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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA"

Sede di Viterbo
II° Facoltà di Medicina e Chirurgia

Laurea Specialistica Biennale in


Scienze delle professioni sanitarie tecniche diagnostiche

Il rischio da radiazioni non ionizzanti :


sicurezza e qualità nelle aziende sanitarie
alla luce del D.Lgs 81/2008

Relatore:
Prof. Leonardo Chiatti
Studente:
Stefano Piccardi

Anno Accademico: 2008/2009


Indice

Introduzione 5

Capitolo I
Principi fisici delle Radiazioni non ionizzanti (NIR) e loro interazione con i tessuti biologici
1.1 Le radiazioni non ionizzanti 10
1.2 La carica elettrica 12
1.2.1 Il campo elettrico 12
1.2.2 Il potenziale elettrico 13
1.2.3 Il campo magnetico 14
1.2.4 Le onde elettromagnetiche 15
1.2.5 Campo vicino e campo lontano 17
1.2.6 Interazione dell’energia elettromagnetica: effetti biologici ed effetti sanitari 19
1.2.7 Restrizioni di base e livelli di riferimento dell’ICNIRP 25
1.2.8 La classificazione IARC 27
1.2.9 La questione degli effetti a lungo termine 28
1.3 Radiazioni ottiche coerenti (Laser) 30
1.3.1 Emissione spontanea e stimolata 30
1.3.2 Inversione di popolazione 31
1.3.3 Struttura di un laser 31
1.3.4 Proprietà della luce laser 32
1.3.5 Interazione laser-tessuti biologici 33
1.3.6 Scattering 33
1.3.7 Modalità di interazione 34
1.3.8 Laser in medicina: Tipo di emissione 37
1.3.9 Modalità di trasmissione della radiazione laser 38
1.3.10 Modalità di applicazione del fascio laser 40
1.3.11 Parametri applicativi 42
1.3.12 Classificazione dei laser per uso medico 43
1.3.13 Applicazioni chirurgiche e terapeutiche 45
1.4 Radiazioni ottiche non coerenti (Radiazione Ultravioletta) 47
1.4.1 Le sorgenti della radiazione ultravioletta 47
1.4.2 Rischi e benefici 51
1.4.3 Principali applicazioni delle sorgenti UV in medicina 54

Capitolo II
Il quadro normativo alla luce del D.Lgs 9 aprile 2008 n. 81
2.1 Introduzione 56
2.2 I principi fondamentali del Capo I del Titolo VIII, e la loro rilevanza
nei confronti della protezione dai campi elettromagnetici 57
2.3 Le disposizione specifiche del Capo IV - Protezione dei lavoratori dai
rischi di esposizione a campi elettromagnetici 62
2.4 Le disposizione specifiche del Capo V - Protezione dei lavoratori dai
rischi di esposizione a radiazioni ottiche 70

Capitolo III
Valutazione dei rischi e finalità dei controlli
3.1 Prevenzione dei rischi da esposizione a CEM in terapia fisica 76
3.1.1 Magnetoterapia 76
3.1.2 Marconiterapia 77
3.1.3 Radarterapia 78
3.1.4 Ipertermia 79
3.1.5 Individuazione dei soggetti esposti 81
3.1.6 Rischi per gli utenti 81
3.1.7 Rischi per i lavoratori 82
3.1.8 Rischi per la popolazione 82
3.1.9 Misure di prevenzione e protezione 83
3.1.10 Valutazione dei livelli di esposizione 84
3.1.11 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature 85
3.1.12 Verifica sistemi di segnalazione e di sicurezza 85
3.1.13 Caratteristiche delle apparecchiature 85
3.1.14 Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) 86
3.1.15 Riferimenti normativi riguardanti l’esposizione dei lavoratori e della popolazione 86
3.1.16 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza 90
3.2 Prevenzione dei rischi da esposizione laser 92
3.2.1 Individuazione dei soggetti esposti 93
3.2.2 Individuazione dei rischi nell’utilizzo del laser 93
3.2.3 Misure di prevenzione e protezione 96
3.2.4 La formazione dei lavoratori addetti 97
3.2.5 Valutazione dei livelli di esposizione 98
3.2.6 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature laser 99
3.2.7 Verifica prestazioni di funzionamento delle apparecchiature 99
3.2.8 Verifica dei sistemi di segnalazione e sicurezza 99
3.2.9 Caratteristiche delle apparecchiature 100
3.2.10 Uso dei dispositivi di Protezione individuali (DPI) 100
3.2.11 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza 101
3.3 Prevenzione dai rischi da esposizione a sorgenti artificiali di radiazioni ultraviolette 103
3.3.1 Individuazione dei soggetti esposti 106
3.3.2 Prevenzione e protezione: formazione dei lavoratori addetti 106
3.3.3 Valutazione dei livelli di esposizione 107
3.3.4 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature UV 107
3.3.5 Verifica delle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature 108
3.3.6 Verifica dei sistemi di segnalazione e sicurezza 108
3.3.7 Caratteristiche delle apparecchiature 109
3.3.8 Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) 110
3.3.9 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza 110

Capitolo IV
Il ruolo del tecnico sanitario di radiologia medica all’interno del modello
organizzativo per la valutazione dei rischi e il controllo della qualità 113

