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POLITECNICO DI TORINO

Corso di Laurea in Ingegneria per lAmbiente e il Territorio

ECONOMIA APPLICATA ALLINGEGNERIA


APPUNTI DELLE LEZIONI

Prof. V. Badino Ing. G. A. Blengini

Edizione Febbraio 2005 A.A. 2004/2005

Economia Applicata allIngegneria - Schemi delle lezioni

CONTENUTI DEL CORSO


PARTE A A1 Generalit sulleconomia. Organizzazione, contenuto ed obiettivi del corso. I concetti fondamentali delleconomia. I rapporti tra economia ed ingegneria. A2 - Produzione ed economia nazionale. Il sistema economico nazionale. Il ruolo della produzione dellimpresa. Flusso dei beni e dei redditi. La contabilit dello Stato. Significato economico dellimport-export. A3 - La moneta. Cenni storici. Tipi di moneta: legale; bancaria; privata. Il controllo della moneta e del credito. Mercato monetario e mercato valutario. A4 - Limpresa / le societ. Contesto giuridico: tipi di impresa; le societ commerciali; la societ per azioni. Contesto economico: la retribuzione dei fattori della produzione; schema semplificato di bilancio. A5 - La gestione dellazienda. Generalit. Struttura ed organizzazione. Le funzioni aziendali. La funzione organizzazione. A6 Contabilit analitica e costi di produzione. I costi aziendali. La contabilit industriale. I centri di costo. Cenni alla teoria dei costi. Il controllo di gestione. A7 - Evoluzione del pensiero economico. I grandi temi delleconomia. Origine e sviluppo dei problemi sociali e di economia dellambiente. A8 - Il mercato. Generalit. Mercato, teoria economica e Stato. Caratteristiche di domanda ed offerta. Equilibri di mercato. Mercato perfettamente concorrenziale e mercati reali A9 La qualit: vantaggio competitivo. Evoluzione del concetto di qualit. Sistemi di qualit e certificazione. Il costo della qualit A10 - Sistema fiscale e costo del lavoro. Il prelievo dello Stato sulla produzione. Imposte, tasse e contributi sociali. Il lavoro ed il suo costo. Contratti di lavoro collettivi. Retribuzioni ed oneri sociali. Costo del lavoro. A11 - Economia ed ambiente Parte I. Teoria economica e problemi ambientali. Costi ambientali: internalizzazione delle esternalit. La gestione delle risorse naturali non rinnovabili. A12 - Economia ed ambiente Parte II. Linquinamento. I principi delleconomia ecologica. Lo sviluppo sostenibile ed i suoi strumenti

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PARTE B B1- Numeri indice e serie storiche. B2- Organizzazione e rappresentazione dei dati. Statistica descrittiva B3- Elementi di matematica finanziaria. Interesse, capitalizzazione, sconto; equivalenza economica; modalit di restituzione dei prestiti. B4- Il deperimento dei beni strumentali e la sua contabilizzazione. Ammortamenti. B5- La contabilit generale e il bilancio dimpresa. Stato patrimoniale e conto economico. Lanalisi di bilancio mediante indici. B6- Analisi di break even per lo studio di alternative economiche. Alternativa make or buy. Analisi Costo-Volume-Profitto. B7- Tecniche di gestione economica . Modelli analitici per la risoluzione di problemi deterministici: gestione degli approvvigionamenti; programmazione lineare; coordinamento e programmazione dei lavori (PERT e GANTT). B8 - Finanziamenti ed investimenti. Scelta e valutazione degli investimenti industriali. La funzione finanziaria. Il finanziamento delle imprese. La valutazione degli investimenti. B9 - Distribuzioni di probabilit per il controllo statistico di qualit. B10 - Tecniche di gestione economica Parte II. Stime, valutazione dellincertezza e del rischio. I problemi di stima negli studi economici. Le stime ed il processo decisionale. Le decisioni in condizioni di rischio e di incertezza. B11 - Interpretazione di dati energetici. Energy Management. B12 - Life Cycle Assessment. Una metodologia per la determinazione delle performance energetiche ed ambientali dei processi produttivi. Origini storiche, cenni metodologici ed esempi di applicazione.

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SOMMARIO

PARTE A..................................................................................................................................................................... 1 A1 - GENERALITA SULLECONOMIA............................................................................................................ 3 A2- PRODUZIONE ED ECONOMIA NAZIONALE .......................................................................................... 7 A3 - LA MONETA............................................................................................................................................... 15 A4 - LIMPRESA/LE SOCIET ......................................................................................................................... 21 A5 - LA GESTIONE DELLAZIENDA .............................................................................................................. 29 A6 - CONTABILIT ANALITICA E COSTI DI PRODUZIONE ..................................................................... 35 A7 - EVOLUZIONE DEL PENSIERO ECONOMICO....................................................................................... 45 A8 - IL MERCATO.............................................................................................................................................. 55 A9 - LA QUALITA: VANTAGGIO COMPETITIVO ....................................................................................... 65 A10 - SISTEMA FISCALE E COSTO DEL LAVORO ........................................................................................ 75 A11 - ECONOMIA E AMBIENTE PARTE I ....................................................................................................... 85 A12 - ECONOMIA E AMBIENTE PARTE II...................................................................................................... 95

PARTE B................................................................................................................................................................. 105 B1 - NUMERI INDICI E SERIE STORICHE ................................................................................................. 107 B2- ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEI DATI................................................................... 115 B3 - ELEMENTI DI MATEMATICA FINANZIARIA .................................................................................... 121 B4 - IL DEPERIMENTO DEI BENI STRUMENTALI E LA SUA CONTABILIZZAZIONE........................ 127 B5 - LA CONTABILITA GENERALE E IL BILANCIO DIMPRESA ......................................................... 131 B6 - ANALISI DI BREAK-EVEN PER LO STUDIO DI ALTERNATIVE ECONOMICHE ......................... 141 B7 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA - PARTE I........................................................................... 145 B8 - FINANZIAMENTI E INVESTIMENTI .................................................................................................... 155 B9 - DISTRIBUZIONI DI PROBABILIT PER IL CONTROLLO STATISTICO DI QUALIT................. 163 B10 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA - PARTE II .......................................................................... 173 B11- INTERPRETAZIONE DI DATI ENERGETICI E ENERGY MANAGEMENT...................................... 185 B12 - LIFE CYCLE ASSESSMENT ................................................................................................................... 199

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PARTE A

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A1 - Generalit sulleconomia

A1 - GENERALIT SULLECONOMIA

1 - CARATTERISTICHE GENERALI DELLECONOMIA


Contenuti estremamente ampi: comprende quasi tutto ci che fanno gli uomini. Collegamento stretto con la storia: il presente un prodotto del passato e condizioner il futuro. Collegamento stretto con lattualit: gli economisti si occupano dei problemi che hanno di fronte. Una definizione sintetica: LEconomia la disciplina che studia come far corrispondere

RISORSE
(scarse)

e BISOGNI (tanti)

dove: RISORSE = fonti di Beni e Servizi.

Possibili classificazioni delle RISORSE:

NATURALI (provengono dalla natura) UMANE (il lavoro) PRODOTTE (risultato del lavoro, da impiegare per nuovi prodotti)
oppure, nellottica della teoria economica classica :

LAVORO CAPITALE TERRA

i tre fattori fondamentali della produzione

Precisazioni: I BENI e SERVIZI sono lobiettivo fondamentale dellattivit economica in quanto con essi che possono essere soddisfatti i BISOGNI (economici). Si definiscono BENI ECONOMICI i beni o servizi per i quali esistano una DOMANDA ed una OFFERTA di mercato (cio siano richiesti dai consumatori e possano essere offerti dai produttori).
La PRODUZIONE un fatto centrale per leconomia (dato che la maggior parte dei beni e dei servizi non esiste come tale in natura).
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A1 - Generalit sulleconomia

Unaltra definizione dellEconomia:


la disciplina che studia come allocare risorse scarse per produrre beni e servizi allo scopo di soddisfare i bisogni

ECONOMIA = SCIENZA DELLA PRODUZIONE.

2 - LECONOMIA COME DISCIPLINA SCIENTIFICA


Come tutte le scienze ha per obiettivo: spiegare i fatti (economici) passati e presenti; prevedere gli eventi futuri. Differisce per dalle scienze naturali per: il tipo di esperimento (oggetto del Metodo scientifico); il tipo di ipotesi leggi.

LEconomia appartiene alle SCIENZE SOCIALI (studia il comportamento dei gruppi umani); LEconomia usa (anche) lanalisi statistica: per questo le leggi delleconomia possono ammettere eccezioni.
LEconomia scienza perch le risorse sono scarse: occorre quindi risolvere il problema della allocazione ottimale delle risorse. In particolare bisogna scegliere: cosa produrre, come produrre e per chi produrre. Convenzionalmente lEconomia si suddivide in Macroeconomia e Microeconomia. La Macroeconomia studia il funzionamento del Sistema economico nel suo complesso (si occupa di aggregati o macrovariabili, come Consumi, Spesa pubblica, PIL etc) La Microeconomia si occupa invece di prezzi di mercato e di costi (problemi degli operatori economici singoli: individui e Imprese/Aziende).

3 - LE PRINCIPALI GRANDEZZE ECONOMICHE E LA LORO MISURA



UTILITA: In generale si pu definire come la capacit di un bene di soddisfare i bisogni. Un bene economico quindi utile per definizione. La funzione di utilit (cio la legge analitica che ne descrive landamento) individuale e variabile nel tempo: infatti un bene ha utilit diversa per le diverse persone, e per ciascuna cambia con la quantit posseduta.

VALORE: Pu essere rappresentato dallimportanza che un individuo attribuisce ad un bene, allora si parla di VALORE DUSO; oppure dallimportanza che al bene attribuita dal mercato, ed allora si parla di VALORE DI SCAMBIO. Valore duso e valore di scambio in genere non coincidono (anzi, proprio per questo che pu funzionare il commercio, ed il mercato in generale). Relazioni tra UTILITA e VALORE dei beni.
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A1 - Generalit sulleconomia

RICCHEZZA: E linsieme dei beni posseduti da un soggetto economico (concetto statico). La ricchezza non va confusa con il reddito (concetto dinamico) REDDITO: un incremento di ricchezza rispetto a quella posseduta in un dato momento. MONETA il lubrificante del sistema economico. lunica unit di misura per Valore, Utilit, Ricchezza, Reddito.

4 - I FONDAMENTI DEL MERCATO


Il mercato il fulcro delleconomia moderna: caratterizzato dallinterazione fra acquirenti (DOMANDA) e venditori (OFFERTA) di beni economici e dalla conseguente formazione, in modo automatico, dei prezzi dei beni. Per spiegare il funzionamento del mercato, e in particolare le ragioni ed i meccanismi della formazione dei prezzi occorre introdurre il concetto di UTILIT MARGINALE.

UTILITA MARGINALE = utilit di ununit in pi del bene, rispetto alla quantit gi posseduta. Legge dellutilit marginale decrescente: lutilit marginale diminuisce sempre al crescere della quantit. La stessa legge vale per il prezzo (= valore di scambio marginale). Con lutilit marginale si riesce a spiegare il rapporto fra utilit dei beni e prezzo di mercato (Valore di scambio), cio la legge fondamentale del mercato:

Se la domanda varia, rispetto allofferta, in modo da provocare scarsit di un bene, il prezzo di questo aumenta; viceversa, il prezzo diminuisce se si verifica abbondanza del bene sul mercato.

5 - I PRINCIPALI TEMI DELLECONOMIA MODERNA


Come ottimizzare la produzione: = come aumentare lefficienza dellimpiego dei fattori: LAVORO CAPITALE TERRA nellanalisi economica: Teoria della produzione

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A1 - Generalit sulleconomia

Come distribuire i proventi della produzione (fra chi li pretende e/o ne ha diritto):
FATTORE RETRIBUZIONE Lavoro SALARIO Capitale INTERESSE Terra RENDITA ma anche: Impresa Stato PROFITTO IMPOSTE

nellanalisi economica: Teoria della distribuzione (del reddito). Come si formano i prezzi dei beni: Teoria del valore. Come si misura la ricchezza di una Nazione. Come far s che tutta la risorsa lavoro sia completamente utilizzata: Teoria della piena occupazione
Tenendo presenti questi temi dominanti, affronteremo ora lesame del Sistema economico, per capire in quale contesto si svolge oggi lattivit economica e quali ne sono i protagonisti

6 - RAPPORTI TRA ECONOMIA E INGEGNERIA


Lingegnere come operatore economico: Una possibile definizione di ingegnere: tecnico che, attraverso la tecnologia, utilizza le risorse naturali (in particolare, minerali ed energia) per la produzione di beni e servizi, a beneficio dellumanit. Il ruolo dell ingegnere per lambiente e il territorio = interfaccia fra la tecnologia e il mondo naturale (peculiarit rispetto a tutte le altre ingegnerie). Compito economico fondamentale dellingegnere: effettuare scelte economiche, cio in generale scelte di maggior convenienza = maggior profitto. Ma spesso difficile precisare il significato di profitto: non basta, infatti, perseguire il minor costo possibile e misurare i ricavi in termini monetari. (Come si fa a dare un valore al risultato di opere come scuole, ospedali, parchi...?). Lingegnere che studia economia deve adattarsi anche a usare grandezze difficilmente definibili ed esprimibili con numeri (v. analisi costi - benefici).

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

A2 - PRODUZIONE ED ECONOMIA NAZIONALE


1 - IL SISTEMA ECONOMICO
Definizione: il Sistema economico il modo con cui si organizza la Societ, ovvero: linsieme delle azioni e decisioni degli operatori pubblici e privati. E un concetto molto complesso: i problemi non sono soltanto economici, ma anche sociali e politici. Le teorie economiche che spiegano il Sistema Economico sono funzione della situazione storica e politica.

In unottica internazionale e storica occorre tener presenti i rapporti fra Sistema Economico e regime politico. Distinguiamo: in teoria (a seconda delloperatore cui demandata liniziativa): Economia libera Economia controllata decisioni prese esclusivamente dagli operatori privati decisioni prese dalloperatore pubblico

in pratica (a seconda del comportamento tenuto dallo Stato): Economia di mercato Economia pianificata Economia mista lo Stato assolve essenzialmente i compiti istituzionali lo Stato proprietario dei mezzi di produzione lo Stato interviene direttamente in economia mediante: propriet di aziende; politica economica.

In Economia di mercato (o mista):il funzionamento del Sistema Economico pu essere studiato in base al rapporto tra i quattro protagonisti del Sistema Economico: imprese, la cui funzione essenziale nel Sistema quella di realizzare la produzione, con lobiettivo di ottenere profitto; Stato, la cui funzione fondamentale quella di controllare le attivit economiche, di fornire ed organizzare i servizi , con lobiettivo dellequilibrio e della giustizia sociale; famiglie, la cui funzione quella di fornire i fattori alla produzione (lavoro, capitale e terra), ed il cui obbiettivo il soddisfacimento dei propri bisogni; resto del mondo , la cui funzione la distribuzione delle risorse, in quanto nessuno Stato autosufficiente, e il cui obiettivo quello di ricavare un reddito derivante dalle esportazioni.
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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

I Protagonisti del Sistema Economico

STATO IMPRESE RESTO DEL MONDO

FAMIGLIE

funzioni principali: Imprese Famiglie Stato Resto del mondo produzione servizi alla produzione (v. fattori) controllo, organizzazione dei servizi distribuzione delle risorse

obiettivi: profitto soddisfacimento dei bisogni equilibrio, giustizia sociale reddito da esportazioni

Una visualizzazione del Sistema Economico si pu avere considerando il FLUSSO DEI BENI attraverso i settori di attivit economica, primario, secondario e terziario:

attivit primarie

industria manifatturiera

commercio servizi

CONSUMO

IMPORT

EXPORT

Oltre a questa rappresentazione schematica interessante il tentativo di rappresentare quantitativamente il flusso del valore dei beni (v. schema USA, 1938 Tav. 1) sul quale si osserva quanto segue: Valore dei beni crescente lungo la direzione del flusso; distinzione tra: Beni di consumo Beni di investimento (e Beni intermedi);

significato economico dei singoli settori; limiti della rappresentazione: non modello (operativo), come invece la InputOutput Table.

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Tav. 1 Flusso economico negli USA nellanno 1938 (cifre in miliardi di dollari) (da Outlines of Marketing, 1942) 9

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

INPUT - OUTPUT TABLE (Leontieff, 1936) o matrice delle interdipendenze settoriali: j Consente di studiare i problemi dellEquilibrio Generale attraverso i valori monetari delle transazioni fra i settori: acquisti del settore (j) in testa alla colonna; vendite del settore (i) in testa alla riga.

Lanalisi Input - Output stabilisce un ponte tra Micro e Macroeconomia. LA FUNZIONE DELLIMPRESA NEL SISTEMA ECONOMICO LImpresa, cellula fondamentale del Sistema economico, si pu rappresentare come un sistema INPUT - OUTPUT:

Vu INPUT Ve OUTPUT

dove: Ve (valore in entrata) = valore dei beni e servizi acquistati presso altre imprese; Vu (valore in uscita) = valore dei prodotti (beni o servizi realizzati); Vu - Ve = Valore aggiunto (Va): rappresenta anche lincremento di valore che assume il bene o servizio grazie allattivit svolta dallimpresa. Dunque laspetto economico essenziale dellattivit dimpresa la creazione di valore aggiunto. Considerando il flusso dei beni attraverso tutte le imprese:

Vfinale = Va

Va = Prodotto Lordo.
Il Prodotto Lordo (Nazionale o Interno) E definito come valore totale dei beni e servizi finali prodotti in un anno dal Sistema Economico. Si calcola, in pratica, come sommatoria dei valori aggiunti di tutte le imprese del Sistema.

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Dal Prodotto al Reddito

FLUSSO DEI REDDITI:


famiglie servizi alla produzione flusso reale imprese beni e servizi retribuz. servizi famiglie flusso monetario imprese spesa per consumo

dove i servizi alla produzione forniti dalle famiglie sono costituiti da: lavoro, terra e capitale. Per quanto visto, il flusso monetario rappresenta, nel ramo di sinistra, linsieme delle retribuzioni dei servizi alla produzione, e cio linsieme dei redditi dei fattori della produzione (lavoro, capitale e terra), cio il Reddito Lordo (Nazionale o Interno). Nel ramo di destra rappresenta invece il Prodotto Lordo. Dunque Prodotto Lordo e Reddito Lordo sono grandezze speculari, e pertanto, nella suddetta situazione schematica, sono misurate dallo stesso valore numerico. IL REDDITO LORDO, pari alla sommatoria dei redditi dei fattori produttivi, sar quindi numericamente uguale al Valore aggiunto globale. Dunque ne deriva che il Valore aggiunto, sia nel Sistema economico complessivo che nellimpresa singola, destinato a: Salari (W) Rendite (R) Interessi e Profitti (I) Lavoro ( L) Terra ( T ) Capitale( K )

cio alla retribuzione di:

Il termine lordo sta a indicare che il Reddito comprende anche la retribuzione corrispondente al logorio dei beni strumentali, cio la spesa da sostenere per mantenere invariato lo stock di capitale ( AMMORTAMENTO) . Diversamente il Reddito sar NETTO. Lo stesso vale per il PRODOTTO. Leconomia studia lequilibrio del flusso monetario circolare fra Famiglie ed Imprese. La situazione teorica di equilibrio neutrale (reddito famiglie = valore dei beni prodotti = flusso circolare totale) nella realt modificata da prelievi e immissioni: RISPARMIO IMPORTAZIONI IMPOSTE INVESTIMENTI ESPORTAZIONI SPESA PUBBLICA

PRELIEVI:

IMMISSIONI:

Affinch il sistema continui ad essere in equilibrio deve essere: prelievi = immissioni.

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

2 - CONTABILITA NAZIONALE
E un insieme di Conti che cercano di rappresentare e quantificare landamento delleconomia del Paese, attraverso gli aggregati (stime convenzionali) del Sistema Economico Nazionale. obiettivo principale la rappresentazione del processo:

PRODUZIONE

REDDITO

SPESA RISPARMIO

CONSUMO INVESTIMENTO

Il conto base quello delle RISORSE e degli IMPIEGHI costruito sotto forma di bilancio (=confronto tra Entrate ed Uscite):

Tabella 1 - Conto Economico delle risorse e degli impieghi (Anni 2000 2002) (milioni di Euro) AGGREGATI: Valori a prezzi correnti 2000 2001 2002 Valori a prezzi 1995 2000 2001 2002

RISORSE: Prodotto interno Lordo Importazioni Totale IMPIEGHI: Consumi nazionali Investimenti Lordi Variazione delle scorte Esportazioni Totale

1.166.548 1.220.146 1.258.349 318.551 328.193 325.176 1.485.099 1.548.340 1.583.525

1.016.192 1.034.549 1.038.394 291.121 293.955 298.443 1.307.313 1.328.504 1.336.838

919.482 962.340 993.741 230.931 241.287 247.759 4.711 - 1.247 2.935 329.974 345.960 339.091 1.485.099 1.548.340 1.583.525

788.665 801.212 807.088 209.607 215.147 216.258 -4 - 308 4.084 309.044 312.453 309.409 1.307.313 1.328.504 1.336.838

Il termine Investimenti lordi comprende Ammortamenti (cio la parte di Prodotto Lordo necessaria per mantenere invariati i mezzi di produzione) e Investimenti propriamente detti (cio quelli in nuovi mezzi di produzione); Osservazioni sui rapporti: IMPORT / RISORSE ed EXPORT / RISORSE (sono valori elevati, per confronto con gli altri Paesi industrializzati, per molteplici ragioni); La tabella 2, tratta dallAnnuario statistico italiano 2003 dellISTAT, consente di: quantificare detti rapporti, valutare limportanza (positiva e negativa) dei vari settori produttivi, dedurre landamento del saldo della Bilancia commerciale, e cio della differenza tra il valore totale delle Esportazioni e quello delle Importazioni. Per Bilancia Commerciale si intende appunto il confronto (o bilancio) tra importazioni ed esportazioni di merci di un determinato paese. Anche la bilancia commerciale rappresenta un Conto della Contabilit nazionale.

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Tabella 2 Interscambio commerciale per attivit economica (Anni 1999-2002, in milioni di Euro correnti)
ATTIVITA ECONOMICHE (SEZIONI E SOTTOSEZIONI)
Prodotti dell'agricoltura, della caccia e della silvicoltura Prodotti della pesca e della piscicoltura Minerali energetici e non energetici Prodotti trasformati e manufatti Prodotti alimentari, bevande e tabacco Prodotti dell'industria tessile e dell'abbigliamento Cuoio e prodotti in cuoio (comprese le calzature di qualsiasi materiale) Legno e prodotti in legno (esclusi i mobili) Pasta da carta, carta e prodotti di carta; prodotti dell'editoria e della stampa Coke, prodotti petroliferi raffinati e combustibili nucleari Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (compresi i prodotti farmaceutici) Articoli in gomma e in materie plastiche Prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi Metalli e prodotti in metallo Macchine e apparecchi meccanici Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche, ottiche e di precisione Mezzi di trasporto Altri prodotti dell'industrie manifatturiere Energia elettrica, gas e acqua Prodotti delle attivit informatiche, professionali ed imprenditoriali e di altri servizi pubblici, sociali e personali Merci dichiarate come provviste di bordo, merci nazionali di ritorno e respinte, merci varie n.c.a.

IMPORTAZIONI 1999
7.948 655 15.243 180.882 15.645 10.732 4.011 2.980 5.551 3.161 28.097 4.792 2.509 20.350 17.564 30.982 30.978 3.529 1.424

ESPORTAZIONI 2002
8.166 686 26.246 217.065 18.046 13.764 6.334 3.286 6.433 5.032 34.820 5.416 2.892 23.892 20.150 34.114 38.806 4.080 1.869

2000
8.567 661 29.561 217.024 17.135 12.770 5.479 3.393 7.207 5.378 33.231 5.387 2.843 26.277 20.354 38.269 35.038 4.262 1.535

2001
8.329 692 28.718 220.983 18.373 13.737 6.452 3.249 6.719 4.626 33.991 5.396 2.955 25.674 20.707 37.275 37.544 4.287 1.777

1999
3.528 159 430 215.711 12.051 23.456 10.955 1.329 4.938 2.604 19.472 8.228 8.332 17.513 45.060 21.619 25.253 14.902 23

2000
3.678 180 525 254.679 13.066 26.733 13.345 1.510 5.933 5.181 24.136 9.389 9.230 21.257 50.678 26.383 30.389 17.449 22

2001
4.071 180 546 265.490 14.009 28.737 14.565 1.505 6.084 5.061 25.754 9.673 9.406 21.986 53.957 27.625 29.620 17.508 46

2002
3.947 150 673 258.329 14.808 27.378 13.295 1.438 6.058 4.408 26.738 9.669 9.136 21.317 52.456 24.651 30.280 16.698 35

854

920

973

1.041

262

265

264

301

9 207.015

239 258.507

2.284 263.757

1.815 256.887

927 221.040

1.065 260.413

2.391 272.990

1.931 265.365

TOTALE

Il saldo (= EXPORT - IMPORT) della BILANCIA COMMERCIALE compare in un altro conto importante, la: BILANCIA DEI PAGAMENTI costituita da a) Conto Partite Correnti:

- a.1) - a.2)

Partite visibili (merci) Partite invisibili (Servizi)

b) Conto capitali

Quindi la Bilancia Commerciale contribuisce al risultato annuale del bilancio del Paese rispetto al resto del mondo (dato dalla Bilancia dei Pagamenti).

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A2 - Produzione ed Economia Nazionale

Un conto interessante quello che d il valore del PIL disaggregato nel Valore aggiunto dei Settori produttivi (v. Tabella 3, dallAnnuario statistico italiano 2003 dellISTAT).

Tabella 3 Valore aggiunto ai prezzi di mercato per branca e prodotto interno lordo (valori in milioni di Euro)
Dati assoluti ATTIVITA' ECONOMICA 1998 1999 2000 2001 2002 1999 1998 Variazioni percentuali 2000 1999 2001 2000 2002 2001

VALORI A PREZZI CORRENTI Agricoltura, silvicoltura e pesca Industria In senso stretto Prodotti energetici Prodotti della trasformazione industriale Costruzioni e lavori del Genio Civile Servizi Commercio, alberghi e pubblici esercizi Trasporti e comunicazioni Credito, assicurazione, attivit immobiliari e servizi professionali (a) Di cui: Locazione di fabbricati Servizi generali di pubblica amministrazione e difesa; servizi di assicurazione sociale obbligatoria Servizi vari (b) VALORE AGGIUNTO AI PREZZI DI MERCATO (al lordo SIFIM) Di cui: Attivit non market Servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (-) VALORE AGGIUNTO AI PREZZI DI MERCATO (al netto SIFIM) IVA e imposte sulle importazioni PRODOTTO INTERNO LORDO AI PREZZI DI MERCATO 27.286 326.239 276.279 60.944 215.335 49.959 692.378 167.551 67.560 258.596 99.285 27.631 331.421 279.920 61.554 218.365 51.502 717.830 170.235 69.070 272.356 104.497 27.131 342.797 288.625 60.367 228.257 54.173 760.868 180.177 72.597
293.880 108.599

28.131 357.492 299.441 62.312 237.129 58.051 803.132 189.307 78.003


308.815 113.975

28.068 361.531 300.947 61.325 239.622 60.585 837.902 194.131 79.383 328.303 122.613

1,3 1,6 1,3 1,0 1,4 3,1 3,7 1,6 2,2 5,3 5,2

- 1,8 3,4 3,1 - 1,9 4,5 5,2 6,0 5,8 5,1 7,9 3,9

3,7 4,3 3,7 3,2 3,9 7,2 5,6 5,1 7,4 5,1 5,0

- 0,2 1,1 0,5 - 1,6 1,1 4,4 4,3 2,5 1,8 6,3 7,6

56.297 142.373
1.045.902 135.176 40.824

57.390 148.780
1.076.883 139.691 39.038

58.094 156.121
1.130.796 146.395 43.431

61.377 165.630
1.188.756 155.392 48.002

63.321 172.765 1.227.501 160.098 50.905 1.176.596 81.753 1.258.349

1,9 4,5 3,0 3,3 - 4,4 3,3 3,3 3,3

1,2 4,9 5,0 4,8 11,3 4,8 12,9 5,3

5,7 6,1 5,1 6,1 10,5 4,9 0,3 4,6

3,2 4,3 3,3 3,0 6,0 3,1 3,0 3,1

1.005.078 67.941 1.073.019

1.037.844 70.150 1.107.994

1.087.365 79.183 1.166.548

1.140.754 79.392 1.220.146

Unultima rappresentazione del SISTEMA ECONOMICO NAZIONALE:


LE TRE SFERE DELLECONOMIA:

DISTRIBUZIONE Y=W+R+I PRODUZIONE L/K/T Y

DOMANDA Y = Consumo + Investimento

in Economia aperta cambia in: Y + IMPORT = C + I + EXPORT

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A3 - La Moneta

A3 - LA MONETA
La Moneta il lubrificante essenziale per il funzionamento del Sistema economico. In particolare, strumento fondamentale dellattivit finanziaria, che ha per oggetto la gestione del capitale.

Cenni storici
Le origini della moneta si perdono nella notte dei tempi: il conio, ossia la produzione certificata di moneta, risale almeno al VII secolo a.C. Funzioni iniziali: sostituire il baratto, facilitare gli scambi. In origine moneta vera = ha un valore intrinseco. Infatti prevalentemente realizzata con metalli preziosi, che della moneta vera hanno tutte le caratteristiche peculiari: divisibilit, durevolezza, disponibilit e scarsit. Nascita della moneta simbolica: da lettere di cambio dei banchieri italiani (Pisa, Genova,), Sec. XIII e XIV; con i primi prestiti ai mercanti: creazione di moneta

Con la massiccia importazione di Oro e Argento dal Nuovo Mondo (1500) si ha la prima inflazione. Ma i problemi monetari pi importanti nascono con la carta - moneta, che entra nelluso corrente assieme alla moneta vera. Le Banche in senso moderno (da Sec. XV-XVI) e Le Banche Centrali (da fine Sec. XVII) diventano gli attori principali per: rapporti di valore fra monete vere (certificazione/cambi); convertibilit di cartamoneta in oro; copertura aurea (dei depositi nelle banche centrali).

La Moneta oggi
Funzione fondamentale: ma anche: 1) mezzo di pagamento; 2) mezzo di accumulo della ricchezza: 3) misura del valore dei beni.

legale Tipi di moneta circolante: privata bancaria moneta legale = emessa dalla Banca Centrale: banconote, monete metalliche;

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A3 - La Moneta

c. propria moneta privata = cambiale: c. tratta cambiale propria (o pagher o vaglia cambiario): impegno di pagamento preso da un emittente a favore di un beneficiario (o prenditore); cambiale tratta: ordine rivolto da un traente (creditore) ad un trattario (debitore) di pagare ad un beneficiario (che pu essere lo stesso traente). - Le origini: discende dalla lettera di cambio (Sec. XII- XIII) ; - La cambiale normalmente a termine; pu essere a vista. - I contenuti del documento. Il protesto. moneta bancaria: assegno, moneta elettronica (carta di credito, ecc...) Lassegno lo strumento fondamentale per poter utilizzare il credito bancario derivante da un deposito o fido, entro la copertura; un ordine incondizionato che il cliente (traente) d alla banca (trattario) di pagare a vista una somma ad un beneficiario: mezzo di pagamento e non strumento per ottenere il credito come invece la cambiale: considerato reato postdatare (o non datare) lassegno; pi grave reato ovviamente lassegno a vuoto (non coperto). Tramite la girata, assegno e cambiale possono essere trasferiti moneta ordinaria. quasi

Il controllo della moneta e del credito


E necessario il controllo di massa monetaria e di credito: troppa o troppa poca moneta sono dannose per leconomia. Secondo I. FISHER (1867-1947, padre del Monetarismo) vale la legge della Teoria Quantitativa della moneta: p q M = j j V PILV dove M= Massa Monetaria; V = velocit di circolazione della moneta (cio numero medio di impieghi dellunit monetaria nellanno); da cui (M. FRIEDMAN): controllando M, cio limitandola alle giuste esigenze del commercio, sarebbe possibile influire sui prezzi. Ma le difficolt del controllo sono enormi, data lestensione del concetto di moneta oggi. Si conviene di distinguere la Massa monetaria in:

M1 = moneta circolante in banconote o monete metalliche + conti correnti + fidi esigibili / utilizzabili a vista; M 2 = M1 + depositi non a vista con funzioni intermediarie del credito (capitali di Assicurazioni, Fondi di Investimento, ... ); M 3 = M 2 + titoli a breve termine (BOT).

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A3 - La Moneta

Il controllo della massa monetaria e del credito compito precipuo della Banca Centrale. Questa opera come banchiere dello Stato nei confronti delle altre Banche. Suoi strumenti principali sono: emissione di moneta / ritiro di moneta: [ sconto / scadenza cambiali oppure anticipazioni ]; emissione Titoli di Stato; compravendita Titoli di Stato; limitazione credito Banche; manovre sul Tasso Ufficiale di Sconto (T.U.S.) ( il tasso applicato alle operazioni di sconto con le altre Banche). Dal T.U.S. dipendono gli altri tassi di sconto e di interesse.

Tassi di interesse commerciali Sul Mercato Monetario si formano i tassi di interesse applicati dalle Banche ai finanziamenti di Impresa: questi tassi come tutti i tassi di interesse e di sconto commerciali dipendono dal T.U.S. Lentit del tasso varia anche se di poco da banca a banca; varia inoltre in funzione del tipo di cliente, per cui si ha:

PRIME RATE = tasso applicato ai clienti pi affidabili (per operazioni senza garanzia). un tasso di favore, inferiore a quello ordinario, ed capitalizzato trimestralmente. TOP RATE = tasso massimo, applicato ai clienti con peggiori garanzie.

Questi tassi sono superiori ai tassi interbancari (per le operazioni tra banche), superiori a loro volta al T.U.S.

Moneta e titoli di credito sono oggetto di vari mercati: Mercato MONETARIO: tratta titoli e capitali a breve termine ( 12 18 mesi) (es. BOT) Mercato OBBLIGAZIONARIO: (o mercato del reddito fisso): tratta obbligazioni e titoli di Stato a medio - lungo termine (es. BTP, CCT) Mercato VALUTARIO: tratta le monete straniere ed i crediti in tali monete.

(Mercato MONETARIO + Mercato OBBLIGAZIONARIO = Mercato MOBILIARE)


Le operazioni avvengono nelle BORSE VALORI, dove si svolge anche il mercato del reddito variabile (AZIONARIO).

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A3 - La Moneta

I Titoli del MERCATO MONETARIO:

BOT = titoli del debito pubblico con scadenza: 3 mesi / 6 mesi / 12 mesi. Servono alle finanze dello Stato per: copertura del fabbisogno del Tesoro; regolazione della liquidit. Interesse: implicito. Acquisto: aste. primario Mercato secondario ACCETTAZIONI BANCARIE (cambiali tratte su di una banca trattaria che ne accetta il pagamento). POLIZZE DI CREDITO COMMERCIALE (documento che riconosce un debito, sottoscritto dallimpresa debitrice ed accompagnato da fidejussione bancaria).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Sul mercato obbligazionario si trattano gli altri titoli di stato, come buoni del tesoro poliennali (BTP) e certificati di credito del tesoro (CCT):

BTP = titoli, c.s., con scadenza di medio-lungo termine (3, 4, 9, ... 30! Anni). Servono ad
allungare la durata / scadenza media del debito: Sono quotati in Borsa. Interesse = fisso, pagato con cedole.

CCT = titoli, c.s., con scadenza a medio-lungo termine che presentano diverse forme di
indicizzazione (del rendimento e del valore). Emissione mensile. Vendita tramite asta come i BOT

MERCATO VALUTARIO

Il mercato valutario detto anche Mercato dei cambi (dove per cambio si intende il prezzo di una moneta in termini di unaltra). Il mercato dei cambi di un Paese dipende dal Sistema di cambi a cui il Paese aderisce.

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A3 - La Moneta

Appendice SISTEMI MONETARI INTERNAZIONALI

Per il funzionamento del mercato internazionale necessario definire una unit di misura del valore delle merci (=unit di conto) Come si risolto il problema in passato: lettere di cambio (e saldi con una moneta affidabile); Gold Standard: vantaggi e svantaggi; Gold Exchange Sandard (1922 1934); Accordi di Bretton Woods (1944) ( Regime di cambi fissi): - prezzo Oro: 35 $/oncia (1 oncia 31 g); US$ = moneta di riferimento (per es. 1 $ = 625 it); - le Banche Centrali (esclusa quella Statunitense) devono difendere la parit. - creati F.M.I. e B.I.R.S. 1970: nascono i Diritti Speciali di Prelievo (DSP). 1971: sospensione della convertibilit $ / Oro. 1972: 1 Serpente Monetario Europeo; poi 2 nel 1974. E iniziata lera dei cambi fluttuanti. 1979: nasce SME (Sistema Monetario Europeo). - Si crea lECU, unit di conto: valore dato in base ad un paniere di monete. - Le parit centrali vengono difese con manovre bilaterali. - Ritocchi periodici delle parit. 1989: Caduta del Muro di Berlino. 1992: (Settembre): lItalia esce dallo SME. 1993: Entrano in vigore gli accordi di Maastricht (nellambito dello SME) che stabiliscono le condizioni per la creazione dellEURO, moneta unica europea.

Accordi di Maastricht LU.E. decide di operare per conseguire la convergenza economica attraverso la verifica dellandamento tendenziale verso obbiettivi comuni per i seguenti parametri: Finanze: rapporto deficit/ PIL (deve tendere al 3%) rapporto debito/ PIL (deve tendere al 60%); Tasso dinflazione (deve tendere al tasso medio dei tre Paesi con minor inflazione, con scostamento massimo dell1,5%) ; Tassi di interesse a l. t. (deve tendere al tasso medio dei tre Paesi con minor tasso nominale, con scostamento massimo del 2%); Cambio: le valute dei Paesi aderenti allEuro devono dimostrare stabilit per 24 mesi. I Paesi che rispettano questi criteri sono ammessi nel nuovo Sistema monetario.

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A3 - La Moneta

EURO 7 tagli banconote: 5, 10, 20, 50, 100, 200, 500 Euro; monete: 1,2,5,10,20,50 Eurocent e 1 e 2 Euro. Tempi: 1998: - Scelta dei Paesi che adotteranno lEuro come moneta. - Avvio fabbricazione banconote e monete. - Nasce la Banca Centrale Europea e il Sistema Europeo delle Banche Centrali. La Banca Centrale Europea (Francoforte), assieme al Sistema Europeo delle Banche Centrali, formula la politica monetaria dellUnione e gestisce il cambio della moneta unica nei confronti della valuta dei Paesi terzi. Obbiettivo principale = mantenere stabilit dei prezzi. 1999: - LEuro diventa moneta unica europea. Si pu usare per tutti i pagamenti non in contanti. - Le emissioni di titoli di Stato avvengono esclusivamente in Euro. I tassi di cambio fra monete nazionali e Euro sono irrevocabilmente fissi (es.: 1 Euro = 1936,27 Lire) 2002: - Entrano in circolazione banconote e monete in Euro. Prezzi, salari, pensioni ecc. vengono determinati in Euro. - Dal 1 Marzo 2002 le monete nazionali perdono corso legale.

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A4 LImpresa / le Societ

A4 - LIMPRESA / LE SOCIET
1 ASPETTI GIURIDICI DELLIMPRESA
1.1 Nozioni propedeutiche Diritto = complesso di norme che regolano i rapporti sociali con carattere di obbligatoriet (v. sanzioni). In Italia queste norme fanno capo alla Costituzione , documento fondamentale di riferimento che garantisce il democratico funzionamento del Sistema attraverso gli Organi costituzionali : Presidente della Repubblica, Parlamento, Governo, Corte Costituzionale, Magistratura, ai quali sono affidate le funzioni fondamentali: LEGISLATIVA (fare le leggi), ESECUTIVA (applicare le leggi) e GIUDIZIARIA (far rispettare le leggi , in merito a controversie tra privati o fra privato e Stato). Diritto pubblico / privato: differenziazione delle norme a seconda che sia predominante linteresse pubblico - dellEnte pubblico e della societ in genere - o linteresse del privato cittadino. Soggetto di diritto = entit con capacit giuridica (cio caratterizzata da diritti e doveri); pu essere: - Persona fisica - Persona giuridica = Complesso giuridicamente organizzato di persone fisiche (associazione riconosciuta come persona giuridica) , oppure di beni (fondazione) Lo Stato soggetto di diritto, infatti gode del diritto di propriet, che si manifesta come: DEMANIO = beni inalienabili; PATRIMONIO INDISPONIBILE = beni sfruttabili da privati (v. concessione / autorizzazione).

1.2 Il contesto giuridico dellimpresa Classificazione giuridica delle attivit economiche: AGRICOLTURA PROFESSIONI INTELLETTUALI ED ARTISTICHE ATTIVITA COMMERCIALI Per ciascun settore valgono regolamentazioni diverse: occorre quindi conoscere la collocazione di ogni tipo di attivit nel rispettivo settore. Le attivit agricole sono quelle che riguardano la coltivazione dei campi e lallevamento del bestiame. Le attivit intellettuali e artistiche sono quelle in cui risulta prevalente il ruolo dellintelletto e dellingegno. Tra queste vi sono le Professioni intellettuali protette (v. Albi / Abilitazione)

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A4 LImpresa / le Societ

Le Attivit commerciali comprendono, per legge:

Industria Artigianato / Piccola Impresa Commercio propriamente detto Assicurazioni, Banche, etc...

In particolare sono Imprenditori commerciali tutti i lavoratori autonomi (cio non dipendenti) che non siano n agricoltori n professionisti. Definizione di Imprenditore: C.C. art. 2082: E imprenditore chi esercita professionalmente unattivit economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Non esiste la definizione diretta di Impresa, ma la si pu dedurre dalla: Definizione di Azienda: C.C. art. 2555: Lazienda il complesso dei beni organizzati dallimprenditore per lesercizio dellimpresa. duplice significato di IMPRESA Segni distintivi dellimpresa Ditta / Ragione Sociale / Insegna / Marchio Obblighi degli Imprenditori: La legge stabilisce diversi tipi di obblighi: p. es., relativi alla tutela delle condizioni di lavoro (art. 2087 C.C. ); oppure alliscrizione (art. 2188 C.C). Tutte le Imprese commerciali devono iscriversi al Registro delle Imprese, istituito presso le C.C.I.A.A., sotto la vigilanza del Tribunale del capoluogo di provincia. Regole specifiche valgono per la CONTABILITA. TIPI DI IMPRESE La legge definisce le categorie di imprese e le condizioni di esercizio. In particolare occorre distinguere tra: pubblica agricola Impresa: ; Impresa: ; Impresa: privata commerciale A ciascuna di queste corrispondono regole diverse. (v. bibliografia).

- lattivit dellImprenditore; - lorganismo che la realizza.

individuale ; collettiva

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A4 LImpresa / le Societ

La legge si preoccupa specialmente di:

RESPONSABILITA verso terzi; PUBBLICITA (trasparenza, conoscenza) dellattivit FUNZIONAMENTO (struttura aziendale).
1.3 Le Societ

concorrenza corretta;

Particolare attenzione rivolta alle Imprese pi importanti, le SOCIETA:

sono Imprese collettive costituite con il Contratto di Societ (C.C. art. 2247) che un accordo per istituire un rapporto giuridico patrimoniale tra due o pi persone, che conferiscono beni o servizi per lesercizio in comune di unattivit economica allo scopo di dividerne gli utili.

semplice (Ss) di persone in nome collettivo (Snc) in accomandita semplice (Sas) SOCIETA per azioni (SpA) a responsabilit limitata (Srl) di capitali in accomandita per azioni (Saa) cooperative a responsabilit limitata (Scrl) cooperative a responsabilit illimitata (Scri) mutua assicurazione (Sma) Societ cooperative Le principali caratteristiche delle Societ di persone e di capitali, escluse le cooperative, si possono rilevare nella SCHEDA COMPARATIVA riportata in allegato (da Edizioni SOLE 24 ORE).

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A4 LImpresa / le Societ

1.4 La Societ per Azioni (SpA)

AZIONE (Ordinaria):

titolo di propriet diritto di partecipazione


capitale patrimonio
utile patrimonio voto

valore di unazione:

nominale (contabile); effettivo (sostanziale); di mercato (di Borsa, per societ quotate).

ORGANI SOCIALI
1) Assemblea (degli Azionisti) I compiti principali riguardano: - (a) nomina di Amministratori e Sindaci; approvazione del Bilancio; destinazione degli utili; acquisto azioni proprie;.... - (b) variazioni dello Statuto; emissione obbligazioni; - (c) variazione del capitale sociale. 2) Amministratori: amministrazione propriamente detta ( interno) rappresentanza ( esterno) Varie possibilit: Amministratore unico; oppure: Consiglio di Amministrazione, con un Presidente e 1 o pi Amministratori Delegati. I compiti: 3) Collegio Sindacale: organo di controllo e vigilanza.

VARIAZIONI DEL CAPITALE DELLE S.p.A.


AUMENTO del Capitale Sociale: (solo con modifica dello Statuto) a) emissione nuove azioni; b) aumento del valore nominale delle azioni esistenti.

Il finanziamento delloperazione pu avvenire mediante sottoscrizione (pagamento effettivo delle nuove azioni emesse) oppure con prelievo (totale o parziale) dalle riserve.

RIDUZIONE

del Capitale Sociale ( meno frequente):

pu avvenire per necessit di assorbire perdite oppure per adeguamenti (in diminuzione) dellattivit.

Si pu anche verificare il caso di variazioni di valore nominale delle azioni (e del numero) senza variazioni di Capitale Sociale.

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1.5 Collegamenti fra Societ


a) Senza partecipazioni azionarie: sindacati; consorzi; conferenze; cartelli; club; pool; joint ventures; .... b) Con partecipazioni azionarie: b1 ) sottoscrizione semplice di azioni della Societ A da parte della societ B B = controllante di A (quando il pacchetto sufficiente); b2 ) HOLDING = Societ capogruppo, controllante un certo numero di altre Societ; in genere svolge la funzione finanziaria per tutto il gruppo. b3 ) TRUST (propriamente detto) = organizzazione illegale in cui ununica finanziaria si appropriata in modo illegale delle azioni di tutte le Societ del Gruppo (cedute in cambio di certificati di propriet). 1.6 Le Societ Cooperative Hanno scopo prevalentemente mutualistico. Possono essere a responsabilit limitata o illimitata. Ne esistono di due tipi fondamentali: a) COOPERATIVE DI LAVORO: i soci sono tutti lavoratori impiegati nellimpresa; b) COOPERATIVE DI UTENZA: i soci derivano lutile dal minor prezzo pagato per lacquisto di prodotti di consumo. 1.7 Le Imprese Pubbliche a) Imprese a partecipazione statale: hanno la stessa forma giuridica delle altre Imprese commerciali. b) Enti Pubblici Economici: hanno norme di diritto speciali:

b1 ) Imprese - organo (es.: ANAS; municipalizzate; ...). b2 ) Imprese - Ente pubblico (es.: ex IRI; ENI; ENEL; BNL; ... ).
Molti dei suddetti EE.PP sono attualmente in fase di privatizzazione.

Conclusioni sulle SOCIET VANTAGGI PRINCIPALI: SVANTAGGI (riguardanti la grande Impresa):

durata riduzione del rischio gestione collettiva dellImpresa elasticit patrimoniale facilitazioni nel finanziamento facilitazioni negli investimenti vantaggi fiscali ........

burocrazia tendenza monopolistica implicazioni politiche scarsa trasparenza degli obiettivi.

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A4 LImpresa / le Societ

ALLEGATO SCHEDA COMPARATIVA DELLE PRINCIPALI SOCIETA


Caratteristiche Societ di persone Societ semplice Societ in nome (Ss) collettivo (Snc) Facoltativa e libera La denominazione sociale deve contenere il nome di uno o pi soci con la indicazione della sigla Snc Pu essere anche di natura commerciale Societ in accomandita semplice (Sas) La denominazione sociale deve contenere il nome di uno o pi soci con la indicazione della sigla Sas Pu essere anche di natura commerciale Societ di capitali Societ per azioni Societ a (SpA) responsabilit limitata (Srl) La ragione sociale La ragione sociale libera ma deve libera ma deve contenere contenere lindicazione SpA lindicazione Srl Societ in accomandita per azioni (Saa) La ragione sociale deve contenere il nome di uno dei soci accomandatari lindicazione della sigla Saa Pu svolgere qualsiasi tipo di attivit

Denominazione & ragione sociale

Tipo di attivit

Particolarit

Non pu svolgere attivit commerciale. Pu anche svolgere attivit di gestione immobiliare o unattivit rientrante nei cd redditi da lavoro autonomo Nessuna

Pu svolgere qualsiasi tipo di attivit

Pu svolgere qualsiasi tipo di attivit

Nessuna

Presenza di due tipi di soci: accomandatari e accomandanti

Le quote sociali sono costituite da azioni; pu emettere obbligazioni

Capitale minimo Nessun limite

Nessun limite

Nessun limite

Formalit costitutive

Nessuna. Latto costitutivo non va pubblicato nel Registro delle imprese

Responsabilit dei soci

Illimitata ed estesa, salvo patto contrario, a tutti i soci in solido Non previsto

La costituzione deve avvenire per atto pubblico o per atto privato; necessaria liscrizione al registro delle imprese Illimitata ed estesa, salvo patto contrario, a tutti i soci in solido Non previsto

Collegio sindacale

La costituzione deve avvenire per atto pubblico o per atto privato; necessaria liscrizione al registro delle imprese Illimitata per i soci accomandatari, limitata al capitale conferito per i soci accomandanti Non previsto

200 milioni. E obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dallultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.) La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; necessaria liscrizione al registro delle imprese E limitata al solo capitale sottoscritto

Le quote sociali non possono essere inferiori a lire 1000 e non possono essere rappresentate da azioni. La Srl non pu emettere obbligazioni 20 milioni. E obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dallultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.) La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; necessaria liscrizione al registro delle imprese E limitata al solo capitale sottoscritto

Le quote sociali sono costituite da azioni; presenza di due tipi di soci: accomandatari e accomandanti. La Saa pu emettere obbligazioni 200 milioni. E obbligatorio indicare nella corrispondenza e negli atti il Capitale Sociale versato quale risulta dallultimo bilancio (Art. 2250 II c C.C.) La costituzione deve avvenire solo per atto pubblico; necessaria liscrizione al registro delle imprese Illimitata per i soci accomandatari, limitata al capitale conferito per i soci accomandanti Obbligatorio

Obbligatorio

Regime fiscale

Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della societ gravano quindi lIRPEF e lIRAP.

Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della societ gravano quindi lIRPEF e lIRAP.

Il reddito viene automaticamente imputato ai soci i quali lo cumulano al proprio reddito personale; sul reddito della societ gravano quindi lIRPEF e lIRAP.

Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla societ, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

Obbligatorio per le Srl con capitale sociale superiore a 100 milioni o se previsto dallo statuto sociale Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla societ, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

Pagamento di IRPEG e IRAP. Sui dividendi erogati dalla societ, al socio percipiente spetta un credito di imposta (Irpef/Irpeg) pari ai 9/16 del dividendo lordo

(segue)

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Economia Applicata allIngegneria - Schemi delle lezioni

A4 LImpresa / le Societ

(segue)
Societ di persone Societ semplice Societ in nome (Ss) collettivo (Snc) Durata cariche Nessun limite Nessun limite Societ in accomandita semplice (Sas) Nessun limite Societ di capitali Societ per azioni Societ a (SpA) responsabilit limitata (Srl) Vanno rinnovate Nessun limite. ogni tre anni Lart. 2383 II c C.C. non richiamato allart. 2487 C.C. Decorso termine. Decorso termine. Conseguimento Conseguimento oggetto sociale. oggetto sociale. Impossibilit di Impossibilit di conseguimento conseguimento delloggetto delloggetto sociale. Volont di sociale. Volont di tutti i soci. tutti i soci. Venir meno della Venir meno della pluralit dei soci. pluralit dei soci. Altre cause previste Altre cause previste dal contratto dal contratto sociale. sociale. Provvedimenti Provvedimenti dellautorit dellautorit governativa. governativa. Fallimento. Fallimento. Societ in accomandita per azioni (Saa) Vanno rinnovate ogni tre anni

Cause di scioglimento

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilit di conseguimento delloggetto sociale. Volont di tutti i soci. Venir meno della pluralit dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilit di conseguimento delloggetto sociale. Volont di tutti i soci. Venir meno della pluralit dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dellautorit governativa. Fallimento.

Vantaggi

Svantaggi

Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito dimposta sugli utili distribuiti. Il soggetto giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci pi elastica (tassazione per cassa). Agevolazioni formali per il trasferimento quote Responsabilit Responsabilit Responsabilit Tassazione in illimitata e solidale illimitata e solidale illimitata e solidale alcuni casi pi dei soci. dei soci. dei soci. gravosa. IRPEF soci anche IRPEF soci anche IRPEF soci anche Maggiori su utili non su utili non su utili non formalit. distribuiti. distribuiti. distribuiti. Obbligatoriet Maggiori Maggiori Maggiori organi sociali. adempimenti per il adempimenti per il adempimenti per il Esclusione trasferimento quote. trasferimento quote. trasferimento quote. contabilit semplificata.

Minori formalit. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilit di contabilit semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Minori formalit. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilit di contabilit semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilit di conseguimento delloggetto sociale. Volont di tutti i soci. Venir meno della pluralit dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dellautorit governativa. Fallimento. Quando rimangono solo soci accomandanti o solo soci accomandatari. Minori formalit. Organi sociali limitati. Bilancio non soggetto a pubblicazione. Possibilit di contabilit semplificata. Le perdite possono trovare compensazione nei redditi dei soci.

Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito dimposta sugli utili distribuiti. Il soggetto giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci pi elastica (tassazione per cassa).

Tassazione in alcuni casi pi gravosa. Maggiori formalit (ma minori della SpA). Obbligatoriet organi sociali. Esclusione contabilit semplificata.

Decorso termine. Conseguimento oggetto sociale. Impossibilit di conseguimento delloggetto sociale. Volont di tutti i soci. Venir meno della pluralit dei soci. Altre cause previste dal contratto sociale. Provvedimenti dellautorit governativa. Fallimento. Quando rimangono solo soci accomandanti o solo soci accomandatari. Perdite fiscalmente recuperabili entro i cinque anni successivi. Rischio dei soci limitato al capitale sottoscritto. Credito dimposta sugli utili distribuiti. Il soggetto giuridicamente autonomo a tutti gli effetti. Politica di distribuzione dei redditi ai soci pi elastica (tassazione per cassa). Agevolazioni formali per il trasferimento quote Tassazione in alcuni casi pi gravosa. Maggiori formalit. Obbligatoriet organi sociali. Esclusione contabilit semplificata.

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Economia Applicata allIngegneria - Schemi delle lezioni

A5 La Gestione dellAzienda

A5 - LA GESTIONE DELLAZIENDA

1 - IL CONTESTO ECONOMICO DELLIMPRESA


La gestione economica dellimpresa basata sui seguenti presupposti fissati dalla legge: lImpresa attivit economica diretta al mercato; lImprenditore organizzatore dei fattori; lImprenditore ha diritto allutile. 1.1 Come si forma lutile Lutile il risultato economico positivo dellattivit di unImpresa ed misurato dalla differenza fra i RICAVI e i COSTI che si verificano in un anno (esercizio) di attivit. Il Codice Civile e le leggi fiscali fissano le modalit con cui presentare questo risultato nei documenti che costituiscono il BILANCIO, e, in particolare, nel CONTO ECONOMICO (documento fondamentale della Contabilit Generale dellAzienda). Lo schema di base del Conto Economico il seguente: RICAVI F A T T U R A T O = COSTI + GUADAGNO (G) C O S T I

Ce A I A + U = Cash Flow

G U Dove: Ce A I U = Costi di esercizio = Ammortamento = Imposte (sul reddito) = Utile

Precisazioni sullAMMORTAMENTO : la quota annua corrispondente ai costi di investimento consentita dalla legge (C.C. e Norme fiscali); riguarda esclusivamente i beni strumentali (quelli impiegati per realizzare la produzione) e rappresenta la loro perdita di valore subita nellanno di attivit (v. depreciation in Inglese); quindi considerato come costo, ma non unuscita monetaria effettiva nellesercizio; con Ammortamento si intende anche loperazione che porta a ricostituire un capitale attraverso i periodici accantonamenti.

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A5 La Gestione dellAzienda

1.2 Come si ripartiscono i proventi Bisogna tenere presente che la produzione un fine strumentale, mentre scopo finale dellImpresa PRODURRE VALORE AGGIUNTO. Valore aggiunto (Va) = ricchezza prodotta dallimpresa, che viene distribuita sotto forma di retribuzioni dei fattori, anzitutto, e poi degli altri soggetti che ne hanno diritto:

lavoro

salari

retribuzioni garantite da contratti

capitale interessi - capitale di terzi - capitale di rischio (o proprio) terra rendita imprenditore profitto Stato imposte retribuzioni non garantite da contratti; la remunerazione data dallUTILE di ESERCIZIO

Per quanto riguarda lImprenditore, esso considerato come quarto fattore produttivo. Dallo schema visto discende che: PROFITTO = UTILE - INTERESSE DEL CAPITALE DI RISCHIO.

Questo equivale a separare la funzione organizzativa dalla propriet del capitale di rischio. Cosa necessaria per meglio definire la figura economica dellimprenditore, poich oggi, al di fuori della piccola Impresa, lorganizzazione dei fattori produttivi demandata al Management (che non ha diritto allutile). Dunque, la caratteristica prevalente dellImprenditore diventa limpiego del CAPITALE DI RISCHIO.

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2 - LAZIENDA E LA SUA GESTIONE


2.1 Il Sistema Azienda GESTIONE = Insieme di atti di amministrazione e produzione diretti a raggiungere i fini dellimpresa. Occorre tener conto che l Azienda un SISTEMA COMPLESSO e APERTO con pi fini , rappresentati dagli obiettivi di ciascuno dei soggetti interessati. Se la sostanza dellAzienda rappresentata dai vari componenti in cui si concretizzano i fattori di produzione (uomini - impianti - prodotti - denaro) che devono essere organizzati dallImprenditore, il funzionamento dellAzienda condizionato dalle esigenze dei diversi soggetti interessati sia interni che esterni:

Proprietario soggetti interni

Dirigenti

Dipendenti

AZIENDA soggetti esterni Clienti Stato

ciascuno dei quali ha i propri OBIETTIVI: PROPRIETARIO DIRIGENTI DIPENDENTI CLIENTI STATO Remunerazione del Capitale / Profitto Remunerazione Lavoro + esercizio del Potere Remunerazione Lavoro + Gratificazione Soddisfacimento dei Bisogni Reddito / Servizi

Denominatore comune: richiesta di BENESSERE. Ciascuno cerca di MASSIMIZZARE GLI OBIETTIVI, ma trattandosi di SISTEMA solo possibile OTTIMIZZARE. La CONFLITTUALIT PERMANENTE = necessaria (e utile). Dunque lAzienda un sistema aperto verso il mercato e la societ in genere; ed un sistema complesso in quanto coinvolge tre sottosistemi: quello sociale, quello economico e quello tecnico. Al suo funzionamento devono concorrere molti e svariati elementi: oltre a quelli materiali (macchine, impianti etc.), occorrono risorse finanziarie, competenze e conoscenze, risorse umane e idoneo clima aziendale, legami privilegiati con altre imprese, immagine aziendale. Sono gli elementi che costituiscono il patrimonio tecnologico, commerciale, finanziario e direzionale del quale lazienda ha bisogno per interagire con successo con lambiente esterno. Dunque la GESTIONE operazione complessa, per realizzare la quale necessaria una STRUTTURA adeguata non solo al coordinamento delle risorse allinterno, ma anche allinterazione con lesterno.

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2.1 La struttura organizzativa

I riferimenti di base: contesto giuridico dellImpresa; il Mercato (Azienda Offerta;


comportamento del produttore); la concorrenza. La struttura organizzativa da dare allAzienda deve tener conto della visione completa del SISTEMA AZIENDA, nel quale sono individuabili: STRUTTURA ORGANIZZATIVA Meccanismi di GESTIONE Processo di FUNZIONAMENTO

Modo con cui sono distribuiti i COMPITI e le RESPONSABILITA E specifica per ogni azienda, in base ad alcuni principi generali

Gli strumenti del Management per raggiungere gli obiettivi aziendali

La successione delle attivit e le loro interazioni.

Schema di funzionamento di unazienda industriale

ACQUISTO

ATTIVITA DI TRASFORMAZIONE

VENDITA beni e servizi

MERCATO

Gli elementi (risorse) da coordinare sono raggruppati nelle FUNZIONI AZIENDALI = attivit (e personale corrispondente) in cui si pu pensare di articolare il processo aziendale, le principali delle quali sono presentate sinteticamente nella Tav. 1 allegata. In relazione alle dimensioni dellazienda, le FUNZIONI non sempre sono tutte presenti e/o individuabili; spesso sono accorpate; inoltre ciascuna ha i propri obiettivi (anche contrastanti); anche qui: OTTIMIZZAZIONE ( SISTEMA). Diverso infatti il problema della massimizzazione o minimizzazione dei singoli obiettivi delle diverse funzioni: p. es.: F. ACQUISTI MIN (COSTI di ACQUISTO) F. PRODUZIONE MIN (COSTI di PRODUZIONE) F. VENDITE MAX (QUANTITA VENDUTE)

per lAzienda (Sistema)

MAX (R - C)

rappresenta la funzione - obiettivo, che tiene conto dei ricavi e dei costi di tutte le funzioni dellazienda

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L ORGANIZZAZIONE una Funzione molto speciale: trasversale. Pu spiegare tutta levoluzione dellAzienda moderna, perch la storia dellorganizzazione aziendale coincide con il processo di trasformazione che ha portato allazienda moderna (v. nascita della produttivit Taylor / Taylorismo; Management scientifico e i suoi capisaldi; Fayol Funzioni = divisione del lavoro a livello direzionale). Lorganizzazione dellAzienda moderna ha come obiettivo fondamentale: individuare le attivit e assegnarle. Questo compito demandato alla Funzione Organizzazione o alla Direzione ( il Management anche larte di organizzare). I principi fondamentali dellOrganizzazione:
- AUTORITA - CONTROLLO - DELEGA

potere / diritto di fare liberamente avviene soprattutto mediante la CONTABILITA riguarda solo lAUTORIT

I rapporti di autorit (gerarchia) ed i collegamenti fra le persone si stabiliscono in base a tre schemi storici di organizzazione:
- GERARCHICO: per ogni persona un solo capo - FUNZIONALE: per ogni persona pi capi (per le diverse competenze) - LINE-STAFF: si inseriscono elementi di specializzazione fuori linea.

Le strutture organizzative correnti sono la Funzionale (centralizzata) e la Divisionale (decentrata)

LOrganigramma Altri schemi organizzativi:


- per MATRICE - per PROGETTO

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A5 La Gestione dellAzienda

ALLEGATO

TAV. 1 - PRINCIPALI FUNZIONI AZIENDALI E RELATIVI CONTENUTI


Acquisti Questa funzione si occupa della selezione dei fornitori e del regolare approvvigionamento di quanto occorre allazienda. La sua responsabilit primaria quella della minimizzazione dei costi di acquisto e della puntualit dei tempi di approvvigionamento. E la funzione che si occupa di coordinare ed eseguire la fabbricazione dei prodotti dellazienda. Suo compito fondamentale quello del rispetto dei costi standard di produzione e del puntale versamento a magazzino della produzione effettuata. Altro compito importante quello del rispetto dei livelli quantitativi prestabiliti. La funzione Vendite ha il compito di cercare clienti per i prodotti dellazienda. Tra i suoi compiti accessori c quello di fungere da terminale intelligente sul mercato per recepire le necessit emergenti dei clienti in modo da permettere allazienda il continuo aggiornamento dei suoi prodotti. La responsabilit che normalmente le viene assegnata quella della massimizzazione delle quantit vendute. Questa funzione ha il compito di selezionare le risorse umane occorrenti allazienda e di stabilire delle politiche di gestione di tali risorse. La direzione del personale si occupa della formazione e dello sviluppo delle risorse umane; propone le politiche retributive; imposta spesso la politica di relazioni industriali (rapporto coi sindacati). Spesso questa funzione abbinata a quella del Personale; il suo compito specifico quello di studiare le procedure pi efficaci per lo svolgimento dei compiti aziendali; cura pertanto la distribuzione di compiti e responsabilit nellambito degli obiettivi fissati dalla direzione pervenendo alla definizione del cosiddetto organigramma aziendale (schema della distribuzione dei compiti e delle responsabilit). E la funzione che ha la responsabilit di acquisire le risorse finanziarie necessarie per lattuazione dei piani aziendali. Il suo obiettivo quello di minimizzare il costo medio della raccolta dei mezzi finanziari e di assicurare che i mezzi finanziari siano sufficienti per lo svolgimento dei piani aziendali. Questa funzione registra le transazioni dellazienda con lesterno tenendo la contabilit generale dellazienda. Inoltre questa funzione deve redigere il Bilancio desercizio e tenere i rapporti col Fisco. E la funzione che raccoglie ed elabora tutti i dati significativi della gestione con lo scopo di consentire al management di controllare che i programmi stabiliti vengano eseguiti correttamente e che gli obiettivi che lazienda si posta si stiano raggiungendo. Questa funzione ha il compito di fare della ricerca per migliorare o innovare i processi produttivi o sviluppare nuovi prodotti. E la funzione che studia e propone le politiche pi opportune per rendere desiderabili i prodotti dellazienda. La sua responsabilit primaria quella di fissare per ogni prodotto aziendale il cosiddetto marketing mix, vale a dire la combinazione pi opportuna delle leve di marketing (prezzo, pubblicit, promozione, canali di distribuzione, qualit del prodotto, livello di servizio, etc...). Tra le sue responsabilit c anche quella di effettuare studi di mercato per individuare le preferenze dei consumatori. Questa funzione ha il compito di elaborare i dati aziendali con la finalit di fornire alle singole funzioni le informazioni da loro richieste. Il suo compito quello di studiare le modalit di rilevazione e trattamento dei dati per pervenire alla redazione delle informazioni necessarie secondo le modalit richieste dagli utenti.

Produzione

Vendite

Personale

Organizzazione

Finanza

Amministrazione

Controllo di Gestione Ricerca & Sviluppo Marketing

Sistemi informativi

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

A6 CONTABILITA ANALITICA E COSTI DI PRODUZIONE


1 - PREMESSA
La Contabilit Generale consente di determinare il reddito di esercizio e di controllare globalmente i movimenti finanziari di un impresa, e raggiunge tali scopi attraverso le scritture contabili; presenta per due limiti fondamentali: riferimento alla gestione passata, mentre le operazioni vanno decise sulla base di conoscenze ed ipotesi riferite al futuro ed alla situazione concomitante; riferimento alla gestione globale dellimpresa, mentre per lassunzione di decisione occorrono informazioni di dettaglio. Per assumere decisioni strategiche e per programmare lattivit produttiva, ad unimpresa occorrono quindi informazioni di dettaglio e conoscenze ed ipotesi riferite al futuro ed alla situazione attuale. Tali informazioni sono date da vari tipi di contabilit, diverse dalla Contabilit Generale. Complessivamente esse costituiscono la Contabilit Direzionale e si suddividono in: contabilit speciali; piani; budget. Con il termine contabilit speciali si indicano contabilit che perseguono scopi diversi rispetto a quelli della contabilit generale e si hanno: la contabilit analitica, o industriale, o dei costi; la contabilit del magazzino; la contabilit del personale; la contabilit IVA; la contabilit delle immobilizzazioni. La pi interessante e rilevante la contabilit analitica. Collegata al budget ed ai piani, fornisce le informazioni per assumere decisioni strategiche ed operative, orientare le scelte di convenienza economica, valutare il contributo al profitto aziendale di prodotti, di famiglie di prodotti, di centri operativi, etc.. In particolare alla base della funzione aziendale denominata Controllo di gestione, che sta assumendo un ruolo sempre pi importante in ogni forma di attivit economica organizzata. Di fatto la contabilit analitica riguarda tutte le aziende, indipendentemente dal settore di attivit in cui esse operano. La contabilit analitica anche definita: CONTABILITA DEI COSTI CONTABILITA INDUSTRIALE

le prime applicazioni sono state orientate esclusivamente al calcolo dei costi stata introdotta inizialmente nelle imprese industriali.

Anche allo scopo di comprenderne a fondo il significato, opportuno prendere in esame il contesto industriale in cui nata e successivamente analizzarne le principali caratteristiche applicative in tale campo.
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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

2 - IL PROCESSO PRODUTTIVO INDUSTRIALE


Il processo produttivo delle imprese industriali caratterizzato dalla presenza del ciclo tecnico, che si aggiunge al ciclo economico e a quello monetario, comuni ad ogni tipo di impresa. Il ciclo economico costituito dal continuo avvicendarsi del sostenimento dei costi e del conseguimento dei ricavi, mentre il ciclo monetario (o finanziario) dallanalogo avvicendamento delle corrispondenti uscite ed entrate monetarie. Il ciclo tecnico, a sua volta, individuato dallo svolgimento delle operazioni volte alla trasformazione delle materie prime in prodotti finiti, e corrisponde al periodo di tempo che intercorre tra linizio della trasformazione e lottenimento dei prodotti. Con riferimento allaspetto tecnico, il processo produttivo delle imprese industriali pu avvenire in due modi diversi, a seconda che le imprese producano: -su commessa, cio producano beni in base ad una specifica ed esplicita richiesta del mercato, oppure: -per il magazzino, cio realizzino flussi continui di prodotti da offrire sul mercato. In ogni caso consuetudine chiamare materia prima e prodotti finiti rispettivamente i fattori di input e di output del processo tecnicoproduttivo, anche quando non si tratta di materie prime in senso stretto (cio di beni da produzione agricoloindustriale o estrattiva), n di prodotti destinati allutilizzatore finale (cio di beni che hanno concluso il loro processo di trasformazione). In entrambi i casi pu infatti trattarsi di semilavorati: costituenti loutput di impresa che ha operato ad uno stadio di trasformazione precedente, oppure destinati a subire ulteriori trasformazioni da parte di altre imprese successivamente. La gestione ottimale del processo produttivo di unazienda industriale riguarda quindi il complesso delle attivit che vanno dallapprovvigionamento degli input dallesterno - materiali, energia, informazioni - (Funzione Acquisti), al processo di trasformazione degli input in output coerentemente con gli obiettivi dellimpresa ( Funzione Produzione), alla collocazione di tali output sul mercato (Funzione Vendite, Funzione Marketing). Tutte queste attivit vanno poi mantenute in equilibrio nel tempo, verificando che i risultati via via conseguiti siano congruenti con quelli preventivati (Funzione Controllo di Gestione), anche per poter impostare una strategia di espansione dellazienda. Per poter realizzare tutto questo necessario disporre di un sistema di controllo basato sulla contabilit. Infatti, il problema dellanalisi e del controllo dei costi di produzione non deve essere trascurato da nessun tipo di azienda, ma, date le caratteristiche del processo produttivo, questo deve essere oggetto di particolare attenzione da parte delle imprese industriali Il tipo di contabilit che risponde allo scopo la contabilit analitica, o industriale.

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

3 - LA CONTABILIT ANALITICA (O INDUSTRIALE)


3.1 Generalit La Contabilit analitica (o Contabilit industriale) un sistema contabile aziendale il cui scopo principale quello di controllare il processo produttivo attraverso il rilevamento dei costi di produzione e la loro analisi, operazioni che consentono di quantificare il costo del prodotto, giustificandone le modalit di formazione. In effetti la C.A. si occupa anche di ricavi e di profitti, ma tanto rilevante il problema dei costi rispetto al resto, che viene correntemente anche chiamata Contabilit dei costi. La Contabilit analitica lo strumento che deve servire ai responsabili della gestione economica dellazienda per il controllo dellefficienza del processo produttivo e per lo sviluppo di politiche di espansione. In particolare la C.A. mira a superare le difficolt e i limiti che derivano dalla pura e semplice lettura dei dati ufficiali forniti dalla Contabilit Generale e sintetizzati nel Bilancio. Questi sono certamente utili, ma non sono sufficienti: vanno affiancati da una pi approfondita e specifica analisi dei fenomeni economici. Per capire a fondo i costi non basta conoscerne la natura sapere cio se si tratta di costi di lavoro, di ammortamento, di materiali etc. - necessario conoscerne lorigine , cio dove e come si formano e crescono progressivamente nel susseguirsi delle operazioni aziendali. Dunque, rispetto alla Contabilit generale, la Contabilit analitica serve per esigenze interne dellazienda, non obbligatoria per legge, tratta i costi (ma anche i ricavi) non solo a consuntivo, ma anche a preventivo. Per impostare un sistema di contabilit industriale occorre predisporre unapposita struttura organizzativa, suddividendo lazienda in unit organizzative elementari dette Centri di costo e responsabilizzando in ciascun Centro il personale incaricato del rilevamento e del controllo dei costi. Questo rilevamento va effettuato in base a determinati principi, che tengono conto degli obiettivi specifici della contabilit industriale. E necessario quindi conoscere anzitutto questi principi e poi il modo tipico di trattare i costi di produzione in azienda, che diverso da quello ufficiale della contabilit generale. Dopodich si potr riprendere e completare il discorso dellorganizzazione pratica del sistema di contabilit industriale.

I principi del rilevamento dei costi di produzione

In generale in azienda il costo riferito al prodotto e in ogni caso lobiettivo fondamentale della contabilit analitica quello di determinare il costo finale di ogni singolo prodotto realizzato in funzione del costo dei fattori utilizzati. Il rilevamento e la contabilizzazione dei costi si effettuano in base a tre criteri fondamentali: riferimento al tempo: il costo deve essere riferito a un determinato periodo di tempo ; disaggregazione: il costo totale deve essere disaggregato nelle quote di costo corrispondenti ai vari fattori impiegati per realizzare il prodotto (lavoro, materie prime, ecc..); imputazione: i costi sostenuti dallazienda vanno imputati, cio attribuiti specificamente, ai singoli prodotti.

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

3.2 Classificazione dei costi aziendali Una prima distinzione porta a dividere i costi in base alle modalit con le quali si raggruppano le varie voci di costo ai fini dellimputazione del costo totale; in tal senso i costi vengono distinti in: costi diretti; costi indiretti. I costi diretti sono quelli che possono essere imputati senza dubbi particolari ad un oggetto determinato; questo pu essere costituito da un singolo prodotto, oppure da un lotto di prodotti, un reparto, una commessa, e, pi in generale, da un centro di costo. Tipici esempi di costi diretti sono: il costo dei materiali di input della realizzazione del prodotto (Materiali diretti) e quello del lavoro impiegato per ottenere il prodotto stesso (Manodopera diretta). I costi indiretti sono invece quelli che difficile riferire ad un determinato oggetto (centro di costo) perch riguardano pi oggetti contemporaneamente. Sono tali ad es. i costi del lavoro dei dipendenti la cui attivit interessa pi produzioni (capi reparto, magazzinieri, personale di manutenzione, amministrativi, ecc..), come pure i costi di ammortamento e tutti i costi relativi a settori diversi da quello tecnico-produttivo. Una seconda distinzione quella che divide i costi in base alla relazione funzionale con la quantit di produzione ottenuta; in tal senso i costi si suddividono in: costi fissi; costi variabili. I costi fissi sono i costi che si considerano costanti al variare della quantit di produzione relativa ad un determinato tempo, in quanto indipendenti, entro certi limiti, dal volume di questa. Sono tipici di questa categoria i costi di ammortamento degli impianti. Occorre tener presente, a questo proposito, che il tempo a cui ci si riferisce nella trattazione dei costi di produzione di norma il breve periodo, ed pertanto ragionevole considerare fissi i costi che, come lammortamento, non possono variare in questo lasso di tempo. Nel diagramma che riporta in ascisse le quantit prodotte (p) e in ordinate i costi complessivi C (cio i costi da sostenere per produrre la quantit p) i costi fissi saranno rappresentati da una retta orizzontale.
C Cf

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

La categoria dei costi fissi, che in passato annoverava in pratica soltanto i costi relativi ai beni strumentali, oggi ha ampliato notevolmente la propria gamma. Possono essere considerati fissi i seguenti costi: ammortamenti, manutenzioni (che sono sempre pi frequentemente programmate a scadenze regolari, indipendenti in pratica dal volume di produzione), canoni di leasing, affitti. Devono inoltre essere considerati fissi gran parte dei costi del personale : bisogna infatti tener presente che attualmente la quantit di lavoro non ha molti margini di variabilit in funzione della produzione: se si pu aumentare il numero dei dipendenti per aumentare la produzione, non si pu per altrettanto facilmente ridurlo, per motivi sociali. Questo impedisce pertanto ladeguamento del costo di produzione alle quantit da produrre. Sono infine costi fissi quelli sostenuti per Ricerca & Sviluppo. Data la loro natura, i costi fissi aumentano o diminuiscono non in modo graduale ma con andamento a gradini:
C Cf

p*

Infatti, data una certa struttura del parco impianti, un incremento di produzione si pu ottenere con un suo utilizzo pi intensivo ma solo fino ad un certo limite, oltre il quale occorre procedere allacquisizione di nuovi impianti. I costi variabili sono cos definiti in quanto variano in funzione della quantit di produzione ottenuta dallimpresa. In prima approssimazione si pu assumere che questa funzione sia lineare, per cui nel diagramma produzione - costi complessivi, i costi variabili saranno rappresentati da una retta per lorigine.

Cv

Sono da considerare variabili i seguenti costi: i costi dei materiali di input del processo produttivo; parte del costo della manodopera; inoltre parte dei costi energetici. Per quanto riguarda la manodopera, per quanto detto a proposito dei dipendenti fissi, potranno essere considerate senzaltro variabili solo le componenti della voce lavoro che eccedono la retribuzione base, quali gli straordinari, i cottimi e gli oneri accessori a questi connessi; saranno
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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

invece totalmente costi variabili quelli relativi a manodopera assunta a tempo definito oppure quelli sostenuti per lavoro interinale (lavoratori in affitto). A proposito dellenergia, i relativi costi si dicono anche semivariabili, in quanto, pur non essendo rigorosamente funzione della quantit prodotta, risentono per certi aspetti della sua variazione: si pensi al costo dellenergia elettrica, scomponibile in una quota fissa (canone) e in una componente variabile (consumo). Una situazione analoga si pu avere per i costi di manutenzione, che dipendono in parte dal grado di utilizzo delle strutture. E comunque importante tener presente che possibile stabilire quali costi siano fissi e quali variabili solo in base a un determinato punto di osservazione e tenendo conto delle condizioni specifiche del processo produttivo che si considera. Ci vuol dire che la definizione va fatta caso per caso.

3.3 Relazioni funzionali dei costi fissi e variabili e loro rappresentazione grafica

Funzioni lineari dei costi complessivi


Si osservi anzitutto che, come si sottolineato, i costi fissi ed i costi variabili sono tali se riferiti alla produzione aziendale complessiva. Ora, entrambi i tipi di costi invertono la loro natura (cio da fissi diventano variabili e viceversa) se riferiti ad ogni singola unit di produzione, ossia se si considerano anzich i costi complessivi, i costi unitari. Continuiamo per il momento ad assumere che i costi variabili siano direttamente proporzionali alla produzione. In tal caso le relazioni funzionali per costi fissi e variabili sono le seguenti:

C f = cost

si tratta di costi complessivi, essendo rispettivamente:

C f = costi fissi; Cv = costi variabili; Ct = costi totali.

Cv = kx Ct = C f + kx

I corrispondenti costi unitari saranno:

C u ,t = k +
Cu, f = Cf x

Cf x

Cu,v = k

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

Funzioni non lineari dei costi complessivi

In qualche caso necessario superare i limiti della linearit ipotizzata finora, nei rapporti tra le variabili. I costi (variabili e totali) possono in realt essere funzioni pi complesse della produzione. Si abbia, ad es., una funzione di costo non lineare Ct=C(x), del tipo:

Ct = C ( x)

Interessa allora conoscere, oltre al costo unitario medio ( Ct / x ) , anche il costo marginale, indicando con tale termine il valore dellincremento del costo totale necessario per produrre ununit di prodotto in pi.

cm arg =

dCt dx

Lobiettivo diventa allora quello di minimizzare i costi marginali. Se poi si considera che la distinzione fra costi fissi e variabili ha validit limitata non solo nellintorno dei valori normali di produzione, ma anche nel tempo, si rende necessario allargare ulteriormente la visuale sui costi di produzione al di l di queste limitazioni spazio-temporali. Questo tema viene trattato nellambito della pi generale Teoria dei costi, che esula dal campo della trattazione dei costi dal punto di vista della pratica aziendale.
3.4 Le configurazioni di costo e le modalit di rilevamento

Dopo aver visto come in azienda si classificano i costi necessario vedere come si procede alla segmentazione delle fasi di formazione dei costi nelle operazioni produttive. E, questa, unoperazione necessaria per poter conoscere a fondo, sviscerare, diagnosticare le modalit di generazione dei costi. Nellarticolare la formazione del costo di produzione in diverse fasi, si evidenzia di norma la distinzione fra costi diretti e costi indiretti. Mentre i primi, per definizione, vengono imputati senza esitazione al prodotto, limputazione dei costi indiretti comporta invece problemi non indifferenti. Occorre infatti un criterio di ripartizione, che normalmente porta a scegliere determinati parametri descrittivi della struttura produttiva, dai cui valori dedurre le proporzioni di ripartizione dei costi. Tali parametri sono, ad esempio : larea occupata, le ore macchina, le ore di lavoro diretto, il numero dei dipendenti.

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

Lo schema classico di suddivisione delle fasi di formazione del costo di produzione quello che
evidenzia la successione : Costo primo, Costo industriale, Costo totale, come di seguito riportato:

+ = + = + =

MANODOPERA diretta MATERIALI diretti COSTO PRIMO SPESE GENERALI INDUSTRIALI COSTO INDUSTRIALE ALTRE SPESE GENERALI COSTO TOTALE

(o Costo tecnico) (es.: Ammortamento; Manutenzione; ... ) (Amministrazione centrale; Vendite; ... )

Il COSTO PRIMO, pari alla somma di tutti i costi diretti di prodotto, la configurazione di costo a pi elevato grado di oggettivit. Anche se un costo parziale, particolarmente utile per la valutazione, ad esempio, di lavoro su commessa. Il COSTO INDUSTRIALE tiene conto delle spese generali industriali (lavoro indiretto, energia, altri costi indiretti industriali) che, essendo costi indiretti, vanno ripartiti con criteri che inevitabilmente comportano giudizi soggettivi. E un buon indice di controllo dellattivit produttiva. Il COSTO TOTALE o COSTO PIENO (Full Cost) comprende, oltre ai costi precedenti, anche i costi di tutte le altre funzioni aziendali, anche questi da ripartire e imputare correttamente al prodotto. Questo schema quello utilizzato dalla Contabilit industriale a costo totale (full costing). Si pu avere anche una contabilit industriale a costi diretti (direct costing) che richiede di imputare al prodotto solo i costi variabili, e cio: Manodopera diretta, Lavoro diretto, Costi Industriali generali variabili, Altri costi variabili. In questo schema, molto seguito perch pi semplice e pi snello, ha particolare rilievo il parametro Margine di contribuzione, pari alla differenza tra Ricavi e Costi variabili: questo parametro sta a indicare la copertura che il prodotto pu dare ai costi fissi. Il suo significato deriva dal considerare come costo del prodotto soltanto il costo variabile: in tal modo tutti gli altri costi sono fissi e non ripartiti, dunque da coprire con il ricavato della vendita del prodotto dedotto il suo costo. Il rilevamento e il controllo dei costi si effettuano, come si detto, in appositi Centri di costo, cio unit organizzative elementari in cui si suddivide la struttura aziendale nellottica della contabilit industriale. Sono anche centri di RESPONSABILITA, in quanto gli addetti al controllo devono anche rispondere della generazione dei costi. Anzi, le funzioni di questi Centri si possono allargare ulteriormente al controllo anche dei ricavi, e quindi dei profitti, in modo da superare le funzioni puramente contabili e assumere quelle di strumenti di gestione vera e propria. Di norma nei Centri di costo si provvede al rilevamento dei costi diretti e indiretti, che andranno poi riferiti al prodotto in relazione al metodo di costing prescelto. Dal punto di vista metodologico, conviene distinguere tra Centri produttivi, Centri ausiliari e Centri generali, a seconda dellattivit che vi si svolge. In tal modo risulta facilitato il procedimento di
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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

ribaltamento dei costi indiretti, da parte dei centri ausiliari e generali, sui centri produttivi, responsabili della quantificazione del costo di produzione.

La Contabilit Industriale ha lo scopo di fornire - in particolare alla Direzione dellAzienda tutte le informazioni sui costi, per: - formulare programmi economici - controllare economicit ed efficienza dei diversi settori - confrontare alternative economiche di produzione - formulare politiche di pricing.

In questultimo caso, la configurazione di costo pieno quale si vista prima deve essere integrata: al Costo totale vanno aggiunti i COSTI FIGURATI (interessi sui capitali investiti, fitti figurativi, compensi figurativi dellimprenditore e dei soci, rischio dimpresa...), in modo da calcolare, come risultato, il COSTO ECONOMICO-TECNICO, da utilizzare appunto per arrivare a definire il prezzo di vendita.

4 CONCLUSIONI SUL CONFRONTO FRA CONTABILITA ANALITICA E CONTABILITA GENERALE


La contabilit analitica comunque collegata alla contabilit generale, che fornisce alla prima i dati base per le elaborazioni analitiche e che dalla prima riceve pure dati (scritture di riassestamento). Lo scopo della contabilit generale fornire informazioni per tutti i soggetti esterni interessati alla prestazione economico-finanziaria dellazienda, tali informazioni sono comunicate attraverso la redazione ed il deposito del bilancio. Lo scopo della contabilit analitica fornire informazioni per la pianificazione, lattuazione ed il controllo delle attivit del management. A questo punto risulta interessante mettere a confronto le caratteristiche principali della contabilit analitica e della generale (Tab. 1).
Caratteristiche 1. Necessit duso 2. Finalit 3. Utilizzatori 4. Struttura sottostante 5. Fonte dei principi 6. Prospettiva temporale 7. Tipo delle informazioni 8. Precisione delle informazioni 9. Frequenza del reporting 10. Tempestivit del reporting 11. Unit oggetto del reporting 12. Responsabilit Contabilit analitica Facoltativa Strumento di assistenza al management Gruppi ristretti di persone dallidentit nota Cambia in funzione dellutilizzo delle informazioni Qualunque sia ritenuta utile Storica e prospettica Monetarie e non monetarie Livello relativamente basso Frequenze mensili e settimanali Report tempestivi al termine del periodo di misurazione Unit organizzative (centri di responsabilit) Virtualmente nessuna Contabilit generale Obbligatoria per legge Produrre informazioni per lesterno Gruppi di persone ampi in maggior parte dallidentit personale ignota Equazione fondamentale del bilancio Codice Civile e principi contabili Storica Prevalentemente monetarie Livello relativamente alto Trimestrale ed annuale Ritardi di settimane e anche di mesi rispetto al periodo considerato Lintera organizzazione Teoricamente sempre presenti

Tabella 1 - Caratteristiche della contabilit analitica in confronto alla contabilit generale [R. N. Anthony, D. F. Hawkins, D. M. Macr, K. A. Merchant, Sistemi di controllo, McGraw-Hill, Milano 2001]

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A6 - Contabilit analitica e costi di produzione

In merito al livello di precisione dei due tipi contabilit si ricorda che la contabilit analitica ha livello di precisione approssimativo, poich sacrifica la precisione alla celerit e rileva valori non oggettivi, a differenza della contabilit generale che rileva valori oggettivi e non affatto approssimata.

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A7 Evoluzione del pensiero economico

A7 - EVOLUZIONE DEL PENSIERO ECONOMICO


Obiettivo del capitolo Questo capitolo non ha altra pretesa se non quella di ripercorrere, con una rapida carrellata, le principali tappe della storia delleconomia, allo scopo di ricavarne un quadro di riferimento per comprendere meglio le ragioni dei principali problemi economici odierni, e in particolare per individuare le origini e lo sviluppo dei grandi temi sociali e ambientali.

ANTICHITA E MEDIOEVO.
La maggior parte dei problemi economici attuali non si pone: (per esempio lavoro schiavit = lavoro non retribuito; senza salari non pu nascere una teoria della distribuzione o dei prezzi). Prevale letica sulleconomia. Seguendo le ragioni etiche del pensiero cristiano (con radici nei filosofi greci): si condanna linteresse, visto come un ingiusto arricchimento (non ancora un costo di produzione); i commercianti non godono di molte simpatie, in quanto non producono direttamente i beni che trattano. Lo scambio di merci comunque limitato alle zone di produzione ed ha forma di puro e semplice baratto. La differenza sostanziale rispetto ad oggi lassenza del mercato in senso moderno (elemento base della scienza economica). Leconomia del Medio Evo di autosostentamento (il popolo uccide ci che mangia e produce ci di cui si veste) e di cessione (il contadino cede parte dei raccolti al Signorotto in cambio della protezione e della concessione del diritto di lavoro).

MERCANTILISMO (circa met Sec. XV - met Sec. XVIII)


Viaggi, scoperte geografiche portano ad uno sviluppo dellattivit economica ed alla conseguente crescita dei mercati. Si assiste alla formazione di associazioni di mercanti (Merchant Adventures e Compagnia delle Indie ad esempio) che raggruppano capitali per poter organizzare il commercio allinterno ed allestero crescita di importanza dei mercanti che assumono un ruolo di primo piano nella formazione degli stati moderni. Comparsa delle Banche e delle Societ Anonime. Cambia latteggiamento nei confronti dellinteresse. Ricchezza di una Nazione = funzione della quantit di oro posseduto (concetto statico); la crescita funzione del saldo tra esportazioni ed importazioni. In questo periodo si ha il manifestarsi della prima forma di inflazione: a causa della massiccia importazione di metalli preziosi dal Nuovo Mondo, si verifica una sproporzione tra la quantit di moneta circolante e la quantit di beni acquistabili sul mercato.

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FISIOCRATICI (Francia, Sec.XVIII). Da fisiocrazia = dominio della natura. Questa scuola di pensiero espressione dellaristocrazia terriera francese, che prevale sui mercanti: agricoltura = elemento centrale delleconomia (Ricchezza flusso). Primo esempio di Sistema di idee ( teoria economica): F.Quesnay elabora la Tavola Economica (Tableau Economique) (1752), basata su tre principi: droit naturel (per ci che concerne la propriet privata) :esiste un diritto naturale che porta la societ ad essere strutturata cos com in rappresentanza dei proprietari terrieri (geniale tentativo di salvare un mondo che verr travolto dalla Rivoluzione Francese); laisser faire : lo Stato non deve intervenire nelleconomia; produit net: lunica forma di produzione lagricoltura. Il prodotto netto risulta dallattivit ciclica delleconomia; con questo prodotto netto si pu riprendere lattivit economica per lanno successivo.

Con i Fisiocratici la ricchezza della nazione diventa un concetto dinamico, in funzione di importexport. Dopo la Rivoluzione Francese, di questa teoria resteranno molte interessanti intuizioni.

CLASSICI:
Ad essi si fa risalire la nascita della scienza economica. Utilizzano lesperienza di Mercantilisti e Fisiocratici. Hanno di fronte linizio dellindustrializzazione. Adam Smith (Scozia, 1723-1790) Siamo allinizio della rivoluzione industriale: si passa da unorganizzazione familiare del lavoro alla fabbrica. Nasce la figura dellimprenditore ed il capitale diventa un fattore fondamentale non solo per lacquisto di materie prime ma anche per lacquisto di macchine; in questo periodo che i tecnici (ingegneri ed imprenditori) giocano un ruolo di primo piano nel processo di evoluzione tecnologica. La situazione: lavoro: da famiglia capitale: da materie prime fabbrica; macchine;

Il mercante cede il ruolo di leader delleconomia allindustriale. INVENZIONE Fondamentale ruolo dell INNOVAZIONE EVOLUZIONE TECNOLOGICA

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Lopera enciclopedica di Smith, pietra miliare per leconomia, Wealth of Nations (La ricchezza delle Nazioni), contenente i fondamenti del pensiero dellautore in merito a: natura /funzionamento del Sistema economico: linteresse personale alla base delleconomia e del libero mercato; mosso da una mano invisibile legoista persegue il massimo bene pubblico (chi fa i propri interessi finisce per favorire anche gli altri). valore dei beni: il valore (di scambio) dei beni risiede nel lavoro necessario per produrli. ricchezza della Nazione: il libero scambio, senza interferenza dello Stato sulla libera iniziativa personale, consente la produzione di ricchezza attraverso lefficienza del lavoro, ed la sola garanzia di benessere. Smith fissa dei capisaldi per lo sviluppo successivo del pensiero economico. La sua fama resta legata soprattutto al principio liberistico = libero mercato, libera iniziativa (personale), che consentono automaticamente (mano invisibile) il funzionamento ottimale del sistema.

Gli altri classici: J.B.Say (Francia, 1767-1832): Ottimista. Legge di Say o degli sbocchi (rappresenta la concezione pi ottimistica del funzionamento del sistema): tutta la produzione realizzata in un mercato libero viene sempre ed automaticamente assorbita dal sistema (teoria che sopravvive fino al 1929, quando viene inequivocabilmente confutata dalla famosa crisi di sovrapproduzione). T.R.Malthus (Inghilterra, 1766-1832): molto pessimista. Secondo questo autore mentre la produzione cresce con andamento aritmetico, la popolazione cresce con andamento geometrico: i due andamenti sono incompatibili. Popolazione e Risorse : crescita asimmetrica Previsioni catastrofiche D. Ricardo (Inghilterra, 1772-1823): Il pi grande teorico del classicismo. Codifica ed integra le idee di A. Smith in merito a: valore dei beni: funzione di: utilit; scarsit; quantit di lavoro necessaria per produrli teoria del valore fondata sul lavoro rendita: definita chiaramente come capacit produttiva della terra. salario: deve essere limitato alle necessit di sopravvivenza e di procreazione del lavoratore (legge bronzea). profitto: componente del costo; ci che rimane allimprenditore dopo aver pagato retribuzione e rendita. E anche il pagamento del lavoro fatto in passato per costruire impianti. E sostanzialmente pessimista sul futuro del capitalismo: mentre ne celebra i successi, prepara .......la rivoluzione.

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LE VARIE CORRENTI DELLA TRADIZIONE CLASSICA:

(A1) limitato A) dissenso: (A2) forte

intervento dello Stato rivoluzione proletaria

(B1) giustificazione e difesa B) accordo:

esasperazione dei principi


i Neoclassici

(B2) perfezionamento della teoria

A1) Viene contestato il libero scambio e si auspica lintervento statale (prevalenza dello Stato) per tutelare la produzione interna del paese dalla produzione straniera protezionismo. Nascono contestazioni a causa delle conseguenze sociali dellindustrializzazione (v. aspetti crudeli e oppressivi delle nuove condizioni di vita degli operai): la povert non una colpa inizio dellassistenza.

A2) K. Marx (1818-1883) Si oppone violentemente al principio dellequilibrio tra le componenti del sistema (classi), esponendo nelle sue due principali opere Manifesto del Partito Comunista e Il Capitale (con F. Hengels, 1867) le quattro critiche fondamentali al liberismo classico: iniqua distribuzione del potere: (capitalisti Stato); iniqua distribuzione del reddito: il valore di mercato dei beni prodotti superiore al valore del lavoro delloperaio necessario per produrli; loperaio sottopagato e tale differenza (detta plusvalore) viene accumulata indebitamente dal capitalista proprietario dei mezzi di produzione. Vulnerabilit del sistema: tale situazione conduce inevitabilmente ad una crisi del sistema. monopolio: (= esistenza di un unico produttore) la principale causa dellinevitabile crollo. Critiche centrate, ma che non tengono nel dovuto conto la straordinaria produttivit del capitalismo, e sottovalutano inoltre la possibilit di correzione del sistema mediante: riforme; nascita dei sindacati, espressione dellorganizzazione operaia; evoluzione della struttura aziendale; affermazione del marxismo non contro lindustria ma contro i residui del medioevo. Lavvento della classe operaia, inoltre, non distrugge lo Stato ma ne crea uno pi complesso.

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B1) Laccordo con la tradizione classica si manifesta con lesasperazione dei principi classici, da cui derivano i concetti di: utilitarismo: bisogna puntare al benessere medio della popolazione (benessere statistico), senza preoccuparsi di chi si trova ai margini della societ. Darwinismo sociale (posizione estremistica): legge della selezione naturale valida anche in campo economico-sociale: il povero tale in conseguenza della propria incapacit di arricchirsi la carit un danno sociale.

B2) Scuola Neoclassica o Marginalista: L. WALRAS (1844 - 1910); altri numerosi autori, tra cui A. MARSHALL, M. ENGEL; spostamento dellottica: da offerta domanda (il mercato diviene sempre pi lelemento centrale); prezzo = non solo funzione del lavoro ma della domanda di mercato: il consumatore diventa protagonista, mentre il produttore si comporta di conseguenza. utilit marginale: concetto fondamentale della teoria. E rappresentata dal prezzo che si disposti a pagare per avere una unit in pi di un certo bene, rispetto a quelle che gi si posseggono. Con la marginalit si spiegano anche: offerta, salari, produttivit. teoria dell EQUILIBRIO GENERALE.

Ben presto emergono per nuovi fenomeni da spiegare / fronteggiare: MONOPOLIO ( leggi anti-trust) Nuovi attacchi sociologici alle teorie classiche: es. T. Veblen (Usa, 1857 - 1929) in The Theory of the leisure class RIVOLUZIONE DI OTTOBRE Sistemi ad economia pianificata e un fatto traumatico determinante: LA GRANDE DEPRESSIONE (Crisi del 1929) caratteristiche: le merci si accumulano (carenza di domanda) i prezzi diminuiscono (deflazione); disoccupazione (sempre pi grave). Il sistema classico non ha rimedi da proporre. Si sperimentano contromisure da parte dello Stato: monetarie; manovre sui tassi; manovre sui salari; manovre sui prezzi agricoli.

