano, 9-10: Le noci ci percuoton fra i tallo-
ni, / E la fava rigonfa per menare (in Sonetti del Burchiello del Bellincioni e daltri poeti oren-
tini alla burchiellesca, in Londra, [ma Lucca-Pisa, s.e.], 1757, p. 146). Luso dei doppisensi
nelle Bugie abbastanza raro: da segnalare il caso degli eufemismi contenuti nei versi Ma
prima dislacciatevi il braghetto / e mostrate la guglia e l calderone (lxxxix 5-6), dove i
due lemmi del secondo verso indicano, rispettivamente, i virilia e il posteriore: per il pri-
mo termine cfr. V. Boggione-G. Casalegno, Dizionario storico del lessico erotico italiano [],
Milano, Longanesi, 1996, par. 2.3, con esempi dal Berni e dallAretino; per il secondo non
si trovano attestazioni, ma si vedano le voci affni ivi, par. 5.1.1.
57. Mangiavan le cicale al sn famoso / una sporta di rane inghirlandate / sopra l
cavallo de lanotomia (xii 9-11), Mangi [scil. un coccodrillo] un vitello, un porco et un
saliscendi / cotto nel brodo duna buona trotta / dentro al stagnato della gelosia (xxiv
12-14), chun portarol con la cavezza doro / mangi in un boccon la vacca e l toro
giuseppe crimi
166
sulloggetto iniziale della descrizione, la favetta che, rossa di vergogna
(anche il qui il doppio senso manifesto), subisce una sorta di metamor-
fosi e fugge a Vienna e successivamente in Scarperia, una localit nei
pressi del Mugello, dove arresta la sua corsa. Interessa, in questo conte-
sto, soprattutto la descrizione delloggetto che viene spedito o si reca in
una localit remota, accorgimento che in genere rappresenta una cifra
dei testi nonsensici
58
e che riaffora tra le Bugie: e la mand correndo in
Barberia (xxii 15), e tutti tutti andr nella Cania (xcix 15),
59
pose in
conquasso in fn la Traprobana (cvi 7),
60
e mandano in Calicut tutti i
brachieri (cviii 8).
61
Il sonetto ora esaminato permette di soffermarsi proprio sulliperbole,
(lxxiv 16-17), un uomo grande come una cicala / mangi in un ovo un elmo con la spa-
da (lxxxiv 16-17), colui conoro ne miei versi immondi / mangia con sol guardo mille
mondi (xciv 16-17) e Questa non fu bugia, / chivi mangir un gatto doppo cena /
cavea l fgato comuna balena (xcviii 15-17). Cfr. i versi di Niccol Povero: ch diven-
tato s gran mangiatore / chal pasto mangia un bue la suo persona (in Levi, Niccol Pove-
ro, giullare orentino, cit., p. 107).
58. Cfr. Fatrasies dArras, 16 10-11: Si que Paris en volete / DAcre duquen Occident
(in Fatrasies, cit., p. 54; trad.: cos che Parigi svolazzava / da Acri fno in Occidente ), e
Fatras di Watriquet, 26 5-6: En cop de [] si grant medecine a / Cune charrete jusqua Mes
en sailli (in Fatrasies, cit., p. 140; trad.: nel colpo di [] c tal medicina / che una carret-
ta ne usc fno a Metz ). Cfr. anche i versi del Povero: perch da Roma nbolato la gu-
glia, / e l portata in su Monte Calvano. / Gierusalemme nno mandato in Puglia (in
Levi, Niccol Povero, giullare orentino, cit., p. 108) e quelli burchielleschi: le mosche son
fuggite in Ormignacca (SB, viii 10). Si veda anche Cocchiara, Il mondo alla rovescia, cit.,
p. 181, il quale riporta la novella dei Grimm intitolata Paese di Cuccagna, in cui si legge:
Ebbene ho visto [] un bambino di un anno buttare quattro macine da Treviso a Paler-
mo e da Palermo a Monviso .
59. La Cania, ossia una citt di Creta, oggi La Canea (vd. T. Garzoni, La piazza univer-
sale di tutte le professioni del mondo, a cura di G.B. Bronzini, con la collab. di P. De Meo e L.
Carcereri, 2 voll., firenze, Olschki, 1996, xxxvii, p. 431).
60. Traprobana, ovvero lisola di Ceylon (vd. Orlando Furioso, xv 17 5: e Traprobane
vede, e Cori appresso , e Lomazzo, Rime, cit., vi 4 12-14, p. 507: Serpe Spagnuola, chal
fuoco non caglia, / fece chio non trovai in Taprobana, / Donde vengon le ciurme di
canaglia ). Cfr. in partic. A. Sca, Il paradiso in terra. Mappe del giardino dellEden, trad. it.
Milano, Bruno Mondadori, 2007, p. 179, fg. 8.12b.
61. Non si tratta di Calcutta, ma di Calicut, sulla costa del Malabar, come si rileva in L.
Messedaglia, Vita e costume della Rinascenza in Merlin Cocai, a cura di E. e M. Billanovich,
con una premessa di G. Billanovich, 2 voll., Padova, Antenore, 1974, vol. i p. 21 n. 1.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
167
esibita in altri endecasillabi e con varie declinazioni: quando comparse
Apollo con la Sfnge, / con la Chimera e con Bellerofonte/ e in testa per
capl portava Osta [Ostiglia] (viii 9-11);
62
una pippia arrostisse un
elefante / per dar da dicinar [desinare] al gran Morgante (ix 16-17):
63
il
gigante pulciano protagonista di unopera a cui attingere a piene mani
proprio per il versante iperbolico personaggio sintomatico che ri-
compare altrove: E corse allor Morgante et Olivieri / con un stecco da
denti ben calzante / et alzando nellaria un lionfante / mandano in Cali-
cut tutti i brachieri (cviii 5-8).
64
Sar chiaro, quindi, come nel mondo
della bugia le circostanze esagerate costituiscano la norma: esse possono
includere gli abbattimenti improbabili ( che con un spiedo un certo ra-
buffato / diede un gran colpo al muro di Broletto / e sfracazz di Nani
losteria , ii 9-11); le dimensioni meravigliose di taluni animali ( una
rondine fu che con un piede / coperse il mondo e quanto in lui si vede ,
xcv 16-17) o la forza e la resistenza incredibili di altri ( Chi crederebbe
che due pecorelle / potessero portar due gran torri / et aver per orecchie
anco due astorri, / che volarian fn sopra a le stelle? , lxxvii 1-4);
65
il
prosciugamento di un fume ( Andate poscia dietro a qualche fume / e
62. Nel v. 10 il richiamo a Bellerofonte di Corinto, che, secondo il mito, uccise la
Chimera riuscendo a gettare nella sua gola del piombo fuso.
63. La pippia la femmina del piccione. Cfr. L. Pulci, Morgante, a cura di f. Ageno,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, xix 82 1-4, p. 573: Ma non fu prima dal fuoco partito, /
che Morgante a spiccar comincia un pezzo / del lofante, e disse: Egli arrostito , / e
tutto il mangia cos verdemezzo ; per questo versante si veda R. Ankli, Morgante iperboli-
co. Liperbole nel Morgante di Luigi Pulci, firenze, Olschki, 1993, passim. Cfr. anche La gran
battaglia de li gatti e de li sorzi, a cura di M. Chiesa, 52 5: E in un bocon mangiava [scil. Sor-
zante] un leofante (in Il Parnaso e la zucca. Testi e studi folenghiani, a cura di M. Chiesa e S.
Gatti, Alessandria, Edizioni dellOrso, 1995, p. 29; osservazioni sulliperbole anche in
Longhi, La poesia burlesca, satirica, didascalica. i. Il Cinquecento, cit., p. 298).
64. Unimmagine simile in Secco, GlInganni, cit., ii xii, p. 39: Lasciatela menare a me
solo, che con la forza di questo braccio levarei uno elefante . Per Morgante cfr. anche cix
16-17: che per lo troppo gusto io cacai duro, / leffgie di Morgante in cima a un muro ;
Margutte, invece, ricordato in xxii 9. Unedizione del Morgante venne stampata a Bre-
scia da Ludovico Britannico nel 1547.
65. Cocchiara, Il mondo alla rovescia, cit., p. 181, riporta un passo della novella sul paese
di Cuccagna raccolta dai Grimm dove si racconta: Vidi una vecchia capra rinsecchita,
che si portava addosso cento carri di strutto, centosessanta con il sale e tutto! .
giuseppe crimi
168
svuotate ben ben lequivalente / e fatevi un silopo [sciroppo] puzzolen-
te , cx 5-7) o le incredibili preparazioni gastronomiche ( Chi credereb-
be chun fornar peloso / avesse cotta Babilionia intiera? , cii 1-2).
Un altro sonetto dal quale si possono trarre spunti sulluniverso men-
zognero del Chersino il vii:
Un bracco, un tigre, un gatto et una mona,
tutte bestie da stuffa e da tinello,
comperavan al banco di Tonello
una gnacchera fatta alla carlona.
E fu mercatantezza la Simona, 5
quella cha l naso a guisa di scagnello
e la bocca pi larga dun fornello
e la fronte com piazza Navona.
Costor donr poi tutto a fiordeligi,
che fu massara gi del re Nabucco, 10
dal qual impar ben la cortesia,
perch essa in premio lor don Parigi,
un cappon di favetta e un pan di stucco
et una soma di pedanteria.
Questa non bugia, 15
che questi animali sperti e galanti
comincir a vestir brachesse e guanti.
66
4. gnacchera] gracchera. 10. gi del] del gi. 17. comincir] cominciat (ma lultima
lettera non leggibile in modo distinto)
Il magistero burchiellesco, assorbito pienamente, trapela nellincipit, nel
quale vengono affastellati soggetti plurimi, come del resto avviene altro-
ve: Brindisi e bonprofaccia et un staflo [staffle, correggia di cuoio]
(lxxxiii 1), Plotin, Plutarco e l gran Lon Ebreo (lxxxvii 1), I verzi,
le spinaccie e ravanelli (xcvi 1) e Uva passa et zenzale e gnocchi a
lesso (cvi 1).
67
Secondo un processo appena illustrato, i versi si presen-
66. La mona (v. 1) la scimmia. Per bestie [] da tinello (v. 2) si intende animali di
poco conto. Lo scagnello pu indicare una sgabello, una piccola panca (per altri signifcati
vd. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, 21 voll., Torino, Utet, 1962-2002,
vol. xvii p. 747).
67. E ancora allesperienza burchiellesca va ricondotto lattacco con apostrofe agli
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
169
tano con un andamento narrativo che calamita in successione personag-
gi disparati, da quelli pi umili, come Tonello o la Simona, a quelli lette-
rari, come fiordeligi,
68
che naturalmente non ha mai ricoperto il ruolo
di massaia del re di Babilonia. Se si esclude Parigi, i doni offerti agli ani-
mali del primo verso sembrano indicare oggetti impossibili, come nei
casi affni di Una bilancia fatta di mascherpa [ricotta, mascarpone] (cv
1) o di una pecora fatta di faloppia (cv 16).
69
Anche la coda contiene un
richiamo da non sottovalutare: lumanizzazione degli animali, che qui
indossano brache e guanti, altro elemento che contraddistingue il mun-
dus inversus.
70
ascoltatori, con la funzione di imperativo o persino di imprecazione: Fate castrar unoca be-
retina (iv), Ritiratevi tosto a far lusura (lii), Ritornate, facchini, alla dogana (lxxxiv), Portatemi, o
scolari, la padella (lxxxviii), Porgetemi gli incudi, o barbagianni (xciv), Andate a far a sassi in
mezzo al ballo (civ), Rimanetevi privi di falsume (cx); il modello il sonetto D lastricate ben
questi taglieri (SB, cxxx).
68. Personaggio dellOrlando Furioso: si tratta della sposa di Brandimarte (xiv 8 3 e xxxiii
34 3).
69. Procedimenti analoghi si riscontrano in Fatrasies dArras, 2 1: fourmage de laine
(in Fatrasies, cit., p. 42; trad.: formaggio di lana ); Fatrasies dArras, 4 1: Andoille de voir-
re (ivi, p. 44; trad.: Un salame di vetro , anche se in questo secondo caso una spiegazio-
ne si potrebbe rinvenire nellallusione ai falli di vetro prodotti proprio nelle fiandre: cfr.
f. Pignatti, I Motti e facezie del Piovano Arlotto e la cultura del Quattrocento, in Giornale
storico della letteratura italiana , vol. clxxvi 1999, p. 72 n. 20, con rinvio al Ragionamento
dellAretino e alla facezia 83 del Mainardi); Fatrasies dArras, 8 1: Uns mortiers de plume
(in Fatrasies, cit., p. 48; trad.: Un mortaio di piuma ); e la serie in Fatrasies dArras, 14 1-5:
Aillie destrain, / formage de pain / Et feves de pois, / Et kailleus de grain / Et pierres
de fain (ivi, p. 52; trad.: Aglio di paglia, / formaggio di pane, / e fave di piselli / e sasso
di grano / e pietre di feno ).
70. Sugli animali in pose umane si veda pure una pippia arrostisse un elefante (ix 16),
Pesava un asinello de carpioni / con la rete che gi fece Vulcano (xi 1-2), porta [scil.
unaquila] le braghe a guisa di Zanolo (xxiii 16), Una gran frotta dasini spagnuoli / fa-
cevan maitinade a la Simona (li 1-2), E pur ver chun orso generoso / si mise per
giostrar una bariera (cii 5-6). Per questultimo esempio va specifcato che molto im-
probabile che lorso, animale notoriamente pigro, si cimenti in una giostra, nella quale
sono necessarie agilit e velocit (si veda Cocchiara, Il mondo alla rovescia, cit., p. 106, che
riporta un passo di Gregorio di Tours, il quale afferma che il bue non pu compiere eser-
ciz ginnici e che lasino non in grado di giocare a palla). Anche gli animali musicanti,
come nel caso di Correvan la saiotte a pi non posso / sopra i cavalli della ortografa / e
sonavan i pifferi di bosso (cvi 9-11), rimandano al tema del monde renvers: cfr. M. Clou-
zot, La musique des marges. Liconographie des animaux et des tres hybrides musiciens dans les
giuseppe crimi
170
Pu avvenire che il sonetto sia costruito in modo tale che nella prima
quartina un evento divenga la causa apparente dello svolgersi di altre
circostanze narrate nella quartina e nelle terzine successive (xcix):
Una trombetta dolce come l pane,
che fanno i giardinier di ponte Mollo,
tronc le zampe ad un ben grosso pollo
che vinse gi tutte le belve umane.
Col sn mise spavento a Rabicane, 5
e Brigliador si scavezz nel collo,
n si vide giamai quel sn satollo
sin che non ruppe il capo a cento rane.
Misericordia, che tremendo sno!
fugg l Gran Can, fugg la piazza Grande 10
et il Pegol crep fuggendo via.
fuggiano lortaglie e tutti i ronchi
senza vardar le brede di Rezato
e tutti tutti andr nella Cania.
Questa non fu bugia, 15
che i gambari fugirno da Bagnolo
e fugg un fanciullin col suo carolo.
71
fin dal principio ogni verisimiglianza attentamente evitata: una trom-
ba non pu avere la dolcezza del pane n i giardinieri potrebbero dedi-
carsi alla costruzione di strumenti a fato. N si capisce come una trom-
betta possa spezzare le zampe ad un pollo. Ai vv. 3-4 si aggiungono ele-
menti utili a ricostruire il contesto di un mondo rovesciato: ne un
esempio chiarissimo lanimale innocuo (il pollo), che minaccia esseri di
dimensioni maggiori, come altrove avviene per la lumaca aggressiva
manuscrits enlumins du XII
e
au XIV
e
sicle, in Cahiers de civilisation mdivale , xlii 1999,
pp. 323-42.
71. Ponte Mollo, ossia il romano ponte Milvio, cos chiamato perch spesso sommerso
dalle inondazioni del Tevere. Rabicane il nome del cavallo dellArgala (vd. M.M. Boiar-
do, Linamoramento de Orlando, ed. critica a cura di A. Tissoni Benvenuti e C. Monta-
gnani, intr. di A. Tissoni Benvenuti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1999, i i 69 5, to. i p. 44:
Rabicano, il distrer, non mostra stanco e n.). Brigliadoro (v. 6) il cavallo di Orlando vd.
ivi: i ii 28 3 e n. (to. i p. 67). Il cariolo (v. 17) il girello.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
171
( chuna lumaca, col suo proprio fato, / fece restar il Turco scorticato ,
lxxvii 16-17),
72
o per la lepre ardimentosa ( Ma perch oggi mi vien la
barba bianca, / non vo parlar dun certo bastonato / chinnanzi a un le-
pre se ne fugga , xcii 12-14).
73
In modo simile a iii 9-10, al v. 10 si assiste
allinterazione tra esseri umani e localit.
Il son. xii presenta alcune affnit con quello appena esaminato, con
una resa pi marcata di alcune soluzioni:
Una gnacchera, fatta di dobletto
da un maringon che tesse de i polmoni,
sonava pi di cento campanoni
toccata da due corni di capretto,
e nel sonar spargeva del confetto 5
con tanta melodia de braghettoni
chincantava le berte e i bertoni,
tutti legati dentro ad un stringhetto.
Mangiavan le cicale al sn famoso 10
una sporta di rane inghirlandate
sopra l cavallo de lanotomia.
Ma quel che fu pi bello e pi amoroso,
correvano alla giostra le frittate
con ronche e lancie tolte in frezzaria.
Questa non bugia, 15
chunoca nel formar del contraponto
sgorg da la sua gola il Mella e l Tronto.
74
72. Sul motivo della lumaca offensiva da ultimo B. Roy, Un gastropode chez le quadru-
pdes, Tardif le Limaon, in Remembrances et Resveries. Hommage Jean Batany, Orlans, Para-
digme, 2006, pp. 307-14. Immagini simili si possono riscontrare gi in Burchiello, Sonet-
ti inediti, cit., xxxii 15-16, p. 32: Onde un ramarro / per forza prese un toro e atterrollo .
73. Si veda il passo epistolare tardo-trecentesco di Lorenzo de Ridolf, tratto dal ms.
Panc. 117, c. 18v, e riportato da f. Novati, Il lombardo e la lumaca (1893), in Id., Attraverso il
Medio Evo. Stud e Ricerche, Bari, Laterza, 1905, 149 n. 43: Agitis ut ille artifex qui leporem
canem devorantem, agnam lupum, pernicem accipitrem, murem catum, gracillam vul-
peculam, milvum aquilam, asellum leonem in pariete pingebat . Per il tpos vd. Coc-
chiara, Il mondo alla rovescia, cit., pp. 135-36.
74. Il dobletto (v. 1) una sorta di tela di francia fatta con flo di bambagia (A. Tira-
boschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, 3 voll., Bergamo, fratelli Boli,
1873-1879, p. 461). Il maringon (v. 2) il falegname. I bertoni (v. 7) sono i cinedi. Il cavallo de
lanotomia (v. 11) potrebbe indicare un equino magro. frezzaria (v. 14) una calle di Vene-
giuseppe crimi
172
evidente come laspetto narrativo tenda a scomparire per far posto ad
una successione di circostanze di marca paradossale: a partire dalla nac-
chera fatta di tessuto, prodotta da un falegname e intenta a suonare cam-
pane. Il nonsense garantito soprattutto dagli oggetti attanti, come la sud-
detta nacchera o le frittate (v. 13)
75
e dalla mancanza di rapporto di cau-
salit tra gli eventi (vv. 5-8). In particolare, vari antecedenti per le frittate
attanti si possono scovare nelle descrizioni dei paesi di Cuccagna nellan-
tichit, dove i cibi erano dotati di un certo automatismo.
76
Come se non
bastasse, le cicale riescono a divorare le rane. Il tutto si conclude con la
consueta meraviglia in coda, con due fumi che nascono dalla gola di
unoca.
Gli oggetti attanti ritornano nel son. ci:
Trentasei millia gnocchi di Levante
invitr a duello le panzette
e portavan per scudi focazzette
fatte per man dun nobile diamante.
Ma Vulcan, ch gran giotto zoppicante, 5
si mise con gli occhiali a le vedette
e prese i cornacchioni e le civette
che facevan la guardia a un vero amante.
Ma castig costu Marte, che venne
col brocchier di salsiccie milanese, 10
legate tutte in una bragheria.
Venne Neron sopra smerdate penne
zia. La Mella (v. 17) un fume della Lombardia, mentre il Tronto (ibid.) dellItalia cen-
trale.
75. Si vedano altri casi come Corsero a questi casi tanto orrendi / i campanili di Viter-
bo in frotta / et insegnr a gatti la magia (xxiv 9-11); Miserabili carte e libri sparsi / e
lettere maiuscole e minute / correvan tra linchiostro in ogni via (lxxxvi 9-11); Un me-
lon tondo, come un pal di ferro, / sbrinzava [sbranava] la mascherpa et il formaggio
(lxxxv 1-2); I verzi, le spinaccie e ravanelli / sputavano bombarde a pi potere / e face-
van tra lor tante carriere / che immiravan nel corso i garzoncelli (xcvi 1-4); Un colom-
baro pien pien di corame / sarm per dar di matte bastonate / a quei che fan col sevo le
panate, / per levarse del sen la propria fame (c 5-8).
76. Cfr. M. farioli, Mundus alter. Utopie e distopie nella commedia greca antica, Milano,
Vita e Pensiero, 2001, pp. 27-137. Le frittate attanti ricordano anche SB, x 15-16: E vidi le
lasagne / andare a Prato a vedere il sudario .
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
173
e perfum ben mal tutto il paese,
ch tra la francia posto e lUngaria.
Questa non bugia, 15
Scanderbech castrota et Martin Scala
77
misero le braghette ognuna a unala.
Uno strumento della poesia alla burchia, ormai familiare, consiste nel-
lattacco con un numerale (di frequente iperbolico), come in Cento grue
pelate in Avignone (xc) e Due sporton di naranci et un di lame (c). Al v. 3 e ai
vv. 9-11 attuato il gioco parodico di sostituzione delle armi tradizionali
con oggetti domestici, come avviene anche in xxiii 16-17: porta le bra-
ghe a guisa di Zanolo, / per spada et elmo un spiedo et un parolo ;
78
e su
un principio simile imperniata la terzina: Una gran conca con la basia
appresso / eran due navi da portar soldati / che scorrevano sempre per
corsia (ciii 9-11).
79
Torna, sistematicamente, la degradazione dei perso-
naggi mitologici (Vulcano e Marte) e di quelli storici (Nerone, Scander-
beg, Martino della Scala). Ma non solo lumanizzazione dei luoghi che
contribuisce a disegnare la retorica dellassurdo (xxi):
Di rovaiotto e di panco gialdo,
cavea la scorza come le castagne,
si pasce il Mongibello e l Montebaldo,
essendo lor scodelle le campagne,
e i pescador dIseo con le dagagne 5
voglion prender per fn il mio gastaldo
o condannarlo almen ne le lasagne
77. Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, condottiero albanese (1400-1468), e Martino
della Scala, signore di Verona.
78. Il parolo il paiuolo, il secchio: vd. folengo, Baldus, cit., x 178 (vol. i p. 456 e n.):
mille pignatellas, pignattas, speta, parolos .
79. Si tratta di immagini parodiche gi sperimentate e di cui si possono rinvenire trac-
ce antecedenti e coeve: cfr. La gran battaglia de li gatti e de li sorzi, 15 3: costui portava un
secchio per elmetto (in Il Parnaso e la zucca, cit., p. 18, ma tutte le ottave sono pervase da
descrizioni simili), e B. Stefonio, Maccheronee, a cura di M. Grandieri, Cassano delle
Murge, Messaggi, 1997, Macaroidos, 65-67, p. 17: Illi pro lanza deservit grande cuchiarum,
/ pro galea magnum portat in vertice caldar, / pro giacho triplice pectum gratarola copri-
bat , e ivi, 71-72, p. 17: pro clypeo gestat coperchium grande, potentum / horrorifcum,
hoc totum coprit curvamine corpus .
giuseppe crimi
174
e in un vin da Castion grosso e ben saldo.
Il sabbion sincarisse al lavaione,
s che gli asini fanno urli gagliardi, 10
n vogliono andar dietro a la via.
Ogni muto vuol far del cicalone
e voglion farsi statue i baloardi
che gi si vidr dentro Albarosia.
Questa non bugia, 15
il Gulmo et il Goletto cavalcando
strabbuccr da cavallo il conte Orlando.
80
Si incontrano, infatti, gli elementi pi evidenti delle poesie della bugia,
ossia le immagini inscrivibili nel tpos del mundus inversus, come il muto
parlante (v. 12),
81
da accostare al cigno nero ricordato altrove.
82
Ana-
logamente, nellattacco Un menac cha buona sale in zucca (xiii) viene pre-
sentato il menac, ossia il girino (la cazzuola burchiellesca, per intenderci),
83

notoriamente sciocco e che qui paradossalmente sapido, per quanto,
poi, la coda del sonetto fnisca per svelare la natura reale dellanfbio:
Questa non bugia, / ha questo menac sopra la schena / lamor di
80. Il rovaiotto (v. 1) indica, in bresciano, il pisello (Messedaglia, Vita, cit., p. 212); il
panco un tipo di frumento; gialdo (v. 1) signifca giallo. Il Mongibello (v. 3) lEtna, men-
tre il Monte Baldo (ibid.) si trova in prossimit del lago di Garda. Le dagagne (v. 5) sono
reti da pesca. Il v. 11 memore di SB, lxviii 17: e gli altri ragghian tutti come micci e f.
dAltobianco Alberti, Rime, ed. critica e commentata a cura di A. Decaria, Bologna,
Commissione per i testi di lingua, 2008, lii 7, p. 117: e raghia come miccio al sagginale ,
e n. (con menzione di Burchiello). I baloardi (v. 13) sono vasi di rame o latta. Il Goletto (v.
16) una localit bresciana (cfr. anche lxxxix 1). Il verbo strabbuccr (v. 17) signifca fecero
cadere.
81. Cfr. Fatrasies di Beaumanoir, 1 7: Uns muiau i vint chanter (in Fatrasies, cit., p. 100;
trad.: un muto accorse a cantare ); cfr. anche Burchiello, Sonetti inediti, cit., i 19, p. 1:
ballano i gozzi e l cantano i muti .
82. Vera un cigno cavea la penna bruna, / cavea tra lale la donzella Leda / e nel
becco la greve e bianca preda / cavea straccato ad un fachin la schena (viii 5-8). Cfr.
Giovenale, Sat., vi 165: rara avis in terris nigroque simillima cycno (si veda anche Isi-
doro di Siviglia, Orig., xii 7 18: nullus enim meminit cygnum nigrum ). La quartina si
richiama al mito secondo il quale Zeus si trasform in cigno per avvicinarsi allamata
Leda.
83. Cfr. Tiraboschi, Vocabolario, cit., p. 790. A proposito dellaggettivo buona, si ricordi
che sale, in area settentrionale, poteva essere di genere femminile.
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
175
Pisa e la pazzia di Siena .
84
E si potrebbe proseguire indicando come
paradossale anche limmagine degli asini spagnoli che, con i loro ragli
certamente poco armoniosi, tentano di sedurre una ragazza ( Una gran
frotta dasini spagnuoli / facevan maitinade a la Simona , li 1-2).
85
Prose-
guendo su questa linea, un senso altrettanto paradossale si potrebbe leg-
gere negli animali in preda al riso: Sognun potesse il vero ben sapere,
/ riderebbon dal cor tutti i porcelli (xcvi 7-8), Ridevan le cicale a mez-
zo agosto (xcvii 1), Di ci ridevan fno le formiche, / cavevan su le
spalle alte colonne
86
(xcvii 9-10): noto, infatti, che, secondo Aristotele
(De partibus animalium, iii 10 673a), luomo sarebbe lunico animale in
grado di ridere.
87
La chiusa del nostro sonetto non fa che ribadire una
visione del mondo in cui i personaggi letterari sono umiliati, questa vol-
ta persino da localit antropomorfzzate.
88
La successione di eventi singolari allinterno dei versi pu essere de-
scritta mediante la giustapposizione di visioni in stato di veglia, come nel
caso di Una ninfa di stoppa inghirlandata (vi), oppure mediante il ricorso
alla dimensione onirica (lxxvi):
89
Questa notte insognai chun gatto avea
una berretta in testa, da facchino,
e che vera a cavallo un malandrino
84. Pi propriamente i Senesi erano defniti bessi , sciocchi.
85. La maitinada il cantare e l suonare che fanno per lo pi gli amanti in sul mattino
davanti alla casa dellinnamorata (Tiraboschi, Vocabolario, cit., p. 752). Gli asini spagnoli
erano noti per la loro irascibilit (cfr. Grande dizionario della lingua italiana, cit., vol. xi p. 56).
86. Cfr. Burchiello, Sonetti inediti, cit., ii 2, p. 2: orpel da ceri e spalle di formiche .
87. Cfr. G. Minois, Storia del riso e della derisione, trad. it. Bari, Dedalo, 2004, pp. 75-80. Si
veda anche uno dei versi succitati del Sarnelli: Li lupe se schiattavano de riso .
88. Cfr. Ergo non bugia, / chuna massara ha preso con un petto, / tratto in colpo,
Astolfo e Sansonetto (cvi 15-17): Sansonetto era il fglio del Soldano di Persia (vd. Li fatti
de Spagna, testo settentrionale trecentesco gi detto Viaggio di Carlo Magno in Ispagna, edito
e illustrato da R.M. Ruggeri, vol. i, Modena, Societ Tip. Modenese, 1951, Indice dei nomi
propri, p. 177).
89. Un antecedente pu essere individuato nel sonetto di messer Nicol Pignatte con
bombarde e duo mulini (in SB, xcvi) e in quello pseudo-burchiellesco Dormendomi una notte,
presso al giorno, dove ai vv. 9-11 sono descritte azioni che ritroveremo simili nel Chersino:
La costa di san Giorgio, senza fallo, / vend le cappelliere foderate; / Mercato Vecchio
armeggiava a cavallo (in Burchiello, Sonetti inediti, cit., vii, p. 7).
giuseppe crimi
176
che con la man il sol chiaro spengea.
Onde mi risvegliai con questa idea, 5
e corsi a dimandar ser Saladino,
acci, per esser lui grandindovino,
mastrologasse ci che glien parea.
Ma, perch avea le man nel caviaro,
per questa volta non mi f l servitio, 10
perci convien chancor in dubio io sia.
Mi lambico l cervel, che m s caro,
ne laspettar che mi si dia il giuditio
cabbia laspetto duna anotomia.
Questa non bugia, 15
sin che non ho ben chiaro questo fatto,
giudico un giocator per un gran matto.
A generare la straordinariet delle circostanze pu essere anche un mo-
tivo esterno, come la venuta dellanno bisestile, notoriamente portatore
di follia (ix):
90
Lanno del bisestil corse in Moravia,
una pietra di vetro colorita,
di marzapan e nsiem di calamita
raccolta ne gran campi di Pittavia,
vera con una tromba scandinavia, 5
che sonando a battaglia scolorita
seminava co spiriti la vita
ne larghi prati de la gran Sabaudia.
Et una tinca allor prese Bagnolo
e lo port in un fasco a Re Buffone 10
senza dimostrar mai buffoneria.
Stupissi allor la caneva e l vezzolo
90. Cfr. Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinquecento, a cura di A. Marzo, Roma,
Salerno Editrice, 1990, Frottole, ii 454, p. 85: Masse corso il bisesto ; in n. Marzo ricorda
che secondo la credenza popolare, gli anni bisestili erano forieri di calamit pubbliche ,
ma altrettanto vero che allanno bisestile erano associate la follia e la bizzarria (vd. i
proverbi Anno bisesto: tutte le donne senza sesto , Anno bisesto: si sposan tutti quelli
senza sesto e Anno bisesto: tutti i matti fanno i suoi gesti , in V. Boggione-L. Masso-
brio, Dizionario dei proverbi, Torino, Utet, 2004, i.1.3.3, i.1.3.3a e i.1.3.3b, p. 7).
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
177
e si perdr due spine et un coccone
che se nandr per laria in Piccardia.
Questa non bugia, 15
una pippia arrostisse un elefante
per dar da dicinar al gran Morgante.
91
Un tratto da rilevare certamente quello del v. 9, dove gli animali, spes-
so di piccola taglia, sono in grado di minacciare il mondo umano, co me
avviene in altre occasioni: Questa non bugia, / una benola [don nola]
prese, in un sol salto, / la Rocca di Bernaco e di Montalto (xcvi 15-
17).
92
Altri casi presentano soluzioni ibride, come nel sonetto ispirato alla
caricatura grottesca di un naso, che dilaga in una serie di descrizioni de-
liranti (xxii):
93
Un naso ho visto, largo e longo e piano
com Mercato Novo o quel dal Lino,
sopra del qual vi stava un tal facchino
che porta via un vitel con una mano.
91. La Pittavia del v. 4 lattuale Poitiers. La caneva (v. 12) voce settentrionale per ca-
nova, cio cantina, mentre vezzolo (ibid.) probabilmente vesolo, ossia botte. Il coccone (v.
13) potrebbe indicare il disco adoperato per otturare la parte posteriore della canna di
una bocca da fuoco (Grande dizionario della lingua italiana, cit., vol. iii p. 246).
92. Cfr. farioli, Mundus alter, cit., p. 140 (per il rapporto con il motivo del monde ren-
vers).
93. Il sonetto si inserisce nella tradizione della descrizione dei nasi grotteschi: cfr. quel-
li in SB, ccix-ccxi, quello di G.N. Salerno, Egli comparso un gran nasardo al ponte (in A.
Cavedon, Un umanista-rimatore del sec. XV: Gian Nicola Salerno, in Miscellanea di studi in
onore di Vittore Branca, vol. iii*. Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, firenze, Ol-
schki, 1983, pp. 214-15), e f. dAltobianco Alberti, Un naso imperale in questa terra (in Id.,
Rime, cit., l, p. 114). Nel Cinquecento il Dolce scrive il Capitolo del naso alle donne (cfr. S.
Longhi, Lusus. Il capitolo burlesco nel Cinquecento, Padova, Antenore, 1983, p. 262), mentre il
Caro La Nasea, ma nel Seicento ancora Marino sfrutter il tema: cfr. L. Matt, Teoria e
prassi dellepistolograa italiana tra Cinquecento e primo Seicento. Ricerche linguistiche e retoriche (con
particolare riguardo alle lettere di Giambattista Marino), Roma, Bonacci, 2005, pp. 144-46. Per il
motivo nellantichit si rimanda alle annotazioni di M. Pittore, Lironia negli epigrammi
dell Anthologia Palatina tra manipolazione linguistica e allusivit, Alessandria, Edizioni dellOr-
so, 2004, pp. 26-30. Una curiosa disamina del tema si legge nel volume di U. Viviani,
Nasuti, snasati e camusi nellarte, nella storia, nella letteratura, Arezzo, Viviani, 1930.
giuseppe crimi
178
Versava in furia lacque di Monpiano 5
una nasella e laltra di buon vino,
una vezza di quelle da Calino,
s che formava in terra lOceno.
Margutte con un cesto di biscotto
faceva dentro zuppe a pi potere, 10
per dar un buon banchetto a una galia.
Ma corse a questodor il gran Nembrotto
e rubb quella zuppa a pi potere,
e la mand correndo in Barberia.
Questa non bugia, 15
questo naso anasando un qualche fore
genera in un istante il dio dAmore.
94
La caricatura estremizza alcuni aspetti che la tradizione consegnava: se
nel sonetto di francesco dAltobianco Alberti si legge: Sul dosso porta
coppette e sonagli, / chiovi da libri e molta merceria, / con borchie da
groppiere di cavagli ,
95
il Chersino, ai vv. 3-4, scrive di un naso sul quale
pu camminare un facchino che conduce un vitello. La chiusa riprende
il consueto tpos delle generazioni meravigliose (si veda la coda del so-
netto iii con il relativo commento).
Su questa linea caricaturale, oltre al caso gi visto di vii 6-8, va inclusa
anche la quartina Onde un certo omaccion barba spelata, / che par de
le civette la magione, / piangendo una s fatta perditione, / chiamava tra
i sospir Gatta Melata (xxxiii 5-8),
96
che sembrerebbe condividere tratti
comuni con un testo di Lear.
97
Con simili premesse, non stupir allora di
94. Di nasella (v. 6) si ha fnora soltanto unaltra attestazione ne LAdone del Marino: e
nfn al pugno alfn la ruppe in esso / e tra l visale e la nasella il colse (xx 277 5-6): qui
sembrerebbe trattarsi di una sorta di protezione per il naso. Quanto a vezza (v. 7), dovreb-
be indicare una conduttura dacqua rinforzata in legno (Grande dizionario della lingua
italiana, cit., vol. xxi p. 831, con unico esempio proveniente dal Boiardo). Il termine galia
(v. 11) signifca galea.
95. f. dAltobianco Alberti, Rime, cit., l 9-11, p. 114.
96. Si tratta di Erasmo da Narni detto il Gattamelata: cfr. A. Calmo, Il Saltuzza, a cura
di L. DOnghia, Padova, Esedra, 2006, iii 55, p. 109: Mo que pensi-tu, de la morte de
Gatta Mel? e n. 39.
97. Cfr. E. Lear, Il libro dei nonsense, intr. e trad. di C. Izzo, Torino, Einaudi, 2004
2
, p. 6:
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
179
trovare allinterno di questa raccolta nonsensica altri sonetti riscritti sulla
scia di tematiche care alla tradizione comico-realistica, come la povert
del poeta (v).
98
Disseminati allinterno di sonetti nonsensici, si segnalano
alcuni passi che vertono sulla satira antipedantesca: quando chio da
Mombel canton disferro / una catena e prendo lavantaggio, / metten-
do un servitiale al Maioraggio, / tanto profondo che tra quel matterro
(lxxxv 5-8);
99
S l cancaro vi mangi que zecchini / cavete spesi intorno
a la giandaia / per far stampar de grilli la Pedia! (cii 12-14);
100
Portate-
mi, o scolari, la padella, / che vo far de larosto al Babuno, / per farmi
reputar buon bettolino [tavernaio, ostiere] (lxxxviii 1-3), dove ho pre-
There was an Old Man with a beard, / Who said, It is just as I feared! / Two Owls and
a Hen, / four Larks and a Wren, / Have all built their nests in my beard! .
98. L una mal cosa aver la paladina / senza un quatrin in borsa o in scarsella, / e l
pi peggio chessere a la mella / appiccato di sera e di matina. / Son lanima i danar, sol si
facchina / per loro, ed essi empion le canelle / del cor uman e de le sue budelle / e fan
veder gli ingegni alla zimina. / Venite, soldi, ormai nel mio braghetto, / ch, se venite,
vimprometto certo / di farvi co sonali melodia. / Io vi ontar col sevo di capretto, / io vi
far del ciel scudo e coperto, / io vi dar del vin di malvasia. / Questa non bugia, / ch,
se venite, voi vedrete a farne / rubin le rape e le nottole starne . Per il motivo si consulti
P. Orvieto-L. Brestolini, La poesia comico-realistica. Dalle origini al Cinquecento, Roma,
Carocci, 2000, pp. 127-41. La paladina del v. 1 la palatina, ovvero una malattia equina che
consiste nellingrossamento della lingua (cfr. SB, viii 3 e n.): nel nostro caso indica la man-
canza della possibilit di nutrirsi. La scarsella (v. 2) il borsello, la bisaccia. La mella (v. 3)
la punta della spada; lespressione essere a la mella pu indicare una forma di puni-
zione o di tortura, e qui potrebbe signifcare in senso esteso trovarsi in una situazione
pericolosa: cfr. rime | piacevoli | di diversi | auttori | Raccolte da M. Modesto | Pino, &
intitolate | la caravana. | Di nuouo ristampate, & ricorrette. [segue marca tipografca] | in
venetia, mdcxvi. | Appresso Lucio Spineda, f. 4b: Puochi d innanti shavea da de i den-
ti, / Rinaldo, e Urlando per sta viscarella, / e se ben tutti do iera parenti, / niente de
manco i stava in su la mella . Credo sia da escludere lallusione al fume lombardo Mella
(citato invece in xii 17). Lespressione alla zimina (v. 8) signifca in modo elaborato, come
un lavoro dintarsio, complesso: si veda la recente disamina di A. Dardi, Alla zimina, in
Lingua nostra , lxix 2008, pp. 37-38. Infne, il sevo (v. 12) il grasso.
99. Il servitiale il clistere, mentre il il Maioraggio Marcantonio Conti (1514-1555): vd.
Anonimo di Utopia [O. Lando], La sferza de scrittori antichi et moderni, a cura di P. Procac-
cioli, Roma, Vignola, 1995, pp. 51 e 65.
100. Potrebbe trattarsi di unopera immaginaria, ricalcata sulla Ciropedia (di Senofon-
te), che il Lando chiama la Pedia di Cirro (vd. La sferza de scrittori antichi et moderni, cit., p. 73).
Il grillo metafora per indicare, in genere, stupidit o bizzarria.
giuseppe crimi
180
ferito stampare Babuno con la maiuscola, perch credo che vi si na-
sconda un doppio senso giocato sullanimale e sul nome dellantico testo
impiegato per lalfabetizzazione (suggerito anche dagli scolari del v.
1).
101
Ma lattacco sferrato investe anche i commentatori ( O povera la-
tuca e ravanello, / che pan avete, o ver qual buona scusa, / per tirarvi da
dosso Lampedusa, / el comento del Varchi al Vellutello? , xci 5-8),
102
e
gli ignoranti in generale ( che glignoranti or son incoronati / con quei
che son di mal francese enfati , li 16-17).
In linea fedele con quanto espresso nelle poesie della medicina alla
rovescia, francesco Moise offre la personale ricetta paradossale per gua-
rire dal mal francese, ossia la siflide (xiv),
103
la quale si modella sui sonet-
ti burchielleschi Chi guarir presto delle gotte presto vuole (SB, ciii) e Qualun-
que al bagno vuol mandar la moglie (SB, cxxvii):
Vendo, signori, un oglio di Medusa
che fu regina de la Prapea,
gi fatto per le mani di Medea
per compiacerne la regal Lanfusa.
101. Cfr. P. Lucchi, La Santacroce, il Salterio e il Babuino. Libri per imparare a leggere nel primo
secolo della stampa, in Quaderni storici , xiii 1978, pp. 593-630; Id., Leggere, scrivere e abbaco,
listruzione elementare agli inizi dellet moderna, in Scienze, credenze occulte, livelli di cultura, firen-
ze, Olschki, 1982, pp. 101-19, e da ultimo A. fabris, Il Babuin over alfabetto in lettera araba ,
in Lingua nostra , li 1990, pp. 40-41.
102. Alessandro Vellutello un commentatore dantesco (1473 - met Cinquecento);
Varchi non lasci un commento al Vellutello (citato ne LHercolano), ma alcune lezioni
sullAlighieri.
103. Per il tpos cfr. lAppendice di Rossi in A. Calmo, Le lettere, riprodotte sulle stampe
migliori, con introduzione ed illustrazioni di V. Rossi, Torino, Loescher, 1888, pp. 371-97.
Utili anche le indicazioni storiche e letterarie fornite da C. Chiodo, Le rime burlesche di
Giovanni Gelsi (1982), in Id., Il gioco verbale, cit., pp. 146-47. Tra le testimonianze quattrocen-
tesche vanno annoverati i sonetti del Baldinotti Se sanza benezio ebbi le bolle e Chi non
vuole in Italia esser francioso (si leggono in A. Lanza, Introduzione a T. Baldinotti, Rime
volgari, a cura dello stesso, Roma, Archivio Guido Izzi, 1992, pp. xv-xvi). Che proprio le
invenzioni burchiellesche potessero costituire un punto di partenza per la scrittura del
genere viene confermato dal fatto che nellopuscolo Historia noua de barzellette capitoli, s.i.t.
(ma XVI secolo: cfr. Segarizzi, Bibliograa, cit., pp. 194-95) vengono stampati tre sonetti
caudati contro la rogna, il mal francese e la gotta, ossia, rispettivamente, Recipe dexedoto
pullexe bianchi (c. 3b), Volse Hipocrate & auicen(n)a ancora (c. 3b) e Chi de le gotte presto guarir
vole (4a), lultimo dei quali il noto testo burchiellesco (SB, ciii).
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
181
Questo un balsamo tal che chi ben lusa 5
guarisce ogni malsania orrida e rea
e gi guar le tette ancor dAstrea,
che impiagate lavean la rocca e l fuso.
Quest il napello al fn del mal francese,
de la tigna; et uccide gli pedocchi 10
se ben fusser di quegli dUngheria.
E sempre buon e basta dogni mese
bagnarlo con la sberza chai ne gli occhi
e col sudor de la melanconia.
Questa non bugia, 15
questoglio a tutto l mondo bisogna,
perch guarisce, ontandosen, la rogna.
Il sonetto, che si popola di personaggi letterari (Lanfusa)
104
o mitici
(Astrea)
105
e di voci e di espressioni inconsuete ( napello , sberza , su-
dor de la melanconia ),
106
pu essere accostato a quello del Lomazzo
Rcipe ragli di moschin Tedeschi,
107
che tratta del medesimo argomento. E
104. Vd. Boiardo, Linamoramento de Orlando, cit., i v 51 5 (to. i p. 183): Hor fossio
adesso il fgliol de Lanfusa e n., dove si segnalano due diverse ipotesi: Lanfusa pu esse-
re il nome della madre di Malagise e Viviano, o quello della terribile madre di ferra.
105. Astrea era la dea dellet delloro.
106. Il napello unerba impiegata come medicinale. La sberza l umore cisposo degli
occhi (n. a folengo, Baldus, cit., vii 413-14, vol. i p. 340: Deque povinatis oculis ad pec-
tora colat / sbercia, sed labrum recipit cagatoria nasi ). Il sudor de la melanconia forse
allude alla bile prodotta dai malinconici.
107. Rcipe ragli di moschin Tedeschi / Con quattro oncie di Sol e tre di Luna, / Et
capelli con vista di fortuna, / Col strepito di tavole e di deschi; / Et tutte queste cose fa
che meschi / Con pensier duna gatta che digiuna: / E loglio ne trarrai a laria bruna /
Char forma di sorzi Indi e Moreschi: / Di questo nungerai tutto larnese / Ne lora qual
fuor di settimana, / Che subito guarrai del Mal francese. / Questa ricetta mi di una
villana / Nel cavalcar cantando ogni paese / Sopra lo spirto perso duna rana , (in Lomaz-
zo, Rime, cit., vi 136, pp. 586-87). Per lingrediente del primo verso, il Lomazzo altrove
racconta che allinterno di unosteria Dentro gli stette il raglio duna mosca (ivi, vi 133
9, p. 585). Simili ricette si riscontrano nel Cinquecento anche nel menzionato opuscolo
Capriccii, et nuove fantasie Alla Venetiana, Di Pantalon de Bisognosi, che alla c. 16a contiene i
sonetti Recipe le beccade dvn zueton, mentre alla c. 16b Recipe la miseria dvnauaro, Recipe
vnimpiastro de piera e Recipe tutte le ocche dvn Hebreo. Se ne trovano attestazioni anche nelle
Lettere del Rao: si veda M.C. figorilli, Largute, et facete lettere di Cesare Rao: paradossi e
giuseppe crimi
182
ancora sulla ricetta paradossale sono strutturati i sonetti Le mie balle, si-
gnor, non son di quelle (xv) e Piglia una soma di formento magro (xciii), il se-
condo dei quali dovrebbe aiutare a curare la gelosia:
Piglia una soma di formento magro
cabbia crosta di perle e pel di rame
piglia una gran nave di corame,
un tiro darcobugio et un di sagro.
Metti ogni cosa in vin, or dolce or agro, 5
cabbia una concia fna di letame,
e prendi il sospirar poi di due dame
ben chiusi dentro al capo a Meleagro.
fanne un confetto a guisa di cipolla,
cabbia la pelle com avea Gabrina 10
et impastala di Tripoli aspoltia.
Ogni cosa ben lgati a la gola,
ch questa cosa rara medicina
per risanar la matta gelosia.
Questa non bugia, 15
sana questa teriaca ogni gran male
producendo ne corpi un ospitale.
108
In mbito peninsulare il motivo della medicina alla rovescia era stata
vulgato da Niccol Povero e da Burchiello, ed era stato accolto da Anto-
nio Cammelli e da Matteo franco: va per ricordato che non si tratta di
un tema esclusivamente italiano, ma conosce una diffusione in tutta
lEuropa medievale e rinascimentale: se ne trovano esempi in Germania
o in Gran Bretagna.
109
plagi (2004), in Ead., Meglio ignorante che dotto. Lelogio paradossale in prosa nel Cinquecento,
Napoli, Liguori, 2008, p. 157.
108. Il formento (v. 1) il frumento. Il sagro (v. 11) indicava le artiglierie da campagna.
Gabrina (v. 10) il nome di una vecchia citata pi volte nellOrlando Furioso (si veda alme-
no xxi 50 3), per cui la pelle della cipolla sar vizza. La teriaca (v. 16) un impiastro medi-
camentoso.
109. Si veda lesempio inglese risalente al secondo Quattrocento (stampa del 1481):
She must have of the wyntyrs nyghte / vii. myle of the mone-lyght / fast knyt in a
bladder; / She must medyl ther among / vii. Wellsshemens song, / And hang yt on a la-
der; / She must have the left fot of an ele, / Wyth the kreking of a cart-whele [] : si
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
183
Non sempre la scrittura impermeabile allesegesi: talvolta, nella se-
quenza di alcuni versi, si riesce a penetrare nella logica che muove le as-
sociazioni: nella terzina Et una tinca allor prese Bagnolo / e lo port in
un fasco a Re Buffone / senza dimostrar mai buffoneria (ix 9-11), Ba-
gnolo la localit piemontese,
110
nota per la produzione del vino, circo-
stanza che spiega il fasco del verso successivo. E cos nella quartina Ma
portate gli scudi di cristallo / e state venti miglia di lontano / e fate il
Nicolotto e l Castellano / che vi faran le teste di corallo (civ 5-8), lo
scudo di cristallo lespressione con la quale generalmente si intende
lo specchio di cui si serv Perseo per difendersi da Medusa, evocata indi-
rettamente al v. 8 con il richiamo a Dante, Inf., ix 52: Vegna Medusa: s
l farem di smalto . Per il caso di Uva passa et zenzale e gnocchi a lesso
/ inflzati con seta siciliana, / facendo a una bertuccia la collana (cvi
1-3),
111
probabile che la raffgurazione dellanimale con una collana
(seppure costituita di materiali esteticamente discutibili) possa essere
stata suggerita dalliconografa della Vanitas, nella quale una scimmia ma-
neggia vanae merces, tra cui, appunto, anche una collana.
112
Cos, la descri-
zione di abitazioni costituite di gnocchi ( Se volete venir meco al Golet-
to, / vi voglio dar in premio un marangone, / che fa case di gnocchi alle
legge in Malcolm, The Origins, cit., p. 91; la traduzione in inglese moderno suona: She
must have of the winters night / Seven miles of moonlight / Tightly knitted in a bladder;
/ She must mix into it / Seven Welshmens songs / And hang it on a ladder; / She must
have the left foot of an eel, / With the creaking of a cart-wheel (trad. del curatore).
Cfr. pure il breve contributo di A. Birlinger, Ein scherzhaftes Rezept, in Zeitschrift fr
deut sches Alterthum , a. xv 1872, pp. 510-12 (segnalato dallo stesso Malcolm). Aggiungo
S. Maspero, Una affettuosa ricetta burlona , in Bullettino della Societ pavese di Storia
patria , cvii 2007, pp. 335-59, e il sonetto di Vincenzo Belando detto Cataldo, Recipe quatro
vuova de nise, in G.A. Quarti, Quattro secoli di vita veneziana nella storia nellarte e nella poesia.
Scritti rari e curiosi dal 1500 al 1900, pref. di R. Simoni, 2 voll., Milano, Gualdoni, 1941, vol. i
p. 116.
110. Ma esiste anche Bagnolo nel Mantovano, come mi segnala gentilmente Andrea
Canova.
111. La seta siciliana era assai nota: cfr. C. Trasselli, Ricerche sulla seta siciliana (secoli XV-
XVII), in Economia e storia , xii 1965, pp. 213-58.
112. Cfr. H.W. Janson, Apes and Ape Lore in the Middles Ages and The Renaissance, Lon-
don, The Warburg Institute-Univ. of London, 1952, p. 225 fg. 14 e p. 237 n. 117.
giuseppe crimi
184
persone / e gliele vende sol per un marchetto , lxxxix 1-4) sembra esse-
re ricalcata su quelle degli edifci ricordati nel paese di Cuccagna.
113
Scritti sulla scia della fortuna del Bugiardello e sulla base di una topica
nonsensica comunemente accettata e sfruttata, i sonetti menzogneri del
Chersino racchiudono tuttavia alcune componenti che li diversifcano
dagli altri della tradizione, in primo luogo lesplicito richiamo alla topo-
nomastica relativa a Brescia e al suo territorio e, coerentemente, limpie-
go di una componente lessicale bresciana:
114
mi pare, in questo senso, che
sia chiara la volont di dare voce ad una realt locale. Una scrittura che si
arricchisce dellesperienza ariostesca e soprattutto di quella, pi vicina,
folenghiana, come induce a pensare lonomastica: Zambono (ii 5),
115
fal-
chetto (ii 13),
116
Tonello (vii 3),
117
Zanolo (xxiii 16),
118
e la Gosa (cviii 9).
119