Conclusioni 117

Bibliografia 119
Introduzione

Campi elettrici e magnetici si manifestano in natura e quindi sono sempre stati presenti sulla terra.
Tuttavia, nel corso del ventesimo secolo, l’esposizione ambientale a campi elettromagnetici di
origine artificiale è costantemente aumentata a seguito della richiesta di elettricità, del continuo
sviluppo delle tecnologie di comunicazione senza fili, delle modificazioni intervenute nelle pratiche
lavorative e nei comportamenti sociali. Ognuno è esposto a una complessa miscela di campi
elettrici e magnetici a molte frequenze diverse, sia in casa sia al lavoro.
A differenza delle radiazioni ionizzanti (come i raggi gamma emessi dai materiali radioattivi,i raggi
cosmici ed i raggi X) che si trovano nella parte superiore dello spettro elettromagnetico, i campi
elettromagnetici qui considerati sono di gran lunga troppo deboli per rompere i legami che
tengono unite le molecole nelle cellule e,pertanto non possono produrre la ionizzazione. E’ questa
la ragione per la quale questi campi elettromagnetici vengono chiamati “radiazioni non ionizzanti”.
Le conoscenze scientifiche sugli effetti sanitari dei campi elettromagnetici sono corpose e si
basano su un gran numero di studi epidemiologici, studi su animali ed in vitro. Sono stati esaminati
molti effetti sanitari, da difetti nella riproduzione a malattie cardiovascolari e neurovegetative, ma
le evidenze più consistenti a tutt’oggi riguardano la leucemia infantile. Nel 2001 un gruppo di
esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha effettuato una rassegna
degli studi relativi alla cancerogenicità dei campi elettrici e magnetici statici ed a frequenza
estremamente bassa (ELF). Utilizzando la classificazione standard della IARC, per la quale si
soppesano i dati degli studi sull’uomo, di quelli sugli animali e delle indagini di laboratorio, i campi
magnetici ELF sono stati classificati come forse cancerogeni per l’uomo, sulla base di studi
epidemiologici relativi alla leucemia infantile. Un esempio di agente ben noto classificato nella
stessa categoria è quello del caffè, che potrebbe aumentare il rischio di cancro al rene,ma nello
stesso tempo avere un effetto protettivo contro quello intestinale. “Forse cancerogeno per
l’uomo” è una classificazione usata per indicare un agente per il quale esiste una limitata evidenza
di cancerogenicità nell’uomo ed un’evidenza meno che sufficiente di cancerogenicità negli animali
da esperimento. L’evidenza per tutti gli altri tipi di cancro nei bambini e negli adulti, come pure per
tutti gli altri tipi di esposizioni (cioè a campi statici ed a campi elettrici ELF) è stata considerata
inadeguata per la classificazione, a causa dell’insufficienza o dell’incertezza dei dati scientifici.
Anche se la IARC ha classificato i campi magnetici ELF come forse cancerogeni per l’uomo,resta la
possibilità che vi siano altre spiegazioni per l’associazione osservata tra l’esposizione a tali campi e

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la leucemia infantile.
Per quanto riguarda i campi ad alta frequenza, il complesso dei dati disponibili fino ad oggi
suggerisce che l’esposizione a campi di bassa intensità (come quelli emessi dai telefoni mobili e
dalle loro stazioni radio base) non provochi effetti dannosi per la salute. Alcuni ricercatori hanno
segnalato effetti di piccola entità legati all’uso del telefono mobile, tra cui cambiamenti
dell’attività cerebrale, dei tempi di reazione e dei ritmi del sonno. Nei limiti in cui sono stati
confermati, questi effetti sembrano rientrare nei normali limiti di variabilità per l’uomo.
Dato il largo uso della tecnologia, il grado d’incertezza scientifica ed il livello di apprensione del
pubblico, si rendono necessari studi rigorosi ed una comunicazione chiara con il pubblico.
In tutto il mondo si è progressivamente sviluppato, all’interno e al di fuori dei governi, un
movimento per l’adozione di “approcci cautelativi” quando si devono gestire dei rischi sanitari in
presenza d’incertezza scientifica. La portata delle azioni da intraprendere dipende dalla gravità del
danno e dal grado d’incertezza. Quando il potenziale danno associato a un certo rischio è piccolo e
la possibilità che esso si verifichi è incerta, ha senso fare poco o nulla. Al contrario, quando il
possibile danno è grande e c’è poca incertezza sull’eventualità che si verifichi, è richiesta un’azione
incisiva, come ad esempio una messa al bando (Figura 10).
Il principio di precauzione è generalmente applicato quando esiste un alto grado di incertezza
scientifica e si devono intraprendere azioni di fronte ad un rischio potenzialmente grave senza
attendere i risultati di ulteriori ricerche. Il principio è stato definito nel trattato di Maastricht come
“l’adozione di azioni prudenti quando vi è sufficiente evidenza (ma non necessariamente la prova
assoluta) che l’inazione potrebbe portare ad un danno e quando le azioni possono essere
giustificate in base a ragionevoli valutazioni di costo-efficacia”.
Le valutazioni scientifiche dei potenziali pericoli dell’esposizione a campi elettromagnetici
costituiscono la base della valutazione del rischio e sono anche parte essenziale di una corretta
politica sanitaria. I singoli paesi stabiliscono le proprie normative nazionali per l’esposizione ai
campi elettromagnetici. In Italia, è stato promulgato il 9 aprile 2008 il Testo Unico per la sicurezza,
il D.Lgs. 81/08, che riordina e raccoglie tutta la precedente normativa sul tema, incluso il D.Lgs.
626/94 (espressamente abrogato). Per la prima volta nel nostro paese, l’esposizione professionale
a sorgenti ottiche artificiali coerenti ed incoerenti e ai campi elettromagnetici viene regolamentata
da specifici articoli di legge: il Titolo VIII, rispettivamente ai capi V e IV, nei quali sono fissati, in
appositi allegati tecnici, limiti di azione e di esposizione.

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Il D.Lgs. 81/08, come la maggior parte delle normative nazionali, si basa sulle linee guida prodotte
dalla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP).
Quest’organizzazione non governativa, formalmente riconosciuta dall’OMS, valuta i risultati
scientifici che provengono da tutto il mondo. L’ICNIRP produce linee guida che raccomandano
limiti di esposizione ; queste linee guida vengono periodicamente riesaminate e, se necessario,
aggiornate.