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J.M. Keynes (1883 - 1946):


E la figura pi rilevante delleconomia del nostro secolo: Con lopera The general Theory of Employment, Interest & Money (1936) capovolge il pensiero classico in tema di: Domanda produzione occupazione Spiega lequilibrio della sotto-occupazione. Spiega lerrore di composizione dei classici (a proposito di disoccupazione). I rimedi proposti: I GOVERNI DEVONO INTERVENIRE mediante: vari strumenti come: tassi, imposte, politica dei redditi; in particolare tramite il deficit di bilancio (spesa pubblica per sostenere la domanda). NUOVI TEMI PRINCIPALI DELLECONOMIA

La disciplina Economia diviene conseguentemente Economia politica. Nasce la MACROECONOMIA, separata dalla MICROECONOMIA.

lEconomia del Sistema economico visto globalmente. Si occupa delle macrovariabili (grandezze aggregate).

Si occupa di valore, prezzi , salari, costi di produzione (qui resta la teoria classica).

II Guerra Mondiale: favorisce il successo della teoria di Keynes, e tale successo prosegue anche dopo: nel periodo 1946 - 1970 si hanno CRESCITA E BENESSERE (negli U.S.A. specialmente).

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Ma con i primi anni 70 si osserva un nuovo fenomeno: LINFLAZIONE MODERNA: viene spiegata con la spirale prezzi - salari; per combatterla non sono efficaci n le teorie di Keynes n quelle dei Classici; i rimedi tradizionali (tagli alla spesa pubblica, aumento imposte) non bastano (o non servono); la situazione aggravata dalla crisi energetica.

I pareri sui rimedi divergono, ma i classici riprendono quota (Keynes accusato di asimmetria politica).

M. Friedman:
il massimo rappresentante del nuovo liberismo, sostiene la POLITICA MONETARIA, con la quale alla fine si sconfigge linflazione, ma si provoca nuovamente: RECESSIONE (primi anni 80) v. Reagan: misure keynesiane e monetarie assieme deficit commerciale la recessione seguita da una ripresa, e successivamente ancora da una: CRISI (primi anni 90), a cui segue una nuova ripresa. LEconomia dimostra il suo andamento ciclico che si presenta con caratteristiche analoghe in tutti i paesi del mondo occidentale, dove il problema pi grave resta ancora la disoccupazione. Con la caduta del muro di Berlino (1989) si avvia un processo di ulteriore espansione delleconomia di mercato, favorita dalleccezionale accelerazione dellevoluzione tecnologica, in particolare in campo elettronico e informatico. Gli anni 90 sono caratterizzati da due nuovi fenomeni: la globalizzazione la new economy che consentono unulteriore crescita economica complessiva, ma che sono accompagnati dai nuovi gravi problemi che oggi stanno emergendo in modo sempre pi preoccupante: disuguaglianza economica crescente tra la popolazione mondiale (l80% della popolazione detiene soltanto il 20% del reddito disponibile), instabilit, insicurezza, terrorismo. Un sistema basato sulle sole regole del libero mercato dimostra di non funzionare. Anzich sulla crescita quantitativa necessario puntare sullo sviluppo qualitativo.

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ORIGINE DEI PROBLEMI SOCIALI : IL WELFARE STATE La rivoluzione Keynesiana giunge a dare vigore ad iniziative di intervento dello Stato gi avviate in precedenza (in Germania da fine sec. XIX; in Inghilterra a partire dagli anni 10 del 900, in Svezia dagli anni 20), che vanno sotto il nome di welfare state.

E lo Stato che si preoccupa di Assistenza, Previdenza, Iniziative a sostegno dei disoccupati...... Keynesiani e Welfare State entrano in collisione con il Liberismo.

Storia e situazione del Welfare in Italia 1898: prima assicurazione obbligatoria (infortuni sul lavoro) e prima Cassa nazionale per lassicurazione vecchiaia. Sistema di gestione = capitalizzazione (rendita commisurata ai versamenti). 1919: obbligatoriet di assicurazione contro disoccupazione e vecchiaia per lavoratori dipendenti. 1933: nasce lIstituto di previdenza, antenato dellINPS. 2 Dopo guerra: Sistema di gestione = ripartizione (contributi dei lavoratori attivi vengano ripartiti tra i pensionati). 1957: 1 M di pensionati. 1997: 20 M di pensionati; deficit INPS: 42.000 Mdi, debito pubblico: 2.300.000 Mdi (1998). Il rapporto fra pensioni e assicurati attualmente poco sotto il 90%, raggiunger il 100% nel 2010 e il 125% nel 2050, secondo lINPS, per i lavoratori dipendenti. Ma in totale, secondo il Censis, le pensioni sono oggi gi pi numerose dei lavoratori ( 22M contro 21M).La spesa previdenziale destinata a triplicarsi nei prossimi 50 anni da 200.000 a 600.000 Mdi. Rispetto agli altri Paesi europei, lItalia ha la pi alta aliquota media contributiva, ma anche la pi alta incidenza della spesa pensionistica sul totale della spesa sociale. Alla spesa per le pensioni si aggiunge quella per gli Ammortizzatori sociali, tra cui la Cassa Integrazione Guadagni, i prepensionamenti e i sussidi alla disoccupazione.

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ORIGINE DEI PROBLEMI DI ECONOMIA DELLAMBIENTE Un problema emerso recentemente e di importanza crescente il problema ambientale. una conseguenza della crescita economica e consiste essenzialmente nel contrasto tra due tipi di esigenze: le esigenze economiche della produzione le esigenze di tutela dellambiente nelle attivit che utilizzano RISORSE NATURALI (acqua, aria, risorse minerarie, spazio, ) Il problema ambientale presenta due aspetti fondamentali: 1. Il consumo di risorse naturali non rinnovabili 2. Linquinamento

Entrambi gli aspetti hanno implicazioni economiche. Si vedr in seguito come la teoria economica affronta questo tipo di problema. Fin dora importante tener presente quanto segue: I problemi ambientali sono rimasti a lungo nascosti nel Modello di sviluppo industriale
M O D E L L O D I S V IL U P P O IN D U S T R IA L E

R IS O R S E NATURALI E FATTO RI DI P R O D U Z IO N E

P R O D U Z IO N E

CO NSU M O

I motivi risiedono nel fatto che questo modello considera solo il flusso dei beni economici, di cui considera la formazione del valore; Per studiare i problemi ambientali occorre un modello diverso che tenga conto dello scambio (input-output) di materia e di energia tra il sistema industriale e lecosistema naturale;

Solo in questo modo possibile Quantificare i consumi di risorse naturali non rinnovabili; Quantificare linquinamento (cio valutare i quantitativi di sostanze nocive immesse nellambiente). Attraverso questa analisi di valutazione ambientale si pu allora cercare di risalire alla stima dei costi ambientali e cio del danno economico provocato allambiente dalle attivit produttive e antropiche in genere, il che costituisce loggetto fondamentale dellEconomia dellAmbiente.

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A8 - Il mercato

A8 - IL MERCATO
1 - GENERALIT
Il mercato il fulcro delleconomia moderna. In particolare, negli ultimi decenni del 900 leconomia di mercato ha avuto una notevole espansione in ogni parte del mondo rispetto alleconomia pianificata, e si ulteriormente consolidata nei paesi industrializzati dellOccidente, dove si registrata uninversione della tendenza allespansione dello Stato in economia. E importante quindi approfondire la conoscenza delle caratteristiche del sistema di mercato per poter comprendere leconomia attuale e i suoi problemi. Il mercato pu essere definito come il meccanismo in base al quale acquirenti e venditori interagiscono in modo da determinare il prezzo e la quantit di un bene o servizio oggetto di scambio. Esaminiamo le sue caratteristiche principali. Il vero punto di forza delleconomia di mercato il suo funzionamento automatico Oggetto del mercato: quasi ogni tipo di bene o servizio (per es., non solo i beni di consumo, ma anche i fattori di produzione: lavoro, capitale, terra) Prezzo: rappresentato dal valore monetario del bene, ha una funzione centrale nel mercato in quanto determina le decisioni di vendita o acquisto dei produttori e dei consumatori, mentre le sue variazioni fungono da segnale per il comportamento futuro di entrambi gli operatori economici Equilibrio di mercato: il punto/ situazione in cui la quantit offerta dai venditori uguale alla quantit richiesta dai compratori: queste quantit variano al variare del prezzo ed il mercato che individua il prezzo di equilibrio = prezzo al quale gli acquirenti desiderano comprare esattamente la quantit che i venditori desiderano vendere

Equilibrio generale Le considerazioni fatte finora riguardano prezzo ed equilibrio di mercato di un singolo bene. Ma il mercato raggiunge anche lequilibrio generale di prezzi e produzioni di tutti i beni contemporaneamente: in questo modo il mercato risolve automaticamente il problema fondamentale dellorganizzazione economica, rappresentato dalle tre domande di base: che cosa, come e per chi produrre. CHE COSA Le imprese, perseguendo lobiettivo del profitto, si orientano sui beni che i consumatori dimostrano di preferire e abbandonano quelli meno richiesti e quindi non altrettanto remunerativi: la scelta, dice Samuelson, conseguenza dei voti con il portafoglio dei consumatori COME La concorrenza / competizione commerciale impone alle imprese la ricerca dellefficienza e quindi lottimizzazione dellimpiego dei fattori; lalternativa luscita dal mercato PER CHI La distribuzione del reddito dipende in larga misura (non certo esclusivamente) dai prezzi dei fattori, che si formano sui rispettivi mercati; il reddito degli individui dipende pertanto dalla quantit di fattori posseduti e dal livello dei relativi prezzi.
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2 - MERCATO, TEORIA ECONOMICA E STATO


Nel mercato ideale il consumatore il protagonista principale: sceglie i beni e le relative quantit a suo piacimento, mentre il produttore si comporta di conseguenza. In realt il potere del consumatore non assoluto, perch intanto non pu stabilire cosa si deve produrre senza fare i conti con le possibilit produttive della tecnologia: si deve dire quindi che a governare il mercato c una diarchia: il consumatore e la tecnologia. La teoria dice inoltre che nel mercato ideale tutti i beni e servizi vengono scambiati volontariamente ai prezzi di mercato e che, grazie alla mano invisibile, sono ottimali la produzione e lallocazione dei beni senza lintervento dello Stato. Nella realt per nessun sistema economico risponde esattamente a queste condizioni. Tutti i sistemi reali hanno imperfezioni: sono i c.d. fallimenti del mercato, in presenza dei quali la produzione e lo scambio non possono avvenire in condizioni di massima efficienza. I principali fallimenti del mercato sono di tre tipi: 1) Esistenza di imprese o consumatori in grado di influire sui prezzi (concorrenza imperfetta monopolio); 2) Esternalit = cause di scambi involontari di costi o benefici: si tratta di transazioni senza alcun pagamento economico e quindi al di fuori delle relazioni di mercato; 3) Non equa distribuzione del reddito. In tutti i casi di fallimento del mercato si auspica lintervento dello Stato per porvi rimedio. Per i fallimenti del 1 tipo lo Stato interviene con leggi (anti-trust) e regolamenti speciali Per quanto riguarda i fallimenti del 2 tipo, occorre distinguere tra esternalit negative e positive; ad es.: esternalit negative: inquinamento, consumo di risorse non rinnovabili, rumore, disturbi al paesaggio, discariche, prodotti alimentari nocivi, materiali radioattivi esternalit positive: infrastrutture stradali, servizio meteo, ricerca scientifica di base beni pubblici. Alle esternalit negative lo Stato cerca di ovviare con norme e regolamenti che prevedono il pagamento di canoni, tariffe, sanzioni, oppure incentivi alla riduzione del danno. Le difficolt sono notevoli. Se ne parler in un successivo capitolo. Per quanto riguarda le esternalit positive, particolarmente importante il tema dei beni pubblici, al quale legato anche lintervento dello Stato relativo al 3 tipo di fallimento del mercato. I beni pubblici I beni pubblici possono essere considerati il caso estremo delle esternalit positive. Sono prodotti per i quali il costo sostenuto per estenderne la fruizione a uno o pi consumatori e nullo, ed inoltre impossibile impedire agli individui di farne uso. Sono beni pubblici, ad es., i servizi che lo Stato mette a disposizione di tutti i cittadini, a partire da quelli istituzionali (quelli cio indispensabili per lesistenza stessa dello Stato e riconosciuti in ogni tipo di sistema economico di competenza statale: difesa, amministrazione della giustizia, ordine pubblico).

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In genere limpresa privata non ha interesse a produrre beni pubblici (perch non convenienti), per cui lo Stato interviene in campo economico per favorirne la produzione (ad es., con commesse allimpresa privata). Per finanziare lacquisto e la distribuzione dei beni pubblici lo Stato applica imposte. Ed soprattutto attraverso le imposte/sistema fiscale che lo Stato cerca di ovviare al 3 tipo di fallimento del mercato, la non equa distribuzione del reddito. Come si vedr nel capitolo apposito, questo obiettivo viene perseguito ad es. con un sistema progressivo di prelievo fiscale, e cio facendo pagare imposte pi che proporzionali rispetto al reddito. Per ridurre le sperequazioni di reddito lo Stato pu anche decidere di effettuare trasferimenti monetari alle famiglie pi povere. / A questo proposito si deve ricordare che leconomia non in grado di rispondere a domande del tipo: opportuno fare trasferimenti oppure giusto e accettabile che esista la povert. Largomento sconfina nella politica e nella morale. Leconomia pu solo valutare le conseguenze di decisioni e scelte in proposito. In questo senso pu contribuire a preparare programmi per far crescere il reddito dei poveri./ Concludendo largomento dei rapporti tra Stato e mercato, si pu dire che oggi tutti i sistemi industriali avanzati sono caratterizzati da uneconomia mista, in cui il mercato stabilisce i livelli di produzione e i prezzi in quasi tutti i settori, mentre lo Stato guida landamento generale delleconomia attraverso: - programmi di imposizione fiscale - programmi di spesa pubblica - regolamentazione monetaria. Le due entit mercato e Stato sono entrambe necessarie per il buon funzionamento del sistema economico. Lo Stato, infatti, provvedendo a (o comunque tentando di) correggere i fallimenti del mercato, persegue gli obiettivi di migliorare lefficienza, promuovere lequit e favorire la crescita e la stabilit del sistema.

3 - CARATTERISTICHE DI DOMANDA E OFFERTA


I rapporti fra le quantit scambiate di un bene sul mercato e il suo prezzo sono oggetto della teoria della domanda e dellofferta secondo la quale le preferenze dei consumatori determinano la domanda di beni, mentre i costi sostenuti dalle imprese sono alla base dellofferta dei beni. La legge fondamentale del mercato pu essere enunciata come segue: Se la domanda e/o lofferta variano in modo da provocare:

carenza di una determinata merce, il prezzo abbondanza

sale scende

La teoria della domanda e dellofferta consente di spiegare le ragioni di questa legge.

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La domanda

Esiste una precisa relazione tra la quantit richiesta sul mercato di un determinato bene e il suo prezzo, a patto che restino costanti tutti gli altri fattori che possono influire sul fenomeno: questa relazione rappresentata dalla legge di domanda , che ha andamento del tipo indicato in Fig.1 (sempre pendenza negativa).

Fig. 1 - la curva di domanda q

La giustificazione di questo andamento pu essere data, in prima approssimazione, dalleffetto sostituzione (al crescere del prezzo di un bene altri beni alternativi vengono acquistati al suo posto) e dalleffetto reddito ( crescendo il prezzo diminuisce la ricchezza degli acquirenti che sono perci costretti a ridurre gli acquisti). Ma la teoria economica spiega scientificamente questo andamento in base al comportamento dei consumatori razionali, i quali, scegliendo i beni che preferiscono, massimizzano la propria utilit. Per far questo, essi distribuiscono razionalmente il loro reddito per lacquisto di un determinato insieme di beni, in funzione dellincremento di utilit da questi procurata. E dunque la legge dellutilit marginale decrescente che condiziona il comportamento dei consumatori sul mercato. Per questa legge, allaumentare del consumo di un bene la corrispondente utilit marginale diminuisce: pertanto, se il prezzo di un bene aumenta, il consumatore razionale riduce il relativo consumo, poich lutilit che gliene deriva per ogni Euro speso diminuisce. Viceversa, se il prezzo diminuisce disposto ad acquistarne una quantit maggiore poich viene incrementata la sua utilit complessiva. Domanda di mercato Dalla domanda individuale di un certo bene, a cui si riferiscono le considerazioni precedenti, si passa alla domanda di mercato, semplicemente immaginando di sommare, per ogni prezzo, le quantit domandate da tutti i consumatori del mercato. Tutte quanto detto per un consumatore singolo si pu quindi estendere al comportamento complessivo di un gruppo di consumatori. Fattori influenti La curva di domanda, come si visto, la relazione che dice come varia, per un certo bene, la quantit richiesta al variare del prezzo. E importante chiedersi da quali fattori condizionato landamento di questa curva, e cio quali sono i fattori che influiscono sulla quantita domandata a un dato prezzo. I principali fattori influenti sono i seguenti: reddito dei consumatori prezzo e disponibilit dei beni succedanei
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moda, gusti, preferenze influenze particolari (es. comodit di trasporto, aspettative sui prezzi) Elasticit della domanda Lelasticit della domanda al prezzo la variazione della quantit domandata di un bene conseguente alla variazione (%) unitaria di prezzo: misura quindi lintensit della reazione degli acquirenti alla variazione di prezzo. Lelasticit si calcola, in corrispondenza a una determinata situazione di mercato, con la

q % q ED = p % p
Se ED > 1 Se ED < 1 Se ED = 1

domanda elastica: una data variazione percentuale di prezzo genera una variazione percentuale maggiore di quantit domandata; domanda anelastica (o rigida): una data variazione percentuale di prezzo genera una variazione percentuale minore di quantit domandata; domanda a elasticit unitaria: una data variazione percentuale di prezzo genera una uguale variazione percentuale di quantit domandata

Ad es., i beni di prima necessit hanno un alto grado di rigidit: se il prezzo aumenta, i consumatori devono continuare ad acquistarli. Situazioni limite (v.Fig.2) La domanda perfettamente elastica rappresentata da una retta orizzontale (a), mentre la domanda perfettamente anelastica da una retta verticale.

p (b)

(a)

Fig. 2
q

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Lofferta La relazione fra la quantit di un bene offerta dai produttori e il suo prezzo rappresentata dalla curva dellofferta. Il suo andamento del tipo indicato in Fig. 3 (pendenza sempre positiva).
p

Fig. 3 - la curva di Offerta q

Questo andamento si giustifica in prima approssimazione con il fatto che al crescere del prezzo i produttori sono incentivati a offrire una quantit maggiore del bene perch la corrispondente produzione risulta pi redditizia, a scapito di altri beni che vengono abbandonati perch garantiscono profitti meno elevati. Ma una giustificazione ulteriore della forma della curva data dalla teoria economica, e precisamente dalla legge dei rendimenti marginali decrescenti. Questa dice che per una data funzione di produzione (e cio per una data combinazione dei fattori impiegati per realizzare una produzione) aggiungendo quantit addizionali di uno dei fattori e mantenendo costanti tutti gli altri, si otterranno quantit aggiuntive di prodotto (prodotto marginale)sempre minori. E ci che succede, nei casi reali, nel breve periodo, quando non risulta possibile modificare alcuni dei fattori di input (v. i costi fissi): landamento della curva dei costi variabili (e quindi dei costi totali) allincirca lineare solo in un primo tratto, dopodich presenta una crescita pi che proporzionale. Per questo motivo le curve del costo medio (costo unitario totale) e del costo marginale presentano il tipico andamento a U: a partire da un certo valore di produzione i costi marginali sono quindi crescenti, e pertanto decrescente il rendimento marginale. Fattori influenti A parit di prezzo, i fattori che influiscono sullandamento della curva di offerta sono: Costi di produzione, cio i prezzi dei fattori e la tecnologia Prezzi dei beni correlati Politiche governative Influenze particolari

4 - EQUILIBRIO DI MERCATO
La situazione di equilibrio del mercato data dal prezzo e dalla quantit in corrispondenza dei quali le forze dellofferta e della domanda si bilanciano. Si dice prezzo di mercato il prezzo corrispondente al punto dincontro tra domanda ed offerta in un determinato momento (Fig. 4): in questo punto la quantit del bene che i consumatori desiderano comprare esattamente uguale alla quantit che i produttori desiderano vendere (q*).

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p* Fig. 4. q*

p* = prezzo di mercato q

Quando la situazione cambia, occorre distinguere tra i due seguenti casi: a) movimenti sulle curve: quando una variazione di prezzo provoca una variazione della quantit richiesta / offerta; (indica il modo di reagire di un consumatore / produttore ad una variazione di prezzo). b) Spostamenti delle curve: indicano variazioni delle quantit richieste / offerte indipendenti dalle variazioni di prezzo. SPOSTAMENTO DELLA DOMANDA:
P D1 D2 S

P2 P1 a b q

D1 D2 espansione della domanda; pu avvenire per:

aumento del reddito dei consumatori; aumento del prezzo di un bene sostitutivo; caduta del prezzo di un bene complementare; cambiamento gusti, moda (effetto pubblicit). In questa situazione si vende una quantit maggiore (q) ad un prezzo pi alto (p).

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D2

D1

p1 p2 b a q D1 D2 contrazione della domanda; pu avvenire per tutti i casi opposti ai precedenti. In questa situazione si vende una quantit minore (q) ad un prezzo pi basso (p). SPOSTAMENTO DELLOFFERTA: p D S1 S2

p2 p1 a b q

S1 S2 espansione dellofferta; pu avvenire per:

miglioramenti tecnologici; diminuzione dei costi dei fattori produttivi; In questa situazione si vende una quantit maggiore (q) ad un prezzo minore (p).
p S1 S2

p2 p1 b a q

S2 S1 contrazione dellofferta; pu avvenire per:

aumento dei costi dei fattori produttivi; In questa situazione si vende una quantit minore (q) ad un prezzo maggiore (p).
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5 - TIPI DI MERCATO
a) Mercato perfettamente concorrenziale In realt non esiste; occorrerebbe: perfetta conoscenza del mercato da parte dei consumatori (ed anche dei produttori); numero elevato di produttori, con possibilit di entrare / uscire; domanda ed offerta perfettamente elastiche; prodotti standardizzati ed intercambiabili. b) Mercato di libera concorrenza imperfetta

I produttori hanno un certo potere di mercato (possono influenzare i prezzi).


c) Mercato oligopolistico.

pochi grandi produttori possono influire pesantemente sui prezzi; in funzione del tipo di barriere allentrata Mercato Competitivo tecnologiche dimensionali naturali

possibilit di formazione di CARTELLI.


d) Mercato monopolistico. un solo produttore / venditore: pu agire su prezzo e quantit

La teoria economica studia le varie forme di mercato; ma spesso anche queste sono teoriche, difficilmente inquadrabili in schemi astratti: il caso delle materie prime minerarie, per esempio.

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

A9 - LA QUALIT: VANTAGGIO COMPETITIVO


Premessa
Attualmente le aziende per avere successo devono puntare alleccellenza sia nellorganizzazione che nella gestione. Questo implica migliorare non solo lefficienza, ma anche lefficacia (ovvero il rapporto fra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati). Efficienza ed efficacia sono strettamente interconnesse nel concetto di qualit totale, intesa come qualit di tutto il sistema aziendale, e dunque delle sue componenti strutturali, gestionali e del fattore umano: il che significa che non si considerano pi sufficienti i soli controlli statistici di qualit che si effettuano in ambito produttivo. Oggi la Qualit non un optional, n un obiettivo fine a se stesso: uno strumento per fare profitto = un vantaggio competitivo. Lo scopo di questo capitolo non ovviamente quello di trattare in modo completo questa ampia materia, ma di passare in rassegna nella prima parte levoluzione storica del concetto di qualit che ha portato, nellarco degli ultimi cinquantanni, alla qualit totale, e nella seconda parte di fornire le conoscenze essenziali sulla normativa vigente nel settore della qualit.

1 - EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLA QUALIT


Unanalisi dei fattori di competitivit porta a constatare che questi variano nel tempo: esaminando levoluzione della realt aziendale italiana negli ultimi decenni si pu rilevare come variato lo strumento principale di profitto e come si venuto evolvendo il concetto di QUALIT. Anni 50-60: occorre produrre tanto; per questo si punta sullaumento di potenzialit degli impianti e sul miglioramento dellefficienza dei fattori ( Taylor Tempi e Metodi, Cottimo). La Qualit non molto importante; legata a conformit al disegno , alle specifiche. Il controllo saltuario.

q u a n tit

dom anda D O M AN DA > O FFERTA

STRUM ENTO: VOLUM I

o f f e r ta

1950

1960

Anni 60-70: incomincia a diventare importante il problema della concorrenza; nasce il Marketing; cresce la meccanizzazione; si perfeziona lorganizzazione del lavoro; laccento sui COSTI.
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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

Qualit = rilevazione e correzione dei difetti attraverso verifiche finali, selezioni ecc. Il controllo di Qualit si fa con metodi statistici. Nasce la Funzione Qualit, separata dalla Produzione (Chi controlla non chi fa).
q u a n tit D O M AN D A > O FFER TA dom anda STRU M EN TO : C O STI o ffe rta

1960

1970

Anni 70-85: il consumatore sempre pi esigente (pu permetterselo: Domanda Offerta): importante la corrispondenza delle caratteristiche tangibili ( dimensionali, estetiche, chimico-fisiche) del prodotto con quelle dichiarate. La funzione Qualit tende ad assumere il nome di ASSICURAZIONE QUALITA , ossia garanzia della conformit e della produzione e alle specifiche. Questa garanzia deve essere duplice: nei confronti della Direzione Aziendale e nei confronti dei Clienti.

q u a n ti t
D OM ANDA OFFERTA S T R U M E N T O : Q U A L IT T A N G IB IL E dom anda o f f e r ta

1970

1985

Nuovi concetti si sviluppano sul tema Qualit: la prevenzione delle difettosit;

- la responsabilizzazione di chi fa (sar poi autocontrollo); - la definizione di Qualit come idoneit alluso, pi che rispondenza a specifiche.
Nasce il Sistema Qualit, poi codificato con le NORME ISO 9000. Anni 85 OGGI: il consumatore (cliente) chiede sempre di pi (anche senza manifestarlo esplicitamente) occorre andare al di l della Qualit Tangibile Qualit Intangibile (aspetti psicologici, status symbol, personalizzazione del prodotto).
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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

Ma diventa necessario (per vendere) andare oltre le aspettative del mercato: questo lobiettivo della QUALITA TOTALE ( che non ha limiti!).
q u a n tit
DO M ANDA OFFERTA S T R U M E N T O : Q U A L IT T O T A L E o ffe rta

dom anda

1985

Oggi dunque: La QUALITA TOTALE lo Strumento strategico che consente allAzienda di fare profitto Volumi e Costi passano alle dipendenze della Qualit La QUALITA TOTALE non ha limiti in 2 direzioni: v/s il cliente, in termini di innovazione v/s lAzienda, in termini di trasformazione radicale del modo di fare industria TQM ( Total Quality Management).

1.1 Qualit, difettosit e oltre Punto di partenza : La Qualit idoneit alluso Due domande 1) Chi definisce lidoneit alluso? 2) Come la si misura?

Risposte: 1) Senza dubbio, IL CLIENTE. Troppo spesso il prodotto giudicato idoneo soltanto dal produttore/progettista. Un prodotto pu essere rifiutato non per mancato funzionamento, ma perch non risponde a qualche aspettativa del cliente.

2) Si pu provare a quantificare le FUNZIONI del PRODOTTO: ad esempio elencandole: F. duso( utilizzabilit effettiva) F. di gradimento (v. appetibilit da parte del cliente)
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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

F. dimensionali ( geometriche, peso) F. di imposizione (v. eventuali norme di legge) e poi attribuendo loro un peso. In questo modo risulterebbe possibile misurare le aspettative del mercato stesso ( aspettative del cliente che devono essere soddisfatte dal costruttore). Supponendo di avere misurato una funzione di prodotto, si deve ora tener presente che: una data FUNZIONE ATTESA dal cliente (Fa) REALIZZATA dal produttore (Fr) PERCEPITA dal cliente (Fp). Il cliente sar tanto pi soddisfatto quanto pi la funzione realizzata come lui la attende e tanto pi quanto da lui percepita. Per questo, la QUALITA si definisce anzitutto come: la misura con la quale un prodotto/servizio risponde alle funzioni attese dal cliente

Si pu rappresentare levoluzione del concetto di QUALITA nel tempo, in funzione dei valori (crescenti sullasse x) di Fr/Fa, nel modo seguente:
Q. tangibile 0 campo delle difettosit 1 Q. intangibile campo del valore percepito Q. T.

Ci non vuol dire, ovviamente, che non si debba pi fare il controllo della difettosit, ma che si deve andare oltre. La competizione industriale oggi basata anzitutto sulla riduzione della difettosit, ma assume importanza sempre crescente puntare sul valore globale percepito dal cliente nel prodotto. Non basta pi migliorare lefficienza della produzione: lobiettivo principale laumento dellefficacia.

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

1.2 Qualit e costi In azienda si sanno in genere conoscere e calcolare i costi dovuti alla difettosit del prodotto (Costi della NON- QUALIT). Pi difficilmente si sa risalire alle loro cause. Esiste in ogni Azienda una sorta di fabbrica Nera che caratterizzata dal fatto di assorbire soltanto risorse senza produrre valore: la fabbrica dei Costi della NON-QUALITA. Occorre in particolare tener presente che i Costi della NON-QUALIT rilevabili direttamente sono leffetto della difettosit: ricercandone le cause, si scopre che queste risiedono in tutta lAzienda, e anche allesterno (v. Fornitori, ad esempio). Occorre allora impostare correttamente il Sistema Qualit, esteso a tutta lAzienda, che deve coinvolgere tutte le Funzioni Aziendali, tutte le persone operanti nellazienda, nonch tutti i rapporti con lesterno. Le contromisure a disposizione dellAzienda sono sostanzialmente: 1) LA PREVENZIONE ( difettosit): ha come obiettivo quello di minimizzare i costi della NON-QUALITA. (E illusorio eliminarli: contro il 6-13% visto per lItalia, i valori statistici attuali in USA e Giappone sono rispettivamente 4,5% e 1,5-2,5% del Fatturato); loperazione ha dei costi, a sua volta, ma con adeguata programmazione degli investimenti si possono ottenere, a m. t., ottimi risultati.
per IL CLIENTE

2) LA QUALITA TOTALE a livello di Gestione Az.


(TOTAL QUALITY MANAGEMENT)

Circa il T.Q.M. da ricordare che la vera e propria rivoluzione nel modo di gestire lazienda basata sul principio che ciascuna delle operazioni che costituiscono un processo aziendale (p. es. un trasferimento di materiale da una Funzione Az. ad unaltra ) avviene tra un fornitore delloperazione seguente e un cliente delloperazione precedente. Vengono cio trasferiti allinterno dellazienda tutti i concetti e gli strumenti visti per i rapporti con i clienti esterni: QUALITA DELLA FORNITURA, FUNZIONI DI PRODOTTO, DIFETTOSITA, ecc Ci comporta il coinvolgimento diretto del personale operativo negli obiettivi della qualit. 1.3 Il controllo statistico di qualit Il Controllo Statistico di Qualit (CSQ) consiste nella verifica quantitativa dello scostamento della produzione da un certo livello di qualit preventivato. Il concetto di qualit qui perseguito nasce dallesigenza di ottenere il giusto equilibrio fra il costo necessario per conseguire una certa qualit e il valore della stessa ai fini commerciali. Ci vuol dire che non si intende perseguire la qualit in assoluto, intesa come assenza di difettosit, ma solo controllare che la difettosit non superi un certo valore limite. In pratica, la qualit viene definita, in questo caso, come percentuale di pezzi difettosi che si pu tollerare in relazione alleconomicit della lavorazione successiva (le perdite economiche conseguenti alla difettosit residua sono giustificate dallaumento del costo necessario per

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

eliminarle). In relazione a questo concetto, i controlli di qualit dovranno essere quelli strettamente necessari al fine di contenere i relativi costi entro i limiti prefissati. Pi precisamente, mentre il livello di qualit rappresentato dalla percentuale di pezzi difettosi presente nel lotto in esame, si definisce livello di qualit accettabile (LQA) la percentuale di scarti ammessa per laccettazione del lotto stesso. Il C.S.Q. si basa sullapplicazione del calcolo delle probabilit e in particolare sulle distribuzioni notevoli di probabilit (Bernoulli, Poisson, Gauss).

2 - NORME E CERTIFICAZIONE
Limportanza della qualit come fattore essenziale di sopravvivenza e sviluppo dellazienda ormai riconosciuta universalmente. Tale riconoscimento trova giustificate ragioni anche nel fatto che in molti settori ormai la qualit in senso tecnico divenuta, secondo le normative vigenti (ISO, UNI etc.) un requisito irrinunciabile per la commercializzazione dei prodotti. Tappe storiche 1900 1930 La qualit nasce negli USA negli anni 30 e si pone come obiettivo la realizzazione di prodotti che abbiano caratteristiche standard tali da poter raggiungere il maggior numero di consumatori. 1940 1950 Diffusione negli USA del controllo statistico della qualit (C.S.Q.), per controllare la difettosit del prodotto durante il processo e non alla fine del ciclo di lavorazione. 1985

Le direttive CEE dovranno contenere solo requisiti di sicurezza, salute, protezione ambientale e protezione del consumatore e non pi regole tecniche. Lemanazione delle regole e norme tecniche demandata ad organismi riconosciuti: CEN e CENELEC comunitari, UNI e CEI per lItalia. 1987

Approvazione dellAtto Unico Europeo ed introduzione del Mercato Unico Europeo. 1989

La direttiva 83/89/CEE sancisce lobbligo della mutua informazione in materia di normativa tecnica tra i paesi membri. Dal 1989 i laboratori ed organismi di certificazione, certificheranno prodotti, servizi e sistemi di qualit aziendali, in base a procedure valevoli su tutto il territorio del Mercato Unico.

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

Quadro della normativa vigente nel settore qualit e suo campo di applicazione Il sistema normativo stato suddiviso in due grandi settori: il settore elettrico, da una parte, e tutti gli altri settori, dallaltra.
Tabella 1 - Organismi preposti allemanazione della normativa sulla qualit Settore elettrico Altri settori Livello Internazionale IEC ISO Europeo Nazionale CENELEC CEI CEN UNI

Tabella 2 - Organismi e relative funzioni


Organismo ISO International Standardization Organization IEC International Elettrotechnical Commission CEN Comitato Europeo di Normazione CENELEC Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnica UNI Ente Nazionale Italiano di Unificazione CEI Comitato Elettrotecnico Italiano Funzione Organizzazione Internazionale per la Normazione, elabora norme applicabili a tutti i settori Elabora norme applicabili al settore elettrico Armonizza le norme internazionali emanate da ISO e diffonde le norme armonizzate attraverso EN Armonizza le norme internazionali emanate da IEC e diffonde le norme armonizzate attraverso CEN E membro ISO e di CEN E membro IEC e UNI

Quadro della normativa ISO Le norme emanate dallISO sono molteplici e fanno riferimento a diversi aspetti. Ogni norma emanata dalla ISO viene poi diffusa ed armonizzata dal CEN e poi dal UNI: cos che la norma diventa UNI EN ISO.. Nella Tabella 3 si elencano le pi rilevanti delle norme ISO, armonizzate dalla CEN e diffuse in Italia come UNI.

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

Tabella 3 - Le principali norme ISO


Numero UNI EN ISO 8402 UNI EN ISO 9001: 1994 UNI EN ISO 9002: 1994 UNI EN ISO 9003: 1994 UNI EN ISO 14001 UNI EN ISO serie 14020 UNI EN ISO serie 14040 Descrizione Termini e definizioni della qualit Sistema di gestione per lassicurazione della qualit nella progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione ed assistenza Sistemi di gestione per lassicurazione della qualit nella produzione, installazione e assistenza Sistema qualit per lassicurazione della qualit nelle prove, collaudi e controlli Sistemi di gestione ambientale (SGA) Etichette ambientali di prodotto Life Cycle Assessment

Le norme ISO serie 9000 Regolano la qualit del sistema aziendale e costituiscono il fondamento indispensabile per unefficace e corretta gestione aziendale che garantisca al cliente il rispetto dei requisiti concordati in fase contrattuale, quanto a requisiti tecnici, tempi di consegna, caratteristiche di prodotto o servizio, ecc. Le norme ISO serie 9000 non costituiscono uno standard di prodotto ma regola per il funzionamento aziendale nelle fasi di realizzazione del prodotto/servizio, assicurando al cliente il rispetto di quanto pattuito. Le ISO serie 9000 si prefiggono lobiettivo della riduzione dei costi interni di produzione, attraverso una corretta ed efficiente gestione aziendale e dei cicli di lavorazione. La revisione delle norme UNI EN ISO serie ISO 9000 la norma ISO 9001: 2000, VISION 2000.

U N I E N IS O 9 0 0 1 : 1994 U N I E N IS O 9 0 0 2 : 1994 U N I E N IS O 9003: 1994

U N I E N IS O 9 0 0 1 : 2 0 0 0 V IS IO N 2 0 0 0

Figura 1 - Il passaggio alla VISION 2000

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A9 - La qualit: vantaggio competitivo

Le norme ISO serie 14000 Le norme ISO della serie 14000 si riferiscono all ambiente: si passa dai sistemi di gestione ambientale allanalisi di ciclo di vita (LCA). La norma UNI EN ISO 14001, Sistemi di Gestione Ambientale, oggi estremamente interessante e fondamentale. Le imprese si trovano di fronte a consumatori sempre pi ambientalmente esigenti, si richiede che lazienda ed i prodotti rispettino i requisiti non solo specifici e cogenti, ma che la gestione della produzione sia improntata allo sviluppo sostenibile. Lapplicazione di un SGA da parte delle imprese presenta diversi vantaggi: spingersi in nuovi mercati verdi; rispettare la normativa ambientale vigente e anzi anticiparla; migliorare i rapporti con la Pubblica Amministrazione e le comunit locali; ridurre i consumi di risorse ed energia; ridurre la produzione di rifiuti e favorire meccanismi di recupero e riciclo; ridurre i costi aziendali. Lapplicazione di un SGA non statica nel tempo, ma segue i mutamenti e le trasformazioni aziendali e della normativa vigente, ed insegue lobiettivo del miglioramento continuo.

CONTROLLO

A N A L IS I A M B IE N T A L E

P O L IT IC A

M IG L IO R A M E N T O C O N T IN U O

A T T U A Z IO N E

P IA N IF IC A Z IO N E

Figura 2 - Il miglioramento continuo

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

A10 - SISTEMA FISCALE E COSTO DEL LAVORO

1 - PREMESSA Relazioni tra FISCO e LAVORO


FISCO ENTRATE DELLO STATO Servizi Pubblici / Servizi Sociali

Richiami sulla storia del WELFARE STATE = reazione costruttiva alle disfunzioni del sistema capitalistico in campo sociale. Evoluzione storica dellatteggiamento degli imprenditori nei confronti della previdenza sociale e del costo del lavoro, in generale. Prosecuzione del dibattito sulla Spirale perversa salari - inflazione. Rilievo dellaspetto occupazione, oggi, nel sistema produttivo. Significato attuale di Previdenza e Assistenza.

2 - FISCO / SISTEMA FISCALE


2.1 Le entrate dello Stato a) TRIBUTARIE: tasse imposte contributi (tributari) previdenza assistenza canoni fatturato di imprese a partecipazione statale interessi su prestiti vendita beni patrimoniali fisco propriamente detto

sistema fiscale: b) CONTRIBUTI SOCIALI: c) EXTRATRIBUTARIE:

La spesa pubblica stata, nel 2002, di circa 620 miliardi di Euro, pari al 49% del PIL. La quota corrispondente alle spese di protezione sociale si aggira sul 26% del PIL, ed pertanto di circa 330 miliardi. Sempre nel 2002 le entrate tributarie sono state di 336 miliardi di Euro correnti, pari al 27% del PIL. I contributi sociali sono ammontati a circa 190 miliardi.

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

Definizione di TASSE: corrispettivi per servizi divisibili (richiesti dai cittadini). Definizione di IMPOSTE: prelievi incondizionati, a copertura dei servizi indivisibili.

previdenza Significato di CONTRIBUTI SOCIALI assistenza


(contributi = copertura parziale, a carico dei privati)

I Servizi Sociali sono gestiti (in Italia) dallo Stato, con contributi dei privati (Imprese e Lavoratori) e con partecipazione dello Stato (da Imposte). Problema dellinefficienza costi maggiori; problema delle mancate / insufficienti contribuzioni private.
Il debito pubblico in gran parte causato dallo sbilancio dei servizi previdenziali e assistenziali.

2.2 I principi del sistema fiscale

fin da A. Smith:

certezza equit semplicit economicit

La nostra Costituzione sancisce: la legalit (certezza) del prelievo fiscale (art. 23); lequit del prelievo (art. 53), stabilendo che le imposte devono essere commisurate alla CAPACITA CONTRIBUTIVA, e che il sistema deve essere PROGRESSIVO. In particolare deve valere il principio che le imposte devono gravare sui redditi e devono crescere (pi che proporzionalmente) al crescere di questi. Inoltre devono tener conto della situazione personale dei singoli contribuenti. In realt le IMPOSTE si applicano sia sui redditi che sul patrimonio (entrambi danno la misura della capacit contributiva).
2.3 Imposte dirette e imposte indirette

Devono colpire la capacit contributiva (misurata da reddito e patrimonio): direttamente indirettamente Imposte dirette Imposte indirette
- su reddito / patrimonio - pagate dal percettore / proprietario - su manifestazioni indirette del reddito - pagate anche da altri soggetti (per conto del destinatario diretto)

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

2.3.1- LE PRINCIPALI IMPOSTE DIRETTE

IRPEF : Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche. E la pi importante. E progressiva in base ad aliquote a scaglioni interessa tutte le persone fisiche e le Societ di persone; si applica su: Reddito complessivo netto personale = Redditi Netti [Reddito Netto = Reddito Lordo Spese sostenute per produrlo] tenendo conto di: a) Categorie di redditi:

fondiari di capitali * di lavoro di impresa diversi

autonomo dipendente

b) Spese di produzione del reddito:

da calcolo analitico da calcolo forfettario determinate in misura fissa (per lavoratori dipendenti)

Calcolo dellimposta (indicativo!): Le deduzioni riducono limponibile; sono oneri deducibili, ad es., i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori.

1) Reddito complessivo netto - Deduzioni

= Reddito Imponibile (R.I.) 2) R.I. x aliquota (a scaglioni) = Imposta Lorda 3) Imposta Lorda - Detrazioni

= IRPEF 4) IRPEF - Ritenute dImposta (eventuali) = Imposta da pagare

Le detrazioni riducono limposta; sono detraibili, ad es., le quote per famigliari a carico, le spese mediche, gli interessi passivi su alcuni mutui, le tasse universitarie, (La detrazione avviene per in misura limitata: 19 % dal 1998)

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

Progressivit: aliquote a scaglioni. Suddivisione in scaglioni di reddito e relative aliquote per la dichiarazione dei redditi del 2002:
Reddito Fino a 15.000 Da 15.000 a 29.000 Da 29.000 fino a 32.600 Da 32.600 fino a 70.000 Oltre 70.000 Aliquote 23 % 29 % 31 % 39 % 45 %

Ogni anno,con la finanziaria, si fissano aliquote, deduzioni e detrazioni (oppure si confermano i valori precedenti). Il gettito IRPEF attualmente pari a circa un terzo del totale delle entrate tributarie, che ammontano, a loro volta, a circa un terzo del PIL. 2.3.2- LE ALTRE IMPOSTE DIRETTE IRPEG : Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche.

E proporzionale (aliquota fissa, per lanno 2002 pari al 34%). Si applica alle Societ di capitali, alle Cooperative ed agli Enti pubblici (commerciali e non). Le Societ pagano lIRPEG sui redditi dimpresa. Il Reddito imponibile si valuta, come per lIRPEF, a partire dal Reddito netto, attraverso correzioni (fissate dalle norme fiscali) che possono essere in riduzione o in aumento. Il dividendo distribuito da societ che hanno pagato lIRPEG ha diritto ad un credito dimposta (pari a 9/16 dellimporto) detraibile dallIRPEF. In questo caso lIRPEG funziona come acconto dellIRPEF. Se invece gli utili non sono distribuiti oppure sono incassati da unaltra Societ, non si hanno ulteriori imposizioni.
DIT = DUAL INCOM TAX

Per agevolare gli investimenti, dal 1998 stata introdotta una riduzione al 19 % dellIRPEG su parte del reddito di impresa: la parte attribuibile al rendimento finanziario del nuovo capitale investito; la parte rimanente viene tassata con laliquota piena. Da questo deriva il nome della nuova imposta
IRAP : Imposta Regionale sulle Attivit Produttive.

Introdotta dal 1 gennaio 1998. E pagata da imprenditori, professionisti e datori di lavoro. L imponibile in questo caso non costituito dal reddito, ma va calcolato in base a un criterio che costituisce assoluta novit: infatti rappresentato da uno speciale valore della produzione ottenuto sottraendo ai ricavi il costo di beni e servizi pagati allesterno (v. valore in entrata nel calcolo del Valore aggiunto) e lammortamento. Laliquota fissa e pari al 4.5 %. LIRAP sostituisce 6 precedenti imposte o tasse (la principale lILOR).

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Oltre alle precedenti, che sono imposte sul reddito, esistono anche imposte sul patrimonio. La pi importante l ICI : Imposta Comunale sugli Immobili Si calcola in base ad unaliquota, fissata da ciascun Comune fra il 4 ed il 7 per mille, applicata al valore catastale dellimmobile (fabbricato, terreno agricolo o area fabbricabile). 2.3.3 LE IMPOSTE INDIRETTE IVA : Imposta sul Valore Aggiunto.

E la seconda pi importante imposta in assoluto, per gettito. E proporzionale ma con pi aliquote, corrispondenti a diverse categorie di prodotti classificati in base al diverso grado di necessit. Dalle tre aliquote originarie, si era passati a nove, per poi scendere a 5 (adeguamento CEE) e tornare a 3 attualmente: 5; 10; 20 %. LIVA deve gravare sul consumo ( a carico dei consumatori) ma viene pagata in ogni operazione di acquisto / vendita; per questo il meccanismo di applicazione il seguente: Si paga lIVA su tutto il valore acquistato e si incassa lIVA su tutto il valore venduto; la differenza si versa allo Stato.
Altre IMPOSTE INDIRETTE (a titolo di esempio):

Imposta di registro (per trascrizione / registrazione di atti pubblici). Imposta di bollo (su cambiali, assegni, ... ). Imposte ipotecarie e catastali. Imposta di fabbricazione (su oli minerali, zucchero, alcolici ). Imposte di concessione governativa (dovrebbero essere chiamate tasse): riguardano patenti, licenze, brevetti, abbonamento RAI-TV, ... Tassazione delle Imprese per lImposta di concessione governativa, a titolo di quota discrizione iniziale e per gli anni successivi a titolo di quota annua.

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3 - IL LAVORO E IL SUO COSTO


3.1 Generalit Lavoro: il principale fattore di produzione. (= attivit delluomo diretta al conseguimento di unutilit attivit economica). Quello del lavoro un tema di importanza fondamentale in azienda, anzitutto per gli aspetti economici, ma anche per: rapporti interpersonali e problemi sindacali. . Per quanto riguarda gli aspetti economici,la prestazione di lavoro (dipendente) compensata dal salario o stipendio (retribuzione a tempo, in linea di principio). Per la paga, e cio la retribuzione percepita direttamente del lavoratore, solo una parte del costo complessivo che lImpresa deve sostenere per la prestazione di lavoro. E questo costo complessivo che occorre conoscere per valutare la quota dovuta alla voce manodopera nella formazione del costo di produzione. Per questo importante ricordare la seguente definizione convenzionale: COSTO DEL LAVORO = costo complessivo che lImpresa deve sostenere per poter usufruire della prestazione di lavoro dipendente. Il costo del lavoro, in generale, si valuta, per ciascun lavoratore, in base a qualifica, specializzazione, tempo impiegato. Occorre pertanto conoscere: categorie dei prestatori di lavoro; regolamentazione dei rapporti di lavoro; modalit (regole) per la remunerazione oraria.

Per la regolamentazione di tutti i temi del lavoro occorre far riferimento a:

CONTRATTI DI LAVORO STATUTO DEI LAVORATORI

3.2 Contratti di lavoro collettivi

I Contratti di lavoro collettivi sono stipulati tra Organizzazioni Sindacali nazionali dei Datori di lavoro e Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori. Per lArt. 39 della Costituzione hanno validit erga omnes .
In base allaccordo sul costo del lavoro del luglio del 1993, la contrattazione collettiva si sviluppa su due livelli: nazionale e aziendale o territoriale. I contratti collettivi non possono derogare a norme di legge, ma soltanto regolamentare situazioni di miglior favore per il lavoratore.
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3.2.1 - OGGETTO DEI CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO Per ognuna delle diverse categorie di lavoratori (sono oltre 450!) previsto un Contratto collettivo di lavoro. Alcuni Contratti interessano pi categorie. I Contratti di lavoro collettivi riguardano in primo luogo le retribuzioni (paga base, straordinari, gratifiche, aumenti periodici per anzianit, etc.), ma anche le condizioni generali di lavoro, cio lorario e le modalit delle prestazioni lavorative, la classificazione delle mansioni e i loro rapporti con le retribuzioni, le ferie, i permessi retribuiti, etc. Con laccordo del 1993 stata abolita la scala mobile, cio il sistema di adeguamento automatico delle buste paga allincremento annuale del costo della vita: da allora gli aumenti retributivi stabiliti in occasione dei rinnovi contrattuali tengono conto dei tassi dinflazione programmata fissati ogni anno per decreto dal Governo.