113. Cfr. SB, iv 1-2: Se cappellucci fussin cavalieri / e tegoli lasagne imbullettate :
dove Claudio Giunta, per le lasagne, chiosa: saranno pi semplicemente la tegole dei
tetti, in una bella immagine da carnevale o da Cuccagna: se le tegole fossero lasagne (C.
Giunta, A proposito de I sonetti del Burchiello, a cura di Michelangelo Zaccarello (Torino, Einaudi
2004), in Nuova rivista di letteratura italiana , vii 2004, p. 473).
114. I toponimi in prossimit di Brescia sono Verla (iii 2), da identifcare con lattuale
Verolavecchia; Buffalora (iii 9): cfr. C. Bonera-V. Treccani, Buffalora-Bettole e dintorni.
Immagini e testimonianze storiche, s.i.t. [ma 1992]; Monpiano (xi 3); Comezano (xi 7); Calino
(xxii 7); val di Sabbio (xxiv 2), ossia Val Sabbia; Ronchedone (lii 6); Mombel (lxxxv 5),
cio Mombello; Goletto (lxxxix 2), probabilmente il colle Goletto di Cludona; Alfanel
(xcv 14), cio Alfanello; Rezato (xcix 13), ovvero Rezzato. Monumenti di Brescia sono
il Broletto (ii 10), per il quale cfr. P. Marconi, Il Broletto di Brescia: lologia e progetto. La ria-
bilitazione di un palinsesto architettonico degradato ma prezioso, Brescia, Comune di Brescia-
Grafo, 1990; e la torre detta La Palata (ciii 6).
115. Nei versi del Chersino, Zambono un ladro ( quando che Zan Tognazzo e un tal
Zambono / gli rubbr la polenta damaschina , ii 5-6), mentre nella Zanitonella un deru-
bato: cfr. T. folengo, Macaronee minori. Zanitonella. Moscheide. Epigrammi, a cura di M.
Zaggia, Torino, Einaudi, 1987, Zan., v 1015-17, pp. 282-83: Scilicet andamus vignas taiare
novellas, / ut de nocte meas taiasti, deque polaro / Zamboni septem robasti, ladre, gali-
nas (e vd. Id., Baldus, cit., ix 514-15, vol. i p. 440: Pizzagnoccus habet spetum roncamque
Stivallus, / Zambonus cettam duro de azale molatam ).
116. Vd. folengo, Baldus, cit., iv 130, e passim.
117. Vd. Folengo, Macaronee minori, cit., ad indicem, e cfr. Stefonio, Maccheronee, Maca-
roidos, 406, p. 28, ma ricordo che dietro il nome di Tonello, nel Cinquecento, si nasconde-
va Giulio Quinziano (Nuova antologia, cit., p. 46).
118. Vd. folengo, Macaronee minori, cit., Zan., v 1030, p. 283.
119. Corrisponde al nome di una delle muse di folengo, e poteva indicare anche un
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
185
Tuttavia sospetto che nei versi si celino allusioni a personaggi ed episodi
della coeva vita bresciana che, con gli strumenti che ho utilizzato, non
sono riuscito a far emergere (il sonetto proemiale parla di ziffere). Come
appena detto, nei sonetti si riconoscono numerosi accorgimenti sfruttati
nelle poesie della bugia, ma un altro dato mi sembra evidente: il Chersi-
no ha tentato di riproporre la formula del Bugiardello, ma nellatto
dellimitazione, lanciandosi nella scrittura di fantasie e di immagini iper-
boliche, quasi per tentare di superare il modello, ha sottovalutato la forte
componente letteraria dei versi imitati, che, pur apparendo irreali e
menzogneri, erano in realt intrisi di puntuali riferimenti ai mirabilia me-
dievali. In secondo luogo, c da osservare una sorta di snaturamento
della componente burchiellesca: intendo dire che alcuni sonetti sembra-
no burchielleschi, ma in realt non lo sono. Lautore delle Bugie, fermo
alla superfcie dei testi letti, stato in grado di appropriarsi soltanto del
nonsenso assoluto; dei versi alla burchia non ha colto il complesso la-
voro di scavo linguistico attuato, n ha percepito la componente verna-
colare o quella paremiologica.
Che comunque il Burchiello fosse tra i pi solidi punti di riferimento
del Moise insieme al Pulci testimoniato anche dalla citazione diretta in
xcviii 1-4: Volse il Burchiel far pasto a molti ingegni, / onde a sn di
ribeba [strumento simile alla lira] si adunaro / quanti giamai mai singe-
neraro / in questi de la terra amp e gran regni , dove il barbiere rimato-
re fgura alla guida dei letterati cinquecenteschi. Proprio sul Burchiello,
per porre fne al nostro discorso, val la pena di riportare i primo otto
versi del penultimo sonetto della raccolta (cix):
Un lavezzo di piombo col cerchiello
di smeraldo oriental, fatto a divise,
che bolliva del Turco le camise,
mha fatto di piacer colmo il budello.
essere misterioso (cfr. folengo, Baldus, cit., i 14, vol. i p. 68: Gosa, Comina, Striax Ma-
felinaque, Togna, Pedrala e n. di Chiesa). Sul folengo a Brescia cfr. P. Gibellini, Momen-
ti di letteratura bresciana antica, in Brescianamente. Storia lingua cultura arte e tradizioni bresciane,
a cura di V. Soregaroli e A. Scalera, Brescia, fondazione Civilt Bresciana, 2002, pp.
103-6.
giuseppe crimi
186
Veran sotto per foco del Burchiello 5
lossa ordinate per le man dAnchise
e vi soffava sotto il re Cambise,
chera sentato [seduto] sopra un pipistrello.
La scena comica e, se si vuole, anche grottesca mi pare che si rivesta di un
senso metaletterario: le ossa del Burchiello, in sostituzione del consueto
legname, sono impiegate per alimentare il fuoco sotto un cal de rone,
120