Le linee guida sviluppate dall’ICNIRP coprono le radiazioni non ionizzanti nell’intervallo di


frequenza fino a 300 GHz. Esse si basano su ampie rassegne di tutta la letteratura pubblicata
previo vaglio scientifico critico (la cosiddetta “peer-review”). I limiti di esposizione si basano su
effetti legati alle esposizioni acute a breve termine piuttosto che a quelle a lungo termine, perché
l’informazione scientifica disponibile in merito agli effetti a lungo termine di esposizioni a bassi
livelli di campo elettromagnetico è considerata insufficiente per stabilire dei limiti quantitativi.

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Facendo riferimento agli effetti acuti a breve termine, le linee guida usano un livello approssimato
di esposizione, o livello di soglia, che potrebbe potenzialmente corrispondere a effetti biologici
nocivi. Per tener conto delle incertezze dei dati scientifici, nello stabilire i valori limite per
l’esposizione umana questo livello minimo di soglia viene ridotto di un fattore di sicurezza. Per
esempio, l’ICNIRP introduce un fattore di sicurezza 10 per ricavare i limiti di esposizione per i
lavoratori ed un fattore di circa 50 per quelli del pubblico generico. I limiti variano con la frequenza
e sono quindi diversi per i campi a bassa frequenza, come quelli generati da elettrodotti, rispetto a
quelli ad alta frequenza, generati ad esempio dai telefoni mobili. La popolazione esposta per
motivi professionali consiste di lavoratori adulti che generalmente conoscono i campi
elettromagnetici ed i loro effetti. I lavoratori sono istruiti sui potenziali rischi e sulle relative
precauzioni. Al contrario, il pubblico generico consiste di individui di tutte le età e con diverso
stato di salute i quali, in molti casi, non sono consapevoli della loro esposizione a campi
elettromagnetici. Inoltre, i lavoratori sono tipicamente esposti soltanto durante la giornata
lavorativa (normalmente di 8 ore), mentre il pubblico può essere esposto fino a 24 ore al giorno.
Sono queste le considerazioni basilari che portano a restrizioni più severe per il pubblico rispetto ai
soggetti esposti per motivi professionali.
L’esteso impiego di sorgenti di radiazioni non ionizzanti (NIR) per scopi sanitari determina la
necessità di approfondirne gli aspetti della sicurezza e della protezione, sia per gli operatori
sanitari che utilizzano direttamente macchine o dispositivi che contengono sorgenti di NIR, che per
le persone che vi si sottopongono a scopo di diagnosi o terapia.
Sorgenti di NIR sono presenti in tutti gli ospedali, nonché centri ambulatoriali pubblici e privati che
svolgono attività di medicina fisica e riabilitazione e di odontoiatria. Inoltre sono in continua
espansione nuove applicazioni delle NIR a scopi sanitari: si pensi ad esempio al ricorso sempre più
frequente ai laser in molti campi della medicina e alla diagnostica tramite risonanza magnetica,
che si affianca alle tradizionali terapie che utilizzano sorgenti di radiofrequenze (RF) e radiazioni
ultraviolette (UV).
Va sottolineato che la prevenzione dei rischi in questo campo non può limitarsi a considerare
quelli che possono essere indotti direttamente dai campi elettromagnetici (insorgenza di effetti
termici e/o non termici sull’organismo in relazione alla lunghezza d’onda e intensità di
esposizione), ma deve anche valutare quelli indiretti connessi all’impiego delle sorgenti di NIR, che
hanno spesso una rilevanza notevole: ci si riferisce ad esempio a interferenze con attrezzature e
dispositivi medici elettronici, e ad incendi ed esplosioni dovuti all’accensione di materiali

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infiammabili provocata da scintille dovute a campi indotti, correnti di contatto o scariche
elettriche e da laser.
Gli obiettivi del presente lavoro sono i seguenti:
• illustrare i principi fisici delle NIR (Non Ionising Radiation) e le loro diverse modalità di
interazione con i tessuti biologici; in questo caso e nell’arco di tutto il lavoro le NIR vengono
trattate assumendo schematicamente una suddivisione logica in: Campi Elettromagnetici
(CEM), Radiazioni Ottiche Coerenti (Laser) e Radiazioni Ottiche Non Coerenti (tutte le sorgenti
ottiche che non siano laser, principalmente UV);
• analizzare i rischi connessi all’impiego delle NIR in ambito sanitario; principalmente si tratta di
sorgenti di radiofrequenze e microonde utilizzate in terapia fisica, di sorgenti UV
(Ultravioletto) e di laser (non vengono considerate altre sorgenti di radiazioni non ionizzanti
come le apparecchiature di risonanza magnetica e gli elettrobisturi);
• illustrare il quadro normativo vigente in Italia, facendo riferimento al recente Testo Unico sulla
Sicurezza, il D. Lgs 81/2008, che riordina e raccoglie tutta la precedente normativa relativa al
tema, incluso il D. Lgs 626/1994 (espressamente abrogato) anche nella parte sui campi
elettromagnetici a suo tempo introdotta con il D. Lgs 257/2008. La novità del D. Lgs 81/08 sta
nel fatto che per la prima volta regolamenta con specifici articoli (il Titolo VIII, Capi IV e V)
l’esposizione professionale alle sorgenti NIR. Sul versante operativo verranno prese in
considerazione le norme applicative della direttiva europea 2004/40/CE, emanate dal
CENELEC () tra cui lo standard EN 50499, e le linee guida prodotte dall’ICNIRP (Commission on
Non Ionising Radiation Protection) ove sono raccomandati i valori limite di esposizione e i
valori d’azione;
• progettare una linea guida per la sorveglianza dei rischi da sorgenti NIR, attraverso:
l’individuazione delle attività svolte in ambito sanitario con sorgenti NIR; la definizione delle
misure di prevenzione da mettere in atto nei confronti del personale esposto, dei pazienti che
si sottopongono alle indagini e della popolazione; la definizione delle modalità di valutazione
dei livelli di esposizione; la formazione e l’informazione agli operatori coinvolti; la
rimodulazione complessiva dei processi, dell’organizzazione e dei percorsi.
• porre l’attenzione sul ruolo del Tecnico sanitario di Radiologia Medica (TSRM) all’interno
dell’organizzazione per la prevenzione e la protezione di tali rischi, prevedendo le possibili
evoluzioni concesse dalla normativa vigente.