3.2.2 - STATUTO DEI LAVORATORI (Statuto dei diritti dei lavoratori, L. 20/5/1970 n. 300) Tutela: a) b) c) d) Libert e dignit dei lavoratori Libert sindacale Attivit sindacale Norme sul Collocamento.

3.2.3 - CATEGORIE DI PRESTATORI DI LAVORO (in base a consuetudine): 1. 2. 3. 4. OPERAI IMPIEGATI QUADRI DIRIGENTI 1.1 INTERMEDI fuori elenco: APPRENDISTI (6 mesi - 4 anni)

1) OPERAI

manovale

- comune - qualificato - comune - qualificato - specializzato - dordine - di concetto - direttive

operaio

2) IMPIEGATI

con mansioni

3) QUADRI

pur non essendo dirigenti, svolgono con continuit funzioni di rilevante importanza in relazione a sviluppo e fini dellImpresa

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

Per quanto riguarda i dirigenti, in base alla giurisprudenza, le caratteristiche fondamentali previste dal loro contratto di lavoro sono: collaborazione immediata con lImprenditore per la gestione aziendale; ampia autonomia; livello gerarchico superiore a tutti (o quasi); responsabilit diretta verso lImprenditore. Oggi in alcuni settori si ha una classificazione unica, senza pi distinzione fra operai e impiegati: i lavoratori vengono classificati in base a profili professionali.

3.3 Gli elementi del costo del lavoro La retribuzione del lavoro, intesa come linsieme di tutti i compensi dovuti al lavoratore per la sua prestazione, composta da vari elementi che possono essere classificati in modi diversi: limportante, per lAzienda, prenderli in considerazione tutti, al fine di poter calcolare correttamente il costo vero del lavoro. Il problema principale della corretta valutazione dovuto al fatto che il lavoratore riceve compensi, con motivazioni diverse e in tempi diversi, non direttamente correlati con leffettivo lavoro svolto. Inoltre questi compensi non gli arrivano solo dallAzienda, ma anche dallo Stato. La situazione poi ulteriormente complicata dalle formalit burocratiche relative alla gestione delle paghe e dei contributi, per cui necessario cercare di fare chiarezza. Conviene incominciare a suddividere la retribuzione complessiva del lavoro, in base alle modalit e ai tempi di effettuazione, nelle seguenti tre parti: a) Retribuzione diretta (corrisposta in genere mensilmente) b) Retribuzione indiretta (corrisposta in genere annualmente) c) Retribuzione differita (corrisposta alla conclusione del rapporto di lavoro)

a) diretta: (voci tipiche:)

3 4 5 6 7 8 9

minimo contrattuale (tabellare) superminimi anzianit (scatti) contingenza cottimo (incentivo) mensa straordinario

paga base

b) indiretta:

10 11 12 13 14 15 16 17

mensilit aggiuntive premi di produzione (annuali) festivit infrasettimanali permessi retribuiti (10 + 10 + 2 ore) infortuni ferie assegni familiari altre indennit

c) differita:

18 TFR (trattamento di fine rapporto) (1) 19 pensione (2)

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

(1) commisurato a 1135 . Retribuzione annua n. anni di lavoro; indicizzato. (2) pensione di vecchiaia: - richiede un minimo di anzianit contributiva; - indicizzata; - commisurata alla retribuzione percepita negli ultimi anni della vita lavorativa.

La copertura delle varie voci della retribuzione complessiva avviene in parte a carico dellImpresa (COSTO DEL LAVORO propriamente detto), in parte a carico dello STATO. Formalmente partecipa alla copertura dei compensi indiretti e differiti anche il lavoratore stesso, con trattenute sulla sua busta paga: ci dovuto alla struttura del Sistema previdenziale e assistenziale e alle modalit burocratiche di pagamento dei relativi contributi sociali, ma in effetti anche la quota cosiddetta a carico del lavoratore, come tutta la restante parte della busta paga, fa parte del costo del lavoro sostenuto dallImpresa..

3.3.1- CONTRIBUTI E ONERI SOCIALI.

Per sostenere la spesa dello Stato per la Previdenza Sociale e lAssistenza, i privati contribuiscono con 2 quote:
CONTRIBUTI SOCIALI: (propriamente detti) 1 quota a carico del lavoratore (1) 1 quota a carico dellimprenditore (2)

(1) viene trattenuta sulla busta paga e versata allEnte previdenziale dallAzienda; (2) viene versata direttamente dallAzienda allo Stato.

Le imprese sostengono inoltre in proprio altri ONERI : (3) TFR, mensa, asili nido, colonie, etc... Lo Stato a sua volta si accolla una quota della spesa complessiva da sostenere per la previdenza e l'assistenza (circa il 12%), per cui si parla di fiscalizzazione degli oneri sociali (cio quota di oneri sociali pagata con le entrate fiscali s.s.)

3.3.2 IL COSTO DEL LAVORO Da quanto detto, risulta chiaro che il costo del lavoro in un determinato periodo di tempo per un determinato operaio pu essere calcolato con precisione solo conoscendo esattamente tutte le voci di costo che lazienda deve sostenere per la prestazione lavorativa di quella specifica persona nello stesso periodo di tempo. Da questo calcolo si potr poi ricavare il costo orario, dividendo il costo complessivo ottenuto per il numero di ore effettivamente lavorate nel periodo considerato. Per avere unidea dellentit del costo del lavoro pertanto necessario fare riferimento a dati medi, come quelli forniti dallOCSE (1997) riguardanti retribuzioni e tassazione di un operaio italiano del settore manifatturiero senza carichi familiari, in base ai quali si ha la situazione illustrata nelle righe seguenti.

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A10 - Sistema Fiscale e costo del lavoro

Premesso che il termine Retribuzione lorda rappresenta la voce della busta paga dalla quale si ricava la Retribuzione netta (cio il denaro che va effettivamente in tasca al lavoratore) in base al seguente schema di massima: Retribuzione Lorda - Contributi a carico del lavoratore = Reddito imponibile - IRPEF = Retribuzione Netta

Fatta 100 la Retribuzione lorda (annuale) , risulta: Retribuzione Netta 73,5 Retribuzione Lorda = 100 + IRPEF 16,5 + Contrib. Lavorat. 10 + Oneri a carico Impresa (Contributi, TFR etc.) 46

COSTO DEL LAVORO 146

Dunque il Costo del lavoro risulta pari

al 146 % della Retribuzione lorda e al 200% della Retribuzione netta.

Si pu anche dire che il Costo del lavoro risulta composto: per il 50% circa da Retribuzione netta per il 30% circa da Oneri sociali a carico dellImpresa per il 20% circa da IRPEF e Contributi a carico del lavoratore.

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A11 - Economia e Ambiente - I

A11 - ECONOMIA E AMBIENTE Parte I


1 - PREMESSA
Considerazioni sui termini ECONOMIA ed ECOLOGIA: contrasto fra teoria (etimologia) e realt attuale. Il problema ambientale nasce da esigenze divergenti della produzione e della tutela ambientale in tema di USO DELLE RISORSE NATURALI (acqua, aria, territorio, minerali, ... ). DUE ASPETTI: fondamentali 1. Consumo di risorse non rinnovabili 2. Inquinamento (di acqua, aria; rifiuti, ... ) Per capire le origini del problema necessario analizzare il ruolo delle risorse naturali nella teoria economica classica.

1.1 Lottica pre-industriale La territorialit = correlazione fra sviluppo e disponibilit di risorse di un dato territorio; tipica del passato. Studi recenti dimostrano che antiche civilt si sono sviluppate e hanno prosperato fin quando hanno saputo gestire bene le risorse del territorio di loro competenza, mentre hanno cominciato a declinare fino a scomparire quando queste risorse sono venute a mancare. I Fisiocratici: valorizzano gli aspetti sostanziali della produzione; la loro teoria basata sul contatto diretto con la natura: lunica produzione che si realizza quella agricola.

1.2 Lottica dei Classici e il modello di sviluppo industriale Nella teoria economica classica si rileva una mistificazione terminologica: - si chiama produzione ci che in realt trasformazione; - si chiama consumo la trasformazione di merci in rifiuto; tutto questo perch ci che conta non la sostanza ma il valore condensato nelle merci: si produce / consuma valore. La territorialit si perde: il territorio solo un supporto fisico sul quale uomini e risorse si spostano per consentire l allocazione ottimale delle risorse.

E il mercato che automaticamente, attraverso i prezzi, provvede allallocazione ottimale delle risorse, e cio fa in modo che le risorse vengano utilizzate e consumate in misura maggiore o minore a seconda della loro minore o maggiore scarsit.
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A11 - Economia e Ambiente - I

Ma occorre tener presente che: 1) il mercato conosce solo le risorse che hanno valore di scambio, e quindi non pu gestire i beni liberi come laria e lacqua, se non hanno un prezzo; 2) la scarsit non coincide necessariamente con la rarit effettiva, e cio con la limitatezza fisica della risorsa: una risorsa pu essere resa scarsa artificiosamente senza essere rara, mentre una risorsa limitata (come quella mineraria) pu non essere scarsa sul mercato. da tutto questo discende che nellevoluzione delleconomia industriale: sono rimasti a lungo nascosti i problemi ambientali (a causa della stessa teoria economica); quando sono esplosi i problemi, ci si accorti della difficolt, se non impossibilit, di gestirli da parte della teoria classica, perch questa trattava come prive di valore di scambio o illimitate le risorse naturali e non poteva quindi inserirle come tali nel meccanismo di autoregolazione del mercato.

La teoria classica ha affrontato i problemi dellambiente attraverso lintegrazione nel mercato degli effetti esterni delle attivit economiche: internalizzazione delle esternalit. Ci significa, ad es., dare un prezzo ai beni liberi (aria, acqua, ) diventati scarsi e tenerne conto nel calcolo dei costi di produzione.

In sintesi, lapproccio della teoria classica ai problemi dellambiente reso difficile dalle seguenti considerazioni: a) le risorse naturali sono limitate, e tra queste c anche la capacit di assorbimento dei rifiuti (di ogni genere) da parte dellecosistema; b) fattori come acqua, aria, spazio, ... , coinvolti nel sistema produttivo, non possono essere gestiti dalleconomia di mercato se non hanno un valore (di scambio); c) le leggi economiche che si sono dimostrate idonee per lallocazione ottimale delle risorse scarse non detto che funzionino ugualmente bene per le risorse limitate.

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A11 - Economia e Ambiente - I

2 - IL CONSUMO DI RISORSE NATURALI NON RINNOVABILI


( 1 aspetto del problema ambientale) 2.1 Premessa Richiami sul significato dei termini RISORSE: v. significato generale per leconomia; RISORSE NATURALI in senso stretto = MATERIE PRIME MINERARIE (m.p.m., oggetto di questo capitolo). RISORSE NATURALI in senso lato: comprendono anche le risorse senza valore di scambio (aria, acqua, ... ) (se ne parler nel 2 aspetto del problema ambientale). Caratteristiche economiche rilevanti delle m.p.m.: localizzazione, ciclicit della produzione; esauribilit, non riproducibilit; concentrazione geografica, strategicit; sostituibilit, recuperabilit; necessit (m.p. di base). Queste caratteristiche, variamente combinate tra di loro, hanno riflessi sulla struttura della domanda e dellofferta, e quindi sul mercato, giustificando la peculiarit della parte delleconomia che se ne occupa: lEconomia mineraria.

2.2 Leconomia mineraria (in sintesi) CAP I: Il significato economico dei minerali. Ruolo dei minerali nella storia: importante in ogni epoca (uso minerali evoluzione tecnologica), diventa determinante con la rivoluzione industriale: i minerali hanno ruolo strategico nel Modello di Sviluppo Industriale.

Ruolo attuale dei minerali nelleconomia:


ancora rilevante, come dimostrato dai dati quantitativi e qualitativi di: produzione, consumo e valore della produzione: - mineraria - dellindustria manifatturiera

Ordini di grandezza di: produzione e consumi annui pro capite: 10 t/ab. (USA); produzione e consumi annui totali: 10 109 t; valore globale della produzione: ~ PIL Italia.

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Commento agli andamenti (dati statistici) di: produzione mondiale dei principali metalli (Fig. 1):

consumi ed intensit duso dei metalli in Italia (Fig. 2): significato corretto del fenomeno della dematerializzazione dellEconomia.

Fig. 2: Andamento dei consumi di alluminio e rame (a sinistra) e dellintensit duso degli stessi metalli (destra) in Italia dal 1967 al 1986.

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Ruolo dei minerali nei singoli sistemi economici: E piccolo il valore della produzione mineraria, anche in grandi Paesi minerari: lordine di grandezza inferiore all 1% del PIL, ma rilevante leffetto moltiplicatore nellindustria di trasformazione (1 ordine di grandezza maggiore).

CAP II: Lapprovvigionamento delle materie prime minerarie

Lorigine del problema: necessit delle materie prime (INPUT del sistema); impossibilit dellautosufficienza necessit del commercio internazionale delle materie prime minerarie (costituiscono la maggior parte di tutto il tonnellaggio).
Per impostare il problema occorre partire dalla:

Disponibilit globale di materie prime minerarie.


La disponibilit degli elementi minerali nella litosfera, non uniforme: dal punto di vista economico interessano le anomalie di questa distribuzione = giacimenti minerari.

Definizione di:

giacimento minerario RISERVE e RISORSE

Richiede due parametri: grado di conoscenza geologica grado di fattibilit economica. Rappresentazione grafica di Riserve e Risorse (Fig. 3); utilit dellimpostazione ai fini del dibattito sulla disponibilit fisica delle risorse.

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A11 - Economia e Ambiente - I

Politiche minerarie = strategie dei governi intese a risolvere il problema dellapprovvigionamento, cio ad assicurare la regolarit delle forniture al sistema. Tengono conto di: aspetti tecnici

aspetti geopolitici
Consistono in:

(criticit del fabbisogno in relazione agli impieghi) (dipendenza dalle importazioni)

programmi operativi diretti a:


1. Conoscenza e valorizzazione delle risorse nazionali; 2. Predisposizione di strumenti per lapprovvigionamento allestero: - collaborazioni tecnico-economiche; - contratti a medio-lungo termine; - accordi internazionali (es.: conferenza di Lom, per la UE). 3. Strumenti di regolarizzazione del mercato.

CAP III: Lazienda mineraria ed il mercato delle materie prime minerarie

Caratteristiche generali: necessit di ottica sovranazionale (il prezzo internazionale per i prodotti di interesse non solo locale); sia lofferta che la domanda generalmente sono rigide; mercato non libero perfettamente, spesso oligopolistico, ma difficile il suo controllo da parte dei produttori; rendita mineraria: tipica, in conseguenza della diversit di condizioni produttive (costi) e della ~ unicit del prezzo.

Caratteristiche del prezzo: tipico andamento oscillatorio, specialmente nel breve periodo (v. Fig. 4): dannoso [ incertezza] sia per consumatori che per produttori;

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A11 - Economia e Ambiente - I

Fig. 4.

difficolt impossibilit di previsione nel breve e nel lungo periodo tentativi di regolarizzazione, con: cartelli, stock dei consumatori, stockpile strategici pubblici. I mercati reali (M. fisici; Borse merci - M. Spot e futures). Alcuni sono di riferimento mondiale (es. LME, London Metal Exchange). LEconomia mineraria consente di comprendere i termini del problema dellesaurimento delle risorse naturali.

2.3 Esaurimento delle risorse naturali e teoria economica

Nascita del problema e sua impostazione iniziale Scoperta della limitatezza delle risorse (v. I limiti dello sviluppo, Club di Roma - MIT, 1970).

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A11 - Economia e Ambiente - I

Si delinea lo scontro tra due opposte posizioni:


1. C da preoccuparsi del pericolo dellesaurimento (Visione pessimistica / anche: Economia della navicella spaziale/). 2. La tecnologia compenser sempre lesaurimento (Visione ottimistica / anche: Economia della frontiera/). A sostegno della posizione 1.:

crescita esponenziale dei consumi di materie prime minerarie (anni 60) incompatibile coi limiti naturali delle risorse; i meccanismi di mercato (strumenti umani per gestire le risorse scarse) non sono efficienti per gestire le risorse limitate: non impediscono lesaurimento; infatti: il risparmio economico non risparmio di materiali; la domanda di materie prime minerarie rigida; il prezzo potr diventare altissimo, ma troppo tardi il futuro apocalittico.
A sostegno della posizione 2.:

il produttore tende (per convenienza) a sottosfruttare le risorse; al diminuire dellofferta cresce il prezzo e diminuiscono i consumi (la diminuzione dello stock rallentata);
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A11 - Economia e Ambiente - I

il consumatore ricorre ai prodotti sostitutivi (con la tecnologia); quando anche la m.p.m. si esaurisse, a quel punto non sarebbe pi una risorsa per lEconomia il futuro roseo , grazie alla cieca fiducia nella tecnologia.

2.4 Critica delle posizioni estremistiche e conclusioni.

Le carenze del Modello previsionale MIT - Club di Roma: modello statico e deterministico: non tiene conto del significato corretto di Riserve / Risorse; non attribuisce il giusto ruolo alla tecnologia non considera fattori contingenti, cio nuovi rispetto al passato (es.: la reazione alle crisi energetiche); la situazione (come dimostrato fino ad oggi) non cos apocalittica come il modello ha prospettato. Gli effetti positivi dellallarme esaurimento: ha portato a riconoscere che: la tecnologia pu consentire la sostituzione ma non impedisce lesaurimento delle risorse; se ci si deve preoccupare dellesaurimento, non sono i tradizionali meccanismi di mercato che possono impedirlo; non preoccuparsi dellesaurimento equivale a:
- non preoccuparsi del consumo di capitale naturale; - non preoccuparsi della sua disponibilit per le generazioni future (che potrebbero trovare anche altri usi delle risorse); - non preoccuparsi della sua disponibilit per i Paesi che ancora devono avviare o completare il processo di industrializzazione (anche solo per gli impieghi storici)

Conclusioni:
Il problema non si limita quindi allo scontro tra pessimisti e ottimisti. Assume aspetti che vanno ben oltre i limiti delleconomia (non solo tradizionale) fino a comprendere questioni ecologiche, sociologiche, etiche. Di tutto questo si deve tener conto per comprendere il significato dellattuale impostazione dei problemi di economia ambientale, basata sulla filosofia della produzione sostenibile, e degli strumenti di gestione che da questa derivano.

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A12 - Economia e Ambiente - II

A12 - ECONOMIA E AMBIENTE Parte II

1 - LINQUINAMENTO
( 2 aspetto del problema ambientale)

1.1 Premessa: le esternalit negative e costi sociali Con il termine inquinamento comprendiamo la maggior parte delle esternalit ambientali negative. Le esternalit negative possono essere definite come: i danni procurati a terzi da un soggetto nel corso della sua attivit senza che esista alcun tipo di accordo tra le parti (nel senso che il danneggiato non desidera il danno e il danneggiatore non lo paga). Sono quindi effetti economici non richiesti da chi li riceve e non pagati da chi li provoca. Come conseguenza delle esternalit negative nascono i costi sociali, diversi dai costi privati in quanto comprendono le esternalit. Lesistenza dei costi sociali sta a indicare che la societ civile sopporta costi e danni non risarciti. Ad esempio, unimpresa che inquina laria impone unesternalit negativa ad ogni persona che la respira e ad ogni altra impresa, le cui apparecchiature si deteriorano pi rapidamente in conseguenza dellinquinamento. I costi sociali sono allora : costi dovuti soltanto allattivit delluomo, evitabili con opportuni interventi, rigettati dallazienda produttrice su terze persone o sulla societ in genere. Alcune esternalit sono generate dai produttori, altre dai consumatori. Nella maggior parte dei casi linterferenza negativa avviene per come nellesempio fatto - da parte di un soggetto nei confronti della collettivit, cio nei confronti di soggetti non identificati, come nei tanti casi noti di gravi danni sociali, tra cui: distruzione parziale dello strato di ozono; disastro di Cernobyl; maree nere da naufragio di petroliere.

Se ne deduce quindi che il problema principale legato alle esternalit negative dovuto al fatto che chi produce il danno non sopporta la totalit dei suoi costi. Risulta pertanto necessario studiare gli interventi attuabili per ovviare a questa disfunzione.

1.2 Internalizzazione delle esternalit Gli effetti delle esternalit, e dei conseguenti costi sociali, sulla produzione aziendale e sui suoi costi possono essere rappresentati graficamente. Nella Fig. 1 sono rappresentate le curve di domanda e di offerta di mercato, questultima sotto forma di curva dei costi marginali di produzione. Se non sono presenti esternalit, lequilibrio efficiente si realizza nel punto A, rappresentato dalla quantit prodotta qo e dal prezzo po.

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A12 - Economia e Ambiente - II

In presenza di unesternalit negativa, si manifesta un costo marginale sociale superiore al costo marginale dei produttori. Ora, se il costo sociale fosse addossato allazienda che ne responsabile cio, se limpresa dovesse incorporare nei suoi costi di produzione anche i costi del proprio inquinamento questo farebbe risalire la curva dei costi, come riportato in figura. In tal caso il livello di produzione efficiente si sposterebbe in C, dove la produzione q1 < qo e il prezzo p1 > po. Questa operazione viene definita internalizzazione delle esternalit.
Costi prezzi costo marginale sociale

P1 P0

D
costo marginale privato

A B
domanda

q1 Fig. 1

q0

quantit di inquinamento produzione

Con il principio dell internalizzazione delle esternalit leconomia classica ha affrontato e cercato in vari modi di risolvere i problemi relativi allinquinamento, ma le difficolt che si sono presentate e persistono tuttora sono molteplici. Oltre alle difficolt di imputazione del danno, esistono infatti notevoli problemi connessi a: Individuazione/ conoscenza del danno Quantificazione del danno Modalit di rimuovere il danno. La conoscenza del danno risulta spesso difficile per il fatto che per molti prodotti nuovi il danno ignoto, e sono numerosi gli esempi di prodotti i cui danni sono stati riconosciuti dopo molto tempo (es. DDT, CFC, amianto). La quantificazione del danno risulta spesso pi difficile della precedente, anche perch il danno si manifesta spesso su beni liberi che non hanno prezzo di mercato. Quanto al modo di rimuovere il danno, se questo di lieve entit si pu pensare di rimborsare i danneggiati, o intervenire per minimizzare gli effetti. Ma in molti casi ci non possibile, in quanto lipotesi di continuit della funzione di danno (relazione fra quantit di inquinamento e costi) non sempre si verifica nella realt: spesso si arriva ad un punto di rottura di equilibri naturali, per cui il danno diventa irreversibile.In questi casi non si pu far altro che vietare la produzione e luso del prodotto che genera il danno. Nonostante le difficolt, sono stati proposti molti strumenti per risolvere il problema delle esternalit: alcuni di questi sono rimasti a livello teorico, altri sono strumenti di applicazione pratica.

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1.3 Strumenti per affrontare le esternalit a) SOLUZIONI PRIVATE a.1 Le sanzioni sociali Si potrebbe pensare di risolvere il problema inculcando valori sociali nei soggetti coinvolti. Ma le sanzioni sociali che consentono di far rispettare questi valori non sono sufficienti, nella stragrande maggioranza dei casi, per avere ragione delle esternalit che emergono nella societ moderna. In particolare facile che gli interessi economici della produzione riescano a prevalere sugli altri valori. a.2 Diritti di propriet dei beni liberi Si potrebbe anche pensare di assegnare ai privati cittadini il diritto di propriet, ad esempio sullaria pura. Il direttore di una fabbrica inquinante dovrebbe allora contrattare con i residenti nelle vicinanze il prezzo da pagare per il livello di inquinamento provocato: dal confronto fra questo prezzo e il costo delle apparecchiature disinquinanti si potrebbe raggiungere il livello ottimale di inquinamento. Il problema si risolverebbe quindi con i meccanismi del mercato. Ma questo vale solo in teoria. In pratica il problema reso molto pi complesso da: possibilit reale di negoziazione dei privati, specie se nei confronti di imprese di grandi dimensioni; difficolt di individuare le parti danneggiate (a causa, ad es., dellestensione nello spazio e nel tempo di certi tipi di inquinamento; oppure a informazione incompleta).

Di fatto le soluzioni private, coerenti con i principi rigorosi del libero mercato, hanno dimostrato scarse possibilit di successo, per cui ormai riconosciuto unanimemente che soluzioni efficaci possono ottenersi soltanto con lintervento dello Stato.

b) STRUMENTI CON INTERVENTO DELLO STATO Occorre premettere che lobiettivo dellautorit preposta al controllo dellinquinamento non in ogni caso quello di eliminare totalmente linquinamento stesso, ma quello di individuare le misure necessarie perch gli interventi di disinquinamento si stabiliscano a quel livello che corrisponde al minimo costo per la collettivit. Ci significa che risulta corretto confrontare costi e benefici del controllo dellinquinamento, prendendo atto che esiste un livello efficiente di inquinamento. Il problema sorge dal fatto che i produttori, non tenendo conto delle esternalit che impongono, finiscono per provocare un livello di inquinamento eccessivamente alto. Lautorit non pu eliminarlo totalmente, ma ha il compito di indurre individui e imprese a comportarsi in modo da raggiungere un livello socialmente efficiente. Gli strumenti pubblici per realizzare nella pratica linternalizzazione si basano sul principio dellinquinatore pagatore, che stabilisce che debba pagare il danno chi inquina. Tale principio fa assumere il costo aggiuntivo al produttore dellinquinamento, il quale non potr far altro che scaricarlo sul prezzo del prodotto. A questo punto, leventuale punizione per linquinatore spetta al consumatore. Lunico obbligo che la norma impone al produttore quello di rivelare nel prezzo tutti i costi di produzione, compresi quindi quelli dovuti allinquinamento: il

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consumatore potr allora decidere di non comprare, o di comprare quantit minori di prodotto inquinante. Ma anche questo principio non risolve molti problemi, come ad es. quello della concorrenza internazionale tra paesi con normative ambientali diverse ( diversi costi di produzione); il principio inoltre inapplicabile in certi casi, come per esempio nellinquinamento da attivit agricole (per ragioni sia fisiche che economiche). In figura 2 riportata la rappresentazione grafica di una situazione di inquinamento in cui si introduce una funzione di costo sociale calcolata in base al costo privato pi il costo di trattamento degli scarichi. Landamento supposto lineare con il livello di inquinamento e con la produzione. Questa funzione consente di individuare il grado di inquinamento (q*) al di l del quale socialmente conveniente intervenire con il trattamento degli scarichi.
Costi prezzi costo marginale sociale senza trattamento

P2 P3 P* P1 D

B C

costo marginale sociale con trattamento dei rifiuti

costo marginale privato

A
domanda

q* Fig. 2.

q2 q3 q1

Quantit di inquinamento produzione

In figura 3, dove rappresentata unipotetica situazione di unindustria (A) a monte, che inquina lacqua utilizzata da unindustria (B) a valle:
Costi C+R Rm C1 Cm Cm = costo marginale dovuto allinquinamento subito da (B) Rm = costo marginale di disinquinamento sostenuto da (A)

P1

Inquinamento residuo

Fig. 3

Per ottimizzare socialmente la situazione si dovranno minimizzare i costi complessivi di (A) e (B): per questo si dimostra che deve essere Cm = Rm; il valore ottimale di inquinamento si ha cio allintersezione delle due curve di costo marginale. Lapplicazione pratica dellinternalizzazione Gli strumenti di intervento si suddividono in due categorie: 1. Strumenti di regolamentazione diretta, detti norme di comando-controllo, che prevedono imposizioni di STANDARD; 2. Strumenti di regolamentazione indiretta, di tipo economico-finanziario, che prevedono CANONI o TASSE sullinquinamento prodotto, PREMI per riduzione di inquinamento, VENDITA DI DIRITTI a inquinare.
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Nel primo caso lautorit competente fissa un determinato valore di inquinamento (Standard) che impone per legge di rispettare: si tratta ad es. di un valore di concentrazione di una data sostanza inquinante da non superare nelle emissioni. E lo strumento pi diffuso in assoluto nel mondo ed il solo applicabile in casi di inquinamento molto gravi, ma presenta gravi inconvenienti a causa della mancanza di flessibilit impedisce la minimizzazione dei costi, per cui senza dubbio lo strumento pi inefficiente. Nel secondo caso gli strumenti si dimostrano assai pi efficienti, in quanto tengono conto del fatto che i costi di internalizzazione sono molto diversi da soggetto a soggetto, e che conviene convincere a disinquinare chi ha costi minori, lasciando scaricare (a pagamento, naturalmente) chi ha costi maggiori. Se la tassa da pagare (Canone) fissata correttamente, si potr ottenere il livello voluto complessivo di disinquinamento al costo pi basso possibile. A titolo di esempio, si riporta (Fig. 4) lo schema illustrativo del sistema del canone:
Costi di riduzione dellinquinamento C3 C1 C2 Inquinamento residuo P3 P1 P2 Rm Cm Cm = costo o danno di inquinamento per le vittime Rm = costo di riduzione dellinquinamento

Fig. 4

Il canone (per unit di inquinamento rilevato) fissato pari a c1 . In questo modo si costringe (per convenienza economica) lazienda inquinante a ridurre linquinamento fino a p1 . In p2 , infatti, il canone da pagare sarebbe superiore al costo marginale di riduzione dellinquinamento. Ovviamente lazienda ridurrebbe le spese di disinquinamento da c3 a c1 se si trovasse invece in p3 . Qualunque sia il sistema adottato, la chiave dellinternalizzazione sempre, in questi casi, la convenienza economica (del privato e della comunit), e quindi il principio base delleconomia di mercato.

Conclusioni Considerando i limiti e i problemi di tutti i metodi visti, si pu comprendere il motivo per cui la teoria economica classica - e in particolare la teoria marginalista - stata ritenuta insufficiente a gestire i problemi ambientali (con particolare riguardo a quelli dellinquinamento); infatti: il principio bene / interesse privato = bene / interesse pubblico entra in crisi quando si devono gestire costi sociali; la tutela dellambiente sempre pi un fatto di responsabilit collettiva, da trattare con strumenti di politica economica pi che con meccanismi di mercato.
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2 - VERSO UNECONOMIA ECOLOGICA


Il primo passo per cercare di conciliare le posizioni estremistiche sui problemi dellambiente quello di ammettere la necessit di ampliare la visuale dal SISTEMA PRODUTTIVO in senso stretto al SISTEMA PRODUTTIVO ALLARGATO, comprendente tutte le risorse naturali, in input e output:

CAPITALE LAVORO
INPUT risorse naturali

PRODUZIONE (agricoltura e industria)

OUTPUT beni

CONSUMO FINALE

AMBIENTE

rifiuti rifiuti

fattori ambientali

Fig.5 - Sistema produttivo allargato.

Questo necessario perch, per comprendere i problemi ambientali, indispensabile tener conto del funzionamento dell ECOSISTEMA naturale:
ENERGIA SOLARE PRODUTTORI (mondo vegetale) FATTORI ABIOTICI CONSUMATORI 1 (erbivori) CONSUMATORI 2 (carnivori) ALTRI CONSUMATORI (uomo) DECOMPOSITORI

ENERGIA TERMICA AD ALTA ENTROPIA Fig. 6 - Ecosistema

Qui un ciclo naturale di trasformazioni provvede a restituire al sistema abiotico ogni forma di materia prodotta dagli agenti biotici. Il ciclo chiuso, a parte lenergia.

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A differenza di questo, nel sistema produttivo umano il ciclo non propriamente tale: non si chiude; questo perch diversa la scansione temporale dei processi produttivi e delle trasformazioni dei prodotti. N la materia n lenergia sono equivalenti in entrata e in uscita. Un contributo alla migliore comprensione di questi problemi viene dalla: BIOECONOMIA proposta di avvicinamento delleconomia alle scienze naturali. Disciplina che ha come base linterpretazione termodinamica del rapporto uomo - ambiente. Consente di interpretare in senso moderno la teoria dei Fisiocratici: il prodotto netto energia biologica (a bassa entropia); il mondo vegetale lunica fonte di questa energia, indispensabile alla vita, quindi nellagricoltura lunica vera produzione; il consumo (anche quello di risorse non rinnovabili) trasformazione di energia da bassa ad alta entropia, come pure tutte le trasformazioni energetiche non biologiche. In base ai principi della teoria termodinamica, in particolare esistono limiti invalicabili alle operazioni di: - riciclaggio; - disinquinamento; - sostituibilit delle risorse naturali perch il costo energetico di queste operazioni crescente e non avrebbe senso superare il limite oltre il quale le risorse ottenibili sarebbero inferiori a quelle impiegate. LO SVILUPPO SOSTENIBILE LEconomia dellambiente, sviluppo delleconomia tradizionale, ha dimostrato i suoi limiti, e non esiste ancora una nuova teoria in grado di coniugare Economia ed Ecologia. Lunica strada percorribile al momento quella dello Sviluppo sostenibile: E una nuova filosofia / un nuovo modo di vedere le vicende economiche; nasce in ambito ONU: commissione Bruntland / 1987; una proposta di inversione di tendenza rispetto alleconomia tradizionale che privilegia il presente rispetto al futuro: una critica al modello di sviluppo industriale e al meccanismo di mercato; una proposta per un miglior livello culturale delleconomia. Il suo obiettivo generale: assicurare lo sviluppo delle generazioni presenti senza mettere a rischio le generazioni future. Per quanto detto, risulta necessario, per realizzare lo Sviluppo sostenibile, affrontare i problemi ambientali in ambito macroeconomico (la microeconomia non basta). Diversamente sarebbero inevitabili errori di composizione.
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Gli strumenti dello Sviluppo sostenibile: ANALISI ENERGETICA / BILANCI ENERGETICI - Consentono di evidenziare aspetti essenziali di economia ambientale che resterebbero nascosti dai prezzi di mercato. - Costituiscono lelemento centrale di stima per lECOLABEL. - Sono necessari per interpretare correttamente i contenuti energetici di IMPORT e EXPORT (responsabili in parte delleffetto di riduzione dellintensit energetica nelle economie dei paesi industrializzati). LCA [Life Cycle Assessment] ed Ecobilanci: sono dirette derivazioni dellanalisi energetica ma assumono un significato nuovo e importante per il principio che li ispira: affrontare unitariamente tutti i processi riguardanti una materia prima, un materiale, un prodotto (o una struttura produttiva) dalla culla alla tomba. E dalla progettazione che possibile individuare: - strategie di risparmio di materiali e energia; - strategie di sostituzione; E dallottica complessiva che si pu ottenere il controllo delle interazioni con lambiente. Spunti conclusivi di meditazione. Capitale naturale: lo stock limitato di risorse naturali. Solo apparentemente un dono gratuito della natura. Qualcuno ha proposto di considerarlo patrimonio comune dellumanit. Crescita e sviluppo: possono essere diversi i significati tradizionali e quelli futuri; crescita: (= incremento del PIL in economia industriale) in economia sempre un bene, in ecologia c un limite; sviluppo: nella tradizione il passaggio da uneconomia agricola ad uneconomia industriale; anche sinonimo di benessere, omologato al modello industriale; si pu ripensare a questo significato. Sviluppo sostenibile: necessario chiarire bene il significato che si vuole attribuire ai termini, oltre che le modalit per conseguirlo: Sviluppo = deve essere anche qualitativo; Sostenibile = richiede la fissazione di criteri chiari. Per es.: - costanza del capitale naturale rinnovabile; - uso prudente del capitale naturale non rinnovabile. Importante linversione di rotta rispetto allandamento attuale.
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A12 - Economia e Ambiente - II

Tempi diversi, in corrispondenza delle diverse attivit (lavori) che interessano lecosistema: Tempi storici 102 103 anni lavori umani;

Tempi biologici 105 106 anni lavori di altre specie viventi; Tempi lavori del mondo abiotico (per es.: tempi 106 107 anni necessari per la formazione del petrolio). geologici E linterazione delle varie attivit, ciascuna con i suoi tempi, che crea le condizioni in equilibrio precario ma stabilissimo - in cui si pu realizzare la vita. Incertezza, limite, complessit = caratteristiche di cui occorre tener conto nella relazione societ umana - ambiente. prudenza (e non cieca fiducia nelle capacit della natura, oppure della tecnologia, di risolvere i problemi) nel valutare le conseguenze sullambiente di certe azioni, specialmente quando le azioni sono numerose e concomitanti.

Conclusioni
LECONOMIA ECOLOGICA potr essere la scienza della gestione della terra estesa a tutto il mondo vivente. Il suo obiettivo: lottimizzazione delluso delle risorse scarse del pianeta, garantendo la coesistenza ordinata di tutti gli esseri viventi.

Ripensando allevoluzione socio-economica, questa si pu rappresentare: Societ agricola Societ industriale Societ post-industriale ? unevoluzione caratterizzata da crescita continua del fabbisogno energetico. una strada particolarmente interessante di sviluppo: agire sul binomio ENERGIA - INFORMAZIONE (che, aggiungendo la MATERIA d la RISORSA) cercando di ridurre sempre pi lEnergia a favore dellInformazione. Questo vorrebbe anche dire: speranza di CRESCITA DELLA QUALITA DELLA VITA.

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Economia Applicata allIngegneria - Schemi delle lezioni

PARTE B

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B1 -Numeri Indici

B1 - NUMERI INDICI E SERIE STORICHE


1 - INDICI
I numeri indici (o semplicemente indici) vengono comunemente impiegati per rappresentare levoluzione nel tempo di grandezze economiche quali i prezzi e la produzione industriale, ma sono utili in generale per la rappresentazione e lanalisi di qualsiasi serie di valori numerici di cui si vogliano studiare landamento e le variazioni. Nel caso pi semplice e con riferimento a grandezze che variano nel tempo, un numero indice dato dal rapporto fra il valore della grandezza in un dato momento e quello della stessa grandezza in un momento assunto come base. In tal modo lindice del valore base risulterebbe uguale ad 1. Per convenzione, lindice base si pone per pi spesso pari a 100, oppure 1000, oppure 10.000, a seconda della precisione desiderata. Lutilit degli indici risiede nel fatto che, sostituendosi ai valori numerici assoluti delle grandezze che rappresentano, consentono maggior immediatezza e notevoli semplificazioni nei calcoli delle relative variazioni, nonch nelle operazioni di confronto fra serie di valori di grandezze non omogenee. Se si mantiene immutata la base di riferimento, il numero indice viene detto a base fissa; se al contrario la base viene variata di volta in volta, lindice viene detto a base mobile. 1.1 Numeri indice a base fissa Ad esempio, dato Pn, prezzo di una merce nel periodo considerato, e P0 prezzo della stessa merce nel periodo assunto come base, si definisce: - indice semplice dei prezzi Ip = (Pn/P0) 100

Lo stesso indice pu essere costruito con le quantit prodotte o con i valori di mercato di una data merce in due periodi di riferimento; avremo allora: - indice semplice delle quantit - indice semplice dei valori monetari Iq = (Qn/Q0) 100 Iv = (PnQn/ P0Q0) 100

dove PnQn il valore di una merce nel periodo dato e P0Q0 nel periodo base. Esempio 1. Il prezzo medio delloro stato: nel 1990 pari a 383,6 $/oz nel 1991 pari a 362,3 $/oz I1 = 94,5 indica una diminuzione del prezzo del 5,5%, nel 1991 rispetto al 1990. Esempio 2. Gli indici della produzione industriale nel 1991 e nel 1992 sono stati rispettivamente I1991 = 140; I1992 = 157 rispetto allanno base 1985. Si pu dedurre che nel 1991 la produzione industriale aumentata del 40% rispetto al 1985 e nel 1992 del 57% sempre rispetto al 1985. Nel 1992 si avuto invece un aumento (tasso di crescita) del 12,1% rispetto al 1991. Infatti :

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B1 -Numeri Indici

(V2 V1 ) (I 2 I 1 ) (157 140) 157 = = 1 = 0,121 = V1 I1 140 140

Esempio 3. La produzione di una certa azienda rappresentata dalla seguente serie di indici a base
1985 100 1986 113 1987 125 1988 150 1989 153 1990 166 1991 170 1992 181

fissa:

Si richiede di: 1) costruire un grafico che rappresenti in scala landamento della produzione nel periodo considerato; 2) valutare il corrispondente tasso medio annuo di crescita. Mentre si suggerisce allo studente di eseguire lutile esercizio 1), per quanto riguarda il punto 2) si ha: (181/100 )- 1 = 81% di crescita complessiva in 7 anni. I tassi di crescita annuali sono invece i seguenti:
(113/100 )- 1 = 0,13; (125/113) - 1 = 0,106; (150/125) - 1 = 0,2; (153/150) - 1 = 0,02; (166/153) - 1 = 0,085; (170/166) - 1 = 0,024; (181/170) - 1 = 0,064

la cui media di 8,9%. Allo stesso risultato si arriva utilizzando la formula 181 = 100(1 + t)7. 1.2 Numeri indici composti a base fissa Sovente necessario conoscere di quanto sia variato in media il prezzo di un certo numero di beni presenti sul mercato in un dato periodo di tempo; in tal caso necessario costruire un numero indice che esprima da solo la variazione di insieme dei prezzi dei beni considerati. Si possono seguire diversi criteri che portano ad indici con diversi significati: rapporto tra somme prezzi di tutti i beni in un certo anno prezzi dei corrispondenti beni nellanno base in questo modo non si tiene per conto dellimportanza relativa dei diversi beni; medie aritmetiche di indici semplici di tutti gli indici semplici dei prezzi dei beni considerati numero degli indici considerati

anche in questo caso non si tiene per conto della diversa importanza dei beni considerati; medie ponderate di indici semplici In questo caso la media degli indici caratterizzata dal fatto che lindice dei prezzi semplice di ogni merce ponderato mediante il valore della merce stessa, dato dal prodotto di p per q. Lindice dei prezzi medi ponderati pertanto:
I

( p q )( p = p q
0 0 0

n 0

100 )

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B1 -Numeri Indici

1.3 Numeri indici a base mobile o variabile La base costituita di volta in volta dal valore della variabile nel periodo precedente quello considerato e quindi, ad esempio, per serie di valori annuali si ottengono dividendo il dato di ciascuno anno (prezzo, quantit, ...) per quello dellanno precedente e moltiplicando per 100. Esempio 4. Il valore delle vendite di unazienda stato nei diversi anni (U.S. $):
1980 14980 1981 16433 1982 20194 1983 23015 1984 23621 1985 24009

I numeri indice a base mobile saranno quindi [es. 1981 = (16433/14980)100]


1980 1981 110 1982 123 1983 114 1984 103 1985 102

Volendo passare ad un indice a base fissa dobbiamo applicare le due relazioni (con L si intende lindice a base mobile e I il nuovo indice a base fissa): 1) In-1 = (In/Ln) 100 2) In = (Ln In-1) /100 per ciascun anno precedente lanno base per ciascun anno successivo allanno base

Quindi mantenendo i dati dellesempio precedente avremo (con 1982=100): 100 100 = 81 I 1981 = 123 I 1983 = 100 114 = 114 100

103 114 = 117 100 e cos via. Riassumendo, si avr: I 1984 =


1980 74 1981 81 1982 100 1983 114 1984 117 1985 119

1.4 Inflazione e costo della vita Linflazione il fenomeno per cui i prezzi di beni e servizi aumentano, per svariati motivi, in un determinato anno rispetto al precedente. E un fenomeno che costituisce uno dei principali problemi economici degli ultimi decenni per tutti i sistemi economici ad economia di mercato, in quanto incide direttamente sul potere dacquisto e penalizza in particolare chi percepisce un reddito fisso. Il tasso di inflazione viene normalmente misurato dalla variazione percentuale di un determinato numero indice dei prezzi. LISTAT pubblica diversi indici dei prezzi, tra cui lIndice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, lindice dei prezzi al consumo dellintera comunit nazionale e lindice dei prezzi praticati dai grossisti. Si tratta di indici a base fissa, con base che viene aggiornata ogni tre o cinque anni.
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B1 -Numeri Indici

In particolare lindice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati che viene normalmente usato per misurare linflazione (oppure per quantificare il deprezzamento della lira che ne conseguenza) in quanto ritenuto particolarmente significativo ai fini della rappresentazione del fenomeno a livello nazionale. Per quanto riguarda la costruzione dellindice da parte dellISTAT, in ogni provincia si procede al calcolo degli indici elementari dei prezzi con riferimento alla media dei corrispondenti prezzi rilevati nellanno base. Questi indici forniscono la misura della variazione nel tempo dei prezzi al dettaglio di un prefissato paniere di beni e servizi (oltre trecento, attualmente) correntemente acquistati dalle famiglie di lavoratori dipendenti non agricoli. LISTAT pubblica annualmente la tabella dei coefficienti di trasformazione dei prezzi correnti (cio relativi ai singoli anni) nei valori attuali; in base a questi coefficienti in pratica possibile la rivalutazione ufficiale di una qualsiasi somma dal 1861 a oggi. Si allega lultima tabella pubblicata.

Esempio 5. Il tasso medio di inflazione in Europa (secondo lEurostat) ha avuto nei primi anni 90 il seguente andamento percentuale
1990 5,7 1991 4,7 1992 3,6 1993 3,4

Si chiede di ricostruire la serie di valori dellindice del costo della vita da cui derivano i tassi di inflazione considerando come anno base il 1989 (1989 = 100) , e di calcolare inoltre la serie degli indici a base mobile che rappresenti i tassi stessi. Poich ciascun tasso dinflazione rappresenta lincremento del costo della vita rispetto allanno precedente, i corrispondenti indici si ricavano come segue: I1990 = 105,7 I1991 = I1990 + 0,047 I1990 = 110,7 I1992 = I1991 + I19910,036 = 114,7 I1993 = I1992 + I19920,034 = 118,6 Gli indici a base mobile, tenendo presente il loro diverso significato, saranno invece dati dalle seguenti espressioni: L1990 = (105,7/100)100 = 105,7 L1991 = (110,7/105,7)100 = 104,7 L1992 = (114,7/110,7)100 = 103,6 L1993 = (118,6/114,7)100 = 103,4.

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B1 -Numeri Indici

2 - ANALISI DI SERIE STORICHE


Una serie storica costituita dai valori di una grandezza osservati in un insieme di periodi (per es. anni) ordinati in modo sequenziale. E tale ad esempio la serie dei valori annuali delle vendite di unazienda negli ultimi 10 anni, oppure le produzioni mensili del settore industriale tra il 97 e il 99, o i valori del PIL italiano degli anni 80 e 90. Lanalisi di una serie storica il procedimento con cui si individuano e si isolano i fattori legati al tempo che influenzano i valori osservati: una volta individuati, questi fattori possono contribuire allinterpretazione dei valori storici e alla previsione dei valori futuri della serie. Normalmente sono quattro i fattori (o componenti) che si prendono in considerazione: - il Trend: rappresenta landamento generale in un periodo di tempo molto ampio (lungo termine o lungo periodo); - le Fluttuazioni cicliche: movimenti ricorrenti ascendenti e discendenti rispetto al trend, che hanno una durata di alcuni anni; - le Variazioni stagionali: analoghi movimenti fluttuanti rispetto al trend, che giungono a compimento entro un anno e si ripetono annualmente; - Movimenti erratici o irregolari: sono deviazioni irregolari rispetto al trend, che non si possono attribuire ai due tipi di fluttuazioni precedenti; sono in ogni caso da considerare tipiche del breve periodo. Per ciascuna di queste componenti esistono specifici metodi di analisi. In questa sede prenderemo in esame lanalisi del trend e, per alcuni aspetti, quella delle variazioni stagionali. 2.1 Lanalisi del trend Quando possibile ipotizzare un andamento lineare, il metodo pi frequentemente utilizzato per individuare la componente di trend il metodo dei minimi quadrati. Con questo metodo si determina lequazione della linea di trend, ossia della retta che interpola nel modo migliore i valori della serie. Questa retta ha la forma Y = a + bX dove X rappresenta la variabile temporale, a rappresenta lintercetta sullasse delle ordinate e b il coefficiente angolare. Il metodo dei minimi quadrati fornisce le seguenti espressioni per determinare i valori dei parametri a e b: b=

X Y nXY X nX
i i 2 i 2

a = Y bX

dove X = (X/n); Y = (Y/n) Nellanalisi di trend non lineare si impiegano spesso due tipi di curve : quella esponenziale e quella parabolica. La tipica curva di trend esponenziale Y = a(1+i)X indica un tasso di crescita i costante durante un periodo di X anni. La curva di trend parabolica invece del tipo Y = a + bX + cX2.
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Esempio 6. Calcolare i parametri a e b della linea di trend rappresentata dalla retta di interpolazione Y=a+bX, della seguente serie storica relativa alle produzioni di beni e servizi (dati in miliardi di lire).
Anni valori 70 10431 71 11235 72 12979 73 18100 74 29053 75 27832 76 39843 77 46519 78 52559 79 70262 80 92717

E opportuno predisporre i calcoli nel seguente prospetto:


X 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 Xi = 825 Y 10431 11235 12979 18100 29053 27832 39843 46519 52559 70262 92717 Yi = 441.530 X2 4900 5041 5184 5329 5476 5625 5776 5929 6084 6241 6400 2 Xi = 61.985 X Y 730170 797685 934488 1321300 2149922 2087400 3028068 3581963 4099602 5550698 7417360 XiYi =31.698.656

a = - 531.160 b = 7.581
2.2 Perequazione con medie mobili Il trattamento delle fluttuazioni stagionali e irregolari di breve periodo viene effettuato utilizzando il metodo delle perequazioni con medie mobili. Questo procedimento consente infatti, in generale, di smussare e anche eliminare gli scostamenti rispetto allandamento medio di un determinato periodo mettendo quindi in evidenza, in questo periodo, landamento stesso del fenomeno nel suo complesso. Esso consiste nel sostituire ai valori osservati yi quelli y* ottenuti come medie di pi valori contigui. Il numero n di valori compresi in ogni gruppo di cui si calcola la media stabilisce lordine della perequazione. Le medie mobili pi utilizzate sono quelle di ordine dispari: 3,5,7,9. Per ottenere i valori perequati con medie mobili di ordine n si procede nel modo seguente: siano y1, y2, y3, y4, y5, y6, y7, y8 i valori della variabile y da perequare. I dati perequati con medie mobili di ordine 3 sono:

y1 + y 2 + y3 y 2 + y3 + y 4 y3 + y 4 + y5 y 4 + y5 + y 6 y5 + y 6 + y 7 y6 + y7 + y8 ; ; ; ; ; 3 3 3 3 3 3 Si noti che non possibile ottenere i valori perequati per y1* e y8*. Questo uno degli svantaggi della perequazione: in generale in una perequazione con medie di 3 termini non si possono perequare 2 valori;
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B1 -Numeri Indici

5 termini non si possono perequare 4 valori; e cos via.


