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DALI’ ALL’ARTE DEL GOSSIP: PITTORI, MOGLI E

MOSTRI SACRI VISTI DAL BUCO DELLA SERRATURA


Antonio Monda per Repubblica

Dopo quindici anni di lavoro ininterrotto su A life of Picasso, John Richardson ha


dato alle stampe una raccolta di vent’otto ritratti di artisti e personalità di
primissimo piano (Sacred Monsters, Sacred Masters, Random House, pagg.364, $ 27.95)
che è diventata rapidamente un best seller, ed ha finito per allungare i tempi di
pubblicazione del terzo volume della monumentale biografia di Picasso, definita da
Robert Hugues «a masterpiece in the making». Dai tempi in cui ha diretto la sede
newyorkese di Christie´s, Richardson ha raccolto nella sua casa sulla Quinta Avenue
un´impressionante galleria di opere d´arte che definisce "accumulazione" e non
collezione. Un enorme poster del libro è appoggiato tra un quadro di Picasso
dedicato al «caro John» ed un suo ritratto realizzato da Lucian Freud. Tra le tante
opere di cui è disseminata la casa è quella a cui sembra più affezionato, e ne
spiega il motivo con un sorriso malizioso: «è servito da modello per il ritratto
che Lucian ha fatto alla regina Elisabetta».

Richardson sa alternare con invidiabile nonchalance i racconti vissuti in prima


persona con i suoi amici Lucian, Pablo, Truman, Andy, Greta e Salvador all´analisi
accurata di artisti come Manet e Braque, che ha studiato per anni e ai quali ha
dedicato dei libri importanti. Ha compiuto da poco 78 anni, e non vuole resistere
al piacere del ricordo privilegiato: «Braque è l´artista che mi ha colpito
maggiormente dal punto di vista umano. Criticamente è stato oscurato dalla
contemporaneità con Picasso, ma era un artista di primissimo ordine, e la sua
ultima, meravigliosa produzione è tutta da riscoprire».
La sua stima è dimostrata dal fatto che si tratta di uno dei pochi artisti su cui
si limita quasi esclusivamente ad un´appassionata analisi critica. Altrove
prevalgono le rivelazioni imbarazzanti.
«Ho cercato solo di raccontare cose autentiche che altrimenti non verrebbero
rivelate».

Lei racconta Peggy Guggenheim come una donna annoiata, affamata di sesso e
incompetente in fatto di arte.
«Ho detto semplicemente la verità. Ma Peggy poteva essere una donna anche molto
divertente».
Sarà, ma lei la descrive come un "clown triste".
«Era la prima a considerarsi un clown. In The Cicerone, il romanzo che Mary
McCarthy ha scritto su di lei è definita una "persona che scivola costantemente
sulle bucce di banana della vita". Nella realtà era molto diversa dalla grande
esperta d´arte che si vantava di essere. Peggy si è trovata al posto giusto nel
momento giusto, con una grande disponibilità di soldi e degli ottimi consiglieri.
Non le ho mai sentito dire nulla di particolarmente illuminante su un quadro se non
che era stata a letto con l´artista, e i suoi giudizi erano soprattutto sulle loro
prestazioni erotiche. C´era qualcosa di profondamente superficiale in tutta la sua
esistenza, e lei da un certo momento in poi ha cominciato a prendere sul serio la
sua stessa leggenda».

Non può negare quanto ha fatto per molti artisti, come ad esempio Max Ernst e
Jackson Pollock.
«Ernst era il marito e Pollock l´amante. E non creda che fosse una mecenate:
Pollock era stipendiato con centocinquanta dollari al mese».
E´ vero che era molto misogina?
«Era una persona che diceva "non mi piacciono le donne. Preferisco al limite gli
omosessuali"».
Il ritratto che lei fa della Garbo va ben oltre la misoginia, e conferma il mito
della sua omosessualità.
«Nella relazione che aveva con Cecil Beaton era lei ad interpretare il personaggio
maschile. Cecil le scriveva lettere intestate "Dear Sir or Madam"».
Era un vero amore?
«Certamente da parte di Cecil. Lei era innamorata esclusivamente di se stessa, ed
erano entrambi bisessuali. Per molti versi era un unione perfetta, che si
interruppe perché Cecil aveva la debolezza di pubblicizzarla in ogni occasione».