come in un rogo simbolico con cui la Poesia comica tenta di liberarsi
ma solo per poco pi di un secolo dei residui del cadavere di un mae-
stro ancora tanto infuente quanto ingombrante.
121
120. Il lavezzo un recipiente da cucina, di pietra ollare con manico (n. di Chiesa a
folengo, Baldus, cit., i 54, vol. i p. 74).
121. Ma gi anni prima il Caporali aveva descritto la morte del Burchiello, causata da
un calcio del cavallo Pegaso (cfr. N. Cacciaglia, Il Viaggio di Parnaso di Cesare Caporali,
Perugia, Guerra, 1993, ii 737-48, pp. 99-100).
187
APPENDICE
Si dnno in trascrizione diplomatica gli incipit dei sonetti della raccol-
ta del Chersino. Con lasterisco * dopo lindicazione numerica sono con-
trassegnati i testi plagiati:
Per darui vn poco di piacerhonesto (i)
Venne una noua gi millanni sono (ii)
Portaua vn di Nettuno vna caualla (iii)
fate castrarvnoca beretina (iv)
L vna mal cosa hauer la paladina (v)
Vna Ninfa di stoppa inghirlandata (vi)
Vn Bracco, vn Tigre, vn Gatto, & vna Mona (vii)
Staua vn carro di feno ne la Luna (viii)
Lanno del bistestil corse in Morauia (ix)
Pauia, e Milan son fatti per incanto (x)
Pesaua vnasinello de carpioni (xi)
Vna gnacchera fatta di dobletto (xii)
Vn menac ch buona sale in zucca (xiii)
Vendo Signori unoglio di Medusa (xiv)
Le mie balle Signor, non son di quelle (xv)
Vn coscin di polenta informaggiata (xvi)
Pescando vn Pescator lAcque dAntona (xvii)*
Io viddi in Catalogna partorire (xviii)*
Io viddi vn armarol dentra Milano (xix)*
Ne lIndia maggior de lEtiopia (xx)*
Di rouaiotto, e di panico gialdo (xxi)
Vn naso h visto, largo, e longo, e piano (xxii)
Sul monte di Parnaso vn d si vidde (xxiii)
Soleua un cocodril mangiar de loro (xxiv)
Visse di gi vn gran R, ne la Bertagna (xxv)*
Codro fabric gi sul mar vn ponte (xxvi)*
Viddi unAlocco vscir duna pantiera (xxvii)*
Tre vaghe donne viddi in vn bel piano (xxviii)*
Date a Pasquin de la minestra calda (xxix)
Ognanno f vna festa il Prete Eganni (xxx)*
Vn gran conuito f fattin Milano (xxxi)*
Combattendo ser Turno co Rifei (xxxii)*
giuseppe crimi
188
Un cantaro di faua mal menata (xxxiii)
Staua vn fachino al porto di Brandicio (xxxiv)*
Nel mar di Grecia, appresso alla Vallona (xxxv)*
Io viddi in Camalech vnortolano (xxxvi)*
In Lombardia, nel Lago di Garda (xxxvii)*
Hauendo vn ragno tesa la sua rete (xxxviii)*
Quando Cambise amazz l gran gigante (xxxix)*
f gi ne la pignera di Rauenna (xl)*
Nella Citt gentile di fiorenza (xli)*
Molti addimandan qual la cagione (xlii)*
Passando il Golfo di Costantinopoli (xliii)*
Io vidi in dito al R Carlo, vnanello (xliv)*
Volendo campeggiar il Tamburlano (xlv)*
Nel Monte Olimpo, nascon Sparauieri (xlvi)*
Ne lElba, qual l presso a Piombino (xlvii)*
Quandil R Carlo conquist la Spagna (xlviii)*
Al Cairo ne la casa del Soldano (xlix)*
Vn becco azurro nacque in ferrarese (l)*
Vna gran frotta dAsini Spagnuoli (li)
Riritateui tosto a far lvsura (lii)
Oltra l Regno di Troia, viddi in vn loco (liii)*
Gi ne la destruttion di Troia antica (liv)*
Vna gallina nacque in Padoana (lv)*
Passando gi per la dura montagna (lvi)*
Piouendo a goccie vna volta in Damasco (lvii)*
Io mi raccordo hauer visto due galli (lviii)*
Oltra l mar rosso, poi vnaltro mare (lix)*
Di Cartagine il R, fece gi vn dono (lx)*
Molti ignoranti, a quai legger incresce (lxi)*
Passando per il P viddi un sturione (lxii)*
Il R di francia hauea due armellini (lxiii)*
Io viddi ne la corte al Saladino (lxiv)*
Io viddi vn giocator di bagatelle (lxv)*
Teneua in casa il Duca da Storlich (lxvi)*
Unarbor nasce nel Settentrione (lxvii)*
Tenia il Turco vn bel gatto maimone (lxviii)*
Il gran Mastro di Rodi, f vnarmata (lxix)*
Vna volta la Luna venne in terra (lxx)*
Caualcando Alessando per Thessaglia (lxxi)*
i sonetti della bugia di francesco moise chersino
189
Io viddi vnorbo, che guardaua vn muto (lxxii)*
Essendo io vna volta in Trebisonda (lxxiii)*
Ne campi Elisi appresso alla sua porta (lxxiv)*
Io fui pur vna volta nel Toniso (lxxv)*
Questa notte insognai, chvn gatto hauea (lxxvi)
Chi crederebbe, che due pecorelle (lxxvii)
Da la man destra del vento sirocco (lxxviii)
Egli per certo vn beccar a Viterbo (lxxix)*
Ricordomi hauer visto in Sardigna (lxxx)*
Quando in Cucagna staua l R Gualfoni (lxxxi)*
Nel tempo, che l filosofo Solone (lxxxii)*
Brindisi, e bonprofaccia, & un staflo (lxxxiii)
Ritornate facchini alla Dogana (lxxxiv)
Vn melon tondo, come vn pal di ferro (lxxxv)
Combattendo rabbiosi, a ferri aguzzi (lxxxvi)
Plotin, Plutarco, e l gran Leon Hebreo (lxxxvii)
Portatemi scolari la padella (lxxxviii)
Se volete venir meco al Goletto (lxxxix)
Cento grue pelate in Auignone (xc)
La codesella h fatto hoggi vn duello (xci)
Vna scardoua acconcia coi budelli (xcii)
Piglia vna soma di formento magro (xciii)
Porgetemi gli incudi, barbagianni (xciv)
Vna mariola di lardo porcino (xcv)
I verzi le spinaccie, e rauanelli (xcvi)
Rideuan le cicale a mezzo Agosto (xcvii)
Volse il Burchiel far pasto a molti ingegni (xcviii)
Vna trombetta dolce come l pane (xcix)
Due sporton di naranci, & vn di lame (c)
Trentasei millia gnocchi di Leuante (ci)
Chi crederebbe, chvn fornar peloso (cii)
La sganduffa famosa, e la fandonia (ciii)
Andate a far a sassi in mezzo al ballo (civ)
Vna bilancia fatta di mascherpa (cv)
Vua passa, & zenzale, e gnocchi a lesso (cvi)
Menando la fauetta a rompicollo (cvii)
Esopo vendemiaua vn pi di pieri (cviii)
Vn lavezzo di piombo col cerchiello (cix)
Rimaneteui priui di salsume (cx).
191
Massimo Castoldi
IL PRETE RIDE E LA SERVA BALLA .
PIETRO MICHELI E LA STORIA DEL NONSENSO
Nellultimo decennio dellOttocento in Italia il dibattito sul simboli-
smo, e in particolare sulla poesia di Verlaine e di Mallarm, fa rifettere
poeti, critici e lettori non solo sul ruolo e sulla funzione del poeta, ma
anche sullautonomia poetica del signifcante e con essa inevitabilmente
sul valore e sulla tradizione del nonsenso, pur nella consapevolezza del-
le diverse implicazioni estetiche. Enrico Panzacchi data al 1891 un suo
breve saggio, intitolato Simbolisti (Frammento), pubblicato nel 1898 nel vo-
lume Morti e viventi.
1
il solo saggio esplicitamente datato fra i dodici che
compongono il volume, insieme con una breve nota su dAnnunzio pla-
giario. Certamente a Panzacchi interessava insistere su quella data, che
avrebbe anticipato sia il libro di Vittorio Pica, Letteratura deccezione (1898),
sia il saggio di Arturo Graf, Preraffaelliti, simbolisti ed esteti (1897), sia soprat-
tutto larticolo di Ren Doumic, La potique nouvelle (1895), nonch la
traduzione italiana in due volumi del molto discusso saggio di Max Nor-
dau, Degenerazione (1893-1894, dedicato a Cesare Lombroso), articolata
denuncia, ma a un tempo anche accurata analisi, delle nuove tendenze
della cultura letteraria europea.
2
Il 1891 anche la data della prima edizione delle Myricae di Giovanni
Pascoli (pubblicate a Livorno nella tipografa di Raffaello Giusti in cento
copie per le nozze di Raffaello Marcovigi), che certamente rappresenta-
rono un momento signifcativo per la nuova concezione della poesia.
1. E. Panzacchi, Morti e Viventi, Catania, Giannotta, 1898, pp. 88-99.
2. V. Pica, Letteratura deccezione, Milano, Baldini e Castoldi, 1898. I primi due capitoli
sono interamente dedicati a Paul Verlaine (pp. 5-93) e a Stphene Mallarm (pp. 95-207),
seguono pagine su Maurice Barrs, Anatole france, francis Poictevin, Joris-Karl Huy-
mans. Cfr. anche A. Graf, Preraffaelliti, simbolisti ed esteti, in Nuova Antologia , s. iv, vol.
lxvii 1897, fasc. 1 pp. 29-46, e fasc. 2 pp. 268-92; R. Doumic, La potique nouvelle, in Revue
des deux mondes , lxv, to. cxxx 1895, pp. 935-46; M. Nordau, Degenerazione, versione
autorizzata sulla prima edizione tedesca per G. Oberosler, 2 voll., Milano, Dumolard,
1893-1894.
massimo castoldi
192
Con quella data, pertanto, cos ben evidenziata a fne articolo, Panzacchi
sembra voler dichiarare una precedenza, o comunque sentirsi legittima-
to a scrivere senza dover tener conto di tutto quanto scritto negli anni
successivi. Bisognerebbe indagare se nei fatti queste pagine siano state
scritte o magari anche pubblicate su qualche rivista nel 1891, sinceramen-
te non ho condotto ricerche sistematiche in questa direzione e quindi
non saprei rispondere con sicurezza. Quel che indiscutibile , tuttavia,
limportanza attribuita da Panzacchi a quella data.
Il breve saggio coglie lessenza del simbolismo nel principio che le
parole e le frasi del linguaggio oltre i loro signifcati oggettivi e noti al-
luniversale, hanno, per chi possegga uno squisito senso artistico, un va-
lore di impressione e di associazione ideale e fantastica tutto proprio del
loro organismo fonetico e della loro stessa confgurazione grafca . La
Parola , precisa Panzacchi, studiata dai Simbolisti in tutti i suoi pi
minuti elementi di eccitamento sensorio e fantastico, in tutte le sue pi
recondite prerogative di sensazione musicale . Avviene , conclude,
pi duna volta che questa eccessiva cura della musicalit renda oscuris-
simo il senso delle loro liriche, oppure che non si riesca a trovarvi senso
alcuno. Non importa. [] Chi legge o ascolta [] vedr a poco a poco,
come il fumatore doppio, delinearsi e colorirsi le mirifche visioni di-
nanzi alla sua mente Intanto tutto il suo sistema nervoso vibrer come
una lira .
3
Da questo momento, in Italia, come in francia e nel resto
dEuropa, il signifcante affermer sempre pi la sua autonomia e pertan-
to anche il nonsenso verr percepito non pi soltanto come gioco infan-
tile o giocosa parodia, ma anche come una complessa modalit di cono-
scenza e di rappresentazione.
In questo decennio di serrato dibattito critico sulla nuova poesia non
sorprende che al giovane professore livornese Pietro Micheli sia venu-
to in mente di pubblicare un saggio dal titolo Letteratura che non ha senso,
aggiornandolo a pi riprese tra 1893 e 1900, al fne di tracciare la storia del
nonsenso in tutti i suoi aspetti, in tutte quelle forme di espressione lette-
raria, come egli stesso scrive, che sono animate dal desiderio di trasfor-
mare le parole per compiacersi dellarmonia che ne deriva e incentrate
3. Panzacchi, Morti e viventi, cit., pp. 91-92, 98-99.
pietro micheli e la storia del nonsenso
193
sulla propriet che hanno alcuni vocaboli di attirare la nostra attenzione
col loro suono : dal gioco, alla flastrocca, alla parodia, alla nuova poe-
sia.
4
unopera, dunque, sicuramente contemporanea, che anche diviene
e si amplia con attenzione al dibattito critico di quegli anni e si diffonde
almeno fra gli addetti ai lavori. Non un caso che ledizione defnitiva,
pubblicata per Raffaello Giusti a Livorno nel 1900, sia presente nelle bi-
blioteche private di Giosue Carducci, di Giovanni Pascoli, e di Luigi Pi-
randello.
5
In due foglietti conservati nel suo esemplare Pirandello tra-
scrive per esteso una porzione di testo compreso tra la p. 16 e la p. 18,
nella quale Micheli si sofferma sui mostri favolosi della mitologia e li
paragona a certi nonsensi in poesia, spiegando che in questi, sono appic-
cicate fantasticamente le membra di animali differentissimi , in quelli
le frasi sono messe luna dietro laltra senza nesso , secondo un criterio
analogico, simile a quello dei sogni e delle allucinazioni. E cos Leonar-
do da Vinci avrebbe trovato affnit tra il sorriso della donna e il guizzo
dellonda. La poesia, prosegue Micheli e trascrive Pirandello, a differen-
za della pittura e della scultura, che non possono evitare la materialit ,
pu rendere la momentanea illusione ed il successivo ritorno alla realt,
con lanimo ancora vibrante per la gioia del sogno fugace . A esempio di
tale possibilit Micheli cita il sonetto Il bosco dalle Myricae di Pascoli, che
Pirandello trascrive integralmente. Il bosco pascoliano si anima infatti di
4. P. Micheli, Letteratura che non ha senso, Livorno, Giusti, 1900, p. 9. Un primo accenno
del saggio in Id., Saggi e conferenze: letteratura che non ha senso, loriginalit degli scrittori, i poeti
del vino, i cani nella letteratura, Livorno, Tip. della Gazzetta Livornese, 1893, pp. 3-16; segu
larticolo Letteratura che non ha senso, in Il Pensiero italiano , vol. xv, v 1895, fasc. 59 pp.
321-34 e fasc. 60 pp. 443-61, un estratto del quale Micheli invi a Giosue Carducci (Biblio-
teca Museo Archivio Casa Carducci, buste 141 21); infne il vol. Letteratura che non ha senso,
Conegliano, Cagnani, 1897. Ringrazio Nicoletta Campana del Centro di Documentazio-
ne e Ricerca Visiva della Biblioteca Labronica f.D. Guerrazzi di Livorno e Matteo
Rossini della Biblioteca Museo Archivio Casa Carducci di Bologna per le preziose indi-
cazioni bibliografche.
5. Biblioteca Museo Archivio Casa Carducci, segnatura 1 a 465; Biblioteca di Casa
Pascoli a Castelvecchio, segnatura XI 2f 23; per la biblioteca di Pirandello, cfr. A. Barbi-
na, La biblioteca di Luigi Pirandello, con una premessa di U. Bosco, Roma, Bulzoni, 1980,
pp. 58 e 129.
massimo castoldi
194
fauni e di ninfe, che quando dileguano lasciano un inconfondibile palpi-
to di vita nella boscaglia .
6
Pietro Micheli, nato a Livorno nel 1865, certamente un minore nel
panorama letterario italiano tra Ottocento e Novecento, ma non privo
di originalit. Sul fnire del secolo fu insegnante al corso superiore della
Scuola di viticoltura e di enologia di Conegliano veneto ed ebbe la felice in-
tuizione di sfruttare la circostanza per divenire un esperto di letteratura
enologica, scrivendo vari articoli sulla presenza del vino nellopera degli
scrittori, in parte poi raccolti nel volume La gloria del vino; del medesimo
orientamento tematico anche un saggio su I cani nella letteratura.
7
Mi-
cheli fu autore di tre romanzi,
8
studioso di letteratura popolare e dialet-
tale, nonch di Manzoni, Guerrazzi, Poliziano, Boiardo, Ariosto e Berni.
noto il suo commento allOrlando Furioso.
9
Oltre che a Conegliano,
insegn a Crema, a Catania, dove nel 1908 divenne collaboratore del lo-
6. O vecchio bosco pieno di albatrelli, / che sai di funghi e spiri la mala, / cui tutto
io gi scampanellare udia / di cicale invisibili e di uccelli: // in te vivono i fauni ridarelli
/ chhanno le sussurranti aure in bala; / vive la ninfa, e i passi lenti spia, / bionda tra le
interrotte ombre i capelli. // Di ninfe albeggia in mezzo a la ramaglia / or s or no, che se
il desio le vinca, / locchio alcuna ne attinge e il sol le bacia. // Dileguano; e pur viva la
boscaglia, / viva sempre ne for de la pervinca / e ne le grandi ciocche de lacacia . Un
terzo foglietto autografo di Pirandello allude al tema della derisione: La derisione. Di-
ceva il La Bruyre che la derisione sovente povert di spirito. E il La Rochefoucauld che:
Se non avessimo difetti, non prenderemmo tanto piacere osservandone negli altri .
7. P. Micheli, La gloria del vino, Casalmonferrato, Marescalchi, 1929; Id., I cani nella
letteratura. Conferenza tenuta al Circolo lologico di Livorno il 25 Marzo del 1891, Conegliano,
Cagnani, 1891; poi in Id., Saggi e conferenze, cit., pp. 33-43, e in Id., Conferenze, Citt di Ca-
stello, Lapi, 1909, pp. 89-119.
8. Rassegnazione, Livorno, Giusti, 1904; Ribellione, Citt di Castello, Lapi, 1909; A mezza
strada, Livorno, Giusti, 1925.
9. L. Ariosto, Orlando Furioso, con intr. e note seguite da un commento estetico di P.
Micheli, 2 voll., Milano, Vallardi, 1908. Tra i saggi di critica letteraria pi signifcativi di
Pietro Micheli: Due poeti vernacoli livornesi, Conegliano, Cagnani, 1897 (poi in Id., Saggi
critici, Citt di Castello, Lapi, 1906, pp. 101-43); Dal Boiardo allAriosto, Conegliano, Cagna-
ni, 1898; LOrlando innamorato rifatto dal Berni, Padova, Randi, 1900 (poi in Id., Saggi, cit., pp.
145-67); Guerrazzi, Pascoli e la critica moderna con alcuni scritti inediti di Giovanni Pascoli, Livor-
no, Giusti, 1913; La vita e le opere di Angelo Poliziano, ivi, id., 1917; Intorno alle liriche del Man-
zoni, Napoli, Perrella, 1917; La morte di Ermengarda, ivi, id., 1918. Per un proflo compiuto di
Micheli si legga il fascicolo a lui dedicato in morte nella rivista livornese Liburni Civi-
tas , vii 1934, fasc. 6 pp. 261-314, con i saggi di Bianca flury Nencini, Arturo Marescalchi,
pietro micheli e la storia del nonsenso
195
cale Giornale di Catania , e a Bologna, per tornare nel 1911 nella sua
Livorno, dove mor nel 1934. A Catania fu per parecchi mesi vicino di
camera e commensale di Luigi Capuana, del quale ci ha lasciato un signi-
fcativo ritratto;
10
a Livorno fu amico in giovent di Giovanni Pascoli; e
anche su Pascoli uomo e poeta ci ha lasciato numerose testimonianze a
partire da una delle prime recensioni a Myricae, apparsa su La Gazzetta
Livornese del 20 agosto 1891.
11
fu anche grande amico di Dino Proven-
zal, col quale intrattenne un ftto carteggio.
12
Ledizione Giusti di Letteratura che non ha senso un volume composito,
eterogeneo, con qualche ripetizione, una disposizione degli argomenti
non sempre ordinata, ma ricco di aneddoti, di spunti e di osservazioni,
talora anche di prima mano, altre volte suggerite da letture non comuni,
molto utili per ricostruire aspetti e tendenze del nonsenso, pi forse
nella prospettiva contemporanea tardo ottocentesca, che in quella pi
de fnitamente storica, che, invece, si appoggia su riferimenti piuttosto
vulgati. Interessanti sono le pagine dedicate al gusto per il nonsenso nel
Paolo Zlum, Arturo Bini, Dino Provenzal, frida Gabrielli, Gino Galletti, Luigi Man-
nucci, Luigi Pescetti, che ricordano lamico, il professore, il narratore, lo studioso.
10. P. Micheli, Luigi Capuana. Ricordi personali, in Liburni Civitas , vii 1934, fasc. 6 pp.
261-66, tratto postumo dagli appunti per una conferenza che il Micheli tenne al Circolo
filologico livornese nel 1928. Cfr. M. Castoldi, Liburni Civitas : Pietro Micheli e i ritratti
di Capuana e Pascoli, in Letteratura e riviste. Atti del Convegno internazionale di Milano, 31
marzo-2 aprile 2004, a cura di G. Baroni = Rivista di letteratura italiana , xxii 2004, pp.
133-36.
11. Altri contributi di Pietro Micheli su Pascoli sono: Myricae, in La Gazzetta dellEmi-
lia , 21 maggio 1894; La poesia di Giovanni Pascoli, in LEdelweiss , i 1897, fasc. 26 pp. 410-
12; Una visita al Pascoli, in La vita internazionale , iv 1901, fasc. 6 pp. 190-92; Giovanni Pa-
scoli, ivi, v 1902, fasc. 13 pp. 404-7 e fasc. 14 pp. 432-35; Giovanni Pascoli, in Id., Saggi, cit., pp.
57-78; Guerrazzi, Pascoli e la critica, cit.; Due madrigali dimenticati del Pascoli, in La Rassegna ,
xxvi 1918, fasc. 4-5 p. 275; Rassegna pascoliana, ivi, xxvii 1919, fasc. 1-2 pp. 40-45; Il vino nella
poesia di Giovanni Pascoli, in Il Telegrafo , 21 febbraio 1922; Bizzarrie e fatti personali, in Li-
vorno a Giovanni Pascoli. vi Luglio mcmxxiv, Livorno, Giusti, 1924, pp. 50-52; Storia di unode
latina, in I nostri quaderni , i 1924, fasc. 12 pp. 394-95; Ricordi pascoliani, in Pgaso. Ras-
segna di lettere e arti , v 1933, fasc. 3 pp. 261-72; Nuovi ricordi pascoliani, in Liburni Civitas ,
vii 1934, fasc. 2 pp. 81-97.
12. D. Provenzal, Ricordi di Pietro Micheli, in Liburni Civitas , vii 1934, fasc. 6 pp. 282-
89.
massimo castoldi
196
linguaggio comune, negli usi e nelle tradizioni popolari, delle quali Mi-
cheli era esperto conoscitore.
C, a giudizio di Micheli, un vero e proprio compiacimento, che han-
no gli uomini, di emettere suoni, che non hanno signifcato, o ne hanno
uno indeterminato e confuso .
13
Il linguaggio stesso sarebbe derivato da
suoni imitativi. Lapproccio positivista e sperimentale. Prendendo
spunto da un recente studio di Ludovic Dugas, Le Psittacisme et la pense
symbolique. Psychologie du nominalisme,
14
Micheli si sofferma su questa mo-
dalit del linguaggio, psittacismo appunto, incline a ripetere automatica-
mente ci che si legge o si sente senza per comprenderne il signifcato
e che sarebbe, laddove non diventa patologia, allorigine del nonsenso.
Pu essere che alcune parole vengano assunte nelluso pi per il gusto
di ripeterne il suono, che per il loro signifcato, cos Micheli ricorda di
aver conosciuto un tale per cui tutte le persone e le cose erano trabiccoli
e trabiccolai , cos registra labuso che si farebbe della parola tranvai: una
donna grassa un tranvai, un poco di buono un tranvai, un abito mal fatto,
un impiccio, un ragazzo noioso e tante e tante altre cose sono tranvai
(pp. 5-6). Ne seguirebbe il valore puramente evocativo, feticismo della
parola dice Micheli, che assumono gli slogan, gli scongiuri, le formule
magiche, addirittura molte preghiere.
Ripetendo o ascoltando i modi di dire degli altri, si crede di appropriarsene il
pensiero e il sentimento. [Si diventa cos] monarchici, repubblicani, socialisti,
anarchici, senza sapere che cosa sia socialismo, monarchia, anarchia, repub blica!
(p. 7).
E cos la fducia nelle parole, non intese, fa s che il popolo non trova
strano lascoltare la Messa, di cui non capisce nulla, e il recitare le pre-
ghiere latine, che egli non sa quello che signifchino, e che, passate per la
sua bocca, non signifcano pi niente . E come Sacchetti nellundicesima
delle sue Trecentonovelle parla del balbuziente Alberto da Siena che aveva
trasformato il da nobis hodie del Paternoster in una misteriosa Don-
13. Micheli, Letteratura, cit., p. 4 (le successive indicazioni di p. dir. a testo).
14. L. Dugas, Le Psittacisme et la pense symbolique. Psychologie du nominalisme, Paris, flix
Alcan, 1896.
pietro micheli e la storia del nonsenso
197
na Bisodia che doveva darci il pane quotidiano, cos a Livorno Micheli
sent dire che lo misero in du casse , dal ne nos inducas della mede-
sima preghiera latina (p. 8).
15
Il suono arriva prima del signifcato, lo
stravolge, e crea nuove libere associazioni di suono pi che di idee. Can-
tilene infantili, frasi per giochi e balli sono per questo tutte, scrive Mi-
cheli, come le ninne nanne, serenamente incuranti del concetto (p.
10). Non hanno senso, importano solo per il loro suono, che deve trastul-
lare, divertire o addormentare.
Lantologia molto essenziale, ma gli esempi sono suffcienti e illumi-
nanti: parole semplici che alludono genericamente alla quotidianit del-
la vita agreste (il pollo, la buccica o buccia dellolmo, la polenta, il prete,
la serva) accostate per generare sonorit suggestive, ma senza alcun sen-
so, oppure col gusto del paradosso. Scrive Micheli:
Sul desiderio di trasformare le parole per compiacersi dellarmonia che ne deri-
va, sulla propriet che hanno alcuni vocaboli di attirare la nostra attenzione col
loro suono, sullerrore diffusissimo che la cognizione dei vocaboli porti quella
delle idee, si fonda la letteratura che non ha senso (p. 9).
fate la nanna, coscine di pollo,
la vostra mamma vi ha fatto un gonnello,
e ve lo ha fatto di buccica dolmo;
fate la nanna, coscine di pollo.
Polenta dolce,
polenta gialla,
il prete ride e la serva balla.
Il prete fa le conche
e la serva gliele rompe.
Il prete le rif
e la serva le lascia st.
15. Nella novella di Sacchetti, Alberto richiamato per burla dallinquisitore che, dac-
cordo con lamico Guccio Tolomei, gli fa recitare il Paternoster, ma la sua lingua incespica
sul da nobis hodie e linquisitore lo accusa allora di essere un patarino e in quanto tale
di non riuscire a dire le cose sante . Spaventato della minaccia e timoroso di essere con-
dannato spiega allamico Guccio che linquisitore dice che io sono paterino, e che io
torni a lui domattina, e ancora non manc per quella puttana di donna Bisodia che
scritta nel Paternostro che non mi facesse morire allotta allotta .
massimo castoldi
198
Uno due e tre:
nun guardare e nun ved.
C dunque un nonsenso primitivo, essenziale, allorigine stessa del lin-
guaggio e del ritmo, che Micheli paragona addirittura allo scodinzolare
e allabbaiare del cane, allo scuotere la criniera e al nitrire del cavallo, ai
fschi acuti delle rondini che sinseguono nellaria (pp. 11-12).
Unaltra forma di nonsenso sulla quale Micheli indugia con ampiezza
di riferimenti, a volte anche sorprendenti, e defnendola quasi fosse un
vero e proprio genere letterario, in gran parte perduto per la sua carat-
teristica specifca di oralit, larte del discorso senza senso, fatto talora
per parodia, talora per inganno, talora semplicemente per gioco. Ne
furono maestri nel Decameron Maso del Saggio coi suoi inganni a Calan-
drino e frate Cipolla, quando predica ai contadini di Certaldo, inaugu-
rando un genere che ebbe molti continuatori nei novellieri successivi a
partire dal Sacchetti. Affni a queste sarebbero, per Micheli, molte pre-
diche religiose volte a confondere pi che a chiarire le idee, come quel-
la, allusa ma non trascritta, del teologo francescano Andrea Vega al Con-
cilio di Trento, che, come racconta Paolo Sarpi, dopo avere parlato con
tanta ambiguit che esso stesso non si intendeva, concluse che tra la
sentenza dei teologi e protestanti non vera pi differenza veruna (Isto-
ria del Concilio tridentino, ii 61 9). Paolo Sarpi ci farebbe immaginare con
questa breve battuta tutto il suo discorso sonoro, ma sconclusionato (pp.
24-25). Carattere analogo avrebbero molte profezie, che fondano nella
confusione e nellambiguit la loro ragione di esistere. Ma la consuetu-
dine a straparlare per il piacere di farlo era invalsa anche nel secondo
Ottocento, sia tra il popolo, sia tra gli artisti. Si va dal vinaio di Livorno,
che si divertiva a dare insensate indicazioni a chi gli chiedeva una strada
sul tipo di:
Guardi, lei va dritto, poi volta a destra, poi a sinistra, dove trova un venditore di
lumi da incenso, allora va pi in l, dove ci sono dei monticelli dacqua, passati i
monticelli, a sinistra, c una strada; lei domanda: questa la via tale? Gli rispon-
deranno di s (p. 19);
a un tale signor Salvatore Affnito, che in provincia di Lecce era noto per
pietro micheli e la storia del nonsenso
199
imitare gesto e voce specialmente degli uomini politici, formulando di-
scorsi dal perfetto ritmo oratorio, ma senza alcun senso:
Onorevole consesso, pubblico immenso, popolo grande, a cui io rivolgo la mia
parola; non certamente la metempsicosi dei fatti, lalienazione della mente, la
progenesi medesima; ma lapocalisse di ci che affermasi dimostrato e patriot-
tico. Grandi furono gli uomini, sublimi le idee, preconcetti i sentimenti, che
dovevano apportare al vero progresso della patria e nazione (p. 35).
fra gli eredi ottocenteschi di frate Cipolla e di Maso del Saggio ci sa-
rebbe stato anche il pittore milanese Campi, noto per avere illustrato i
Promessi Sposi (Milano, Hoepli, 1912), che a dire dellavvocato milanese
Pirro Aporti, direttore del periodico Il pensiero italiano , sul quale nel
1895 Micheli aveva pubblicato la seconda redazione del saggio, era solito
improvvisare discorsi senza alcun senso anche in alcune lingue straniere.
Pare che avesse parlato in tal modo presso la famiglia Artistica in onore
di Emile Zola, il quale, di passaggio a Milano, non avrebbe saputo capa-
citarsi di non aver capito nulla di uno splendido discorso accademico
indirizzatogli scherzosamente in francese dal Campi (p. 36 n.).
16
Per
non parlare poi degli improvvisatori di versi e canzoni senza senso che si
aggiravano nelle varie citt per osterie. Il Micheli ne ricorda uno a Por-
denone, che descrive minutamente nellaspetto, nei vestiti e nei modi,
ma anche nella sua voce, abilissima tanto nel variare timbro, ora lenta e
cadenzata ora rapida e vibrata, quanto nel non dire mai una frase sensata,
ma nellintrattenere il pubblico interi quarti dora con parole del tipo:
16. Qui il Micheli si riferisce a una Nota della Direzione , che Pirro Aporti aveva
aggiunto alla sua seconda redazione del saggio in Il pensiero italiano , vol. xv, v 1895,
fasc. 60 p. 446: Auguriamo allamico articolista di assistere a qualcheduna di quelle scene
comiche che, senza farsi mai pagare, regala agli amici e talora al pubblico a scopi benefci
quel singolarissimo ed esimio artista che il pittore milanese Campi, noto urbi et orbi per
le sue mirabili ombre. Egli pronunzia in modo sorprendente squarci doratoria, prediche,
brindisi, discorsi, lezioni et similia, non solo senza senso ed in lingua italiana, ma pure in
lingue straniere, o per dir meglio con suoni articolati che imitano a perfezione parole ed
accenti di queste lingue; e ci fa s bene che Zola, una sera che lo si festeggi qui a Milano
alla famiglia Artistica, non sapeva capacitarsi di non aver capito un bel nulla duno splen-
dido discorso accademico dal Campi scherzosamente indirizzatogli in francese, e chegli
aveva religiosamente ascoltato .
massimo castoldi
200
Vola aquila nefasta, sopra il patrio olivo riscaldato dalle sublimi carezze del sole
morituro in un delirio di nebbia: vola o bipede implume ricoperto di stelle []
(p. 48)
Un altro in Basilicata, oste con la bottega a SantEligio sulla via da Matera
a Grottole, che faceva brindisi con versi e prosa, canti e balli, gorgheggi,
che ora parevan gargarismi ora grugniti , balletto da orso male ammae-
strato , una vera e propria singolare performance, della quale rimane me-
moria forse solo nelle parole di Micheli, ma che fa rifettere (pp. 49-50).
Un terzo aspetto del volume di Micheli quello della vera e propria
storia del nonsenso, attraverso le sue testimonianze scritte. forse la
parte, per noi, meno interessante, perch ci dice a volte in modo anche
piuttosto frettoloso quello che gi sappiamo. Dai medievali cicalamen-
ti sconclusionati dei giullari (resveries, fatras, fatrasies, fatrasseries, in Spagna
ensaladas, ensaladillas) in Italia frottole, secondo Antonio da Tempo verba
rusticorum, nullam perfectam sententiam continentia , ovvero nonsen-
si, ai gliommeri di francesco Galeota e di Jacopo Sannazaro, fno ai preve-
dibili Burchiello e Berni, con allegati burchielleschi e berneschi (pp. 32,
36, 42). N manca Micheli di segnalare la canzone proverbiosa o frotto-
lata di Petrarca, Mai non vo pi cantar come soleva, alcune farse toscane
come La villana di Lamporecchio, dellattore forentino Luigi del Buono
(1751-1832), e anche Il poeta fanatico di Carlo Goldoni, che faceva improv-
visare a Brighella (a. iii sc. 7) ottave del tipo (p. 52):
Era di notte e non ci si vedea,
perch Marfsa aveva spento il lume;
un rospo colla spada e la livrea
ballava il minuetto in mezzo a un fume.
Laltro giorno da me venuto Enea
e mha portato un origlier di piume:
Cleopatra ha scorticato Marcantonio,
le femmine son peggio del demonio;
o giornali satirici stravaganti e al tempo popolari come il Travaso delle
idee del contemporaneo maceratese Tito Livio Cianchettini (1821-
1900), fno ad arrivare niente meno al dramma Rodolfo di Giovanni Prati
(p. 79):
pietro micheli e la storia del nonsenso
201
Dottrine di rattoppo, a frusti e ciarpe
come fa il rigattier di sua mondiglia
spaccian gli industri: e giubberelli e scarpe
giuran cucir dAdamo alla famiglia.
Ma per ciottolo o tigna che le carpe
la costura si frange e si scaviglia,
o a mezza falda il refe si discruna,
e il mal di morte il segno della cuna.
Micheli non lo dice, ma anche ferdinando Martini nella sua edizione
delle Poesie di Prati dichiara apertamente di non aver capito e che questi
versi sfdano le lucubrazioni de commentatori pi pazienti ed ar guti .
17
Il nonsenso spesso stato anche parodia. Tra gli esempi recenti pi si-
gnifcativi Micheli ricorda Baretti che nella frusta letteraria fa la paro-
dia al facile saltare di palo in frasca di Passeroni o il dramma Adramiteno
dragma anbio per ragione di musica, canzonatura dei melodrammi di Meta-
stasio. Talvolta burla, semplice gioco, e anche qui gli esempi di Micheli
sono numerosi (p. 61). Terminato il suo excursus storico letterario, Miche-
li, prima di concludere, si vuole soffermare su quegli scrittori special-
mente poeti che si occupano nelle loro opere non tanto di esprimere
sentimenti o pensieri, quanto di ottenere con la combinazione ritmica
delle sillabe unarmonia prestabilita, che di per s deve risvegliare idee
vaghe, sensazioni indeterminate , e dichiara caposcuola di questi mo-
dernissimi poeti in francia , Paul Verlaine (p. 76). La posizione di Miche-
li incerta e perplessa, in alcuni passaggi oserei dire imbarazzata, sia pure
ben documentata: condanna il nonsenso richiamandosi ora a Dante, Vita
nuova, xxv 10: grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto
vesta di fgura e di colore rettorico, e poscia, domandato, non sapesse
denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace in-
tendimento ,
18
ora allUomo di lettere difeso ed emendato di Daniello Bartoli,
17. Vi sono nel Rodolfo ottave che sfdano le lucubrazioni de commentatori pi pa-
zienti ed arguti. In questa, pare dico pare il Prati volesse descrivere e rampognare le
vergogne sociali del tempo suo []. Avete capito voi? Io confesso umilmente che no (G.
Prati, Poesie scelte, a cura di F. Martini, firenze, Sansoni, 1892, p. xxiii).
18. Cfr. D. Alighieri, Vita Nuova, a cura di D. De Robertis, Milano-Napoli, Ricciar-
di, 1980, pp. 177-78.
massimo castoldi
202
allorch il gesuita del Seicento accusa chi nellesegesi letteraria cerca stra-
vaganti chimere , fuor dogni pensiero dellautore e vuol mutare le
libidini in misteri .
19
E precisa: Sbaglier, ma mi pare che del simboli-
smo presente possa dirsi lo stesso. Certo alcuni simbolisti hanno mag gior
raffnatezza dei grossolani seicentisti, ma li somigliano in moltissime co-
se, fno nel mutare le libidini in misteri (p. 83). Ancora si richiama alla
polemica contro dAnnunzio di Giovanni Marradi, per il quale (p. 80):
No, il verso non tutto, se non vola
sulle ali dun pensiero alto, o poeta,
non ha profumi il for della parola
se non leffonde lanima secreta.
20
Altre volte, per, dimostra di sentire nel potenziale connotativo della
poesia simbolista una grande opportunit. A differenza di Panzacchi, che
si era prudentemente collocato nel 1891, Micheli si confronta col dibatti-
to contemporaneo e in particolare nellultima redazione coi citati saggi di
Ren Doumic, La potique nouvelle (1895), e di Max Nordau, Degenerazione
(1893-1894), che cita espressamente pi volte.
21
A Verlaine Micheli rico-
nosce in una nota che anche nei riposi e nelle aberrazioni lanima sua era
interamente poetica ; il poeta simbolista, con il sostegno delle tesi del
Doumic, per Micheli colui che ode voci arcane, vede immagini inav-
vertite dai profani, sente palpitare la vita nelle cose inanimate e crea i
simboli . Il simbolismo anima linanimato, scopre il contenuto ideale
sotto linvolucro materiale , a differenza dellallegoria che riveste fatico-
samente dimmagini concrete unidea astratta e pertanto il simbolismo
sarebbe proprio delle et primitive, lallegoria di quelle man canti di sen-
timento poetico (pp. 77, 80, 82). Ne consegue una dichiarata polemica
col saggio Degenerazione di Max Nordau, unopera che fece molto chias-
so anni addietro , spiega Micheli, ma che ormai non pu che essere con-
futata. Larte contemporanea non sarebbe infatti per Micheli una forma
19. D. Bartoli, Dellhuomo di lettere difeso, et emendato, firenze, Stamperia di S.A.S. alla
Condotta, 1645, p. 82.
20. Cfr. G. Marradi, Poesie, firenze, Barbra, 1920, p. 186: Arte e vita (A Gabriele dAn-
nunzio), ii 1-4.
21. Cfr. n. 2.
pietro micheli e la storia del nonsenso
203
di corruzione, frutto, come vede il Nordau, di una ridda di degenerati e
di rimbecilliti che cicalano ubriacandosi di parole senza nesso ; Micheli
si dimostra convinto dellimportanza del ritmo, del signifcante direm-
mo noi, che defnisce uno degli elementi principali della poesia, quello
che ne rende cos diffcile la traduzione da una lingua allaltra (pp. 83-85).
Inoltre quello che Nordau stigmatizza come misticismo, ovvero quello
stato di mente in cui si crede di avvertire e di presentire relazioni ignote
ed inesplicabili tra i fenomeni, in cui si riconosce nelle cose un accenno a
misteri considerati come simboli, mediante i quali una forza occulta cer-
ca di scoprire o di accennare miracoli di ogni specie, ad indovinare i qua-
li ci si affatica invano (p. 84),
22
altro non sarebbe, come lo stesso Nordau
riconoscerebbe, uno stato ordinario delluomo , sempre esistito, consu-
stanziale alla sua complessa natura, del quale la nuova poesia non avrebbe
fatto altro che trarre una pi lucida consapevo lezza.
23
Micheli pertanto, pur se polemico nei confronti di certi eccessi di
oscurit dei simbolisti e pur se criticamente ingenuo nellaccostare cos
semplicemente nonsenso e simbolismo, sembra condividere le istanze
fondamentali della nuova poesia francese, sia per quanto riguarda il rap-
porto tra poesia e conoscenza, sia nella conseguente autonomia del si-
gnifcante, e sembra cos implicitamente anche comprendere le nuove
frontiere del nonsenso. molto probabile che tale consapevolezza gli sia
derivata anche dal magistero di Giovanni Pascoli, del quale, oltre che
amico, fu tra i primissimi lettori, ottenendo pi volte gli apprezzamenti
del poeta come uno dei pochi in grado di comprendere la novit della
sua poesia. Pascoli gli scrisse per esempio una cartolina a proposito della
sua recensione alle terze Myricae, apparsa su La Gazzetta dellEmilia
del 21 maggio 1894, dicendo che mai avrebbe potuto immaginare con
quale lucida letizia sentisse dessere cos indovinato e scoperto , e ag-
giungendo che la spiegazione proposta da Micheli del sonetto Il bosco
(quello che si era trascritto dal libro di Micheli perfno Pirandello) valeva
pi del sonetto stesso .
24
22. Nordau, Degenerazione, cit., vol. i p. 90.
23. Ivi, p. 130.
24. Micheli, Guerrazzi, Pascoli e la critica, cit., p. 35.
massimo castoldi
204
Micheli aveva parlato in quella circostanza di capacit pascoliana di
rendere fugaci allucinazioni prodotte dai rumori e dallaspetto della
campagna e in particolare di visione rapida, simile allabbagliamento
momentaneo della vista, che si dilegua con un batter di palpebra e del
successivo ritorno alla realt, cogli occhi e lanimo ancora pieni del so-
gno fugace . A parte il ritorno alla realt , sembra di leggere quello che
Panzacchi aveva scritto sui simbolisti: Chi legge o ascolta [] vedr a
poco a poco, come il fumatore doppio, delinearsi e colorirsi le mirifche
visioni dinanzi alla sua mente Intanto tutto il suo sistema nervoso vi-
brer come una lira .
25
Il dibattito sulla ricezione dei simbolisti, tra il maestro Panzacchi, che
in pi occasioni Pascoli ebbe modo di apprezzare pi di ogni altro poeta
della generazione precedente e anche di contrapporre a Carducci,
26
e il
lucido interprete Micheli, che pur giunge al simbolismo seguendo le
tracce del nonsenso, si svilupp, dunque, non solo ma anche nei dintorni
pascoliani, nonostante lautore di Myricae non avesse mai dato segno di
averne coscienza. Ma anche le esplicite riserve di Micheli verso il non-
senso della nuova poesia francese, col richiamo al valore dellallegorismo
dantesco, al verso che deve volare sulle ali dun pensiero alto di Mar-
radi, al generico pericolo di mutare le libidini in misteri hanno tutte
una probabile matrice pascoliana, rivelando infatti alcuni dei punti di
evidente distanza di Pascoli dai poeti doltralpe. Latteggiamento ambi-
guo di Micheli verso i simbolisti, che caratterizza le ultime pagine di
Letteratura che non ha senso, potrebbe essere dunque condizionato dalla
suggestione di Pascoli, il poeta che Micheli seppe intendere meglio di
altri fn dal loro primo incontro livornese nel 1888, al punto da dichiarare
quello che , a mio giudizio, segno di un precocissimo intuito, e cio che
quando il Pascoli venne a Livorno, sera in troppi a scrivere in versi. []
Ma quando Lo conobbi, io smisi .
27
25. Cfr. n. 3.
26. M. Castoldi, Pascoli e Guinizzelli: Al cor gentil ripara sempre amore, in Rivista pasco-
liana , xii 2000, pp. 45-50; G. Pascoli, Le canzoni di re Enzio, a cura di M. Castoldi, Bolo-
gna, Ptron, 2005, pp. 11-12.
27. P. Zlum, Il romanzo non scritto, in Liburni Civitas , vii 1934, fasc. 6 p. 276.
205
Toni Iermano
AH, LARTE UNA COSA BEN MISTERIOSA PER ME .
LA REALT FANTASTICA DI CESARE ZAVATTINI
si legge come seguendo dei passi nellaria.
Elio Vittorini [1931]
Il diavolo ristabil la calma distribuendo nerbate a
destra e a manca. Quale piacere , mormoravano
quegli spiriti bugiardi.
Cesare Zavattini, Parliamo tanto di me [1931]
Che cosa vedono i pazzi? Bat vorrebbe sapere che
cosa vedono le formiche. Egli non oserebbe pren-
dere Maria davanti a una formica.
Cesare Zavattini, I poveri sono matti [1937]
Nelle brume del Nord, in un paesaggio nebbioso e umido, come solo
sa essere quello del Po lungo i villaggi e le cascine della Bassa, Cesare Za-
vattini, inesauribile macchina della creativit e dellinventiva, estrae da
misteriosi fltri una scrittura propria, densa di un surrealismo di natura,
inaspettato e incalzante, per nulla prevedibile, interamente rivolto ad
inondare il lettore di nonsenserie ad alto voltaggio, portandolo con mano
in un altrove dove si nasconde un prezioso senso del magico senza ma-
gia :
1
Zavattini ha capito subito che il realismo una truffa e, introducendo il nonsense
nella vita quotidiana, ha contribuito a mettere in crisi una letteratura che, dopo
la prosa darte, non aveva esitato a utilizzare gli opachi modelli veristi, masche-
rati talvolta dietro squisite metafore dannunziane.
2
1. G. Contini, Prefazione a Italia magica. Racconti surreali novecenteschi, Torino, Einaudi,
1988, p. n.n.
2. L. Malerba, Introduzione a C. Zavattini, Opere 1931-1986, a cura di S. Cirillo, Mila-
no, Bompiani, 1991, p. x.
toni iermano
206
Sottrattosi ad ogni facile defnizione, Za ha continuato indenne a
costruire i propri racconti inquieti e a spendere se stesso con prodigalit,
perfno con qualche sospetto di dissipazione .
3
Da queste acute conside-
razioni di Luigi Malerba occorre partire per svolgere unanalisi critica
sullopera narrativa di Cesare Zavattini,
4
in particolare sugli scritti che
precedono il suo impegno nel cinema, per avvicinarsi alla complessit di
una singolare ma solidissima presenza nella civilt letteraria italiana
del Novecento:
Nessuna verifca esterna pu insomma convalidare la poetica di Zavattini, dob-
biamo entrare nelle sue stanze, seguire i suoi percorsi a rischio di perderci, acco-
3. Ivi, pp. x-xi.
4. I romanzi e le prose di Cesare Zavattini sono raccolti nel vol. Opere 1931-1986, cit., a
cui si rinvia per la Bibliograa, ivi, pp. 1883-96. Sempre per Bompiani nel 1974, a cura di R.
Barilli, era apparsa una raccolta di Opere. Romanzi, Diari, Poesie. Per le lettere vd. C. Za-
vattini, Opere. Lettere. Una, cento, mille lettere (lettere dal 1929 al 1983), a cura di S. Cirillo,
Milano, Bompiani, 1986; Id., Cinquantanni e pi Lettere, a cura di V. Fortichiari, ivi, id.,
1995. Inoltre vd. Zavattini parla di Zavattini, a cura di S. Cirillo, Roma, Lerici, 1980; C.
Zavattini, Io. Unautobiograa, a cura di P. Nuzzi, Torino, Einaudi, 2002. Tra le ristampe
cfr. Dite la vostra, a cura di G. Conti, pref. di V. Fortichiari, Parma, Guanda, 2002; Parlia-
mo tanto di me, pref. di V. Fortichiari, Parma, Monte Universit Parma, 2003; Tot il
buono, pref. di D. Marcheschi, cit.; Le bugie e altri raccontini, ill. di R. Capasso, ????, 2004;
Domande agli uomini, firenze, Le Lettere, 2007. Tra i tanti contributi critici apparsi negli
anni Trenta vd. S. Timpanaro, Parliamo tanto di me, di Cesare Zavattini, in Solaria , vi 1931,
num. 9-10 p. 63; E. Vittorini, Oggi, great attraction !, in Il Bargello , iii 1931, fasc. 38 p. 3
(rec. A Parliamo tanto di me), poi in Id., Letteratura arte societ. Articoli e interventi 1926-1937, a
cura di R. Rodondi, Torino, Einaudi, 1997 (2008
2
), pp. 427-29. Inoltre vd. G. Debenedet-
ti, Lettera all Ipocrita [1958], in Id., Saggi, progetto editoriale e saggio introd. di A. Berar-
dinelli, Milano, Mondadori, 1999, pp. 1159-68; P.P. Pasolini, rec. a C. Zavattini, Stri-
carm in dna parola [1974], in Id., Saggi sulla letteratura e sullarte, vol. ii, a cura di W. Siti e S.
De Laude, con un saggio di C. Segre, Milano, Mondadori, 1999, pp. 2043-48; vd. anche
G. Brunetta, Zavattini poeta delluomo, in La Repubblica , 14 ottobre 1989, e pi recente
studio di S. Parigi, Fisiologia dellimmagine. Il pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau,
2006, e S. Cirillo, Nei dintorni del surrealismo. Da Alvaro a Zavattini: umoristi, balordi e sogna-
tori nella letteratura italiana del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 2006, in partic. pp. 183 e sgg.
Ancora utile lagile volumetto di L. Angioletti, Invito alla lettura di Zavattini, Milano,
Mursia, 1978, nonch il proflo di W. Mauro, Cesare Zavattini, in Novecento, vol. xi, Mila-
no, Marzorati, 1988, pp. 482-97. Sui rapporti con Vittorio De Sica vd. P. Nuzzi-O. Iemma,
De Sica & Zavattini. Parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, 1997.
la realt fantastica di cesare zavattini
207
gliere con alta opinione anche le sue stranezze perch fanno parte della stranez-
za del mondo al quale apparteniamo, non soltanto come lettori.
5
Racconti e raccontini, novelle, conversazioni scritti e pubblicati tra il
1927 e il 1940, raccolti in seguito nel volume Al macero (1976),
6
il trittico
giovanile Parliamo tanto di me (1931); I poveri sono matti (1937); Io sono il dia-
volo (1942) e il racconto Tot il buono. Romanzo per ragazzi (che possono legge-
re anche i grandi), uscito nello stesso anno in cui Zavattini pubblic per
Einaudi unedizione delle Avventure di Pinocchio (1943),
7
e libri colmi di
autobiografsmo come Ipocrita 1943 (1955), Straparole (1967), Non libro pi
disco (1970), formidabile prova della costante capacit dello scrittore di
trovare nuove forme espressive e di manifestare liberamente, senza ipo-
crisie o inibizioni, le sue idee sul mondo,
8
La notte che ho dato uno schiaffo
a Mussolini (1976), e gli ottantanove pezzi usciti dal 1946 al 1984 che for-
mano il volume Gli altri (1986), realizzano intanto un unitario esempio
di una non generica frequentazione dei territori del surrealismo, perme-
ato, certamente per gli scritti fno agli anni Quaranta inoltrati, da corpo-
se ascendenze solariane e tratti non frammentari di crepuscolarismo con
infuenze provenienti dalla lettura fatta in giovent della poesia di Sergio
Corazzini. Allincandescenza del magma degli anni della formazione, in
5. Malerba, Introduzione a Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. xvi.
6. Vd. C. Zavattini, Al macero, a cura di G. Marchesi e G. Negri, Torino, Einaudi,
1976.
7. Dopo altre vicende, stanco della cattiveria e dellottusit degli abitanti di Bamba,
fniti persino ad inseguirlo, Tot inforca una scopa, che si alza nellaria e sparisce alloriz-
zonte, diretto verso un regno dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno.
La faba confuisce quindi nellasserzione dellutopia, la fantasia e la magia nella speranza
di libert, di vincere meschinit e miseria: un auspicio, un desiderio che ragazzi ed adulti
possono ben condividere. qui il segreto di questo romanzo di Zavattini, dallo stile terso
e dal tratto lieve per la freschezza dellironia, delle invenzioni surreali, che, ad esempio
nellimmagine degli uomini volanti, precedono addirittura certe famose idee pittoriche
del Ren Magritte di Giolconda (1953) (D. Marcheschi, Prefazione a C. Zavattini, Tot
il buono, Parma, Monte Universit Parma, 2003, p. vi). Qualche anno dopo la sua uscita,
Tot il buono, omaggio nel titolo allattore napoletano Tot, ispir il flm Miracolo a Milano,
diretto da Vittorio De Sica (1951).
8. Vd. P. Dallamano, Zavattini segreto esplode nel libro, in Paese sera , venerd 3 luglio
1970.
toni iermano
208
cui non si pu trascurare la determinante passione per il cinema di Cha-
plin, si deve sempre aggiungere una frequentazione, rorida di naturalez-
za e sincerit, delle pi raffnate province del surrealismo e del fantastico,
che iscrivono il Nostro in una riconoscibile geografa e storia dellItalia
magica.
9
Scrittore limpidissimo, tra quelli del pieno Novecento, Zavattini
costretto a subire la consumata e disattenta etichettatura di neorealista ad
oltranza, persino per gli scritti che pi e meglio lasciano trapelare una
consistente dimensione surreale e favolistica, in cui pur si ravvisa una
innata vocazione al comico, allesercizio dello spirito e dellintelligenza.
Si pu senzaltro affermare che, nonostante il surrealismo come movi-
mento abbia attecchito scarsamente in Italia, in quanto depurato e disat-
tivato sul piano delle tendenze pi eversive dalla letteratura di regime,
ha avuto uninfuenza rilevantissima nel realismo magico di Massimo Bon-
tempelli (1878-1960), ma anche e in misura pi rilevante nei testi di
Zavattini, dallinizio degli anni Trenta fno agli anni Ottanta inoltrati .
10
Nel rincorrere analogie e confronti appaiono necessari richiami ad
Aldo Palazzeschi (1885-1974), Antonio Baldini (1889-1962), a Nicola Lisi
(1891-1975), a Tommaso Landolf (1908-1979) e, possibilmente, anche se
per la tangente, ai racconti di Dino Buzzati (1906-1972), apparsi a partire
dalla fne degli anni Trenta. Anche per Zavattini, pur con le dovute, so-
stanziose differenze, pu essere valida una considerazione critica di Ma-
solino dAmico relativa allopera del contemporaneo Achille Campanile
(Roma 1899-Lariano [Roma] 1977), a cui laccomuna per la frequenta-
zione dellassurdo e del nonsense, nonch alcune importanti esperienze
comuni:
Evidentemente consapevoli di un profondo legame fra importanti attributi del
cervello umano, gli inglesi hanno una parola per indicare una sorta di fusione
9. Si rinvia naturalmente allantologia Italia magica. Racconti surreali novecenteschi, cit. Nel
volume si pubblicano di Zavattini i seguenti testi: Al caff; Racconto di Natale; Dal medico;
Ballo a A, ivi, pp. 145-56. Utilissime indicazioni critico-bibliografche in M. Farnetti,
Scritture del fantastico, in Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, a cura di A. Asor
Rosa, Torino, Einaudi, 2000, pp. 382-409.
10. F. Bernardini Napoletano, Poetiche e scritture sperimentali, in Letteratura italiana del
Novecento. Bilancio di un secolo, cit., p. 329.
la realt fantastica di cesare zavattini
209
ideale di spirito e intelligenza, la parola wit, applicabile anche alle persone. Chi
possiede molto wit un wit, ossia un uomo eccezionalmente intelligente e spi-
ritoso, osservatore arguto, dispensatore di bon mots.
11
In una intervista di molti anni dopo, ricostruendo lattivit letteraria
degli anni giovanili, caratterizzati dal suo lavoro di scrittore, giornalista
ed elzevirista, Za rivendicava fermamente la sua appartenenza alla fami-
glia degli scrittori del nonsense e del fantastico, disubbidendo e disertando
ogni socievole comandamento, non lasciandosi intrappolare, da grande
mentitore ed inventore di storie, nei modelli della consuetudine e del
prevedibile. Le sue antinomie giocano sul rapporto con il reale, terreno
di giochi infniti ma anche di acuta, tragica osservazione dei suoi para-
dossi:
Inventavo situazioni, comportamenti, alla radice dei quali cera una predisposi-
zione a vedere pi le contraddizioni nelle idee che nelle cose. Svolgevo le sor-
prese del pensiero, della logica, nel mio piccolo ambito, direi quasi in astratto,
pi vicino al nonsense che a una forma di osservazione critico-satirica, sui fatti.
12
Giorgio Manganelli con la proverbiale, provocante intelligenza ha
scritto che la letteratura nasce come diserzione:
Non v letteratura senza diserzione, disubbidienza, indifferenza, rifuto del-
lani ma. Diserzione da che? Da ogni ubbidienza solidale, ogni assenso alla pro-
pria o altrui buona coscienza, ogni socievole comandamento. Lo scrittore sce-
glie in primo luogo di essere inutile; quante volte gli si gettata in faccia lantica
insolenza degli uomini utili: buffone. Sia: lo scrittore anche un buffone . il
fool: lessere approssimativamente umano che porta lempiet, la beffa, lindiffe-
renza fn nei pressi del potere omicida. Il buffone non ha collocazione storica,
un lusus, un errore.
13
Lumorismo surreale di Zavattini, intarsiato di trovate effcacissime e
immagini fulminanti, rappresenta per, quasi in una lettura rovesciata
11. M. dAmico, Achille Campanile come Wit , in A. Campanile, Poltroni numerati, Bolo-
gna, Il Mulino, 1992, p. 111.
12. Zavattini parla di Zavattini, cit.
13. G. Manganelli, La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi, 2004
2
, p. 218.
toni iermano
210
ma condivisa di Manganelli, in concreto una consapevole quanto marca-
ta dimostrazione di tolleranza e civilt in un tempo di rovente ed insulso
fanatismo, in cui le suscettibilit dei potenti erano alquanto facili a mani-
festarsi sotto forma di persecuzione e daltro. Il totalitarismo fascista e le
reiterate affermazioni di un rinvigorito principio di autorit da parte
della politica trovano nella scrittura zavattiniana un formidabile motivo
di salutare quanto beffarda contestazione. Calvino, mettendo a confron-
to forme diverse di umorismo, cos spiega la posizione e le motivazioni
di Zavattini:
Un umorista pu trovarsi in due diverse posizioni rispetto alla societ. Pu tro-
varsi un passo avanti e criticare e deridere la societ nelle sue contraddizioni.
Pu trovarsi un passo indietro e criticare e deridere quelli che sono un passo
avanti o comunque si mettono in opposizione alla societ. Cesare Zavattini dei
primi, Giovanni Mosca dei secondi. La differenza di valore artistico corrispon-
de a una differenza di valore politico.
14
I giornali umoristici italiani di quegli anni si sforzavano, cos come Il
Settebello su cui Bruno Munari disegnava le sue Macchine inutili e Saul
Steinberg le Mucche col ore in bocca e Il Bertoldo (1936-1943), fondato
da Giovanni Mosca e Vittorio Metz, entrambi romani rivelatisi sulle
pagine del settimanale MarcAurelio , di codifcare un tipo di umori-
smo possibile in un regime in cui cerano troppe cose e persone su cui
non era permesso scherzare. Per questo non restava che aprire degli spa-
zi diversi, una comicit bonariamente surreale, basata soprattutto sul-
lespressione verbale ma non tanto sui giochi di parole quanto sulle tra-
sposizioni logiche assurde .
15
In qualsiasi regime e in qualsiasi epoca
limportante, calvinianamente pensando, poter trovare un altrove. Za-
vattini sapeva bene che alcune sue storie o soggetti come Diamo a tutti un
cavallo a dondolo o Tot il buono, non erano tanto gradite negli ambienti
politici uffciali: Allora, cerano dei controlli di vario genere: bastava un
niente, che immediatamente un soggetto veniva censurato. Arrivava nel-
14. I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, vol.
ii pp. 2100-1.
15. I. Calvino, Ricordo di Vittorio Metz, in Id., Saggi 1945-1985, cit., vol. ii p. 2903.
la realt fantastica di cesare zavattini
211
laria un fato e diventava un rimbombo addirittura .
16
Antidoto contro i
conformismi di vario genere, Zavattini nella sua prosa sempre orienta-
to ad offrire un riparo morale a quanti avvertono il peso ingombrante
della societ dei benpensanti e di una dominante logica dellutile a cui
contrappone la lunarit di personaggi mai dominati dal senso comune,
da poveri e matti a cui non mancano buon senso e poetica capacit di
sognare e fantasticare.
17
Nato a Luzzara, un paesino sulla riva del Po in provincia di Reggio
Emilia, nella bassa nebbiosa, nel 1902, discendente di caffettieri e panet-
tieri , Za nel periodo giovanile ebbe importanti esperienze che ne in-
fuenzarono in profondit la sua attivit letteraria e artistica.
18
La cultura
del Po, la lingua ancestrale e selvaggia della sua terra, furono ripresi nel
volume di versi Stricarm in duna parola (Stringermi in una parola, Milano,
Scheiwiller, 1973), a cui Pier Paolo Pasolini riserv una complessa, entu-
siastica recensione soprattutto per la capacit di Zavattini di laicizzare il
dialetto ossia costringendolo a contenuti perfettamente contrari al suo
spirito conservatore e conformista:
Anche Zavattini allet di venticinquemila cinquecento giorni, ha scoperto il
dialetto. Tale scoperta gli ha permesso di scrivere il suo libro di gran lunga pi
bello. Anzi, un libro bello in assoluto. Tutto rimesso in gioco, tutto, per dir
meglio, ritorna fnalmente in gioco. Non c strofa, verso, addirittura parola, che
non sia stata oggetto di uninvenzione nata dallenergia dovuta alla riscoperta
dellinventare. Ogni poesia una trovata, nellaureo e liberatorio senso del
trobar.
19
Nelle poesie di Zavattini si rintracciano tutti gli ingredienti di una tradi-
zione linguistica regionale che nel corso dei secoli aveva sempre espresso
16. Zavattini, Io. Unautobiograa, cit., p. 106.
17. Su questo affascinante tema nella letteratura italiana novecentesca vd. P. Guara-
gnella, Il matto e il povero. Temi e gure in Pirandello, Sbarbaro, Vittorini, Bari, Dedalo, 2000.
18. Ricordi e impressioni autobiografche sugli anni giovanili vd. in Zavattini, Io.
Unautobiograa, cit.
19. P.P. Pasolini, rec. a C. Zavattini, Stricarm in dna parola [1974], in Id., Saggi sulla let-
teratura e sullarte, cit., vol. ii p. 2044. Sul dialetto di Za vd. F. Brevini, Zavattini poeta nel
dialetto di Luzzara, in Il Ponte , xlvii 1991, pp. 98-111.
toni iermano
212
il suo dissenso nei confronti del potere e delle ingiustizie del mondo
cos come i versi del riminese Giustiniano Villa.
20
Si legga, come rapido
campione di lettura La Basa, nella traduzione offerta dallA. in nota al
testo dialettale:
La Bassa. Ho visto un funerale / cos povero / che non cera neanche / il morto
nella cassa. / La gente dietro piangeva, / piangevo anchio / senza sapere il per-
ch / in mezzo alla nebbia.
21
Za naturalmente non rinuncia al gioco, alla parodia, al sarcasmo fero-
ce. In Ds [Dieci] ritorna a riemergere una venatura burchiellesca, sapi-
da, non disgiunta da uno spirito assolutamente moderno di considerare
la comicit:
Dieci. Erano dieci / naufragati su un isolotto / in mezzo al mare. / I giorni pas-
savano affamati. / Chi mangiare per primo? / Dopo un mese erano rimasti in
due, / si guardavano. / A un tratto / l in fondo una nave! / Si sono abbracciati
in lacrime e ripetevano / ci telefoneremo tutti i giorni [trad. dellA.].
22
Il mondo dellinfanzia, Luzzara appunto e non Suzzara,
23
luogo del-
leterno contrasto tra ricchi e poveri,
24
la Parma musicale e teatrale degli
anni Venti nel 1928 in citt venne Pirandello con la sua compagna per
rappresentare Diana e la Tuda e Za ebbe modo di conoscerlo ,
25
la firen-
20. Cfr. A. Piromalli, Societ e cultura in Emilia e Romagna, firenze, Olschki, 1980, pp.
81-97.
21. Cfr. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 911.
22. Ivi, p. 944.
23. Zavattini, nel breve testo Luzzara, raccolto in Le voglie letterarie, ricordava: Il mio
un paese veramente comune: Luzzara sulla riva del Po; voi scrivete Luzzara e spesso la
nostra posta arriva a Suzzara invece, che una citt vicina (Zavattini, Opere 1931-1986,
cit., p. 988). Per un curioso errore Contini nellantologia LItalia magica, cit., p. 147, nella
breve presentazione di Zavattini scrive: Nato a Suzzara (in provincia di Mantova, ma a
sud del Po) nel 1902 .
24. Sul rapporto affettivo con Luzzara vd. C. Zavattini, Un paese, fotografe di P.
Strand, Torino, Einaudi, 1955 (poi Milano, Scheiwiller, 1974, con laggiunta di una foto-
grafa inedita di Strand).
25. C. Zavattini, Pirandello a Parma, in Id., Le voglie letterarie [Bologna, Boni, 1974], in
Zavattini, Opere 1931-1986, cit., pp. 973-75, nonch Id., Io. Unautobiograa, cit., pp. 31-33.
la realt fantastica di cesare zavattini
213
ze della rivista Solaria ma anche del Bargello di Alessandro Pavolini,
e la Milano del Bagutta, e delle grandi case editrici (Mondadori, Rizzoli,
Bompiani).
26
Queste determinanti esperienze sono raccontate nel libro
Le voglie letterarie (1974), in cui lA. ripubblica ventuno testi apparsi intor-
no ai primi anni Quaranta (novembre 1941-settembre 1942) su Prima-
to diretta da Giuseppe Bottai; gli scritti, dal sapore aneddotico e auto-
biografco, raccontano momenti essenziali della formazione e delle rela-
zioni umane ed artistiche dellA. con la societ letteraria del tempo.
A firenze, citt in cui svolgeva il servizio di leva, Zavattini fu in stret-
tissimi rapporti con i solariani Eugenio Montale, Alberto Carocci, Emi-
lio Cecchi, Giansiro ferrata, Raffaello franchi, Bonaventura Tecchi, Ales-
sandro Bonsanti, Vieri Nannetti, Bruno fallaci, Mario Praz, Pietro Pan-
crazi e Giuseppe De Robertis:
27
In dieci mesi di permanenza a firenze come soldato non ebbi mai la tentazione
di vedere la galleria degli Uffzi, il Davide, simili cose famose. I miei monumen-
ti erano Montale e gli altri di Solaria. Per trascorrere con loro ore o minuti scap-
pai spesso dalla caserma, una volta mi videro entrare alle Giubbe rosse con la bici-
cletta verde e dura del militare.
28
A Milano, dove conobbe Valentino Bompiani, editore di gran parte
26. Nel piccolo comune emiliano frequent solo la prima elementare, poi la sua tor-
mentata carriera scolastica si svolse tra Bergamo, Segni Scalo, dove si rec nel 17 per se-
guire i genitori che avevano preso in gestione il caff ferroviario, Roma, dove frequent
senza grandi successi il Liceo Umberto, e infne Alatri, in provincia di frosinone, dove
consegu la maturit classica presso il Liceo Conti-Gentile. Qui fu allievo del padre sco-
lopio Luigi Pietrobono, noto dantista. Iscrittosi alla facolt di giurisprudenza di Parma,
lasci presto gli studi universitari ed inizi a collaborare alla Gazzetta di Parma e a la-
vorare come istitutore presso il convitto nazionale Maria Luigia , dove ebbe tra i suoi
alunni Giovannino Guareschi. Nel 1930, terminato il servizio militare, Zavattini rientr a
Luzzara per poter seguire la diffcile situazione familiare, aggravatasi in quellanno dopo
la morte del padre. Le disperate condizioni economiche della famiglia dopo la vendita
della caffetteria ferroviaria lo portarono a cercare un lavoro a Milano, dove fu assunto
dalla Rizzoli come correttore di bozze.
27. Vd. Antologia di Solaria, a cura di E. Siciliano, intr. di A. Carocci, Milano, Lerici,
1958.
28. C. Zavattini, Cena con Montale, in Le voglie letterarie, in Id., Opere 1931-1986, cit., p.
979.
toni iermano
214
dei suoi libri e di tutti gli scritti della giovinezza, frequent Riccardo
Bacchelli, Orio Vergani, Giovanni Titta Rosa, Raffaele Carrieri, Dome-
nico Cantatore, Sergio Solmi, Arturo Tofanelli. Inoltre al Caff Donini
e alla Trattoria Bagutta, dopo i primi successi letterari, conobbe anche
Salvatore Quasimodo, Giuseppe Marotta, il poeta salernitano Alfonso
Gatto, di cui fu testimone di nozze:
Millenovecentotrenta, giunsi a Milano con il cappello in mano, dalla bassa neb-
biosa. Salutavo tutti, in gran parte perch la storia della letteratura italiana co-
minciava per la mia mente da quegli anni ma un poco per ipocrisia, il male del
secolo che la vita tra gli scrittori porta a rapide e obbrobriose maturazioni.
29
Su Solaria pubblic Tre raccontini avrei dei motivi per svenire di
gioia
30
ed una recensione al Kipling di M. Brion (entrambi nel 1929, n.
12) ma fu anche recensito nel 1931 da Sebastiano Timpanaro in occasione
delluscita di Parliamo tanto di me, unopera che svela, pur nella sua brevit,
uno scrittore nuovo, originale, del tutto privo di complessi nei confronti
delle mode letterarie imperanti. Davvero nelloperetta si colgono i sin-
tomi, gli argomenti, le scelte che caratterizzarono tutta la ricca produzio-
ne zavattiniana futura, dalla letteratura al cinema e alla pittura. In solo
settanta pagine il libro raccoglie un Ritratto dautore e 20 storiette, cos
come amava defnire i suoi racconti Zavattini:
Sul tavolo da lavoro ho pochi oggetti: il calamaio, la penna, alcuni fogli di carta,
la mia fotografa. Che fronte spaziosa! Cosa mai diventer questo bel giovane?
Ministro, re?
Guardate il taglio severo della bocca, guardate gli occhi. Oh, quegli occhi
pensosi mi fssano! Talvolta provo una viva soggezione e dico: sono proprio io?
Mi do un bacio sulle mani pensando che sono proprio io quel giovane, e mi ri-
metto a lavorare con lena per essere degno di lui.
31
Testo lirico, surreale e paradossale, Parliamo tanto di me, il cui titolo gli
fu dato da Valentino Bompiani,
32
un viaggio nellaldil in compagna di
29. C. Zavattini, Bagutta, ibid.
30. Zavattini, Io. Unautobiograa, cit., p. 45.
31. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 3.
32. Rizzoli non faceva libri (sono stato io poi a fargli stampare il primo libro) e allora
la realt fantastica di cesare zavattini
215
uno spirito per poter raccontare liberamente, o quasi, ma in modo non
compassionevole, vicende e situazioni facilmente riscontrabili nella vita
terrena:
Se io fossi ricco passerei buona parte della giornata sdraiato in una soffce poltro-
na a pensare alla morte. Sono povero, invece, e posso pensarci solo nei ritagli di
tempo o di nascosto. Alcuni giorni fa il signor Better mi sorprese che guardavo
incantato il sofftto e grid: Sia lultima volta che la trovo a pensare alla morte
in uffcio . Presto andr in pensione e sar libero. Quando incontrer il signor
Better, per fargli dispetto, mi metter a pensare alla morte con tutte le mie forze.
Se fossi re obbligherei anche i bambini a pensarci almeno unora al giorno. Ec-
coli ancora accaldati per i recenti giuochi, con le braccia conserte sul banco, che
pensano che pensano []
33
Cesare Cadabra lo scrittore-protagonista che il suo fantasmatico inter-
locutore guida tra le ombre dei vivi e dei morti. In sostanza i personag-
gi sono tutti a misura duomo, sono padri e fgli, vecchi e bambini, ritrat-
ti con una pietas, con una passione che li fa grandi e piccoli insieme .
34
Nel giovane Zavattini suscitano interesse i problemi e le angosce degli
uomini, le loro vite, i loro pensieri; rifuta lindifferenza e lincapacit di
capire la vite degli altri. Nonostante il sarcasmo e la virulenza di talune
polemiche che connotano gli anni della vecchiaia, Za defn da subito il
sono andato a portare il mio libretto a Bompiani: non so perch proprio a lui, forse perch
era giovane e aveva appena cominciato a fare leditore, dopo aver lavorato con Monda-
dori. Andai a trovare il conte Valentino Bompiani. Gli diedi il mio libro, tirandolo fuori
dalla tasca dove giaceva da qualche settimana. Era tutto disordinato, era un montaggio di
pezzi gi stampati e di altre cose, sparse in cartelle di vari tipi. Era un manoscritto proprio
disordinato fsicamente. Bompiani lo guard e mi disse: Lo riprenda, ci deve lavorare
ancora. Glielo riportai messo un po meglio ma senza una riga in pi e Bompiani mi
disse: Io pubblico il libro. Non solo lo pubblico, ma lo pubblico in un certo modo. fu
lui a trovare il titolo. Sfogliando le pagine del manoscritto, per trovare una frase, unespres-
sione adattatac: Parliamo tanto di me (Zavattini, Io. Unautobiograa, cit., p. 53). Valentino
Bompiani era stato attirato dalle due paginette conclusive del ventesimo capitolo del li-
bro: Adesso ho una casetta bianca, una moglie affettuosa, un bambino ubbidiente. Alla
sera, fnita la cena, seduti sulla morbida ottomana per unoretta o due, sin che non ci
prende il sonno, parliamo tanto di me (Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 65).
33. Ivi, pp. 10-11.
34. V. Fortichiari, Prefazione a Parliamo tanto di me, cit., p. vi.
toni iermano
216
suo paesaggio interiore, fatto di spirito e intelligenza ma anche dinfnita
piet umana, che il tempo seppe solo conservare e rafforzare. Ancora
una volta la raffnatissima critica di Malerba a cogliere nel segno rap-
presentandoci il nocciolo dello scrivere di Zavattini:
Svolazzando qua e l come uccelli vagabondi i personaggi zavattiniani si avven-
turano addirittura attraverso lInferno, il Purgatorio e il Paradiso ma anche l,
ahim, trovano lo stesso disordine e le stesse ingiustizie delle periferie urbane
dalle quali sono fuggiti. Lio che sta al centro dei racconti, che si muove inquieto
nei caff, nelle anticamere, nelle cucine, nei vicoli, nelle piazzette della citt,
non ha una solida coscienza perch non giusto n decoroso avere una coscien-
za in un mondo cos sconnesso e cos privo di senso. Meglio avere una solida
immaginazione e misurarsi sui tempi lunghi, che non sono nemmeno quelli
della Storia (esiste il passato per Zavattini?), ma quelli delle stelle e dei pianeti,
della vita e della morte, dellInferno e del Paradiso.
35
Cesare Zavattini, come ha scritto Geno Pampaloni, stato sopraffatto
dal luomo di cinema e dal focoso polemista quale si scatenato negli
anni;
36
nonostante lo scrittore, il poeta dialettale, lo sceneggiatore, il pit-
tore Zavattini sembra sfuggire ad una precisa catalogazione, in realt le
sue varie manifestazioni sono riconducibili ad una complessa ma coe-
rente unit. Il brano che segue, tratto da Parliamo tanto di me, ne appare
una prova esemplare:
Matita in mano: una donna distribuisce in media circa trentamila baci e ne rice-
ve circa duecentomila, durante la sua vita. Nella mia citt vi sono trecentomila
donne, cio un movimento di alcuni miliardi di baci. A chi ne toccano migliaia
e migliaia, a chi poche dozzine. Con tale cifra sbalorditiva si potrebbe far sta re
allegro mezzo mondo. Nossignore, c persino chi resta senza. Osservi, per esem-
pio, quegli uomini fermi agli angoli delle strade, smunti e dimessi, che seguono
con lo sguardo lucido le belle passanti. Darebbero un patrimonio per un solo
bacio. Ahim, hanno appena i soldi per la colazione. Io vorrei essere la pi bella
donna delluniverso: con cento baci al giorno benefcherei cento di costoro.
Verrebbero a frotte anche dai lontani sobborghi, secondo turni stabiliti per evi-
35. Malerba, Introduzione, cit., p. ix.
36. Cfr. G. Pampaloni, Prefazione a C. Zavattini, Io sono il diavolo-Ipocrita 43, nota bio-
bibliogr. di A. Bernardini, Milano, Bompiani, 1983.
la realt fantastica di cesare zavattini
217
tare ingombri, litigi, abusi. Io lo voglio sul naso . Io sulla guancia destra . Io
lo voglio dietro lorecchio . Bambini!
37
La incomunicabilit, la povert e la diffcile difesa della dignit umana,
la solitudine dellesistenza, temi fondamentali di capolavori del cinema
come Sciusci (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951) e
Umberto D (1952),
38
tutti diretti da Vittorio De Sica, conosciuto nel 1934,
trapelano senza indugi da questa prima, esemplare favola morale:
A me veramente, non interessano i fatti quanto gli uomini, questi mondi isolati
come pianeti nello spazio. Ognuno cammina per la strada come se gli altri non
ci fossero. Eppure si pu passare ad una spanna dalluomo pi felice del mondo
o da quello pi illustre. Una sera attraversai la piazza per andare sul ponte. Ave-
vo deciso di uccidermi. Ebbene, la gente mi passava vicino, mi urtava, senza
voltarsi neppure.
39
Questo viaggetto nelloltretomba, scritto in prima persona, si compie
nella notte del 17 gennaio 1930 e si sviluppa tra i capitoli vi e xx. Il nonsen-
se, anche nelluso improvviso di digressioni, appare da subito uno degli
ingredienti caratterizzanti delloperetta:
primavera, porto a mia moglie le viole. Lungo la strada mi prende un pensiero
umiliante: quanti, quanti uomini, in questo stesso momento staranno portan-
do alla cara consorte un mazzolino di viole. Giunge la notte, andiamo a letto, si
spegne la luce: buona notte, buona notte . Da lontano giunge un confuso
brusio. S, ora ve ne saranno molti come me, vicino a una donna amata, con gli
occhi fssi nel buio e i pensieri vaganti. Ho paura di essere soltanto limmagine
di uno specchio. Mi metto a fschiettare una canzone. Maria si sveglia, stupita,
accende la luce. Le domando a bruciapelo: quanto fa sette per otto? Cin-
quantasei , risponde. Mi guarda con i suoi occhi grandi e tristi e io volto fanco,
maddormento contento per una segreta speranza (p. 36).
Oppure si pensi alla descrizione dei gironi dellInferno, in particolare
a quello incredibile dei golosi. Ci sono punte di comicit estreme, irro-
37. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 17.
38. Cfr. G.P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Torino, Einaudi,
2003, p. 167.
39. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 16 (le indicazioni subito successive dir. a testo).
toni iermano
218
rate da situazioni e dialoghi autenticamente geniali, governati da uno
spirito supremo e ineffabile, a cui il lettore oppone una minima resisten-
za prima di divertirsi con gusto:
I golosi erano reclusi in ampie stanze smaltate di rosa pallido. Nel mezzo di
ciascuna, pile di croccanti, di budini, di gelati, si affancavano in un sontuoso
disordine. Rivoletti di rosolio e di vino passito scorrevano gorgogliando, come
lacqua fra lerba dei prati, entro tubi di cristallo che circondavano con la pi
elegante delle architetture la montagna dei cibi. Sui cibi vagavano fumi bianchi
e un venticello alpestre profumato di resina faceva frusciare le foglie di un albe-
ro, carico di pesche dai colori delicati, che pendeva dal sofftto.
I condannati assiepati intorno a quelle meraviglie, guardavano con gli occhi
sgranati. Intanto i diavoli divoravano a quattro palmenti mugolando di giubilo,
e taluno, battendosi il ventre, esclamava: Questo il Paradiso .
Udii un defunto che diceva a un diavolo:
Vuole scommettere uno schiaffo che in cinque minuti mangio cento sfo-
gliatini? .
Rispose il diavolo:
Marameo .
Mi allontanai in punta di piedi. Avevo il cuore molto triste e lacquolina in
bocca (p. 23).
Cadabra racconta storielle che mandano in visibilio i custodi infernali e
contribuiscono a mutare le abitudini e la vita degli abitanti dei vari giro-
ni al punto che i diavoli sembrano essere diventati diversi, quasi pi buo-
ni. Solo allarrivo degli angeli ricominciavano i lamenti dei peccatori
mentre i diavoli riprendevano a distribuire pugni, schiaff, pedate.
La bravura nel narrare storielle far s che il protagonista potr raggiun-
gere il Paradiso per far divertire angeli e cherubini. Qui addirittura viene
sfdato ad una singolare tenzone da unanima di nome Ted Mac Namara,
che risulter vincitore con il racconto della Gara mondiale di ma tematica. I
due dovranno raccontare due storiette ciascuno ma alla gara intende par-
tecipare anche un modesto impiegato del municipio di Deg. Il viaggio si
chiude con il ritorno di Cesare Cadabra nel suo letto malgrado al prota-
gonista resta un desiderio che svela intimamente la tenera poe sia che so-
vrasta lintero racconto:
Avrei voluto anchio diventare subito una nuvoletta. Invece fra poco dovevo ri-
la realt fantastica di cesare zavattini
219
prendere il viaggio attraverso vie lattee, comete, pianeti, innumerevoli mondi
per raggiungere un piccolo paese, una piccola casa, e il giorno dopo avrei litiga-
to con il signor Smith per futili motivi e avrei ancora provato unoscura appren-
sione nel pensiero dei camposanti dinverno sotto la pioggia, dei cortei funebri,
visti al mattino presto attraverso la nebbia, quando anche i vivi dietro al feretro
sembrano ombre (p. 66).
Il testo ebbe subito un successo clamoroso e non vi fu rivista letteraria
che non se ne occup. Telesio Interlandi sulla prima pagina del Tevere
poteva pubblicare un fondo non frmato con limpegnativo titolo Arriva
uno scrittore (13-14 agosto 1931). La scrittura, libera e arbitraria, ma nel
fondo letteratissima, costituiva la natura nuova ed indipendente di rap-
presentare la morte e la piet. Inventore di grandi e piccole storie, Za
aveva saputo trovare il ritmo giusto per richiamare sul suo scrivere lin-
teresse della critica. Nel ricordo autobiografco colpisce anche un seve-
ro giudizio sullindipendenza di Indro Montanelli, critico verso i motivi
ispiratori della sua opera:
Nel luglio del 31 usc Parliamo tanto di me, usc coi manifesti sui muri e fu un fatto
straordinario, un successo clamoroso. Ne scrissero Il Corriere della sera , La
Stampa , altri giornali, tutte critiche meravigliose. Ebbi contro quelli come Mon-
tanelli, facile immaginarselo: io qualche barbaglio dindipendenza ce la vevo.
Non ci fu letterato che non mi scrisse complimenti, chi in tre righe e chi in
dieci: Bontempelli, Baldini, Pirandello. Mi scrisse Benedetto Croce: quando
arriv quella lettera, io feci tre chilometri di corsa fno alla Rizzoli per mostrar-
la, e poi andavo in giro per Milano facendola vedere a tutti.
Una parte della critica molto importante fu tutta daccordo nel dire che lau-
tore doveva essere un topo di biblioteca, un uomo di cultura solida, non si spie-
gava altrimenti quel tipo di stile. E non era vero. Avevo risolto tutto con un
enorme lavoro, perch io lavoro sempre, ogni mio libro mi costato anni, ma
non era il frutto, come credevano, di un lungo romitaggio culturale, bens di un
grande istintivo stile, di equilibrio: E poi, pur essendo disarmato, sono sempre
stato armato: con lintuito colmavo le mancanze.
40
Tutta la prosa di Zavattini si legge come seguendo dei passi nellaria
secondo una felice espressione del giovane Elio Vittorini. Infatti la re-
40. Zavattini, Io. Unautobiograa, cit., pp. 58-59.
toni iermano
220
censione che lo scrittore siciliano dedic a Parliamo tanto di me nella rubri-
ca Settimanale dei libri, ospitata ne Il Bargello di firenze nel 1931, rap-
presenta un punto decisivo per lavvio del dibattito critico sullopera let-
teraria zavattiniana.
Nellincipit dellarticolo, emblematicamente (e ironicamente) intito-
lato Oggi, great attraction! Vittorini, pi che mai impegnato a rivendicare
lavvento di una nuova letteratura contro i falsi scrittori, e sempre attento
a non dare a intendere lumicini per stelle ,
41
ricorda lo straordinario
successo del libro ed implicitamente offre una geografa dei centri del
dibattito culturale in Italia agli inizi degli anni Trenta:
C in giro un libretto di 120 paginette, dal titolo strano (Parliamo tanto di me) dal
prezzo irrisorio (cinque lire) dallautore fno a ieri ignoto (Cesare Zavattini) e
tutta Italia gli sta correndo dietro facendolo salire a tirature favolose; le terze
pagine si azzuffano a chi ne parla prima e il via fu dato, incredibile, dal pi fne
dei nostri scrittori politici, Telesio Interlandi, in un articolo di fondo del Teve-
re ; torinesi, milanesi, genovesi, romani, napoletani, pugliesi, hanno ormai, per
merito dei rispettivi quotidiani, la loro giusta opinione in proposito; a firenze
siamo i primi a parlarne. Ma cosa cantano le terze pagine? Cantano la nascita di
un novello umorista. Cesare Zavattini sarebbe il pi grande, il pi autentico dei
nostri umoristi. Altro che Campanile! []. La prosa lieve; le parole si fermano
appena sulle immagini, e queste scappano dinanzi agli occhi come veli. Tutto il
libro scritto cos, si legge come seguendo dei passi nellaria; si vola: e in poco
pi di unora si arriva in fondo. Dentro, ogni persona, ogni oggetto, ogni frase
pronunciata da qualcuno, sono nitidi e fermi.
42
Nel 1933 lo scrittore emiliano si vede costretto ad iscriversi al Partito
nazionale fascista per non perdere il posto come redattore alla Rizzoli
che, solo lanno dopo, gli affda la direzione di nuova collana intitolata I
giovani. Za la inaugura pubblicando Tre operai di Carlo Bernari, conosciu-
to a Milano alla trattoria toscana Bagutta , nella via omonima. La cen-
sura intervenne per evitare che il romanzo fosse recensito o aprisse di-
scussioni alquanto indigeste al regime. Vittorini sulle pagine del Bar-
gello fu particolarmente critico nei confronti del testo e della scelta di
41. E. Vittorini, Enrico Pea [1931], in Id., Letteratura arte societ, cit. p. 439.
42. Ivi, p. 427.
la realt fantastica di cesare zavattini
221
Zavattini, accusato polemicamente di averlo fatto stampare allo scopo
di mettere scompiglio nelle fle territoriali della letteratura italiana :
43