Esempio 7. Nella tabella seguente riportato il valore del PIL nazionale per il periodo 1980-1993. Calcolare con il metodo della perequazione con medie mobili di ordine 3 i corrispondenti valori perequati e riportarli in grafico.

Valori in migliaia di miliardi di lire correnti:


Anni 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 PIL 381 458 536 620 711 795 882 954 1052 1150 1261 1367 1444 1483

I dati perequati corretti sono riportati nella seguente tabella:


458,33 538 622,3 708,6 796 877 962,6 1052 1154 1259,3 1357,3 1431,3 y2 y3 y4 y5 y6 y7 y8 y9 y10 y11 y12 y13

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Coefficienti per tradurre valori monetari dei periodi sottoindicati in valori del
Anni 1861 62 63 64 65 1866 67 68 69 70 1871 72 73 74 75 1876 77 78 79 80 1881 82 83 84 85 1886 87 88 89 90 1891 92 93 94 95 1896 97 98 99 900 Coefficienti 7.663,7927 7.617,3455 7.845,5805 8.067,1502 8.204,0601 8.119,2636 7.924,7289 7.617,3455 7.571,4578 7.463,5511 7.239,9885 6.406,0245 6.042,6058 5.900,7606 6.890,6908 6.512,2383 6.259,2729 6.498,7694 6.580,4293 6.347,7879 6.786,5119 6.951,6704 7.182,0686 7.324,3706 7.165,6899 7.173,8699 7.190,2860 7.100,9153 6.982,5667 6.742,8219 6.764,5963 6.823,3550 6.974,8169 7.005,9197 7.045,1906 7.076,9257 7.092,9007 7.045,1906 7.157,5285 7.125,0680 Anni 1901 02 03 04 05 1906 07 08 09 10 1911 12 13 14 15 1916 17 18 19 20 1921 22 23 24 25 1926 27 28 29 30 1931 32 33 34 35 1936 37 38 39 40 Coefficienti 7.116,9989 7.165,6899 6.959,3688 6.875,6127 6.868,0984 6.742,8219 6.438,8422 6.505,4969 6.692,5559 6.512,2383 6.354,2063 6.296,9038 6.284,3100 6.284,3100 5.873,1869 4.693,2860 3.318,0095 2.379,5191 2.344,0172 1.783,7951 1.507,7519 1.516,8501 1.525,6883 1.473,8063 1.311,9645 1.216,2396 1.330,2942 1.435,4294 1.412,8395 1.459,0922 1.615,0887 1.658,5669 1.762,7798 1.858,7134 1.832,6947 1.703,9886 1.556,6782 1.445,6660 1.384,5142 1.186,3904 Anni 1941 42 43 44 45 1946 47 48 49 50 1951 52 53 54 55 1956 57 58 59 60 1961 62 63 64 65 1966 67 68 69 70 1971 72 73 74 75 1976 77 78 79 80 Coefficienti 1025,3402 887,1132 528,9823 119,0345 60,4377 51,2102 31,5993 29,8444 29,4134 29,8137 27,1742 26,0668 25,5689 24,8995 24,2196 23,0716 22,6345 21,5996 21,6904 21,1293 20,5292 19,5330 18,1674 17,1505 16,4365 16,1139 15,7980 15,5992 15,1732 14,4390 13,7514 13,0199 11,7966 9,8762 8,4291 7,2340 6,1253 5,4473 4,7066 3,8851

2003 (a)
Coefficienti 3,2730 2,8132 2,4465 2,2124 2,0373 1,9201 1,8354 1,7487 1,6403 1,5460 1,4529 1,3783 1,3228 1,2727 1,2080 1,1627 1,1429 1,1227 1,1052 1,0776 1,0495 1,0246 1,0000

Anni 1981 82 83 84 85 1986 87 88 89 90 1991 92 93 94 95 1996 97 98 99 2000 2001 02 03

(a) Qualora la cifra originaria sia espressa in lire, mentre la cifra rivalutata debba essere espressa in euro, occorrer effettuare prima la rivalutazione (moltiplicando per l'apposito coefficiente) e successivamente la conversione in euro (divisione per 1936,27); al contrario, se la cifra di partenza sia espressa in euro, la cifra rivalutata, con il coefficiente delle tavole, risulter anch'essa in euro e quindi se occorresse esprimerla in lire sar necessaria l'operazione inversa (moltiplicazione per 1936,27). ISTAT 03.02.2004

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B2 - Statistica descrittiva

B2- ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEI DATI STATISTICA DESCRITTIVA


1 - GENERALIT SULLA STATISTICA
Ricordiamo che la statistica la scienza che studia, con metodi matematici, fenomeni collettivi sulla base di rilevazioni di dati numerici relativi a casi singoli; quindi l'organizzazione e la rappresentazione delle osservazioni costituiscono una parte essenziale di ogni studio di tipo statistico. E' detta statistica descrittiva la branca della statistica che ha per oggetto l'ordinamento e la descrizione di fenomeni quantitativi e qualitativi osservati. Si definisce invece statistica induttiva quella che consente di fare previsioni o trarre conclusioni da un dato insieme di (poche) osservazioni (campione) riguardanti una popolazione o un universo. Le origini della statistica possono essere trovate nel periodo 1600 - 1700 con la nascita degli Stati moderni per la necessit di misurare le risorse (popolazione, produzioni, import/export). Attualmente la statistica ha ancora un'importanza notevole "per lo Stato", per programmare e simulare (modelli econometrici) il funzionamento del sistema socio-economico attraverso macrovariabili quali la popolazione, la produzione, i consumi. Ma ha acquistato un ruolo importantissimo per le scienze in generale e per l'economia in particolare, come fondamentale strumento di analisi e di gestione. L'economia si distingue dalle scienze "esatte" proprio perch utilizza l'analisi statistica, che, come noto, basata su leggi che ammettono eccezioni. Per questo motivo, un supporto essenziale della statistica costituito dal calcolo delle probabilit, ovvero dalla trattazione matematica delle grandezze aleatorie: questo consente di affrontare problemi di gestione aziendale, di ricerca scientifica e tecnologica, di studio di fenomeni legati all'ambiente caratterizzati dall'incertezza dei dati o dei risultati. Questo si verifica, ad esempio, quando si ha la necessit di assumere decisioni per il futuro, dal momento che tutto ci che futuro incerto. Nell'economia dell'ingegneria e nella gestione aziendale, la statistica fondamentale nei capitoli: controllo di qualit, analisi di rischio e teoria delle decisioni.

2 - LA DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA
In generale i dati da trattare sono i valori di una variabile. Questa pu essere una caratteristica di un determinato fenomeno che pu assumere diversi valori costituenti quindi un insieme. Se la caratteristica misurabile si parla di variabile quantitativa che pu essere: a - variabile discreta: se pu assumere solo determinati valori isolati; b - variabile continua: se pu assumere tutti i possibili valori reali entro un certo intervallo. Normalmente i dati disponibili, ad esempio quelli derivanti da un processo di misurazione, non sono direttamente suscettibili di interpretazione, ma devono essere riordinati e riclassificati1.
Il modo pi consueto di ordinare i dati detto "distribuzione di frequenza".

Come noto si utilizza la metodologia statistica nei casi di misurazioni di grandezze fisiche. A questo proposito occorre distinguere tra i diversi tipi di errore che si possono incontrare: - sistematici: misurando ad esempio una temperatura con un termometro mal tarato o una corrente elettrica con un amperometro non azzerato; - accidentali o casuali: dovuti alleffetto di una qualsiasi perturbazione occasionale della strumentazione di misura o ad altre cause aleatorie; a questi ultimi tipi di errore si pu ovviare con lanalisi statistica. 115

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B2 - Statistica descrittiva

In una distribuzione di frequenza i dati vengono raggruppati per classi, ciascuna delle quali caratterizzata dal numero degli individui presenti nella classe (frequenza), oltrech dall'ampiezza, dagli estremi, dai confini e dal valore centrale dell'intervallo in cui cadono gli individui della classe stessa. La distribuzione di frequenza di variabili discrete dunque un procedimento di raggruppamento di dati che serve per rappresentare il modo secondo cui si manifestano le diverse modalit quantitative del fenomeno in studio; queste sono: x1, x2 ..., i singoli valori assunti dalla variabile. N = numero di valori della variabile N i , frequenza assoluta, il numero di individui nella classe; fi, frequenza relativa della classe, rapporto tra la frequenza assoluta e il totale dei valori (individui) della variabile: fi = N i / N Fi, frequenza cumulata di una classe (assoluta o relativa), uguale alla frequenza della stessa classe pi le frequenze delle classi precedenti. Propriet fondamentale : f i = 1 ,

=N .

Per variabile statistica (ad una dimensione) si deve intendere la doppia successione dei valori xi e delle relative frequenze f i : x1, x2 , x3, xi.xn f1, f2, f3,... fi fn Tutti questi valori vengono rappresentati graficamente nell'istogramma.
5

Ni

X X1 1

X X2 2

X3 X3

X X4 4

X5 X5

X6 X6

X7 X7

Figura 1. Esempio di istogramma.

Per convenzione si pongono i valori assunti dalla variabile sull'asse X e le frequenze ad esse associate sull'asse delle Y. La definizione dell'intervallo di classe avviene in maniera arbitraria, ma tenendo conto dell'ampiezza del campo di variazione e della numerosit del campione. Il poligono di frequenza un grafico lineare delle frequenze delle classi passante per i valori centrali delle classi medesime: si ottiene quindi unendo i punti di mezzo dei lati superiori dei rettangoli dell'istogramma;

116

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B2 - Statistica descrittiva

Quando si devono invece trattare statisticamente gli infiniti valori di una variabile continua compresi in un dato intervallo a-b, non hanno pi significato la classe, la frequenza relativa e il poligono di frequenza, che sono sostituiti da densit di frequenza e curva di frequenza. La rappresentazione grafica della distribuzione cumulativa di frequenza assume la forma di figura 2.

Fi
F rappresenta la frequenza cumulata di tutti gli individui che hanno un valore x i.

xi
Figura 2. Esempio di curva cumulativa.

3 - MISURE DI POSIZIONE
Servono anch'esse per la descrizione dei dati raccolti. Una misura di posizione un valore che fornisce un'informazione sintetica sulla "localizzazione" del gruppo di dati sull'asse delle ascisse. Le principali sono la media (aritmetica), la moda e la mediana. In una distribuzione la media aritmetica rappresenta il baricentro della distribuzione stessa e vale:

a) per valori non raggruppati:


x=
_

/N

b) per dati raggruppati (distribuzione di frequenza):


x = (1 / N ) N i xi =
_

xi

E chiaro che nel caso a) le xi rappresentano tutti i valori di tutti i dati in esame, nel caso b), invece, i valori centrali delle classi. Ovviamente nel caso b) si ottengono risultati approssimati, ma l'approssimazione in generale accettabile; se poi fosse necessario, si potrebbe approfondire l'analisi all'interno della classe con opportune regole di interpolazione. Osservando le due espressioni della media si pu notare che nel caso a) si tratta di una vera media aritmetica; nel caso b) siamo di fronte in pratica ad una media ponderata nella quale i pesi sono rappresentati dalle frequenze relative delle classi.

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B2 - Statistica descrittiva

Ricordiamo anche la media geometrica: Mg =

X 1 X 2 ... X N

La moda il valore della variabile cui corrisponde la massima frequenza, per variabili discrete, e la massima densit di frequenza per variabili continue. Se questo valore unico si avr una distribuzione unimodale, mentre se ci sono due picchi non adiacenti la distribuzione si definisce bimodale. La mediana il valore centrale della distribuzione che permette di ripartire la distribuzione stessa in due parti in ciascuna delle quali cade il 50% delle osservazioni; dal punto di vista geometrico essa divide quindi l'area che rappresenta la distribuzione in due parti uguali. Se il numero di osservazioni dispari, ci sar un unico valore mediano, se invece pari la media delle due osservazioni centrali.

Med = X [ N / 2 +1/ 2 ]
Per dati raggruppati, in prima approssimazione, la mediana data dalla classe in cui cade la misura centrale. Altre misure di posizione sono i quartili, i decili e i percentili che dividono i dati rispettivamente in quattro/dieci/cento parti equivalenti. Ad esempio: primo quartile: Q1 = X [ N / 4 + 1/ 2 ] terzo decile: D3 = X [ 3N /10+1/ 2 ]

4 - MISURE DI DISPERSIONE
Danno un'informazione sintetica sul modo con cui il gruppo di dati si dispone attorno ad una misura di posizione (generalmente la media). L'ampiezza del campo di variazione orange la differenza tra i valori estremi delle osservazioni. Lo scarto medio assoluto dato dalla media aritmetica dei valori assoluti degli scarti. La variabile scarto si ottiene sottraendo ad ogni valore della variabile statistica il valore della media; la distribuzione della variabile scarto la stessa della variabile statistica originale. La varianza la media del quadrato degli scarti dei singoli valori (viene anche detta momento di II grado della variabile scarto):
_ varianza = s 2 = (1 / N ) xi x questa formula serve per dati non raggruppati. Se i dati sono raccolti in classi di frequenza, per il calcolo della varianza si proceder adottando la seguente formula: _ 2 2 s = fi xi x La radice quadrata della varianza la deviazione standard (standard deviation) o scarto quadratico medio (SQM): 2

s=

(1 / N ) ( xi x) 2
s=

(dati non raggruppati)

f i ( xi x) 2 (dati raggruppati)

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B2 - Statistica descrittiva

Lo SQM sempre positivo in quanto una misura di distanza. L'importanza della varianza consiste proprio nel fatto che essa pu essere intesa come una funzione (quadratica) della distanza tra una situazione di variabilit effettivamente osservata e il caso di variabilit nulla, in cui tutti gli elementi coincidono con un unico valore, che la media. Se ad esempio s = 2 e x = 10, significa che in media i valori xi distano 2 unit da 10.
_

ESEMPIO 1

Calcolare la deviazione standard del gruppo di misure di diametro di un tondino metallico Misura 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 x = 0.250 _ 2 = 58 10 6 x x i
s = 0.0024
_

xi (Diametro in mm) 0.250 0.252 0.255 0.249 0.248 0.246 0.250 0.248 0.250 0.252

_ xi x

Scarti

Scarti 2 [106 ]

0 0.002 0.005 -0.001 -0.002 -0.004 0 -0.002 0 0.002

0 4 25 1 4 16 0 4 0 4

ESEMPIO 2

Il numero medio di incidenti per migliaia di ore lavorate in una determinata area industriale :
Numero di incidenti / 1000 h 1,5-1,7 1,8-2 2,1-2,3 2,4-2,6 2,7-2,9 3-3,2 Numero imprese 3 12 14 9 7 5

Determinare il campo di variabilit (range), lo scarto medio e lo SQM.

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B2 - Statistica descrittiva

Il campo di variabilit dato dallintervallo di variabilit dei dati del campione, ovvero da 3.21,5=1,7. Per il calcolo delle altre grandezze, compiliamo la seguente tabella:
n. incidenti
Ni fi Fi xi
f i xi xi x
_

xi x

_ 2

f i xi x

_ 2

1,5 1,7 1,8 2 2,1 2,3 2,4 2,6 2,7 2,9 3 3,2

3 12 14 9 7 5 50

0,06 0,24 0,28 0,18 0,14 0,1 1

3 15 29 38 45 50

1,6 1,9 2,2 2,5 2,8 3,1 14,1

0,096 0,456 0,616 0,45 0,392 0,31 2,32

0,72 0,42 0,12 0,18 0,48 0,78

0,52 0,18 0,014 0,032 0,23 0,61

0,031 0,043 0,0039 0,0058 0,032 0,06 0,1753

media = x = SQM =

xi =2.32

01753 . = 0.418

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B3 Matematica finanziaria

B3 - ELEMENTI DI MATEMATICA FINANZIARIA


1 - DENARO E TEMPO
Il denaro ha valore intrinseco variabile nel tempo: ad esempio, un capitale di dato valore nominale ha un valore intrinseco maggiore se disponibile immediatamente anzich in un momento futuro. Ci dovuto essenzialmente a due motivi; anzitutto alla capacit reddituale del denaro, cio al fatto che con il denaro se ne pu produrre altro, per cui la rinuncia alla sua disponibilit per un certo tempo comporta un sacrificio; laltro motivo la perdita del potere di acquisto conseguente al fenomeno dellinflazione. Si spiega allora il motivo per cui fin dallantichit esiste la pratica di imporre un onere (interesse) per luso del denaro.

2 - LINTERESSE
Linteresse il compenso (o il prezzo) da pagare per avere la disponibilit di un capitale C per un tempo t. Linteresse esprimibile come una funzione di tre elementi: - il valore nominale (valore iniziale) del capitale: C0; - il tasso i, interesse unitario, cio riferito allunit di capitale e allunit di tempo; - il tempo t, durata dellimpiego del capitale. 2.1 Interesse semplice In generale linteresse semplice dato da: I = C t i dove t e i devono essere espressi in unit coerenti, cio in anni e tasso annuo, oppure in mesi e tasso mensile, oppure in giorni e tasso giornaliero. Linteresse semplice si applica ad alcune operazioni commerciali di durata inferiore allanno, come nel caso del calcolo del rendimento dei depositi fruttiferi bancari. In queste operazioni commerciali il valore del tasso di interesse per frazioni di anno si ricava quindi a partire dal tasso annuo con legge lineare. Per esempio, se il tasso annuo del 18%, linteresse del capitale C0 depositato in banca per 40 giorni sar

0,18 I 40 = 40 C0 365 In qualche caso, anzich lanno civile di 365 giorni si considera lanno commerciale di 360 giorni.

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B3 Matematica finanziaria

Lammontare dellinteresse cos calcolato di norma dovuto (cio da pagare) al termine del tempo corrispondente alla durata del prestito. A questa data il debitore dovr quindi restituire capitale e interesse, e cio la somma M = C0+ I = C0(1 + it) dove M detto montante al tempo t del capitale C0. Anzich linteresse semplice, molto pi frequentemente si impiega linteresse composto.
2.2 Interesse composto

Quando le operazioni finanziarie avvengono con la convenzione dellinteresse composto si conviene di fare riferimento a periodi di tempo prefissati (per esempio di 1 anno) e si considera che linteresse sia dovuto al termine di ciascun periodo in base al corrispondente tasso di interesse (per esempio: tasso annuo). In questo caso, se i il tasso del periodo e il prestito del capitale C0 ha durata n periodi, al termine del primo periodo si ha il montante: M1 = C0+ I = C0+i C0 A questo punto il debitore pu pagare linteresse iC0 oppure trattenerlo e pagare il debito solo alla fine del prestito. In questo secondo caso linteresse iC0 va ad aggiungersi al capitale C0 per formare il nuovo capitale a disposizione, sul quale dovr essere pagato linteresse nel secondo periodo. Si dice allora che linteresse composto o capitalizzato e al termine del secondo periodo si avr il montante: M2 = C0(1 + i) +iC0 (1 + i) = C0(1 + i)2 e infine
Mn = C0 (1 + i)n

il montante dovuto al termine delloperazione di prestito. Il caso pi frequente quello della capitalizzazione annuale degli interessi, ma i periodi di tempo al termine dei quali linteresse dovuto possono essere diversi (semestrali, trimestrali, mensili) : dipendono dagli accordi contrattuali.

3 - EQUIVALENZA FINANZIARIA
In base a quanto visto al punto precedente e quindi sempre nellipotesi che linteresse effettivo sia calcolato come interesse composto - si possono ricavare utili relazioni fra il tasso annuo di interesse i e il tasso ih relativo alla frazione 1/h di anno in modo che i due tassi abbiano effetti equivalenti. In questo caso lequivalenza sar rappresentata dallottenimento dello stesso montante al termine dellanno, e cio dalleguaglianza: C0 (1 + i) = C0 (1 + ih)h da cui si possono dedurre le relazioni cercate. Il concetto di equivalenza finanziaria si pu estendere a tutti i casi di operazioni che producano lo stesso effetto.

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B3 Matematica finanziaria

In particolare, fissato un dato tasso di interesse i, si considerano finanziariamente equivalenti il capitale C0 disponibile al momento t=0 e il suo montante Mn = C0(1 + i)n allanno n.

4 - DIAGRAMMA DEL FLUSSO DI CASSA


E utile rappresentare le operazioni finanziarie con il diagramma del flusso di cassa, che consiste nel riportare sullasse dei tempi ogni somma di entrata (segno +) o di uscita (segno -) in corrispondenza del tempo a cui si riferisce. Per semplicit si conviene di considerare, per ciascun anno, tutte le somme come se fossero dovute a fine anno. Ad esempio, nel diagramma:

Somme Anni

-C0

A1

A2

A3

An

la somma -C0 rappresenta unuscita allinizio del primo anno, mentre A2 rappresenta unentrata al termine del secondo.

5 - ATTUALIZZAZIONE E SCONTO
Se si considera una somma S disponibile fra n anni, si definisce suo valore attuale Va la somma odierna (cio disponibile al momento attuale) ad essa equivalente. In generale questa equivalenza non stabilita in modo assoluto e univoco da una legge matematica oggettiva, ma dipende dalle condizioni che caratterizzano ciascuna operazione finanziaria. Il valore attuale di una somma futura pu essere ad esempio il prezzo risultante dalla contrattazione fra due persone, oppure una stima fatta a scopo di scelta decisionale. In ogni caso Va < S. Interessa comunque conoscere la tecnica con la quale si esegue lattualizzazione, che in pratica loperazione che consente di trasformare una somma disponibile ad un tempo qualsiasi in una equivalente disponibile ad un tempo prefissato. Per comodit, si pu considerare il valore attuale Va come la somma il cui montante allanno n pari a S S = Va (1 + i ) ; per cui Va = S
n

(1 + i ) n

ponendo

1 = v si ottiene Va = Sv n (1 + i )

Il fattore v detto fattore di sconto, mentre d = 1 v = iv definito tasso annuo di sconto. Il tasso i utilizzato per ottenere Va a partire da S si chiama tasso di attualizzazione, e dovr essere scelto in modo opportuno per ottenere lequivalenza voluta. In ogni caso avremo comunque che Va il valore attuale di S al tasso di attualizzazione i.

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B3 Matematica finanziaria

6 - RENDITA FINANZIARIA
Si definisce rendita finanziaria la successione del tipo:

dove il termine . Rj detto rata della rendita. Il valore attuale della rendita, per quanto detto, vale: Va / R = R1v + R2 v 2 +...+ Rn v n E interessante il caso in cui Rj = cost = R (rata costante); la rendita pu essere a scadenza immediata posticipata oppure immediata anticipata a seconda che ciascuna rata Rj sia disponibile al termine oppure allinizio dellanno j-esimo. Nel primo caso (rendita posticipata) si ha: Va/ R = R v + v 2 +...+ v n = R

1 vn 1 vn , diventa Va/R = R an. che, posto an = i i

Nel secondo caso (rendita anticipata) si ha: Va/R = R(1 + v + v 2 + ... + v n 1 ) = R 1 vn 1 vn , diventa Va/R = R n. che, posto n = 1 v 1 v

7 - FATTORI DI COSTITUZIONE
Si consideri la seguente successione di somme:

1 0 1

1 2

1 3

1 n

sapendo che il suo valore attuale Va = 1 an si pu esprimere il suo montante allanno n con la sn = an(1+i)n da cui si deduce che n = 1/ sn la rata attuale da accantonare ogni anno per avere una Lira come montante dopo n anni. Il fattore n si dice fattore di costituzione perch viene impiegato per calcolare la rata costante che consente di costituire un montante voluto allanno n. Analogamente si procede per calcolare il fattore n nel caso di una successione anticipata.

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B3 Matematica finanziaria

8 - FATTORI DI AMMORTAMENTO
Si consideri la successione di somme :
1/ an 1/ an 1/ an 1/ an

il suo valore attuale evidentemente Va = an 1/ an dunque n = 1/ an la rata annuale costante di una rendita che corrisponde al valore attuale di una Lira. n si dice fattore di ammortamento, perch impiegato per calcolare la rata di ammortamento, ossia la somma da accantonare ogni anno per n anni, con il criterio particolare che la successione risultante equivalga a un dato valore attuale.

Esempio 1.

Calcolare i risultati numerici delle seguenti diverse modalit di restituzione del prestito di 100k alle condizioni: durata 5 anni, tasso annuo di interesse i= 18%: a) pagamento in un unica tranche a 5 anni b) pagamento periodico degli interessi e rimborso del capitale alla scadenza; c) rimborso graduale di: c1) quota capitale costante + interessi sul debito residuo: c2) rate costanti (ammortamento alla francese). a) M =C0 (1+i)n C0 = 100k; n=5; i=18%; 5 M = 100 * (1 + 0,18 ) = 228,78k
2 2 8 ,7 8
0 1 2 3

b) I = C0 i = 18 k
18
0 1

18
2

18
3

18 4

118 5

c1) Si richiede la restituzione di una quota capitale costante 100/5= 20 k pi gli interessi sul debito residuo.

125

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B3 Matematica finanziaria

Costruisco la seguente tabella n 0 1 2 3 4 anno 1 2 3 4 5


38
0 1

quota capitale 20 20 20 20 20
34,4
2

Interessi 18 14,4 10,8 7,2 3,6


27,2 4 23,6 5

Rata 38 34,4 30,8 27,2 23,6

30,8
3

c2) si richiede la restituzione con rate costanti: R = Va/R i/(1-vn) con v = 1/(1+i) =0,847 R= 31,98 k
31,98 31,98 31,98 31,98 31,98

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B4 - Ammortamento contabile

B4- IL DEPERIMENTO DEI BENI STRUMENTALI E LA SUA CONTABILIZZAZIONE (AMMORTAMENTO CONTABILE)


I beni strumentali rappresentano fattori di produzione a medio-lungo ciclo di utilizzazione: sono cio beni impiegati in pi esercizi, che cedono gradualmente la loro utilit ai processi produttivi, con modalit dipendenti dalla loro natura e dalla loro durata. Questo fatto si traduce, in termini monetari, in una progressiva perdita di valore (deprezzamento) dei beni in uso, rispetto al loro valore iniziale di acquisto e giustifica la procedura dellammortamento prevista dalle norme civilistiche e fiscali. Ma il fenomeno in esame, che possiamo chiamare di deperimento dei beni strumentali, interessa ovviamente la gestione aziendale anche al di l dei suoi aspetti giuridici. Infatti, indipendentemente dalle modalit di calcolo e registrazione nella contabilit ufficiale delle quote di ammortamento ammesse dalla legge, importante per lazienda contabilizzare il deperimento nel modo migliore possibile; ci significa porsi il seguente obiettivo: determinare una quota annua da accantonare (in un fondo) che rappresenti il meglio possibile la perdita effettiva di valore del bene conseguente al deperimento e tale che al termine degli n anni di vita del bene porti ad eguagliare fondo di ammortamento e valore deperito. Dunque il problema consiste nel valutare sia la quota annua di deprezzamento che la durata del bene: entrambe le incognite sono di difficile valutazione, se non impossibile, quando ad esempio si pretendesse di calcolare il valore vero di deprezzamento in un singolo anno di vita del bene. Ovviamente ci si deve accontentare di valori medi, che rispondono per alle esigenze della programmazione aziendale intese a garantire la gestione ottimale e in particolare il reintegro sistematico dei fattori strumentali di produzione. Dal punto di vista formale, valutati il periodo di ammortamento (n anni di vita del bene) e le quote annuali, si definisce valore contabile del bene il valore che, per ciascun anno, si ottiene sottraendo al valore iniziale del bene le quote via via ammortizzate.

1 - I VARI CRITERI DI VALUTAZIONE


Per stabilire un criterio di valutazione del deperimento di un bene occorrerebbe tener conto del tipo di deperimento, che, com noto pu essere organico (logorio fisico), oppure funzionale (obsolescenza); nel primo caso occorrerebbe tener presente che, a seconda della natura del bene e a seconda del modo di usarlo (facendo o meno manutenzione, per es.) il deperimento pu verificarsi in modo progressivo (usura) oppure improvviso (rottura). Si capisce quindi che esistono seri problemi per stimare la vita media di un bene soggetto a questo tipo di deperimento. Possono essere daiuto dati statistici sulla durata media dello stesso bene in condizioni analoghe di impiego, ma in certi casi sar importante conoscere anche la distribuzione di tali dati, e in particolare la loro dispersione rispetto alla media. Anche pi difficile in generale la previsione della durata di un bene soggetto a deperimento funzionale, in quanto comporterebbe la stima dellandamento futuro di molte variabili aleatorie che riguardano il mercato e levoluzione tecnologica. Tutto questo spiega intanto perch i diversi criteri di valutazione del deperimento che si utilizzano normalmente non riguardano la durata del bene (che dovr essere stimata caso per caso a seconda delle situazioni) ma solo la quota annua di ammortamento; e giustifica inoltre il fatto che questa quota risulta in genere calcolata con criteri abbastanza semplici e schematici, che si differenziano tra loro soprattutto per i diversi effetti finanziari legati alle rispettive modalit di formazione del fondo di ammortamento.
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B4 - Ammortamento contabile

E questo aspetto che interessa in particolare mettere in evidenza nellesaminare i principali metodi di valutazione delle quote di ammortamento che di seguito si propongono.
A)

AMMORTAMENTO FINANZIARIO (SINKING FUND METHOD)

La quota annua di ammortamento qa in questo caso pari alla rata costante posticipata necessaria per costituire allanno n (termine della durata dellammortamento) lo stesso capitale Co impiegato per lacquisto del bene, cio il valore deperibile. Nel caso si voglia tener conto di un valore di recupero Rn, il capitale da costituire sar (Co - Rn). Se si pone: C0 = costo iniziale del bene Rn = il valore di recupero (eventuale) n = anni di durata prevista La quota di ammortamento sar
qa = C 0 Rn i = (C 0 R n ) n sn (1 v ) (1 + i ) n

Dunque, in questo tipo di ammortamento si sottintende che le quote accantonate ogni anno siano investite al tasso di interesse i per tutta la durata delloperazione.

B)

AMMORTAMENTO A QUOTE COSTANTI SENZA INTERESSI (STRAIGHT LINE METHOD)

E il metodo pi semplice, e in pratica lunico ammesso dalle norme di legge in Italia, ai fini della compilazione del bilancio. Considera le quote di deperimento costanti e pari a 1/n della durata utile del bene:
qn = C0 n

oppure
qn =

C0 Rn n

se si tiene conto di un valore di recupero finale. Naturalmente, il fatto che la quota annua si calcoli in questo modo non significa che il fondo di ammortamento non produca interessi. Al termine degli n anni di durata del bene, se il tasso di rendimento del capitale i si avr il montante: C0 C0 1 vn M= s n = (1 + i ) n n n i

C) AMMORTAMENTO A QUOTE DECRESCENTI LINEARMENTE METHOD)

(SYD SUM

OF THE YEAR DIGITS

Le quote annue sono decrescenti in progressione aritmetica e si ottengono moltiplicando per un fattore K (variabile ad ogni anno) il rapporto fra il valore deperibile C0 e la somma della serie: 1+2+3+...+n (cio la somma del numero di anni)

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B4 - Ammortamento contabile

Il fattore K si ottiene come segue: anni K 1 n 2 n-1 3 n-2 ... ... m n-(m-1) ... ... n 1

La quota di ammortamento dellanno m risulta quindi:


qm = K I m C0 C0 = (n m + 1) 1 + 2 +...+ n 1 + 2 +...+ n

D) AMMORTAMENTO A QUOTE DECRESCENTI IN PROGRESSIONE GEOMETRICA METHOD)

(DECLINING BALANCE

In questo caso le quote di deperimento di ciascun anno si ottengono dividendo per un quoziente K il valore contabile dellanno precedente.(Si ricorda che il valore contabile si ottiene, ogni anno, sottraendo al valore iniziale le quote via via ammortizzate). In questo modo le quote annue decrescono iperbolicamente. Nel caso in cui K= n/2, il metodo prende il nome di Double declining balance e la quota annua generica diventa
qm = Vm1 2Vm1 = n K

dove con Vm-1 si indica il Valore contabile allanno m-1.

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B5 - Il bilancio dimpresa

B5- LA CONTABILIT GENERALE E IL BILANCIO DIMPRESA


1 - PREMESSA
1.1 La contabilit in azienda In azienda ha fondamentale importanza il sistema informativo per una corretta raccolta ed elaborazione dei dati, oltre che per la diffusione informazioni a tutti i livelli interessati, interni ed esterni. Per questo particolarmente importante la predisposizione di un buon sistema delle rilevazioni aziendali, la maggior parte delle quali riguarda la contabilit. La contabilit consiste in scritture effettuate mediante luso dei conti. Parte di queste scritture ha lo scopo di rispondere solo a esigenze interne , ossia serve per fornire informazioni agli organi aziendali ai fini della gestione interna dellazienda: si tratta allora di scritture facoltative, che possono essere impostate a libera scelta dellimprenditore (v.- Contabilit analitica o industriale). Quando invece le scritture devono rispondere a esigenze esterne, ossia devono fornire informazioni (sul rispetto di norme di legge o sullandamento dellazienda) per lo Stato o i suoi organi decentrati, oppure per terzi privati interessati, si tratta allora di scritture obbligatorie: per esse, cio, la legge fissa determinate disposizioni. La contabilit corrispondente si chiama Contabilit generale. 1.2 La contabilit generale Esistono disposizioni generali di legge (Codice Civile) che riguardano: La tenuta della contabilit La conservazione delle scritture contabili.

Tutte le imprese commerciali, con lesclusione dei piccoli imprenditori, artigiani e piccoli commercianti, hanno lobbligo di tenere determinate scritture contabili, e precisamente: Libro giornale e libro degli inventari; Registri IVA; Scritture ausiliarie di magazzino e Registro dei beni ammortizzabili.

Tutti questi documenti devono essere bollati e numerati e vanno vidimati con pagamento della tassa di concessione governativa. Limprenditore anche tenuto a conservare ordinatamente gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, e copie di lettere, telegrammi e fatture spedite. Inoltre le leggi fiscali impongono, a loro volta, altri obblighi per le scritture contabili, che sono pi o meno impegnativi a seconda delle dimensioni dellattivit svolta e dellorganigramma aziendale. In particolare, al di sotto di determinati limiti di fatturato limprenditore pu scegliere tra Contabilit semplificata e Contabilit ordinaria. Nel primo caso le scritture contabili si riducono a Registri IVA, Registro Incassi e Pagamenti, Libro dei cespiti ammortizzabili. Nel caso della Contabilit ordinaria, gli obblighi variano invece in funzione del tipo e della dimensione dellimpresa.

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B5 - Il bilancio dimpresa

1.3 I principi della Contabilit generale Oggetto della contabilit generale sono le transazioni, ossia le operazioni finanziarie e commerciali, in relazione alle quali si effettuano registrazioni e calcolo di risultati finali; il tutto va fatto con determinate modalit su documenti ufficiali. Le caratteristiche della C.G. sono: lesattezza assoluta, la conservabilit, la facile interpretazione, la rapidit ed economicit di attuazione. I principi fondamentali della C.G. sono la misura monetaria e la partita doppia; inoltre i costi vanno registrati in valore uguale al prezzo dacquisto. Misura monetaria significa che tutte le rilevazioni dei dati devono essere effettuate in base ad ununica unit monetaria, detta moneta di conto. Partita doppia il termine che definisce il metodo di rilevazione consistente nel considerare ciascuna operazione sotto un duplice aspetto: aspetto finanziario = movimenti di denaro (e variazioni creditorie/ debitorie ) aspetto economico = costi (variazioni economiche negative) e ricavi (variaz. positive), oltre a variazioni patrimoniali; ogni operazione d quindi luogo a registrazioni su due conti diversi, uno finanziario ed uno economico, ciascuno dei quali, a sua volta, strutturato in due sezioni: DARE e AVERE: Conti finanziari
DARE Variazioni attive: AVERE Variazioni passive: diminuz. di denaro aumenti di debito diminuz. di credito DARE Variaz. negative

Conti economici
AVERE Variaz. positive ricavi rettif. di costi aumenti patrimonio

Aumenti di denaro Aumenti di credito diminuz. di debito

costi rettifiche di ricavi diminuz. patrimonio

Lobiettivo fondamentale della Contabilit generale il BILANCIO.

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B5 - Il bilancio dimpresa

2 - IL BILANCIO DI ESERCIZIO
2.1 Premessa Il Bilancio di esercizio un documento che devono redigere annualmente tutte le Societ. Lo schema pi completo e dettagliato previsto per le Societ di capitali, che hanno lobbligo della pubblicazione del Bilancio. Le Societ di minori dimensioni (cio al di sotto di determinati limiti di patrimonio, di fatturato e di dipendenti) possono predisporre il bilancio in forma abbreviata. Il Bilancio desercizio il documento fondamentale nel quale rappresentata in modo sintetico la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dellimpresa. La funzione del bilancio essenzialmente quella di costituire la base informativa per i creditori e per i soci delle societ. Ci sono almeno due modi sbagliati di vedere il bilancio. Da parte di chi non ha una specifica conoscenza delle questioni contabili e amministrative, questo documento spesso considerato astruso e non comprensibile se non dopo una lunga iniziazione. C poi chi, in azienda, lo vede come un momento, se non proprio inutile, quanto meno marginale della vita dimpresa: questa fatta di produzione e vendite, che devono essere gestite in tempo reale con criteri di programmazione preventiva, per cui il bilancio, che il ragioniere predispone a consuntivo, viene da qualcuno considerato quasi una perdita di tempo. Entrambe le visioni sono errate perch, se vero che dietro il bilancio c la dottrina ragionieristica e la tecnica amministrativa, ci non significa che esso non possa essere compreso, interpretato e utilizzato anche da chi, come lingegnere che opera in azienda, non ha molta familiarit con la contabilit generale. Inoltre, al di l della necessit di conoscerlo in quanto documento fondamentale e obbligatorio per legge per linformazione verso lesterno dellazienda, il bilancio - quando sia fatto bene presenta una indiscussa utilit anche allinterno dellazienda, non solo per la comprensione degli aspetti economico finanziari dei risultati dellattivit svolta in passato, ma anche come il supporto per il controllo di gestione della sua attivit futura. 2.2 Contenuti e principi generali I contenuti, i principi e le modalit di redazione del bilancio sono fissati dal Codice Civile e dalle norme di legge conseguenti al recepimento delle direttive CEE in materia, entrate in vigore nel 1994. Il bilancio costituito dai seguenti documenti: - STATO PATRIMONIALE - CONTO ECONOMICO - NOTA INTEGRATIVA I principi giuridici di redazione hanno lo scopo di rendere il pi possibile omogenee per tutte le imprese, e nei diversi periodi per ciascuna impresa, le informazioni deducibili dal bilancio. Per legge, questo deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, la situazione finanziaria e il risultato economico dellesercizio.

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Il bilancio deve inoltre essere un bilancio di competenza: deve cio registrare tutte le operazioni che hanno avuto origine nellanno, indipendentemente dal momento in cui avvengono i pagamenti. I principi giuridici di redazione del bilancio includono ovviamente quelli relativi alla redazione di tutti i documenti della contabilit generale, ed in particolare quello della misura monetaria, quello della registrazione del costo in valore uguale al prezzo dacquisto, e quello della partita doppia. La rappresentazione delle varie voci che devono essere esposte in bilancio avviene secondo raggruppamenti omogenei, con un grado di dettaglio crescente. Vedremo, di seguito, la struttura e i contenuti dello Stato patrimoniale e del Conto economico. Non tratteremo invece della Nota integrativa, limitandoci a segnalare che si tratta di un documento, da redigere a cura degli Amministratori, contenente informazioni dettagliate sul contenuto di specifiche voci e valori del bilancio, nonch le motivazioni delle azioni, da loro svolte, che abbiano avuto riflessi sul bilancio. 2.3 Lo Stato Patrimoniale Lo Stato Patrimoniale deve rappresentare la composizione del patrimonio aziendale in un dato istante (data di chiusura del periodo amministrativo), in modo che siano evidenziate le fonti, cio la provenienza dei capitali affluiti per finanziare lattivit dellimpresa, e gli impieghi di tali capitali, cio le varie destinazioni del loro investimento. Per questo motivo, le fonti e gli impieghi sono riportati separatamente nelle due sezioni costituenti il prospetto, e precisamente le prime nel PASSIVO, suddiviso in fonti interne (patrimonio netto) e fonti esterne (debiti verso terzi); gli impieghi nellATTIVO, suddiviso in Immobilizzazioni e Attivo circolante. Dunque nellATTIVO dello Stato Patrimoniale (sezione di sinistra) si potr leggere il valore di quanto limpresa possiede sotto forma di beni diversi: impianti, macchine, materie prime ecc., ma anche i crediti, cio i diritti che lazienda vanta nei confronti di terzi, oltre al denaro contante. Nel PASSIVO saranno invece rilevabili il patrimonio netto, nelle sue varie componenti (Capitale sociale, riserve e utile del periodo) e le varie voci di debito, verso banche, fornitori, Stato ecc. La struttura ufficiale dello Stato Patrimoniale riportata in Tav. 1. Qui si riporta uno schema utile per fissare le idee sugli aspetti essenziali da ricordare.
SCHEMA DI STATO PATRIMONIALE ATTIVO PASSIVO (=gli Impieghi o Investimenti) (=le Fonti o Finanziamenti) IMMOBILIZZAZIONI PATRIMONIO NETTO ATTIVO CIRCOLANTE DEBITI (Passivo vero) TOTALE ATTIVIT = TOTALE PASSIVIT

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Tavola 1 - STATO PATRIMONIALE

ATTIVO

PASSIVO

A) CREDITI VERSO SOCI I) CAPITALE II-VII) RISERVE

A) PATRIMONIO NETTO

B) IMMOBILIZZAZIONI

I) IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI

VIII) UTILI (PERDITE) PORTATI A NUOVO IX) UTILI (PERDITE) DELLESERCIZIO TOTALE

II) IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI

III) IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE

TOTALE

C) ATTIVO CIRCOLANTE

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI

I) RIMANENZE C) TFR DI LAVORO SUBORDINATO

II) CREDITI VARI

III) ATTIVITA FINANZIARIE (CHE NON COSTITUISCONO IMMOBILIZZAZIONI) D) DEBITI

IV) DISPONIBILITA LIQUIDE

TOTALE E) RATEI E RISCONTI (PASSIVI)

D) RATEI E RISCONTI (ATTIVI)

N.B.: Le disaggregazioni dei raggruppamenti indicati danno luogo ad ulteriori gruppi di voci (elencati con numerazione araba). Senza queste disaggregazioni il bilancio si definisce in forma abbreviata ed valido per societ di piccole dimensioni.

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2.4 Il Conto Economico Il Conto Economico deve illustrare, attraverso il confronto fra i ricavi conseguiti e i costi sostenuti per la loro realizzazione, come si forma il risultato di esercizio, cio lutile o la perdita. Secondo la nuova normativa, i dati del C.E. devono essere presentati a valore della produzione effettuata (anzich a costi, ricavi e rimanenze come in precedenza). La forma espositiva di tipo scalare, con evidenziazione dei risultati intermedi e consente una pi efficace interpretazione del bilancio rispetto alla precedente impostazione a sezioni contrapposte (RICAVI-COSTI). La struttura attuale del C.E. ufficiale articolata come indicato in Tav. 2: Tavola 2 - CONTO ECONOMICO

A B AB C D E

VALORE DELLA PRODUZIONE COSTI DELLA PRODUZIONE (differenza tra Valore prod. e Costi prod.) PROVENTI E ONERI FINANZIARI RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA FINANZIARIE PROVENTI E ONERI STRAORDINARI Imposte sul reddito di esercizio RISULTATO DI ESERCIZIO Rettifiche / accantonamenti per speciali norme tributarie UTILE / PERDITA dellesercizio

(Voci 1-5) (Voci 6-14) (Voci 15-17) (Voci 18-19) (Voci 20-21)

A B C D E RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE 22 23 24 - 25 26

N.B.: Anche in questo caso i vari raggruppamenti, nel bilancio in forma non abbreviata, devono essere disaggregati in ulteriori gruppi di voci, come p.es. viene illustrato per i Costi della produzione in Tav. 3.

Sono necessarie alcune osservazioni su voci specifiche del C.E. Il Valore della produzione (voce A) comprende i ricavi delle vendite e delle prestazioni, le variazioni delle rimanenze di prodotti e dei lavori in corso, le capitalizzazioni di lavori interni ed altri eventuali ricavi. I proventi finanziari (voce C) sono quelli derivanti da partecipazioni, da crediti e da titoli diversi; da questi si devono sottrarre gli oneri finanziari, che rappresentano le uscite conseguenti alluso di capitali di terzi. Le rettifiche di valore di attivit finanziarie (voce D) sono costituite da rivalutazioni e svalutazioni di partecipazioni e di altre immobilizzazioni finanziarie.
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Tavola 3 - Disaggregazione del raggruppamento COSTI DELLA PRODUZIONE (6) (7) (8) (9) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci per servizi per godimento di beni di terzi per il personale a) salari e stipendi b) oneri sociali c) trattamento di fine rapporto (TFR) d) trattamento di quiescenza e) altri costi (10) ammortamenti e svalutazioni a) ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali b) delle immobilizzazioni materiali c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni d) svalutazioni di crediti (11) Variazioni rimanenze delle voci (6) (12) Accantonamenti per rischi (13) Altri accantonamenti (14) Oneri diversi di gestione

2.5 Le Analisi di bilancio Sono molti i soggetti interessati a trarre informazioni sulla situazione e sulle vicende aziendali attraverso lanalisi di bilancio: gli operatori finanziari (p.es. le banche) che vogliono valutare il grado di affidabilit dellazienda che chiede prestiti; i manager delle altre imprese che hanno o intendono avere rapporti con lazienda; gli investitori che intendono acquistare titoli (azioni, obbligazioni) dellazienda. Per effettuare analisi di bilancio occorre anzitutto operare una speciale rielaborazione dei dati che va sotto il nome di riclassificazione. Questa consiste in una riaggregazione delle voci, e dei relativi valori sia dello Stato Patrimoniale che del Conto Economico, in modo da renderli pi direttamente utilizzabili ai fini delle informazioni che si vogliono ricavare, e in particolare per costruire alcuni indici significativi. RICLASSIFICAZIONE DELLO STATO PATRIMONIALE a) Intervento sulle fonti di finanziamento (Passivo). Questo intervento porta allindividuazione di tre aggregati pi omogenei, riclassificati in base al grado di esigibilit (crescente): a.1) MEZZI PROPRI = Patrimonio netto - Utile da distribuire (questa parte dellutile in effetti un debito a b.t.) a.2) PASSIVIT CONSOLIDATE = Debiti finanziari a m.l. termine (mutui, prestiti obbligazionari e simili); debiti v/s fornitori a m.l.t.; TFR.