Gran parte degli artisti che lei racconta sembrano condannati all´infelicità.
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«Un vero artista sacrifica tutto sull´altare della propria arte».
Molti suoi ritratti ci consegnano nel privato degli uomini terribili.
«E´ una equazione che non si può applicare meccanicamente, ma che spesso è vera. Ma
bisogna fare attenzione: ad esempio su Picasso è stato detto che era avaro,
infantile, violento e bestemmiatore. E´ tutto vero, ma era anche generoso, saggio e
delicato. L´ho visto trattare le donne con volgarità e squisitezza, freddezza e
passione... Per quanto riguarda la religiosità, sua moglie diceva che era più
cattolico del Papa, e non dimentichiamo che ha dipinto la prima Crocifissione del
Novecento. Anche questa ambivalenza è una caratteristica tipica di alcuni grandi
artisti. Voglio aggiungere che era uno degli uomini più spiritosi che abbia mai
conosciuto, come del resto Lucian Freud».

Nei suoi racconti fa impressione il numero di suicidi.


«Sono casi molto diversi, che tuttavia non possono che far riflettere su vite
estreme, segnate da elementi dolorosi, nei quali le passioni sono state frustrate.
Pensi a Pablito Picasso, figlio di Paulo, unico figlio legittimo di Pablo,
ostracizzato sin dalla nascita dalla famiglia. Quando non gli fu permesso di
assistere al funerale del nonno, ha inghiottito una bottiglia di varechina ed è
morto dopo tre mesi di agonia. La vicenda di Bonnard non è meno triste: Renee era
la modella per cui aveva lasciato la compagna Marthe dopo 20 anni di vita insieme.
Quando si rese conto che non l´avrebbe sposata, Renee si tolse la vita, e Bonnard
tornò da Marthe. La sposò e divise con lei i suoi terribili problemi psicologici,
che la portarono a vivere gran parte del resto della vita in una vasca da bagno.
Pochi mesi prima di morire Bonnard dipinse un quadro nel quale Renee oscura
Marthe».

Il mondo che racconta è anche pieno di omicidi, tradimenti e processi.


«E´ il mondo in cui viviamo. Fa più impressione perché si parla di gente famosa e
piena di talento. Mi ha sempre colpito quanto poco si sia parlato di Nina
Kandinsky, strangolata a Gstaad da un uomo che probabilmente conosceva, che la
derubò di una collana dal valore miliardario. Per quanto riguarda i processi, il
più eclatante è quello intentato da Felix Klee per riappropriarsi dell´eredità del
padre, dopo che Rolf Burgi ed altri collezionisti d´arte avevano tentato di farlo
fuori approfittando del fatto che si erano perse le sue tracce alla fine della
guerra. Per poter continuare a lavorare in teatro Felix non era espatriato in
Svizzera con il padre, e perfino la madre Lili non sapeva che fine avesse fatto.
Pur odiando Hitler, accettò le condizioni dei nazisti, ma questa sua scelta,
drammaticamente sbagliata, fu l´elemento tentato da quegli affaristi per
espropriarlo di un´eredità miliardaria».

Con l´eccezione di Lili Klee, gran parte delle mogli degli artisti sono raffigurate
in una luce ambigua. Penso in particolare a Gala Dalì.
«Era un mostro. Conoscerla significava odiarla».
Aveva davvero simpatie naziste?
«Era una donna priva di alcuna morale, capace di fingersi nazista per opportunismo.
Gli unici suoi interessi erano il denaro ed il sesso. Avida Dollars, il terribile
soprannome coniato da Breton anagrammando il nome di Dalì è dovuto soprattutto a
lei. Era anche una ninfomane, capace di pagare cifre elevatissime per assicurarsi
una notte con un giovane».
Come reagiva Dalì?
«Era un voyeur e spesso la incoraggiava. Si ribellava solo quando Gala andava a
letto con i suoi amanti».

Andy Warhol è sempre stato associato ad un mondo scandaloso, ma il ritratto che lei
ne dà è totalmente diverso.
«Era un cattolico devoto e di pochissime parole, che andava in Chiesa quasi ogni
giorno. Una lettura attenta della sua arte evidenzia questo aspetto, come ha notato
Jane Dillenberger nel suo saggio critico. La sua fede era attiva anche nelle opere:
sono stato testimone di molti gesti di carità, ed ho visto la commozione tra i
partecipanti al suo funerale alla cattedrale di Saint Patrick».
Uno dei capitoli del libro si apre con una citazione di Oscar Wilde: tutta la
brutta arte è il risultato di buone intenzioni.
«Pensavo in particolare alle opere che Picasso realizzò per il partito comunista.
Le realizzò in buona fede, ma i risultati furono i peggiori della sua carriera».

Dagospia.com 3 Aprile 2002

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