nel Settimanale dei libri pubblic la stroncatura intitolandola Tre operai che
non fanno popolo (vi, num. 29, 22 luglio 1934).
In questi anni Zavattini inizia a scrivere le prime sceneggiature; nel 35
il soggetto desordio, per la regia di Mario Camerini, viene utilizzato per
realizzare il flm Dar un milione. Il primo flm con De Sica, Teresa venerd,
risale al 1941. Sono anni dintensissimo lavoro nel cinema che porteranno
Za a frmare una quindicina di soggetti tra cui Quattro passi tra le nuvole
(1942) di Alessandro Blasetti. Intanto nel 36 era stato licenziato da Riz-
zoli ma immediatamente assunto da Mondadori, che gli affd linnova-
tivo settore dedicato ai fumetti per ragazzi e alla pubblicazione dei pe-
riodici di Walt Disney.
44
Lo scrittore per continua a creare storielle e
situazioni irresistibili; nel 1937 esce ancora per Bompiani I poveri sono mat-
ti, romanzo composto da una Prefazione, una sorta di gioco divertente e
folle da fare in famiglia (e alla moglie) con al centro il personaggio Ce sare
Zavattini, e 28 storielle, subito defnito da Guido Piovene uno dei libri
pi belli di quegli anni.
45
La sintassi e la punteggiatura concorrono a dare un signifcato surrea-
le alle microstorie, che sono anche arricchite da alcuni disegni. Questa
seconda prova allarga la linea surrealista percorsa dallA.; racconta la sto-
ria di Bat, un povero impiegato che vorrebbe ribellarsi al suo insoppor-
tabile capouffcio Dod: progetta di schiaffeggiarlo pur di placare la sua
rabbia ma, non realizzando la sua idea, condannato ad accumulare una
defnitiva frustrazione. Tutte le storiette si caratterizzano per luso di una
vena magica e fantastica che si palesa nei comportamenti del protagoni-
sta, che per sentirsi uguale agli uomini deve necessariamente dedicarsi
allesercizio effmero di un mondo soltanto immaginato.
Mirabile dimostrazione della maturit espressiva, il testo conferma
lassoluto accordo che Za ha saputo trovare con il consapevole, ricercato
sfoggio di nonsense:
43. Ivi, p. 783.
44. Vd. Nuzzi-Iemma, De Sica & Zavattini. Parliamo tanto di noi, cit., in partic. pp. 38-39.
45. Cfr. Angioletti, Invito alla lettura di Zavattini, cit., pp. 123-24.
toni iermano
222
BAT BAT BAT
S , disse, io gli dar uno schiaffo .
Erano le sette di sera, in aprile. Un aeroplano apparso dietro le ciminiere
dello stabilimento entr in una nuvola.
Il signor Dod doveva passare di l, e Bat gli avrebbe detto. Dod . Poi la mano
sarebbe scesa fulminea sulla guancia di Dod. Le mani erano calde nella tasca del
soprabito, le dita si toccavano: da ragazzo, aperte contro il lume di una candela,
ne aveva visto trasparire le ossa. Care mani, voi brandirete spade, nere di polve-
re e di sudore vi alzerete minacciose sugli uomini.
Ora aspettava in una piazza il suo principale per percuoterlo; gli aveva negato
un prestito. Tutti i suoi compagni sognavano ardentemente di fare questo, ma
egli solo ne aveva il coraggio. Ud venire dal cielo squilli di tromba e i suoi occhi
fssarono un sentiero doro: avanzavano guerrieri lombra dei quali per un atti-
mo sovrast la citt.
Le sue mani un giorno raccolsero lacqua per dissetarlo: si sentiva un puledro
che nitriva tra le alte erbe, e disse a un albero: Buon giorno .
Alle sette e un quarto pass una donna dalle anche larghe.
Bat la segu sin dopo il ponte. Bat Bat Bat, pensava, un nome. Prov a dire
tante volte Bat. Era soltanto un suono, niente.
Arriv a casa tardi mentre la radio trasmetteva da Norfolk il discorso del Re.
Dopo pranzo raccolse la famiglia e obblig ciascuno a ripetere cento volte il
proprio nome al posto della preghiera. Poi tutti andarono a letto, ed egli, fatti i
conti, si affacci alla fnestra.
46
I poveri sono matti propone un almanacco inesauribile del nonsense; in-
numerevoli battute al lampo di magnesio vivifcano le pagine e tendono
continue imboscate al lettore. Nella storietta intitolata Sui bastioni ritor-
nano i ricchi e i loro tic:
Guardate lungo le strade, hanno fretta di arrivare a casa: chiudono con forza la
porta dietro di loro, qualcuno poco prima li ha umiliati. Essi hanno strisciato
davanti a T. ora li aspetta una fanciulla lentigginosa, col grembiule bianco, ed
essi fssano con occhi severi. Che cosa c di male se Dio ha dato ai ricchi cavalli
e campi? Egli doveva dire vi do tutto questo a patto che ogni sera prima di cori-
carvi pensiate al dito di un bambino. Essi avrebbero accettato, fguratevi, non
faticoso.
46. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., pp. 71-72 (le indicazioni subito successive dir. a
testo).
la realt fantastica di cesare zavattini
223
Arrivano a casa, sono allegri, si tolgono il frac, si fccano sotto le coltri, stanno
spegnendo la luce quando balzano dal letto pallidi, con il cuore che batte, che
batte: stavano addormentandosi senza pensare al piccolo dito di un bambino.
Come diventano magri e spaventati con landare del tempo (pp. 87-88).
Ma Dod la vera ossessione di Bat, la prova che i buoni possono vivere
solo come aria che sale nel cielo mentre i malvagi riprendono forma
umana e precipitano in una valle nera (p. 75). Ancora una volta nella
notte i personaggi di Za sono sconvolti da visioni e da visite inaspettate e
pau rose:
Una notte Suc ha confessato: A mia moglie piace questuomo, non metter
mai la sua fotografa nel giornale . Suc di notte buono e racconta tante cose
segrete. Una volta disse che aveva voglia di buttarsi gi dalla fnestra: quante
persone ai suoi funerali, impiegati, redattori, operai, il signor Dod in testa. Si
dice che il signor Dod ha un vestito apposta per i funerali. Tutti camminano in
punta di piedi, ordinati, non vanno dietro al feretro, ma al signor Dod. Attraver-
sano le vie della citt: cammina cammina, il signor Dod stanco, si volta, fa un
segno e tutti si spargono per i prati mentre sale sopra la sua automobile: un
rombo, un gran polverone e parte salutato dagli evviva di Matter. Questo Matter
castigato dal Signore, ha le braccia come stecchi, non riesce a sollevare i suoi
fgli (ibid.).
In una lettera inviatagli dopo la lettura de I poveri sono matti Giovanni
Papini coglieva alcuni importanti assonanze nellopera letteraria di Za
che meritano di essere considerate. Tra laltro il diciassettenne Cesare ave-
va amato infnitamente Un uomo nito del suo noto recensore:
Il suo ultimo libro uno dei pi imprevisti, di quanti, italiani e moderni, ho
letto in questi anni. Vedo che battezzano lei umorista. In questo libro, invece,
trovo un poeta tragico che si giova del grottesco apparente per meglio raffgura-
re e rivelare la dolorosa malinconica, paurosa realt quotidiana. C qualcosa,
alla lontana, di un Kafka e di un Joyce, ridotti alla pi elementare e sobria espres-
sione, e resi, perci, pi italiani e pi lirici.
47
Nel 1941 Bompiani diede alle stampe il terzo libro di Zavattini, Io sono
47. Nuzzi-Iemma, De Sica & Zavattini. Parliamo tanto di noi, cit., p. 39.
toni iermano
224
il diavolo, 42 storiette e raccontini usciti, in parte, sul settimanale Tem-
po tra il luglio 1940 e lagosto del 1941. Nella forte ed emblematica Pre-
fazione, sempre di natura autobiografca, il malessere e le contraddizioni
del tempo sestrinsecano in forme meno vaghe: la guerra aveva iniziato
a far sentire tutto il peso della tragedia che investiva il paese nella sua
interezza. La verve comunque non appannata e linventore della Bassa
conserva quella identit ritmica che avvolge le raffgurazioni abolendo
qualsiasi segno di discorso intellettuale. Nel primo raccontino da cui
prende il titolo lintera raccolta, Io sono il diavolo, lio narrante manifesta il
sospetto di essere ormai diventato un essere demoniaco ma di sperare
che gli altri non se ne accorgano:
Il sospetto che io sia il diavolo mi venuto ieri. Niente di sulfureo: ascoltavo un
uomo alla fermata del tram e provai improvvisamente un urto di vomito alle sue
parole, parlava di cose comuni, del tempo troppo spesso piovoso. []. Io non so
quale sar la fne di questa scoperta. possibile che la mia vita continui a essere
giudicata normale dagli altri, che nessuno si accorga del mio passaggio.
48
Anche quando i giochi appaiono favolosi e bizzarri, lautorit della fan-
tasia simpone senza ostacoli:
Mi distrae un verde che traspare sotto lacqua di una risaia, un verde non esisten-
te prima doggi. Laeroplano scende e io sono un ragazzo affacciato alla fnestra
che dice: guarda un aeroplano.
49
Il successo dei primi libri di Za fu tale che nel 1942 e poi nel 55 ledi-
tore Bompiani pens di riunirli in un unico volume intitolandolo Tre li-
bri. Lanno dopo, nel pieno della spaventosa crisi militare e politica che
stava per travolgere il regime, usc Tot il buono, inizialmente apparso a
puntate su Tempo . Talune fonti di questo straordinario scritto, perva-
so da un umorismo triste e non insolitamente amaro,
50
risalivano alle sue
prime collaborazioni alla Gazzetta di Parma , tra il 1927 e il 1929. Un
48. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 133.
49. Ivi, p. 202.
50. Tutto il mio umorismo nasce da una grande tristezza infantile (Zavattini, Io.
Unautobiograa, cit., p. 45).
la realt fantastica di cesare zavattini
225
libro apparentemente utopico nel quale si materializzano tutti gli ele-
menti portanti dellopera di Zavattini, impegnato nella ricostruzione di
un linguaggio che doveva riportare nel suo giusto funzionamento il si-
gnifcato delle parole, evitando fraintendimenti su concetti quali giusti-
zia, democrazia, povert, solidariet.
Giacomo Debenedetti nella sua Lettera all Ipocrita , apparsa su La
fiera Letteraria col titolo Lautorit delle tue fantasie (xiii, 2 marzo 1958,
fasc. 9 pp. 3-4), considerando proprio le conclusioni di Tot il buono, che
indirizzato la sua scopa verso nord, era diretto verso un regno dove dire
buon giorno vuol dire veramente buon giorno ,
51
rivolgendosi a Za, gli
scriveva:
Il caso classico stato quando ti sei accorto che buon giorno pu davvero
voler dire buon giorno , cio che le parole, prese alla lettera come sono state
coniate, signifcano realmente il loro contenuto. Si capisce che, in un mondo che
ha speso tanto tempo e tanto ingegno a cercare di conoscersi, certe tue constata-
zioni, se uno se le ripetesse in astratto, possono parere risapute. Viceversa, quan-
do le leggiamo sulla tua pagina, suonano come se in tanti millenni il mondo si
fosse sempre dimenticato di dirle: o addirittura, in una vanitosa ricerca del com-
plicato, di ci che fa parere superiormente intelligenti, le avesse trascurate come
troppo elementari.
52
La letteratura tendeva a mutare profondamente e Sergio Solmi, che
pure non si era mai occupato di Zavattini bench lo avesse abitualmente
frequentato durante gli inizi del soggiorno milanese, nel 46 scriveva:
Oggi lo scrittore non si muove pi in un campo di prospettive stabili e note,
tuttal pi lentamente cangianti nel corso storico, ma quasi su di un mare infor-
me e malfdo, dove la rotta appare sempre pi dettata, pi che da una agevole ed
orientata predilezione.
53
La stagione neorealista si tingeva di esasperazioni ideologiche e lasciava
smarrire, e in taluni casi sommergere, le antiche, agevoli predile zioni.
51. Ivi, p. 274.
52. Debenedetti, Saggi, cit., pp. 1159-68, a p. 1160.
53. S. Solmi, La letteratura italiana contemporanea, to. i. Scrittori negli anni, a cura di G. Pac-
chiano, Milano, Adelphi, 1992, p. 292.
toni iermano
226
Pensando allo Zavattini scrittore occorre ripensare le illuminanti, bre-
vi pagine critiche di Luigi Malerba. In esse si riassume la originale crea-
tivit di Za ma soprattutto il senso di una scrittura ancora largamente
capace di sorprendere e tradire langosciosa seriet del lettore di buon sen-
so. In realt, pur essendo un divo di primo piano, ma sempre nella irre-
golarit, stato visto con sospetto anche dagli araldi delleffmero, sem-
pre cos attenti a ci che succede sulla strada e sulla piazza . Mai del
tutto accolto nel cerchio magico dellalta cultura, la comparsa di Zavattini
sulla scena letteraria stata accolta da un coro immediato di entusiasmi,
ma accompagnato quasi sempre dalla diffcolt di inquadrare questo cor-
po estraneo nel contesto italiano .
54
Cesare Zavattini, anche grazie al cinema e alla pittura, giunto ad una
percezione della realt e della condizione umana davvero unica dando di
oltre mezzo secolo di vita italiana e dei suoi costumi una esemplare te-
stimonianza. La sua fgurazione del mondo ha avuto una scintillante
rappresentazione nel nonsense, nella forza creatrice di innumerevoli gio-
chi fantastici e surreali. Nella raccolta di Racconti e racconti, tutti scritti dal
1927 al 1940, che formano il volume Al macero, ad esempio, non manca
nessuno degli ingredienti che hanno reso la scrittura di Za una enciclo-
pedia di immagini e trovate uniche, in cui lo Zavattini personaggio compe-
te con agonismo con lo Zavattini scrittore. Nel raccontino che segue
possibile rintracciare anche lappassionata ammirazione per il teatro e il
cinema comico di Antonio de Curtis, in arte Tot, la cui sensibilit lin-
guistica e la paradossabilit di ascendenza pirandelliana si affermarono
dai primi anni Trenta:
55
Evasioni celebri
Toth, lo sventratore di donne, racconta ai nipotini nelle sere dinverno, vicino al
grande camino, le sue meravigliose gesta: Nella Guiana eravamo sorvegliati da
cento secondini. Come fuggire? Mi venne un lampo di genio: un pomeriggio
54. Malerba, Introduzione, cit., p. xi.
55. Sullattivit artistica e cinematografca di Tot e sul suo nonsense vd. Tot parole di
attore e di poeta, a cura di P. Bianchi e N. De Blasi, Napoli, Libreria Dante & Descartes,
2007; sullassimilazione della paradossalit pirandelliana vd. A. Palermo, Sul primo Tot,
ivi, pp. 17-36.
la realt fantastica di cesare zavattini
227
che tutti eravamo nellimmenso cortile centrale mi misi a camminare allindie-
tro verso il cancello. Le guardie credettero cos che io stessi entrando. Invece
uscivo .
56
Ed ancora, nella Vita di Dam Mark si propone al lettore un gustoso episo-
dio di carit umana:
Lepisodio pi commovente della mia vita. Allangolo del ponte Wellcome fer-
mai un signore distinto e attempato. Alto le mani , glintimai. Ubbid. Non
aveva che un bellorologio doro. Me lo lasci , supplic, un caro ricordo di
famiglia . Mi allontanai con le lacrime agli occhi e con lorologio (1098).
E sempre a proposito di orologi e di racconti direttamente illuminati da
saette di nonsense, una felice proposta narrativa viene dallisola dove van-
no tutti gli orologi sfuggiti alla furia distruttrice dei bambini in attesa del
giudizio universale:
Cera unisola dove vanno un bel giorno tutti gli orologi del mondo a fnire la
loro vita laboriosa. Sono sfuggiti alle mani terribili dei bambini: disseminati fra
lerba come fori, essi riposano tranquillamente. Sono fermi: chi sulle cinque,
chi sulle nove e due minuti. Ogni orologio predilige unora.
Il giorno del giudizio universale anchessi torneranno a battere, muniti di
piccole invisibili ali voleranno nei panciotti dei loro antichi proprietari: un ladro,
un barone, o il santo, o il ladro, o il fanciullo: Guarda, sono le cinque e un quar-
to . E tutto riprender come prima. forse qualcuno obietter: Prego, sono le
cinque e dieci . Registrando lorologio si avvieranno tranquillamente insie-
me verso la valle di Giosafatte (p. 1209).
Nelle pagine migliori di Za per si coglie un costante, rispettoso rappor-
to con la morte che il Bat de I poveri sono matti continua a raccon tarci:
Un giorno aveva udito un uomo: La morte non arriva se io sar sempre in un
posto diverso dallultima volta . Bat pensa invece che non penoso morire se
con s sparisce ogni altra persona, ogni cosa, anche quel palo rosso visto ieri
dallautobus (p. 105).
56. Zavattini, Opere 1931-1986, cit., p. 1093 (le indicazioni subito successive dir. a te-
sto).
toni iermano
228
Per Zavattini, e la storia di Bat lo rende evidente, si aprono nuovi per-
corsi ma il nonsense resta una costante imprendibile e indefnibile, talvol-
ta persino impossibile, del suo essere scrittore predisposto a vedere le
contraddizioni pi nelle idee che nelle cose .
57
In fondo la lettura dei
suoi libri, pur seguendo una topografa complessa non sempre cataloga-
bile nel corso di circa un sessantennio di attivit, offre la sensazione di
vedersi aprire un mondo davanti agli occhi, svelando la sua laica conce-
zione delle cose: La realt? Era enormemente ricca. Basta saperla guar-
dare . Purch sappia giungere, come stato limpidamente intuito, al
linguaggio egalitario dellimmaginario .
58
Magari una storietta dagli inso-
liti lampi di coscienza morale, come vide Calvino,
59
raccontata dopo
qualche inquietudine notturna da Cesare Cadabra. Daltronde un altro
emiliano, Silvio DArzo, lautore dellequilibratissimo Casa daltri, in suo
racconto, Una storia cos, aveva consigliato: [] (se volete far soffrire un
vostro nemico, non pensate a mali complicati e inverosimili, ma augura-
tegli soltanto una lunga notte lunga, senzalba) .
60
Il surreale e mai domo Za da Luzzara ha saputo raccontarci il mondo
attraverso occhi di un ragazzo pronto a stupirsi e a commuoversi di fron-
te ai miracoli della vita e alle sue innite, dolorose ambiguit. Al volto
diabolico e livido del potere, Zavattini, pur in una crescente inquietudi-
ne, ha sempre ritenuto di contrapporre lidea della letteratura come un
costante notare verso gli altri .
61

57. Vd. Malerba, Introduzione, cit., p. xv, che cita dal libro-intervista Zavattini parla di
Zavattini, cit.
58. W. Pedull, Zavattini scrittore. Parole come saette, in Avanti! , 15 ottobre 1989.
59. Calvino, nel ricordare Vittorio Metz nel 1984, sottolineava: Ed ancora sul Sette-
bello scriveva Zavattini, il cui discorso era gi diverso dagli altri e coi suoi poveri angeli-
ci portava nel nuovo umorismo insoliti lampi di coscienza morale : (Calvino, Saggi, cit.,
vol. ii p. 2903).
60. S. DArzo, Laria della sera e altri racconti, a cura di S. Perrella, Milano, Bompiani,
1995, p. 21.
61. Cirillo, Nei dintorni del surrealismo, cit., p. 232.
229
Barbara Silvia Anglani
TUTTI A CENA DAL BARONE MANUEL.
IL NONSENSE IN ACHILLE CAMPANILE
Il titolo di questo intervento si rif a una scena famosa del primo,
splen dido romanzo di Campanile, Ma che cos questamore,
1
un passo
esemplare per quanto riguarda luso del nonsense da parte di questo auto-
re. La scena presenta al lettore tutti gli elementi tipici della narrativa di
Campanile: lambientazione sommaria ma contemporaneamente pre-
cisa in una dimora aristocratica; il dialogo assurdo tra i personaggi; la
loro impassibilit di fronte al manifestarsi dellassurdo stesso. Si tratta di
una conversazione durante la quale, come spesso accade fra amici, i pre-
senti si trovano a scambiare ricette di cucina:
Si parlava di gusti e CarlAlberto disse:
A me gli zucchini non piacciono .
Sono squisiti disse il barone, gran buongustaio cucinati con laragosta .
Ah, s? fece Lucy non sapevo. Come si fanno? .
molto semplice. Per sei persone si prendono sei zucchini, si mondano e si
tagliano in fettoline di un centimetro di spessore per lunghezza; si fanno bollire,
poi si mettono in una salvietta e sappendono per farli sgocciolare. Mentre sgoc-
ciolano, si fanno cuocere tre aragoste fnch diventino ben rosse. Quindi le ara-
goste si spaccano a met, per lunghezza e, preparata una salsa maionese, si ser-
vono in tavola su piatti dargento .
E gli zucchini? disse Lucy.
Restano a sgocciolare .
Un altro buon piatto disse CarlAlberto, che sintendeva un po di cucina
sono le costolette di vitello al limone .
Come si fanno? .
Battete bene dieci costolette di vitello, fate liquefare 300 grammi di strutto
in una teglia, infarinate la teglia sopra e sotto, fate cuocere le costolette nella
cenere fnch siano diventate nere. Aggiungete un bicchiere dacqua di selz e la
raschiatura della scorza dun arancio. Preparate un trito di prezzemolo e cospar-
1. A. Campanile, Ma che cos questamore?, Milano, Corbaccio, 1927; lopera aveva visto
la luce a puntate nel Sereno durante il 1924.
barbara silvia anglani
230
gete di lupini, lasciate una mezzora le costolette per terra e dieci minuti prima
dandare a tavola gettatele dalla fnestra .
Le proveremo domani disse la baronessa prendendo appunti.
2
Come si vede, lautore si diverte a rilanciare. A una prima ricetta, gi pri-
va di senso perch prevede lutilizzo di un ingrediente allunico scopo di
buttarlo via, ne segue una seconda, nella quale addirittura lintero piatto
viene gettato e i cui passi di preparazione sono palesemente tesi a rende-
re le costolette incommestibili. Qual , dunque, lobiettivo di questo
genere di nonsense?
Il brano scelto offre subito una risposta: prendere allegramente in giro
alla maniera, leggerissima, di Campanile le usanze e le conversazioni
della buona societ, dunque denunciarne le ovviet dei dialoghi. Non bi-
sogna dimenticare che la scena ambientata in una sontuosa dimora, nel-
la quale non manca nessun elemento alla moda: unorchestra di stru-
menti ad arco e di arpe suona[va] misteriose arie orientali ,
3
mentre dan-
zatrici velate si pro ducono in uno spettacolo e petali di rose cadono sui
convitati. Il romanzo nasce per la pubblicazione a puntate su un periodico
( Il Sereno ) nel 1924: la contestazione nei confronti dei riti borghesi, in
qualsiasi punto dEuropa, ancora da venire, fatta salva lesperienza futu-
rista, che Campanile ha conosciuto e di cui si serve in modo personalissi-
mo. Come non pensare, infatti, che questa scena non sia la traduzione, in
chiave ironica anzich drammatica, dello slogan Uccidiamo il chiaro di luna?
Tuttavia, non solo al futurismo che si deve pensare, cercando gli
antecedenti campaniliani. La sorvegliatissima scrittura rimanda di conti-
nuo ai buoni studi, alle buone letture, allamore per la misura, ai manua-
li di comportamento per signore che negli anni Venti godevano di gran
successo, anche sotto forma di rubriche nei periodici; mentre il tema
della conversazione rimarr, per colui che anche e soprattutto autore
teatrale, un obiettivo gettonatissimo durante tutti i settantanni di inin-
terrotto mestiere di scrittore.
4
2. Si cita da A. Campanile, Opere. Romanzi e racconti 1924-1933, a cura e con introduzio-
ne di O. Del Buono, Milano, Bompiani, 1989, pp. 22-23.
3. Ibid.
4. Sul tema delle letture di Campanile, e in particolare sul suo attingere ai libri di scuo-
il nonsense in achille campanile
231
La chiave del nonsense praticato da Achille Campanile stata affronta-
ta da validi studiosi fn dai suoi primissimi successi. Letta appunto in
chiave antisistema, defagrante, quindi avanguardistica e dunque futuri-
sta negli anni Venti, ha subito poi numerosissime interpretazioni, tutte
caratterizzate dal tentativo di individuare il movente di quellatto desta-
bilizzante che consiste nellabolire la logica, realizzando un prodotto ar-
tistico rispondente a criteri altri, diversi, talvolta inaccessibili. E dunque,
ecco il Campanile che, contrariamente a quello che molti futuristi poi
diventati Accademici fniranno appunto per fare, tramite la sua scrittura
sbeffeggia loratoria fascista (e questo senzaltro vero, come risultato;
rimane da vedere se fosse anche nelle intenzioni dellautore). Ecco anco-
ra Campanile che destruttura gli stilemi della letteratura uffciale (e que-
sto ancor pi vero). Ecco infne il Campanile addirittura sovversivo ,
in una lettura che fa del comico in s una componente critica del siste-
ma inteso come norme sociali e letterarie condivise e prevalenti in un
dato periodo.
5
Questa linea critica si aggancia, negli ultimi decenni, a studi che sono
andati pi a fondo sulla questione dellumorismo e della comicit spe-
cialmente negli anni del Ventennio. chiaro che, lette da una prospetti-
va post-ideologica qual quella di oggi (per semplici criteri generazio-
nali, se non per altro), tutto il rapporto fra potere e arte durante la ditta-
tura viene letto con chiavi diverse. Non per negare n la dittatura n gli
la e alla manualistica, non si pu non far riferimento alle Vite degli uomini illustri; si veda in
proposito A. Colasanti, Un certo generale romano, pref. ad A. Campanile, Vite degli uomini
illustri, Milano, Rizzoli, 1999, pp. i-xx.
5. La critica su Achille Campanile annovera, a partire dagli anni Settanta del secolo
scorso, numerosissimi contributi. Impossibile segnalarli tutti; si vedano almeno G. Al-
mansi, Il pensiero a retromarcia, pref. ad A. Campanile, In campagna unaltra cosa, Milano,
Rizzoli, 1984, pp. i-xiv, poi in G. Almansi, La ragion comica, Milano, feltrinelli, 1986, pp.
31-41; C. Bo, Il Manuale senza regola, pref. ad A. Campanile, Manuale di conversazione, Mila-
no, Rizzoli, 1973, pp. v-xii; Del Buono, Introduzione, cit.; U. Eco, Campanile: il comico come
straniamento, in Id., Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani, 1998, pp. 53-98; P. Pancrazi,
Il riso scemo di Campanile, in Id., Scrittori doggi, Bari, Laterza, 1946, pp. 154-58. Le monografe
sullo scrittore che ci risultano edite sono le seguenti: C. De Caprio, Achille Campanile e
lalea della scrittura, Napoli, Liguori, 1990; G. Cavallini, Estro inventivo e tecnica narrativa di
Achille Campanile, Roma, Bulzoni, 2000; B.S. Anglani, Giri di parole. Le Italie del giornalista
Achille Campanile (1922-1948), Lecce, Manni, 2000.
barbara silvia anglani
232
sforzi di emancipazione dalle pesantissime e invadenti direttive di regi-
me, che si facevano sentire in particolare nelle redazioni dei giornali an-
che umoristici, ma piuttosto per capire quale fu realmente il clima e
quali furono le intenzioni di questo e di altri scrittori che in quei tristis-
simi tempi si trovarono a vivere.
6
Se andiamo in cerca delle caratteristiche del nonsense campaniliano,
troviamo che esso dotato di due obiettivi comici: la letteratura e la so-
ciet, vale a dire il linguaggio letterario e gli utenti di quello e di altri
linguaggi. Questo perch il nonsense di Campanile si serve dello stru-
mento linguistico sia in chiave antiletteraria sia in chiave antisociale. Per
far ci, e per essere largamente compreso (esigenza che, se di quasi tut-
ti gli scrittori che ambiscano a pubblicare, lo ancor di pi per chi prati-
ca il giornalismo come attivit retribuita e principale), egli deve agire su
un pre-testo (o ipo-testo) gi noto e codifcato, sia sociale che letterario.
Campanile lo fa ma, come si visto nellesempio iniziale, la sua arte lo
conduce ad attivare non risate bens sorrisi. Il meccanismo, che egli pra-
tica con varianti ma la cui ossatura non muta mai per tutti i suoi settanta
anni di carriera, si basa sempre su piccoli spostamenti di senso, su sfuma-
ture, su slittamenti logici, che automaticamente fanno trapassare la lettu-
ra da un piano serio a un piano comico e, potremmo meglio dire, ludico,
dove la dimensione del gioco e dello scherzo la pi appropriata. Quan-
do, invece, Campanile si lascia andare a toni pi decisi, pi aspri, a pole-
miche pi aperte, lobiettivo viene mancato: il caso del Diario di Gino
Cornab, che egli tenne a puntate sulla Gazzetta del Popolo durante la
seconda met degli anni Trenta e che poi raccolse in volume.
7
Nono-
stante il grande successo della rubrica, tanto che Gino Cornab fu ri-
tenuto addirittura il vero nome di Achille Campanile, la cifra di questa
scrittura rimane la veemenza, linvettiva, larrabbiatura: un tono poco
idoneo al nostro, e tuttavia disvelatore di unaltra faccia, quella nervosa,
6. A questo tema si dedicata in particolare Caterina de Caprio nel vol. citato in n. 5.
7. A. Campanile, Il diario di Gino Cornab, Milano, Rizzoli, 1942, poi, con intr. di L.
Terzi, Milano, Rizzoli, 1999. Sulla Gazzetta del Popolo , il testo con il titolo oscillan-
te: Il diario di Gino Cornab oppure Il diario di un uomo amareggiato era comparso durante
il 1938. Alcuni brani del Diario sono stati portati in scena, con la regia di Antonio Calenda,
da Piera degli Esposti.
il nonsense in achille campanile
233
e di un diverso atteggiamento, quello talvolta apertamente critico, nei
confronti del regime.
Il nonsense agisce allora contro lideologia superomistica della quale
Mussolini si vanta di essere lincarnazione stessa, e allo stesso tempo con-
tro il sistema dinformazione, che (gi allora) si adagiava su notizie senza
senso:
Non c giorno senza amarezza per me. In occasione dei giuochi olimpici avevo
mandato un messaggio. Non gi che mi sia commosso tanto. Tuttaltro. Me ne
infschio. Ma era per far circolare il mio nome. Signori miei, se non ci penso io
nessuno ci pensa. Purtroppo siamo a questo: che, per farmi ricordare, debbo
attaccarmi a simili sciocchezze. Perci ho diramato ai giornali un comunicato:
In occasione, ecc. ecc., Gino Cornab ha diretto il seguente messaggio: Io vi
saluto, o vittoriosi incoronati del lauro, ecc. ecc.
Credete che i giornali labbiano pubblicato? Nemmeno una riga. Nemmeno
una parola. Ho comperato tutti i giornali, li ho sfogliati da cima a fondo: del mio
messaggio non vera traccia. Allora ho mandato altri messaggi dandone notizia
ai giornali.
Niente. Niente alla lettera.
Ora io dico: se i messaggi fossero stati di Gabriele dAnnunzio i giornali si
sarebbero fatti in quattro per pubblicarli. I miei no. I miei si cestinano. Ma, di-
sgraziati, voi non sapete quanto il mio destino sia simile a quello del Poeta. Pi
ci penso, e pi mi convinco che io e dAnnunzio siamo tutta una cosa: se egli lo
fu soltanto negli oscuri tempi della disconoscenza nazionale, io sono tuttora
perseguitato dai creditori.
8
Nel passo emergono con chiarezza gli obiettivi, diremo comici e non po-
lemici, dellautore: primo fra tutti, la retorica uffciale. I discorsi inaugu-
rali, sembra dirci Campanile, sono tutti uguali; lunico motivo per il qua-
le a essi viene dato un certo risalto che a pronunciarli sono personalit
famose. Ci sarebbe di che rifettere sullattualit di una tale critica verso i
mezzi di informazione che, nel 1938, subivano censure e direttive rigidis-
sime. Il secondo obiettivo, diremo ironico, il grande scrittore, messo
sullo stesso piano sia pure per scherzo di Cornab, assediato dai cre-
ditori. Questo tipo di comicit riusciva sgradito al regime se gi nel 1937
8. Campanile, Il diario di Gino Cornab, ed. 1999 cit., p. 63.
barbara silvia anglani
234
il Ministro della Cultura Popolare, Dino Alferi, aveva allestito un Pro
Memoria destinato ai direttori di giornali umoristici nel quale raccoman-
dava: non disturbare per raggiungere effetti comici alte fgure della
storia da Dante a Colombo a Cellini a Cavour .
9
Ma il terzo obiettivo, che sottotraccia si estende in tutto il Diario, pi
complesso: perch da un lato sembra essere costituito proprio da quella
media borghesia decaduta che cerca il successo a ogni costo (non si capi-
sce perch Cornab abbia diritto alla fama, eppure egli la pretende);
dallaltro, Cornab rappresenta lo scrittore fallito (manda continuamen-
te manoscritti puntualmente rifutati dagli editori), livoroso, incattivito,
vittimista, cio lesatto opposto di quello che Campanile rappresenta per
la pubblica opinione in quegli anni: lo scrittore brillante, col monocolo,
che frma decine e decine di autograf in ogni luogo pubblico in cui si
presenti.
Ma ritorniamo alla chiave pi propriamente e pi felicemente campa-
niliana, per ricordare come essa si basi su alcune delle leggi proprie del
comico:
una tensione alla regressione infantile: quello di Campanile un riso
di rilassamento, di abbassamento delle difese, in primo luogo logiche
oltre che for mali;
laccettazione, da parte di tutti i giocatori, delle regole del gioco stesso:
10

e si veda, per questo, lautentico pezzo di bravura che rappresentato
dal linguaggio immaginario messo in opera da due innamorati che,
per non rendere note le loro passioni erotiche, camuffano le parti del
corpo (la bocca, la vita, i seni ecc.) con nomi di montagne, di fumi, di
elementi naturali (quindi una frase erotica si tramuta in Ti voglio ac-
carezzare dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanare al Reno ).
11
Qui il
9. Su questo argomento, cfr. anche De Caprio, Achille Campanile e lalea della scrittura,
cit., pp. 46-47.
10. Umberto Eco ha accennato alla tipologia di architesto sotteso alle parodie campa-
niliane e dunque alle competenze di un lettore che lo scrittore immagina mediamente
istruito (si veda Eco, Campanile: il comico come straniamento, cit.). Caterina De Ca prio dedi-
ca un capitolo della sua monografa alla ricezione di Campanile (Il pubblico dei lettori, in
Ead., Achille Campanile e lalea della scrittura, cit., pp. 75-103).
11. A. Campanile, Ma che cos questamore?, in Id., Opere. Romanzi e racconti 1924-1933, cit.,
il nonsense in achille campanile
235
lettore accetta il gioco, e soltanto a questo patto gli si disvela quello che
altrimenti sarebbe un autentico nonsense. Quindi, possiamo dire, Cam-
panile fornisce il nonsense e la chiave per decifrarlo.
Il vertice del nonsense di matrice linguistica si raggiunge probabilmen-
te in Agosto, moglie mia non ti conosco. Qui uno dei personaggi una povera
ragazza rimasta vittima di un precettore il quale, per vendicarsi di essere
stato rifutato come suo sposo, le insegna la lingua italiana apponendo al
lessico piccole variazioni: Isabella, fnalmente innamorata, dir al suo
amante Son la tua bombola dagli occhi di condor invece di Son la
tua bambola dagli occhi di candor , oppure Sento in cuore una prugna
(il fdanzato la corregge: una pugna ), o anche Tu mi sembri com-
messo ( Io ti sembro commosso? risponde il ragazzo che ormai ha
capito il linguaggio dellamata: Che gioia! Una carrozza sul callo.
Taci: una carezza sul collo ).
12
Ancora una volta, sono chiari gli obiet-
tivi ironici di un linguaggio inventato che non colpisce tanto la passione
degli amanti, quanto piuttosto le migliaia di romanzetti nei quali il lin-
guaggio amoroso (e anche erotico) viene banalizzato senza piet, con il
ricorso, da parte degli scrittori, a fgure sempre uguali. Non secondario
dunque che il romanzo appaia a puntate, poich le pubblicazioni perio-
diche sono da sempre il luogo nel quale il linguaggio, per esigenze co-
municative e di vendita, viene banalizzato pi che altrove. Nella scena
fnale di Agosto, accanto a Isabella che colloquia con gli esiti che abbiamo
visto con luomo che fnalmente ama, vi unaltra coppia:
Ti prego , mormor Mystrieux vien gente e si potrebbe credere che fra
noi sia avvenuto chiss che cosa; fngiamo almeno di parlare .
Aggiunse, coi gesti di chi fa una conversazione:
Balab, racat, barab .
pp. 137-39: Taci! Sussurrava il giovane. La tua barca a vela ardente e tormentosa, la
tua guerra dei trentanni pura come unalba serena e le tue piramidi sembrano rose di
maggio. Taci: [] chio ti solletichi ancora, dallAlpi alle Piramidi, dal Manzanare al Re-
no, due volte sulla polvere, due volte sullaltar! , dove lautore dispone per il lettore il
seguente glossario: bocca - barca a vela; fronte - guerra dei Trentanni; guance - piramidi;
sopracciglia - Alpi; mento - Manzanare; ricciolo - Reno; gola - polvere; capo - altare.
12. A. Campanile, Agosto, moglie mia non ti conosco, Milano, Treves, 1931; si cita dalled.
Milano, Rizzoli, 1981, pp. 143-47.
barbara silvia anglani
236
Mairil onest vital bisbigli Caterina, seccamente, fngendo di rispon-
dere.
E ovviamente, trattandosi di Campanile, la faccenda non pu concluder-
si cos: assecondando la sua regola del rilancio, giunge infatti una seconda
coppia in crisi:
Tu bisbigli Marina hai deciso di partire e sta bene. Ma fnch sei qui, ti
prego di parlarmi .
Camillo taceva, guardando con indifferenza il tramonto.
Vedi quei due come si parlano affettuosamente? insist Marina, indican-
do laltra coppia ora capiranno che abbiamo bisticciato. Almeno fngi di dirmi
qualche cosa. Se non vuoi parlarmi, fa la commedia .
Camillo si volt verso di lei e mormor, con malagrazia:
Caradit maradit .
Vidisapi, s mai pi, no mai pi bisbigli Marina, reprimendo a fatica i
singhiozzi.
13
Paradossalmente, gli unici a dirsi davvero qualcosa sono dunque i due
amanti che attribuiscono un signifcato sbagliato a parole autentiche,
mentre gli altri, quelli che non hanno niente da dire, sono per condan-
nati dalle norme sociali alla parola desemantizzata, anzi totalmente in-
ventata. Campanile continua, in pieno 1930, a uccidere il chiaro di luna,
e lo fa prevalentemente con un nonsense di tipo linguistico.
14
Vediamo
invece laltra tipologia campanilana, che con questa si intreccia: il nonsen-
se prevalentemente logico.
Se volessimo dichiarare quale sia la chiave costitutiva di questo secon-
do nonsense del nostro autore, la rinveniremmo probabilmente in uno
scardinamento dei procedimenti abduttivi e deduttivi: lo stesso che ci ha
condotto a sorridere leggendo lesempio che ho riportato inizialmente,
quello della ricetta dellaragosta. Un meccanismo di disconferma, che
13. Ivi, pp. 249-53.
14. Su questo si era espresso gi Enzo Siciliano: In Campanile c leco di un futuri-
smo disinnescato da qualsiasi miccia superomistica. il futurismo che se la prende con la
logica del linguaggio comune. Diciamo: invece che Marinetti, presente il Palazzeschi
del Codice di Perel o dei Lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizzi (E. Siciliano, Introduzione
a Campanile, Agosto, moglie mia non ti conosco, ed. 1981 cit., p. v).
il nonsense in achille campanile
237
colpisce innanzitutto i procedimenti logici: anzi, potremmo dire che ba-
sa lo scardinamento logico su una assoluta e rigorosa aderenza ai model-
li e alle norme linguistiche. Al contrario di quella rivoluzione formale
annunciata e praticata dai futuristi, infatti, la lingua campaniliana si man-
tiene sempre fedele a un andamento piano, correttissimo; le frasi di
Campanile, stato detto, rotolano come biglie da biliardo una dopo
laltra;
15
il lettore non mai affitto dal dovere di interpretare questa sov-
versione logica attraverso scarti grammaticali o sintattici. Anzi, Campa-
nile lo conduce per mano, passo passo lo porta ad aderire a quel nonsense
infne confessato come fulmen in clausula. Paradossalmente, si tratta per-
ci di un nonsense ragionato:
La baronessa Irene dormiva nella sua poltrona di vimini. Ella si vantava di dor-
mire pochissimo. Ed era vero. Il sonno della baronessa era una cosa strana: le
permetteva di tenere gli occhi aperti, di conversare, di camminare e dedicarsi a
tutte le pratiche della vita domestica.
Per di pi durava solo pochi minuti al giorno. Il resto del suo tempo la pove-
ra signora lo passava sveglia. E, quando era sveglia, aveva la singolare abitudine
di stare con gli occhi chiusi, quasi sempre immobile in una posizione perfetta-
mente orizzontale. In queste lunghe veglie non parlava mai ed emetteva uno
strano rumore dal naso.
16
Quali sono i linguaggi, e quindi i mondi, parodiati da Campanile? An-
che qui, tutti quelli che le colonne dei quotidiani sui quali egli pubblica-
va ospitavano regolarmente. Le righe di Campanile diventano una sorta
di controlettura del giornale: la cronaca del Giro dItalia sulla Gazzetta
del Popolo affancava quella uffciale; le scene ambientate in case bor-
ghesi o addirittura aristocratiche comparivano accanto alle rubriche in
cui si dispensavano consigli di buone maniere e cronache di avvenimen-
ti mondani. Nasce da questo autentico controcanto alla vita sociale e alle
sue regole la memorabile cronaca dellincendio a palazzo, diventata, sot-
to la penna di Campanile, un favoloso evento mondano:
15. I gerundi rotolano soddisfatti. [] leffetto quello di una scrittura, come dire,
grammaticale, tirata gi con gli esempi del vocabolario sotto agli occhi (Colasanti, Un
certo generale romano, cit., p. iii).
16. Campanile, Ma che cos questamore?, cit., p. 14.
barbara silvia anglani
238
Barbaglio di luci e di splendori, indimenticabile turbinio di nudit femminili,
ecco lo spettacolo che la vita mondana offre di quando in quando allo stanco
monocolo del disincantato croniquer. Ieri sera, nei sontuosi saloni di palazzo fo-
lena s svolto un grandioso, indimenticabile incendio a cui hanno partecipato
tutti gli inquilini dello stabile.
Notato, fra gli intervenuti, il corpo di pompieri au grand complet. Qualche
nome, a caso: Pacchierotti Ettore, francesconi Pasquale, Casulli filippo [].
La contessa folena indossava uno splendido paio di scarpe di suo marito e
uno scendiletto le copriva le forme scultoree; il conte, in corrette pantofole,
bombetta e mutande a righine celesti allacciate alla caviglia, indossava una inap-
puntabile giacca del suo nipotino dodicenne. []
Lincendio si protrasse animatissimo fno allalba, ora in cui i pompieri e gli
altri intervenuti presero commiato, portando seco, imperituro, il ricordo del
bello spettacolo che ne siamo certi la tradizionale cortesia dei conti folena
vorr ripetere ancora, per la gioia dei loro amici.
17
Come si vede, la matrice giornalistica del nostro autore ne infuenza in
modo determinante la scrittura anche quando egli ormai famoso co me
romanziere. Sulle pagine dei quotidiani, daltro canto, il pensiero late-
rale tipico del nonsense pu fare le sue prove consapevole di rappresen-
tare, per la sua collocazione anche fsica, lo specchio segreto della retori-
ca (quindi del linguaggio) e dei personaggi (quindi della societ) che
sulle altre pagine del giornale erano ospitati in modalit non comiche. La
prova pi esemplare in questo senso data senza dubbio dalla cronaca
del Giro dItalia del 1932, condotta da Campanile sulla Gazzetta del
Popolo e solo successivamente raccolta in volume.
18
Qui il cronista d
17. A. Campanile, In campagna unaltra cosa, in Id., Opere. Romanzi e racconti 1924-1933,
cit., pp. 1117-18.
18. A. Campanile, Battista al Giro dItalia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli,
1932, ora in Id., Opere. Romanzi e scritti stravaganti 1932-1974, a cura di O. Del Buono, Mi-
lano, Bompiani, 1994. Ledizione in volume presenta una imbarazzante dedica a Erman-
no Amicucci, direttore della Gazzetta del Popolo , nella quale Campanile manifesta
ammirazione per la prosa di Mussolini. Tra i pochi interventi critici su questo testo, cfr.
Luca Clerici nel vol. a sua cura, Il viaggiatore meravigliato. Italiani in Italia (1714-1996), a cura
di L. Clerici, Milano, Il Saggiatore, 1999, pp. 232-34; inoltre L. Ciferri, Premessa, in A.
Campanile, Battista al Giro dItalia, Milano, Edizioni La Vita felice, 1996, pp. 7-9; De Ca-
prio, Achille Campanile e lalea della scrittura, cit., pp. 43-45; in partic. sul nonsense linguistico,
il nonsense in achille campanile
239
prova di mestiere: il lessico, il ritmo, i temi sono quelli tipici delle crona-
che autentiche, daltro canto ospitate al contempo sul quotidiano. Cam-
panile dimostra quindi di padroneggiare perfettamente ci che vuole
irridere. Lo scivolamento nel nonsense avviene in modo leggero, con una
piccola curva, con un sassolino inatteso lungo la strada; e pu verifcarsi
soltanto a patto di basarsi su un mestiere non effmero, su una eleganza
e un senso della misura che Campanile non abbandoner mai e che co-
stituiscono forse la cifra pi duratura del suo stile. Ecco la colazione dei
campioni, alla vigilia della partenza:
Sono le sette del mattino. Milano si sveglia piena di fervore nel pulviscolo doro
del sole, ma gi alla fiaschetteria Toscana di Via Vettor Pisani la giornata
piuttosto avanti: giganteschi ossi scarnifcati, costole spezzate, femori sanguino-
lenti e tibie infrante giacciono nei piatti, davanti a vigorosi giovani dalle maglie
a vivaci colori e dalle gambe nude.
19
sempre il linguaggio a offrire il destro dellassurdo: ha scritto Eco,
Prendere il linguaggio per i fondelli vuol dire prenderlo per la lettera,
ottenendo effetti di straniamento ;
20
e questo straniamento quello che
con ogni probabilit si insinuava con leggerezza nel lettore del 1932.
Non si pu dimenticare che le glorie sportive costituivano per il regime
un autentico vanto e che lo stesso Mussolini propagandava di s limma-
gine di un individuo dalle energie illimitate, dedito a ogni tipo di pratica
sportiva, dal volo in aeroplano allequitazione. Proprio per questo, lin-
venzione del gruppo dei Sempre in coda , che Campanile segue con
affetto e simpatia e che contrappone ai veri campioni del Giro, pu cari-
carsi di un signifcato diciamo non allineato rispetto alle direttive di
regime. Dire sovversivo , secondo me, dire troppo.
Anche lo stesso Campanile guarder con interesse a s stesso durante
il Ventennio. Nel tardo romanzo LEroe (1976), ecco un signifcativo dia-
logo a proposito della dittatura:
vd. H.P. Grice, Logica e conversazione, in Gli atti linguistici, a cura di M. Sbis, Milano, fel-
trinelli, 1978, pp. 199-219.
19. Campanile, Battista al Giro dItalia, cit., p. 12.
20. U. Eco, Maestro del postmoderno, in La Repubblica , 7 ottobre 1989.
barbara silvia anglani
240
Siete un fascista, dunque fece Zorapide con crescente ribrezzo.
Ma nemmeno per sogno. fui vittima dellantifascismo, bench io non fossi
affatto un fascista. [] La mattina in cui era caduto il fascismo, io uscii di casa,
per partecipare alle dimostrazioni di giubilo. Era la mattina in cui, lo ricorderete,
per le strade si camminava calpestando uno strato di distintivi fascisti, come
avesse grandinato .
Naturalmente disse Zorapide. Tutti avevano buttato via lodiato emble-
ma, simbolo di violenza e di tracotanza. Anchio mi affrettai a liberarmi di esso,
con ribrezzo . []
[] bisogna dire che Mussolini fu veramente un uomo straordinario. []
Riusc a tenere soggetti sotto di s ben quaranta milioni di persone che non lo
volevano. Ce ne fosse stata una che lo gradisse. Niente. Tutti contrari. Tutti che
mordevano il freno .
E come! .
Oh, ma erano quaranta milioni a mordere il freno. forse sarebbe bastato che
qualcuno, invece di mordere il freno, mordesse lui. Viceversa, tutti ostili, tutti
contrari, ma in quaranta milioni non ce la potettero contro un solo uomo. []
Ecco. La mattina in cui era caduto il fascismo, io, calpestando uno spesso strato di
distintivi, camminavo per la citt percorsa da camion irti di dimostranti che esul-
tavano, gridavano [] e cercavano disperatamente un fascista per percuoterlo,
per sfogare fnalmente lodio per le angherie subite in venti anni. Ma niente. In
tutta la citt non si trovava uno che fosse stato fascista. Tutti erano stati segreta-
mente antifascisti. A un certo punto arrivo dove si stava riunendo una colonna di
dimostranti per andare a caccia di fascisti da percuotere, e in quel momento, per
un guasto del congegno, il maledettissimo braccio [il protagonista ha infatti una
protesi al braccio] scatta in alto e si mette in posizione di saluto romano .
21
Cosa accade quando, dopo la Liberazione, Campanile si trova privato
dei suoi abituali bersagli, non solo, ma catapultato in una societ che
muta sensibilmente e rapidamente? Si pu dire che, allo stesso tempo, i
suoi bersagli cambino e rimangano gli stessi. Si prenda per esempio il
Giro dei miracoli, un rportage dellItalia delle Madonne piangenti realizza-
to nel 1949.
22
In questi articoli, Campanile non giudica, non interviene:
si pone dal punto di vista dellosservatore colto ma non partecipe, facen-
do della lingua uno strumento di indagine capace di dare spessore al
21. A. Campanile, LEroe, intr. di f. Cordelli, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 70-71.
22. A. Campanile, Il Giro dei miracoli, Milano, Milano-Sera Editrice, 1949.
il nonsense in achille campanile
241
racconto ed evidenza narrativa ai personaggi ma, allo stesso tempo, di
sottolineare i loro paradossi logici:
Che avvengano fatti strani indubitato. Dappertutto c gente che ha visto la
Madonna. Madonne che parlano, che respirano, che muovono il capo, che striz-
zano gli occhi. Ma il fatto che ad avere queste visioni non sono soltanto dei
fanatici ma molto spesso persone che non ci pensano o addirittura degli atei.
Il popolino ha gi codifcato la cosa.
La vede chi non crede, dice una popolana nel tram che da Pisa va a Mari-
na, affollato di donne che vanno a vedere la Madonna nel giardino dove appar-
sa a una bambina. Io credo, ci sono stata anche alle tre di notte e non lho mai
vista.
La donna tutta soddisfatta di questa prova a rovescio.
23
Ne viene fuori unItalia povera, in piena ricostruzione ma al tempo
stesso priva di punti di riferimento; un popolo che si guarda intorno
senza riuscire a orizzontarsi e che fnisce per aggrapparsi allunico punto
di approdo che trova disponibile: lingenua fede nelle Madonne parlanti.
Non si deve pensare che il nonsense sia dedicato esclusivamente al versan-
te comico e spensierato di Campanile. Anche il suo lato malinconico e
meditativo se ne serve, come di un grimaldello utile a indagare la vita.
Diciamo intanto che non si pu suddividere la produzione campaniliana
in un periodo comico e in un periodo contemplativo o meditativo, in
quanto in realt egli passa da un tono allaltro fn dagli esordi. Gi un suo
romanzo del 1927, Se la luna mi porta fortuna,
24
contiene frequenti medita-
zioni sul tema che sempre assilla Campanile, vale a dire la caducit della
vita umana e lincombere della morte; e, non caso, questo lunico ro-
manzo nel quale muore un personaggio, una donna, a conferma del fat to
che qui ancora il tema affrontato in modo troppo esplicito, mentre in
seguito far capolino con meccanismi pi velati, pi eleganti: Vorrei
vedere chi, essendo immortale, si alzerebbe presto la mattina .
25
Il passo
23. Ivi, pp. 53-54.
24. A. Campanile, Se la luna mi porta fortuna, Milano, Treves, 1927, ora in Id, Opere. Ro-
manzi e racconti 1924-1933, cit., pp. 201-422.
25. A. Campanile, Cantilena allangolo della strada, in Id., Opere. Romanzi e racconti 1924-
1933, cit., p. 1489.
barbara silvia anglani
242
pi drammatico, forse, dellintera vastissima produzione campaniliana
quello che ritrae un assurdo che questa volta non nelle parole di Cam-
panile: lassurdo, linaccettabile, nei fatti. Linspiegabile, ingiustifcabile
offesa che la natura fa alla vita: la morte di un bambino. Ma andiamo!
un bambino! , scrive sconcertato Campanile:
E, in verit, non ha alcun merito ad esser morto.
Anzi, a voler essere rigorosi, ci sarebbero molte cose da dire.
Ma guarda un po quel bambino, cos piccolo e gi morto.
ammirevole a quellet, non lo neghiamo; un caso di precocit sorpren-
dente. []
Quel bambino aveva let per essere ammesso tra i morti? [] No. Non ave-
va nessuno dei requisiti necessarii, nessun precedente. Era piccolissimo. Non
sapeva nemmeno parlare.
26
In una conversazione del 1960 con Indro Montanelli, Campanile ave-
va dichiarato che lumorismo nasce dallimprevedibile, dallassurdo ver-
bale contrapposto allovviet di una situazione oggettiva :
27
e questo si ,
infatti, verifcato negli esempi che ho proposto. Qui invece, abbiamo il
meccanismo opposto: lovviet linguistica si oppone a un assurdo logico.
Per non chiudere questo intervento con limmagine di un bimbo defun-
to, rimando a quello che un autentico pezzo di bravura dellassurdo: un
brano del 1962, da Campanile pubblicato su LEuropeo , rivista sulla
quale egli ha tenuto una rubrica di recensioni televisive, in molti casi
anticipatrice rispetto agli sviluppi che il mezzo televisivo ha avuto nei
decenni successivi. Questa volta la satira diretta contro una puntata di
Tribuna politica che ha affrontato il tema della scomparsa del latino dalle
scuole medie; ed ecco lopinione di Campanile:
Pollice verso al latino? Sottoscrivo toto corde. Te Deum laudamus! Era tempo.
Un requiem aeternam, et pax. Requiescat in pace. Del resto, non esisteva ab
aeterno. Questo noto lippis et tonsoribus.
Bench nemo propheta in patria, io, assertore dellhic et nunc, pater familias,
26. Ivi, p. 1473.
27. I. Montanelli, Introduzione a A. Campanile, La televisione spiegata al popolo, a cura di
A. Grasso, Milano, Bompiani, 1989, p. v.
il nonsense in achille campanile
243
unus ex omnes, primum inter pares, come potrere rilevare dal mio curriculum
vitae, assumo linterim per proclamare che il latino andava bene in temporibus
illis. In diebus illis. Ma ruit hora. Ed eccoci al redde rationem. Che speriamo non
diventi un dies irae. ora di fare tabula rasa.
28
28. A. Campanile, Apertis verbis, ore rotundo, urbi et orbi, basta con il latino, in Id., La televi-
sione spiegata al popolo, cit., p. 244.
245
Andrea Cedola
IL MARE DELLA NONSENSERIA .
HORCYNUS ORCA DI STEFANO DARRIGO
La lingua del romanzo Horcynus Orca, lingua di straordinaria densit
semantico-lessicale, il prodotto del genio insistentemente deforman-
te , come notava I. Baldelli, e del gusto derivativo ed etimologico
1
di
uno scrittore, Stefano DArrigo, il quale s consumato in un lavoro eroi-
co e quasi ossessivo di elaborazione e rifacimenti durato almeno ventan-
ni: dal 56 al 75, e oltre.
2
una lingua iperletteraria (pur su base in gran parte dialettale),
3
e ftta
di formazioni analoghe al neologismo nonsenseria che ho riportato nel
titolo del mio intervento. Nonsenseria: da nonsenso ed -era; il suffsso, mol-
to frequente in Horcynus Orca, qui non si limita, come in altri casi,
4
ad
1. I. Baldelli, Dalla fera allorca, in Critica letteraria , iii 1975, num. 7, pp. 287-310 (ora
in Id., Conti, glosse e riscritture, dal secolo XI al secolo XX, Napoli, Morano, 1988, p. 269).
2. S. DArrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1975 (da cui cito, di qui in avanti).
Gi per la ristampa del 1982 lautore aveva preparato nuovi interventi sul testo, che non
vennero accolti dalleditore. Le varianti sono state inserite nella riedizione del libro cura-
ta da W. Pedull, per Rizzoli, nel 2003. Per la gestazione e per le vicende redazionali del
romanzo, fno al 75, cfr. gli apparati di S. DArrigo, I fatti della fera, intr. di W. Pedull, a
cura di A. Cedola e S. Sgavicchia, Milano, Rizzoli, 2000, e il notevole studio di Sgavic-
chia, Il folle volo, Roma, Ponte Sisto, 2005. Per le ristampe e le riedizioni, oltre al capitolo
ad esse dedicato da Sgavicchia, cfr. i Riferimenti bibliograci, pubblicati al termine di queste
pagine.
3. Dichiara DArrigo, in unintervista pubblicata su Il Giorno , 12 gennaio 1966: Il
mio linguaggio non n dialetto n italiano letterario, lingua per me daccatto. come se
io avessi inventato una mia lingua, diversa sia dal dialetto sia dallitaliano. Certo, se faces-
si leggere il mio libro ai pescatori siciliani dello Stretto, questi riconoscerebbero la lingua
come propria, ma nello stesso tempo penserebbero che non proprio quella loro. Si
tratta di una lingua fortemente intrisa di termini dialettali, in grado di rappresentare situa-
zioni ed emozioni: un italiano rinvigorito dal dialetto, pur senza essere una fusione fra i due
linguaggi . Sulla componente dialettale e sulla raffnata [], estrema letterariet della
lingua darrighiana, si veda, tra gli altri, Baldelli, Dalla fera allorca, cit., pp. 285 sgg.
4. Qualche esempio: sgarberia, prepotenteria, teatranteria, scaltreria, tronferia, sprezzanteria,
loquenteria, ecc.
andrea cedola
246
aggiungere al vocabolo un connotato spregiativo,
5
ma addirittura gli
conferisce una pi ampia e vibratile
6
indeterminatezza: vibratilit che
attraverso un processo di rimotivazione che percorre tutto il libro ren-
de infne la parola disponibile al rovesciamento ironico-tragico, in mare
della Nonsenseria ,
7
del celebre verso dantesco.
Baldelli aveva da subito riconosciuto e mirabilmente illustrato i mec-
canismi neoformativi , e perfno neoplastici
8
della lingua horcynia-
na, osservando lungo tutta lopera, una festa sfrenata di denominali, di
deverbali, di parasinteti verbali, di parole composte e ripetute .
9
una
esu beranza lessicale, metamorfca, che lo scrittore almeno in parte gram-
maticalizza (uso il termine continiano)
10
attraverso literazione, lasso-
ciazione etimologica o paraetimologica, le combinazioni, le riprese, le
meta-glosse ,
11
e soprattutto attraverso una perfetta adesione, o reci-
proco rispecchiamento, tra le dinamiche dellelaborazione linguistica e
le linee di sviluppo dellazione narrata; e il pi delle volte sono in effetti
i contesti, di cui i termini conservano memoria nelle successive oc-
correnze,
12
a ridefnire, di sequenza in sequenza, i signifcati, in partico-
lare dei neologismi.
Si tratta di procedimenti dinvenzione lessicale e dorganizzazione
5. Si veda il glossario horcyniano pubblicato da G. Alvino in Id., Onomaturgia darrighia-
na, in Studi linguistici italiani , xxii 1996, pp. 74-88 e 235-69, poi in Id., Tra linguistica e
letteratura. Scritti su Stefano DArrigo, Consolo, Bufalino, in Quaderni pizzutiani , 4-5, 1999,
pp. 1-59, a p. 34 il termine tradotto da Alvino, genericamente, astruseria.
6. Uso il termine nel senso evocato da S. Agosti in Je dis: une eur! . Lidea della natura
e dellarte in Mallarm, in Il piccolo Hans , 34 1982 (ora in Id., Critica della testualit, Bolo-
gna, Il Mulino, 1994).
7. Lespressione compare per la prima volta, nel romanzo, a p. 1125.
8. Baldelli, Dalla fera allorca, cit., p. 295.
9. Ivi, p. 269.
10. G. Contini, Schedario di scrittori italiani moderni e contemporanei, firenze, Sansoni,
1978, p. 61.
11. S. Lanuzza, Scille Cariddi. Luoghi di Horcynus Orca, Acireale, Lunarionuovo, 1985,
p. 55.
12. Cfr. f. Gatta, La rigenerazione del lessico: lingua comune e neologia in Horcynus Orca, in
Il mare di sangue pestato, a cura di f. Gatta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, in partic.
p. 150.
horcynus orca di stefano darrigo
247
sintattico-semantica ampiamente studiati in DArrigo, anche di recente,
13