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a.3) PASSIVIT CORRENTI = Debiti finanziari a b.t. (fidi in c.c.); debiti v/s fornitori a b.t.; debiti vari a b.t. (v/s erario, EE. previdenza), ratei e risconti passivi; b) Intervento sugli impieghi (Attivo). Questo intervento intende riclassificare le poste in base al grado di liquidabilit (crescente) e porta ai seguenti aggregati: b.1) IMMOBILIZZAZIONI, da suddividere in: b.1.1) I. Tecniche (materiali e immateriali): il valore deve essere riportato al netto della parte gi ammortizzata ( gi cos nella nuova struttura dello S.P.) b.1.2) I. Finanziarie : partecipazioni in Soc. collegate/controllate; titoli a m.l.t. che lazienda non intende smobilizzare prima della scadenza; crediti a m.l.; crediti di improbabile riscossione; depositi cauzionali. b.2) ATTIVO CIRCOLANTE, da suddividere in: b.2.1) disponibilit economiche: rimanenze sia di materie prime che prodotti, scorte e beni vari a magazzino destinati al mercato o alla produzione; ratei risconti attivi. b.2.2) liquidit differite: crediti v/s clienti esigibili entro lesercizio successivo; altri crediti; fatture da emettere. b.2.3) liquidit immediate: c.c. attivi; assegni; denaro e valori in cassa. RICLASSIFICAZIONE DEL CONTO ECONOMICO La nuova struttura del C.E. in effetti gi una struttura riclassificata rispetto alla precedente (che era a costi, ricavi e rimanenze): gi tale, pertanto, da fornire informazioni immediate di interesse per lanalisi di bilancio. Tuttavia utile procedere ad una ulteriore riclassificazione del C.E. in modo da raggruppare gli aggregati per aree di gestione, evidenziando per ciascuna di queste i risultati intermedi. In questo modo risulta possibile valutare separatamente lefficienza economica di ciascuna delle parti componenti la realt aziendale. Interessa prendere in considerazione le seguenti aree: area caratteristica (quella riferita allattivit tipica dellazienda) area di gestione finanziaria area di gestione atipica (o patrimoniale) Area Extracaratteristica area di gestione straordinaria La riclassificazione pu essere fatta con tre diverse modalit di aggregazione delle voci: la prima modalit quella basata sulla struttura attuale del Conto economico e si definisce Configurazione a costi e ricavi della produzione effettuata. Una seconda modalit detta Configurazione a costi e ricavi della produzione venduta. La terza infine la Configurazione a Valore aggiunto.

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Le tre modalit differiscono soltanto per i diversi risultati intermedi che mettono in evidenza nella sezione caratteristica, come illustrato in Tav. 4. Tavola 4 - Le tre modalit di riclassificazione del Conto Economico:
A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE EFFETTUATA Valore della Produzione - Costi della Produzione A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE VENDUTA Ricavo dei prodotti venduti - Costo del Venduto = Risultato Gestione Industriale - Costi funzione commerciale - Costi funzione amministrativa A VALORE AGGIUNTO

Valore della produzione - Costo di beni e servizi utilizzati = Valore aggiunto - Ammortamenti - Costi del Personale

= RIS. OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA

= RIS. OPERATIVO DELLA = RIS. OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA GESTIONE CARATTERISTICA

Ris. Gestione finanziaria Ris. Gestione atipica Ris. Gestione straordinaria


= RIS. ECON. ANTE IMPOSTE

Ris. Gestione finanziaria Ris. Gestione atipica Ris. Gestione straordinaria - Imposte sul reddito
= RIS. ECONOMICO NETTO

Ris. Gestione finanziaria Ris. Gestione atipica Ris. Gestione straordinaria - Imposte sul reddito
= RIS. ECONOMICO NETTO

= RIS. ECON. ANTE IMPOSTE = RIS. ECON. ANTE IMPOSTE

- Imposte sul reddito


= RIS. ECONOMICO NETTO

2.6. Lanalisi di bilancio mediante indici Il metodo pi noto di analisi di bilancio quello che si basa sullelaborazione di particolari indici (detti anche Ratios) ricavabili dai dati del bilancio. Questa analisi tanto pi significativa se effettuata in modo da poter confrontare i valori degli indici in senso settoriale oppure temporale: ci a dire, confrontare gli indici ricavati da un dato bilancio aziendale con quelli medi relativi ad aziende operanti nello stesso settore, oppure con quelli costruibili con i bilanci della stessa impresa relativi ad anni diversi. Di seguito si elencano alcuni dei principali indici in uso, suddivisi in funzione dei diversi obiettivi dellanalisi a) Analisi dellaspetto finanziario (analisi finanziaria) a.1) Indice di disponibilit (Current ratio) =

attivo circolante Passivit a breve

Esprime il grado di solvibilit dellazienda, ossia la sua capacit di far fronte agli impegni a breve mendiante lattivo circolante. a.2) Indice di liquidit (acid test) =

Attivit liquide Passivit a breve

Esprime la capacit dellazienda di far fronte agli impegni a breve mediante le sole attivit liquide (differite ed immediate) a.3) Indice del grado di indebitamento (o leva finanziaria) = Patrimonio netto Totale Impieghi

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B5 - Il bilancio dimpresa

Mette in evidenza la parte di capitale investito che stata finanziata con mezzi propri. A volte si utilizza, per esprimere lo stesso concetto anche lindice mezzi di terzi/Patrimonio netto, oppure il reciproco di (a.3). a.4) Indice del costo dei mezzi di terzi = Oneri finanziari Debiti a m/l termine

Rappresenta il tasso dinteresse che mediamente lazienda sta pagando per avere la disponibilit del capitale rappresentato dai debiti a medio lungo termine. b) Analisi dellaspetto reddituale (analisi economica) b.1) Indice di rendimento del patrimonio proprio ROE (Return on equity) =

Risultato econ om ico netto Patrimonio netto

Lindice esprime la redditivit del patrimonio proprio in base ai dati consuntivi dellesercizio. Un risultato pi significativo si pu ottenere sostituendo al denominatore la media aritmetica fra il patrimonio proprio iniziale e quello finale del periodo di riferimento. b.2) Indice di rendimento del capitale investito ROI (Return on investment) = Risultato operativo di gestione caratteristica Im pieghi netti nella gest.caratteristica

Il ROI misura lattitudine dellattivit caratteristica a generare reddito. Per le aziende industriali si calcola come rapporto tra il risultato operativo e il totale degli investimenti ad essa collegati, che di norma coincide con il totale delle Attivit operative dello Stato Patrimoniale. Anche per il ROI pu essere utile considerare i valori iniziale e finale degli impieghi netti b.3) Indice di rendimento delle vendite

ROS (Return On Sales) =

Risultato operativo gestione caratteristica Ricavi di vendita

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B6 - Analisi di break even

B6 - LANALISI DI BREAK-EVEN PER LO STUDIO DI ALTERNATIVE ECONOMICHE

1 - IL BREAK EVEN POINT


Il Responsabile della gestione della produzione nel breve periodo si trova spesso di fronte ad alternative economiche caratterizzate da diversi andamenti dei costi o diverse modalit di formazione del profitto lordo al variare del volume di produzione. Lo studio di queste alternative pu essere in generale affrontato con lanalisi di Break-even ,che ha appunto lo scopo di individuare lalternativa pi vantaggiosa per lazienda. Escludendo il caso che di due alternative una sia palesemente migliore per qualsiasi situazione produttiva, in generale si verifica che una delle due risulti pi vantaggiosa al di sotto di un certo valore di produzione e laltra al di sopra. La caratteristica peculiare dellanalisi in questione lindividuazione del punto di break-even (Break-Even-Point), ossia di equilibrio o di indifferenza fra le due alternative. 1.1 Alternativa di MAKE or BUY Lalternativa riguarda la scelta tra fare in casa un componente di un prodotto oppure acquistarlo da fornitori esterni. Questa alternativa si presenta frequentemente quando si devono preparare preventivi per lavori su commessa, e riguarda pezzi di lavorazione che risulta tecnicamente possibile eseguire in proprio, ma che non si sa se non sia pi conveniente acquistare da un fornitore. Si tratta di una effettiva alternativa se il costo variabile di produzione inferiore al prezzo dacquisto (CB), perch allora esiste unintersezione fra le rette dei costi totali corrispondenti alle due diverse ipotesi (Fig.1). La valutazione del costo di produrre in casa va fatta considerando separatamente il caso in cui questa produzione sia compatibile con la capacit produttiva degli impianti oppure no. Il costo variabile di produzione sar costituito in entrambi i casi dalla somma del costo dei materiali diretti pi la componente variabile dei costi indiretti e delleventuale lavoro straordinario. Per calcolare il costo totale di produzione, al costo variabile va aggiunto un costo iniziale, da valutare volta per volta, necessario per avviare la produzione in casa. Quando la capacit produttiva non fosse sufficiente, il fare in casa richiederebbe di acquisire macchinari specifici. In tal caso ai costi variabili andrebbero sommati i costi fissi relativi ai nuovi impianti. In tutti i casi, dal confronto basato sullandamento dei rispettivi costi, si ricava il B.E.P, che rappresenta il punto di inversione nella convenienza delle due alternative: al di sotto di quel punto sar pi conveniente acquistare, al di sopra fare in casa (v. Fig. 1).

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B6 - Analisi di break even

CB

CM

B.E.P.
Figura 1

1.2 Alternativa tra Leasing e Acquisto di macchinario Lalternativa riguarda la decisione tra prendere in Leasing oppure acquistare un macchinario. Anche in questo caso il confronto va fatto tenendo conto di tutti i costi iniziali (prezzo dacquisto, costi di trasporto, installazione, ecc.), da aggiungere ai costi variabili operativi per ottenere il costo corretto corrispondente allacquisto (CA). Quanto al Leasing, o locazione finanziaria, questa unoperazione che possiede sia le caratteristiche dellaffitto sia del mutuo e comporta solo costi variabili. Il Leasing presenta infatti il grande vantaggio della deducibilit integrale dei canoni relativi ai beni strumentali. Considerando il loro andamento nel tempo, i costi di Leasing si presentano quindi come costi variabili in funzione del livello di produzione progressivamente raggiunto, e possono essere confrontati con i costi totali dellalternativa di acquisto. Se i costi variabili dellacquisto risultano minori di quelli del Leasing, la convenienza delluna o dellaltra alternativa sar definita in base ad un determinato livello di produzione. In tal caso infatti lacquisto si dimostrer pi conveniente una volta trascorso il tempo necessario per recuperare, con i risparmi realizzati sui costi variabili, il capitale investito per lacquisto. In Fig. 2 rappresentata la situazione relativa a tale confronto. Il B.E.P. individua qui il livello di attivit e il corrispondente periodo di tempo al di sotto del quale preferibile il Leasing , al di sopra lacquisto.

CL

CA

B.E.P.
Figura 2

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B6 - Analisi di break even

1.3 Lanalisi COSTO-VOLUME-PROFITTI (CVP) Lesempio pi tipico e pi diffuso di impiego dellanalisi di break-even in azienda costituito dal DIAGRAMMA CVP (Costo - Volume - Profitti; oppure CVR: Costo Volume - Ricavi). In questo caso i costi fissi, variabili e totali - si confrontano con i ricavi R rappresentati dalla: R = px (p = prezzo unitario; x = quantit prodotta)

R,C
profitto perdita

Cv Cf Ct

B.E.P.

dove: R = ricavi Cf = Costi fissi Cv = Costi variabili Ct = Costi totali x = volume di produzione BEP = Break Even Point (punto di equilibrio, o di indifferenza). In prima approssimazione le relazioni tra le variabili sono di tipo lineare ed in corrispondenza dellintersezione della retta dei ricavi con quella dei costi totali si trova il Break Even Point, cio, in questo caso, il valore di produzione che si realizza quando il ricavo totale eguaglia il costo totale. Analiticamente, il BEP si ricava come punto di intersezione delle rette poste a sistema:
Cf y = p x xBEP = pk y = Cf + k x

La quantit (p-k) si definisce margine di contribuzione unitario [ MDC( unit ) ] e rappresenta il contributo che la vendita di ogni singola unit prodotta porta alla copertura dei costi fissi e (oltre il BEP) al profitto: infatti, in un punto qualsiasi oltre il BEP il margine di contribuzione vale MDC = (p - k) x , cio la differenza tra i ricavi ed i costi variabili.

Il diagramma CVP si pu anche costruire in forma semplificata, rappresentando i valori del MDC in funzione della quantit di produzione:

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B6 - Analisi di break even

MDCtot

MDC(unit)*x

Cf

B.E.P.

1.4 Valutazione della flessibilit operativa delle imprese.

Il rapporto tra i valori dei costi variabili e dei costi fissi nellambito di unimpresa d la misura della sua flessibilit operativa. Si considerino due imprese (A e B) caratterizzate dai seguenti valori di costi e ricavi:

Cf
k p

A 200 1 3

B 100 2 3

In entrambi i casi BEP = 100.

I relativi diagrammi CVP sono i seguenti:


Costo

AZIENDA A
R Ct

Costo

AZIENDA B
R Ct

200 100 Cf B.E.P. = 100 x B.E.P. = 100 x

Cf

operando a x = 90:

per A: perdita = 20; per B: perdita = 10.

Imprese con ( C f Cv ) pi elevato, cio con struttura pi rigida dei costi, reagiscono peggio a riduzioni del volume di vendita; sono per avvantaggiate se il volume di vendita aumenta.

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

B7 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA PARTE I

1 - IMPOSTAZIONE GENERALE
Si vogliono illustrare, in questo capitolo, alcune delle principali tecniche operative impiegate per la risoluzione di problemi economico - organizzativi tipici della gestione aziendale, ma, dal punto di vista metodologico, di significato e applicabilit anche pi ampi. Per unimpostazione generale di questo argomento conviene far riferimento al metodo della ricerca operativa, la disciplina nata proprio per risolvere problemi organizzativi caratteristici di sistemi complessi. In un sistema complesso (quale lazienda), i problemi gestionali richiedono in generale la ricerca della soluzione ottimale, ossia la migliore soluzione possibile tra diverse soluzioni alternative. Ed a questo risultato che intende condurre il metodo della ricerca operativa, la cui funzione essenziale quella di trasformare il problema reale in un problema analitico attraverso una successione di fasi, come di seguito schematizzato.

2 - IL METODO DELLA RICERCA OPERATIVA


I Fase - Identificazione delle variabili. Tra queste, alcune saranno controllabili ( xi ) , altre non controllabili ( yi ) , a seconda che possano o meno essere modificate a piacimento. II Fase - Costruzione del modello, cio della rappresentazione artificiale del sistema reale in studio. In genere si tratta di un modello analitico, cio di una funzione matematica che rappresenta le interazioni fra le variabili pi significative ( un modello per definizione una rappresentazione approssimata della realt ): questa funzione si chiama funzione di efficienza, e si indica con E = f(xi, yi) III Fase - Ricerca della soluzione ottimale, cio dei valori delle xi (variabili controllabili) che danno i migliori valori di E compatibili con le condizioni limitative e cio con i vincoli fisici che le variabili devono rispettare nel caso specifico; queste condizioni di vincolo sono espresse da relazioni del tipo:

(xi, yi) 0
per cui la soluzione del problema consiste, in generale, nella ricerca di: MAX(E) in presenza di ( xi , yi ) Si tratta cio di un problema di massimo condizionato.

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Ma il metodo non esaurisce qui la sua importante funzione, poich prevede due fasi ulteriori in cui il modello costruito e le soluzioni trovate vengono messi alla prova, attraverso il confronto con il funzionamento della struttura reale: con il modello si fa, in particolare, della simulazione, ossia si imita il comportamento della realt. E un impiego molto importante, poich uno degli scopi fondamentali della ricerca operativa quello di controllare il sistema reale, e questo obiettivo si pu ottenere soltanto con una gestione dinamica del modello in tempo reale, attraverso successive modifiche e adattamenti intesi a ridurre al minimo lo scostamento tra i risultati teorici e quelli pratici.

3 - MODELLI DETERMINISTICI E MODELLI STOCASTICI


I problemi in questione possono essere affrontati in due modi diversi, a seconda che i dati di partenza siano certi (o si considerino tali), oppure siano incerti e trattati in termini probabilistici, quantificandone cio lincertezza con i procedimenti noti del calcolo delle probabilit. Nel primo caso (condizioni di certezza) si impiegano modelli deterministici, nel secondo caso (condizioni di incertezza) modelli stocastici. Anche i risultati saranno, ovviamente, diversi nei due casi: conoscendo, ad esempio, di ciascun dato del problema, anzich un singolo valore, la corrispondente distribuzione di probabilit, anche il risultato potr essere presentato in termini di distribuzione di probabilit di valori. Di seguito si presentano alcuni problemi tipici della programmazione della produzione, che si affrontano in genere con modelli deterministici (Parte I). In un secondo tempo (Parte II) si illustreranno le caratteristiche fondamentali dei modelli stocastici, particolarmente utili come supporto alle decisioni nelle scelte di investimento.

4 - ESEMPI DI DETERMINISTICI

PROBLEMI

RISOLUBILI

CON

MODELLI

I pi caratteristici problemi di questo tipo vanno sotto il nome di problemi di programmazione. In generale: si hanno problemi di programmazione quando le risorse utilizzabili per svolgere pi attivit sono limitate e devono essere distribuite in modo da ottimizzare lefficienza complessiva. I possibili modi di distribuire le risorse possono essere finiti o infiniti: corrispondentemente anche il numero di soluzioni possibili sar finito o infinito. Il compito delle tecniche di gestione, in questo caso, sar quello di indicare la via per arrivare velocemente alla soluzione ottimale. Esempi significativi si hanno nel caso dei problemi di programmazione lineare, e cio quei problemi in cui sia la funzione di efficienza che le funzioni di vincolo sono funzioni lineari delle variabili, e precisamente: Z = cj xj (funzione di efficienza)

aij xj bi (funzioni di vincolo)


E di questo tipo un gruppo di problemi, definiti: a) di Assegnazione, b) di Trasporto, c) problemi risolubili solo con il metodo del simplex.

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

4.1 Assegnazione, trasporto, simplesso a) Assegnazione Il problema consiste nella associare n origini a n destinazioni. Nota lutilit Tij dellassociazione dellorigine generica Si alla destinazione generica Dj, lassegnazione globale andr effettuata in modo da rendere massima lutilit complessiva. I dati sono presentati con la matrice di efficienza; la soluzione con la matrice di assegnazione. b) Trasporto Il nome deriva dalla formulazione originale del problema, che la seguente: Dati diversi centri di produzione (n origini), ciascuno con capacit produttiva fissa, ed essendo la capacit produttiva totale in equilibrio con la domanda totale, si richiede di programmare la ripartizione dei beni prodotti fra i centri di consumo (m destinazioni), in modo da rendere minimo il costo totale del trasporto, soddisfacendo il fabbisogno di ogni centro. A questo schema si possono ricondurre vari tipi di problemi (oltre a quelli di trasporto vero e proprio riguardanti la distribuzione di risorse tra origini e destinazioni in numero qualsiasi. Dati e risultati sono espressi, come prima, sotto forma di matrice, che in questo caso generalmente rettangolare. c) Problemi risolubili con il metodo del Simplesso Sono di questo tipo i problemi di determinazione delle quantit ottimali da produrre, quando ci sia interazione tra le variabili e in presenza di vincoli tecnologici, con lobiettivo della massimizzazione del profitto. Il metodo del simplesso consente di individuare la soluzione ottimale fra le diverse soluzioni possibili del modello analitico, che in questo caso consiste in un sistema di equazioni ricavabile dalla funzione di efficienza e dalle condizioni limitative. Analiticamente il problema si presenta nel modo seguente. Occorre trovare i valori delle variabili x1, x2, ..., xj,...xn, che rendono massima la funzione obiettivo Z = c1x1 + c2x2 + ... + cjxj + ....+ cnxn soddisfacendo le m diseguaglianze aij xj bi e tali che x1, x2, ..., xj,...xn 0 Limpostazione matematica del problema porta ad un sistema di m equazioni lineari indipendenti in (n+m) incognite, che com noto ha n soluzioni possibili. Quando il numero di incognite 3 (cio due variabili xj e la Z), possibile trovare graficamente la soluzione ottimale. (i = 1m; j = 1n)

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Esempio 1. Funzione di efficienza Z = 3000 x1 + 7000 x2 vincoli tecnologici x1 50 x2 80 x1 + x2 100 condizioni di non negativit: x1, x2 0.

La soluzione ottimale si deve cercare fra i punti del poligono OABCD (figura 1), intersezione del piano Z=z(x1, x2) con il prisma retto di base OABCD : sar data dal punto del poligono suddetto a cui corrisponde il pi alto valore di Z ( in questo caso C). La ricerca della soluzione facilitata operando con le proiezioni quotate sul piano (x1, x2) delle rette orizzontali del piano Z = z(x1, x2) (figura 2).

4.2 Lotto economico di produzione Un modello deterministico frequentemente usato nella gestione della produzione quello relativo al lotto economico di produzione. Dicesi L.E.P. (in Inglese E.O.Q. = Economic Order Quantity) il quantitativo ottimale (n pezzi) da produrre con un dato ordine di lavorazione e da avviare al magazzino. E un problema di minimizzazione di costi che nasce dal fatto che al crescere del volume del lotto, per un dato tempo: - diminuisce il costo dordine (ordinazione, preparazione macchina) - cresce il costo di magazzino (gestione locali, costi finanziari,..) Analogo problema si ha quando occorre determinare il lotto ottimale di approvvigionamento allesterno (in tal caso si ha un problema di gestione ottimale delle scorte).

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Esempio 2. Impostazione del calcolo del LEP Sia CT il costo totale annuo. Questo composto da due costi componenti: 1) costo dordine C1 = cE (D/q) cE = costo unitario dordine D = domanda annua q = quantit (volume) corrispondente a 1 ordine (lotto) (per cui : D/q = n ordini in 1 anno). 2) costo di magazzino 1 1 d q C2 = CM q d = C q 1 M 2 2 p p cM = costo annuo di magazzinaggio dellunit di prodotto p = produzione giornaliera (che va in magazzino) d = domanda giornaliera (che esce dal magazzino) q/p = n di giorni corrispondenti a limmagazzinamento di 1 lotto In tal modo il costo C2 risulta dato dal prodotto di cM per la quantit media presente nel magazzino. Il valore ottimale cio il L.E.P. si ottiene dalla:

CT C2

C1

q*
Min(CT) = Min(C1 + C2) cio da

C =0 q
T

q* =

2C e D d C M 1 p

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

4.3 Problemi di coordinamento e di programmazione lavori Un ultimo caratteristico tipo di problemi di programmazione quello che riguarda in particolare il fattore tempo. Generalit Un tipico problema da affrontare durante la programmazione dei lavori quello di coordinare tra loro le diverse operazioni che portano al compimento del progetto, con particolare riguardo ai tempi di inizio, durata e fine delle varie fasi che lo compongono. Molti progetti di ingegneria civile, meccanica nonch i lavori di manutenzione, sono oggetto di questo tipo di organizzazione. La prima operazione da effettuare quindi una scomposizione del progetto in attivit elementari ed una loro organizzazione che tenga conto delle seguenti condizioni: a - si suppone l'esistenza di una serie definita di lavori (attivit) che devono essere condotti a termine prima che il progetto di cui fanno parte sia terminato; b - si suppone l'esistenza di risorse sufficienti a garantire che i lavori possano essere iniziati e terminati indipendentemente entro una data sequenza (in caso contrario il problema pi complesso ma ugualmente risolvibile); c - i lavori possono essere ordinati secondo una sequenza logica consequenziale. Lo scopo di questo tipo di programmazione quello di organizzare al meglio le varie operazioni e di calcolare il minore tempo necessario allo svolgimento dell'intero progetto. Diagramma di Gantt una tecnica utilizzata per razionalizzare la programmazione dei lavori in modo grafico. Le attivit elementari riconosciute all'interno del progetto vengono rappresentate con segmenti di lunghezza proporzionale alla loro durata, disegnati con una sequenza che rispecchi quella del reale sviluppo logico dei lavori nel tempo (figura 3).

tracciatura sostegni scavi scarichi massicciate

tempo

Figura 3 - Un tipico diagramma di Gantt

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

I limiti pratici dettati da questo tipo di rappresentazione grafica diventano pi gravi man mano che la complessit del progetto aumenta. Innanzi tutto una variazione dei lavori in corso d'opera richiede una riprogrammazione e quindi una nuova rappresentazione; l'impossibilit di esprimere chiaramente i legami tra le diverse operazioni costituisce poi un limite all'acquisizione di informazioni ritenute invece importanti. II PERT Il PERT (Program Evaluation and Review Technique) consente di rappresentare fedelmente e razionalizzare i programmi di attivit in maniera adeguata alla loro natura complessa e dinamica. La diffusione di questa tecnica si deve alla sua prima applicazione nel 1958 da parte della Marina degli USA durante lo sviluppo del progetto del sottomarino Polaris: i tempi di esecuzione vennero ridotti del 30% rispetto a quelli inizialmente previsti. Il PERT anche uno strumento di organizzazione e gestione che permette di valorizzare le capacit di chi dirige i programmi di attivit. Gli elementi fondamentali per la costruzione di un PERT sono le attivit e gli eventi. Il progetto pu essere rappresentato con una rete grafica che consiste in nodi e segmenti orientati con le seguenti convenzioni: le attivit sono rappresentate da segmenti; i segmenti diretti ad un nodo rappresentano le attivit che devono essere completate prima che le attivit rappresentate dai segmenti che partono da quel nodo possano iniziare; lattivit rappresenta quindi una fase necessaria per passare da una situazione ad unaltra ed caratterizzata da una durata; gli eventi rappresentano gli istanti di inizio e di fine delle attivit; ad un evento non potranno mai venir associate delle durate, ma solo degli istanti nel tempo, cio delle date.

La rappresentazione risultante quindi la seguente:

dove 1 l'evento iniziale e 2 l'evento finale (es.: 1= spedizione ordini, 2= arrivo materiale, attivit = attesa materiale); Un esempio di reticolo pu essere il seguente:

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

L'evento 4 pu verificarsi solo quando siano state completate tutte le attivit che terminano in 4. La figura pu riferirsi ad un progetto di opere civili dove il significato delle diverse attivit il seguente: Al = ordine dei materiali; A2 = costruzione fondazioni; A3 = reperimento della manodopera; A4 = costruzione delle murature; A5 = attesa dei materiali; A6 = messa in opera dei serramenti. In una catena di attivit il numero tot. degli eventi sempre uguale al numero tot. delle attivit pi 1; in un reticolo, poich in un nodo possono concorrere e dipartirsi pi di una attivit, il loro numero (A) in genere maggiore di quello degli eventi e il massimo pu essere dato da: Amax = n!/2(n-2)! con n = numero di eventi; La tecnica PERT 1) Raccolta dati Si discernono tutte le attivit significative che compongono il fenomeno dato, compilandone un elenco con le rispettive caratteristiche. 2) Stesura del reticolo e revisione delle durate Noti i rapporti e i vincoli di sequenza logico-temporale tra le attivit che compongono il fenomeno in esame, si passa alla previsione delle durate, sfruttando l'esperienza o ipotesi sulle circostanze reali che influenzano e governano lo svolgimento di ogni attivit. Si consideri ora un reticolo semplice:

Figura 4 Esempio di PERT

Per comodit la data di inizio che compete allevento iniziale si pone uguale a zero. All'evento 2 sar attribuito un tempo corrispondente alla data dell'evento 1, aumentata della durata dellattivit che va dall'evento 1 allevento 2 (D1,2). Questo valore di tempo chiamato (Tmin)2 e sar dato da: (Tmin)2 = (Tmin)1 + D1,2 = 0 + 13 = 13. Poich al nodo 5 competono diversi Tmin si sceglier il massimo dei tre.

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B7 - Tecniche di gestione economica (I)

Il Tmin di un generico evento rappresenta la data minima prima della quale non possibile iniziare le attivit che si dipartono dallo stesso. Il Tmin rappresenta quindi la data in cui un attivit pu essere al pi presto iniziata. L'ultimo degli eventi di termine sar l'evento finale; nell'esempio in figura 3 il (Tmin)6 = 144 rappresenta la data minima prima della quale non possibile iniziare a disporre dell'opera compiuta. Per ogni attivit anche interessante conoscere la data in cui essa potrebbe al pi tardi essere iniziata, o completata, rispettando la condizione di non causare, cos facendo, ritardi sulla data finale dell'opera: questa data si indica con Tmax. Dopo aver assunto come Tmax dellevento finale della rete il valore di Tmin ottenuto per lo stesso evento, per ogni evento a monte il calcolo della rispettiva data "al pi tardi" si effettua sottraendo le durate delle varie attivit alle date degli eventi di termine relativi. Nell'esempio di figura 4, (Tmax)6 = (Tmin)6 = 144 e per l'evento 5 (Tmax)5 = (Tmax)6 - D5,6 = 144 - 21 = 123

Nel caso in cui da un nodo partano pi attivit si dovr scegliere come Tmax dellevento corrispondente il minore dei Tmax calcolati; esso rappresenta infatti la data massima oltre la quale non si deve ritardare l'inizio delle attivit che partono da quel nodo. La differenza tra Tmax e Tmin calcolata per un dato evento si definisce slittamento. Questa differenza rappresenta per un evento lo slittamento temporale di cui pu usufruire la sua data; in altre parole si tratta di un intervallo di tempo entro i cui limiti si liberi di far iniziare le attivit che partono da un nodo o di far terminare quelle che vi convergono, certi che ci compatibile con quanto precede e che non saranno indotti ritardi nella data finale del progetto. La sua conoscenza completa il quadro delle informazioni utili ad organizzare al meglio i lavori Dall'esempio in figura 4 si nota che per gli eventi 1, 2, 3, 5 e 6 il valore dello slittamento uguale a 0. Questo significa che tali eventi non possono usufruire di alcun intervallo perch lo slittamento conseguente si ripercuoterebbe sulla data finale del progetto. Tali eventi vengono detti critici e le attivit che li connettono sono in genere attivit critiche. Tra le vie che collegano l'evento di inizio a quello di termine ne esister almeno una formata da attivit critiche; essa denominata cammino critico. Questa via la pi lunga ed quella che determina direttamente la durata complessiva della rete e quindi non sar possibile diminuire la durata totale del progetto se non riducendo la durata di qualche attivit critica. Analogamente allo slittamento degli eventi, si pu calcolare lo slittamento delle attivit, con lo stesso significato del termine. Mentre le attivit critiche hanno slittamento uguale a zero, si possono individuare attivit con slittamento maggiore di zero, attivit cio il cui inizio o completamento pu essere rinviato conservandone la durata, oppure che si possono far durare di pi di quanto si era previsto. Si tenga presente che un aumento di durata di unattivit pu corrispondere a una riduzione di risorse ad essa dedicate, allo scopo di destinarne di pi ad attivit critiche e ridurre cos il tempo totale di esecuzione del progetto. Si capisce allora quali e quanti possono essere i vantaggi, dal punto di vista economico, della programmazione con il metodo PERT.

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B8 -Finanziamenti e investimenti

B8 - FINANZIAMENTI E INVESTIMENTI (LA FUNZIONE FINANZIARIA)


1 - PREMESSA
Scopo fondamentale della Funzione Finanziaria quello di approvvigionare e gestire il CAPITALE necessario per la vita dellimpresa. I problemi sono di due tipi, a seconda dello scenario temporale a cui si fa riferimento. Pu trattarsi della gestione finanziaria corrente, cio relativa allanno di esercizio, dove il fabbisogno finanziario riguarda lesigenza di far fronte a debiti a breve termine. Pu trattarsi invece del problema finanziario relativo alle operazioni di investimento, quelle cio destinate allacquisizione di beni strumentali, e allora si tratta di operazioni che comportano decisioni e scelte di lungo periodo. In questo capitolo vedremo come si impostano entrambi i tipi di problemi, sia dal punto di vista della gestione del capitale (quanto capitale serve?) sia da quello dellapprovvigionamento (come lo si pu reperire), partendo da alcune considerazioni valide in entrambi i casi.

2 - QUANTIFICAZIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO


Il primo problema da affrontare rappresentato dal calcolo (o dalla stima) del quantitativo di capitale che si deve approvvigionare. A tale scopo conviene far riferimento al bilancio dellAzienda in questione, tenendo presente che: il capitale necessario complessivamente si pu dedurre dallo Stato Patrimoniale nelle voci dellATTIVO. Se il problema riguarda un investimento per la creazione di una nuova impresa, lo Stato Patrimoniale in questione sar quello da costruire a preventivo in fase di progetto della nuova unit produttiva. Com noto, le voci dellAttivo dello Stato Patrimoniale consistono in: A) IMMOBILIZZAZIONI, cio beni strumentali destinati ad essere impiegati in pi esercizi; B) CAPITALE CIRCOLANTE (o Attivo Circolante), cio impieghi di breve periodo che nascono dal funzionamento dellimpresa. Il totale delle Attivit rappresenta - come si sa - tutto il capitale investito, ma, come vedremo, pu non essere necessario finanziarlo tutto. I beni da immobilizzare vanno computati al lordo dei costi di acquisto, trasporto, installazione. In fase di programmazione importante valutare attentamente i costi e la convenienza di soluzioni alternative (acquisto, affitto, prestito .... ). LAttivo circolante costituito essenzialmente da scorte e crediti vari: sono voci destinate a trasformarsi in liquido nel breve periodo, ma non per questo non costituiscono un investimento duraturo (il ciclo corrispondente si chiude quando lAzienda cessa la propria attivit). Occorre valutare con cura lAttivo circolante (ricordando che da finanziare!) perch in qualche caso pu essere molto rilevante, superiore anche alle Immobilizzazioni (v. es. di attivit commerciale di grandi forniture ad Enti Pubblici).
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B8 -Finanziamenti e investimenti

3 - COPERTURA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO NELLA GESTIONE CORRENTE


Anche le modalit (fonti) di finanziamento dellimpresa sono rilevabili in linea di massima dallo Stato Patrimoniale: nelle voci del PASSIVO. Come noto, il finanziamento pu derivare da: a) MEZZI PROPRI; b) MEZZI DI TERZI. Vogliamo qui esaminare in particolare il problema delle esigenze di finanziamento eccedente i mezzi propri, che si presenta nella gestione corrente.

La copertura del fabbisogno avviene in generale con: DEBITI: di finanziamento (onerosi) di funzionamento (non onerosi)

- debiti v/s fornitori; - debiti v/s erario (IVA, Imposte Dirette, .... ); - debiti v/s INPS; - TFR. I debiti di funzionamento contribuiscono alla copertura del fabbisogno di capitale circolante, per cui la quota effettivamente da finanziare il: CAPITALE CIRCOLANTE NETTO = ATTIVO CIRCOLANTE _ DEBITI DI FUNZIONAMENTO

Il suo ammontare dipende da: - CICLO FINANZIARIO - VOLUME delle VENDITE Ciclo finanziario = Tempo pagamento scorte - Tempo incasso vendite.

Pu essere: negativo ( il caso pi frequente) ma anche positivo (v. esempi nel seguito). Volume delle vendite In generale si ha che: Con crescita rapida delle vendite crescono i crediti v/s clienti (pi dei debiti v/s fornitori) pu verificarsi grave crisi di liquidit, se non si valutato correttamente il C.C.N.

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B8 -Finanziamenti e investimenti

ESEMPIO DI CICLO FINANZIARIO (NEGATIVO): Acquisto scorte Vendita prodotti Pagamenti scorte Incasso per vendita 90 120 150 180 gg

30

60

C.F. = 120 gg Se: Ricavo annuo = 1200 k, il solo CREDITO v/s Clienti risulta di
1200 150 360 = 500 k,

parzialmente compensato dal DEBITO v/s fornitori: questo, se per es. si dovessero approvvigionare scorte per 600 k / anno, sarebbe di 600 60 360 = 100 k. In qualche caso il ciclo finanziario potrebbe essere positivo, come nellesempio: Acquisto Vendita Incasso 0 20 40 60 Pagamento

90

In questo caso la gestione corrente genera risorse.

4 - LE MODALIT DI FINANZIAMENTO CON MEZZI DI TERZI


Finanziamenti a breve termine: scoperti di c.c. sconto di: cambiali tratte Factoring F. pro solvendo F. pro soluto Finanziamenti a lungo termine mutuo leasing sconto a medio-lungo termine

In particolare si definisce: Factoring = attivit professionale di raccolta di crediti altrui. Il factor (in italiano cessionario) acquista crediti da imprenditori, pagandoli una cifra inferiore al loro valore nominale. La differenza fra il valore dei crediti (una volta incassati) e la cifra pagata costituisce il guadagno del factor. Il rischio di insolvenza del debitore ricade di norma sulle spalle del cedente (limprenditore) : in questo caso si dice che il credito stato ceduto pro solvendo; in caso invece che il rischio venga assunto completamente dalla societ di factoring, la cessione si dice pro soluto.

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B8 -Finanziamenti e investimenti

Nota: per quanto riguarda le modalit di finanziamento con approfondimenti sui mezzi di terzi, v. Cap M, N, O - ZANOBETTI.

capitale proprio,

e per

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B8 -Finanziamenti e investimenti

5 - SCELTA E VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI


5.1 Introduzione: le caratteristiche dellinvestimento industriale Si definisce investimento industriale limpegno di capitale per acquisire beni durevoli destinati a fornire utilit economica, in tempi successivi, attraverso il processo produttivo. Si pu fare la distinzione fra grandi e piccoli investimenti, a seconda che la loro realizzazione richieda risorse pi o meno grandi rispetto al patrimonio dellazienda e abbia o meno conseguenze rilevanti allesterno dellazienda stessa. In ciascuno dei due casi saranno diverse le esigenze di conoscenza ed elaborazione dei dati: i dati di natura commerciale, fiscale e finanziaria richiesti per un grande investimento non saranno necessari per uno piccolo, che peraltro potr richiedere dati tecnici approfonditi e dettagliate analisi di costo del processo produttivo. In entrambi i casi le metodologie di analisi si possono ritenere le stesse, come pure le motivazioni e i corrispondenti tipi di investimento, classificabili come segue: investimenti di produzione, destinati a creare o aumentare la capacit produttiva; investimenti di sostituzione, il cui scopo quello di acquisire mezzi produttivi per sostituirne di usurati ed obsoleti; investimenti di produttivit, intesi a ridurre i costi della produzione; investimenti per il miglioramento dellambiente di lavoro, destinati a migliorare le condizioni di sicurezza e dei servizi del personale

5.2 Le decisioni di investimento Le decisioni riguardanti gli investimenti sono una delle pi importanti attivit della direzione aziendale, poich condizionano in modo determinante la redditivit futura dellazienda. Esse richiedono valutazioni e stime complesse e problematiche, sia perch gli investimenti sono in genere strettamente legati alla vita dellimpresa (e quindi non facilmente scorporabili, come richiesto per la loro valutazione specifica) sia perch si sviluppano nel futuro (e pertanto se pu essere certo il loro costo, sempre incerto, per principio, il loro risultato). Per questi motivi la valutazione di un investimento, ossia la stima del suo risultato economico, conterr in generale degli elementi soggettivi, poich dipender dalle specifiche condizioni dellazienda, e potr essere affrontata in modo deterministico (considerando cio i dati come se fossero certi) oppure probabilistico (introducendo quindi gli strumenti necessari per quantificare lincertezza di dati e risultati). Di un investimento normalmente richiesta unanalisi di redditivit che consenta di effettuare una scelta fra alternative diverse: per esempio decidere se fare o non fare linvestimento, oppure scegliere linvestimento pi conveniente fra pi investimenti possibili. Dal punto di vista tecnico la valutazione di un investimento consiste nellanalisi del suo comportamento finanziario. I dati del problema sono: il tempo, ossia la durata dellinvestimento; il costo, ossia il capitale richiesto; i ricavi, ossia il ritorno in forma liquida che linvestimento procura grazie alla gestione produttiva.

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B8 -Finanziamenti e investimenti

Per quanto riguarda il tempo, questo va ovviamente stimato in base alla vita - fisica, tecnica e commerciale - dei beni interessati dalloperazione. Costi e ricavi vanno invece considerati come flussi di cassa, ossia come uscite e entrate di unipotetica cassa associata alloperazione di investimento. In una data realt aziendale un problema a volte di non facile soluzione quello, gi accennato, di isolare loperazione di investimento dal contesto generale dellazienda: per questo i flussi suddetti dovranno essere, in linea di principio, dei flussi differenziali, cio in pratica costi e ricavi risultanti per differenza tra la situazione con investimento e la situazione, preesistente, senza investimento. In un caso come questo, inoltre, per poter giudicare sulla convenienza dellinvestimento, una particolare attenzione va posta al calcolo dei COSTI: tra questi occorre considerare anche gli eventuali COSTI IMPLICITI dovuti allimpiego di fonti finanziarie sottratte ad altre possibili destinazioni, oppure i COSTI FIGURATIVI, dovuti alluso di beni dellazienda, come fabbricati e terreni, che non saranno disponibili per altri impieghi. I flussi di cassa si calcolano come somma algebrica dei flussi differenziali positivi e dei flussi differenziali negativi manifestatisi in tutta la vita dellinvestimento: la convenienza dellinvestimento si valuter in base al loro confronto. Questo confronto si pu fare con relativa facilit se tutte le voci sono riconducibili a quelle del Conto Economico e consister nel calcolo e confronto dei Cash Flow nelle due situazioni: senza investimento e con investimento. E questo il Metodo dei Conti Economici Comparati. Merita rilevare che in questo tipo di valutazione la voce Ammortamento del C.E. non deve, ovviamente, essere conteggiata di per s come un costo in quanto non unuscita effettiva di denaro, ma se ne deve tenere conto nel calcolo dei costi perch influisce sulla voce Imposte che invece un flusso effettivo in uscita. Con questo metodo, o con altri simili, si compie il primo passo per la valutazione dellinvestimento: quello di quantificare il risultato economico che linvestimento procura, in termini di flusso di cassa CFi in ognuno degli n anni di esercizio corrispondenti alla vita totale dellinvestimento. Per valutare linvestimento nel complesso occorre tenere conto del fatto che questi CFi si riferiscono a tempi diversi e quindi per una valutazione corretta necessario renderli omogenei con unoperazione di attualizzazione. Per questo motivo i criteri migliori di valutazione sono quelli chiamati DCF (Discounted Cash Flow) basati appunto sullattualizzazione. I principali sono i due seguenti. 1) CRITERIO DEL VALORE ATTUALE NETTO (VAN) [Detto anche del Risultato Economico Attualizzato(REA)] Posto : C0 = Costo iniziale dellinvestimento (allanno zero) n = anni della vita economica dellinvestimento DCFj = flusso di cassa scontato relativo allanno j (cio valore attualizzato allanno zero di CFj) : VAN =

DCF
j 1

C0

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B8 -Finanziamenti e investimenti

Applicando questo criterio occorre fissare il numero di anni di vita n e il tasso di attualizzazione i j 1 j = 1+ i . che compare nel fattore di sconto Per questo motivo, il giudizio che si d circa la convenienza dellinvestimento dipende dal valore di i scelto. Si pu scegliere per i il valore del tasso di interesse corrispondente al costo medio del capitale che lazienda deve sostenere per i suoi prestiti. In tal caso, se VAN>0 linvestimento potr essere giudicato conveniente in quanto i benefici economici risultano maggiori dei costi sostenuti dallimpresa. Tra due investimenti alternativi, valutati ovviamente con lo stesso tasso i , sar pi conveniente quello con VAN maggiore. Occorre tenere presente che alternativi si intendono investimenti con lo stesso costo C0. In caso contrario si potr confrontarli con un criterio di proporzionalit, e cio in base ai valori del rapporto VAN/C0. 2) CRITERIO DEL TASSO INTERNO DI RENDIMENTO (TIR) (Detto anche IRR = Internal Rate of Return) Si definisce tasso interno di rendimento il valore i* del tasso di attualizzazione che si ricava ponendo:

DCF
1

- C0 = 0

cio annullando il VAN nellespressione vista al punto precedente e considerando i come incognita dellequazione risultante. Il calcolo di i* si pu fare per tentativi, utilizzando la rappresentazione grafica dellandamento della funzione VAN(i) , molto utile anche per la miglior comprensione del significato delle grandezze in gioco.
VAN

CF
j =1

C0

i*

C0

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B8 -Finanziamenti e investimenti

La valutazione dellinvestimento con questo criterio si far in base al valore risultante i* , che servir come elemento di confronto con un rendimento o con un costo (in termini di tasso di interesse) prefissato. Il rendimento prefissato per il confronto pu essere il ROI dellazienda, mentre il costo pu essere ancora quello degli oneri finanziari per i prestiti a medio-lungo termine. Unosservazione necessaria per guidare la scelta del criterio da adottare tra i due visti. Con il VAN, avendo fissato il tasso i , si implicitamente ammesso che i CFj vengano reinvestiti ogni anno al tasso di interesse i. Con il TIR questo tasso implicito di reinvestimento i* . Per questo motivo i due criteri danno lo stesso risultato se sono applicati ad un dato investimento. Ma nel caso di scelta fra alternative di investimento, occorrer utilizzare luno o laltro criterio a seconda della maggior o minor propensione al rischio dellimprenditore e della effettiva possibilit di reinvestire i CFj prodotti a un tasso pari a i* .

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

B9 DISTRIBUZIONI DI PROBABILIT PER IL CONTROLLO STATISTICO DI QUALIT


1 - RICHIAMI DI CALCOLO DELLE PROBABILIT E CALCOLO COMBINATORIO
Per arrivare alla definizione di probabilit, necessario richiamare alcuni concetti fondamentali. La probabilit di cui ci occupiamo sempre quella di un evento, che il risultato di unazione. E utile far riferimento, come azione, allesperimento consistente in unestrazione casuale; un esperimento viene definito casuale quando, pur condotto pi volte nelle medesime condizioni, porta a risultati diversi. Con spazio campionario si intende linsieme di tutti i possibili risultati di un esperimento; levento quindi un sottoinsieme dello spazio campionario di un esperimento. Supponiamo di estrarre N elementi da una popolazione di n (>>N) individui; gli N risultati di tale estrazione ci permettono di costruire, con i procedimenti gi visti, una variabile statistica che pu essere chiamata variabile statistica campione e in questo senso rimane distinta da quella costituita esaminando uno per uno gli individui della popolazione. Dora in poi noi intenderemo il campione solo con questo significato, che quello utilizzato nella teoria della campionatura. Questa studia il modo di ottenere dal campione informazioni utili per la conoscenza della composizione della popolazione da cui il campione estratto, e ci risulta possibile applicando la teoria della probabilit. In generale questo obiettivo si raggiunge costruendo, con i dati della campionatura, una distribuzione statistica dei relativi N valori e studiandone le correlazioni con la distribuzione incognita (distribuzione di probabilit) degli n valori della popolazione di partenza. Per far questo occorre applicare la definizione e le leggi della probabilit che opportuno richiamare. 1.1 La definizione di probabilit Per completezza di inquadramento, e ricapitolando, si ricorda che in generale si possono avere diversi approcci alla definizione della probabilit di un evento: 1) APPROCCIO CLASSICO o a priori - a: possibili esiti favorevoli al verificarsi dell'evento A - b: possibili esiti sfavorevoli al verificarsi dellevento A aA AZIONE n risultati ugualmente possibili b non A [a+b = n]

P( A ) =

a a+b

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

questa la definizione di probabilit matematica, il rapporto tra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili dellevento medesimo; tale probabilit pu assumere un valore compreso tra 0 e 1. In particolare si ha che: P = 0 significa evento impossibile; P = 1 significa evento certo. 2) APPROCCIO "EMPIRICO" (o della frequenza relativa o a posteriori). E chiaro che quando si esegue un esperimento non possibile conoscere a priori se un determinato evento si presenter oppure no; si introduce allora la variabile limite a cui tendono i risultati di una serie sempre crescente di prove aleatorie, e la sua frequenza limite detta probabilit. Questa determinata sulla base della frequenza relativa degli esiti favorevoli che si verificano in un grande numero di osservazioni. Quindi se in un certo numero di prove (n), levento E favorevole si verifica f volte, la frequenza relativa che indica E statistica.

f e viene denominata probabilit n

ESEMPIO 1.

Controllo di qualit su 10000 utensili; 100 risultano difettosi;

P=

100 = 0.01 10000

(ovvero esiste la probabilit dell1% circa del verificarsi del difetto). La Legge empirica del caso dice che portando allinfinito il numero di prove n, la frequenza relativa dellevento E tende ad un limite che esprime la stima della probabilit stessa dellevento.

3) APPROCCIO "SOGGETTIVO" (analisi Bayesiana). Si usa di solito quando l'evento considerato ha una sola probabilit di verificarsi; tale probabilit il grado di fiducia che l'individuo ha nel verificarsi dell'evento, sulla base di tutti gli elementi di giudizio a sua disposizione. 1.2 Il diagramma di Venn Questo diagramma consente di rappresentare gli eventi che possono verificarsi in una particolare osservazione o esperimento. Una figura chiusa rappresenta uno spazio campionario e le porzioni dell'area compresa entro quello spazio rappresentano particolari eventi.

A A

probabilit di due eventi A e A' (non A); P(A) + P(A') = 1. La superficie totale del rettangolo del diagramma di Venn ha valore unitario.

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

1.3 Le regole del calcolo delle probabilit REGOLA DELL'ADDIZIONE (o della probabilit totale). Per prima cosa e' necessario distinguere tra eventi incompatibili ed eventi compatibili: due o pi eventi sono incompatibili o disgiunti se non possono verificarsi insieme (si escludono quindi a vicenda); compatibili o congiunti se si possono verificare insieme. La regola dell'addizione si applica quando si vuole determinare la probabilit che un evento o un altro (o entrambi) si verifichino in un'unica osservazione. P(A o B) = probabilit del verificarsi dell'evento A oppure dellevento B Questa configurazione detta unione di A e B: P(A U B). Per eventi incompatibili: P(A o B) = P(A U B) = P(A) + P(B)

ESEMPIO 2.

Estrazione asso (A) ed estrazione re (K) sono incompatibili P(A o K) = P(A) + P(K) = 4/52 + 4/52 = 0,15 Per eventi compatibili si sottrae dalla somma la probabilit che i due eventi si verifichino congiuntamente: P(A o B) = P(A) + P(B) - P(A e B) [REGOLA GENERALE] con P(A e B) si intende lintersezione P(A B) [vedi il diagramma di Venn per maggior chiarezza].