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Capitolo I

Principi fisici delle radiazioni non ionizzanti (NIR) e modalità d’interazione con i
tessuti biologici

1.1 Le radiazioni non ionizzanti


Le radiazioni elettromagnetiche sono ordinate nel cosiddetto spettro elettromagnetico.
All’aumentare della frequenza corrisponde il progressivo aumento dell’energia trasportata dalla
radiazione e la progressiva diminuzione della lunghezza d’onda. Le modalità di interazione con la
materia, compresa quella biologica, dipendono dal contenuto di energia della radiazione. Al
riguardo, lo spettro elettromagnetico si divide tradizionalmente in una sezione ionizzante (Ionizing
Radiation o IR), comprendente raggi X e gamma, di energia sufficiente per ionizzare direttamente
atomi e molecole, ed in una non ionizzante (Non Ionizing Radiation o NIR). Quest'ultima si
suddivide a sua volta in una sezione ottica ed in una non ottica. La prima include le radiazioni
ultraviolette, la luce visibile e la radiazione infrarossa. Queste interagiscono con la materia per via
fotochimica (visibile e UV) e termica (infrarossi). Della seconda fanno parte le radiofrequenze, i
campi elettrici e magnetici a bassa frequenza, i campi elettrici e magnetici statici. Le modalità
d’interazione con la materia biologica si traducono principalmente in effetti di natura termica
(radiofrequenze) e legati all’induzione di correnti elettriche (campi a bassa frequenza e in parte
radiofrequenze).
Le NIR rappresentano un agente fisico onnipresente negli ambienti di vita e di lavoro. Esiste un
“fondo” naturale eterogeneamente distribuito tra diversi valori di frequenza e includente
frequenze sia ottiche sia non ottiche. Per quanto riguarda queste ultime, si stima che lo sviluppo
tecnologico di questo secolo abbia determinato un innalzamento complessivo di alcuni ordini di
grandezza del fondo naturale nell’intervallo di frequenza compreso tra le microonde ed i campi a
bassa e bassissima frequenza.
Tra le fonti tecnologiche, siano esse ambientali, industriali, domestiche o mediche, si possono
distinguere quelle caratterizzate da emissioni elettromagnetiche intenzionali, per finalità di
telecomunicazione (antenne radiotelevisive, telefonia cellulare), rilevamento (radar) o industriali
(ad es. forni a microonde, macchine per saldatura), da quelle per le quali il campo
elettromagnetico è solo un sottoprodotto dell’alimentazione elettrica (linee elettriche, utilizzatori
di rete etc.).
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Per le frequenze ottiche (UV, visibile e infrarosso) l’elaborazione di limiti di esposizione e
l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione, per quanto suscettibile di continuo
aggiornamento, è stata resa più agevole dall’identificazione di precisi meccanismi biofisici e
biochimici alla base dell’effetto biologico e dal numero molto più ristretto di organi e tessuti
bersaglio (in sostanza l’occhio e la cute). Riguardo alle frequenze non ottiche (microonde,
radiofrequenze, campi a basse frequenze), data l’estensione di spettro, le differenti modalità di
interazione con la materia, ed i risultati contraddittori che caratterizzano molti studi di natura
sperimentale ed epidemiologica, le conoscenze in materia di effetto biologico, specie ai bassi livelli
di esposizione, sono affette da un certo grado di incoerenza pur nella notevole vastità della
letteratura scientifica disponibile. Di conseguenza la stesura di standard protezionistici si è dovuta
basare sul limitato numero di effetti identificati con sufficiente certezza nell’animale da
esperimento.
La figura seguente mostra lo spettro elettromagnetico fino a 300 GHz, ed evidenzia le principali
applicazioni che comportano l’immissione, in alcuni casi intenzionale e in altri accessoria, di campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici nell’ambiente di lavoro o di vita.

1.2 La carica elettrica


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L'atomo più semplice è l'atomo di idrogeno, che è costituito da un protone e da un elettrone che vi
orbita intorno. Protone ed elettrone sono particelle dotate di una particolare proprietà che
consente loro di attrarsi e che vincola l'elettrone nell'orbita suddetta. A tale proprietà viene dato il
nome di carica elettrica, ed in particolare al protone viene associata carica elettrica positiva,
all'elettrone negativa. Le particelle, e più in generale, i corpi contraddistinti da cariche uguali si
respingono, viceversa particelle e corpi con cariche diverse si attraggono.
L'intensità della forza con cui due cariche si attraggono o respingono è direttamente proporzionale
al prodotto delle cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le stesse,
secondo la legge di Coulomb:

dove:
· F è la forza in Newton (N),
· Q1 e Q2 sono le cariche elettriche espresse in Coulomb (C),
· r è la distanza fra esse espressa in metri
· ε è una costante che dipende dal mezzo; nel caso del vuoto si assume il valore ε0 = 8.85.10-12
C2/Nm2, valore che si può assumere anche per l’aria.
Nel caso di più particelle cariche, la forza totale agente su una di queste è la somma vettoriale
delle forze esercitate singolarmente sulla stessa da ogni altra particella.

1.2.1 Il campo elettrico


Il concetto di campo viene utilizzato per rappresentare più semplicemente le forze che agiscono
tra le cariche. E’ possibile ragionare non in termini di forza fra due cariche ma di campo attorno ad
una carica, assumendo che la stessa induca una modificazione nello spazio circostante tale che, se
una seconda carica si pone in esso, la forza fra le due cariche sia pari a quella di Coulomb.
Il valore del campo elettrico generato da una carica Q nello spazio è quindi:

Il campo elettrico viene in genere rappresentato tramite linee di campo. La tangente in un dato
punto alla linea di campo indica la direzione della forza che si eserciterebbe su una carica posta in
quel punto; il verso della linea indica il verso della forza. In figura sono rappresentate le linee di

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campo per una carica positiva (linee uscenti dalla carica) e per una carica negativa (linee entranti
nella carica).