sui quali in generale non vorrei qui soffermarmi. Vorrei piuttosto evi-
denziare come la tensione tra caos e forma, a livello sia linguistico sia die-
getico, o per dirla in altro modo, tra forze centrifughe e centripete, nel
testo, si risolva a vantaggio delle prime, col prevalere dellescrescenza sul
sistema, della nonsenseria sulla grammatica.
Intendo dire che la lingua di Horcynus Orca , s, un organismo unita-
rio,
14
autonomo e coerente;
15
la realizzazione secondo le intenzioni
dichiarate dello stesso DArrigo di una totalit lessicale, sintattica e
semantica , di un sistema espressivo completo e assoluto .
16
Ma nel suo
funzionamento, come lingua oggettivata (nelle voci dei pellisquadre)
17
e
messa in scena nel romanzo, rivela in s proprio quella matrice neopla-
stica individuata da Baldelli, cui prima accennavo. Non solo: ne trasmet-
te il codice alterato allintera compagine testuale. Horcynus Orca insom-
ma unopera che concentra e mostra le tensioni di un doppio processo di
generazione e di autodistruzione, attraverso il quale restituisce unim-
magine potente realistica e simbolico-visionaria del disastro bellico e
delle sue immani conseguenze lo sconvolgimento di qualsiasi ordine,
delle vite degli uomini e degli equilibri della natura , allo stesso tempo
trasfgurandola in una dimensione metastorica, esistenziale. il metodo
di DArrigo: al rigoroso calcolo sintattico-strutturale, egli contrappone
grado a grado, nelle voci narrate, il gene del disordine; alla costruzione
del discorso, la distruzione e lo scompaginarsi di ogni norma comunica-
tiva. La lingua e le cose (i luoghi, le azioni, i personaggi) appaiono gene-
13. Vd. i lavori di Gatta, Alfano, Sgavicchia, e di Baldelli, Contini, Lanuzza, Pedull,
Alvino, prima di loro, citati nei Riferimenti bibliograci. Cfr., su questo e su altre questioni
horcyniane, anche il num. monografco, dedicato a DArrigo, de Lillusionista , num.
25-26, ix 2009.
14. E nella disputa tra plurilinguisti e monolinguisti darrighiani, io mi schiererei con
questultimo partito, che per es. quello di G. Alfano, Gli effetti della guerra. Su Horcynus
Orca di Stefano DArrigo, Roma, Sossella, 2000.
15. Una poderosa macchina di signifcazione , come scrive Gatta, il cui sistema di
riferimento tutto interno e coincide con quello della comunit di Cariddi (f. Gatta,
Horcynus Orca: un romanzo e la sua lingua, in Atelier , num. 43 2006, p. 38).
16. Dallintervista a DArrigo, pubblicata in Lanuzza, Scille Cariddi, cit., pp. 134-35.
17. Sono i pescatori di Cariddi.
andrea cedola
248
rati e prendono forma, nella sua scrittura come per osmosi, o per me-
tastasi da un medesimo impulso di morte. Cosicch, la polisemia pla-
stica della parola horcynusa si converte, per tutto il romanzo, in ambiguit
ed enimma; nellemergere della sostanziale inconoscibilit del reale.
Metamorfosi, corrosione, neoplasia. Horcynus Orca rovescia, sul piano
del linguaggio, il paradisiaco, tomistico gran mar dellessere nellin-
fernale, nembrottiano e babelico Mare della nonsenseria . Ne em-
blema la piaga, la contagiosa infezione o cancrena dellorca eponima: orca,
orcagna, orcarogna, carcassorca,
18
che occupa e svuota le acque strette e ocea-
niche dello scille cariddi. E allora, cominciamo con losservare che la lin-
gua di Cariddi, nel romanzo, una lingua demente: lo rispetto allita-
liano, alla lingua per es. del guardiamarina Monanin,
19
che solo dautori-
t riesce a imporre ai pellisquadre la parola delno al posto della fera che
loro hanno sempre conosciuto (come parola e come creatura besti-
na ):
20
Lei non se la deve pigliare per offesa, ma a noi delfno non ci dice niente di
niente, nella nostra lingua
Nella vostra lingua? [] Ma cosa sta lingua che dici, cosa sta lingua che
parli, la lingua forse che ha in bocca quella vostra fera l? Quella, se quella,
vostra, hai ragione, quella solo, voi la parlate la lingua di quella l, e voi soli la
18. Questa modalit neoformativa (agglutinazioni, parole valigia) ampiamente
presente nel testo darrigliano.
19. E prima di lui, dell Eccellenza fascista che in mare, nel 1935, minacciandoli col mo-
schetto, impone ai pellisquadre di liberare la fera cui loro stanno imponendo una lunga
agonia allo scopo di terrorizzare le altre (che hanno fatto strage di reti e di pescispada
nello stretto): li chiama massacratori di delni innocenti , e alle loro rimostranze risponde,
sempre mano al moschetto, elencando e facendogli ripetere e compitare, oltre al nome
corretto le belle qualit del delno: fanciullo divertente elegante bello vergi-
ne martire (per poi prenderlo di mira e ucciderlo lui stesso). Il casobello feradelno (pp.
181-218) richiama quindi questaltro, pi recente, alla memoria di Ndrja: a bordo della
corvetta su cui il protagonista imbarcato, il guardiamarina ha imposto a lui e a un suo
commilitone siciliano di chiamare col vero nome una giovane fera che s messa sulla
scia della nave: perch fera signifca bestia feroce, mentre quello, secondo Monanin, un
animale gentile, innocente e amico degli uomini (pp. 219-62).
20. E la parola fera suscita in Monanin soltanto a ripeterla, leffetto di una nonsenseria strabi-
liante (p. 230).
horcynus orca di stefano darrigo
249
parlate e voi soli la intendete [] Voi non avete una lingua, non avete nessuna
lingua, voi, hai capito? .
21
Ma, oltre che demente, quella horcynusa (la lingua del romanzo) mol-
to spesso una lingua poeticamente, metodicamente folle e insensata,
allo stesso modo di certi giochi linguistici anche letterari (tipici, ad es.
del flone nonsensical ) che attaccano e rovesciano nel disordine dellana-
logia fonico-ritmica la logica e lordine formale, la razionalit e leffcien-
za discorsiva della lingua (e con essa, delle modellizzazioni epistemiche
dominanti). Giochi del tipo di quelli che G. Dossena ha descritto e cata-
logato, per es., in Lewis Carroll,
22
alcuni dei quali potremmo ritrovare
nei procedimenti linguistici di Horcynus Orca: le parole-valigia (con la
fera e con lorca, oltre che con la barca; un es: nuovoliando);
23
i giochi di
scarto/aggiunta (come con barca-bara-arca) e la serie palindrone (le cui
modulazioni si direbbero sistemiche ben pi che lessicali); le false eti-
mologie. Altra patologia, o demenza, del linguaggio horcynuso leco-
lalia: pi avanti ne esaminer un caso, dalle pagine di barca-bara-arca, che
confgura una sorta di ipnotica e funerea afasia. Ma qui, subito, una pre-
cisazione (che svilupper col procedere del mio intervento): mentre il
puro nonsense sconvolge allegramente le forme della logica, della lingua
e della letteratura, la nonsenseria con le sue permutazioni e vibratilit
semantiche utilizzata in DArrigo, lo vedremo, come forma della
negativit assoluta; come nonsenso solo apparente, eppure ben pi radi-
cale, perch attinge al livello pi profondo di un guasto immenso, indi-
cibile; del pi irreparabile sconvolgimento dellessere. Le modalit del
gioco distruttivo, nel nonsense e nella nonsenseria, possono dunque sem-
brare simili; ma sono del tutto diversi il tono, la prospettiva, gli esiti.
Giochi linguistici, dicevo, come i giochi bambineschi (o pseudoinfan-
tili) della letteratura nonsensical. Ci sono bambini, muccusi che giocano
in Horcynus Orca. Ma i loro giochi sono spesso dichiarati, negativamente,
21. DArrigo, Horcynus Orca, cit., p. 239.
22. Cfr. G. Dossena, Il sorriso del gatto, Grosseto, Biblioteca Comunale Chelliana,
2001.
23. Su nuovoliare cfr. le parole di DArrigo riportate in C. Marabini, Lettura di DAr-
rigo, Milano, Mondadori, 1978, p. 22.
andrea cedola
250
nonsenserie. forse perch non sono mai giochi innocenti; n del tutto al-
legri: fanno, s, venire le vertigini ; sono cio giochi dellilinx (cos li
classifcherebbe Caillois),
24
per questo aspetto analoghi a quelli del non-
sense (che disorientano coi capogiri della logica);
25
provocano, s, in chi li
pratica, un senso di ebbrezza e di spossessamento; ma si tratta di pertur-
bazioni che infne evocano o fanno afforare langoscia di una per-
dita di s, come una demartiniana crisi della presenza. Alcuni esempi,
qui di seguito.
Il gioco che nella cuccetta della nave da guerra, dopo la discussione
con Monanin, torna alla mente di Ndrja, mentre pensa al delno come
fera ingentilita:
Quel pensiero andava e veniva dalla sua mente, cos, senza senso e senza scopo,
come una pietrabambina gettata a mare: si sentiva stanco, col corpo travagliato
che si riposava nella branda e la mente che si sboriava in quel pensiero bambine-
sco, non diverso in niente dal gesto di pigliare e tirare pietrebambine. Se aveva un
senso, quel pensiero curioso, era proprio questo: un senso bambinesco e sfanta-
siato, il senso che ha gettare a mare delle pietrebambine e vedere i cerchi dacqua
che singrandiscono, singrandiscono e intanto che singrandiscono, svaniscono;
il senso poi, che nel nome stesso, nella natura stessa e nella stessa vista di confet-
to, suscita alla mente la pietrabambina, per cui anche un uomo fatto, anche un
pellesquadra, se istintivamente la piglia e la getta a mare, fa una fgura bambine-
sca; e per cui anche il mare dove si getta, anche se un mare scabroso e vecchio
col pelo bianco, come il mare dello scille cariddi, fa una fgura bambinesca. []
Era come stare sulla spiaggetta della Ricchia, con la mente imbambolata e la
mano, quasi da sola, che cerca, riconosce, piglia e getta pietrebambine in quello
specchietto dacque, riparate e nascoste, fra gli scogli renosi e la grotta.
L e allora: alla Ricchia, e in un tempo lontano lontano, il tempo bambinesco
dei giochi che di padre in fglio, muccusi e muccuselli, passavano in quel luogo
[].
26
24. R. Caillois, I giochi e gli uomini, Milano, Bompiani, 2004.
25. Cfr. P. Albani, La stupidit in azione, ovvero il comico demenziale performativo, inter-
vento al dibattito su Demenziale-concettuale nellattivit performativa, svoltosi al Caff Giubbe
Rosse nellambito dell8 festival internazionale di poesia in azione a+voci , firenze, 11
marzo 2006.
26. DArrigo, Horcynus Orca, cit., pp. 263-64 (le indicazioni subito successive e avanti,
ove possibile, dir. a testo)
horcynus orca di stefano darrigo
251
Ma i giochi di allora, del padre muccuso Caitanello e dei suoi compagni,
serano interrotti con luccisione della feruzza addomesticata, la Mezzo-
giornara (pp. 265-95), colpita a fucilate e ridotta a
un orrendo essere informe, avvolto nel suo sangue, qualcosa che allora e per
lungo tempo ancora non seppero mai defnirsi e che poi, avanti negli anni, an-
darono defnendosi, per via di paragone, come un grosso, spaventevole feto, uno
sbozzo di grumi sanguosi, che scaricava il suo cieco istinto di vita (p. 266).
E ancora, sempre l alla spiaggetta, i giochi diniziazione sessuale i gio-
chi e i camuffamenti delle sirene e dei naviganti naufraghi:
Ognuna allora simpadroniva del suo pesce con la barba, afferrando il navigante
per la caviglia e trainandoselo dietro: in uno strano silenzio, che era venuto improv-
viso col naufragio, il corteo scompariva allora nellapertura nera della Ricchia. Di
laddntro, veniva poi uno sciacquo come di corpi che si arruffavano facendo la
lotta, e poi un rifatare basso, affannoso, un vento occuposo di sospiri, e poi pi
nulla. La Ricchia allora tornava di colpo, dentro e fuori, silenziosa e deserta, e
quella apparente solitudine spandeva subito intorno come una oscura paura, un
misterioso senso di allarme e di sterminata, accorante malinconia. Se qualcuno di
loro era rimasto fuori, perch essendo disparo, non era potuto entrare nel gioco,
al vedersi solo veniva pigliato immancabilmente da una specie di sgo mento: era
come se il gioco fosse diventato tutto vero, la farsa fnita a tragedia, come se i suoi
amici non sarebbero mai pi ricomparsi fuori dalla grotta. E lo assa liva limpulso
di gridare, e qualcuno a volte gridava veramente, chiaman do i suoi compagni uno
per uno per nome, e a furia di chiamare e non avere risposta, cera chi scoppiava
in lagrime e questo succedeva infallibilmente quando fuori restava qualcuno dei
pi muccusi, Enzo o Salvatore, ad esempio. Pareva allora che quel muccusello
piangesse per la triste sorte di quei naviganti forestieri e questo, a ripensarci, ren-
deva tutto straordinariamente veritiero nella loro immaginazione (p. 667).
Ed unanticipazione del destino del reduce Ndrja Cambria.
Il nonsense, in Horcynus Orca, insomma convertito in nonsenseria; e nel
gioco senza senso del muccuso sembra gi inscritta la demenza allultimo
grado del nonnavo, del pellesquadra ormai troppo vecchio, ormai ridotto a
mummione di sale:
27
come ad esempio quei compagni di barca, o chiumma,
27. Come quei vecchi pellisquadre, messi alla sedia davanti alla porta la mattina e ritirati la
sera (Horcynus Orca, p. 162).
andrea cedola
252
del lantico patriarca di Cariddi, don ferdinando Curr,
28
i quali adesso
in tempo di carestia di mare e di guerra decidono di togliersi di mez-
zo rigiocando al vecchio gioco della caccia allorca, e vanno a perdersi con
lui in mare a bordo della borietta , lultima barca rimasta a Cariddi.
29

Allora era stata la nonsenseria di voler arpionare e dare la morte allorca, o
ferone, che la morte stessa fatta animale, colei che d la morte essendo,
lei invece, immortale:
30
Lanimalone arrancava, ma arrancava come poteva arrancare lui, potentissima-
mente: arrancava, si vedeva, con la potenza del suo fatale destino, in una ag-
ghiacciante, sconfnata solitudine. [] poi ferdinando Curr aveva detto che
gli dispiaceva di averli messi in quel mare di guai, ma qualcuno della chiumma
gli rispose che non si doveva dispiacere per loro perch a loro, al contrario, pia-
cere gli aveva fatto, lo stesso piacere che gli aveva fatto a lui. Ci pigliammo una
libert, gli fecero. Eh, don ferdinando? per una volta nella vita ci pigliammo una
libert, vagabondammo maremare, per nostro capriccio, per soddisfare una no-
stra curiosit. Per una volta nella nostra vita ci pigliammo un lusso. Per, ne
valse la pena, dato che si tratt del ferone. Chiunque lo sente: faceste bene, ci
dice (pp. 743, 745).
E ora, appunto, fatti mummioni per guerra e per vecchiaia, rigiocano quel-
lantica nonsenseria (non per lorca, stavolta, ma per non togliere pi il
pane di bocca ai muccusi):
Con la loro, sappurava contempo la scomparsa della Borietta, una lancitta dan-
tica data, che serviva pi ai muccusi per spassarsi a lanzare aguglie, che per altro,
e che era lultimo avanzo della stirpe infelice delle loro barche []. Dei parenti
dei quattro nonnavi, nessuno si gettava alle grida, nemmeno Catina e Anselmo
per don ferdinando, perch pi grande del dolore che provavano, era lo sbalor-
dimento che gli dava quella pensata dellaltromondo, che avevano messo in atto
quei quattro vecchioni (p. 537).
28. Il quale, durante il terribile terremaremoto del 28 dicembre 1908, sera prodigato
per la salvezza dalle onde di muccusi e muccuselli , appendendoli ai rami degli alberi come
tanti passerelli stracquati (ivi, p. 530). Per questo era amato e rispettato come un padre, co-
me un capostipite.
29. Essendo state distrutte o requisite, per guerra, tutte le barche dello stretto.
30. Era lOrca, quella che d morte, mentre lei passa come immortale: lei, la Morte
marina, sarebbe a dire la Morte, in una parola (ivi, p. 721).
horcynus orca di stefano darrigo
253
Varare per morte: un motivo ricorrente lungo la dorsale simbolica del
testo (e quaglia nellimmagine della barcabara).
31
Nonsenseria, dicevo, non vale semplicemente nonsenso. La parola ri-
corre 22 volte. Vediamone, nel pi breve spazio possibile, qualche cam-
pione. Il termine compare per la prima volta gi allinizio del romanzo,
quando Ndrja viene apostrofato da uno spiaggiatore che bazzica ormai
pi per morte che per vita :
32
Ehi, a voi, sentite A voi A voi lapostrof, prima cos, diretto, al perso-
nale, e poi gli aggiunse per come se parlasse dun altro: Eh, ma che ci fa un
marinaro per questi piedipiedi, eh? Che ci fa un marinaro per queste bande
deserte e solinghe? Ma come? Bianchi e neri fanno la guerra lasspra e voi quas-
stto non la fate n coi bianchi n coi neri? Eh, com? .
E questa nonsenseria era stata il preambolo del vecchio occhiuto e linguto.
33
Nella sua prima occorrenza, la nonsenseria ha un valore ambiguo: linde-
terminatezza del deittico (questa) fa s che il termine sia ugualmente ri-
feribile alle parole del vecchio (secondo la prospettiva del protagonista)
e alla situazione di Ndrja (secondo la prospettiva ironico-autoriale).
34

Questi sembra infatti stupito dello stupore del vecchio: non pare accor-
gersi, vale a dire, che una nonsenseria la sua stessa presenza, l, di marina-
io via dalla guerra, fuori posto; il suo essere straviato ,
35
come un morto
tra i vivi.
36
Ma prima ancora, nonsenseria il suo essersi fatto, da pellesqua-
dra, marinaio; da cacciatore di fere, delnaro, come vedremo. Sono gli ef-
31. Al centro della quale considererei il famoso traghettamento notturno di Ndrja
sulla barca nera di Ciccina Circ, nella parte fnale della prima sezione.
32. Gli spiaggiatori sono la razza misteriosa di quelli che si vedevano passare per la
marina di Cariddi, maitino o serotino, cercando con un ramo fra rigetti, lordure e corpi
estranei del mare (Horcynus Orca, p. 101).
33. Ibid. Il corsivo mio, come tutti gli altri nelle citazioni dal testo darrighiano.
34. Con ci evidenziando uno sdoppiamento di voce e di prospettiva tra narratore e
protagonista che la scrittura horciniana tende invece per norma a coprire.
35. Straviato come lo sono, per prime, le femminote che egli incontra allinizio del
romanzo: straviate dal loro verso e senso abituali [] come gabbiani, rondini marine e
quaglie, quando sono fuori tempo e fuori luogo, e allora sono sempre avvisaglia di qual-
che novit, e novit sempre dispiacente, se si sa smorfarla (ivi, p. 13).
36. Per tutte le prime due parti del romanzo, i personaggi si rivolgono al protagonista
quasi come a un revenant: dalle femminote straviate , che lo apostrofano marinaio
andrea cedola
254
fetti della guerra;
37
ma anche di un trauma pi remoto, sbito rimosso.
38

E il narratore, proprio attraverso lambivalenza grammaticale, libera ora,
nelle parole dello spiaggiatore,
39
il senso ulteriore che quello sostanzia-
le dellapostrofe. La sorpresa del vecchio al cospetto del marinaro fa
dunque intravedere il signifcato, qui, di nonsenseria: quel signifcato, o
contenuto rimosso, che le autocensure e gli occultamenti difensivi mes-
si in atto dal personaggio lasciano afforare soltanto nei sogni,
40
o per
segni e indizi che, disseminati nel racconto, sin quasi alla fne (con lepi-
fania barca-bara-arca) restano per lui indecifrabili.
Afforamenti, nello spazio della rverie, come quello in cui Ndrja, a
distanza di molte pagine da questepisodio, nella sequenza notturna che
sopra citavo, si mette a ripensare nella sua branda, mentre cercava di
pigliare sonno (p. 263) alla fera ingentilita in delfno, e ha cos la
prima percezione seppure attenuata, o meglio, eufemizzata del pro-
prio straviamento :
Non era una stranezza di mente? Non era anche questa una nonsenseria? Perch
[] a rifetterci, poteva pure essere un primo segno di risentimento di delfno
dentro di lui: perch [] non era come farli un poco reali, i delfni, come am-
mettere che esistevano, non solo di nome, ma anche di fatto, di fatto ovverossia
da soli, indipendentemente dal fatto, dallunico e vero fatto che erano fere ca-
muffate, camuffate per avere maggiore agio? S, poteva essere, ma [] che cera
di strano se gli faceva piacere pensare a questo? forse non doveva fargli piacere
perch si trattava dun delfno? Ma nemmeno ci badava che era un delfno, an-
che se con questo non voleva dire che si rimangiava la fera. []
Ed ecco librido, effetto della neoplasia horcynusa:
ntartarato , agli spiaggiatori, via via fno al padre Caitanello, col suo prolungato rito di ri-
conoscimento.
37. Rimando ovviamente al titolo del volume, sopra citato, di Alfano (tra i pi acuti e
assidui lettori darrighiani di questi ultimi anni), dove tali effetti sono analizzati nel loro
proiettarsi entro la coscienza e la lingua (e la struttura testuale) horcynuse.
38. La morte dellAcitana e le sue conseguenze, come vedremo.
39. Che pare, con i suoi discorsi, con la sua strana carnevalesca divisa, lemblema stesso
della nonsenseria (cfr. DArrigo, Horcynus Orca, cit., pp. 101-4).
40. Come quello del cimitero delle fere-delfno, e di lui delnaro (ivi, pp. 164-84).
horcynus orca di stefano darrigo
255
In quel momento, per lui, non era n delfno n fera, o era delfno ed era fera,
come fosse un nuovo animale chiamato delffera: e questo animale, come doveva
dire? lo riposava, lo attirava lontano dal luogo e dal tempo in cui si trovava (ibid).
Il nonsense della parola composta si materializza nella nonsenseria del mo-
stro delfera.
41
Questi addensamenti di materiale onirico-linguistico sono
un fenomeno ricorrente in Horcynus Orca.
42
La nonsenseria, dicevo come indecifrabilit degli eventi , gi nella
situazione che ha prodotto il trauma infantile, origine della perdita di pre-
senza. Ndrja muccuso ascoltava lamoroso ciuciulio di nomi tra i genitori,
Caitanello e lAcitana, invocanti lun laltra con nomi esotici e segreti:
Solo questo, sempre questo: Aci mio Aci reale mio lei, e: Galatea Gala a
te lui, ed era come si passassero e ripassassero, sempre uno stesso garofano lei
a lui, sempre una stessa rosa lui a lei []. Allora, a senso suo, al senso di quel
muccusello, quella gli pareva una nonsenseria. La prima volta laveva pigliata ad-
dirittura per opera di pazzia: che sintendono di essere, ora? si era domandato. Si
rimbambirono? Uscirono di senno? Gli erano parsi anche un poco ridicoli e
vergognosi come tornassero a fare zito con zita, come se parlassero con la lingua
fra i denti e senza sapere perch [] (pp. 453-54).
Quasi un altro gioco dellilinx, bambinesco e perturbante:
Una nonsenseria, questo gli pareva allora, ma contempo, allora, era come lo capis-
se che se gli pareva una nonsenseria era perch non se ne capacitava.
Non era cosa che lui potesse decifrare coi suoi soli mezzi, era cosa troppo
intima, segreta fra lui e lei (p. 455).
E poi, levento traumatico, che sembra svelare ma invece rende ancora
pi angoscioso lenimma:
41. Si potrebbe immaginare una suddivisione della teratologia fantastica horcynusa in
mostri-chimera, come questo, e in mostri-feto, come la Mezzogiornara (e come, a un
certo punto, lorca). I primi, e specie la delfera, rimandano allusivamente (come nel sogno
delfnaro ) anche a unincertezza didentit sessuale. unipotesi di lavoro, intanto, si
veda C. Spila, Il nostro barocco, Pescara, Tracce, 1997.
42. Si veda per es. la sequenza onirica in cui la parola delno, che il protagonista vede
tracciata sulla sabbia, si trasforma in fgura e poi in corpo vivo (DArrigo, Horcynus Orca,
cit., pp. 175-78).
andrea cedola
256
La morte di sua madre scopr un fanco a quellenimma, proprio come lasci un
posto vuoto a letto: e una notte, per un caso, fu quasi sul punto, per quel varco,
di trovarsi dentro allenimma, nel mezzo, fra Galatea e Aci. Per un caso, diceva:
per un azzardo, doveva dire, per un vero azzardo, un azzardo di quelli che inco-
scientemente pu fare solo un muccuso.
Era successo una notte che sua madre era morta da alcuni mesi e da pochi
giorni suo padre gli aveva detto di venirsene a dormire al posto di lei (pp. 455-
56)
Nel sonno Caitanello aveva continuato a invocare Galatea; fnch
Ndrja sera azzardato a rispondere Aci al posto dellassente. Ne era
seguita una nottata darruffamento fra padre e fglio , che forse avrebbe
potuto aiutare il muccuso a chiarire e a farsi adulto; a diventare pelle-
squadra. Invece, era subentrato il silenzio; lenimma non s sciolto, e ades-
so, passato per guerra, e tornato, egli ritrova il padre ancora preso nella
nonsenseria di Aci e Galatea; e si rivede, ancora, perenne muccuso .
Nella terza parte del romanzo lorca affora e occupa le acque dello
stretto, deserte di barche.
43
I pellisquadre, gi stremati dagli orrori della
guerra, dallinvasione delle fere,
44
dallimpossibilit di uscire a pesca, ne
sono come stregati, e annichiliti; come impestati dalla sua piaga in can-
crena. Per qualche ora, poi, lanimalone sembra aver preso il largo, e i
cariddoti se ne sentono rinfrancati. Ecco allora la nonsenseria del loro ria-
nimarsi: la ripetizione meticolosa, ma in folle, dei gesti (e delle parole
esatte) del mestieruzzo , quasi come sonnambuli:
I pellisquadre, come se fosse stata solo la presenza dellorcaferone a impedirgli
di varare sino allora, dopo mesi tornarono a traffcare, come per simbolo di bo-
naugurio, con il loro mestieruzzo. Per prima cosa, avevano tirato fuori e sbro-
43. Cfr. sopra, n. 29.
44. Mai forse si era visto prima un cos impressionante spostamento di quei geni e
genie di pescibestini, n forse si sarebbe mai pi visto dopo. Era unapparizione che met-
teva ansia e disorientamento, e faceva paurosamente nascere in testa il pensiero di qual-
cosa doscuro e minaccioso che veniva con quel mare di fere [] E questa la fne del
mondo, la fne nostra. / Ndrja lo sapeva, come lo sapevano tutti, [] e la loro fne, la
fne del loro mondo, se doveva venire, era dal mare che sarebbe venuta, e la loro fne, la
fne del mondo di terraferma, sarebbe stata il principio del mondo dellacqua salata, il
principio del mondo della fera (Horcynus Orca, pp. 503-4).
horcynus orca di stefano darrigo
257
gliato la palamitara, la mutulara, lacciara e la sciabica; Luigi Orioles aveva sfo-
derato il ferro della traffnera e don Mim le reste di ami sui sugheri delle lenze
del conzo. Quelli si erano allungati in fla nel mezzo delle case, stirando le reti
secche secche e controllandole ognuna, maglia a maglia, quasi fossero fresche di
mare e ci sgocciolasse acqua; Luigi Orioles, con le boccettine della vasellina, le
boatte di grasso e le pezze di lana, disposte sulla sedia davanti, oleava, lustrava e
provava il delicato congegno del ferro; don Mim, da parte sua, torn a ranun-
chiarsi nella sua gistra, con le labbra zeppe di ami, e quella sua vista dette ancora,
a vederlo, quella stessa strana impressione di sempre, di essere contempo pesce
ed esca.
Ed era don Mim, perlappunto, a personifcare meglio la nonsenseria di quello
che facevano: e facevano come sonnambuli, che dormendo a occhi aperti, si al-
zano la notte a fare quello che fecero al giorno, un giorno, e un lontano giorno.
[] (p. 815).
La realt del lavoro convertita in simulazione (cos anticipando la
messinscena della parola barca, fatta da Ndrja anche lui come sonnam-
bulo sullo sperone):
si fngevano rientrati dalla prima uscita, e ora andavano rimediando smagliature
e strappi, riguardando galleggianti, piombi, romanello e ami, ed esche di pesci e
di lana, e ferri e aste di traffnere, come dovessero varare ancora, appena calato il
sole, e varare armando con ogni tipo darmamento, con ontro, feluca e traffne-
ra, con palamitara e con mutulara, con acciara e con sciabica, con rete insomma
a maglia larga e a maglia stretta, rete per pesce grosso e pesce fno, per pesce di
passa e pesce allogato, per pesce di fondo e pesce di scoglio (ibid.).
Il mestieruzzo, senza la barca, allucinazione, teatro, nonsenseria.
E veniamo, dunque, alla barca. Le pagine del discorso sullo sperone
(che formano linserto aggiunto da DArrigo in bozze solo dopo il 72),
45