ESEMPIO 3.

Estrazione asso (A) o carta di cuori (C) P(A o C) = P(A) + P(C) - P(A e C) = 4/52 + 13/52 - 1/52 = 0,31 con Venn:
IN C O M P A T IB IL I

C O M P A T IB IL I

A B

A e B o A B

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

REGOLA DELLA MOLTIPLICAZIONE (o della probabilit composta). Occorre distinguere tra: eventi indipendenti: quando il verificarsi o il non verificarsi di uno non ha alcun effetto sulla probabilit del verificarsi dell'altro. eventi dipendenti: quando il verificarsi o il non verificarsi di un evento influenza la probabilit del verificarsi dell'altro.

ESEMPIO 4.

Lancio 2 volte una moneta: si tratta di eventi indipendenti. Estrazione di 2 carte senza re-immissione della carta estratta: si tratta di eventi dipendenti La regola della moltiplicazione si applica quando si vuole determinare la probabilit che due o pi eventi si verifichino congiuntamente. Per eventi indipendenti: P(A e B) = P( A B) = P(A)P(B)
ESEMPIO 5.

Lancio della moneta


C C T C T T

evento congiunto CeC CeT TeC TeT

probabilit 0,25 0,25 0,25 0,25

Quando due eventi sono dipendenti si impiega il concetto di probabilit condizionata per designare la probabilit del verificarsi dell'evento connesso. P(B/A) = probabilit che B si verifichi una volta verificatosi A nel caso di eventi dipendenti la probabilit che A e B si verifichino congiuntamente data dalla probabilit di A per la probabilit condizionata di B dato A P(A e B) = P(A) P(B/A) REGOLA GENERALE P(A e B) = P(B) P(A/B)

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

Infine, la formula per determinare la probabilit di B dato A considerando che la probabilit di B (una volta verificatosi A) corrisponde alla porzione di tutti i restanti eventi elementari che comprendono B:

P ( B / A) =

P ( AeB ) P ( A B ) = P ( A) P ( A)

1.4 La probabilit come ragione di scommessa

Altro modo di esprimere la probabilit quello come ragione di scommessa: ad esempio dare 5 a 1 significa prevedere 5 eventi favorevoli contro 1 sfavorevole: P(evento favorevole) = 5/(5+1) = 0.83 (probabilit di non pagare) Per chiarire bene la differenza fra eventi incompatibili ed eventi indipendenti, ricordiamo ancora che lincompatibilit indica che due eventi non possono verificarsi entrambi, mentre lindipendenza indica che la probabilit di un evento non influenzata dal verificarsi dellaltro; due eventi incompatibili (es. i due risultati possibili del lancio della moneta) sono eventi fortemente dipendenti poich la probabilit del verificarsi di un evento una volta verificatosi laltro nulla.
1.5 Calcolo combinatorio

- Principio fondamentale: se un evento E1 pu verificarsi in n1 modi diversi e, quando si sia presentato (in uno qualsiasi di questi), un secondo evento E2 pu verificarsi in n2 modi diversi, il numero di modi in cui pu verificarsi l'evento congiunto (= entrambi gli eventi assieme) e' dato da : n1 * n2.
- Disposizioni: le disposizioni D(n,r) di n elementi presi r a r, o disposizioni di ordine r, sono date dal numero dei gruppi formati da r degli n elementi che differiscono tra loro per qualche elemento o per lordine in cui gli elementi sono disposti. Quindi se scelgo il primo elemento di una disposizione in n modi diversi, il secondo potr essere scelto in (n-1) modi, il terzo in (n-2) modi e cosi via. Quindi:

D(n,r) = n(n-1) (n-2) .........(n-r+1) = nDr =

n! ( n r )!

- Permutazioni: il numero delle permutazioni di n oggetti il numero dei modi in cui si possono ordinare gli n oggetti. P(n) = D(n,n) = n! = (n) (n-1) ..... (2) (1) [remember 0!=1] - Combinazioni: ci interessiamo al numero dei differenti raggruppamenti che si possono formare con gli oggetti senza tenere conto del loro ordine

nCr =

n! r ! ( n r )!
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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

dove la discriminazione avviene per la composizione. n Con la notazione ( r ) si intende la combinazione di n oggetti presi r alla volta.
ESEMPIO 6.

Se da un gruppo di 10 persone voglio scegliere sottogruppi da 5 dovr applicare la C(10, 5) = 10!/(5! 5!) = 252
ESEMPIO 7.

Per conoscere la probabilit di estrarre 4 assi estraendo 4 carte a caso da un mazzo da 52 baster calcolare le C(52, 4) = 270725 e trovare p = 1/C(52, 4).

2 - DISTRIBUZIONI NOTEVOLI DI PROBABILITA'


2.1 Distribuzioni di probabilit di variabili casuali discrete

Come abbiamo visto, la probabilit di cui ci occupiamo quella di un evento. Se consideriamo, in uno spazio campionario limitato un insieme di m eventi e a ciascun evento Ei associamo un valore xi, l'insieme ordinato dei valori x1, x2,, xm, che possono essere estratti rispettivamente con probabilit p1, p2,...pm dalla popolazione in esame costituisce una variabile casuale (o aleatoria, o stocastica) discreta. Dunque una variabile casuale discreta completamente nota quando si conoscono i valori x1, x2,., xm, che essa pu assumere e le associate probabilit p1, p2,,pm tali che:

=1

Come si vede esiste una perfetta analogia fra variabile statistica e variabile casuale, tanto che spesso la terminologia usata la stessa per entrambe: si parla infatti indifferentemente di funzione di probabilit o funzione di frequenza per indicare la legge matematica f(x) che consente di ricavare i valori di probabilit di ogni singolo valore x della variabile. La funzione cumulativa di frequenza della variabile x rappresenta invece la probabilit che la variabile x assuma valori inferiori o uguali a un numero prefissato. Ci a dire che, se k questo numero, la funzione cumulativa F(k) fornisce la probabilit dellevento [x k] a questa funzione che di solito si d il nome di funzione di distribuzione di x. Per quanto si detto, deve essere:

f (x ) = 1
1

e la f(x) definisce completamente la distribuzione di probabilit. Come si fatto in statistica descrittiva, la distribuzione di probabilit si pu rappresentare con un istogramma, mentre valgono le stesse regole gi viste per il calcolo della media e dello scarto quadratico medio. Nel caso di una variabile casuale la media denominata anche valore atteso o speranza matematica, e si esprime con la:
=

f (x ) x
i 1

mentre lo scarto quadratico medio

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

f (x ) (x )
i i 1

2.2 Distribuzione di probabilit di variabili casuali continue

Una variabile casuale si dice continua quando pu assumere qualsiasi valore reale nel suo intervallo di esistenza [a-b]. La funzione di probabilit f(x) ad essa associata allora una funzione continua, definita nell'intervallo [a-b] dove assume valori non negativi e si pu rappresentare con una curva continua tale che l'area compresa tra questa e l'asse delle ascisse sia uguale a 1:

f (x)dx = 1
a

La funzione f(x) detta funzione di densit di x e f(x)dx rappresenta la probabilit che la variabile assuma valori compresi fra x e x + dx. Nel caso di una variabile continua non ha pi senso parlare di probabilit di un singolo valore xi: ha invece senso cercare la probabilit che sia x k , oppure che x sia compreso in un certo intervallo. Cos la funzione di distribuzione F(k) sar data da:
F (k ) =
k

f (x)dx

Per analogia con il caso delle variabili discrete , la media e la varianza delle distribuzioni di probabilit continue saranno:

= xf ( x)dx

2 = ( x ) 2 f ( x)dx

2.3 Distribuzione Binomiale o di Bernoulli

Questa distribuzione corrisponde alla probabilit che si verifichi l'evento complesso x successi ed m-x insuccessi in m tentativi indipendenti; i tentativi possono essere ad esempio le estrazioni casuali da una popolazione caratterizzata dal fatto che ciascun individuo ha una determinata probabilit nota di essere estratto; si deve trattare inoltre di un esperimento bernoulliano in cui il risultato dell'estrazione pu essere solo del tipo a o b. L'espressione generale della distribuzione binomiale data da:
f (x )= mCx p x q m x

dove p indica la probabilit elementare del successo, q il suo complemento a 1 (quindi la probabilit dell'insuccesso), mentre il termine mCx tiene conto delle diverse possibili combinazioni tra successi ed insuccessi negli m tentativi. Le statistiche (cio i valori dei principali parametri sintetici con cui si individua una distribuzione) della distribuzione di Bernoulli hanno le seguenti espressioni:
= p m = m p (1 p)
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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

Si ricorda che la distribuzione binomiale una distribuzione discreta ed simmetrica rispetto alla sua media se p = 0,5.
ESEMPIO 8.

Supponiamo di gettare tre dadi- la probabilit di ottenere il risultato 4 con un dado 1/6: qual la probabilit di ottenere il risultato 4 su tutti e tre i dadi? (il medesimo problema si avrebbe lanciando consecutivamente i tre dadi). Sostituendo nella formula: p=1/6, q=5/6 e m=3,
1 1 la probabilit di 3 successi in 3 tentativi vale P (3) = 3 C3 1 = 0,0046 ; 6 6
3! 125 5 = = 0,57 ; per zero successi si ha P (0) = (3 0)!0! 6 216
3 3 0

3! 75 1 5 per un successo si ha P (1) = = 0,35 . = (3 1)!1! 6 6 216 IMPIEGO DELLA DISTRIBUZIONE DI BERNOULLI NEL CSQ

La distribuzione binomiale viene utilizzata, in campo industriale, per il Controllo Statistico di Qualit, e precisamente per determinare laccettazione o il rifiuto di un lotto di pezzi lavorati. In genere non si analizzano tutti i pezzi che formano il lotto, ma solamente un campione di numerosit m e si decide se respingere o accettare il lotto in base alla % di pezzi difettosi del campione. Lapplicazione richiede che sia nota la probabilit p che un pezzo singolo risulti difettoso (probabilit elementare). Se m sufficientemente piccolo, rispetto al numero di pezzi che formano il lotto, p viene considerata costante per tutte le prove (anche se si tratta di un campionamento senza re-introduzione).
2.4 Distribuzione di Poisson

Spesso nelle applicazioni della distribuzione binomiale ci si trova di fronte al caso di valori di p molto piccoli (0,1) rispetto a m molto grande (> 50). Il valore medio = pm allora un numero con ordine di grandezza dell'unit; in questi casi la binomiale pu essere sostituita dalla distribuzione di Poisson:
f ( x ) = e

x
x!

dove >0 una costante che rappresenta il numero medio di successi nell'intervallo di valori considerato, e in particolare :
= = m p =

Anche la distribuzione di Poisson di tipo discreto. Rispetto alla distribuzione binomiale, la distribuzione di Poisson dipende da un solo parametro () invece di due (m e p). IMPIEGO DELLA DISTRIBUZIONE DI POISSON NEL CSQ

Anche la distribuzione di Poisson viene impiegata utilmente nel Controllo Statistico di Qualit per determinare laccettazione o il rifiuto di un lotto di pezzi lavorati. In questo caso la numerosit

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

del campione che pu ad esempio essere costituito dai pezzi presenti in una confezione preparata per la vendita e la probabilit elementare p devono rispettare le condizioni sopra illustrate.
ESEMPIO 9.

Sapendo che una produzione in serie produce 20 pezzi difettosi su 2000, qual la probabilit di trovare in una confezione da 200 pezzi pi di tre pezzi difettosi? P = 20/2000 = 0,01 la probabilit semplice
=
20 200 = 2 2000

ci dice che mediamente in una confezione ci saranno 2 pezzi difettosi;

P (3) =

2 3 e 2 = 0,18 ; 3!

idem per P(0), P(1), P(2);

la probabilit richiesta sar data dalla relazione: P(>3)=1-[P(0)+P(1)+P(2)+P(3)]


2.5 Distribuzione normale o di Gauss

Il termine generale rappresentato dall'espressione:


f (x ) =
1
(x )2

2 2

dove e sono valore medio e deviazione standard della distribuzione. Questa distribuzione utile a rappresentare la variabilit di una grandezza sottoposta allinfluenza simultanea di un insieme di cause di piccola entit e abbastanza stabili nel tempo. In questa distribuzione x una variabile continua: per questo il significato della curva non quello di fornire la probabilit che x assuma un particolare valore (probabilit ovviamente nulla), ma piuttosto quello di dare, come si visto, la probabilit di tutti i valori di x compresi in un determinato intervallo. Introducendo la variabile standardizzata

z=

si ottiene la distribuzione o curva normale standardizzata 1 z2 1 f (z) = e 2 2 che ha valore medio uguale a 0 e varianza unitaria (si tratta in pratica di una traslazione di assi: la curva canonica ha in questo caso la media coincidente con l'origine degli assi). Con questa rappresentazione le propriet principali della distribuzione di Gauss si esprimono come segue: - per -1 < z < 1 si ha il 68,2% dell'area sottesa dalla curva - per -2 < z < 2 si ha il 95,4% dell'area sottesa dalla curva - per -3 < z < 3 si ha il 99,7% dell'area sottesa dalla curva.

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B9 - Distribuzioni di probabilit - CSQ

ESEMPIO 10.
Sapendo che la durata di un componente elettronico distribuita in maniera normale con =2000 h e =200 h, la probabilit che un componente duri tra le 2000 e le 2400 ore data da: z = 2 => dalle tavole si ricava P(0 < z < 2) = 0,4772 Volendo conoscere la probabilit che un componente duri pi di 2200 ore si avrebbe: z = 1 => P(0 < z < 1) = 0,3413 e quindi P(z > 1) = 0,5 0,3413 = 0,1587.

ESEMPIO 11.

Un processo produttivo a controllo computerizzato presenta le seguenti caratteristiche: =210 e =10. Stabilendo una tolleranza di 30, quale percentuale di pezzi difettosi ci si pu attendere? Tale percentuale sar data da q = 1 - P(180 < x < 240); per passare alla curva standardizzata avremo
180 210 = 3; 10 240 210 z2 = =3 10 z1 =

per cui P(180 < x < 240) = P(- 3 < z < 3) = (dalle tavole) = 0,9987 - [1 0,99871 = 0,9974 q = 1 0,9974 = 0,0026 e quindi possiamo aspettarci il 2,6 per mille di prodotti difettosi.

2.6 Alcune relazioni fra le varie distribuzioni

La distribuzione binomiale richiede a volte calcoli laboriosi. Pertanto utile tener presente che talvolta pu essere convenientemente sostituita dalla distribuzione di Gauss, che ne costituisce unaccettabile approssimazione, a determinate condizioni. In generale la curva normale fornisce una buona approssimazione della binomiale per valori di p vicini a 0,5, specialmente se m almeno uguale a 10. Ma anche per valori di p lontani da 0,5 la binomiale pu essere approssimata dalla gaussiana, a condizione che m sia grande: con p basso (0,1) oppure alto (0,9) lapprossimazione buona se m vale almeno 50. Quando p minore di 0,1 o maggiore di 0,9 si usa generalmente approssimare la binomiale con una distribuzione di Poisson.
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B10 - Tecniche di Gestione Economica Parte II

B10 - TECNICHE DI GESTIONE ECONOMICA -PARTE II STIME, VALUTAZIONE DELLINCERTEZZA E DEL RISCHIO
1 - PREMESSA
Come si detto nella parte I, anzich con criteri deterministici, i problemi gestionali si possono trattare tenendo conto (nei calcoli) dellincertezza dei dati di partenza. In molti casi questo lunico approccio proponibile se dai risultati si vogliono ottenere indicazioni utili per effettuare scelte operative razionali. Si pensi ad esempio alle decisioni riguardanti un investimento, dove siano numerose le variabili - e quindi i dati da utilizzare nella costruzione del modello - la cui conoscenza non certa. A seconda dei possibili valori che ciascuna variabile pu assumere, cambier il risultato della valutazione. Il modello stocastico costruibile in questo caso dar un risultato anchesso incerto (nel senso che non sar rappresentato da un unico valore) ma, in generale, consentir di quantificare questincertezza, attraverso la misura di attendibilit di una stima del valore vero dellinvestimento. Per impostare e risolvere un problema di questo tipo, evidente che occorre disporre di sufficienti conoscenze sui criteri e sugli strumenti di misura dellincertezza e dellattendibilit della stima, nonch di alcuni approfondimenti relativi ai metodi di simulazione che fanno uso dei modelli ricavati da operazioni di campionatura.

2 - LA CAMPIONATURA E LA RAPPRESENTATIVIT DEL CAMPIONE


Inquadrata nellottica della ricerca operativa, la campionatura la tecnica che consente di costruire un modello artificiale di una popolazione di valori: questa popolazione rappresenta il sistema in studio e il modello costituito da un certo numero N di elementi estratti correttamente dagli n individui della popolazione da studiare. Per poter trattare largomento in termini matematici, occorre sempre pensare la popolazione in studio come una distribuzione di probabilit, in genere non nota, di cui si vorrebbero conoscere le caratteristiche (media, varianza , andamento): a questo scopo si utilizza il campione, e in particolare linformazione che deriva dalla sua distribuzione di frequenza (media x , varianza s2).

( X, s)
Popolazione

N
Campione

(, )
n

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B10 - Tecniche di Gestione Economica Parte II

La teoria della campionatura fornisce le regole per effettuare correttamente le operazioni di costruzione del campione, e cio per costruire un campione rappresentativo. La stessa teoria fissa anche i criteri in base ai quali dai parametri (statistiche) del campione si possono ottenere stimatori corretti dei parametri (statistiche) della popolazione. In particolare, se si considera la media campionaria x come una variabile casuale, e cio la variabile i cui valori sono costituiti dalle medie di tutti i campioni di N elementi costruibili con gli n elementi della popolazione in studio, si ha: E( x ) = In base a questa propriet la x definita stimatore corretto di . Possiamo cio utilizzarla come stima del valore vero della media della popolazione. Non cos si pu dire della varianza campionaria s2, poich per la teoria : E(s2) =

N 1 N N s N 1

per cui si dovr considerare come stimatore di 2 il valore corretto s2 =


2

La teoria della campionatura ci fornisce poi la seguente interessante relazione fra le grandezze in gioco:

Var( x ) = (1 - N/n) N
che, nel caso in cui sia N<<n diventa

Var( x ) = N
cio

X =

N
.

Questultima relazione ci dice che in questo caso la varianza della distribuzione della media campionaria inversamente proporzionale alla dimensione del campione, e pertanto la stima x di ottenibile da un campione sar statisticamente tanto pi precisa quanto maggiore il numero degli elementi costituenti il campione. Unulteriore conclusione della teoria della campionatura la seguente: per N sufficientemente grande (>30) la distribuzione delle x normale qualunque sia la distribuzione della popolazione in studio. E questo il teorema del limite centrale, che utile per misurare quantitativamente la precisione della stima della media ottenibile da un campione.
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B10 - Tecniche di Gestione Economica Parte II

In base alle considerazioni fatte, il valore x , media di un campione qualsiasi di dimensione N, uno dei possibili valori della distribuzione delle x ; questa distribuzione normale e ha media uguale a ; x ha quindi ad esempio il 68.3% di probabilit di cadere nellintervallo X .

Il valore X che, per quanto visto, pu essere calcolato con approssimazione accettabile attraverso la varianza s del campione, pu dunque essere associato a x per esprimere il grado di precisione con cui x approssima (dato x , avremo infatti, ad es., il 68.3% di probabilit che cada nellintervallo x X ). Per questo, X viene anche detto errore standard della media. Dalla relazione che lega X a N, chiaro allora come si possa correlare la precisione della stima con il numero degli elementi costituenti il campione. Un esempio chiarir meglio il procedimento.

ESEMPIO 1.

Sono stati realizzati 20 prelievi di acqua da un bacino per lo studio della concentrazione di un determinato inquinante. I valori sono i seguenti: (si faccia lipotesi che valgano le stesse condizioni del caso N>30) P Conc. 1 2.24 2 1.11 3 1.81 4 1.42 5 2.62 6 2.65 7 1.96 8 1.04 9 1.87 10 1.84

P Conc.

11 1.06

12 1.92

13 1.51

14 0.93

15 1.51

16 0.93

17 2.04

18 1.97

19 2.01

20 1.93

x=

x = 1.72
i

( x x) =
i

= 0.25

s2 = s2

N = 0.27 N 1

Possiamo allora approssimare 2 con s2 :

0. 27 = 0.115 20

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B10 - Tecniche di Gestione Economica Parte II

ci significa che il valore di concentrazione ottenuto dalla campionatura ha il 68.27% di probabilit di scostarsi dal vero, cio dal valore incognito di 0.115 (vedi figura).

P(x)

Supponiamo ora di voler migliorare la precisione della stima della campionatura. Questo possibile aumentando il numero degli elementi del campione. Volendo, ad esempio, che la nostra stima x abbia il 68.3% di probabilit di cadere in un intervallo pi ristretto, per esempio in 0.05, baster imporre che sia x = 0.05; per cui si avr:
N=s
'2

= 0,27/(0,05)2 = 108

Analogamente si potr procedere per determinare il valore N che corrisponda a una precisione desiderata qualsiasi. Per esempio, nel caso si voglia che x approssimi di 0.05 con una probabilit del 90%, sar sufficiente imporre che x assuma il valore che si ricava dalla: 0,05= z90 * x dove z90 ottenibile, come noto, dalle tavole della variabile z standardizzata. Nel caso volessimo conoscere il numero di elementi del campione necessari affinch la stima abbia il 95.45% di probabilit di scostarsi dal vero di 0,05 dovremmo imporre (essendo z95.45 = 2 ):

2 x = 0,05, da cui X

0,27 0,05 2 = = 0,025 ; pertanto N = = 432 2 2 (0,025) 2 X

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B10 - Tecniche di Gestione Economica Parte II

3 - AFFIDABILIT E LIMITI FIDUCIARI


Dal paragrafo precedente abbiamo visto che la stima del valore di una variabile pu essere data nella forma: x z x La funzione standardizzata z diventa quindi la funzione che lega la x alla probabilit attraverso x , e quindi la funzione che consente di misurare lattendibilit della stima. Lintervallo dei valori definito dallespressione precedente detto intervallo di confidenza o intervallo fiduciario, poich in esso confidiamo o siamo fiduciosi di trovare il valore vero con una data probabilit; il valore corrispondente di z viene detto livello fiduciario. E questo uno dei modi consueti di quantificare lincertezza non solo dei risultati, ma anche dei dati di un problema: in questo caso si dice che un dato fornito non in modo puntuale, ma con una stima per intervallo. Un altro modo, pi completo, quello di utilizzare come modello la distribuzione di probabilit della variabile da stimare E questo il caso che si vuole esaminare nel paragrafo seguente.

4 - DAL CAMPIONE AL MODELLO MATEMATICO


Un campione, risultato di unoperazione corretta di campionatura, un modello della popolazione in studio, utile per stimare le statistiche della popolazione stessa. Ma la forma con cui si presenta (istogramma) in genere non cos comoda da impiegare per gli scopi della ricerca operativa come lo sarebbe un modello simbolico. E allora interessante cercare di costruire un modello simbolico, cio una funzione matematica, a partire dalle statistiche del campione( x , s), che sia a sua volta un vero modello della popolazione in studio. La teoria ci dice che possibile definire completamente questa funzione una volta scelto un determinato tipo di distribuzione. Il problema, a questo punto sar quello di stabilire fino a che punto le ipotesi fatte sono attendibili. Anche per questo obiettivo si ha a disposizione lapposito procedimento teorico (test del 2) , che consente di stabilire se il modello matematico da noi costruito sia unaccettabile rappresentazione della popolazione. In questo caso avremo a disposizione una stima corretta e garantita (sempre in termini probabilistici) della distribuzione della popolazione incognita.

5 - IL CAMPIONAMENTO SIMULATO
Come si gi detto lutilit di un modello rappresentata anche dalla possibilit di utilizzarlo per fare della sperimentazione (che in generale difficile o impossibile nel sistema reale). Uno degli esempi pi interessanti di sperimentazione costituito dal campionamento simulato con il metodo Monte-Carlo. Questo consiste, sostanzialmente, nellestrazione a caso di N valori dagli n valori che costituiscono la popolazione del modello, e di ripetere loperazione un numero di volte a piacere, Avremo cos a disposizione un gran numero di risultati equivalenti ad altrettante operazioni di campionatura, la qual cosa ci consentir, appunto, di simulare il caso della campionatura reale.

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Lutilit delloperazione si pu comprendere considerando un caso reale, come quello di dover determinare il numero ottimale di sportelli da prevedere per un costruendo casello autostradale. Dobbiamo supporre di avere a disposizione, come modello del fenomeno in studio, la distribuzione di probabilit dei tempi di arrivo dei veicoli al casello , e di fissare per ciascuno di questi un tempo massimo di attesa in conseguenza delle operazioni di servizio. Con la simulazione, sar possibile ottenere le distribuzioni di probabilit dei tempi di attesa per le diverse situazioni conseguenti ai diversi numeri di sportelli ipotizzabili (1, 2, 3 ... n) : il valore ottimale sar il primo che consente di avere un tempo medio di attesa inferiore al tempo massimo prefissato. Il problema principale che il metodo Monte-Carlo consente di risolvere quello di garantire lestrazione casuale dei campioni. Per ottenere questo risultato, avendo a disposizione il modello simbolico f=f(x) (distribuzione di probabilit), si procede come segue: a) si traccia la curva cumulativa
F(x) = f(x)dx
- x

b) si sceglie a caso un numero compreso fra 0 e 100 (o fra 0 e 1000, etc.). c) si riporta il numero cos trovato sulla scala dei valori cumulati (asse y) , lo si proietta orizzontalmente sulla curva F(x) e si individua il corrispondente valore di x sullasse delle ascisse. Cos facendo, lestrazione risulta casuale, poich il valore di x che si ottiene ha esattamente la probabilit di essere estratto quale data dalla f(x).
f(x)

F (x) 100

F
50

6 - IL RISCHIO NELLA TEORIA ECONOMICA


Prendiamo in considerazione il caso della valutazione di un investimento in condizioni di incertezza come esempio di modello stocastico al quale possiamo applicare le considerazioni fatte in precedenza. Per chiarire meglio il problema, facciamo riferimento al caso deterministico e al modello di calcolo utilizzato per la valutazione, ad esempio, del VAN. Se i dati del problema sono noti, anzich puntualmente, per intervallo, oppure come distribuzioni di probabilit , si pone il problema di come tenerne conto. Quanto maggiore il grado di incertezza delle variabili tanto pi necessario studiare le conseguenze di loro eventuali variazioni nel calcolo di convenienza dellinvestimento. Un primo strumento costituito dallanalisi di sensitivit, che consente di valutare quali possono essere le variazioni del risultato economico (VAN) conseguenti alle variazioni del valore dei parametri di input, in modo da misurare, in pratica il rischio associato allinvestimento.
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In questo caso lanalisi consiste nel calcolare i valori che il VAN assume facendo variare, di volta in volta, uno dei parametri di input e tenendo fissi gli altri. Si possono cos individuare i parametri che influiscono maggiormente sul risultato e quindi da controllare con maggior cura anche in fase previsionale. Un secondo strumento di valutazione rappresentato dallanalisi di rischio, che consente di studiare globalmente gli effetti concomitanti delle possibili variazioni dei parametri di input. (1) (2) SIMULAZIONE M. CARLO
10 numeri casuali (random)

curva cumulata curva della distribuzione probabilistica

valori del parametro

valori del parametro

(3)
probabilit

parametro a, b, c, ... n (simulazione)

valori del parametro

(4) ANDAMENTO PROBABILISTICO REDDITIVITA RISULTANTE

(5) PROBABILITA CUMULATIVA DELLA REDDITIVITA


% 100

% 40

50 20

0 0 25 50 redditivit 0 25 50 redditivit

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Nel caso pi completo questanalisi utilizza le distribuzioni di probabilit dei parametri di input e consiste nelleffettuare da esse, con calcolatore, un elevato numero di estrazioni casuali con il metodo Monte-Carlo. Con i diversi gruppi di valori di input che in tal modo si costruiscono si potranno ottenere altrettanti valori di VAN, che potranno essere riportati in una distribuzione di probabilit: sar questa la forma in cui si presenta il risultato, che potr dunque essere interpretato con criteri probabilistici. Si potr in tal modo ottenere, ad esempio, la probabilit che il valore dellinvestimento risulti inferiore a una determinata soglia limite di convenienza economica e, in base a tale informazione, decidere se correre il rischio di investire o meno. Ma esistono altri esempi interessanti di interazioni tra rischi e vita economica. Basta pensare che oggi ogni tipo di investimento sempre pi una scommessa per rendersi conto che il rischio economico destinato a diventare una componente consueta del nostro agire quotidiano. Per questo leconomia ha avviato da tempo, sul comportamento delle organizzazioni economiche e dei singoli, un tipo di analisi che tiene conto del rischio. Due esempi sono particolarmente significativi a questo proposito. Il primo quello che riguarda le modalit di ripartizione del rischio da parte dei mercati speculativi, il secondo il funzionamento dei mercati assicurativi.

7 - IL RISCHIO NEI MERCATI SPECULATIVI


Il termine speculazione richiama in genere soltanto lidea di unattivit subdola e parassitaria, intesa unicamente a procurare profitto alloperatore. Ma grazie alla mano invisibile che regola misteriosamente leconomia di libero mercato, anche gli speculatori diventano benefattori dellumanit. La loro funzione infatti quella di assumere rischi che altri rifiutano di addossarsi, oltre che di migliorare i modelli di prezzo e di allocazione delle risorse nello spazio e nel tempo. E questa la situazione del mercato dei futures, nel quale lo speculatore accetta di acquistare ora una merce che verr consegnata ad una data futura ad un prezzo che, pattuito ora, consente al venditore la copertura dei propri rischi. Il venditore pu essere, ad esempio, un imprenditore che ha acquistato la merce in un momento in cui il prezzo basso, dopodich lha immagazzinata per rivenderla in futuro ad un prezzo superiore. Egli per non pu sottoporre la sua attivit commerciale al rischio che i prezzi scendano anzich salire sotto una soglia minima di convenienza, per cui effettua immediatamente unoperazione di segno opposto: vende la merce ad un prezzo futuro corrispondente a questa soglia. Lacquirente lo speculatore, che rischia per lui, evidentemente pensando di fare un buon affare. Il mercato dei futures, che interessa una gran variet di articoli merci, titoli finanziari, valute etc caratterizzato da una miriade di operatori (che in genere non hanno mai visto e non vedranno mai la merce che trattano: si tratta di un paper market) i quali con la loro azione provvedono a regolarizzare i mercati e quindi lintera vita economica, attenuando sensibilmente leffetto del rischio.

8 - IL COMPORTAMENTO DELLE PERSONE DI FRONTE AL RISCHIO ECONOMICO


Prima di parlare dei mercati assicurativi opportuna una premessa sul comportamento del singolo individuo nei confronti del rischio economico.

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In generale si constata che le persone cercano di evitare i rischi economici. Si dice allora che lindividuo avverso a questo tipo di rischio. Ci significa che il dispiacere provocato dalla perdita di un dato ammontare di reddito maggiore del piacere per uno stesso pari incremento. La teoria economica spiega questo comportamento con la legge dellutilit marginale decrescente del reddito, in base alla quale a progressivi incrementi di reddito di pari entit corrisponde utilit, e cio soddisfazione, decrescente. Dunque gli individui preferiscono certezze a livelli incerti di consumo. Si spiega cos, ad esempio, il successo dei prezzi dei produttori nel mercato dei metalli e delle materie prime in genere: il consumatore preferisce pagare un prezzo alto ma fisso e garantito per un tempo convenientemente lungo piuttosto che affrontare il rischio che la tipica oscillazione dei mercati porti ad aumenti deleteri per la sua economia.

9 - IL RISCHIO NEI MERCATI ASSICURATIVI


Dunque gli individui avversi al rischio cercano di evitare il rischio, ma questo non sempre possibile, e in particolare non lo per i rischi naturali: in modo statisticamente regolare si verificano alluvioni, terremoti, incendi, incidenti, di cui qualcuno deve pur sostenere i costi. Ebbene, i mercati hanno i loro strumenti per affrontare i rischi, basati sul principio della ripartizione. Questo consiste nellassumere, da parte del mercato, rischi che sarebbero molto grandi per i singoli individui e nel ripartirli fra un gran numero di persone in modo che diventino molto piccoli per ciascuna persona. La forma pi importante di ripartizione del rischio lAssicurazione, e cio quella sorta di scommessa alla rovescia che si fa con la Societ assicuratrice: la persona scommette che le accada una disgrazia (incendio, alluvione, incidente) e, se vince viene rimborsata del valore assicurato, se perde , perde la posta della scommessa, cio il premio pagato. Le Societ assicuratrici ripartiscono il rischio assicurando contro un gran numero di rischi un gran numero di persone. Il sistema funziona in base alla teoria delle probabilit, per la quale in una distribuzione di probabilit continua, mentre impossibile determinare la probabilit di un evento singolo, molto facile calcolare il valore medio di probabilit per lintera popolazione. Un esempio pu chiarire meglio il concetto. Supponiamo che il mercato della Societ di assicurazione sia costituito da 1 milione di persone che intendono assicurarsi contro il rischio, per esempio, di incendio della propria casa. E facile determinare da parte della Societ, sulla base di opportune statistiche, il valore medio della probabilit che levento incendio si verifichi. Supponiamo che questo valore sia

p = 0,001
e cio che ogni persona abbia una probabilit su mille che le bruci la casa. Il valore Vd del danno del singolo evento indesiderato pure facile da stimare; sia per esempio

Vd = 100 000
Da questi dati allora possibile calcolare il valore atteso della perdita che la Societ assicuratrice dovr subire per ogni persona assicurata:

Vatt = p * Vd = 10-3 * 105 = 102


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E questa la cifra su cui si baser la Societ per calcolare il premio da far pagare a ogni assicurato: 100 per persona copriranno la perdita attesa ; a queste dovranno solo essere aggiunte le spese di gestione dellattivit. In particolare il premio si dir equo se sar effettivamente corrispondente alla perdita dovuta al danno. Il meccanismo della ripartizione del rischio funziona, in questo caso, grazie alla legge dellutilit marginale decrescente: lindividuo valuta di pi la perdita corrispondente al danno causato dal disastro che non il pagamento del premio di assicurazione, anche se equo. Dunque, grazie allutilit marginale decrescente lassicurato ottiene notevoli vantaggi, soprattutto se il premio equo. Pertanto, mentre la natura dispensa i rischi, lassicurazione contribuisce a ridurli e a ripartirli. Limiti e inconvenienti dei mercati assicurativi I mercati assicurativi non costituiscono per la panacea per tutti i problemi di rischio. Non possibile infatti assicurare tutti i rischi della vita; inoltre i premi troppo elevati inducono le persone a non assicurarsi. In effetti i mercati assicurativi sono incompleti e funzionano solo in determinate condizioni: deve anzitutto sussistere un gran numero di eventi; questi devono essere indipendenti tra loro e sufficientemente conosciuti, in modo che le compagnie possano stimare le perdite in modo attendibile. Diversamente diventa elevato il rischio di fallimento del mercato. E quando i fallimenti del mercato sono talmente gravi che il mercato privato non in grado di garantire una copertura adeguata, allora pu opportunamente subentrare lassicurazione sociale fornita dallo Stato. In queste le circostanze solo lo Stato pu intervenire per fornire una copertura ampia e universale.

10 - ESEMPIO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO ECONOMICO LEGATO A UN DISASTRO NATURALE


Per concludere, un caso pratico di valutazione economica del rischio relativo ad un evento alluvionale pu essere utile per illustrare i criteri e le modalit di sviluppo del processo decisionale riguardante alternative economiche relative a rischi naturali. Il criterio utilizzato per la quantificazione del rischio economico quello del valore atteso, ben noto anche nel campo dellanalisi del rischio tecnico. Lesempio riguarda un impianto di depurazione per acque reflue collocato nella piana alluvionale di un fiume. Per proteggerlo durante i periodi di piena si vuole costruire un argine: il problema consiste nello stabilire laltezza ottimale di questultimo, scegliendo fra un certo numero di alternative di argini di dimensioni diverse, di ciascuno dei quali occorre valutare il costo di costruzione e il vantaggio in termini di riduzione del rischio alluvionale. In questo caso si considerano sei alternative. I dati di input del problema sono: 1. i dati statistici storici degli ultimi 50 anni relativi allaltezza massima raggiunta ogni anno dal livello del fiume, dai quali si ricava il numero Nx di anni in cui lacqua ha superato di x metri il livello normale;

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2. il valore monetario Dx del danno provocato da unaltezza dacqua di x metri (sopra il livello normale o sopra largine) calcolato per i valori di altezza delle sei alternative considerate; 3.
i sei valori del costo di costruzione di un argine alto x metri.

Sono inoltre noti la durata prevista dellopera e il tasso di interesse, che consentono di calcolare il costo annuo dellinvestimento corrispondente alla realizzazione di ognuno dei sei argini considerati. Il criterio del Valore atteso si applica per calcolare il danno annuo atteso per ognuno dei valori delle sei altezze alternative: questo sar uguale alla sommatoria dei prodotti di ogni valore possibile di Dx per la sua probabilit px :

Dannuo atteso = Dx px
Ora, la probabilit che in ogni anno futuro il fiume superi il livello normale di x metri si assume pari alla frequenza dellevento nei 50 anni considerati. Sono quindi disponibili tutti gli elementi per procedere al calcolo "dellequivalente annuo atteso dei costi, ottenibile sommando il danno annuo atteso e il costo annuo di investimento. Lalternativa migliore sar quella che minimizza il costo totale annuo previsto. Il criterio del Valore atteso si presta particolarmente bene alla valutazione di alternative di investimento in presenza di rischio come quelle del caso esaminato, anche perch si tratta di attivit proiettate nel lungo periodo, e quindi di durata tale da consentire che compaiano gli effetti a lunga scadenza della legge di probabilit ipotizzata.

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B11 - Interpretazione di dati energetici ed energy management

B11-INTERPRETAZIONE DI DATI ENERGETICI E ENERGY MANAGEMENT


1 - ELEMENTI DI ANALISI ENERGETICA
Lanalisi energetica una tecnica di analisi dei sistemi industriali produttivi da un punto di vista prettamente energetico, sviluppatasi soprattutto negli anni settanta in seguito al progressivo e consistente aumento del costo dell'energia (crisi petrolifere1 del 1973 e 1979). Oltre ad evidenziare come lenergia sia un sistema economico pi importante di quanto possa indicare il suo peso sul totale dei costi di produzione (variabile da un 5% ad un 20%), il filone di pensiero emerso in seguito agli shock petroliferi ha, tra le altre cose, sottolineato anche come lestensione dellanalisi energetica a valutazioni ambientali fosse un passo possibile ed estremamente logico (e di questo si parler a proposito degli ecobilanci e della Life Cycle Assessment)2. Il presupposto pratico dell'analisi energetica il fatto che tutte le operazioni industriali riguardano in qualche modo il trattamento dei materiali; tale trattamento pu includere un cambiamento delle propriet fisiche e/o chimiche delle sostanze in questione, un loro trasferimento nello spazio, una qualunque variazione di aspetto, della resistenza e della durata. Per descrivere questi fenomeni, lanalisi utilizza grandezze squisitamente energetiche poich esse, al contrario di quelle monetarie, rappresentano una oggettiva quantit non suscettibile di influenze esterne. Questo non significa che l'analisi energetica sia in grado di sostituire le considerazioni di carattere economico; al contrario i dati di carattere energetico costituiscono informazioni preziose che accompagnano quelle pi tipicamente di carattere economico durante tutte le valutazioni che coinvolgono il sistema produttivo. 1.1 L'energia Lenergia, lo ricordiamo, una realt astratta, una trasformista per eccellenza: ci che percepiamo o misuriamo sono semplicemente forme energetiche in quanto un processo non pu creare o distruggere energia ma solamente convertirla da una forma ad unaltra secondo le leggi della termodinamica, scienza che ha appunto per oggetto lo studio del trasferimento dell'energia. Quando si parla di materia si parla di qualche cosa di tangibile, mentre quando si parla di energia si pensa a qualche cosa di iniziale che si trasforma, si disperde e si concentra in modi diversi
1 Nel 1973 e nel 1979 l'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), il cartello dei maggiori produttori di petrolio, decise l'embargo per motivi politici ed economici interrompendo la fornitura di petrolio per diversi mesi; oltre allimmediato e vertiginoso aumento del prezzo del greggio (in prezzi correnti da circa 2 $/bbl degli anni sessanta agli oltre 35 $/bbl del 1980), lembargo ha innescato diversi fenomeni (definiti sinteticamente con il termine di shock) che hanno coinciso con un periodo di sensibile rallentamento dei tradizionali indicatori di produttivit. E vero che si tratt pi di un ricatto economico dellOPEC che di un segnale di una imminente carenza di risorse energetiche, ma anche da riconoscere che per la prima volta si diffuse la consapevolezza che il pianeta non offre risorse illimitate. Apparve oltretutto necessario, soprattutto per un Paese come lItalia, il ricorso ad interventi mirati ad un uso prudente dei combustibili fossili nonch ad un controllo sistematico e approfondito della situazione energetica dei processi industriali. Tutti patirono questo inasprimento del prezzo del petrolio ed oltre alle contromisure immediate, i governi delle nazioni industrializzate cominciarono a rivedere i propri piani energetici. Nel nostro caso, per rendere il sistema Italia meno vulnerabile alla dipendenza dallestero (passata dal 50% degli anni venti all80% degli anni ottanta), per lapprovvigionamento delle fonti primarie di energia le parole dordine furono diversificazione, risparmio energetico e potenziamento delle produzione di combustibili indigeni. Il Piano Energetico Nazionale (PEN) del 1985 doveva portare lItalia di fine secolo ad una dipendenza dallestero di circa il 55% ma leffetto Chernobyl ha vanificato lo sforzo nucleare lasciando oggi lItalia ad un grado di dipendenza energetica pressoch identico a quello degli anni ottanta. Le cause del fallimento della politica energetica italiana degli ultimi ventanni (su praticamente tutti i fronti di azione previsti dal PEN) sono in gran parte dovute allincompetenza dei numerosi governi che si sono succeduti in questo periodo e anche oggi non si percepisce quellimpegno che dovrebbe cercare di rimediare ad una situazione di allarmante e persistente criticit. 2 Baldo, Badino; LCA - Uno strumento di analisi energetica ed ambientale; IPASERVIZI; Milano; 2000

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producendo le forme di materia e di altra energia (attraverso lo scambio di calore o di lavoro) che siamo abituati a riconoscere. Per rappresentare la realt labbiamo chiamata in modi diversi (energia solare, energia cinetica,...), ma sostanzialmente possiamo dire che si tratta sempre della stessa cosa e che si conserva quanta era prima di ogni trasformazione. Lenergia si conserva (I Principio della Termodinamica) ma si degrada (II Principio della Termodinamica); in altre parole lenergia delluniverso costante ma la disponibilit di energia in forma utile (sulla terra) limitata. Non solo, ma anche in condizioni ideali, fissate le condizioni dellambiente, solo una parte dellenergia pu essere trasformata in lavoro. Questa quota viene definita exergia o energia disponibile. La degradazione di energia corrisponde inoltre alla produzione di entropia che viene spesso associata al grado di disordine del sistema. Lexergia ritenuta una vera e propria caratteristica delle sostanze e rappresenta praticamente la capacit di produrre lavoro; essa si propone in particolare come grandezza in grado di contabilizzare correttamente i fenomeni che avvengono durante il passaggio da uno stato di disequilibrio ad uno stato di equilibrio con lambiente esterno. Per quanto riguarda la disponibilit di energia in forma utile, importante a questo punto dedicare particolare attenzione al censimento delle fonti di energia primaria e alle forme di utilizzo nelle attivit produttive. Una possibile classificazione dellenergia primaria quella che raggruppa i contributi in termini di rinnovabilit/esauribilit: energie rinnovabili; energie quasi esauribili; energie esauribili. Le energie rinnovabili ci arrivano direttamente o indirettamente dal Sole, mentre le energie quasi esauribili sono costituite dal calore endogeno della Terra e dallutilizzazione dellenergia nucleare. Oggi le fonti primarie di gran lunga pi utilizzate appartengono alla categoria delle fonti esauribili, e cio il carbone e gli idrocarburi naturali liquidi e gassosi. Allo stato attuale delle conoscenze, gli idrocarburi liquidi e gassosi sono disponibili in quantit pressoch uguali (ordine di grandezza 1011 tep di riserve accertate cadauno), mentre il carbone risulta essere di gran lunga il combustibile pi abbondante (ordine di grandezza 1012 tep di riserve accertate). Nota la differenza tra riserva e risorsa in campo minerario (secondo lo schema dello USBM3, la risorsa diviene riserva man mano che la conoscenza geologica e la fattibilit economica dellestrazione lo consentono), e lentit dei consumi (che verranno discussi nel dettaglio nel Paragrafo seguente), risulta chiaro come nessuna crisi energetica stia minacciando lumanit nel suo complesso. Ci nonostante, a medio termine i problemi delle fonti non rinnovabili si presenteranno con passo sempre pi pressante con il trascorrere del tempo, rendendo necessario un impegno determinato nella direzione del risparmio energetico e in quella della messa a punto di nuove tecnologie che adoperino fonti alternative. 1.2 Lo scenario energetico attuale LIEA (International Energy Agency) nel 2003 ha pubblicato un rapporto che guarda al futuro energetico mondiale fino al 2030, prevedendo una crescita dei consumi globali pari al 62% rispetto allo scenario attuale(nel 2001 i consumi globali di energia sono stati di poco superiori ai 10 miliardi di tep) ed un aumento delle emissioni di anidride carbonica nellatmosfera dello stesso ordine di grandezza (attualmente la concentrazione di anidride carbonica nellatmosfera dellordine di 400 ppm): questi dati da soli indicano la necessit di proseguire gli studi sia per luso razionale dellenergia sia per il perfezionamento delle fonti alternative, entrambi obiettivi principali
3

United States Bureau of Mines, oggi non pi operante.

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dell'analisi energetica. LAgenda 21, adottata dalla Conferenza mondiale di Rio de Janeiro, comprende infatti il settore dellenergia tra i problemi che necessario affrontare in vista della conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo sostenibile della societ umana. Oltre ai combustibili fossili che, come si visto, costituiscono attualmente la fonte preponderante di energia primaria, anche le fonti rinnovabili e quasi inesauribili contribuiscono a soddisfare il fabbisogno energetico mondiale: in figura 1 stata riportata levoluzione della domanda di energia nei Paesi OECD dal 1973 al 2001.

Figura 1 - Consumi di energia nei Paesi OECD nel 1973 e nel 2001. I dati sono espressi in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) e forniscono un dettaglio delle fonti primarie [Fonte IEA, 2003]

In base ad una stima dellIEA (International Energy Agency), il fabbisogno energetico a livello mondiale nellanno 2001 stato approssimativamente soddisfatto come segue: 35,0% dal petrolio; 21,2% dal gas naturale; 23,3% dal carbone; 6,9% dal nucleare; 2,2% idroelettrica; 10,9% combustibili rinnovabili (legna, biomasse), rifiuti; 0,5% dalle restanti forme di energia primaria (geotermica, solare,eolica, ecc.).