Quando il campo è generato da due o più cariche elettriche le linee di campo sono in generale
linee curve.

1.2.2 Il potenziale elettrico


Per spostare una carica q all’interno di un campo elettrico, da un punto A ad un punto B, è
necessario compiere un certo lavoro. Nella formulazione integrale il lavoro è definito come:

Per ogni spostamento elementare il lavoro è dato dal prodotto dello spostamento per la
proiezione della forza nella direzione dello spostamento. Il lavoro non dipende dal particolare
percorso ma solo dagli estremi. Il lavoro fra A e B per unità di carica viene chiamato differenza di
potenziale (d.d.p.) (VAB):

L’unità di misura del potenziale è il Volt. Il concetto di potenziale elettrico non è niente altro se
non un’altra rappresentazione delle forze elettriche che torna utile nella descrizione dei campi.

13
1.2.3 Il campo magnetico
La definizione di campo elettrico assume la stazionarietà delle cariche; il concetto di campo
magnetico viene introdotto per descrivere le forze che si mettono in gioco laddove le cariche sono
in movimento. Quando gli elettroni si muovono, ad esempio attraverso un oggetto metallico, una
certa quantità di carica viene trasportata da un’estremità all’altra. Si definisce intensità di corrente
la quantità di carica che attraversa la sezione del conduttore nell’unità di tempo:

dove:
· I è l’intensità di corrente espressa in Ampére (A) (1 A = 1 Coulomb/secondo);
· Q è la quantità di carica che nel tempo t attraversa la sezione del conduttore.
Considerando due fili rettilinei percorsi dalle correnti I1 e I2, posizionati ad una distanza r molto
piccola rispetto alla loro lunghezza, si riscontra la presenza di una forza attrattiva tra i due
conduttori se le correnti fluiscono nello stesso verso, repulsiva se hanno verso opposto.
L’intensità della forza agente su un tratto l del filo 2 è data da:

dove:
· µ è una costante detta permeabilità magnetica, che è caratteristica del mezzo: nel caso del vuoto
µ vale µ0 = 4π·10-7 N/A2, valore rappresentativo anche per l’aria.
In analogia con i campi elettrici prodotti dalle cariche, è quindi possibile assumere che la corrente
che percorre il filo 1 generi una modificazione dello spazio circostante (ovvero un campo) tale per
cui il filo 2, a sua volta percorso da corrente, risenta di una forza magnetica.
Nel caso di un filo rettilineo indefinito percorso dalla corrente I l’intensità del campo magnetico H
nel vuoto è:

nota come legge di Biot e Savart. L’unità di misura del campo magnetico è l’Ampere su metro
(A/m). Come nel caso del campo elettrico, per descrivere il campo magnetico attorno ad un

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conduttore si utilizza la rappresentazione tramite linee di campo. Nel caso di un conduttore
rettilineo tali linee sono rappresentabili come circonferenze concentriche attorno al conduttore
medesimo.

Il campo magnetico in un dato punto è diretto come la tangente alla linea di campo nel punto
medesimo. A differenza del caso del campo elettrico, ove direzione e verso della forza e del campo
coincidono, la forza magnetica non è diretta come il campo, ma è ortogonale alle direzioni del
campo e delle correnti. Un caso importante di campo magnetico è quello che si riferisce ad una
corrente su un singolo o più percorsi circolari (bobina).

1.2.4 Onde elettromagnetiche


Le cariche elettriche ferme danno origine ai campi elettrici e le correnti elettriche (cariche in
movimento) danno origine ai campi magnetici. In realtà si osserva anche che una variazione del
campo elettrico dà origine ad un campo magnetico, e che una variazione del campo magnetico
produce sempre la comparsa di un campo elettrico e da tale proprietà dei campi Maxwell predisse
l'esistenza delle onde elettromagnetiche. Queste sono costituite da una sorta di catena di campi

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elettrici e magnetici variabili nel tempo che si generano mutuamente, e sono in grado di
propagarsi con velocità finita (nel vuoto la velocità della luce) nello spazio circostante.

Ad elevate distanze dalla sorgente le oscillazioni dei campi elettrici e magnetici che costituiscono
un'onda elettromagnetica sono in fase fra loro e ortogonali alla direzione di propagazione
dell’onda. Questa configurazione viene chiamata onda piana.
L'energia trasportata dall’onda elettromagnetica nell'unità di tempo attraverso una superficie
unitaria perpendicolare alla direzione di propagazione, è detta densità di potenza S ed è data da:

Nel vuoto, o in aria, vale la relazione:

dove Eeff è il valore efficace dell'intensità del campo elettrico E, che per un'onda sinusoidale è
pari a:

Caratteristiche generali di un'onda elettromagnetica sono la lunghezza d'onda ( ), la frequenza ( )


e la velocità di propagazione (c), legate dalla relazione:

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Dato che la velocità di propagazione nel vuoto è una costante universale (pari circa a 300.000
km/s), le onde elettromagnetiche si differenziano in termini di lunghezza d'onda o frequenza.
Una classificazione dello spettro elettromagnetico alle frequenze non ionizzanti è riportato nella
tabella che segue.

In generale, un’onda elettromagnetica si propaga a velocità:

in cui e sono la costante dielettrica e la permeabilità magnetica caratteristici del mezzo. Nel
caso il mezzo sia il vuoto, devono essere utilizzati e , che forniscono per la velocità dell’onda
elettromagnetica il valore di 2.998.108 m/s, vale a dire la velocità della luce (c).