e specie quelle di barca-bara-arca, costituiscono lacme, e forse come a
posteriori, a spiegare i lunghi ripensamenti di DArrigo sul romanzo in
forma di enigma
46
(nodi che proprio nel 72 si vanno sciogliendo)
45. Cfr. Sgavicchia, Il folle volo, cit.
46. Cfr. la lettera di DArrigo allamico C. Zipelli (da me riportata, insieme ad altre, in
I fatti della fera nelle lettere di DArrigo a un amico, in DArrigo, I Fatti della fera, cit., pp. xxxvii-
xlv, da cui cito di qui in avanti): Tutti i giorni spero di trovare la chiave, la soluzione
andrea cedola
258
possono considerarsi il nucleo generatore del sistema linguistico-narra-
tivo horcyniano. Vi troviamo molti dei fenomeni descritti da Baldelli:
procedimenti gi attivi nelle altre parti del romanzo, ma qui protratti si-
no alla follia analogica
47
e al gioco a s , che produce svuotamento di
senso. Literazione isola e corrode la parola, fno a ridurla a puro fanta-
sma sonoro (rimando alla pagina commentata da Alvino, con l itera-
zione della parola daffare).
48
Cosicch la grammatica degrada in sillaba-
zione:
Si sife sife sife fecelo celon lon lonta naaana come
se lo stesso sforzo che gli era costato alzare la testa mezza in luce, lo dovesse fare
ora per spingere fuori alla luce, sillaba a sillaba, le parole.
49
Davvero si fece lontana la barca. Sillaba a sillaba : sillabare un termine
fondamentale delle metamorfosi horcynuse; le sue funzioni signifcanti
si prolungano, si trasmettono e si complicano negli intrecci e nelle inter-
ferenze con altre formazioni: sillabare, slabbrare, sillabbrare, sdillabbrare;
50
sba-
viarsi, sillasbaviarsi, sdillabaviarsi.
51
La parola sdillabbrata, come la piaga dellorca;
52
sdillabbrata in grumi
sonori, scomposta e ricombinata secondo linee di massima suggestione
fonico-analogica: echi, allitterazioni e paronomasie; associazioni, disso-
ciazioni, rigeminazioni neoplastiche. Un pullulare che dalla piaga mo-
struosa dellorca, o dal fondo dellilinx e della memoria, si estende, dicevo,
al mare stesso, allo scillecariddi, che diviene mare della nonsenseria, azzera-
mento della mera possibilit di riconoscere un senso, o lessere, nelle pa-
role e nelle cose.
dellenigma (perch tale per me , un quesito della Sfnge []). Tutti i giorni spero di
trovare il flo della matassa in cui mi pare dessermi legato colle mie stesse mani. Mi di-
spero sino alle lagrime ma mi pare miracoloso che ritenti, mi pare il solo buon segno che
forse ci riuscir. (8 novembre 1958).
47. Sgavicchia, Il folle volo, cit., p. 69.
48. Alvino, Onomaturgia, cit., pp. 5-7.
49. DArrigo, Horcynus Orca, cit., p. 1114.
50. Labbra e slabbrare, con eco-allusione ai denti della fera.
51. Labbra e bava, rinvianti a una sorta di regressione infantile-ipnotica.
52. il sole, facendo svaporare il sale, gli aveva asciugato quel massacro di piagona
sdillabbrata e conseguentemente, fatto inselvaggire il fetore (Horcynus Orca, p. 785).
horcynus orca di stefano darrigo
259
Per inventare la scrittura del romanzo, DArrigo si orientato sullos-
servazione flologica e ci tiene a rimarcarlo:
Io vi ho lavorato basandomi su precisi dati flologici. Nel libro ci sono tutte le
isolette linguistiche che prese insieme formano lisola Sicilia [] tendevo a rico-
struire, strato dopo strato, la lingua di Scilla e Cariddi.
53
Opera come un flologo,
54
ma perviene a un esito in ogni caso an ti mi-
me tico;
55
e a un fusso monologico in cui la ipervalorizzazione dellele-
mento signifcante culmina, a tratti, con lo svuotamento di senso delleco-
lalia.
Linserto dello sperone di circa 200 pagine. I Cariddoti, dallalto del-
la roccia protesa sullo stretto, osservano incantati e inquieti lagonia del-
lorca, in un mare di sangue, orrendamente piagata nel fanco, poi colpita
dalle bomboatte
56
dei pescatori di frodo, e infne scodata a morsi dalle fere.
Lo scodamento un altro gioco molto in voga nello scille cariddi: il di-
vertimanto pi crudele e gratuito delle fere. Di solito cincappa il pesce-
cane; stavolta toccato al ferone. Il mostro infne ridotto a un orcarogna ,
e i pellisquadre cominciano a cogitarci sopra. Una tale massa di carne, se
sarenasse, li salverebbe dalla fame, per molto tempo. Ma le correnti
potrebbero tenerla lontana, o ferma l a impestare il mare. Ndrja allora
interviene: un maltese, mister Manici, factotumo del comandante mili-
tare di Messina, gli aveva offerto mille lire per partecipare a una regata
fra equipaggi inglesi e italiani. Lui dapprima aveva rifutato, ma ora es-
sendo giunto mister Manici, con un barcone da guerra britannico, a
rinnovargli la proposta fnir per accettare: in cambio della vogata , si
far tirare a riva lorca (ormai morta).
53. Le parole di DArrigo riportate in Sgavicchia, Il folle volo, cit., p. 58 (cui rimando
per i riferimenti) comparivano in un comunicato stampa del 1975.
54. Uno scrupolo documentale che lo scrittore usa in ogni momento della sua opera:
ne testimoniano per es., oltre ai risultati, le pubblicazioni oceanografche presenti nella
sua biblioteca a Roma, e il carteggio con Zipelli (per cui rimando al mio studio cit. in
n. 58).
55. Ancora DArrigo, nel comunicato del 75: a me non interessano i differenti
dialetti ma ricreare una lingua compiuta e globale .
56. Su questa formazione, cfr. Baldelli, Dalla fera allorca, cit., p. 276.
andrea cedola
260
Lo scagnozzo del maltese sbarcato a Cariddi con le mille lire in ma-
no; ma proprio i suoi modi ambigui e volgari scatenano l incazzatoria
del protagonista: Ndrja comprende che il recupero della carogna trasci-
ner i pellisquadre allestremo degrado (cibarsi di carne bestina, carne
morta per di pi), causando la fne del loro mondo. Tenta di arginare la
crisi facendo balenare nelle menti ormai straviate dei compagni lidea
dellantico mestieruzzo : le mille lire potrebbero bastare come anticipo
per una barca nuova. Per ricominciare a pescare. Ma i cariddoti non pen-
sano che allorca. Anche il loro capo carismatico, Luigi Orioles (alter ego
paterno-utopico di Ndrja),
57
sembra aver rinunciato a qualsiasi resisten-
za: Si fece lontana la barca, Ndrja (p. 1081). La frase pronunciata da
don Luigi ma oreocchiata
58
dal protagonista sulle labbra di un vecchio
spiaggiatore (il cannadastendere ). La voce alterata, irriconoscibile; le pa-
role sono spezzate: Si sife sife sife fecelo celon lon lon-
ta naaana (p. 1107).
Con linserto dello sperone, DArrigo fa passare la morte dellorca per
il mare stretto, per limbuto, o gorgo, della parola sdillabbrata. Nei Fatti
della fera il compiersi dellagonia giungeva pressoch inavvertito: il fero-
ne pareva gi morto quando era ancora vivo, e sembrava ancora vivo
quando era ormai unorcarogna. Lo scrittore inserisce il nuovo blocco nar-
rativo proprio in quel mezzo: Ndrja, fra i cariddoti, contempla la fne
dellanimale marino, e allo stesso tempo, per cos dire, la verbalizza nel
monologo interiore, oreocchiando le parole di Luigi Orioles. E men-
tre nei Fatti della fera ad essere sdillabbrata era soltanto la piaga dellorca,
qui lo sar la parola stessa: confusione, ibrido mostruoso tra corpo fsico
e segno.
59
La neoplasia, infatti, produce sullarticolazione del linguag-
gio, sulle parole oreocchiate da Ndrja, come stiamo per vedere, la stessa
azione dilaniante e trasfguratrice cui sottoposta la carne dellorca. Allo
stesso modo vi era stato sottoposto, alcune pagine prima, il corpo di
57. Un vero e proprio idolo per lui, col suo stile netto, specchiato, solare, [] il
comportamento dellanimo, statuario, statuario marmorino (DArrigo, Horcynus Orca,
cit., p. 976).
58. A Ndrja pare cio di leggerla e udirla sulle labbra dello spiaggiatore (ivi, pp. 1080
sgg.): cos avverr anche in seguito, durante lepifania.
59. Cos come avveniva nel sogno della parola delfno (cfr. sopra, n. 42).
horcynus orca di stefano darrigo
261
quellaffogato smangiato e scorciato in forma di pesce
60
col quale
Ndrja per un attimo, oscuramente, sera identifcato.
61
Adesso quel so-
vrapporsi didentit e di sorte, come un dubbio irrisolto riaffora, e sal-
larga, dal corpo naufrago allorca dilaniata, a Ndrja. Dunque, proprio
con le pagine dellinserto in quella voce come daffogato , come il sospiro
di chi muore per acqua il destino del reduce protagonista si chiarifca
identifcandosi con quello dellorca, e con quello dei tanti che non torne-
ranno pi a casa (e che, persi in mare, ormai fantasmi, invocano sepoltu-
ra ), in una medesima sconftta e rovina.
La voce di Luigi Orioles, sillabando incide la frase ( Si fece lontana la
barca, Ndrja ), scheggiandola, cavandone la parola Barca Barca (p.
1112); che poi continua a ripetere, come unecolalia:
62
un nonsenso che
60. lo vedettero bene, sin troppo magari, come se lo erano lavorato sarde e compa-
gnia bella: [] gli avevano accorciato e afflato le braccia, spuntandogliele come pinne;
delle gambe, se non era stata qualche cannonata o qualche bomba a portargliela via di
netto a netto, gliene avevano lasciato una sola, e a quella, avevano sfrangiato le dita del
piede, in modo tale che oscillavano a pelo dacqua come la frangia di una coda; e poi, gli
avevano smangiato il cranio, squadrandoglielo e appiattendoglielo, e fatto scomparire
naso e orecchie, e l, ai due lati, ora, i buchi degli orecchi avevano qualcosa di somiglian-
te agli occhi da cieco dun pesce degli abissi: e poi, per fnire, gli avevano slargato la
bocca, ammascellandogliela in dentro, come gliela modellassero su quella, a becco, della
fera. forse, lo avevano fatto da sole le sarde, quel travaglietto, sarde, sardelle, sardine,
tutta la gran famiglia vomitosa, o forse la guerra aveva fatto il grosso ed esse lo avevano
rifnito, ricamando quello sventurato coi loro dentuzzi a punta dago (Horcynus Orca, p.
901).
61. Ti ricord qualcuno, eh, Ndrja?/ Ma lo vedesti? gli fece lui. E ti pare che pu
ricordare qualcuno quello l? Ma lo vedesti, lo vedesti bene?/ Si sentiva dalla voce che
gli era venuto un po di nervino perch quella fgura sfgurata a testa e coda di pesce, gli
ricordava veramente qualcuno, uno che fu qualcuno per lui, e lui non capiva come glielo
potesse ricordare (ivi, p. 903).
62. E. De Martino, Il mondo magico, Torino, Bollati Boringhieri, 1973, parla dellecola-
lia come una delle manifestazioni, da lui descritte, di quella singolare condizione psichi-
ca chiamata olon : questa condizione relativa a un senso di perdita o di attenuazione
della propria realt personale . In tali fenomeni, come noto, De Martino individua
lorigine del dramma storico del mondo magico , ma riconosce che quella perdita della
realt riscontrabile anche nelluomo moderno, nellangoscia esistenziale rispetto a gravi
crisi come un profondo dolore, una malattia, una guerra. Ed quanto sta avvenendo a
Cariddi. Larenamento del ferone rappresenta infatti una minaccia grave allidentit carid-
dota (gi indebolita dalla fame e dalla guerra).
andrea cedola
262
investe, minandola nel profondo, la coscienza di s e del mondo del
pellesquadra-marinaio Ndrja Cambra, che ascolta: Barca Barca
come se non si dovesse fermare mai pi (pp. 1112-13). Ed ecco lo sdil-
labbrare:
A un certo punto, quella voce come di mare, come di schiuma dalghe e rena in
bocca, quella voce, a fusso e rifusso, ebbe come un arresto, un sussulto, fece
risuc chio, sfat, ebbe come un risentimento umano, dette insomma segno di
vita, anche se quello era segno di vita che se ne andava per sempre, e difatti pigli
a farsi faglio, sgarr, sdillabbr: Bar cabar cabar abar cabar a
[], trattenendo il fato e rifatando in continuazione dentro quella parola,
cominci a perdere colpi, a defagliare, sdillabaviarsi, sdillabbrarsi sdillabbra-
va, per sempre a un punto della barca, il punto dove smangiava e allascava,
come fosse unasca della stessa barca, sempre la stessa lettera, la c: Bar cabar
abar a [], dal fasciame, sfasciame di quella sbavatura di barca era venuta
fuori la bara (1113-14).
La parola sdillabbrata, insomma, rivela la bara nella barca. un gioco di
parole, il culmine dellorrore horcyniano. Ndrja osserva don Luigi, ore-
occhiando la sua voce, e ne perturbato, come da un impronunciabile
enimma:
Bar cabar abar cabar abar cabar a
faceva senso, faceva specie []: lui, uno come lui, per il quale non esistette
mai mare dil, ma solo mare di qua, e ora faceva, si poteva dire, faceva carte false,
si sdillabbrava tutto, con quella voce affogata, quella bocca schiumeschiume,
come avesse il duemari nella strozza, baviandosi con quella sua barabarca, per
imbarcarsi, ancora a occhi aperti, verso quello che per lui fu sempre il mare della
Nonsenseria.
Bar cabar abar cabar abar cabar a (p. 1125).
Il mare della Nonsenseria . Nelle parole di Luigi Orioles, sdegettato a
quel grado di immalinconimento, a quella degradazione di scafarsi la
bara nella barca; nello spettacolo impressionante di quella ricchezza
ridotta a questa miseria (p. 1114),
63
Ndrja contempla infne il proprio
63. . In diverse occorrenze la nonsenseria il contrario del ragionamento chiaro e mo-
rale, caratteristico di Luigi Orioles.
horcynus orca di stefano darrigo
263
naufragio
64
e la sparizione di Cariddi come approdo del nostos: la guer-
ra aveva lasciato le sue intacche []. E in conseguenza di queste intacche,
Ndrja trovava al suo ritorno il mondo sottosopra (p. 913). il nimon-
dorioles : un immalinconimento allultimo grado, limmalinconimento
che gli piglia alluomo quando ormai lo bazzica la morte (p. 1114). Non
c pi Cariddi, non c via di salvezza, se non imbarcarsi per morte
come hanno fatto don ferdinando Curr e la sua chiumma di mummio-
ni , ancora a occhi aperti . Si va sciogliendo lenimma: Ndrja come
Luigi Orioles, come questo don Luigi immalinconito. Come don ferdi-
nando: un pellesquadra fatto ormai mummione non pi o non tanto
per vecchiaia, ma come i pi, presentemente, per guerra (p. 1136).
Cos, dalla bara la voce sdillabbra, ancora, larca:
ripigliando la c che prima aveva allascato dalla barca per scafarsi la bara, la
barca ora la spruava, spuntandola di netto a netto della b, sicch dalla barca non
si scafava pi la bara, ma si scatasciava tutta, ordinate e traversine, murate e ma-
sconi, operamorta fuori, a vista, a summo, come loperaviva natante o meglio,
galleggiante, si scatasciava la cosa che meno si sarebbe potuto immaginare, larca
nientemeno:
Barca. Barca fece, e poi subito, subitissimo: Barca, arca arca arca (p.
1130).
Un nuovo gioco di parole: larca nella barca. Anchesso effetto della guer-
ra; dello straviamento. La nonsenseria di trovare salvezza nella morte:
arca cio, non perch gli salvava la vita, ma proprio per il contrario,
perch li salvava dalla vita, da quel miserabile residuo di vita (p. 1140).
Ndrja ha sperimentato in s lorigine del cataclisma horcynuso, del
nimondorioles; lo straviamento del mondo cui tornato il suo stesso stra-
viamento. Lha capito, adesso: lui il naufrago rimasto solo, senza com-
pagni, sulla spiaggetta della Ricchia (e l, in quel gran silenzio, ora,
lasspra sullo sperone , p. 1143). Ecco perch si sentiva lanimo senza
dolore n conforto, come se questo che succedeva, fosse gi successo per
lui (p. 1083). Era gi tutto successo, ma Ndrja aveva continuato ad an-
64. era come se la sua vita si smagasse di tutto, tutta in una volta, e nellattimo stesso,
per il fatto stesso che si smagava, la perdeva (Horcynus Orca, p. 1123).
andrea cedola
264
naspare, come lorca scodata, come se fosse ancora vivo (mentre era gi
come morto, quando al termine del suo viaggio di ritorno saffacciava
alle acque dello scille cariddi ).
65
Solo attraverso lepifania, nelle tre pa-
rolette oreocchiate sulle labbra del cannadastendere barca, bara, arca ,
egli pu infne decifrare il senso dellenimma: il marinaio, nocchiero sem-
plice Ndrja Cambrja un fantasma, un cervello scodato che continua a
vibrare, funereo e insensato. La sua presenza nel mondo dei vivi ormai
fuori luogo (aveva visto giusto, il vecchio spiaggiatore); una nonsense-
ria.
Ndrja e lorca: col loro arrivo al duemari si compie la distruzione del
cosmo Cariddi. Lorca perde la proverbiale immortalit, e Ndrja, facen-
dosi arenare la carogna dagli inglesi (per cui davvero c confusione, or-
mai, tra corpi vivi e corpi morti, tra cibo cristiano e bestino), conduce
il proprio villaggio-mondo alla rovina, rovinando lui stesso. La morte
dellorca cui egli si lega , come scrive Contini, per necessit simboli-
ca
66
la sua morte, gi prima di morire davvero, ed il disgregarsi
della lingua che lha generato; il dissolversi di tutto nel mare della nonsen-
seria. La barca si fece lontana, quella che Ndrja avrebbe voluto far costru-
ire al maestro dascia don Armandino Raciti, troppo lontana per i pelli-
squadre decaduti a mummioni. Ora tocca a lui decidere. Separare il proprio
destino da quello di Cariddi. E ha gi deciso: mi pare che mi fa come un
groppo in gola e mi soffoca se non la dico, se non la sputo, subito, subi-
tissimo, ecco: orca, orca, orca, orcarca (p. 1144).
lo scioglimento. Da qui lazione volge rapidamente al termine:
Ndrja va incontro alla pallottola della sentinella inglese, che lo ripiom-
ber nella notte, dentro, pi dentro, dove il mare mare .
67
La nonsenseria dunque un nonsense funereo (formulo questa propo-
sta dallargamento, giacch qui discutiamo anche di confni di genere); il
segno di un negativo ontologico. Ed un nonsenso che DArrigo mette
in scena nello spazio del romanzo, fno a quellultima parola impossibi-
le, orcarca, pronunciata dal suo protagonista; vale a dire, non un nonsense
65. Cfr. lincipit del romanzo, p. 7.
66. Contini, Schedario, cit., p. 61.
67. Sono le ultime parole del romanzo (cfr. p. 1257).
horcynus orca di stefano darrigo
265
lirico, dautore, ma la rappresentazione oggettiva (come quella dei gio-
chi di muccusi e nonnavi) della nonsenseria che ha invaso e intaccato la lin-
gua e lidentit, e lesistenza di Cariddi (quale luogo immaginario del
racconto), dei suoi abitanti, dei loro discorsi, della coscienza e memoria
del personaggio Ndrja il cui sguardo fa da fltro alla narrazione.
evidente e non mi sogno di formulare ipotesi diverse che DAr-
rigo il contrario esatto di uno scrittore nonsensico (e tanto pi, di uno
scrittore giocoso o umorista). Non un dadaista, n un surrealista; e nem-
meno uno sperimentale
68
o avanguardista. Si considerava, anzi, un reali-
sta classico. Direi che stato un visionario scrittore di cose. Inventore
di una lingua-mondo di sorprendente coesione e autonomia,
69
e allo
stesso tempo di precisa evidenza realistica e congruenza storica, DArri-
go ha fatto propri i materiali pi diversi, alti e bassi, grezzi o formati; li ha
ogni volta riplasmati, combinati e ricodifcati secondo il principio inter-
no, fortemente modellizzante (lingua-mondo), del suo interminabile
work in progress; e tra questi, ha dato grande rilievo signifcante a certe
patologie del linguaggio cui mi riferivo allinizio dellintervento
che nella storia della letteratura, convertite in giochi linguistici (non
solo come puro nonsense), sono state adottate in funzione trasgressiva,
antitradizionale, carnevalesca, se non addirittura come elementi di di-
struzione del linguaggio .
70
DArrigo ha insomma oggettivato quegli
elementi distruttivi, ricodifcandone la funzione a scopo narrativo.
E dunque: i giochi linguistici horcyniani giochi di iterazione, meta-
morfosi, neoformazione sembrano denotare la medesima incoerenza
68. Cfr. la lettera di DArrigo a Zipelli: Insomma io ho detto s a Mondadori perch
il Menab mi sembra abbia un carattere sperimentalistico [] e tale carattere limite-
rebbe mi pare il mio libro (24 giugno 1959).
69. DArrigo, come noto, si sempre mostrato contrario alle proposte di affancare
un glossario al romanzo (sono peraltro interessanti quelli approntati da Lanuzza e da
Alvino, vd. infra, Riferimenti bibliografci), e cos scriveva a Zipelli, mentre correggeva le
bozze per il Menab : Torno, trovo un espresso del Menab, dentro lelenco dei voca-
boli tradotti non so da chi stupefacente no? e inviatomi perch lo visionassi. Com
non importa (il meglio possibile ho pensato persino che labbia fatto Guttuso ma non
da me) importa che io non lo volevo (20 luglio 1960).
70. Di distruzione del linguaggio , a proposito del nonsense, parla ad esempio Dosse-
na, Il sorriso del gatto, cit.
andrea cedola
266
dei sogni; sennonch, il narratore e gli stessi personaggi protagonisti del-
la vicenda tendono continuamente a interpretarli, a cercare in essi nei
giochi di parole come nei sogni e visionamenti un signifcato utile, o
almeno lindizio, la traccia di un senso. Ogni produzione onirica, ogni
escrescenza fonomorfologica seguita e accerchiata dalla sua spiegazio-
ne, diretta, allegorica o simbolica. una disposizione che accomuna,
dicevo, personaggi e narratore,
71
per i quali i fatti si svolgono come una
catena (o meglio, come una trama) denigmi, il cui scioglimento sem-
pre questione di vita o di morte.
Il procedimento evidente, allinterno del romanzo, nella scena dello
sperone: oreocchiando quasi in stato ipnotico la metamorfosi della bar-
ca nella bara e nellarca, fno alla nonsenseria dellorcarca, Ndrja allo stesso
tempo (con un accanimento analitico ossessivo) sinterroga sul senso di
ci che gli accade, per darsene una spiegazione. Che alla fne trova, e
sulla quale ordina le proprie scelte, facendo procedere lazione: dallare-
namento dellorca al viaggio a Messina, fno al proiettile cui sembra an-
dare incontro. Allo stesso modo, in diverse parti del romanzo Ndrja ha
sognato (anche a occhi aperti)
72
e ha poi subito analizzato i propri sogni
e visioni, piegandoli ed essi si sono ben lasciati piegare a uninterpre-
tazione e a una funzione allegorico-simbolica che risultata determi-
nante per la struttura e per lo sviluppo della narrazione: si pensi al sogno
della fera-delno, nella prima parte del romanzo.
Il fatto che le dinamiche metalinguistiche e metadiscorsive, in Hor-
cynus Orca, oltre a produrre, di volta in volta, un effetto derealizzante di
parallessi, risultano sostanzialmente non esaurienti rispetto ai fenomeni
che le innescano; girano in folle, causando un ulteriore svuotamento di
71. Ma questa anche lintenzione espressivo-comunicativa su cui DArrigo dichiara
di fondare la lingua di Horcynus Orca: ogni volta che ho adoperato neologismi o seman-
tiche inedite mi sono preoccupato di fornire immediatamente il corrispettivo metafori-
co, di scrivere, riscrivere, rifondare il periodo e mirare il vocabolo fnch non giudicavo
davere raggiunto la certezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e defnitivo, che
la totalit lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina fnita, la scrit-
tura parlasse (cfr. sopra, n. 16).
72. il vistocongliocchi della mente , che ricorre spesso nel romanzo, in opposizione al
sentitodire e al visto con gli occhi .
horcynus orca di stefano darrigo
267
signifcato. Ma esattamente questa la funzione del nonsenso in Hor-
cynus Orca: esso acquista, per corrosione o sdillabramento dei nessi e della
materia linguistica, il ruolo estremo (postumo) di produrre sulla pagina
la manifestazione epifanica della Nonsenseria la piaga e il disordine, la
negativit essenziale dellessere nello spazio dei personaggi.
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andrea cedola
268
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C. Spila, Il nostro barocco, Pescara, Tracce, 1997.
269
Daniele Baglioni
LINGUE INVENTATE E NONSENSE
NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO*
1. Lingue inventate e nonsense
Generalmente, quando si parla di nonsense in letteratura ci si riferisce a
testi in cui il senso dincongruo e paradossale dato da violazioni della
relazione logica tra i signifcati delle parole: inserti in lingue inventate
parrebbero quindi inadatti a generare il necessario cortocircuito tra la
semantica del testo e i processi cognitivi messi in atto dal lettore sulla
ba se della logica, dellenciclopedia e della presupposizione. C per unac-
cezione pi ampia di nonsense, data dai semiologi Civjan e Segal, che in-
clude nella categoria tutti i testi costruiti sulla violazione delle correla-
zioni abituali tra il sistema del mondo e il sistema della lingua .
1
In que-
sta prospettiva leffetto di nonsense pu essere creato non solo con una
lesione della coerenza testuale, ma anche con linserimento nel testo di
elementi linguistici dinvenzione che, se ben sfruttati, possono costituire
essi stessi dei non-sensi, o meglio dei non-segni, trattandosi in ultima
analisi di signifcanti sprovvisti di un signifcato.
2
* Questo articolo si basa per la gran parte dei testi commentati sullutilissimo reperto-
rio di P. Albani e B. Buonarroti (Aga Magra Difra. Dizionario delle lingue immaginarie,
Bologna, Zanichelli, 1994). Preziosi suggerimenti e indicazioni mi sono stati forniti in
sede di discussione dellintervento orale da Barbara Anglani e Michele Napolitano, a cui
va la mia gratitudine.
1. T. V. Civjan-D.M. Segal, Struttura della poesia inglese del nonsense (sulla base dei lime-
ricks di E. Lear), in I sistemi di segni e lo strutturalismo sovietico, a cura di R. faccani e U. Eco,
Milano, Bompiani, 1969, pp. 151-61, a p. 155.
2. Occorre precisare fn dora che in questo articolo vengono considerati inventati
soltanto quegli elementi (parole, frasi, inserti di lingue immaginarie) in cui linvenzione
linguistica immotivata e a priori, ovvero non si basa o si basa in minima parte su lingue
naturali. Ci comporta lesclusione di due categorie, quella dei codici, ossia dei camuffa-
menti delle parole di una determinata lingua attraverso una o pi regole di trasformazio-
ne (come ad esempio nei linguaggi infantili del farfallino o del parlare allincontrario), e
quella dei pastiches, intendendo con questo termine non solo la semplice giustapposizione
di parole di variet linguistiche diverse, ma anche lapplicazione della morfologia e meno
daniele baglioni
270
La letteratura nonsense, fn dai suoi esordi, ha fatto spesso ricorso alluso
di parole inventate per produrre nel lettore uno straniamento analogo a
quello ottenuto con la violazione delle relazioni logico-testuali. Si pren-
da in considerazione un classico di Edward Lear, tratto dalla raccolta One
Hundred Nonsense Pictures and Rhymes del 1872:
3
There was an Old Man of Spithead,
Who opened the window, and said,
fil-jomble, fl-jumble,
fil-rumble-come-tumble!
That doubtful Old Man of Spithead.
A differenza di altri nonsense leariani, in cui la regolarit sintattica []
risalta sullo sfondo dellanomalia del livello semantico ,
4
in questo com-
ponimento nessuna azione del protagonista (aprire la fnestra, parlare,
essere in dubbio) pu essere classifcata come anomala o tanto meno as-
surda. Il nonsense tutto nella frase del vecchio, in cui a parole dellingle-
se comune (jumble, rumble, come, tumble) si mescolano vocaboli dinven-
zione ( l-jomble, l-, l-): una flastrocca senza senso, caratterizzata
dal l almost obsessive repetition of alliterative-onomatopic combina-
tions ,
5
che per viene presentata come un enunciato con una sua logica
e una sua veridicit lo dimostra il fatto che il protagonista pu dubitar-
ne. Nei Twenty-six Rhimes and Pictures dello stesso Lear, che hanno per
protagonisti per lo pi degli animali, aggettivi inventati come dolom-
frequentemente della sintassi di una lingua al lessico di unaltra, come nel macaronico, op-
pure la creazione di una nuova variet su imitazione delle lingue e dei dialetti di una de-
terminata famiglia linguistica ( il caso delle cosiddette lingue alternative, di cui sono esem-
pi gli pseudodialetti romanzi inventati da Pier Paolo Pasolini e Ugo Gimmelli; cfr. risp.
G. Chiarcossi, Poesie in una lingua inventata di Pier Paolo Pasolini, in Miscellanea di studi in
onore di Aurelio Roncaglia, 4 voll., Modena, Mucchi, 1989, vol. ii pp. 393-410, testi ii 1-6 alle
pp. 394-99, e U. Gimmelli, Quattro liriche in una lingua ipotetica, con una nota introduttiva
di L. Blasucci, in Lapprodo letterario , xxii 1976, num. 75-76, pp. 110-14).
3. E. Lear, The Complete Nonsense, ed. by H. Jackson, London, faber & faber, p. 203.
4. A. Caboni, Nonsense. Edward Lear e la tradizione del nonsense inglese, Roma, Bulzoni,
1988, p. 57.
5. D. Ponterotto, Rule-Breaking and Meaning-Making in Edward Lear, in Revista Ali-
cantina de Estudios Ingleses , vi 1993, pp. 153-61, a p. 157.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
271
phious, zzgiggious, higgeldipiggledy e runcible si associano a violazioni delle
conoscenze enciclopediche (unanatra col cucchiaio, un pesce con i tram-
poli, una gallina che va a fare spesa al mercato, ecc.) nel generare un
senso di forte paradosso e dincongruenza.
6
Si pu poi solo accennare in
questa sede a quello che probabilmente il pi riuscito esempio di non-
sense ottenuto tramite luso di parole inventate, la ballata dal sapore vaga-
mente epico del Jabberwocky contenuta in Through the Looking Glass di
Lewis Carroll, per la quale lautore si servito di uno pseudoinglese in
cui un lessico quasi interamente dinvenzione convive con parole gram-
maticali della lingua comune ( Twas brillig, and the slithy toves / Did
gyre and gimble in the wabe; / All mimsy were the borogoves, / And the
mome raths outgrabe [] ).
7
Linteresse mostrato verso il Jabberwocky da
un linguista del calibro di firth e un poeta della levatura di Artaud, che
ne tradusse i primi versi in francese, indice dellestrema complessit del-
loperazione carrolliana, vero e proprio punto di riferimento delle lette-
rature nonsense ed espressionista novecentesche.
8
Dagli esempi addotti emerge con evidenza che la buona riuscita del
nonsense dipende non dalluso esclusivo di parole inventate, che lascereb-
be il lettore totalmente disorientato, ma dallimpiego congiunto e sa-
pientemente calibrato di elementi signifcanti e non signifcanti: chi
legge ha cos limpressione di trovarsi di fronte a un testo con un senso
compiuto, il cui accesso gli per vietato perch non ha la chiave per
decodifcarlo. Davanti ai Rhymes di Lear portato a chiedersi che ani-
male il dolomphious duck? , oppure com fatto un runcible spoon? , e
dalla lettura del Jabberwocky pu trarre le stesse conclusioni di Alice: So-
mehow it seems to fll my head with ideas only I dont exactly know
what they are! However, somebody killed something, thats clear, at any ra-
6. Lear, The Complete Nonsense, cit., pp. 209-21.
7. L. Carroll, Through the Looking Glass, London, Penguin Popular Classics, 1994,
p. 28.
8. Cfr. J.R. Firth, The use and distribution of certain English sounds, in Id., Papers in Lingui-
stics 1934-1951, London, Oxford Univ. Press, 1957, pp. 34-46; Id., Modes of meaning, ivi, id.,
pp. 190-215, alle pp. 193-94; Humpty Dumpty di Lewis Carroll nella traduzione di Antonin
Artaud, versione italiana di G. Almansi e G. Pozzo, Torino, Einaudi, 1993, p. 32.
daniele baglioni
272
te--- .
9
Per questo motivo, nel passare rapidamente in rassegna gli esem-
pi di lingue inventate nella letteratura italiana del Novecento, abbiamo
scelto di rinunciare a criteri canonici come lordine cronologico oppure
la forma letteraria delle singole opere (prosa, poesia o teatro) e di pren-
dere invece a riferimento un criterio esclusivamente linguistico, la pro-
porzione tra gli inserti inventati e la lingua primaria dellautore o una
qualsiasi altra lingua naturale. In questo modo abbiamo potuto ridurre le
molteplici manifestazioni dinventivit linguistica, dalle parodie delle lin-
gue straniere ai linguaggi teatrali alle Sondersprachen poetiche, a un nume-
ro limitato di categorie, allo scopo di proporre una classifcazione tipolo-
gica delle lingue inventate in letteratura e dei meccanismi testuali attra-
verso cui con il loro impiego si realizza il nonsenso.
2. Gerghi
Cominciamo dal tipo di lingua inventata che contiene il minor nume-
ro di elementi dinvenzione, quello cio in cui linventivit linguistica
confnata al solo lessico, mentre la morfologia e la sintassi appartengono
a una lingua-ospite naturale, che generalmente coincide con la variet
dellemittente e del destinatario. Dal punto di vista formale una lingua
cos costruita un gergo: nei gerghi infatti, termine con cui in linguistica
ci si riferisce alle parlate di gruppi sociali marginali che fungono da ele-
mento identitario di tali minoranze rispetto al resto della comunit, pa-
role inventate sinseriscono in una struttura grammaticale che quella
della lingua comune.
10
Il rapporto che nei gerghi sinstaura tra lelemen-
to dinvenzione e la lingua-ospite di tipo parassitico: il primo ha biso-
gno del sostegno della seconda, si sviluppa strettamente abbarbicato al la
lingua e [] solo dalla lingua pu trarre vita e alimento .
11
Gli scrittori hanno spesso attinto al patrimonio lessicale del gergo con
intenti mimetici o puramente espressivi; alcuni di loro, poi, hanno occa-
9. Carroll, Through the Looking Glass, cit., p. 30.
10. Cfr. G. Sanga, Gerghi, in Introduzione allitaliano contemporaneo. La variazione e gli usi,
Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 151-89.
11. f. Ageno, Per una semantica del gergo, in Studi di flologia italiana , xv 1957, pp. 401-
37, a p. 436.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
273
sionalmente creato dei gerghi personali. Gli ultimi componimenti della
raccolta Chi lavrebbe detto di Alfredo Giuliani del 1973, in particolare In-
vetticoglia, presentano una lingua accostabile al gergo. In essi parole in-
ventate sono unite tra loro per mezzo di preposizioni, congiunzioni,
pronomi e interiezioni dellitaliano:
12
sgrondone leucocitibondo, pellimbuto di farcime,
la tua fcalessa sbagioca e tricchigna tuttadelicatura
la minghiottona: ohi sottilezze cacumini torcilocchi
presticerebrazioni, che ti strangosci polpando mollicume,
arcipicchiando la voraciocca passitona, la tua dolcetta
che allucchera divanissimamente il pruggiculo;
cagoscia vizzosaggini il brlatro grattoso:
la tua merlosa irabondaggine e vita
Nelle poesie di Giuliani il lessico, per quanto inventato, evoca parole
della lingua comune: ad esempio pellimbuto e leucocitibondo sono parole
valigia ottenute rispettivamente dallunione di pelle e imbuto e dallin-
crocio di leucocito con moribondo, mentre farcime un sostantivo formato
dal verbo farcire pi il suffsso -ime di mangime e becchime. Non mancano
poi tecniche onomaturgiche comuni ai codici (nellaccezione che ne ab-
biamo dato nella n. 2), come ad esempio linserimento di una consonan-
te non etimologica (brlatro) o la sostituzione di una consonante con
unaltra (minghiottona, sottilezze). Il gergo di Giuliani quindi a met stra-
da tra linvenzione lessicale immotivata, che pure vi si ritrova (sbagioca,
tricchigna, allucchera), e unaudace neologia sulla base di lessico esistente.
Diverso il caso delle Fnfole di fosco Maraini, una raccolta di com-
ponimenti di poesia metasemantica cos la defnisce lautore che il
noto orientalista, viaggiatore e scrittore pubblic per la prima volta nel
1966. Nelle Fnfole il lessico quasi interamente inventato e per lo pi
non evocativo, come si evince dalla lettura del Lonfo:
13
Il lonfo non vaterca n gluisce
e molto raramente barigatta,
12. A. Giuliani, Chi lavrebbe detto, Torino, Einaudi, 1973, p. 125.
13. f. Maraini, Le Fnfole, Bari, De Donato, 1966, p. 29.
daniele baglioni
274
ma quando soffa il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio sarchipatta.
frusco il lonfo! pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionf ti sbiduglia e tarripigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lgica busa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
talloppa, ti sbernecchia; e tu laccazzi.
In assenza dellinformazione lessicale, il lettore costretto a fare ipo-
tesi sulla base di sostegni che concorrono a sterzare il discorso entro i
binari del senso , cio la morfologia, la sintassi e della testualit.
14
Cos
nella prima quartina dalluso dellarticolo determinativo (il lonfo) abbina-
to al presente imperfettivo dei verbi vaterca, gluisce, barigatta, sdilenca e sar-
chipatta il lettore capisce che il misterioso lonfo il membro di una specie
che compie o non compie abitualmente determinate azioni, mentre
dallappartenenza dellonomatopeico gluire alla iii coniugazione, come
ruggire, nitrire, grugnire e muggire, deduce che il verbo indica un verso ani-
male. In questo modo, grazie anche allinformazione del condiziona-
mento del vento al v. 3, Maraini permette a chi legge di identifcare il
lonfo con un animale senza ricorrere mai al lessico. Con procedimenti
analoghi nel corso della poesia il lettore comprende che il lonfo un ani-
male generalmente ostile alluomo, ma che pu dare occasionalmente
unimpressione diversa (cfr. il connettivo eppure che apre lultima parte
del componimento). Ha ragione quindi Alessandro Bausani, autore di
un ampio e pionieristico saggio sulle lingue inventate, a osservare che la
poesia di Maraini solo apparentemente senza senso comune , giacch
14. M. Longobardi, Educazione all Obscuritas: applicazioni didattiche, in Obscuritas. Re-
torica e poetica delloscuro. Atti del xxix Convegno Interuniversitario di Bressanone, 12-15
luglio 2001, a cura di G. Lachin e f. Zambon, pres. di f. Brugnolo, Trento, Univ. di
Trento, 2004, pp. 633-61, a p. 642.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
275
il signifcato, sottratto alle unit lessicali, viene in buona parte recuperato
grazie alle relazioni grammaticali che vincolano il signifcante.
15
Agli antipodi delloperazione marainiana si collocano i tre sonetti In
italico modo dello scrittore argentino Julio Cortzar, contenuti nella rac-
colta Salvo el crepsculo pubblicata postuma nel 1985. Nei sonetti di Cort-
zar, che per ammissione dello stesso autore acumulan frases sin sentido
donde se mezclan voces italianas con otras inventadas a vuelapluma ,
lelemento dinvenzione molto ridotto, come appare immediatamente
evidente dalla lettura di Carla:
16
Vae victis, Carla, se le strombe urlante
ti immrgono fra i trpidi stormenti!
Lo so: supplicherai che ti ramenti
la guancia rotta e le pestiglie umante.
Vai, e lascia che il labbro dellamante
guarisca i seni tanto blu e mordenti,
mentre le alani dellestate ai venti
frzzano la svergura palpitante.
Poi sar il calmo, la deserta notte
dove sul ventre cdono le mele
liete di brisa soave e di funghine,
e tu, supino uccello delle grotte,
verrai alzarsi locchio delle mielle
e tutto sar dombra e di caline.
La gran parte del lessico appartiene al vocabolario dellitaliano letterario
e tra gli elementi dinvenzione abbondano le parole camuffate tramite
aggiunte di fonemi non etimologici (strombe, stormenti), variazioni del
grado dintensit delle consonanti (ramenti, mielle) e risuffssazioni di basi
esistenti (trpidi, pestiglie, funghine); il lessico non evocativo limitato a
15. A. Bausani, Le lingue inventate, Roma, Ubaldini, 1974 (prima ed. in tedesco: Geheim-
und Universalsprachen: Entwicklung und Typologie, Stuttgart, Kohlhammer, 1970), p. 48. Per
una trattazione pi approfondita della poesia metasemantica di Maraini si rimanda a D.
Baglioni, Poesia metasemantica o perisemantica? La lingua delle Fnfole di Fosco Maraini, in
Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di V. Della Valle e P. Trifone, Roma, Salerno
Editrice, 2007, pp. 469-80.
16. J. Cortzar, Obras completas, a cura di S. Yurkievich con la collab. di G. An chieri,
6 voll., Barcelona, Galaxia Gutenberg, 2005, vol. iv. Poesa y potica, pp. 161-63.
daniele baglioni
276
poche isolate unit (umante, frzzano, svergura, caline). Ci si attenderebbe,
quindi, una maggiore trasparenza del sonetto di Cortzar rispetto alla
fnfola marainiana. Il risultato invece opposto: se nel Lonfo le relazioni
grammaticali restituiscono in parte la semantica sottratta al lessico, nel
sonetto di Cortzar sono proprio le relazioni grammaticali, che associa-
no parti del corpo dellamata e dellamante (guancia, labbro, seni, ventre,
occhio) a vegetali (mele), animali (uccello), indicazioni temporali (estate, not-
te), fenomeni atmosferici (venti) e formazioni geomorfologiche (grotte)
violando tanto la coerenza (i seni tanto blu e mordenti, supino uccello delle grot-
te) quanto la coesione (le strombe urlante, le pestiglie umante, verrai alzarsi
locchio), a ostacolare la comprensione del testo.
Possiamo quindi dire che, se la poesia di Maraini apparentemente
senza senso, quella di Cortzar apparentemente sensata: a una prima e
superfciale lettura chi legge, disorientato dalla presenza delle parole in-
ventate e dagli accostamenti di termini appartenenti ad ambiti semantici
diversi, attribuisce la mancata decodifcazione alla complessit del testo
poetico; gli basta per una lettura leggermente pi approfondita per ren-
dersi conto che il testo, con le sue vistose infrazioni della grammatica e
della logica, a non veicolare alcun signifcato. Leffetto fnale quello del-
la parodia, tanto pi riuscita se si considera che prende di mira un genere
letterario tipicamente italiano, il sonetto amoroso di stile petrarchesco,
rivolgendosi in primo luogo a un pubblico ispanofono. La distanza dalle
Fnfole di Maraini misurabile anche solo da un piccolo, ma non trascu-
rabile, elemento: se la poesia metasemantica va letta con una certa len-
tezza , perch correndo si riduce ad un bant, un tocarico, un buruscia-
schi insensato , i sonetti di Cortzar necessitano invece di una lectura
en voz alta [] apasionada y vehemente , giacch in essi lo nico ver-
dadero es el soneto como forma, y el resto puro camelo .
17
3. Grammelot
Bench formalmente analoga al gergo, la lingua dei sonetti di Cort-
17. Cfr. risp. Maraini, Le Fnfole, cit., p. 12, e Cortzar, Obras completas, cit., vol. iv
p. 161.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
277
zar vicina per intento dellautore e reazione provocata nel lettore a unal-
tra tipologia di lingua inventata, il grammelot. Con questa parola francese,
diffusasi in Italia grazie a Dario fo, sintende una lingua priva di un les-
sico signifcante e di una propria grammatica, la cui fonologia presa a
prestito da una lingua naturale: chi legge (o pi frequentemente chi
ascolta, trattandosi per lo pi di una lingua teatrale) ha cos limpressione
di ricevere un messaggio in una lingua conosciuta, quando invece non si
tratta che di unimitazione di quella lingua. Ovviamente, una lingua co-
s costruita duso esclusivamente artistico la sola fonologia non in
grado di veicolare signifcati e prevalentemente orale, perch il carat-
tere immediato della comunicazione verbale non consente al destinata-
rio un controllo diretto sullenunciato come davanti a un testo scritto.
18
Al grammelot, in particolare alluso che di esso fa fo, dedicata una
monografa di Alessandra Pozzo, che ne ha individuato tre caratteristi-
che fondamentali: il fatto di essere sempre modellato su una lingua di
riferimento; il fatto di essere un linguaggio inarticolato; il fatto di neces-
sitare lausilio di codici semiotici secondari quali la mimica e la gestuali-
t.
19
In realt solo la prima caratteristica, quella che prevede per ogni
grammelot una lingua di riferimento, effettivamente rilevante: infatti,
anche se nella forma orale il grammelot viene percepito come inarticolato,
nelle sue rare codifcazioni scritte esso deve essere per forza di cose seg-
mentato in parole, senza che ci ne infci leffcacia. Lo dimostra il gram-
melot dello speaker del telegiornale, inserito da fo nel suo Manuale minimo
dellattore come esempio eccezionale di applicazione del grammelot allita-
liano e non, come generalmente accade nel teatro dellautore lombardo,
ai dialetti:
Oggi traneguale per indotto-ne consebase al tresico imparte Montecitorio per
altro non sparetico ndorgio, pur secministri e cognando, insto alleg sigrede al
presidente interim prepaltico, non manifolo di sesto, dissesto: Reagan, si pu
intervento e lo stava intemario anche nale perdipi albato senza stipu lagno
en sogno-la-prima di estabio in Craxi e il suo masso nato per il-luco saltrusio ma
18. Cfr. P. Trifone, Litaliano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa-Ro-
ma, Istituti Editoriali e Poligrafci Internazionali, 2000, pp. 146-48.
19. A. Pozzo, Grr grammelot. Parlare senza parole, Bologna, Clueb, 1998, p. 135.
daniele baglioni
278
non sempre. Si sa, albatro spertico, rimo sa medesimo non vechianante e, anche,
sortomane del pontefce in diverica lonibata visito Opus Dei.
20
Quanto poi alla mimica e alla gestualit, se vero che lattore vi ricor-
re per supplire alla mancanza di senso del grammelot, altrettanto vero
che si tratta di due codici indipendenti, il cui uso basterebbe a comunica-
re anche in assenza del codice orale. Si pu dire piuttosto che lattore che
recita in grammelot rinuncia volontariamente alla lingua per portare lat-
tenzione del pubblico su codici non linguistici, come la mimica e la ge-
stualit, o su livelli periferici della lingua, come la prosodia: lattenzione
dello spettatore tenuta viva tramite linserimento sporadico di parole
(indotto, Montecitorio, per altro, alleg, presidente, interim, ecc.) e morfemi di
lingue naturali (-ico, -ando, -ario, -ato, -ante), che per sono troppo pochi
per consentirgli la decodifcazione del testo, anzi possono confonderlo
ulteriormente (cfr. gli accostamenti presidente - dissesto, Craxi - masso, alba-
tro - pontece - Opus Dei).
I procedimenti glottopoietici appena analizzati sono stati sfruttati an-
che al di fuori della letteratura teatrale, specie allinterno di romanzi, allo
scopo di parodiare una determinata variet linguistica. Non ci sembra
fuori luogo includere anche questi testi nella categoria dei grammelot, mal-
grado le ovvie differenze strutturali e funzionali tra le lingue teatrali,
destinate alloralit, e la prosa, concepita per la lettura endofasica. Ad
esempio, si potrebbe parlare di un grammelot bergamasco per le due frasi
Hanfa la Hapa Hotal Hoc! e Hegn Hobet H de Hot! pronunciate da un grup-
po di carbonai nel Barone rampante di Calvino, o ancora di un grammelot
greco antico per la scritta Velt chimseon sto ramnesi fata che Nivasio Dol-
cemare, protagonista del romanzo La nostra anima di Savinio, legge intor-
no al polso di Psiche in un surreale museo di manichini di carne a Salo-
nicco.
21
Tipologicamente affni ai grammelot, poi, sono le sequenze silla-
biche senza senso concepite per ingannare linterlocutore o un osserva-
tore esterno facendogli credere di ascoltare frasi della lingua comune: se
20. D. fo, Manuale minimo dellattore, Torino, Einaudi, 1987, pp. 108-9.
21. Cfr. risp. Calvino, Il barone rampante, in Id., Romanzi e racconti, 2 voll., Milano, Mon-
dadori, 2003, vol. i pp. 547-777, a p. 615, e A. Savinio, La nostra anima, Milano, Bompiani,
1960, p. 36.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
279
ne trovano numerosi esempi nella prosa novecentesca, dal balbettio dei
protagonisti di Agosto, moglie mia non ti conosco di Achille Campanile (Ba-
lab, racat barab, Mairil ones vital, Vidisapi, s mai pi, no mai pi, Cara-
dit! Maradit) alla pseudofrase rivolta dallavvocato Guerrieri a un noio-
so interlocutore per testarne lattenzione in Ragionevoli dubbi di Gianrico
Carofglio (Cortollasera, gniapro).
22
Particolarmente interessante, perch riferito non a una variet parlata
ma a una lingua scritta di registro elevato, il grammelot contenuto nel
racconto Il critico darte di Dino Buzzati. In esso il critico Paolo Malusardi,
per commentare la mostra del pittore Leo Squittinna, elabora una lingua
tanto astratta quanto i quadri dellartista:
Il pittrore [] di del dal col afforiccio ganolsi coscienziamo la simileguarsi.
Recusia estemesica! Altrinon si memocherebbe il persuo stisse in corisadicone
elibuttorro. Ziano che dimannuce lo qualitare rumelettico di sabirespo padro-
n. E sonfo tezio e stampo egualiterebbero nello Squitinna il trilismo scernosti
dancomacona percussi. Tambron tambron, quilera dovressimo, ghiendola na-
micadi coi truffo fulcrosi, quantano, sul gicla dnogiche i metazioni, gosibarre,
che pi levapo si su predomioranzabelusmetico, rif comerizzando per rerare la
biffetta posca o pisca. Ver chi
23
Il testo inizia in una forma intermedia tra il grammelot e il gergo: il lettore
riesce a tratti a individuare una struttura grammaticale e basi lessicali
della lingua comune (coscienziamo la simileguarsi, Altrinon si memocherebbe,
lo qualitare rumelettico, ecc.). Nellultima frase per, fn dallinizio (Tambron
tambron) la grammatica viene totalmente offuscata dal gioco fonico, fno
al punto che la stessa fonologia di riferimento viene messa in crisi con
luso di combinazioni di fonemi rare o persino impossibili in italiano (sul
gicla dnogiche). Cos Buzzati fa dissolvere litaliano ampolloso del critico,
dietro cui sintravede la polemica di Buzzati giornalista contro i critici
troppo spesso fumosi e incomprensibili anche nelle recensioni destina-
22. Cfr. risp. A. Campanile, Agosto, moglie mia non ti conosco, in Id., Opere, vol. i. Romanzi
e racconti 1924-1933, a cura di O. Del Buono, Milano, Bompiani, 1989, pp. 689-891, alle pp.
888-90, e G. Caroglio, Ragionevoli dubbi, Palermo, Sellerio, 2006, p. 94.
23. D. Buzzati, Il critico darte, in Id., Sessanta racconti, Milano, Mondadori, 1995, pp. 511-
16, alle pp. 515-16.
daniele baglioni
280
te al grande pubblico ,
24
in un balbettio senza senso, secondo un assurdo
processo di regressione dal senso al nonsenso presentato al lettore come
raffnata ricerca sperimentale.
4. Prelingue e pseudolingue
La parodia della lingua dei critici darte caratterizza un altro breve te-
sto in una lingua inventata, la Discussione di due critici sudanesi sul futurismo
di Giacomo Balla, declamata dal pittore insieme a Marinetti e Cangiullo
il 29 marzo 1914 alla galleria romana di Giuseppe Sprovieri. A differen-
za di Buzzati, Balla, con un gusto spiccatamente futurista che ricorda il
linguaggio-rumore marinettiano, opta per la formazione di parole se-
condo regole estranee allitaliano e alle principali lingue europee, in cui
abbondano le ripetizioni di sillabe uguali. Le basi lessicali non sono evo-
cative (le uniche eccezioni sono costituite da futuro e pompa magna) e lef-
fetto quello di una flastrocca infantile e, per alcune parole come sgnac-
gnacgnac e chr chr chr, di unonomatopea:
farcionisgnaco gurninfuturo bordubalotapompimagnusa sfacataca mimitirichi-
ta plucu sbumu farufutusmaca sgnacgnacgnac chr chr chr stechestecheteretete
maumauzizitititititititi.
25
Un testo simile non solo non presenta elementi riconducibili a una lin-
gua naturale, ma immediatamente avvertito dal lettore come estra-
neo alla lingua come istituto , al pari di quel linguaggio agrammaticale
o pregrammaticale che Gianfranco Contini individuava nella poesia di
Pascoli.
26
Esso non unimitazione della lingua, bens una forma inter-
media tra i linguaggi infantili e la lingua umana come sistema articolato,
uno stadio precedente alla lingua, una pre-lingua. Il suo effetto straniante
funzionale allo scardinamento della lingua comune, specie della sua
24. A. Macchetto, Buzzati critico darte del Corriere della Sera : bibliograa 1967-1971, in
Studi buzzatiani , vi 2001, pp. 137-65, a p. 137.
25. M. Fagiolo DellArco, Futur Balla, Roma, Bulzoni, 1970, p. 81.
26. G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in Id., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi
(1938-1968), Torino, Einaudi, 1970, pp. 219-45, a p. 222.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
281
variet pi alta, quella letteraria, ci che spiega limpiego frequente delle
prelingue da parte delle avanguardie poetiche novecentesche. Nella let-
teratura nonsense luso delle prelingue pu essere sfruttato per creare un
forte contrasto tra il testo e la funzione a esso attribuita dallautore: quel-
lo che avviene nel breve testo di Balla, in cui una flastrocca senza senso
viene presentata come una discussione altamente intellettuale tra due
critici darte. Analoga la funzione della prelingua nel Canto di trionfo del
funzionario di polizia francese del poeta argentino, ma romano dadozione,
Juan Rodolfo Wilcock, in cui i funzionari di polizia vengono descritti
come animali in competizione tra di loro per assicurarsi una compagna
e il loro canto di trionfo assomiglia ora al verso di un uccello (tiuuu, tio,
tsii) ora a una lingua esotica (shpetiu tokua, tsirrhadeng):
Tiuuu-tiuuu-tiuuu-tiuuu-tiuuu,
shpetiu tokua,
tio-tio-tio-tio,
kuutio-kuutio-kuutio-kuutio,
tskuo-tskuo-tskuo-tskuo,
tsii-tsii-tsii-tsii-tsii-tsii-tsii-tsii-tsii,
tso-tso-tso-tso-tso-tso-tso-tso-tso-tso-tso,
tsirrhadeng!
27
Sempre di prelingua, sebbene il modello non siano i linguaggi infan-
tili o animali ma le onomatopee dei fumetti, possibile parlare per le
frasi dalle parole strane con suoni ancora pi strani rivolte a Guizzardi
dai signori raccoltisi intorno al suo capezzale nelle Avventure di Guizzar-
di di Gianni Celati: attraverso luso di sequenze consonantiche impro-
nunciabili che il protagonista, al pari del lettore non in grado di capire
(Prrrcz mmt?, Drrrxp?, Sssz prrx?, Grrp tmm!, ecc.) lautore rende laliena-
zione della moderna societ tecnologica, la cui lingua non ha pi nulla di
umano e ricorda a tratti un linguaggio di programmazione informa-
tica.
28
La sottrazione di un lessico, di una grammatica e di una fonologia ri-
27. J.R. Wilcock-F. Fantasia, Frau Teleprocu, Milano, Adelphi, 1976, p. 72.
28. G. Celati, Le avventure di Guizzardi, Torino, Einaudi, 1973, pp. 53 e 150.
daniele baglioni
282
conoscibili non va per necessariamente in direzione di un disfacimento
della lingua in una mera sequenza fonica. Essa pu invece essere sfrutta-
ta per costruire con elementi dinvenzione un sistema linguistico nuovo
e alternativo alla lingua comune. Se leffetto desiderato il nonsenso,
lautore cosparger il testo inventato di elementi ricorrenti che lascino
sospettare la presenza di una morfologia, facendo cos credere al lettore
di trovarsi davanti a una lingua straniera ignota quando invece si tratta di
una fnzione, di una pseudolingua. ci che accade nel brevissimo raccon-
to di Wilcock Pagosti kealte, dove al lettore viene presentata una fnta iscri-
zione in unantica lingua italica (ma che diffcilmente si presta a una
interpretazione indoeuropea ): Ma Kaprih K. oram opsu Tr Minis R
akinebihi pomp II .
29
Leffcacia del nonsense di Wilcock deriva dalla
verosimiglianza del testo inventato, non solo per la presenza di termina-
zioni indoeuropee e pi specifcamente italiche (-m, -u, -is, -i) secondo
una tecnica affne ai gerghi e ai grammelot, ma anche per la ripetizione
dello pseudosuffsso -ih in Kaprih e, con laggiunta di -i, in akinebihi: il
lettore che abbia consuetudine con le lingue fusive pu a ragione pensa-
re che akinebihi sia una forma fessa di akinebih (-ih + morfema -i) e che
Kaprih sia invece una forma nominativale espressa dal puro tema (come
il latino orator). A rivelare linganno stanno le righe fnali del brevissimo
racconto, dove delliscrizione vengono date due interpretazioni opposte
ed entrambe estremamente improbabili (nel primo caso perch nessuna
delle radici dei nomi propri rintracciabile nel testo, nel secondo perch
luso del turpiloquio estraneo non tanto allepigrafa antica, quanto al
saggio scientifco da cui simmagina tratta la traduzione):
Il signifcato attribuitogli dal Minuzzo : Nenda Pureno distrusse in guerra
nella citt di Burena larce . Invece il Pehr lo interpreta cos: Ma io le ragnatele
ve le tolgo a furia di cazzo! . Il tutto per ancora aleatorio e vago.
La presenza diffusa di inserti di pseudolingue contraddistingue i rac-
conti fantastici di Tommaso Landolf, maestro nellimpiego di questa
tecnica allo scopo di ottenere effetti di nonsenso e paradosso. Landolf,
che dal 1928 al 1932 aveva studiato allUniversit di firenze dove aveva
29. Wilcock-Fantasia, Frau Teleprocu, cit., p. 76.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
283
probabilmente seguito le lezioni di glottologia di Giacomo Devoto e
Carlo Battisti, dimostra di conoscere bene la linguistica del primo Nove-
cento, che si diverte a parodiare nel fnto saggio del 1941 Qualche notizia
sullL.1: in esso si descrive il funzionamento di una lingua immaginaria
dinverosimile complessit, lL.1, caratterizzata da quattro generi (ma-
schile, femminile, neutro e astratto), sette numeri (singolare, duale, tria-
le, decale, centale, miliale e milionale), diciotto aspetti verbali, nove con-
creti e nove astratti (lentivo, rapidivo, buttivo, gioivo, tristivo, ugualivo,
prossimivo, lungivo, ugualivo spaziale) e ben centoquarantasei casi.
30