Il contributo delle fonti diverse da quelle fossili dunque piccolo ma non trascurabile e la loro conoscenza risulta rilevante in vista del prossimo futuro quando la necessit di ricercare unalternativa competitiva ai combustibili fossili diventer via via sempre pi pressante. Le fonti rinnovabili ci arrivano, come detto, direttamente o indirettamente dal sole: lenergia solare in arrivo sulla Terra origina una potenza netta sulla superficie terrestre (circa 1 kW/m2), complessivamente pari ad un contributo dellordine dei 1017 W.
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In aggiunta a questa energia, si devono considerare i contributi dellenergia gravitazionale e quella proveniente dal centro caldo della Terra; si tratta di quote trascurabili sul piano globale, ma relativamente importanti per lutilizzazione che luomo ne fa. Le fonti quasi inesauribili includono invece il calore endogeno, lutilizzazione autofertilizzante dellenergia nucleare di fissione e di fusione e lenergia non autofertilizzante dellenergia nucleare di fusione. Anche in questo caso le riserve accertate sono di tutto rispetto (dello stesso ordine di grandezza di quelli dei combustibili fossili) ma la loro ridotta utilizzazione deve essere ricercata in motivi che vanno da quello strettamente economico a quello legato al rischio di tali attivit per luomo e per lambiente. Cercare di fare una previsione a medio termine su quali fonti soddisferanno la richiesta continuamente crescente di energia e contemporaneamente aiuteranno il pianeta a non soffocare dentro la serra che si sta inesorabilmente formando sicuramente azzardato, ma uninterpretazione dellevoluzione degli scenari energetici qui presentati appare comunque doverosa. Innanzitutto bene ricordare che ogni fonte energetica deve essere in grado di adattarsi alle richieste dellutenza e vista lattuale affermazione dellenergia elettrica come vettore energetico, appare evidente come la sola energia nucleare possa, in maniera competitiva rispetto alle fonti fossili, arrivare a soddisfare in parte ed in tempi brevi tale esigenza. Chiaramente da sola non sufficiente: gli ambientalisti (LEGGETT, 1992) spiegano giustamente che praticamente impossibile dotare di un programma nucleare tutte le nazioni del mondo in modo tale da garantire almeno le richieste di energia elettrica. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, tutti sembrano daltronde concordare che lenergia eolica, la solare e quella generata dalle biomasse non sono ad oggi disponibili per un loro impiego economicamente sostenibile: il loro utilizzo infatti per ora limitato a situazioni particolari, ma lentit delle risorse investite nella ricerca per un loro miglioramento lascia ben sperare per il prossimo futuro. Lefficienza energetica rimane allora laltra alternativa che velocemente e senza traumi pu portare a risultati concreti gi nel breve periodo e comunque permettere la riduzione sia dei consumi sia delle emissioni di anidride carbonica: lanalisi energetica pu fornire la conoscenza dei sistemi produttivi in modo da consentire il raggiungimento di questi obiettivi. 1.3 Classificazione delle energie in un'analisi energetica Obiettivo principale dellanalisi energetica quello di stabilire il costo energetico di un bene materiale. La definizione dei confini in unanalisi energetica determinante: lobiettivo quello di scartare gli apporti energetici non significativi; in questo senso per classificazione di energie in unanalisi energetica si intende, in prima analisi, lorganizzazione degli apporti di energia in base al tipo di contributo e non alla natura che li ha generati. Successivamente, allinterno di ogni categoria, si proceder allindividuazione dellorigine di ogni singolo apporto. Il primo contributo al costo energetico complessivo di un determinato sistema produttivo quello derivante dalla realizzazione dei macchinari e delle infrastrutture necessarie al sistema stesso per ottenere la produzione desiderata; questa componente energetica corrisponde nella sfera economica ai costi di investimento (capital cost) e proprio per questo viene comunemente indicata con energia di investimento (capital energy). Diverse ricerche svolte per determinare linfluenza di questo contributo, hanno dimostrato che lenergia di investimento vale normalmente circa il 5% dellenergia complessiva del sistema (a regime); questo non vale certamente per le applicazioni nel campo della ricerca avanzata dove tale quota rappresenta sicuramente la parte pi rilevante dellenergia totale in gioco.
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Normalmente quindi sufficiente iniziare unanalisi energetica determinando gli apporti di energia diretta e di energia indiretta forniti al sistema produttivo oggetto dello studio: la prima rappresenta la quota di energia consumata per il funzionamento del processo (delivered energy o energy content of fuel nella letteratura anglosassone) mentre la seconda quella necessaria per produrre e trasportare i vettori energetici utilizzati nel processo medesimo (production and delivery energy nella letteratura anglosassone), trascurando lenergia competente alla parte di investimento del sistema industriale in oggetto. Chiaramente in una valutazione meramente economica di investimento la quota relativa agli impianti costituir invece la voce pi rilevante ed importante da considerare. Da un punto di vista operativo, per la determinazione delle quote di energia diretta ed indiretta di un sistema produttivo si analizzano i processi suddividendo lintero sistema in pi operazioni unitarie che lo formano, e identificando i singoli flussi energetici coinvolti. Lottimo energetico si raggiunge perci quando la somma delle due componenti energia di processo + energia di impianto = energia necessaria per raggiungere il risultato risulta minima. Queste considerazioni mettono anche in luce che il risparmio a tutti i costi, ovvero la costruzione di nuove tecnologie che permettano la valorizzazione delle fonti primarie di energia, deve sempre essere valutato in termini di energia (o meglio di exergia) di processo e di exergia di impianto: se la quota exergia di impianto viene infatti recuperata in un periodo di tempo pari alla vita attribuibile allimpianto stesso, il risultato solo nella spesa di ricchezza senza ritorno. Oltre allenergia diretta ed indiretta esiste poi unaltra quota importante di energia legata al processo in esame: quella contenuta in quei particolari materiali utilizzati come tali e non come combustibili (un tipico esempio quello dei prodotti organici utilizzati nell'industria petrolchimica). Questa quota, chiamata feedstock, definita come il contenuto energetico dei materiali input che in linea di principio pu essere eventualmente recuperato dai prodotti in uscita (ad esempio bruciando prodotti di plastica o di carta). Il tenere separate la quota di energia spesa come combustibile del processo e quella contenuta nei materiali solo potenzialmente combustibili, importante proprio perch, mentre la prima irreversibilmente consumata, la seconda ancora potenzialmente disponibile alla fine della vita utile del prodotto. Lenergia feedstock entra in gioco solamente quando quei materiali potenziali combustibili sono estratti dalla terra e impiegati direttamente al loro stato naturale: questi sono il carbone, il petrolio, il gas naturale, il legno e la gomma, ognuno definito in base al proprio tipico potere calorifico. A questo proposito, risulta importante ricordare anche che il contenuto energetico degli input pu essere diverso da quello degli output a causa di cambiamenti nella struttura chimica o per le perdite di materia durante il processo produttivo; di conseguenza pu portare ad un errore valutare lenergia feedstock in base al contenuto energetico (potere calorifico) degli output. Per evitare questa eventualit, con feedstock si intende di solito il potere calorifico superiore dei materiali input del sistema. Man mano che dall'estrazione delle materie prime ci spostiamo verso la produzione e la destinazione finale del prodotto a fine vita, la ricostruzione del ciclo vita passa attraverso operazioni dirette che via via verranno considerate indirette da quella successiva. In questo modo ogni singolo anello della catena produttiva, se considerato singolarmente, fornisce informazioni a livello diretto di analisi, mentre, se considerato appartenente al flusso di materiali e di energia, fornisce informazioni a livello indiretto. In termini di analisi di ciclo di vita questo corrisponde rispettivamente allecobilancio e allanalisi dalla culla alla tomba. Tra i termini che andrebbero conteggiati in unanalisi energetica rigorosa troviamo infine anche: - la quota di energia fornita dai lavoratori durante il processo produttivo; gli esseri umani sono alimentati dal cibo: considerando una situazione tipica, tolta la quota di energia utilizzata per
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mantenere il funzionamento delle attivit vitali (80% circa della quota totale giornalmente assimilata), lenergia disponibile per effettuare lavori utili di circa 2-3 MJ al giorno; appare subito chiaro che si tratta di una quota sostanzialmente trascurabile rispetto alla quota spesa giornalmente da un qualsiasi processo produttivo di tipo industriale. la quota di energia spesa per il trasporto dei lavoratori allimpianto produttivo; anche questa quota di energia pu essere addebitata al processo produttivo oggetto dellanalisi poich tale trasporto risulta indispensabile per far funzionare il processo stesso. E possibile calcolare il contributo di questa quota a seconda del mezzo di trasporto utilizzato (Tabella 1).

Tabella 1 - Energia per passeggero associata a diversi sistemi di trasporto su strada. Le distanze per i tragitti di andata e ritorno sono basati su un percorso di 60 km [Boustead Model 4.3].
Mezzo di trasporto Auto con 1 passeggero e consumo di 9 km/l Auto con 2 passeggeri e consumo di 9 km/l Autobus da 31 posti (pieno) Energia per passeggero-km [MJ] 4,1 2,1 0,5 Energia per passeggero per viaggio (a/r) [MJ] 246 126 30

Dai dati illustrati in Tabella 1, risulta evidente che anche questa quota di energia trascurabile per la maggioranza dei processi produttivi oggetto di un'analisi energetica. Riassumendo, possiamo allora dire che il consumo di energia globale per unit di prodotto dato dalla somma dei contributi di tutte le quote di energia appartenenti ad ogni singola operazione, ovvero: dallenergia diretta; dallenergia indiretta; dalla feedstock.

In altre il parole, il consumo globale di energia per unit di prodotto corrisponde allenergia da estrarre dalla terra per poter disporre di quellunit di bene economico in quel momento di tempo. Nella letteratura anglosassone questa quota viene definita gross energy (GER, gross energy requirement) che pu anche essere definita come lentalpia che complessivamente deve essere resa disponibile in condizioni normali dalle forme di energia allo stato naturale e consumata dal sistema in modo tale da mantenere lo stesso sistema in produzione (per ulteriori dettagli vedere il Paragrafo successivo). 1.4 Energia per produrre i combustibili Il primo anello della catena energetica rappresentato dalla cosiddetta energia primaria che, come gi detto in precedenza, costituito in maniera preponderante dai combustibili fossili presenti nella crosta terrestre. E convenzione chiamare queste materie prime minerarie energetiche con il termine combustibile (fuel). Spesso per anche luranio o lelettricit vengono identificati con questo termine. Per evitare confusioni, possibile operare una distinzione tra i combustibili primari e quelli secondari (primary and secondary fuels) in base alleffettiva provenienza (Figura 2): - combustibili primari (o fonti primarie di energia)sono i materiali estratti dalla terra in grado di bruciare in aria per produrre energia sotto forma di calore (carbone, petrolio, gas naturale) e le forme di energia come lidroelettrica, leolica e la solare;

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combustibili secondari (o fonti secondarie di energia) sono le sorgenti di energia derivate da un combustibile primario (coke, elettricit, benzine, ...); con il termine vettore energetico si intende inoltre qualsiasi forma fisica in grado di trasportare e rendere disponibile energia; lelettricit il vettore energetico per eccellenza.

materie prime

Produzione di carbone

Produzione di coke

materie prime

Produzione di gas naturale

Produzione di gas

industria

Produzione di elettricit materie prime

Produzione di petrolio

Figura 2 - Diagramma di flusso semplificato relativo ai processi di produzione dei combustibili primari e secondari.

La quota di energia diretta (chiamata anche, come detto, contenuto energetico del combustibile o energia distribuita) rappresenta dunque la quantit di energia a disposizione dellutente, che di solito costituita da un combustibile secondario. Per produrre un combustibile in forma utilizzabile necessario spendere energia. In termini globali, anche in questo caso, necessario individuare quantitativamente lenergia in gioco; detta Et l'energia totale di un combustibile, possibile scrivere: Et = Ep + Ec dove Ep lenergia indiretta (production and delivery energy) ed Ec il contenuto energetico del combustibile pronto per l'uso (energy content of fuel). L'efficienza energetica di produzione di un combustibile sar allora data dalla relazione:
=
Ec E p + Ec

Per dare un'idea dei valori energetici di Ep e di Ec dei combustibili pi comuni utile fare riferimento alla Tabella 3 con i valori medi europei.

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Tabella 3 - Valori medi europei indicativi di Et [Boustead Model 4.3]. Vettore energetico Carbone Coke Elettricit Gas naturale Petrolio Gasolio Quantit 1 kg 1 kg 1 kWh 1 Nm3 1 kg 1l Produzione (Ep) 1.4 MJ 3,9 MJ 11,4 MJ 5,5 MJ 8,9 MJ 7,5 MJ Contenuto energetico (Ec) 28 MJ 25,4 MJ 3,6 MJ 38,8 MJ. 42,6 MJ 37,7 MJ Energia totale (Et) 29,4 MJ 29,5 MJ 15 MJ 44,3 MJ 51,5 MJ 45,2 MJ Efficienza 95% 87% 24% 88% 83% 83%

In generale, lefficienza energetica di produzione di un combustibile secondario risulta inferiore a quella di un primario da cui deriva a causa delle perdite durante la trasformazione. In particolare, per quanto riguarda l'energia elettrica, i valori di Tabella 3 risultano estremamente variabili da paese a paese dove il mix energetico caratteristico (Tabella 4) e la tecnologia adottata influenzano notevolmente il valore energetico di Ep (che per questo motivo definito country dependent). Ad esempio, il consumo di 1 MJ di elettricit dalla rete inglese necessita di un consumo di combustibili primari di circa 3,3 MJ mentre in Norvegia di 1,3 MJ.
Tabella 4 - Mix di combustibili primari impiegati per generare energia elettrica (lorda) in diversi paesi [Agenzia Internazionale per lEnergia]. Nazione I F N GB D E Idroelettrica 20,7 14,3 99,6 2,3 4,3 18 Nucleare 74,4 19,6 33,3 36,2 Carbone 7,3 7,4 67,3 48,9 38,6 Olio 50,7 2,1 0,4 8,6 2,4 5,5 Gas 17,7 1,6 1,7 10,1 1,4 Altri 3,6 0,2 0,5 1 0,3

E di conseguenza intuitivo pensare che il valore di Ep influenzi notevolmente i risultati di unanalisi energetica: pensando ad esempio allottenimento dellalluminio metallico dalla bauxite, i valori ottenibili di consumo totale di energia saranno ben diversi a seconda del mix energetico di riferimento. 1.5 Applicazioni dell'analisi energetica Dalla descrizione fatta appare chiaro come a seconda dei confini considerati, lanalisi energetica possa essere impiegata nei sistemi produttivi reali con diversi gradi di approfondimento. Di norma si considerano tre diversi livelli di analisi, sede di altrettanti campi di applicazione: globale; nazionale; aziendale. L'applicazione della metodologia di analisi energetica a livello globale ha come obiettivo principale quello di evidenziare problemi generali legati all'impoverimento delle fonti energetiche
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di tipo fossile e allimpatto ambientale dovuto soprattutto alle emissioni generate dai processi di combustione necessari per la trasformazione dell'energia. Lutilizzo razionale dellenergia, come gi evidenziato in precedenza, deve perci essere considerato con la massima attenzione quale uno degli strumenti pi validi per contenere la crescita dei consumi e per contribuire alla riduzione dellimpatto ambientale sia locale che globale. E questo il caso in cui senza dubbio necessario ricostruire la via percorsa dai materiali e dallenergia impiegata nel processo considerato per razionalizzarne limpiego. Questo modello di applicazione pu benissimo essere riconosciuto nella metodologia della LCA. A livello nazionale, e nel nostro caso in Italia, come gi discusso, lintero apparato produttivo in generale pesantemente dipendente dall'uso di combustibili fossili e risulta quindi vulnerabile all'interruzione dell'approvvigionamento. Questa vulnerabilit si inquadra certamente in un contesto internazionale caratterizzato da uno sforzo dei Paesi occidentali, cominciato a partire dai primi anni settanta, per aumentare la propria autonomia energetica e di diversificare la struttura della copertura della domanda e degli approvvigionamenti. Nel nostro caso, la mancanza fisica di giacimenti e la difficolt nel predisporre un'adeguata politica energetica, hanno negli anni aggravato la situazione: mentre le altre nazioni industrializzate a partire dagli anni '70 hanno via via diminuito la quota di dipendenza energetica dall'estero, in Italia si aggravata, quasi a dimostrare come questo problema non rientri tra gli obiettivi primari delle strategie organizzative del nostro Paese. In particolare, il nostro sistema industriale assorbe approssimativamente il 30% del consumo totale di energia, che nel 2000 stato di circa 184,8 Mtep (ENEA, 2001).
Tabella 1 - Bilancio energetico italiano nel 2000 [ENEA, 2001]. FONTI PRIMARIE Combustibili solidi Prodotti petroliferi Gas naturali Energia rinnovabile Saldo imp-exp energia el. TOTALE CONSUMO [106 TEP] 12,8 91,3 58,1 12,9 9,7 184,8 INCIDENZA [%] 6,9 49,4 31,4 7,1 5,2 100

Anche se solo in pochissimi casi possibile rimanere allinterno dei confini di una stessa nazione seguendo a ritroso il percorso dei flussi di energia, l'analisi energetica ha in questo caso lo scopo principale di contribuire allidentificazione dei settori industriali pi sensibili a tale approvvigionamento e di promuovere la ricerca di sistemi per la riduzione del consumo energetico stesso. Per quanto riguarda infine il livello aziendale, la valutazione del consumo energetico pu non interessare la parte indiretta riguardante l'ottenimento e il trasporto delle materie prime e dei prodotti energetici impiegati. Scopo dellanalisi sar quindi principalmente quello di valutare il consumo energetico diretto: il costo dell'energia infatti in molti casi dello stesso ordine di grandezza del costo del lavoro e delle materie prime impiegate per la produzione; studiando le diverse operazioni con particolare riguardo al costo di energia, di materiali e di manodopera, possibile proporre miglioramenti e quindi massimizzare l'efficienza sia energetica che economica della produzione. Uno degli esempi usuali di applicazione quello della ricerca del miglior compromesso fra il vantaggio energetico ed i cambiamenti che esso pu comportare (maggiori oneri di investimento, maggiore attenzione di esercizio, ...) in un'attivit industriale. Aggiungendo anche i parametri
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ambientali si arriva alla redazione di un vero e proprio ecobilancio, metodologia strettamente legata all'analisi energetica che si presta in maniera appropriata all'impostazione di una corretta gestione dei fattori produttivi ed ambientali a livello aziendale. 1.6 - Unit di misura e conversioni Nei paragrafi precedenti si spesso parlato di energia e delle sue unit di misura; in questo paragrafo ci occuperemo delle diverse unit di misura convenzionalmente impiegate per descrivere i consumi energetici e delle conversioni che le coinvolgono. Lunita di misura dellenergia adottata dal Sistema Internazionale e il Joule. 1 cal = 4,187 J 1 th (thermie) = 103 kcal = 4,187 MJ Convenzionalmente il potere calorifico inferiore (p.c.i.) del petrolio impiegato in Italia come fonte di energia valutato in 10.000 kcal/kg; possiamo quindi scrivere: 1 tep (tonnellata equivalente di petrolio) = 10.000.000 kcal introducendo il tep come unit di misura utile per poter fare delle comparazioni tra i combustibili delle diverse fonti energetiche si ricava: 1 tep 42.000 MJ Utilizzando invece il potere calorifico superiore (p.c.s.) del petrolio, si ottiene: 1 tep 45.000 MJ Come gi accennato nei capitoli precedenti, la scelta dellutilizzo del p.c.i. o del p.c.s. diventa fondamentale nellesecuzione dei calcoli energetici. In Tabella 6 sono riportati gli equivalenti energetici di alcuni prodotti combustibili: le conversioni sono state fatte a partire dal potere calorifico inferiore degli stessi.
Tabella 6 - Equivalente energetico di alcuni prodotti combustibili; valori indicativi in tep primari per unit fisica di prodotto [FIRE, 1994]. Gasolio olio combustibile Benzine carbon fossile Antracite Legna Lignite gas naturale 1 t = 1,08 tep 1 t = 0,98 tep 1 t = 1,2 tep 1 t = 0,74 tep 1 t = 0,7 tep 1 t = 0,45 tep 1 t = 0,25 tep 1000 Nm3 = 0,82 tep

Uno degli impieghi fondamentali dei combustibili fossili quello in centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica.

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In Italia lultimo P.E.N4. ha fissato in 2200 kcal/kWh il consumo medio di una centrale termoelettrica convenzionale (rendimento del 39% circa): 2200 kcal/kWh = 9,21 MJ/kWh = 0,00022 tep/kWh in altre parole, occorrono circa 220 grammi di petrolio equivalenti per produrre 1 kWh. Per limpiego dellenergia elettrica (siamo ora dal lato del consumatore) si adotta invece il coefficiente teorico di conversione di 860 kcal/kWh: 860 kcal/kWh = 3,6 MJ/kWh

2 - INTENSIT DUSO DELLENERGIA


Uno degli indicatori energetici pi usati quello che mette in rapporto il consumo energetico di un paese in un determinato periodo di tempo e il corrispondente valore economico del prodotto (P.I.L.). Lintensit energetica, considerato un tempo un indicatore del grado di industrializzazione (e sviluppo) di un paese, divenuto un indice di efficienza energetica: pu fornire un quadro del tipo di attivit produttiva di un paese (ad alto o basso assorbimento energetico), del livello tecnologico raggiunto, ... A livello mondiale la dinamica dellindicatore intensit energetica mostra una diminuzione progressiva: fino ai primi anni 70 la crescita del fabbisogno energetico faceva ipotizzare una correlazione diretta tra consumo di energia e prodotto interno. I due shock petroliferi hanno invertito la tendenza e contribuito a diffondere la cultura della necessit del risparmio e della razionalizzazione energetica che ha portato negli ultimi 20 anni alla diminuzione di circa l11% dellintensit energetica mondiale. La Tabella 7 riporta i dati della realt economico-energetica italiana dal 1983 al 2001. Attualizzando il P.I.L. ai prezzi 1990 (con apposita tabella) e trasformando tutti i valori di consumo energetico in unit omogenee (tep), si calcolano gli indici energia totale/P.I.L. ed energia elettrica/P.I.L. ottenendo i grafici di andamento dell'intensit energetica voluti (vedi Fig.3). 2.1 Efficienza fisica ed efficienza economica Gi nei paragrafi precedenti abbiamo parlato di efficienza del sistema di trasformazione dellenergia termica in energia elettrica; il termine efficienza viene usato per descrivere la prestazione di un sistema e in generale vuole indicare il massimo output possibile disponendo di risorse limitate; possiamo parlare allora di: efficienza fisica =

output input

< 1;

e di efficienza economica =

valore >1 cos to

che deve, a differenza della prima, essere necessariamente >1 affinch lattivit economica risulti ben riuscita.

Piano Energetico Nazionale

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Tabella 7 - Consumi di energia, PIL e valori di intensit energetica [fonte ISTAT, ENEL, ENEA] Anno Consumi energetici [Mtep] 139,5 143,4 146,2 147,7 153 157,5 162,2 163,4 166,7 168,2 166,6 165,2 172,6 172,8 175,5 179,1 183,1 184,8 184,8 Consumi di PIL Intensit energetica energia elettrica [Miliardi 1990] tep/miliardi lire MWh/miliardi [TWh] 1990 lire 1990 181 190,1 195 199,9 209,8 220,5 228,7 235,1 241 244,8 246,6 253,6 261 262,9 271,4 279,3 285,8 298,5 304,8 1.073.783 1.101.366 1.132.313 1.164.465 1.200.523 1.246.966 1.282.905 1.310.659 1.325.582 1.333.072 1.317.668 1.346.267 1.385.861 1.395.018 1.416.055 1.427.295 1.533.403 1.573.251 1.599.126 129,9 130,2 129,1 126,8 127,4 126,3 126,4 124,7 125,8 126,2 126,4 122,7 124,5 123,9 123,9 125,5 119,4 117,5 115,6 168,6 172,6 172,2 171,7 174,8 176,8 178,3 179,4 181,8 183,6 187,1 188,4 188,3 188,5 191,7 195,7 186,4 189,7 190,6

1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Energia / PIL
120,0 115,0 110,0

Energia elettrica / PIL

Numeri Indice

105,0 100,0 95,0 90,0 85,0 80,0 1983 1988 1993 1998

Figura 3 - Intensit energetica espressa in quantit di energia su ricchezza prodotta (PIL). I numeri indice (100 = 1983) mostrano come ad un aumento della necessit di energia elettrica corrisponda una diminuzione della richiesta complessiva di energia mettendo in evidenza un generico miglioramento dellefficienza delluso energetico.

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3 - LENERGY MANAGEMENT
Lenergia sicuramente una risorsa indispensabile per le aziende e la gestione accurata del suo impiego divenuta una funzione non trascurabile delle attivit di controllo aziendali. Lenergy management permette di individuare e controllare i consumi non intenzionali di energia e pu favorire risparmi sul costo dellenergia assolutamente non trascurabili. Tra gli strumenti a disposizione dellenergy manager lanalisi energetica riveste un ruolo fondamentale: attraverso il monitoraggio dei flussi di energia ed il confronto con standard di consumi per la definizione di un target possibile identificare eventuali consumi non intenzionali e studiare delle misure per ridurli al minimo. A livello aziendale una specifica organizzazione del lavoro deve: - assicurare un approvvigionamento continuo e sicuro di energia con costi minimi e secondo qualit predefinite; - minimizzare lentit dei consumi mettendo in atto tutte quelle tecniche per ridurre le perdite nei cicli produttivi assicurando contemporaneamente il massimo rendimento; - considerare il consumo di energia come variabile prioritaria per indirizzare la politica interna di investimenti.

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B12 - Life Cycle Assessment

B12 LIFE CYCLE ASSESSMENT


LAnalisi del ciclo di vita, conosciuta a livello internazionale come LCA (Life Cycle Assessment), pu essere considerata come levoluzione della tecnica di analisi energetica (cfr. B11), i cui primi esempi dapplicazione risalgono alla fine degli anni sessanta, quando alcune grandi industrie europee e nordamericane hanno incominciato a rivolgere un interesse particolare ai temi del risparmio delle risorse (energia e materiali) e del contenimento delle emissioni nellambiente1. Negli ultimi trentanni limportanza di questi temi cresciuta al punto che oggi essi sono al centro del grande dibattito sullambiente che interessa non solo il mondo scientifico ma tutta la societ civile coinvolgendo ogni forma di attivit antropica. Da questo emerge lattualit della LCA, la cui caratteristica fondamentale costituita dal modo assolutamente nuovo di affrontare lanalisi dei sistemi industriali: dallapproccio tipico dellingegneria tradizionale, che privilegia lo studio separato dei singoli elementi dei processi produttivi, si passa ad una visione globale del sistema, in cui tutti i processi di trasformazione sono presi in considerazione a partire dallestrazione delle materie prime fino allo smaltimento dei prodotti a fine vita. Questa impostazione di studio del sistema produttivo fa parte di una cultura pi ampia ed alternativa rispetto a quella che ha supportato il tradizionale modello di sviluppo industriale, vale a dire una cultura che pensa la produzione industriale nellottica del concetto di sviluppo sostenibile, fase basilare di un possibile nuovo modello di organizzazione e management non solo del sistema produttivo, i cui obiettivi fondamentali sono la conservazione delle risorse naturali e la minimizzazione degli effetti delle attivit antropiche sullambiente. I recenti provvedimenti e le iniziative di politica ambientale intraprese dalla Comunit Europea o da altri organismi europei (Regolamenti EMAS ed Ecolabel, Integrated Product Policy), lintroduzione delle Norme ISO della serie 14.000, e, in particolare, quelle delle serie 14.020 e 14.040 dedicate rispettivamente alle dichiarazioni ambientali di prodotto e alla LCA, hanno sicuramente costituito un ulteriore incentivo per le imprese a dotarsi di procedure di controllo e di verifica dei rendimenti energetico-ambientali dei propri processi, dallimplementazione di veri e propri sistemi di gestione ambientale (SGA) a richieste di etichette ecologiche sui propri prodotti o servizi, orientando di conseguenza la ricerca applicata ad elaborare nuove tecniche in grado di soddisfare tali esigenze.

1 - ORIGINI
Le origini dellanalisi del ciclo di vita possono essere collocate verso la fine degli anni 60, quando alcuni ricercatori che incominciavano ad occuparsi con criteri rigorosamente scientifici del problema del consumo di risorse nei processi industriali, con particolare riguardo a quelle energetiche, si resero conto che lunica strada efficace per studiare in maniera completa i sistemi produttivi fosse quella di esaminarne le prestazioni seguendo passo passo il cammino percorso dalle materie prime, a partire dalla loro estrazione dalla terra, attraverso tutti i processi di trasformazione e di trasporto che esse subiscono, fino al loro ritorno alla terra sotto forma di rifiuti: lapproccio che in inglese viene definito from cradle to grave, e cio dalla culla alla tomba, o anche dalla culla alla culla se si comprende anche il rientro in circolo dei materiali a fine vita. Questo approccio costituiva, in effetti, unassoluta novit, poich, nello studio inteso a migliorare le prestazioni di un sistema industriale, era lintera catena produttiva che veniva presa in considerazione, mentre fino ad allora, specialmente da parte degli ingegneri, i miglioramenti
1

In queste pagine si vuole fornire una descrizione generale della metodologia che viene dettagliatamente illustrata nel testo Baldo, Badino; LCA Uno strumento per lanalisi energetica e ambientale; Milano; 2000 199

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dellefficienza erano stati costantemente ricercati concentrando lattenzione sui singoli componenti dei processi produttivi. In tal modo non ci si era preoccupati del fatto che spesso i miglioramenti ottenuti con questo criterio sono solo apparenti. Una singola operazione industriale si pu, infatti, rendere pi efficiente a spese di altre, o pi pulita semplicemente trasferendo linquinamento altrove, ma non si tiene conto del fatto che i benefici ottenuti localmente possono essere controbilanciati dai problemi che di conseguenza si generano in altri luoghi, con il risultato finale di non ottenere nessun reale miglioramento o addirittura di peggiorare il bilancio generale. E a partire dai primi anni 70 che possibile trovare i primi esempi di analisi del ciclo di vita utilizzate come supporto alle decisioni soprattutto da alcune grandi aziende statunitensi, dallAgenzia per la protezione dellambiente americana (EPA, Environmental Protection Agency), nonch da alcuni produttori inglesi di bottiglie. Nel caso delle ricerche nordamericane, si trattava di studi svolti sotto il nome di REPA, Resource and Environmental Profile Analysis, che avevano come obiettivo la caratterizzazione del ciclo di vita di alcuni materiali impiegati in importanti produzioni industriali. Tra le diverse ricerche REPA prodotte nel periodo 1970-1990, merita ricordare quelle commissionate dalla Coca Cola Company e dalla Mobil Chemical Company al Midwest Research Institute: la prima intendeva determinare le conseguenze ambientali della produzione di diversi tipi di contenitori per bevande allo scopo di identificare quale materiale (plastica, vetro o alluminio) e quale strategia di impiego a fine vita del contenitore (a perdere o a rendere) fosse energeticamente ed ecologicamente migliore; la seconda, era intesa a stabilire se i fogli in polistirene utilizzati per incartare prodotti alimentari fossero pi o meno eco-compatibili dei concorrenti fogli di carta. Le crisi petrolifere erano ancora di l da venire, ma la consapevolezza di stare sfruttando a ritmi sempre pi elevati risorse energetiche finite era gi sufficientemente sviluppata, tanto da indurre studiosi e ricercatori del mondo accademico e industriale ad affrontare temi riguardanti lo sfruttamento delle risorse e i conseguenti effetti sullambiente. I successivi allarmi lanciati da molti scienziati sulla limitatezza delle risorse e sui crescenti livelli di inquinamento, la pressione dellemergente movimento ambientalista ed i fatti contingenti di quel periodo (crisi energetiche e problema crescente della destinazione dei rifiuti), hanno poi decisamente incentivato in maniera determinante lo sforzo comune per la messa a punto sia di metodologie sia di strumenti che potessero in qualche modo correggere lapproccio della teoria economica classica a questo tipo di fenomeni, portando, e siamo ormai verso la fine degli anni ottanta, alla nascita del concetto di sviluppo sostenibile (Figura 1).
Resource and Environmental Profile Analysis (REPA) [USA, fine anni 60]

interesse su ogni tipo di emissione


interesse sui rifiuti solidi Inventario

movimento verde (anni 80) crisi petrolifere (anni 70)

S E T AC
[1990]
Interpretazione Miglioramento

Co n c e t t o d i L CA
Energy Analysis (EA) [Europa, inizio anni 70]

Le tre fasi principali della moderna LCA

Modello di sviluppo sostenibile [fine anni 80]

1996-97

Figura 1 - Origini metodologiche e sviluppo della LCA.

Da quel momento in poi, la messa a punto della metodologia LCA ha ricevuto una grande spinta propulsiva in quanto apparso chiaro come lapproccio di tipo REPA o analisi energetica (nella letteratura anglosassone indicate con cumulative energy analysis o life cycle energy), con le

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dovute integrazioni e miglioramenti, fosse quello che meglio si prestava a supportare le attivit produttive nella nuova interpretazione del concetto di sviluppo. Il termine LCA venne infine coniato solo durante il Congresso SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) di Smuggler Notch (Vermont - U.S.A.) del 1990, per meglio caratterizzare lobiettivo delle analisi fino allora svolte sotto il nome di REPA o cumulative energy analysis.

2 - LE FASI DI UNA LCA


La struttura moderna della LCA sintetizzabile in quattro momenti principali che costituiranno il punto di riferimento per gli interventi su un processo di produzione esistente o per il progetto di un nuovo prodotto Prima di illustrare pi nel dettaglio le varie fasi individuate nello schema di Figura 2, occorre ripetere che lapproccio metodologico per sua natura di tipo dinamico ed iterativo e, come si intuisce, la parte fondamentale quella della disponibilit dei dati e delle informazioni necessarie allo sviluppo dei calcoli. Via via che si approfondisce lanalisi, nuovi dati potranno poi sostituire o aggiornare i vecchi, richiedendo la revisione dei calcoli stessi.

Figura 2 - La struttura della LCA proposta dalla ISO 14.040.

2.1 Fase 1: definizione degli scopi Questa la fase preliminare in cui vengono definiti le finalit dello studio, lunit funzionale, i confini del sistema studiato, il fabbisogno di dati, le assunzioni ed i limiti. A questo proposito la ISO 14.041 afferma che [] gli obiettivi e gli scopi dello studio di una LCA devono essere definiti con chiarezza ed essere coerenti con lapplicazione prevista. Lobiettivo di una LCA deve stabilire senza ambiguit quali siano lapplicazione prevista, le motivazioni che inducono a realizzare lo studio e il tipo di pubblico a cui destinato, cio a quali persone si intendono comunicare i risultati dello studio []. In pratica, ad esempio, per unazienda lobiettivo di uno studio LCA potrebbe essere quello di confrontare diversi processi che generano prodotti aventi la medesima funzione al fine di conoscere quale di questi sia migliore da un punto di vista energetico e ambientale: il confronto tra i basamenti motore in ghisa e quelli in alluminio per autovetture dello stesso segmento di mercato costituisce un esempio di questo tipo di applicazione. Inoltre, dalle finalit e dalle esigenze dellutilizzatore dellanalisi discendono alcune caratteristiche fondamentali dello studio: i confini del sistema da analizzare, le eventuali alternative

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da considerare, l'integrazione con aspetti non ambientali, la qualit dei dati e la scelta dei parametri, l'estensione della fase di valutazione e di miglioramento, il livello di dettaglio a cui arrivare. Per quanto riguarda i confini della ricerca, questi vengono definiti con unoperazione che richiede una cura particolare nella parte iniziale della fase di inventario. Tale definizione avviene a seguito di unaccurata descrizione del sistema in esame e della costruzione del diagramma di flusso del ciclo produttivo, effettuate allo scopo di pianificare la raccolta dei dati e delle informazioni. In molti casi, specifica esigenza di chi commissiona lanalisi escludere gi a priori lo studio di determinate fasi dellintero processo produttivo: tipiche sono le analisi dallingresso dello stabilimento alla tomba e, analogamente, dalla culla alluscita dallo stabilimento (from cradle to gate) se linterruzione dellanalisi del ciclo di vita avviene al termine del processo produttivo. In questo ultimo caso si soliti parlare di ecoprofilo. Concludendo, per riassumere i punti fondamentali di questa prima parte dello studio, si pu ricordare che devono essere definiti: le finalit dello studio, quindi le ragioni per le quali si svolge lanalisi; i confini del sistema, quindi i processi da considerare nello studio; lunit funzionale a cui riferire i risultati (ad esempio energia per kg di acciaio prodotto). 2.2 Fase 2: inventario (Life Cycle Inventory, LCI) Pur senza avere la pretesa di entrare nel dettaglio di questa fase, possibile affermare che lanalisi di Inventario il momento pi importante e delicato di una LCA, nel quale si procede alla costruzione di un modello della realt in grado di rappresentare nella maniera pi fedele possibile tutti gli scambi tra le singole operazioni appartenenti alla catena produttiva (e distruttiva) effettiva: la Figura 3 fornisce unidea di quali siano le operazioni da considerare in questo processo di modellizzazione.

Consumo di mat erie prime

Consumo di energia

Produzione At t ivit di recupero di mat eria Dist ribuzione At t ivit per il riuso Fine vit a At t ivit per il recupero energet ico

RECUPERO DI MATERIALE

Discarica

RECUPERO ENERGETICO

Figura 3 - Lo schema da considerare per lo svolgimento di uno studio LCA

Obiettivo di questa parte dellanalisi quindi quello di raccogliere e di gestire le informazioni relative ai consumi energetici e di risorse naturali, oltre che alla produzione di rifiuti, emissioni nellambiente. Tali dati saranno opportunamente aggregati al fine di determinare quali siano i carichi energetici ed ambientali riferibili allunit funzionale scelta. Rimandando a testi pi specifici le molte sfumature della fase di calcolo, si ritiene tuttavia importante fare alcune precisazioni.
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Innanzitutto i dati utilizzati per questi scopi possono essere suddivisi in dati primari e dati secondari: generalmente, in uno studio LCA, con la dicitura dati primari si intendono quei dati che sono stati raccolti sul campo e che quindi garantiscono il migliore grado di rappresentativit del sistema analizzato; per dati secondari si intendono invece i dati che sono stati utilizzati per completare il modello del sistema in esame e sono stati reperiti da banche dati o da studi precedentemente svolti e pubblicati. Normalmente, tali dati riguardano la produzione dellenergia, con particolare riferimento ai mix energetici dei paesi considerati, la produzione dei materiali utilizzati nei processi indagati nonch i trasporti coinvolti. Sulla base di questo intuibile il fatto che lo svolgimento di questi studi non possa essere fatto senza lausilio di opportuni software che garantiscano sia il supporto per il calcolo vero e proprio, sia la base di dati per quanto riguarda le informazioni di tipo secondario. Uno dei software pi completi quello messo a punto dallinglese Ian Boustead che dai primi anni 70 si occupa di studi LCA e che fondando la Boustead Consulting Ltd. ha messo in commercio il Boustead Model 4.32. In definitiva le aggregazioni di informazioni effettuate in questa fase permettono di ottenere dei dati idonei a definire le performance energetiche ed ambientali del sistema che si sta analizzando. A titolo di esempio nelle Figure 4 e 5 si riportano tipici risultati della fase di LCI.

Figura 4 - Esempio di risultati della fase di Inventario: il GER per la produzione di 1 kg di polipropilene (Fonte Boustead Model 4.3)

Figura 5 - Esempio di risultati della fase di Inventario: le emissioni in aria causate dalla produzione di 1 kg di polipropilene (Fonte Boustead Model 4.2)

www.boustead-consulting.co.uk 203

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2.3 Fase 3: Life Cycle Impact Assessment I risultati ottenuti nella fase di LCI sono la base per la fase di studio dell'impatto ambientale provocato dal processo o attivit che ha lo scopo di evidenziare lentit delle modificazioni generate a seguito dei rilasci nellambiente e dei consumi di risorse calcolati nellInventario. Questo compito risulta essere tuttaltro che semplice, specialmente per quanto riguarda le conseguenze delle emissioni nellambiente, a causa dei problemi oggettivi dindividuazione e interpretazione scientifica delle correlazioni fra queste e gli effetti ambientali. Le discipline che studiano gli effetti dellattivit antropica sullambiente sono infatti di sviluppo recente e per questo ancora caratterizzate da diverse difficolt, legate soprattutto allinterpretazione rigorosa di questi effetti e alla formulazione di modelli di previsione scientificamente accettabili (questo vale in particolare per gli effetti a scala mondiale come il riscaldamento globale e lassottigliamento della fascia di ozono). Entrando un po pi nel dettaglio della metodologia, opportuno chiarire il significato che si intende attribuire al termine impatto per interpretarne correttamente i rapporti con gli effetti ambientali: nel contesto della LCA un impatto il risultato fisico immediato di una data operazione, consistente in particolare nellemissione di certe sostanze. Un impatto associato ad uno o pi effetti ambientali: ad esempio, la CO2 emessa durante la combustione di un certo quantitativo di carbone rappresenta un impatto che contribuisce alleffetto serra. Ora, dato che per quanto detto non possibile correlare inequivocabilmente uno specifico impatto con i suoi effetti ambientali, ci si deve limitare ad affermare che limpatto ci che prelude ad un effetto, senza pretendere di poter quantificare rigorosamente il secondo sulla base del primo. In definitiva mentre possiamo ottenere il valore numerico degli impatti dai risultati della fase di Analisi di Inventario, i corrispondenti effetti ambientali potranno solo essere stimati sulla base di ipotesi e convenzioni da stabilire. Per quanto detto sar quindi opportuno definire a priori delle categorie di effetti ambientali cui associare gli impatti generati dalle attivit del sistema che si sta analizzando: alcuni di questi effetti possono ad esempio essere leffetto serra, lacidificazione, la formazione di smog fotochimico. Per questi effetti sar inoltre da definire la scala di influenza che questi hanno sul territorio (globale, regionale o locale). La struttura generale di una LCIA composta da una prima fase obbligatoria, nella quale si convertono i risultati della fase di LCI in opportuni indicatori utilizzabili direttamente o come base di successive valutazioni opzionali della LCIA. Ognuna delle fasi inoltre suddivisa in ulteriori elementi; ad esempio la sequenza delle operazioni che costituiscono la fase obbligatoria : la selezione degli effetti e dei relativi indicatori ambientali; lassegnazione dei risultati della fase di LCI agli effetti ambientali scelti (classificazione); il calcolo degli indicatori di categoria (caratterizzazione). Importante poi definire il criterio di valutazione da adottare, e cio il criterio in base al quale collegare questi numeri ai corrispondenti giudizi di valore sulla maggior o minor gravit dellimpatto. Questo viene effettuato nella seconda fase della Life Cycle Impact Assessment che, indicata come opzionale, composta da ulteriori elementi tra i quali figurano: confronto degli indicatori ambientali calcolati con dei valori di riferimento (normalizzazione); determinazione e confronto dellimportanza dei singoli effetti ambientali (pesatura). Da un punto di vista pratico si osserva che le due parti dello svolgimento della prima fase di una LCIA (classificazione e caratterizzazione) sono piuttosto semplici in quanto universalmente accettate nel mondo scientifico che si occupa della metodologia. In questa fase si tratta, ad esempio, di determinare quali siano le emissioni generate che contribuiscono alleffetto serra calcolando un
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coefficiente espresso in kg di CO2 equivalente che permetta di riassumere leffetto serra potenziale globale generato dal processo (Tabella 1). Nella seconda fase, invece, si tratta di utilizzare delle metodologie che permettano di sommare gli effetti generati pesandone limportanza. In pratica, una volta calcolati i singoli effetti potenziali si tratta prima di stabilire quali di questi sia il pi importante (tramite lassegnazione di un peso) e poi di aggregare le informazioni in un unico dato numerico che dovrebbe definire le performance del sistema. intuibile il motivo per cui questa seconda parte della metodologia sia scientificamente piuttosto discutibile, dal momento che per molti aspetti si basa su considerazioni soggettive.
Tabella 1 - Risultati della classificazione e caratterizzazione di alcuni processi tipici. I valori sono medi e sono ricavati dalla banca dati del Boustead Model 4.2 Raffinazione Produzione di di 1 kg di 1 kg di petrolio (circa alluminio 43 MJ) primario 600 8 28 4 9.850 136 7 104 Produzione di 1 Produzione di 1 kg di bottiglie da 1 MJ di energia l in PET (200 elettrica in bottiglie circa) Italia 3.520 50 10 35 170 4 1 2

Indicatori di categoria

GWP100 [g CO2] Acidificazione potenziale [g SO2] Fotosmog [g C2H4] Eutrofizzazione [g NO3-]

2.4 Fase 4: Interpretazione e miglioramento La fase di miglioramento la parte conclusiva di una LCA nella quale lo scopo quello di proporre i cambiamenti necessari a ridurre limpatto ambientale dei processi o attivit considerati, valutandoli in maniera iterativa con la stessa metodologia in modo da non attuare azioni tali da peggiorare lo stato di fatto.

3 - ALCUNI ESEMPI DI APPLICAZIONE


Come detto, la LCA nasce con lobiettivo di approfondire la conoscenza dei processi industriali ma negli ultimi tempi il campo di applicazione si allargato anche ad altri scopi. Per quanto riguarda le applicazioni tradizionali, oltre alle prime attivit indicate nel breve excursus storico, si possono citare alcuni progetti in cui la LCA stata lo strumento principale di analisi: confronto basamenti in ghisa e alluminio per motori: lo studio ha permesso di determinare che da un punto di vista energetico la produzione di alcuni tipi di basamenti motore in alluminio conveniente, rispetto a quelli tradizionali in ghisa, soltanto quando la percentuale di alluminio secondario supera il 50% in peso; analisi delle resine a base bitume-polimero: lo studio ha quantificato la riduzione degli impatti ambientali, soprattutto nei confronti delleffetto serra, che laumento della percentuale di polimero riciclato nella mescola iniziale pu provocare; analisi della produzione di unautovettura: lo studio ha quantificato gli impatti energetici ed ambientali causati dalla produzione di unauto confrontandoli con quelli causati dallanaloga produzione collocata in un diverso mix energetico; studio della produzione di un telefono; in questa occasione si analizzata la produzione di un apparecchio telefonico (Sirio 2000 della Telecom) valutando il miglioramento delle
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performance ambientali del sistema nel caso di utilizzo di alcuni componenti riciclati, nel caso specifico la plastica del guscio (Figura 6).

Guscio

Scheda

Imballaggio

Eco-Sirio

Sirio 2000 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

MJ per telefono

Figura 6 - Risultati della LCA dellapparecchio telefonico Sirio 2000: si nota la riduzione dei consumi energetici (GER) dovuta allutilizzo di plastica riciclata nella produzione del guscio.

Come detto, recentemente lapplicazione della metodologia si diffusa anche in settori (costruzioni, servizi, smaltimento dei rifiuti) e per scopi diversi (Ecolabel, Sistemi di Gestione Ambientale, ecc.). Un primo esempio di nuove applicazioni legato allapplicazione al settore delle costruzioni dove nata la disciplina del Life Cycle Design (Eco-design, Design for Environment) che , in questa visione, costituito dallinsieme delle discipline che possono portare a questo obiettivo tenendo conto oltre che delle consuete variabili (tecniche, economiche, ...) anche dei parametri forniti da preventive analisi di ciclo di vita. Tra i progetti recentemente sviluppati in questo settore si pu citare quello relativo alla costruzione del Sydneys Olympic Stadium per i Giochi Olimpici del 2000 dove le attivit di progettazione e costruzione sono state supportate da esperti in campo LCA per rendere il pi veritiero possibile lo slogan Green Games adottato dagli organizzatori della manifestazione3. Dallo studio stato possibile dimostrare come un progetto integrato dallanalisi LCA risultasse preferibile ad uno di tipo convenzionale per tutta una serie di parametri, tra i quali il consumo di energia sia diretta che totale (diretta + indiretta), lemissione di gas serra, il consumo di acqua e la produzione di rifiuti solidi lungo lintero arco di vita dellopera, demolizione compresa (Figura 7). Il consumo energetico per lesercizio e la manutenzione in un arco di vita di 50 anni dello stadio conta per circa l80% del consumo complessivo di ciclo di vita, mentre, a livello di consumi di materie prime, lacqua costituisce la parte pi rilevante tra i materiali utilizzati (circa il 75% in massa, di cui un terzo potabile e un terzo raccolta in sito). Questi due elementi da soli forniscono unidea di come le scelte di progetto possano avere una ricaduta sostanziale sulluso di risorse limitate come lenergia e lacqua.

www.olympics.com/eng/about/green 206

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Progetto convenzionale
Emissioni di gas serra Consumo energetico complessivo 0% 25%

Progetto ecocompatibile

50%

75%

100%

Figura 7 - Confronto in termini percentuali del consumo di energia diretta e delle emissioni di gas serra tra il progetto assistito dallanalisi LCA e quello convenzionale.

Una ulteriore applicazione che si vuole citare la Integrated Product Policy (IPP) che risulta una tra le ultime novit in tema di politica ambientale dei prodotti a livello mondiale. Si tratta delloccasione per rivedere le politiche ambientali messe in atto da organizzazioni come la OECD, la Commissione sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e le Commissioni sullambiente della Comunit Europea alla luce delle esperienze maturate negli ultimi dieci anni. La nuova politica sui prodotti e sui servizi che si intende impostare nei prossimi anni sar principalmente tesa a fornire le massime garanzie ai consumatori: lapproccio per valutare le performance ambientali sar tipicamente di ciclo vita (life-cycle thinking) e lobiettivo a breve scadenza risiede nellintegrazione tra di tutti gli altri strumenti di tipo ambientale a disposizione delle istituzioni, dei produttori e dei consumatori. In particolare, la Comunit Europea sta studiando la possibilit di passare da una regolamentazione per singoli settori (sui rifiuti, sulle acque, sullaria, ecc.) ad una basata sullintegrazione di tutti i fenomeni che accompagnano il ciclo di vita di un prodotto. I passi principali che hanno caratterizzato questo percorso possono essere riassunti nei seguenti eventi: uno studio commissionato dalla EC DGXI nel 1998 che ha evidenziato cinque principi base dellIPP: 1. trasmissione delle informazioni ambientali rilevanti sullintera catena produttiva; 2. gestione dei rifiuti; 3. creazione di un mercato per i beni verdi; 4. sviluppo dei beni e servizi che portano ad un provato miglioramento dellambiente; 5. allocazione delle responsabilit lungo lintero ciclo di vita di un prodotto; il meeting informale dei Ministri dellAmbiente della Comunit Europea, tenutosi a Weimar nel Maggio 1999; alcuni workshop sullargomento tenutosi a Bruxelles nel Dicembre del 1998, a Berlino nel Febbraio del 2000 e a Stoccolma sempre nel Febbraio del 2000; lIPP Greenbook della Commissione Europea distribuito nellanno 2000. Nello strumento IPP risiedono dunque molte speranze di veder attuate in maniera integrata tutte le iniziative a carattere ambientale che possono essere applicate lungo il ciclo di vita di un prodotto, con il chiaro intento di coinvolgere direttamente i consumatori e tutti i cosiddetti stakeholders, cio tutti coloro che hanno un qualche interesse economico-finanziario nelle stesse iniziative.

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