1.2.5 Campo vicino e campo lontano


Allontanandosi dalla sorgente dell’onda, lo spazio viene convenzionalmente suddiviso in zona di
campo vicino e zona di campo lontano, secondo quanto riportato nelle figure che seguono,
relative rispettivamente a radiatori corti (D<< ) o estesi (D ≥ ).
Nel caso di radiatori corti, per i quali la dimensione massima D della sorgente è molto più piccola
di , la separazione fra campo vicino e lontano occorre per distanze pari circa a . Per radiatori
estesi, ove D > , la medesima separazione avviene a distanze di circa 2D2/ .

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La distinzione in tali zone assume significato operativo sulle procedure di misura. In condizione di
campo vicino le misure devono, infatti, essere condotte in maniera indipendente per il campo
elettrico e magnetico; in condizione di campo lontano si può invece procedere indifferentemente
alla misura del campo elettrico, magnetico o della densità di potenza, in quanto da una sola di
queste grandezze è possibile ricavare le altre, tramite le seguenti relazioni:

La zona di campo vicino può essere ulteriormente suddivisa in:


· zona di campo reattivo vicino, che si estende dalla superficie della sorgente fino a distanze di
circa /2 π÷ 3 (in funzione della tipologia di sorgente);
· zona di campo radiativo vicino (zona di Fresnel), che si estende dal termine della precedente fino
ad una distanza R0 (distanza di Rayleigh), pari al maggiore fra i valori di e 2D2/ , con D pari alla
dimensione massima della sorgente.
Nella zona di campo vicino reattivo i campi elettrici e magnetici variano fortemente da punto a
punto senza una correlazione definita. Nella zona di Fresnel, il campo presenta un andamento
irregolare con rapide variazioni di intensità. Nella zona di campo lontano, infine, il campo assume
le caratteristiche di onda piana: E ed H oscillano in direzioni ortogonali, il rapporto E/H ha valore
costante pari a 377, l’intensità dei campi varia con l’inverso della distanza.
18
In zona di campo lontano a distanza R da un’antenna alimentata con la potenza P, la densità di
potenza S nella direzione di massima irradiazione può essere scritta come:

dove Gi rappresenta il guadagno dell’antenna rispetto alla sorgente isotropica ideale.

1.2.6 Interazione dell’energia elettromagnetica: effetti biologici ed effetti sanitari


I campi elettrici interagiscono con le cariche, i campi magnetici interagiscono con le correnti,
questa affermazione è vera anche per la materia vivente. E’ noto che l’interazione delle Radiazioni
Non Ionizzanti (NIR) alle frequenze non ottiche (0 Hz – 300 GHz) con la materia biologica è basata
su due effetti differenti: induzione di correnti elettriche e riscaldamento.
L’induzione di correnti elettriche nei tessuti elettricamente sensibili, come nervi o muscoli, è
dominante alle frequenze fino a circa 1 MHz, e può essere considerato l’unico meccanismo
nell’intervallo delle ELF, in particolare 50/60 Hz (il riscaldamento dovuto all’effetto Joule diviene
significativo a valori di corrente molto più elevati di quelli letali). D’altra parte, con l’aumento della
frequenza diventa via via più rilevante l’assorbimento di energia nei tessuti, in termini di rapidi
movimenti oscillatori degli ioni e delle molecole d’acqua, con produzione di riscaldamento, tipico
effetto dei campi a radiofrequenza e microonde.
Campi in bassa frequenza
Il corpo umano è ricco di cariche libere (ioni nel sangue e nei fluidi extracellulari, etc.) ed il
funzionamento di molte attività fisiologiche è assicurato proprio da correnti ioniche endogene,
come la contrazione dei muscoli e del cuore, la trasmissione di stimoli nervosi, ed altre. Questo è il
motivo per cui, nel caso di esposizione a campi ELF, la corrente indotta che attraversa una sezione
unitaria di tessuto, cioè la densità di corrente misurata in A/m2, è stata scelta come la quantità
dosimetrica base alla quale porre delle restrizioni di tipo protezionistico: essa può essere
facilmente confrontata con i normali valori endogeni per valutare il suo potenziale rischio.
La configurazione delle correnti indotte nel corpo umano presenta due schemi fondamentali in
funzione del tipo di campo, elettrico o magnetico, che le ha prodotte. Nel caso delle correnti
indotte dal campo elettrico, in particolare se orientato verticalmente lungo l’altezza del soggetto
esposto, le densità di corrente presenteranno la medesima direzione del campo, e tenderanno ad
assumere i valori più elevati in corrispondenza delle parti del corpo con minore sezione verticale,

19
vale a dire gli arti (in particolare le caviglie) ed il collo. Le correnti fluiranno inoltre attraverso i
piedi del soggetto verso il piano di massa su cui questo si trova, circostanza che rende almeno in
parte misurabili le correnti indotte dal campo elettrico. Nel caso delle correnti indotte dal campo
magnetico, in particolare se orizzontale e giacente sul piano sagittale del soggetto esposto, le
correnti fluiranno invece in percorsi chiusi all’interno del corpo, assumendo i valori più elevati
laddove riescano a descrivere ideali spire di diametro maggiore, vale a dire nel tronco e nella testa.
In caso di esposizione simultanea a campi elettrici e magnetici le due configurazioni tendono a
sommarsi o a sovrapporsi. Per questo motivo nella pratica protezionistica alle basse frequenze i
due campi, elettrico e magnetico, devono essere considerati come due agenti fisici indipendenti.

La tabella che segue riassume i principali effetti biologici in relazione all’induzione di correnti
nell'intervallo di frequenza 1- 300 Hz.