Sempre del 1941 la raccolta di racconti La spada, al cui interno conte-
nuto La tenia mistica, dove vengono narrati i viaggi del norvegese Niel
Klim nei pianieti immaginari di Nazar, Martinia, Mezendor e Quama:
tanto la frase pronunciata dal principe di Nazar, in cui in ben quattro
parole si ripete un -k che potrebbe essere un morfema o un suffsso (spik
autri ok skak mak tabu mihalatti), quanto la parola Pikil-fu Inviato del
Sole della lingua degli abitanti di Quama, dove il trattino sembrerebbe
indicare un composto come in molte lingue indoeuropee, sono costruite
su imitazione di lingue naturali con una loro morfologia e sintassi.
31
Ma nel suo primo racconto, il Dialogo dei massimi sistemi contenuto
nel lomonima raccolta del 1937, che Landolf d la prova pi ingegnosa di
uso di una pseudolingua per creare effetti di nonsenso: come in Pagosti
kealte di Wilcock, il paradosso generato dalle contraddizioni tra il testo
e la sua traduzione, ma nel racconto di Landolf le incongruit sono assai
meno evidenti e possono facilmente ingannare il lettore meno attento.
Non sar inutile riassumerne la trama: il protagonista un uomo che in
giovent, in uno dei suoi innumerevoli viaggi, ha appreso da un capitano
inglese una lingua che egli credeva essere persiano e si talmente impra-
tichito da scrivere poesie in questa lingua. Col passare degli anni ha di-
menticato la lingua, fnch un giorno, ritrovando i suoi vecchi componi-
menti, non decide di consultare una grammatica persiana per poterli
comprendere. Con suo grande stupore, per, scopre che la lingua da lui
imparata non era persiano n una qualsiasi altra lingua esistente, ma pro-
30. T. Landol, Qualche notizia sullL.1, in Letteratura , v 1941, pp. 48-51.
31. T. Landol, La tenia mistica, in Id., La spada, Milano, Adelphi, 2001, pp. 11-13, a p. 12.
daniele baglioni
284
babilmente il frutto della fervida immaginazione del capitano. Decide
quindi di recarsi da un critico letterario e sottoporgli una delle sue poe-
sie, della quale ricorda una traduzione approssimativa:
32
Aga magra difra natun gua mescin Anche piangeva della felicit la faccia stanca
Snit guggrnis soe-wli trussn garigr Mentre la donna mi raccontava della sua vita
Gnga bandra kuttvol jers-ni gillra. E mi affermava il suo affetto fraterno.
Lvi girrscen suttrer lunabinitr E i pini e i larici del viale graziosamente
[incurvati
Guesc ittanben katr ma ernuba gudn Sullo sfondo del tramonto rosa-caldo
Vra jescklla sittranar gund misagr, E di una villetta che inalberava la bandiera
[nazionale,
Ther chibll garanbeven lxta mahra Parevano il viso solcato duna donna che
[non s accorta
Gaj musascir guen divrs kes jenabinitr Davere il naso lucido. E quel lucido guizzo
Se guadraptmijen leb sierrakr masascisc Per molto tempo ancora, beffardo e pungen-
[te,
Smm-jab dovr-jab migulcia gassta mihsc Sentii saltellare e contorcersi come un pescio-
[lino-pagliaccio
Sci munu lssut junscru gurlka varsc. In fondo alle tenebre della mia anima.
La lingua concepita da Landolf ha molti elementi di verosimiglianza.
Ricorda una lingua mediorientale per la presenza congiunta delle con-
sonanti h e ch e degli pseudoarabismi mescin, wli, katr, gudn, jesckilla,
mi sagr, ther, mahra, musascir, masascisc e mihsc, costruiti su modelli
morfologici simili a quelli semitici. Ma lo pseudopersiano di Landolf
molto pi di un semplice grammelot: se si osservano le terminazioni delle
parole, sindividuano alcuni elementi ricorrenti, come -r, -ra, -n, -en,
-ra e -sc, nei quali facile individuare dei morfemi. Alcuni di essi pre-
sentano sempre la stessa consonante con una vocale variabile (ad esem-
pio magra, difra, gillra, oppure garigr, musascir, sierrakr), ci che potreb-
be far pensare alla presenza di regole di alternanza morfologica. Ben
quattro volte negli undici versi del componimento compare il trattino, ai
vv. 2 e 3 (soe-wli e jers-ni) e al v. 10 (smm-jab, dovr-jab): in questultimo
caso potrebbe avere valore morfologico, congiungendo la radice alla de-
32. T. Landol, Dialogo dei massimi sistemi, in Id., Dialogo dei massimi sistemi, Milano,
Adelphi, 1996, pp. 73-92, alle pp. 86-87.
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
285
sinenza dellinfnito, dato che gli unici elementi grammaticali che si ri-
petono nella traduzione sono i due infniti saltellare e contorcersi.
Ma le corrispondenze non sempre funzionano: Landolf si diverte a
giocare col lettore, premiandolo e deludendolo di volta in volta. Sarebbe
vano, ad esempio, cercare la parola per donna nelloriginale, che pure si
ripete nella traduzione ai vv. 2 e 7, cos come impossibile individuare il
termine per lucido, che compare due volte nello stesso v. 8, e i pronomi
personali mi e suo/sua, che si ripetono ai vv. 2 e 3. Il lettore ha limpressio-
ne di essere a un passo dalla decifrazione, ma viene puntualmente smen-
tito. Di certo, anche se la grammatica gli sfugge, non pu non riconosce-
re la raffnatezza della lingua del componimento, evidente nel rigido
rispetto del metro, nelle rime, negli omoteleuti e nel fonosimbolismo
dellultimo verso, di cui si accorge anche il critico del racconto che escla-
ma entusiasta: Ma sentite dunque questi u degli ultimi versi! Sentite
queste rime in usc! .
33
Soprattutto, pu far sua la questione che il prota-
gonista pone al critico, se cio una poesia in una lingua inesistente abbia
un valore letterario come le altre poesie, rovesciando cos lassioma cro-
ciano e dissolvendo lestetica in linguistica.
5. Conclusioni
Nella classifcazione proposta abbiamo individuato quattro diversi ti-
pi di lingue inventate: i gerghi, i grammelot (intesi non solo come lingue
teatrali), le prelingue e le pseudolingue. In realt, come si visto com-
mentando alcuni casi particolari come il grammelot di Buzzati o la pseu-
dolingua italica di Wilcock, i confni tra le diverse categorie non sono
netti e una lingua inventata pu avere allo stesso tempo elementi che la
accomunano a tipi differenti. La scala che va dalla lingua comune a una
lingua completamente inventata, che abbiamo riassunto nella tabella di
seguito, ha quindi le caratteristiche di un continuum, al cui interno le
quattro tipologie individuate sono comunque ben riconoscibili:
33. Ivi, p. 87.
daniele baglioni
286
lingua
comune
gergo
gram-
melot
prelingue
pseudo-
lingue
fonologia + + +
morfologia + +
sintassi + +
lessico +
Il vantaggio di una simile classifcazione quello di prescindere dalla
funzione della lingua inventata e fondarsi su criteri esclusivamente lin-
guistici. funzione e struttura interna, infatti, vanno tenute distinte, per-
ch a un tipo linguistico possono corrispondere funzioni diverse secon-
do il testo: il caso delle Fnfole di Maraini e dei sonetti di Cortzar, en-
trambi formalmente gerghi ma, come si visto, opposti per intento del-
lautore ed effetto provocato nel lettore. Del resto, vero anche il contra-
rio, ovvero una stessa funzione pu essere espletata da tipi linguistici
differenti: i sonetti di Cortzar e la recensione del Critico darte di Buzza-
ti sono entrambi concepiti come parodie della lingua scritta, ma i primi
sono formalmente dei gerghi, mentre la seconda strutturalmente aff-
ne al grammelot. La differenza tra le prelingue e le pseudolingue , alla
luce di queste considerazioni, sia strutturale sia funzionale: strutturale
perch, bench entrambi i tipi si caratterizzino per lassenza di elementi
della lingua comune, diverse sono le regole di formazione del lessico
inventato (ripetizione di sillabe nella stessa parola, nessi consonantici
impronunciabili e onomatopee nelle prelingue, impiego di modelli fo-
nologici ricorrenti e terminazioni uguali o quasi uguali nelle pseudolin-
gue); funzionale perch luso delle prelingue rimanda il lettore a forme
elementari di comunicazione come i linguaggi animali e infantili, men-
tre quello delle pseudolingue gli d la sensazione di essere di fronte a
forme altrettanto complesse, se non pi complesse, delle lingue naturali
a lui note.
Nella letteratura nonsense italiana del Novecento e nei generi letterari
affni lo si visto i quattro tipi sono tutti abbondantemente presenti.
Leffetto di nonsenso viene generato attraverso due strategie differenti,
che potremmo defnire di nonsenso esterno e interno: nel primo
lingue inventate e nonsense nella letteratura italiana
287
caso il nonsenso prodotto dal contrasto tra le aspettative del lettore e il
dettato senza senso del testo inventato; nel secondo, invece, il nonsenso
deriva dal contrasto tra gli elementi signifcanti e non signifcanti al-
linterno del testo inventato. Esempi di nonsenso esterno sono i sonet-
ti di Cortzar, il grammelot dello speaker del telegiornale di fo, la recensio-
ne del Critico darte di Buzzati, la Discussione di due critici sudanesi di Balla e
il Canto di trionfo di Wilcock: in essi lautore sottopone al lettore testi
senza senso presentandoli come poesie damore, notizie di cronaca, arti-
coli di giornale, ecc. Di nonsenso interno, invece, lecito parlare per
le Fnfole di Maraini, liscrizione di Wilcock e gli inserti in lingue inven-
tate di Landolf, specie i versi in pseudopersiano del Dialogo dei massimi
sistemi: il lettore viene sfdato a cercare un senso nel testo inventato, nelle
Fnfole ricostruendo la semantica del lessico dinvenzione tramite le rela-
zioni grammaticali, nelle pseudolingue di Wilcock e Landolf ricostruen-
do la grammatica della lingua inventata attraverso lindividuazione di
elementi ricorrenti e il confronto con la traduzione. Questa seconda
strategia, pi raffnata e complessa di quella del nonsenso esterno, ri-
chiede tipi linguistici in cui sia possibile individuare una struttura gram-
maticale soggiacente, che pu essere quella della lingua comune, come
nei gerghi, oppure una grammatica inventata, come nelle pseudolingue;
i grammelot e le prelingue, invece, del tutto privi di elementi signifcan-
ti, si prestano piuttosto a effetti di nonsenso esterno. Lungi dallessere
casuale, la scelta del tipo di lingua inventata quindi fondamentale alla
riuscita del nonsenso e, negli esempi pi ingegnosi come il Dialogo dei
massimi sistemi di Landolf, pu persino costituire il perno attorno al qua-
le ruota il paradosso dellintero testo.
289
Andrea Afribo
APPROSSIMAZIONI AL NONSENSE
NELLA POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO*
1. Lobiettivo quello di individuare le possibili derive o contatti, coin-
cidenze o intersezioni della mentalit e della prassi del nonsense nel codi-
ce della poesia sensata del Novecento: dunque non autori nonsensical
istituzionalizzati o ghettizzati in generi (burchielleschi o berneschi, scia-
loiani, limerick, poesia per gioco, ecc.), ma ad esempio fgure pi o me-
no insospettabili come Montale, Caproni, Nelo Risi, Zanzotto, la Neo-
avanguardia, ecc.
In tale prospettiva, al di fuori del seminato dellortodossia nonsensical,
per il ricercatore cominciano i guai, tra tutti il rischio di vedere, vista la
natura speciale della lingua poetica, effetti di nonsense dappertutto. Qua-
li criteri dunque, e limiti, mi sono posto per evitare che loggetto della
mia ricerca non si allargasse troppo, perdendo in effcacia critica? Con-
fesso che anche ora ho molti dubbi su quanto ho fatto, ma avrei desistito
del tutto dal presentare questo lavoro, se avessi trovato in certi poeti sen-
sati solo e soltanto materiali approssimativamente nonsense. Non lho
fatto perch, insieme e accanto alle fgure di cui sopra, ho trovato fgure
e altro di vaglia metrico-linguistica senzaltro in comune con il pia neta
nonsense, cio ad esempio: jeux de mots, paronomasie, qualche stortura
verbale, uso compulsivo della rima (ecco allora le non rare tirades mono-
rime, ecco soprattutto i distici baciati che, ha detto Arbasino parlando dei
suoi, fanno tanto Corrierino dei Piccoli ),
1
e poi le anafore pro lungate
e altre ripetizioni in serie che danno al testo il ritmo della litania o della
flastrocca. Per cui non ho ritenuto azzardato pensare che tra le due serie
di fgure ci fosse una relazione, e che le differenze tra le due fossero non
di genere ma, forse, solo di grado. In pi, mi ha tolto qualche dubbio
anche il fatto che le due serie procedono di conserva: cio entrambe
* Inserire nota.
1. Cfr. Poesia satirica dellItalia doggi, a cura di C. Vivaldi, Parma, Guanda, 1964, p. 267 n.
andrea afribo
290
prima di una certa data nel poeta sensato non ci sono, e ci sono do po
una certa data. Infne: dopo una certa data tutti questi poeti, chi pi chi
meno, mi hanno soddisfatto altre tre condizioni. Pretendevo cio da loro
che, punto primo, a monte del loro scarto dal senso codifcato non agisse
lidea consueta delloscurit e della diffcolt, cio di quanto la norma
della grande lirica tragica moderna, ma che agisse invece la strategia con-
sueta del nonsense, ovvero il divertissement, lo humour, con i relativi effetti
apotropaici e antiautoritari, anarchici. Punto secondo: da questi poeti
non nonsense pretendevo che qualche volta citassero nella loro poesia o in
altre sedi, autori, episodi ecc. legati allistituzione nonsensical; e infne,
punto terzo, che almeno una volta nella vita, esibissero exploits non sensical
con tutti i crismi. Le mie richieste non sono cadute nel vuoto.
Esplicito allora la certa data, tra laltro prevedibile, di cui sopra. Il ter-
mine post quem sono ovviamente gli anni Sessanta, e questo signifca che
i pi antichi autori e i libri coinvolti sono: lultimo Montale, quello da
Satura in poi; Nelo Risi, del 56 Polso teso, la sua prima vera raccolta; lul-
timo Caproni, da Il muro della terra in poi; Zanzotto, quello della Belt ma
soprattutto di Pasque; i poeti novissimi e in generale la Neoavanguardia.
Poi ovviamente tutti gli altri poeti a venire, che esordiscono dopo o ben
dopo la data suddetta. Ma cosa rappresentano gli anni Sessanta e din torni
ai fni del nostro discorso? Rappresentano unet di massima circolazione
e concentrazione di vecchi e nuovi surrealismi e dei pi vari sperimenta-
lismi con i loro, cos fortini, miti del Non-Senso ;
2
unet di messa in
crisi delle distinzioni pi elementari del tipo di, ha scritto Calvino, giusto
e sbagliato, s/no, soggetto e oggetto, razionale e irrazionale, conscio e inconscio. Si
pensi ad esempio a queste pillole montaliane: il distorto era il dritto (p.
466),
3
oppure stasi o moto / in nulla differiscono (p. 471), o al fatto che,
da Satura in poi, le non poche occorrenze della parola senso risultano sem-
pre situate in contesti negativi e dubitativi: se un prima e un dopo hanno
ancora un senso (p. 509), non pu nemmeno avere un senso (p. 567),
se ha un senso dire punto dove non spazio (p. 712) e cos via; e che in
2. F. Fortini-L. Binni, Il movimento surrealista, Milano, Garzanti 1991, p. 14.
3. I numeri tra parentesi si riferiscono alle pagine di E. Montale, Tutte le poesie, a cura
di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1984.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
291
un luogo senso e nonsenso letteralmente si incontrano: bisogna fngere /
che movimento e stasi / abbiano il senso / del nonsenso / per compren-
dere / che il punto fermo un tutto / nientifcato (p. 359).
E sono unet, gli anni Sessanta, nel mondo e anche in Italia, in cui
entrano decisamente in crisi i sistemi flosofci tradizionali, e trionfano
invece le nuove flosofe, le nuove matematiche, le geometrie non eucli-
dee, Wittgenstein. In due articoli famosi ancora Calvino parla di un m-
nage inedito e pi stretto che in passato tra letteratura, flosofa e scienza,
con un guadagno per tutti di nuovi stimoli allimmaginazione e di di-
versissimi mondi visionari e linguistici , di giochi tra segni e signifca-
ti
4
di tipo non convenzionale. Ancora Calvino: il clima oggi dominan-
te tra i giovani scrittori pi flosofco che mai, ma di una flosofa inter-
na allatto stesso dello scrivere ,
5
e tra i nomi che fa non pochi apparten-
gono o sono prossimi alluniverso nonsense: Lewis Carroll, Queneau, i
surrealisti e post-surrealisti, Oulipo e Tel Quel, Borges, in Italia Calvino
stesso e implicitamente la neoavanguardia coeva. E si vedr, infatti, come
non pochi episodi di esibita e allegra approssimazione al nonsenso siano
debitori di tecniche concettuali e stilistiche proprie del discorso logico-
flosofco: paradossi soprattutto e paralogismi vari, fno al flosofese pi
civettuolo e manierista come ad esempio qui, nel Caproni postumo di
Res amissa: Il Nulla, spiegano, il non essere E allora / come pu al-
lora / Essere il non essere? in un testo che non a caso si intitola
Pierineria.
6
E infne gli anni Sessanta sono, come pi che noto per la
questione poesia, et di allargamento e abbassamento del tradizionale
standard linguistico-stilistico, ovvero del cosiddetto grande stile qua-
lunque esso sia. Da qui in poi la lirica novecentesca include tutto quellal-
tro da s che prima aveva escluso. Come scrive Montale in Poesia inclusi-
va, un articolo del 1964 ( Corriere della sera , 21 giugno), i poeti sono
inclusivi di tutto :
7
e che in questo tutto sia compreso anche la risorsa
4. I. Calvino, Filosoa e letteratura, in Id., Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e societ,
Milano, Mondadori, 1995, p. 189.
5. Ivi, pp. 186-87.
6. G. Caproni, Lopera in versi, ed. critita a cura di L. Zuliani, intr. di P.V. Mengaldo,
cronologia e bibliografa a cura di A. Dei, Milano, Mondadori, 1998.
7. E. Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, Milano, Monda-
andrea afribo
292
del nonsense, dellarbitrariet e del gioco appunto quello che spero di di-
mostrare e si veda tra laltro il risvolto di copertina, frmato dallautore,
del pasoliniano Trasumanar e organizzar (1971): Il terzo principio stato
quello di concedersi una certa libert linguistica rasentante talvolta lar-
bitrariet e il gioco (cose in precedenza mai avvenute [] ) .
8
Nello stes-
so tempo sia chiaro che non mi permetterei mai di dire che lultimo
Montale e gli altri sono poeti nonsense.
2. Tra le restrizioni che dicevo, la prima riguardava che sullo sfondo ci
fosse semplifco il comico e non il tragico. Tra i derivati del comico
non sbagliato annoverare la parodia. Ora la parodia di proverbi o di loci
letterari seri e famosi, se non sostanza della scrittura nonsense certo
non lultimo degli accidenti. Cos da Burchiello a Lewis Carrol fno a
Scialoja, per questultimo si pensi a incipit come Sempre caro mi fu
questermo corno , Il sabato del vigliacco , La lepre ha il pi crudele
dei musi ecc. Ma la parodia una possibilit anche in Montale, e pro-
prio a partire da Satura. Si pensi a Piove, nota parodia dannunziana, ma
tutta Satura e libri successivi fanno tendenzialmente il verso al Montale
serio di un tempo. Oppure si pensi a Nelo Risi dove ad esempio un testo
come La siepe la versione desacralizzata dellInnito leopardiano.
9
Restando sempre in tema di humour, un altro motivo di possibile con-
vergenza tra autori nonsense e poeti come Montale, o Risi o Caproni, la
presenza di testi in cui si registra la comune vocazione al ghiribizzo con-
cettuale ai fni di una conclusione straniante e paradossale. Si prenda il
caso di Montale. Una delle novit, pi nel male che nel bene, del suo f-
nale di carriera la presenza piuttosto massiccia di testi che si fanno
beffe del senso comune, che lo prendono per il naso sabotando con vari
mezzi la coerenza e la sostenibilit delle varie ides rues.
10
Questi testi
dori, 1996, vol. i p. 2632.
8. P.P. Pasolini, Trasumanar e organizzar, pref. di f. Cordelli, Milano, Garzanti, 2002,
p. 220.
9. N. Risi, Di certe cose (poesie 1953-2005), intr. di M. Cucchi, Milano, Mondadori,
2006.
10. Per questo aspetto cfr. G. Mazzoni, Forma e solitudine. Unidea della poesia contempora-
nea, Milano, Marcos y Marcos, 2002, pp. 90-113.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
293
sono costruiti come, o quasi come, un sillogismo. Dunque presentano
una o pi premesse e appunto una conclusione volentieri dotata di para-
dosso e agudeza, in quanto generata da una interpretazione solo apparen-
temente corretta delle premesse, oppure dallo sposare lo sviluppo logico
delle premesse fno in fondo, fno a che diventa assurdit (mentre, si sa,
che il senso qualcosa che accetta la logica fno a un certo punto). Meglio
dunque chiamarli non sillogismi ma sofsmi o paralogismi. Iniziano con
la presentazione di una doxa, tramite o un se, ad esempio: Se dio il
linguaggio, lUno che ne cre tanti altri / per poi confonderli / come fa -
remo [] , ecc.; o una frase apodittica, o una frase con Dicono che, Credo-
no che, di cui un sottogenere il tipo Dice il losofo. Ora, anche restando
fermi alle premesse, facile capire di essere quasi del tutto dentro lorbi-
ta del ridicule e dellassurdo. Proprio lantonomasia del losofo infatti co-
nosce una serie di declinazioni strampalate e improbabili del genere di
teologi in tuta o paludati , il flosofo interdisciplinare , i flosof del-
lomogeneo e delleterogeneo che, mettiamo, non possono non ricor-
darci gli astrusi, quanto ridicoli e inutili, scienziati dellAccademia di La-
gado degli swiftiani Viaggi di Gulliver. Ma anche leggendo avante ci si
convince che questi ragionamenti non sono una cosa seria e sensata: non
rarissimo ad esempio il jeu de mot, come nel testo che segue, in cui Mon-
tale cita il noto incipit giovanneo, In principio era il Verbo , giocando
sul doppio senso di Verbo-Dio e verbo-parola. La freddura arriva nella
classica sede dellexplicit:
Si risolve ben poco
con la mitraglia e col nerbo.
Lipotesi che tutto sia un bisticcio,
uno scambio di sillabe la pi attendibile.
Non per nulla in principio era il Verbo.
E si faccia attenzione: la conseguenza di questa mislettura, cio che
quanto accade nel mondo reale sia riconducibile a uno scambio di silla-
be , credo possa ricondursi in generale al concetto di arbitrariet del se-
gno, alla logica surreale e nonsensical di un nominalismo ricreativo e irri-
verente, una sorta di res sunt consequentia nominum e non il contrario. Entro
questa prospettiva metterei linsistenza in questo Montale per limmagi-
andrea afribo
294
ne di Dio come correttore di bozze o Proto, o per il refuso come costrut-
tore di altri mondi e nuove verit possibili, cfr. ad esempio solo i refusi
del cosmo / spropositando dicono qualcosa (p. 707).
3. La seconda condizione pretende che i suddetti poeti seri abbiano
fatto talvolta riferimento diretto ad autori nonsense. Basti qui un esempio
mirato e poi unindicazione di massima. Nelle Pasque di Andrea Zanzot-
to, trovo una poesia, Qualcuno cera, che fnisce cos: La maestra lo dice /
lo dice Lewis e Alice . Ovviamente Lewis Carroll, e Alice quella di
Wonderland.
11
Lexplicit ci suggerisce di ricondurre anche a tali icone del
nonsense i caratteri tipici di questo testo e dello zanzottismo in generale,
quali stato di trance fabesco-onirica e proliferazione rapidissima di segni
linguistici sganciati da una normale logica connettiva e associativa (pro-
liferazione che nel testo metaforizzata dalle fgure di conigli e coni-
glietti senzaltro carrolliani, a cui si deve la seguente serie di neoconiazio-
ni: conigliare, sconigliare, conigliazione). Carroll e Alice sono poi letteralmen-
te citati nei primi cinque versi di una poesia di Nelo Risi: Il reverendo e la
bambina il suo titolo signifcativo. Ma ancora su Carroll-Zanzotto: pro-
prio dello stesso anno di Pasque, 1973, il lungo saggio intitolato Infanzie,
poesie, scuoletta, dove il nome di Carroll compare pi volte ed sentito co-
me colui che propone libert da ogni schema noto, e che reinventa il
mondo per tutti .
12
Il fatto ancora pi interessante che qualche pagina
dopo, e senza soluzione di continuit concettuale, Zanzotto propone uno
schizzo di storia della poesia italiana del Novecento, e soprattutto del se-
condo Novecento, alla luce di surrealismo e nonsense francese e an glosas-
sone, facendo i nomi di Breton, Prevert, Edward Lear e ancora di Carroll.
E proprio Prevert, Queneau e dintorni sono autori de chevet (e pertan-
to volentieri tradotti) per poeti come Risi e Caproni. Loro traduzioni
compaiono ad esempio in una antologia curata da Attilio Bertolucci e
Pietro Citati per Garzanti, anno 1961, dal titolo Gli umoristi moderni, che
sono anche, tra gli altri, Petrolini, Campanile, Ionesco, e ancora Carroll
11. A. Zanzotto, Le poesie e prose scelte, a cura di S. Dal Bianco e G.M. Villata, Milano,
Mondadori, 1999.
12. Ivi, p. 1171.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
295
e Lear. facendo un bel salto di tempo, tra le fonti confesse di un poeta di
oggi come Valerio Magrelli (amante di paradossi, di calligrammi, di rea-
dy-made poetici, e di tutto quanto disturbi o vada oltre la logica del siste-
ma binario, per parafrasare il titolo del suo libro pi recente), in Magrel-
li, dicevo, ritroviamo ancora Queneau la galassia Dada e lOulipo, Perec,
Wittgenstein (precisamente ricordato per i suoi cortocircuiti paradossa-
li), Borges, Toti Scialoja, le geometrie non-euclidee. Signifcativa per i
nostri temi questa sua dichiarazione di poetica: [la poesia un] campo
di scambi in cui regna un ordine diverso. [] Si sta andando da qualche
parte, ma non si sa dove. Qualcosa di simile avviene nelle geometrie non
euclidee, nel nastro di Moebius .
13
E tra parentesi e sempre restando al-
loggi, segnalo che Ottavio fatica, cio il traduttore dei Limerick di Edward
Lear per Einaudi, traduttore eccellente e diciamo cos informato sui fat-
ti, schizzando nelle sue note fnali un breve paragrafo sulla fortuna del
limerick dopo Lear, include anche il poeta italiano Gabriele frasca con il
suo libro, anno 1995, intitolato proprio cos: Lime.
14
La terza condizione: che almeno una volta questi poeti si lascino an-
dare a qualche exploit nonsensical. Si prenda, da Polso teso di Nelo Risi, il
delizioso divertissement La settimana del poeta, dotato di classico jeux de mot
in perfetto stile surrealista (Duchamp o Prevert, ecc.) e nonsensical:
Lunedi forse che s
Martedi forse Queneau
Mercoledi Giovedi Valry
Sabato Rilke
Domenica prosa.
Oppure si consideri Caproni, la sua Litania (che veramente prima de Il
muro della terra), un testo sulla citt di Genova in couplets baciati (cio vec-
chie conoscenze della famiglia nonsensical). Qualche tessera:
Genova di banchina, / transatlantico, trina [] Genova di canarino, / persiana verde,
13. V. Magrelli, Lenigmista e linvasato, in Seminario sulla poesia, a cura di F. Nasi e L.
Vetri, Ravenna, Essegi, 1991, p. 135.
14. O. Fatica, Otto note (e tre postille) per una postfazione, in E. Lear, Limericks, a cura del-
lo stesso, Torino, Einaudi, 2002, p. 232.
andrea afribo
296
zecchino. [] Genova nome barbaro. / Campana. Montale. Sbarbaro. [] Genova
vecchia e ragazza, / pazzia, vaso, terrazza. [] Genova di Corso Oddone. / Ma-
reggiata. Spintone. / Genova di piovasco, / follia, Paganini, Magnasco. [],
ovvero una serie di uno-due in rima paradossali, arbitrari, dove tutta a
nudo la fnzione dellartifcio poetico. Ed un Caproni forse non troppo
dissimile dalle sperimentazioni automatiche di Antonio Porta e in parti-
colare dal suo Rimario del 1973 (nella raccolta Week end), di cui qui sotto
uno specimen:
[] vestaglia / canaglia // caduto / muto // lama / chiama // brandello / fratello
// muco / buco // conforme / dorme // corde / morde // pane / cane [].
15
Nel novero degli esempi si pu aggiungere, strano a dirsi, anche Monta-
le. Si tratta di pochissimi testi, ovviamente esclusi dallOpera in versi con-
tiniana, inclusi invece tra le Poesie inedite dei Meridiani Mondadori, o
leggibili in quella miniera di acrobazie e civetterie linguistiche (alla lun-
ga snob e fastidiose) qual il Carteggio con Gianfranco Contini.
16
Un
primo esempio il seguente Notizie & Consigli, inviato a Bobi Bazlen
nel 38: Manda Mir, / non dir di no, / i libri rei / lascia di ebrei. / Ri-
cerchi invano / posti a Milano, / solo tra i proci / mangi peoci eccetera
eccetera. Oppure questo, che compare come poscritto in una lettera a
Contini datata 1943: Pi no se puede / reggersi in piede, / pi no se
posse / rodersi losse e cos via. Si pensi infne che nel suddetto carteg-
gio tra le varie formule di congedo molte sono di questo tenore: Euse-
biolin / plin plin ; Caro Trabuccolin quin quin .
17
4. Dopo questa carrellata due parole su un caso particolare, quello
dellultimo Caproni, nel quale linsensatezza e lassurdo inscritti fn dalle
origini nella sua storia poetica fanno ora un salto di livello, cio da dati di
esperienza storico-esistenziale diventano un problema ontologico. Co-
15. A. Porta, Tutte le poesie (1956-1989), a cura di N. Lorenzini, Milano, Garzanti, 2009,
pp. 275-83.
16. Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, a cura di D. Isel-
la, Milano, Adelphi, 1997.
17. Ivi, risp. pp. 185 e 181.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
297
me prova baster citare dal postumo Res amissa il seguente apoftegma:
Ogni verit / nel suo contrario , che ha tra laltro la forma di quel
nonsense sui generis che il cosiddetto paradosso semantico, anzi: una
perfetta variante formale del pi classico di questi paradossi, quello del
mentitore. E dunque: se si suppone che lenunciato Ogni verit / nel
suo contrario sia vero, allora esso falso, ma se si suppone che sia falso,
allora esso vero. Ora in questo Caproni, per tacere di molto altro, trovo
fgure nelle quali si condensa al massimo e quasi manieristicamente il
nonsenso. Tra cui, in primo piano e persino troppo idolatrata dai fans della
sua ultima fase, la serie di paradossi o adynata del genere di: Sapevo che
non lavrei trovato / a casa, quel giorno. / Per questo avevo scelto quel
giorno / per andarlo a trovare [] Non cera. Avevo ragione. / Cos,
venne lui in persona / ad aprirmi (ed. Zuliani, cit., p. 327); Meglio chio
vada prima che me ne vada anchio (p. 348); Se volete incontrarmi
cercatemi dove non mi trovo (p. 406); Sono tornato l / dove non ero
mai stato (p. 374); Tutti i i luoghi che ho visto [] non ci sono mai
stato (p. 382). Dietro a questi esempi c molta storia della flosofa, ma
anche, mettiamo, la poetica del surrealismo. Si pensi a una scena de Il
fantasma della libert di Buuel, dove un padre denuncia al commissariato
la scomparsa della fglia portandosi dietro la fglia e suggerendone liden-
tikit con lei l, sotto gli occhi.
Ma anche, restando in poesia e in Italia, credo giusto e istruttivo ricor-
dare due versi di Sbarbaro come questi: tutto quello / che vedo come
non veduto mai
18
e mettergli a fanco il caproniano Tutti i i luoghi che
ho visto [] non ci sono mai stato (p. 382). Lo credo istruttivo, perch
ci consente di misurare nel quasi identico la differenza, cio il salto di
qualit in tema di forma nonsensical compiuto da questo Caproni rispetto
al suo predecessore. Sbarbaro con quel come, con quel come se, tiene il
piede in due staffe: enuncia la sostanza paradossale, ma insieme ne atte-
nua lo shock, glossandola razionalmente, mantenendo le paratie tra il
senso e il nonsenso insomma: dice che sembra cos e non che cos.
Diversamente, senza il come, Caproni pu presentare il suo paradosso
come se fosse normale, restando impassibile al suo gioco. Insomma, per
18. C. Sbarbaro, Pianissimo, a cura di L. Polato, Venezia, Marsilio, 2001, p. 65.
andrea afribo
298
dirla con Carroll, Sbarbaro non attraversa del tutto lo specchio, unAli-
ce alle prime armi, sempre incredula e stupefatta perch ancora aggrap-
pata alla normalit, Caproni invece tutto dentro, tutto calato nel gioco,
come la lepre marzolina o il Cappellaio.
Attorno a questo nucleo possono poi gravitare altri satelliti circa non-
sensical come freddure del tipo La morte non mi avr vivo (p. 453, va-
riazione su temi lapalissiani del genere di sil nestoit pas mort / il serai
encore en vie , un quart dheure avant sa mort il tait encore en vie ),
bisticci come spara prima che sparisca (p. 555) o giochi pi estesi come
il seguente, dove prima e pi di Caproni ci sar Zanzotto, quello di Mi-
crolm di Pasque, e prima ancora Risi:
Caproni, Tristissima copia/ovvero/qua- Caproni, Lo stravolto (da Il muro della ter-
rantottesca (da Il muro della terra) ra)
Partivan tutti e addio io,
e addio e addio e a Dio. quant vero Iddio, a Dio,
Soltanto chi non partiva (io) io Gli spacco la faccia (326),
partiva in quel rimescolio;
Zanzotto, Microlm (da Pasque) Risi, Gi per li rami (Dentro la sostanza)
Dio
iodio (siam tutti un po sargassi)
Io
O di (Giotto)
odio (di classe)
oddo!
dodo ( gi la scienza)
addio (ai dolci amici e al mondo.
5. Ma si passi dal particolare al generale, e ci si chieda: i fatti ora visti
sono effetti nonsensical solo qua e l, superfciali e fne a s stessi, oppure
sono gli indici pi vistosi di un sistema, quello della poesia sensata, che
meno lontano di un tempo, lo sappia o no, dal pianeta del nonsense? Mi
sento autorizzato a sposare la seconda ipotesi per la ragione che in Mon-
tale, Caproni, Risi, Zanzotto, ecc. ho visto nascere o crescere, contem-
poraneamente ai citati episodi nonsensical, tutta una serie di fgure retori-
co-linguistiche particolari, che nei loro libri precedenti agli anni Sessanta
il nonsense nella poesia italiana del novecento
299
non esistevano affatto. Sono fgure che riguardano in sintesi tutti i casi di
surplus del signifcante e dunque di liberazione, tanta o poca, dalle leggi
del signifcato. Intendo perci paronomasie, metaplasmi, strisciate di f-
gure etimologiche, polittoti in libert anche a costo di pi o meno aber-
ranti agglutinazioni come, in Montale, il fondatore non fonda perch
nessuno / lha mai fondato o fonduto (ed. Zampa cit., p. 377); o come, in
Risi, defetto declino decado decampo e degrado [] sono un Pilato
deietto delato (ed. cit., p. 104), che quasi un tautogramma. Queste fgu-
re forse le pi immediatamente o proverbialmente legate alla scrittura
nonsense sono, beninteso, presenti in tiratura limitata, ma che ci siano in
autori siffatti, gi una buona notizia e non bisogna pretendere troppo.
Le troviamo invece in abbondanza in poeti seri s ma sperimentali come,
per intenderci, Zanzotto o pi o meno tutta la neo avanguardia.
Ha invece riempito le mie schede tutta una serie di fgure legate alla
indecidibilit del senso, fgure di ambivalenza, tanto di reversibilit quan-
to di coincidentia e/o contiguit degli opposti o dei molto diversi, e benin-
teso senza lobbligo di presenza di una gerarchia del tipo vero-falso, o sen za
lobbligo di una successiva e razionalizzante sintesi dialettica. Reversibilit
ad esempio il titolo di una sezione de Il franco cacciatore, nel quale libro
caproniano trovo sequenze esemplari come linseguito insegue / il
suo inseguitore. Dove non si pu pi dire (fgure concomitanti / fra loro,
e equidistanti) / chi sia il perseguitato / e chi il persecutore (ed. Zuliani
cit., p. 484). figure di coincidenza si registrano in Mon tale, in Risi e certo
non mancano nemmeno in Caproni e in Zanzotto, ovvero ossimori e
antinomie varie, sintagmi copulativi come, nellultimo Montale, i non
pochi tutto e nulla (ed. Zampa cit., pp. 393, 424, 440, 462, 480), il vero e
il falso (che sono come il retto o il verso della stessa medaglia , p. 453),
pieno e vuoto (pp. 489, 526); ma luoghi fertili di ossimori e simili sono
pure, tra gli altri, la poesia di Zanzotto, per cui si veda di Gnessulgo (ne Il
Galateo in Bosco) il seguente verso con doppia antinomia: ( cos che bo-
sco e non-bosco in quieta pazzia tu coltivi) (ed. cit., p. 554). E poi ricordo
che Pasolini, tra i principi del suddetto Trasumanar e organizzar, annovera
la rassegnazione di fronte al persistere delloximoron, o della sineciosi .
19
19. Pasolini, Trasumanar e organizzar, cit., p. 220.
andrea afribo
300
Ancora pi signifcativa la frequenza, cio la crescita, delle disgiunti-
ve, i cui o non sono mai degli aut ma dei vel, cos che i poeti che le scrivono
sono come degli Amleti postmoderni, in fondo compiaciuti di non pote-
re o non voler decidere tra lessere o il non-essere. In Montale ad esempio,
nel solo Diario del 72 le disgiuntive sono quasi il doppio di quelle di Occa-
sioni e Bufera sommate insieme, 51 contro 29. Infne, un altro reparto mol-
to nutrito quello degli elenchi, che sono sempre pi casuali e sganghe-
rati, o sempre pi lunghi, da qui la comparsa di veri e propri testi-elenco,
quasi litanie potenzialmente aperte e allungabili ad libitum. Giusta la loro
insensatezza potremmo chiamarli elenchi alla burchia o, per dirla con
Rodari, elenchi- bastimento , dove spesso lunico collante certo lomo-
teleuto o la rima. Cos in Risi: la nemesi losceno la questura / leuropa
tutelare, il fglio / nato per partenogenesi / e il cancro con lincenso / e
let doro [] (ed. cit., p. 39), Giullari paria / pecore di Dio / [] / la
bambina col diadema / nel suo gelato di cristallo / lo studente di Magon-
za / che la morte ha colto in viaggio / [] (pp. 87-88), un Coriolano
vinto / un cameriere defunto / un artigiano al tornio / un aratro forbito
/ un uccellino dipinto / una ragazza in topless / due versi di Cummings
/ diecimila negri che manifestano [] (pp. 158-59). Cos in Arbasino:
In amore fra siepi di mortella / Annaffate dagli enciclopedisti / Dai
classicisti / dagli antologisti / dagli autolesionisti / dai legittimisti [] ,
20

o ancora nel Montale di Satura, in Piove, La storia, o in Fanfara:
[]
la meraviglia sintetica
non idiolettica
n individuale
anzi universale
il digiuno
che nutre tutti
e nessuno
[]
il trionfo
nel sistema trinitario
20. Da Apprendista Tebaide, in Poesia satirica dellItalia doggi, cit., pp. 275 sgg.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
301
dellex primate
su se stesso su tutto
ma senza il trucco
della crosta in ammollo
nella noosfera
e delle bubbole
che spacciano i papisti
modernisti o frontisti
popolari gli impronti!
[],
ovvero fenomenologia di un Montale che ha letto Arbasino (!) e anche
altri nuovi e pi giovani ,
21
tra cui ad esempio flaiano e Risi.
22
In conclusione: le suddette sono tutte fgure in cui si avverte il gioco e
il divertimento intellettuale, il gusto della libert ottenuta grazie a una
combinatoria nonchlante e libera dagli schemi di ogni binarismo o dua-
lismo confittuale. in fondo la logica dadaista del groviglio degli op-
posti e di tutte le contraddizioni come si legge nel Manifesto Dada 1918
di Tzara e Picabia,
23
o la logica della porta di Duchamp sempre chiusa
e sempre aperta porta di Duchamp che ad esempio Gio ferri, uno dei
padrini della poesia sperimentale italiana di questi anni, riprende per
defnire la sostanza della poesia di Scialoja e i suoi universi conclusi e
sempre aperti . E infne sono tutte fgure che un fontanier includerebbe
sicuramente nel paragrafo paradoxisme, e concettualmente coincidenti in
toto o per difetto con quelle usate nella letteratura nonsense. Si pensi ad
esempio al botta-e-risposta tra il Re e il Coniglio Bianco in Wonderland,
dove dire important e subito dopo unimportant del tutto indifferente:
Thats very important , the King said [] Unimportant, your Majesty means
of course he [the White Rabbit] said [] Unimportant, of course, I meant ,
the King hastily said;
24
21. P.P. Pasolini, Satura [1971], in Id., Saggi sulla letteratura e sullarte, a cura di W. Siti e S.
De Laude, con un sagio di C. Segre, Milano, Mondadori, 1999, vol. ii p. 2562.
22. Cfr. Mazzoni, Forma e solitudine, cit., pp. 99-113.
23. Fortini-Binni, Il movimento surrealista, cit., p. 59.
24. L. Carrol, Alice nel paese delle meraviglie, Milano, feltrinelli, 2006, p. 174.
andrea afribo
302
oppure a una delle Filastrocche in cielo e in terra intitolata Quanti pesci ci sono
nel mare?, dove un pescatore dice pi di sette , un altro pi di mille e
il terzo pi di un milione e che cos si conclude: E tutti e tre avevano
ragione ,
25
o al seguente testo di Toti Scialoja:
Lattimo del sospetto
si accende e non si accende
lalibi dellinetto
si vende e non si vende
lalito dellinfetto
si estende e non si estende,
e cos via. Ma poi si considerino due poeti della neoavanguardia di secon-
da generazione con spiccate doti nonsensical come Giulia Niccolai e Cor-
rado Costa e due loro testi esemplari, rispettivamente Positivo & negativo:
Ogni cosa pu accadere
avere un senso o non averlo.
Non ha verit da proporre
mantiene aperto il signifcato
il senso nasce nominando le cose.
Unimpaginazione
una comunicazione di forme
lipotesi di una realt in movimento:
una vertigine di inversioni
infnite e diverse.
E ci che ad esse si oppone
pu essere sempre rovesciato:
nel proprio contrario,
e un frammento da Luomo invisibile:
Non danno molti flm
di Luomo invisibile
25. G. Rodari, I cinque libri. Storie fantastiche, favole, lastrocche, Torino, Einaudi, 1995,
p. 63.
il nonsense nella poesia italiana del novecento
303
o
ne danni molti.
Con Claude Rains, Peter Lorre
o
senza
[].
6. E sia, infne, la neoavanguardia che, va da s, per ragioni ideologiche
che fanno tabula rasa di ogni senso in quanto mercifcato ecc., e per le
note tecniche linguistico-stilistiche, appare naturalmente portata a spo-
sare la causa del nonsense. I fatti lo confermano: tanto i padri fondatori
quanto i fratelli minori o i fgli o i nipotini, tutti, chi pi chi meno, ci re-
galano prima o poi frutti nonsensical al cento per cento. Anche per i novis-
simi della prima ora vale, credo, la legge generale per cui non si d non-
sense senza gioco e procurata, cio ideologica, svagatezza. Dunque c pi
vena nonsense, e fn dalle origini, in Giuliani e Balestrini o in Porta che in
Sanguineti. Ma anche per questultimo: baster che il rigido e psicotico
trobar clus del libro desordio, Laborintus, si sciolga per avere prodotti non-
sensical. A mio avviso le prime attestazioni risalgono al 1968 con la plaquet-
te T.A.T.; ma poi gli episodi si moltiplicano direi esponenzialmente: si va
dai quattro-cinque testi del ventennio 1951-1971 alle decine e decine del-
le raccolte successive. La tipologia comprende soprattutto testi-elenco
basati sulla logica del tautogramma o del ribattimento leporeambico o
dellacrostico acrobatico da qui un titolo come Acrobistico,
26
ma compren-
de, ad esempio con sequenze del genere di versavice viceversa e dice ,
anche la maniera del Carroll di Jabberwocky. C poi Antonio Porta, sia il
poeta, sia il critico e loperatore culturale. Lultrasenso del nonsense in-
fatti uno dei fli rossi che attraversano e costruiscono la sua famosa anto-
logia per feltrinelli, Poesia degli anni Settanta (1979). Scialoja, ad esempio,
trattato con i guanti e pur ammettendo la sua extravaganza se ne riven-
dica una certa vicinanza al discorso della neoavanguardia. Cos con Por-
ta in primo piano il binomio nonsense e mondo dellinfanzia, cio forse
il principale destinatario, soprattutto virtuale sintende, del nonsense. Nel-
26. Cfr. E. Sanguineti, Il gatto Lupesco. Poesie (1982-2001), Milano, feltrinelli, 2002, p. 454.
andrea afribo
304
la raccolta Metropolis del 1971, Modello di bambini per linguaggio non a caso
il titolo del seguente nonsense (ed. cit., pp. 245-46):
mangia sale dindia fco
scotta dito fco fco
barba scotta forma latte
[] latte pancia
piccio vola frutta bene
foglia verde verdu dura
campa suona
[]
[] inna sono
rato mo
sali sedia
metto gliolo rompo bello
prendo forca sonno sto
sonno bello
[] sveglia no.
E su questa scia andr collocata la curatela con Raboni della raccolta di
poesie per bambini Pin pidin, dove c abbondanza di autori e testi non-
sense: da Balestrini a Scialoja. Ancora nellantologia portiana ritroviamo
poeti della Neoavanguardia di seconda generazione ad alto contenuto
nonsense come i gi citati Niccolai e Costa pi il sodale Adriano Spatola,
ma si consideri anche, al di fuori dellantologia, il nome di Milli Graff.
Confesso la mia simpatia per la Niccolai, che d un titolo carrolliano,
cio Humpty dumpty, a una sua raccolta del 1969, e che scrive, tra le altre,
questa deliziosa poesia:
Igea travagliato
trento, treviso e trieste
di disgrazie in disgrazia
fno Pomezia
Como era trieste Venezia.
Un testo tra i pi celebri della raccolta di nonsense geografci Greenwick
(1971), dunque in linea tanto con, ovviamente, la tradizione del limerick,
quanto con la Gertrude Stein di The Geographical History of America, che
il nonsense nella poesia italiana del novecento
305
infatti la Niccolai traduce. Se poi si volesse avere una prova in pi del
nesso neoavanguardia e spirito nonsense baster sfogliare gli indici della
rivista pi importante del movimento, cio il verri . Si troveranno cos
inediti di Toti Scialoja, traduzioni da Carroll, saggi su Carroll o Edward
Lear e cos via. C poi un numero, del marzo-giugno 1974, dedicato a
Aldo Palazzeschi, dove si scopre, o almeno io ho scoperto, che il nonsense
un ulteriore ponte tra lavanguardia primonovecentesca e la Neoavan-
guardia. Il numero dedicato a Palazzeschi, ed un Palazzeschi molto
celebrato e proprio perch lo si pensa autore nonsense. Cos lo vede Milli
Graff nel suo intervento, che lo paragona ripetutamente a Lewis Car-
roll, e cos, evidentemente, lo vede Antonio Porta nella poesia che gli
dedica e che intitola proprio cos, Nonsense Omaggio a Palazzeschi ( il ver-
ri , marzo-giugno 1974):
1. 3.
una giapponese allalbese fontana morgana
sul far dellalba al primo del mese put put put
crocchiando i suoi sedani fa la nana
sbucciando piselli sotto la fontana ghiacciata
si crocchia le giappe
si sbuccia il suo seme 4.
chi chi chi abbiatecura
pigola in grembo a una francese abbiatefede
nellAntico Piemonte abbiatepazienza
nel posto delle rane
2. abbiategrasso
uccia uccia
sbuccia sbuccia [].
lecca lecca
che la mecca
fa la cuccia nella panna
chiudi gli occhi
tra i ginocchi
col rossore sulla guancia
cinque dita sulla pancia
puccia puccia
mia mariuccia
307
Luca Serianni
IL GIOCO LINGUISTICO
NELLA POESIA DI TOTI SCIALOJA*
Nonostante unattivit poetica dispiegatasi in un lungo arco di anni
(1961-1998), non si pu dire che alla fgura di Scialoja poeta abbia arriso
una fama pari a quella che ha conosciuto il pittore. Se guardiamo alle
antologie, un tipico indicatore della fortuna di un poeta novecentesco,
facile constatare come siano molte quelle che lo ignorano senzaltro.
Non fosse che per la data di uscita, relativamente alta, non ci aspetterem-
mo comunque di trovarlo in due classici del genere, quelli compilati da
Sanguineti e da Mengaldo.
1
Ma Scialoja assente anche in antologie pub-
blicate molti anni dopo: non solo in opere che trovano altrove le ragioni
di uninterpretazione critica dei poeti ospitati (Testa), ma in repertori
votati a unideale rappresentativit di valori e di tendenze (Cucchi-Gio-
vanardi) o che potremmo immaginare sensibili alle sperimentazioni del
poeta-pittore (Loi-Rondoni).
2
Eppure Scialoja stato ap prezzato da
* Citer le poesie di Scialoja dalle seguenti raccolte: Amato topino caro, Milano, Bom-
piani, 1971 [= ATC; anni 1961-1969; senza numerazione delle pagine]; Una vespa! Che spa-
vento. Poesie con animali, Torino, Einaudi, 1975 [= VSP; anni 1969-1974]; La stanza la stizza
lastuzia, Roma, Cooperativa Scrittori, 1976 [= SSA; anni 1973-1976]; Ghiro ghiro tonto, in Id.,
Versi del senso perso, Milano, Mondadori, 1989 [= GGT; anni 1976-1978]; La mela di Amleto,
Milano, Garzanti, 1984 [= MAM; anni 1974-1980]; Poesie 1961-1998 [= POE; in realt il vo-
lume abbraccia il quindicennio 1983-1998 e comprende, come si legge nella quarta di
copertina, quella parte della produzione poetica di Toti Scialoja che non ricade nellam-
bito della poesia per bambini e del nonsense ]. La sigla sempre seguita, tranne nel caso di
ATC, dallindicazione del numero di pagina. Indico il confne di verso col segno /, quello
di strofa col segno //.
1. Cfr. Poesia italiana del Novecento, a cura di E. Sanguineti, Torino, Einaudi, 1972
2
, e
Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978.
2. Cfr. risp. Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, a cura di E. Testa, Torino, Einaudi,
2005; Poeti italiani del secondo Novecento (1945-1995), a cura di M. Cucchi e S. Giovanardi,
Milano, Mondadori, 1996; Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000, a cura di F. Loi e
D. Rondoni, Milano, Garzanti, 2001 (la dichiarazione che potrebbe autorizzare un atteg-
giamento di simpatia per la poesia di Scialoja si legge a p. 14 dellIntroduzione: la poesia si
distingue dalla prosa per la propria libert rispetto a una intenzione e a un ordine narrati-
luca serianni
308
critici-scrittori di eccezione: da Antonio Porta che lo ha accolto in una
sua nota antologia
3
e gli ha dedicato acuti interventi, soffermandosi su
varie raccolte a partire da ATC, defnito folgorante libretto
4
fno a
Giorgio Manganelli, per il quale la sua invenzione linguistica costituisce
uno dei fatti pi singolari della letteratura italiana di questi anni ,
5
e a
Giovanni Raboni, che ha additato in lui il talento poetico pi originale
e compiuto rivelatosi in Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta .
6
Quel che certo che la fsionomia poetica di Scialoja stenta ad ap-
parentarsi con quella dei poeti a lui contemporanei. Se per certi esiti
qualche critico ha pensato allo sperimentalismo del Gruppo 63 ,
7

notevole la sua estraneit al plurilinguismo e al pluristilismo tipici non
solo di quel cenacolo ma di tanta parte della poesia del secondo Nove-
cento.
8
Qual che tangenza si pu riconoscere, semmai, in singoli episodi.
vi e per la sua assoluta attenzione ai suoni ). Per altre informazioni sulla presenza di
Scialoja poeta in antologie rinvio allaccurata tesi di laurea di Orietta Bonifazi, Toti Scialoja
poeta-pittore. Un percorso imperfetto verso linvisibile , relatrice Bianca Maria frabotta, discus-
sa nellUniversit di Roma La Sapienza nella.a. 2004-2005 e consultabile allindirizzo
web: www.disp.let.uniroma1.it/fleservices/flesDISP/Toti%20Scialoja.doc.
3. Poesia degli anni Settanta, a cura di A. Porta, Milano, feltrinelli, 1979, pp. 195-96 (con
la Nota ai testi, ivi, p. 71).
4. Nella prefazione a SSA, p. 6.
5. Cfr. I percorsi della scrittura, a cura di F. Cavallo e M. Lunetta, Napoli, Ist. italiano di
studi flosofci, 1988, p. 28.
6. Cfr. T. Scialoja, Animalie, catalogo della mostra a cura di A. Ranchi, Bologna, Gra-
fs, 1991.
7. Per Bianca Maria frabotta, ad es. (Toti Scialoja: le malinconie di un poeta comico, in Il
comico nella letteratura italiana, a cura di S. Cirillo, Roma, Donzelli, 2005, pp. 489-503, a p.
490), MAM poco si distingue dal funambolismo programmatico di alcuni esponenti di
quel gruppo.
8. A titolo di curiosit, noter leccezionalit di fatti post-grammaticali, e tutti nelle
poesie pi tarde: regionalismi ( son mica il bagatto! grida un macilento in ciabatte in
unallucinata visione infernale di POE 460), tecnicismi ( certo un effetto vasovagale :
POE 435), arcaismi (pressoch nulla da registrare, fatta eccezione per singole emergenze
letterarie debolmente marcate come mestieri / esplorare i cespugli : POE 161, lunghes-
so POE 460). Quanto al pre-grammaticale (o assimilabile), si pu citare un gioco fonico
che crea occasionali hapax in SSA 67: Ieri vidi tre levrieri / mogi mogi, / oggi vedo tre
levroggi / neri neri, / che domani sloggeranno / levri levri . Alquanto rare e dunque
no tevoli in una poesia idealmente indirizzata ai bambini e nella quale tanta parte hanno
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
309
Per esempio nel Modello di bambini per linguaggio di Porta,
9
in cui si ripro-
duce il linguaggio infantile, con soluzioni tuttavia pi o meno distanti da
quelle di Scialoja (giustapposizione di parole e cancellazione di parole
grammaticali: fame pieno / messo acqua / vuole mangia ; decurtazio-
ne di pa role: puli bocca / niente dito / stare tento , fno alla confusione
fnale, che allude alladdormentarsi del bambino: inna sono / rato mo
// rompo bello / sonno sto / sonno bello / sveglia no ). O alle sequen-
ze di toponimi di Giulia Niccolai, che contano solo per la suggestione
evocativa del suono (e infatti i nomi di luogo sono trattati grafcamente
come nomi comuni),
10
ma che, a differenza di Scialoja, non sono in-
gredienti, sia pure imprevisti e imprevedibili, di una frase di senso com-
piuto.
La frabotta si soffermata sulla lenta metamorfosi della poesia di
Scialoja, la cui storia di poeta comico pu dirsi conclusa dopo il 1980.
11
E
lo stesso poeta, in una conversazione con A. Ranchi, aveva dichiarato gi
SSA un libro di nonsense per adulti , mentre lesperienza per i bambini
racchiusa tra gli anni Sessanta e Settanta .
12
Ma le flastrocche per lin-
fanzia non sono solari come sembrano
13
e del resto lo stesso Scialoja, nel-
la conversazione appena citata, precisava che le prime poesie erano scrit-
te s per un nipotino, ma segretamente erano dirette a [sua] moglie che
doveva leggerle al bambino : dunque, potremmo dire, un doppio livello
di lettura presente ab origine, gi allatto dellideazione.
I segni di continuit tra la fase nonsensica e la fase drammatica
14
non
sono pochi. Intanto, una prassi che non meraviglia in chi dichiarava a
gli animali le deformazioni suggerite dal fonosimbolismo animalesco (la zanzara di
VSP 44, gli elefanti di MAM 88).
9. In Poesia degli anni Settanta cit., pp. 180-81.
10. Cfr. ivi, p. 201 ( Treviglio. Rovato brescia asola visano / e adda e oglio e mincio e
garda / lograto barghe pastrengo e margaria. / Navi che manerbo! Lodi? ).
11. Cfr. Frabotta, Toti Scialoja, cit., p. 489.
12. Scialoja, Animalie, cit., pp. 32-33.
13. Cfr. R. Barilli, in Scialoja, Animalie, cit., p. 16, e anche F. Appel, Lanimale intellettua-
le. La poesia per bambini di Toti Scialoja, in Bollettino di Italianistica , iv 2007, pp. 101-14.
14. Adotto la bipartizione di M.P. Ammirati, Litinerario di Toti Scialoja, in Tempo pre-
sente , num. 157-158 1994, pp. 71-74.
luca serianni
310
Ranchi: Io non amo i versi liberi ,
15
ossia la fedelt alla rima e comun-
que alle corrispondenze foniche in clausola (assonanze e soprattutto con-
sonanze).
16
Alla sapiente consuetudine con la metrica moderna si deve il
ricorso alla sinafa, un istituto introdotto dal Pascoli cultore di versi clas-
sici e destinato a una certa fortuna nella poesia del Novecento, ma na-
turalmente al di fuori degli scrupoli di esattezza sillabica manifestati da
Pascoli ;
17
mentre si va decisamente oltre un certo gusto pascoliano e
primo-novecentesco con la rima franta,
18
che in Scialoja coinvolge vo-
lentieri anche rime imperfette.
Esemplifco i due istituti partendo da POE.
19
Sinafa in consonanza in
abbaglia : risvegliano 82. Rima franta in dot]tobre (: Lot) 17; labi]rinto : mirabi-
li 47; rive]derti : vive 66; rampi]cante : campi 257; consonanza franta in gas : dis]
sepolte 62; sequenze allitteranti frante in tanfo : pantofo]le 61 e Parigi : presti-
digi]tatore 283. Riscontri nella poesia nonsensica: sinafa in GGT 248 risor-
go]no : Gorgo 248; consonanza franta in VSP 16 (zampa : zampi-]rone); asso-
nanza franta in VSP 71 (antro : ranto-]lo); rima franta con sistole in VSP 52
(Cerveteri : veteri-]nari); rima franta iterata con dislocazione a distanza in
15. Cfr. Scialoja, Animalie, cit., p. 33.
16. Come sondaggio, citer il primo componimento delle prime cinque raccolte che
costituiscono POE, ognuno dei quali costituito da due quartine: 15 (da Scarse serpi): conso-
nanza o semi-conoscenza mare : spire, passaggio : naufragio e anche pallido : spalle; 89 (da Qui
la vista sui tigli): consonanza crudele : aprile, memoria : miseria, soglia : sbadiglio e assonanza
primavera : leva; 121 (da Le sillabe della sibilla): consonanza in percorsi : perversi (prima strofa;
perversi anche in rima ricca con riversi, nella seconda strofa), assonanza, o meglio quasi-
rima in intarsia : comparsa; 229 (da Estate ventosa): consonanza tempo : scampo; 253 (da I violini
del diluvio): solo consonanze (Dove : neve, tetra : vetri, strada : bradi, assurda : merda). Nella
precedente poesia nonsensica domina la rima regolare, anche con lintento di arieggiare
la cantabilit delle flastrocche infantili. Cos, la grande maggioranza dei 53 componimen-
ti di ATC rimata e alcuni di essi sono monorimi (ma si ha consonanza in adocchia : ran-
nicchia, rondini : grandine; assonanza in verme : eterne, ecc.); il primo componimento di VSP
(4 versi) ha rime regolari, il secondo (8 versi) ha rime e assonanze (marzo : scalzo, pietre :
lepre); rime, consonanze e assonanze si alternano in SSA (tra le consonanze: Nervi : curvi
18, araucaria : gloria 19; tra le assonanze: rauca : aula 19, vasca : annaspa 21).
17. P.G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 189.
18. Sul quale cfr. G.L. Beccaria, Lautonomia del signicante, Torino, Einaudi, 1989, pp.
252-53.
19. I simboli ] e -] indicano rispettivamente lassenza e la presenza del trattino di
accapo.
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
311
MAM 14 (do lintera serie di rimanti: ace]ro rinoce lace]ro pece pace
noce fronte ronte; per il testo vd. p. 325) e 125 (tras]colora : strass).
Non mancano le riprese intratestuali tra le due fasi poetiche. Si veda-
no i seguenti componimenti, rispettivamente da SSA 66 e da POE 101:
Un cane percorreva lospedale Quale rondine ho scelto
un dado ruzzolava sul guanciale per richiamarti quale
un cielo si affacciava al davanzale giravolta quale ultimo
un sole traversava lo spiraglio stridio sullospedale?
un sale si addensava sul tuo ciglio
un tale mascherava lo sbadiglio Nel bicchiere la rosa
un giglio nel bicchiere dospedale. divide la sua acqua
con la mia attesa: in posa
cos come a te piacque.
SSA, vero, si situa piuttosto in una zona adulti che non nella zona
bambini di precedenti raccolte;
20
e questo componimento, in partico-
lare, ha un senso agevolmente decifrabile, oltre la litania di frasi descrit-
tive, tutte incardinate tranne lultima (nominale) sulla struttura sogget-
to-predicato-complemento: lambiente quello di un ospedale, con am-
malati, forse lungodegenti, abbandonati a s stessi nella noia di giornate
interminabili. Lo stesso del secondo componimento, che non ha pi
nulla delleffetto-flastrocca (si vedano le insistite inarcature) ma che ag-
getta su unimmagine simile: il fore (qui la rosa, l con richiamo fonico
del rimante sbadiglio che chiudeva il verso precedente un giglio) in un
bicchiere, modesto segno di una presenza e di unattenzione in un am-
biente freddo e impersonale come quello ospedaliero.
Accanto a un tema, si pu segnalare la ripresa di un modulo che nasce
con una precisa funzionalit proprio nei libri illustrati di poesie per bam-
bini: quella di commentare una fgura animalesca che appare nella pagi-
na di fronte. Cos in ATC:
Questa sarta tartaruga
fa modelli in cartasuga,
20. Si vedano la prefazione di A. Porta, p. 8, e la gi ricordata dichiarazione a Ranchi,
in Scialoja, Animalie, cit., p. 33 (SSA un libro di nonsense per adulti ).
luca serianni
312
sotto gli occhi ha qualche ruga
con due foglie di lattuga
se le bagna, se le asciuga,
ma non sogna che la fuga.
Anche in VSP 48 ( Questo anziano gatto dAnzio ) un incipit del
genere fa riferimento a unillustrazione, mentre il deittico resta pura-
mente virtuale in due componimenti, tipicamente nonsensici, di SSA
( Questa cicala rauca , 19; Questa blatta, blanda mater , 36), ma anche
in due componimenti di POE 28 ( Questa gaia carriola ) e, con riferi-
mento animale, 527 ( Questa mosca si maschera da vespa ).
Un altro elemento tipico dello Scialoja per bambini che ritroviamo
anche in POE la toponomastica fantastica, suggerita dai suoni e pro-
motrice di imprevedibili accostamenti che hanno a fondamento ancora
una volta un animale, secondo il consueto processo di antropomorfsmo
delle fabe. Un esempio da ATC, in cui un tema familiare nellesperienza
della prima infanzia (lobbligo di mangiare quando non se ne ha voglia)
affdato a una lepre che, dopo il primo cucchiaio, si risolve a una deci-
sione drastica:
C una lepre, a Mestre, a destra,
che rimesta la minestra,
dopo un sorso si fa mesta,
lesta lesta la rovescia
a sinistra, fuori della fnestra.
Qualsiasi lettore di Scialoja, anche occasionale, potrebbe moltiplicare
gli esempi di questa geografa irreale, che punteggia luoghi e abitatori
della sezione nonsensica (dalla mosca che ronza a Mosca di ATC alla
zanzara che vive a Zara e alla biscia che attraversa sulle strisce a Brescia
di VSP 4 e 30, agli alacri bruchi di Locri e alla cincia maschio che fschia
a Schio di SSA 24 e 32, al topo che si trova comodo a Como e al mastino
di Asti di GGT 139 e 145, alla folla di farfalle di follonica e ai mille lom-
brichi in lacrime lungo lombre del Lambro di MAM 71 e 75). Ma anche
in POE il procedimento tuttaltro che raro; la differenza la rinuncia
allo zoo fabesco e la riduzione non la scomparsa della sperimenta-
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
313
zione paronomastica.
21
Eccone un esempio (POE 36), in cui il cane un
cane a tutti gli effetti, mentre la verosimile allocutaria la compagna di
un viaggio nellalto Egitto (indicato col nome antico di Tebaide, che non
funge solo da signifcante per innestare le allitterazioni di apertura e di
chiusura, ma evoca anche, col suo sentore classico, la scomparsa di anti-
che civilt, di cui rimangono miseri resti, le tibie):
Tepida la Tebaide
non appena s spento
il sole idee di vento
traversano le pallide
valli mal dette laide
purch tra mugolii
il tuo cane non frughi
tibie della Tebaide.
Ma torniamo alle lepre e alla sua minestra per osservare un altro aspet-
to della poesia di Scialoja (e ancora una volta siamo di fronte a una co-
stante, sia pure diversamente declinata nel corso della sua parabola):
liro nizzazione della lingua pi corriva e automatica (della lingua di
plastica direbbe Ornella Castellani Pollidori),
22
a cominciare dalle frasi
idiomatiche. Qui il punto di partenza il trito dilemma o mangiar questa
minestra o saltar dalla nestra; solo che la nostra lepre dalla fnestra getta
non s stessa, ma laborrita minestra.
Altri esempi del procedimento in MAM 19, in cui una libellula ricorda
che la bile lilla (giocosa innovazione cromatica rispetto a essere verde
di bile) e conclude con la variazione di un convenevole colloquiale chie-
dendo che fai di bellulo? . Ancora nella stessa raccolta sette componi-
menti (MAM 54-61) muovono da una frase idiomatica, alterandone pa-
ronomasticamente il dettato,
23
pur mantenendo il senso. Leggiamone
21. Che, semmai, rilevata da un procedimento metalinguistico: mi dici con durezza
e intanto stacchi / Otto dentali: Non da adesso odio Odessa (POE, p. 334)
22. O. Castellani Pollidori, La lingua di plastica. Vezzi e malvezzi dellitaliano contempo-
raneo, Napoli, Morano, 1995.
23. Seguendo una procedura ben precisa: in ogni verso la struttura grammaticale la
stessa (tanto - va - la + sostantivo femminile - al + sostantivo maschile - pronome relativo
luca serianni
314
uno, in cui si evocano i disagi della podagra, labbigliamento tradizionale
sardo, lattrazione per un profumo che sembra sollecitare il gusto oltre
che lodorato e infne leffetto dellalcol su un cantore alla ricerca del suo
destino (MAM 55):
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino
tanto va la gotta al tardo che si sfascia lo scarpino
tanto va la ghetta al sardo che lallaccia sul gradino
tanto va la ghiotta al nardo che lo struscia col linguino
tanto va la grappa al bardo che rintraccia il suo destino
Analogamente, in SSA 63 il proverbio iniziale trascina altre immagini,
in cui il senso cede via via al gioco fonico (la sarta sbaglier per la fretta e
per il desiderio di fnire il lavoro e andare a riscaldarsi, mentre la pezzen-
te fuori di senno e i bizzarri stridi della gazza non hanno pi alcun rap-
porto, se non fonico, con i versi iniziali):
24
La gatta frettolosa
che fa i gattini ciechi
la sarta freddolosa
che fa i golfni sbiechi
la matta frittellosa
che fa gli inchini a spreco
la gazza fragorosa
che fa gli stridi in greco.
- verbo - complemento diretto o indiretto). Le componenti lessicali che mutano manten-
gono una stretta parentela fonetica: costituendo consonanze o assonanze (gatta - gotta -
ghetta - ghiotta e gatta - grappa), rime interne (lardo - tardo - sardo - nardo - bardo), collegamen-
ti vari, tutti accomunati dalla presenza di una palatale postonica (sibilante palatale in lascia,
sfascia, struscia, affricata palatale intensa in allaccia e rintraccia), rime (-ino).
24. Quanto alla gazza e al greco, Michelangelo Zaccarello e Giuseppe Crimi me ne
segnalano giustamente lascendenza in un verso del Burchiello: et una gazza che parla-
va in greco : cfr. I sonetti del Burchiello, a cura di M. Zaccarello, Torino, Einaudi, 2004, p.
26, xviii 12. G. Crimi mi indica inoltre anche un riscontro da Virginia Woolf (La signora
Dalloway, trad. e cura di N. Fusini, Milano, feltrinelli, 1999, p. 21), evidentemente indi-
pendente da Burchiello, che fa pensare a una pi larga circolazione di questo motivo:
Un passero si poggi sulla cancellata di fronte; cinguett Septimus, Septimus, per quat-
tro o cinque volte e, cavandosi di gola le note, continu a cantare fresco e penetrante in
greco .
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
315
In POE 317 il procedimento declinato in senso drammatico, ma il
punto di partenza sempre una frase fatta ( una tempesta in un bicchier
dacqua , e magari anche affogare in un bicchier dacqua ); solo che
questo bicchiere metaforico genera una nomenclatura ben concreta:
piatto, cucchiaio e minestra sono qui gli utensili di un pasto consumato
in disperata solitudine:
Una volta quanto mi avrebbe fatto
patire il tuo incupito mutamento
ora ceno con la testa nel piatto
quanto basta per rimediare al silenzio.
sempre una tempesta nel bicchiere
ma il vento ora ha girato ecco il naufragio
nella minestra le erratiche lacrime
raccolte adagio sollevando il cucchiaio.
Agli antipodi della lingua di plastica sono gli echi della grande lette-
ratura o della grande storia che, di tanto in tanto, si riaffacciano perfet-
tamente riconoscibili, ma straniati in un ambiente in cui domina il suono
e la libera variet degli accostamenti nella poesia di Scialoja.
A un primo livello il gioco, immediato ed elementare nel suo mecca-
nismo, coinvolge tessere famose in qualche caso divenute tali fn dai
primi anni di scuola e forse Scialoja avr pensato che i anche i bambini
potessero cogliere le sue manipolazioni e sorriderne. quel che vale per
i grandi classici della letteratura italiana, da Leopardi ( Sempre caro mi
fu questerto corno / pensa il rinoceronte / senza nessuno intorno
MAM 44, col terzo verso arieggiante giocosamente il tema leopardiano
della solitudine) a Carducci ( Tamo pio bue! / Anzi ne amo due ATC),
a Manzoni ( C un ramo che sporge sul lago / di Como, sospeso a quel
ramo / un ragno si specchia nel lago ecc. MAM 33). Ancora Carducci
preso di mira ma qui, tenendo conto della drammatica occasione in cui
fu scritta quella famosa poesia, dovremmo proprio parlare di dissacrazio-
ne in VSP 72: lalbero di Pianto antico diventa un albatro che vola via
alla vista di un pericolo: Lalbatro a cui tendevi / un piccolo caimano /
vol cos lontano / che non si vede pi .
luca serianni
316
Un secondo livello pi elaborato, sia per i testi evocati sia, e soprat-
tutto, per le implicazioni soggiacenti. E precisamente:
a) possono essere in gioco testi famosi, ma non certo paragonabili al-
lInnito e ai Promessi Sposi quanto a radicamento nella memoria colletti-
va. Lincipit di una celebrata anacreontica di Iacopo Vittorelli riecheggia
in MAM 36 ( Guarda che bianco alano! ); ma se il poeta settecentesco
dallincanto di una notte lunare passava agli amori di due usignoli e vi
contrapponeva la freddezza della sua Irene, Scialoja si muove nella dire-
zione di un grottesco e prudenziale realismo un po come avviene per
il rifacimento di Pianto antico riprendendo al v. 2 lanafora di Vittorelli
ma continuando cos: Guarda che zanna aguzza! / Teniamoci per mano
/ al centro della piazza . Meno esibita ma altrettanto evidente la citazio-
ne carducciana di MAM 86 (da Mors, 3: e lombra de lala che gelida ge-
lida avanza ; Scialoja: Un alligatore dAmerica che gelido gelido avan-
za ): ancora una volta le sofferte rifessioni di Carducci sulla morte in
tenera et
25
suscitano limmagine dissonante di un coccodrillo; lepana-
lessi di gelido, con valore fgurato e causativo in Carducci (spietata e che
uccide, che rende gelidi), ha ora il valore referenziale pertinente a un
animale eterotermo. Nessun intento giocoso ha invece una citazione di
franois Villon, che potremmo considerare una variazione sul tema del
tempo e della morte, dunque una poesia che appartiene pienamente alla
fase drammatica: Dove sono le nevi / addormentate un tempo / nel
silenzio di brevi / inverni senza vento? (MAM 103);
b) altre volte il ricordo parrebbe legato non a una citazione esplicita e
a un contesto, riproposto o rovesciato che sia, ma a una mera suggestione
ritmica e lessicale. Ci vale sicuramente per la citazione dantesca di VSP
15 (da Inf., iv 84: sembianzavevan n trista n lieta ): Ho visto un corvo
sorvolare Orvieto. / Volava assorto, n triste n lieto . Anche una famo-
sa melodia ottocentesca, Santa Lucia, un piccolo gioiello col quale si
pu dire che abbia inizio la storia della canzone italiana ,
26
viene rie-
cheggiata in VSP 34: il verso iniziale spezzato in due versi successivi
25. Del fglioletto Dante, in Pianto antico; dei due bambini del collega Gandino, periti
di difterite, in Mors.
26. Cfr. G. Borgna, Storia della canzone italiana, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 3.
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
317
( Sul mare luccica Sul mar si sbriciola / la luna e luccica ) e il rife-
rimento a Napoli del testo originale genera metonimicamente un Casa-
micciola,
27
redditizio sia per la proparossitonia (che crea rima ritmica con
sbriciola e luccica e consonanza con lucciola) sia per laffricata palatale che si
ritrova, oltre che nei rimanti citati, anche in cantuccio;
c) Il gioco linguistico pu farsi malizioso quando il richiamo letterario
unoccasione per unirrisione antireligiosa, come avviene con una cita-
zione metastasiana in cui a Dio si sostituisce uno dei tanti animali dello
zoo dellautore e precisamente un Ghiro (non casualmente con liniziale
maiuscola) tutto intento a dormire, indifferente alle vicende del mondo:
Ovunque il guardo io giro / vedo il tuo sonno, o Ghiro! (VSP 145; e
non sfugga il fatto che si tratta dellultimo componimento della raccolta,
dunque collocato in una posizione di spicco). Alla grande storia, ai
trecento Spartani delle Termopili un tema di forte suggestione patriot-
tica, se il numero riechegger anche nella Spigolatrice del Mercantini si
riallacciano i Trecento topi grigi di ATC, che parevano terribili /
perch stavano immobili .
In POE lintarsio intertestuale perde la sua natura ludica e diventa
spesso loccasione di un divertissement letterario che un po come avve-
niva per tanti divertimenti da concerto sfornati dalleditoria musicale
ottocentesca, fondati su pi melodie di un melodramma famoso e libe-
ramente riproposti dal compositore intreccia vari temi di unopera o
attinge da diverse fonti. Due temi danteschi fgurano in POE 72 ( Nes-
sun maggior dolore / che ricordare il tempo / felice scarse rose / alla
luce di un lampo. // Uno specchio incoraggia / le rose a lume spento /
or le bagna la pioggia / in sogno e move il vento ; cfr. Inf., v 121-22, e
Purg., iii 130 e 132). Analogamente Leopardi, Canto notturno, 66, e Carduc-
ci, Ad Annie, 1 ( Batto a la chiusa imposta ) sono citati nella seconda
quartina di POE 234 ( Questo supremo scolorare del sembiante / nella
27. Emiliano Picchiorri mi suggerisce un accostamento, che sembra anche a me pro-
babile, con la locuzione fare Casamicciola provocare una grande confusione (il riferimen-
to al terremoto del 1883): cfr. R. Randaccio, Toponomastica allusiva, in Lessicograa e ono-
mastica, a cura di P. DAchille e E. Caffarelli, Roma, Societ Editrice Romana, 2006, pp.
147-58, a p. 149.
luca serianni
318
chiara penombra delle chiuse imposte / il fato del nulla? ). E in POE
379 convivono Petrarca, Rvf, xxxv 2, e il Detto del gatto lupesco: cammina-
va a passi tardi e lenti con lo schioppo in spalla , Io sono un gatto lupe-
sco . In un caso riemerge una forte vena antireligiosa (POE 265):
Se lidea del Diluvio
le passata di mente
la lepre ferma al bivio
leva il muso allistante.
Nel cielo ancora scuro
larcobaleno scopre
lo sguardo di preghiera
di nostra madre lepre.
Lo sfondo il racconto biblico (e si veda anche qui, come sopra per Ghi-
ro, la maiuscola di Diluvio); ma ambiguo il penultimo verso, che po-
trebbe alludere semplicemente allespressione mite della lepre, ed espli-
citamente dissacrante lultimo, che attribuisce alla lepre lepiteto tra di-
zionale di Maria Vergine.
Ma tempo di passare a ci che costituisce lessenza del nonsense: la
frattura della coerenza testuale. La violazione logica pura e semplice (ci
che evidentemente non pregiudica lindividuazione di un senso altro)
rara. In VSP 44 si gioca con le affermazioni inconciliabili dei vv. 4 e 6:
Negli orti di Gubbio / allombra di un umbro / sambuco c un bruco
/ senzombra di dubbio / colore dellambra / o forse lo sembra , e in
POE 361 dunque in un testo estraneo alla fase nonsensica (e al suo
sperimentalismo espressivo) si trasgredisce il principio di non contrad-
dizione: con stizza ma senza stizza alzi il bavero del cappotto . Pi in-
teressante un componimento di MAM 88, sgranato su unaritmetica in
parte verosimile (v. 3) in parte irreale, che dal numero iniziale di novan-
ta rumorosi elefanti passa allo zero, in un pieno silenzio desertico che
smentisce lo stereotipo di avvio:
La vita va avanti! La fta fa afanti!
gridavan di naso novanta elefanti
o meglio sessanta, di cui trenta affranti,
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
319
tra anziani ed infanti non erano venti,
un sol pachiderma barriva fra i denti,
nessuno fatava: da sempre era immerso
nel pieno silenzio limmenso deserto.
Il tipico nonsense di Scialoja, per, si declina altrimenti. Intanto, una
serie di componimenti spesso i pi memorabili rappresenta una situa-
zione plausibile in un contesto inatteso. Qualche esempio (GGT 253):
La zelante zanzara dellAlsazia
se allalba salza sazia mi ringrazia.
Che una zanzara, dopo averci punto, possa dirsi sazia non fa notizia; ma
il gioco sta nellambientazione imprevista (lAlsazia non nota per essere
infestata dai fastidiosi insetti), nellantropomorfsmo della zanzara (che
non solo ringrazia , ma allalba salza , come un essere umano) oltre
che nellinvestimento fonico, qui trasparentemente fonosimbo lico.
28
Se viaggia russando la vecchia tarantola
e sibila e rantola tra Taranto e Mantova
il controllore la scrolla, la brontola,
fnchessa, alterata, discende a Terontola. (ATC)
La cronaca dellallontanamento di un viaggiatore che disturba gli altri
passeggeri ha come dato fantastico lavere a protagonista una tarantola
(ma siamo poi proprio sicuri che designi il ragno e non, metaforicamen-
te, una vecchia donna dallaspetto disgustoso?); per il resto appare plau-
sibile persino il percorso ferroviario: il gioco anche qui non sta nei signi-
fcati, ma nella suggestione fonica (la paronomasia di Tarantola, Taranto e
Terontola) e ritmica (addensarsi di sdruccioli; oltre ai citati: sibila, rantola,
Mantova, brontola).
Giunse un topino egizio
a pi della Piramide
vi scorse un orifzio
e mormor: Mirabile! (VSP 88).
28. Alla zeta associata alla zanzara Scialoja fa ricorso anche in VSP 117, alterando las-
setto di parole messe in bocca allinsetto: Buona zera! e ho tanta zete! .
luca serianni
320
prevedibile che un topo resti insensibile di fronte alla maest delle pi-
ramidi e sia interessato invece al buco nel quale insinuarsi. Ancora una
volta un dato realistico, almeno nella specifca realt delle fabe; il gioco
sta tutto nellesclamazione, che riconduce ogni dato esterno alla partico-
lare prospettiva di chi giudica.
Sogno che una zanzara con le staffe
mi dica: Salta in groppa! La tariffa
del volo quella antica non far gaffe
e tenera la notte a Teneriffa . (MAM 81)
Qui la componente fabesca addirittura esplicitata dalla fantasia onirica
( Sogno ) e una qualche coerenza ha il riferimento a una tariffa antica
e luso di forme, se non antiche, certo con lapparenza di esserlo: i due
forestierismi italianizzati e posti in punta di verso; ma, ad ammonirci
contro interpretazioni lineari sta la voluta dissonanza del riferimento,
qui incongruo, al romanzo di fitzgerald.
Molte altre volte si ha una vera e propria lesione del senso superfciale.
Le modalit espressive sono assai varie:
a) lo spunto iniziale pu consistere in unasserzione banale ( Oggi
Pasqua e vado a pesca GGT 135), alla quale i versi successivi tolgono
ogni plausibilit: si pu anche partire senza loccorrente e senza la pro-
spettiva di pescare un pesce o magari la sua lisca (vv. 2-3: senza lenza
senza lasca / senza lisca senza lesca ), ma certo lacqua un presupposto
ineliminabile per esercitare questattivit (v. 4: senza lacqua nella va-
sca ). Inversamente, si pu esordire con una serie di dichiarazioni assur-
de (le etimologie dei vv. 1 e 2), continuare con asserzioni suffcientemen-
te perspicue, anche se espresse con un certo investimento fgurale e fo-
nico (vv. 3-5: il dado il simbolo tradizionale del giocatore; linnamorato,
colpito dalla freccia damore, riesce a liberarsene con fatica; il ladro
cauto e non commette leggerezze o ingenuit) per concludere con un
verso di prosaica verosimiglianza (MAM 54):
Chi crede alla corda si chiama cordaro
chi adotta la coda si chiama codardo
chi adora lazzardo si attarda col dado
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
321
chi ha un dardo nel cuore lo strappa in ritardo
chi ladro di rado si sdraia su un cardo
soffrigge col lardo chi cuoco di bordo.
b) Un corrispettivo dellantipatia di Scialoja per le frasi fatte si ritrova
nel suo gusto di rovesciare i ruoli; in GGT 143 un insetto fnito in un
bicchiere di aperitivo, e dunque votato a probabile morte anche perch
invischiato dalle sostanze zuccherine della bevanda, si rivolge allio poe-
tante guardando a lui come un non-vivo perch privo della capacit (rea-
le? fgurata?) di spiccare il volo:
Calata nel calice
dellaperitivo
unape che trema
mi scruta in tralice
dal vetro e mi dice:
Per essere vivo
ti manca una piuma! .
c) frequente un procedimento, ampiamente praticato gi dal Bur-
chiello, per il quale la perdita di coerenza si accompagna a un forte au-
mento degli indicatori della coesione testuale, cio dei connettivi tipici
di un discorso organizzato razionalmente e scandito da ipotesi (se), da con-
tro deduzioni (bench ) o anche dal riferimento a circostanze temporali
(quando). In due esempi di VSP 63 e 94 il componimento si riduce a un
periodo ipotetico (se X , Y) di folgorante assurdit (ma nel primo caso
lapodosi pu ben alludere al delirio del febbricitante):
Se cresce la febbre
la porta si apre
appare la lepre
in mezzo alla neve
che turbina sempre;
Se la farfalla ha fatto la valigia
non azzurra n gialla: tutta grigia.
Converr ribadire che la perdita del senso superfciale, in poesia, pur
luca serianni
322
sempre una nozione relativa. In MAM 106 lipotetica dei vv. 3-4, appa-
rentemente irrelata, coopera in realt al concetto dominante in cui, col
consueto spirito irreligioso, Scialoja vede nellestasi mistica una pura as-
senza , la perdita del controllo sulla realt (si legga lultimo verso), non il
contatto con il divino e dunque una presenza pi intensa, una piena
comprensione delle verit ultime:
In quel dAssisi lestasi
sui sassi solo assenza
di attese se lestate
esausta ne fa senza.
S, s dicono assisi
angeli dagli sguardi
color dei fordalisi:
assurdo che sia tardi .
Del resto, questo tipo di ipotetiche evanescenti, che invitano a cercare
un senso riposto oltre la lettera del testo, assai frequente in POE, dun-
que successivamente alla fase nonsensica (e certo non una modalit
esclusiva di Scialoja). Solo un esempio, dalla seconda quartina di POE
223:
Chiusi lombrello in fretta
al vento delle origini
la piazza era deserta
se calpestavo glicini.
Due esempi con connettivi temporale e concessivo (da MAM 22 e 14;
e nel primo si noter anche lultimo verso, che costituisce formalmente
una frase giustapposta ma che, con talmente, implica un valore consecuti-
vo nella sovraordinata):
29
Quando liguana si sfla i guanti
tra i calicanti del Paraguay
lo fa guardinga, con gesti esangui,
29. Cfr. L. Serianni, Italiano, Milano, Garzanti, 1997, xiv p. 134.
il gioco linguistico nella poesia di toti scialoja
323
guatando attorno, futando guai,
talmente ha in uggia i guaran;
Sotto un ace
ro il rinoce
bench lace
ro e di pece
dorme in pace.
Sotto un noce
ch di fronte
ronfa il ronte.
Con gli animali fantastici delle sue poesie lautore intesse un dialogo
che qualche volta incardinato sul tu metastorico della tradizione poeti-
ca (e fabesca), ma altrove utilizza il lei della conversazione borghese.
30

Cos, in MAM 92 e 94 si d del tu a una marmotta riluttante a salire su una
rossa carriola ( Esclamo: Tho ammaestrata! Non far la matta, amo-
re! ) e a una lepre, qui con sovrapposizione del ruolo canonico della
donna amata
31
( Respiro sul tuo muso roseo di lepre e spio / che a sve-
gliarti non sia questo odore di rose: / rose e rose traboccano attorno al
nostro addio / ma il sonno di una lepre non sopporta la dose ), mentre
si d del lei a una fllossera ( Per quanto non mi fdi degli afdi verdastri
/ le dico: Perch piange? e le riannodo i nastri / mentre con gli occhi
rossi fssa il cielo che stinge ).
Il dialogo con unape in VSP 104 d luogo a una delle rare notazioni
metalinguistiche della poesia di Scialoja:
Vidi lape e l per l
seppi dirle: Oh, vera perla!
Mi rispose: Come fa
questa iperbole a saperla? .
30. Per gli allocutivi in poesia cfr. L. Serianni, La lingua poetica italiana. Grammatica e
testi, Roma, Carocci, 2009, pp. 180-82.
31. Una voluta ambiguit che si ritrova anche altrove, per esempio in MAM 83 ( Vio-
lento un vento soffa stanotte e mi risveglia, / ti riassesto la cuffa sul musino di triglia, /
mi abbottono la maglia, sento il mare che muglia ecc.), in cui il musino di triglia potrebbe
non essere il volto afflato di una compagna magari di unanziana compagna che dorme
con la cuffa ma letteralmente di un pesce.
luca serianni
324
Linterlocutore umano, verosimilmente femminile, raro nella fase
nonsensica e si affaccia non casualmente solo in SSA: abbiamo gi incon-
trato almeno un esempio utile (SSA 66: Un cane percorreva lospeda-
le ) e altro potremmo aggiungere, per esempio il seguente incipit (SSA
51), che evoca un tema tipico dellidillio sentimentale
32
ma che si caratte-
rizza immediatamente per un componimento tipicamente scialojano
(paronomasie, gusto del nome geografco come spunto fonico, coerenza
testuale almeno dubbia del v. 3):
Ti ricordi gli storni che a stormi
nei tramonti dei nostri bei giorni
quando i treni si fanno notturni
attorniavano Terni e dintorni?
Abbiamo esordito ricordando gli apprezzamenti venuti alla poesia di
Scialoja ai suoi giochi fonici, alla sua ricerca della parola come incan-
tevole meccanismo sonoro
33
da parte di altri poeti; e, pur non rinun-
ciando a far emergere il senso o i sensi che pur dato riconoscervi n a
ricostruire alcuni meccanismi che ne regolano il funzionamento, dob-
biamo convenire che proprio in questo libero gioco linguistico sta il fa-
scino della sua poesia. Del resto, ricordando il destarsi in s bambino
dellinteresse per i versi, Giovanni Giudici, un poeta che con Scialoja
condivide quantomeno lironia e lautoironia ha scritto:
Nelle poesie mi attirava la rima, credo soprattutto perch sembrava quasi di-
spensare dal comprendere il concetto. Purch tornasse la rima andava tutto be-
ne. E in fondo, bench stravagante, non era un approccio sbagliato.
34
32. Si pensi, per es., a E. Praga, Brianza (in Id., Opere, a cura di G. Catalano, Napoli,
Rossi, 1969, p. 223): Come bella la sera in mezzo ai monti! / Te ne ricordi? ti ricordi
quando / si vagheggiava i rapidi tramonti / e tornavamo a braccio e sussurrando ecc.
33. Per riprendere le parole che si leggono nel risvolto di copertina di ATC, sulle quali
richiama giustamente lattenzione Porta nella Prefazione a SSA, p. 6.
34. Si veda la Testimonianza di G. Giudici contenuta in Loro e lalloro. Letteratura ed eco-
nomia nella tradizione occidentale, a cura di G. Ioli, Novara, Interlinea, 2003, pp. 105-7, a
p. 105.
INDICI
327
Autore: 000.
INDICE DEI NOMI
indice dei nomi
328
329
INDICE
Premessa, di Giuseppe Antonelli e Carla Chiummo 7
Giuseppe Antonelli, Il nonsoch del nonsenso 9
Marco Berisso, Preistoria (mancata) del nonsense nella poesia me-
dievale italiana 27
Michelangelo Zaccarello, Una forma istituzionale della poesia bur-
chiellesca: la ricetta medica, cosmetica, culinaria tra parodia e nonsense 47
Alessio Decaria, Con Burchiello dopo Burchiello. Il nonsense nella
poesia toscana del secondo 400 65
Carla Chiummo, S grande Apelle, e non minore Apollo : il non-
sense del Bronzino manierista 93
Pasquale Guaragnella, Il nonsense in alcune abe del Pentame-
rone di Giambattista Basile 125
Giuseppe Crimi, Un caso di poesia nonsensica secentesca: i sonetti della
bugia di Francesco Moise Chersino 147
Massimo Castoldi, Il prete ride e la serva balla . Pietro Micheli e la
storia del nonsenso 191
Toni Iermano, Ah, lArte una cosa ben misteriosa per me . La real-
t fantastica di Cesare Zavattini 205
Barbara Silvia Anglani, Tutti a cena dal barone Manuel. Il non-
sense in Achille Campanile 229
Andrea Cedola, Il mare della nonsenseria . Horcynus Orca di Ste-
fano DArrigo 245
indice
330
Daniele Baglioni, Lingue inventate e nonsense nella letteratura ita-
liana del Novecento 269
Andrea Afribo, Approssimazioni al nonsense nella poesia italiana
del Novecento 289
Luca Serianni, Il gioco linguistico nella poesia di Toti Scialoja 307
INDICI
Indice dei nomi 327
composizione presso
graca elettronica in napoli
nito di stampare nel dicembre del mmix
presso ???????????
in napoli

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