20
Le restrizioni di base per la densità di corrente sono state definite attraverso l’applicazione di
fattori di sicurezza ai valori capaci di produrre effetti biologici accertati essere nocivi, in accordo
con i modelli fisiologici e con gli esperimenti su animali, specialmente per le funzioni cardiache e
nervose. Abitualmente si adotta un fattore di sicurezza pari a 10 per i lavoratori, mentre per il
pubblico si adotta un fattore di sicurezza più alto (50) affinché sia presa in considerazione la
presenza di più individui sensibili, come bambini, anziani o persone malate, e la possibilità di
esposizioni prolungate.
I valori limite di base per la densità di corrente indotta diminuiscono con l’aumentare della
frequenza, secondo lo stesso andamento delle soglie di stimolazione dei tessuti. Un aspetto molto
importante da considerare è che l’effetto dell’induzione di corrente è sostanzialmente istantaneo,
e di conseguenza il valore limite di base della densità di corrente deve essere rispettato per ogni
istante di tempo e non ammette quindi medie temporali di alcun tipo.
La densità di corrente non è misurabile nelle persone esposte, a meno di tecniche invasive. Quindi
in pratica, per verificare il rispetto dei valori limite di base, si devono riprendere in considerazione
le quantità misurabili nell’ambiente: l'intensità del campo elettrico (E) misurata in V/m, o
l'induzione magnetica (B) misurata in Tesla o in Gauss, che hanno causato l’induzione di corrente.
A partire dalle restrizioni base, mediante metodi computazionali che si riferiscono a modelli teorici
di interazione bioelettromagnetica, validati da misure sperimentali di correnti indotte in fantocci, è
possibile produrre i livelli derivati di riferimento equivalenti, per le quantità misurabili (E e B).
I livelli di riferimento si riferiscono alle massime condizioni di accoppiamento tra campi e corpo
esposto e garantiscono il rispetto del limite di base della densità di corrente in qualsiasi condizione
di esposizione. D’altra parte, il superamento dei livelli di riferimento non implica automaticamente
il superamento dei valori limite di base. I livelli di riferimento dipendono dalla frequenza, in
accordo con i valori base da cui sono derivati.
Campi in radiofrequenza e microonde
Con l’aumentare della frequenza diventa sempre più significativa la cessione di energia nei tessuti
attraverso il rapido movimento oscillatorio di ioni e molecole di acqua, con lo sviluppo di calore e
riscaldamento. A frequenze superiori a circa 10 MHz, questo ultimo effetto è l’unico a permanere,
e al di sopra di 10 GHz, l’assorbimento è esclusivamente a carico della cute. Gli effetti biologici
osservati con certezza nell’animale, (come ad esempio stimolazione dei tessuti eccitabili,
alterazioni neurocomportamentali, endocrine, immunologiche, lesioni alle strutture oculari e alle
gonadi), i pochi dati confermati nell’uomo, e le prove su modelli artificiali sono riconducibili a uno

21
di questi due meccanismi di base o a entrambi. Ai fini protezionistici, la filosofia seguita consiste
nel definire in primo luogo le grandezze fisiche “dosimetriche” proprie dell’interazione tra i campi
e i sistemi biologici, nei due differenti meccanismi di base.
Nel caso degli effetti termici, tale grandezza di base è costituita dall’entità dell’assorbimento di
energia da parte dei tessuti per unità di massa e di tempo, ossia il rateo di assorbimento specifico
(Specific Absorbtion Rate, SAR), espresso in W/kg.
Il SAR può essere considerato come mediato sul corpo intero, o localizzato su specifici distretti
corporei. Al contrario del caso dell'induzione di correnti, ove l'organismo non possiede facoltà di
compensazione, nel caso del riscaldamento entra in gioco il sistema termoregolatorio, che si attiva
per smaltire verso l'esterno il calore in eccesso (sudorazione, scambio termico diretto con l'aria),
oppure, nel caso di assorbimento localizzato a specifici distretti, ridistribuendolo su tutte le parti
del corpo per mezzo della circolazione sanguigna. Per questo motivo gli organi poco vascolarizzati,
come il cristallino e le gonadi, non disponendo di un efficace sistema di dispersione del calore,
saranno quelli maggiormente suscettibili ad un riscaldamento eccessivo. D'altro canto, su parti del
corpo od organi non critici, ad esempio gli arti, potranno essere compensati (e accettati dal punto
di vista protezionistico) assorbimenti localizzati di energia più elevati rispetti a quelli tollerabili
come media sul corpo intero. Le distribuzioni del SAR all'interno dell'organismo umano assumono
configurazioni estremamente complesse, che dipendono dall'intensità, frequenza e orientamento
dei campi incidenti e dall'anatomia e morfologia del soggetto.
In funzione della frequenza si possono distinguere quattro intervalli fondamentali caratterizzati da
particolari fenomenologie (WHO, 1993):

22
• l'intervallo di sotto-risonanza, circa da 1 MHz a 30 MHz, dove l'assorbimento cresce
rapidamente con la frequenza, ed è principalmente a carico del collo e delle gambe;
• l'intervallo di risonanza, circa da 30 MHz a 300 MHz, ove si riscontra il massimo
dell'assorbimento per il corpo intero; fenomeni di risonanza su specifici distretti (es. la
testa) possono riscontrarsi anche a frequenze più elevate;
• l'intervallo dei "punti caldi" (hot spot), circa da 400 MHz a 3 GHz, dove possono riscontrarsi
importanti assorbimenti localizzati di energia per densità di potenza dell'ordine del
centinaio di W/m2 (circa 200 V/m in onda piana); con l'aumentare della frequenza
l'assorbimento diminuisce e le dimensioni dei punti caldi si riducono da vari cm a ca 1 cm;
• l'intervallo di assorbimento superficiale, al di sopra di circa 3 GHz, dove il riscaldamento è
confinato alla sola superficie corporea.
Allo stesso modo che per la densità di corrente, le restrizioni per il SAR vengono definite
attraverso l’applicazione di opportuni fattori di sicurezza ai valori in corrispondenza dei quali sono
stati ottenuti e riprodotti in modo consistente alcuni effetti biologici dannosi sull’animale, in
particolare primati (vedi tabella seguente).

23
Per i lavoratori professionalmente esposti, che vengono considerati individui sani esposti
continuativamente otto ore al giorno per tutta la vita lavorativa, viene correntemente adottato un
fattore di sicurezza pari a 10. Per l’esposizione della popolazione, in considerazione della presenza
di soggetti più deboli, come bambini, anziani, o malati, e la possibilità di esposizioni prolungate,
viene normalmente adottato un fattore di sicurezza pari a 50. I corrispondenti limiti sono definiti
limiti di base e, rappresentano i veri limiti di carattere sanitario che non debbono essere superati
in alcun caso. Essendo legato all'assorbimento netto di energia, il limite di base per il SAR risulta
indipendente dalla frequenza.
Anche per verificare il rispetto del limiti di base relativo al SAR, è necessario considerare i valori
delle grandezze fisiche misurabili nell’ambiente. Tali grandezze sono rappresentate dalle intensità
del campo elettrico e del campo magnetico, espresse rispettivamente in V/m e in A/m, e al di
sopra della frequenza di 10 MHz può anche essere impiegata la densità di potenza, espressa in
W/m2, che l’ICNIRP considera grandezza di base per le frequenze superiori a 10 GHz.
In base a modelli teorici di interazione bioelettromagnetica, validati da analisi sperimentali,
vengono calcolati in condizioni di massimo accoppiamento tra i campi e il corpo esposto, i
cosiddetti livelli derivati di riferimento per le grandezze misurabili, che garantiscano in tutte le
circostanze di esposizione il rispetto dei limiti di base per il SAR. I livelli di riferimento sono tali per
cui l’esposizione della persona a tali valori può tradursi nel raggiungimento del limite della
grandezza di base, qualora sussistano le condizioni di massimo accoppiamento tra i campi ed il
soggetto esposto. I livelli di riferimento non sono rigidi come i limiti alle grandezze di base, ma
possono essere interpretati con maggiore elasticità, tenuto conto che l’entità dell’interazione
dipende anche dall’orientamento del corpo rispetto al campo, dalla sua polarizzazione, e dalla
localizzazione dell’esposizione. Pertanto il superamento dei livelli di riferimento non implica
automaticamente il superamento dei limiti di base. I valori di riferimento sono inoltre variabili in
funzione della frequenza anche nel range di significatività del SAR, dato che l’organismo umano
assorbe in modo disomogeneo al variare della stessa, risultando i valori massimi compresi nel
cosiddetto intervallo di risonanza (30 - 300 MHz, massimo a 70 MHz per un uomo di taglia media).
Una sintesi non esaustiva dell’insieme delle restrizioni stabilite dall’ICNIRP è riportata nei prospetti
che seguono. I livelli di riferimento per i campi ambientali sono intesi come medie sul volume
occupato dal soggetto esposto. Essi pertanto garantiscono il rispetto del limite di base per il SAR
mediato sul corpo intero, ma non per il SAR locale (si veda anche la dispensa sulle misure). Per tale
ragione l’ICNIRP ha stabilito nell’intervallo di frequenza 10 - 110 MHz ulteriori livelli di riferimento

24
espressi in termini della corrente indotta in ogni arto, che per le esposizioni professionali è pari a
100 mA. Tali valori garantiscono il rispetto delle restrizioni sul SAR locale negli arti inferiori.
Altra grandezza d’interesse per le esposizioni a campi a radiofrequenza è l’assorbimento specifico
(Specific Absorbtion, SA), espresso in J/m2, che è significativo per esposizioni a campi pulsati.
Per tutte le frequenze fino a 110 MHz vengono inoltre stabiliti delle limitazioni per la corrente di
contatto a protezione da scosse e ustioni dovute al contatto accidentale con oggetti conduttori
caricati dai campi. Tali valori si basano in realtà sulle soglie di percezione di dette correnti, peraltro
notevolmente variabili da individuo a individuo, e non sulle soglie di danno; devono quindi essere
considerati valori non direttamente di interesse sanitario.

1.2.7 Restrizioni di base e livelli di riferimento dell’ICNIRP


Una sintesi non esaustiva dell’insieme delle restrizioni di base previste dalle linee guida ICNIRP del
1998 è riportata nei prospetti che seguono.
• Rateo di assorbimento specifico (SAR, W/kg)
Quantità di energia elettromagnetica assorbita dall’unità di massa di tessuto nell’unità di
tempo. Si misura in W/kg ed è mediata su un intervallo di tempo di 6 minuti. I limiti di base
sul SAR si applicano nell’intervallo di frequenza 100 kHz – 10 GHz.

• Densità di corrente indotta


Quantità di corrente che fluisce in qualsiasi sezione di 1 cm 2 della testa e del tronco. Si
misura in A/m2. Limiti di base per la densità di corrente indotta per i lavoratori e la
popolazione esposti a campi elettrici e magnetici di frequenza 0 - 10 MHz:
25
26
1.2.8 La classificazione IARC
L’International Agency for Research on Cancer ha condotto uno studio monografico (IARC, 2002)
volto a valutare la cancerogenicità dei campi elettrici e magnetici statici e a frequenza
estremamente bassa (ELF). Per quanto riguarda le ELF la IARC ha concluso che “i campi magnetici
ELF sono possibilmente cancerogeni per l’uomo, sulla base di una coerente associazione statistica
tra elevati livelli residenziali e un raddoppio del rischio di leucemia infantile. Non si è trovata
nessuna evidenza coerente che l’esposizione residenziale o professionale degli adulti a campi ELF
aumenti il rischio di alcun tipo di cancro.”
Per comprendere il significato della classificazione va ricordato che l’Agenzia ha creato un sistema
di classificazione degli agenti cancerogeni articolato su quattro gruppi, di cui uno diviso in due
sottogruppi:

27
1 L’agente è cancerogeno per l’uomo
2A L’agente è probabilmente cancerogeno per l’uomo
2B L’agente è possibilmente cancerogeno per l’uomo
3 L’agente non è classificabile per quanto riguarda la cancerogenesi nell’uomo
4 L’agente è probabilmente non cancerogeno per l’uomo

La classificazione 2B “possibilmente cancerogeno” implica un’evidenza limitata di cancerogenicità


nell’uomo, ed una evidenza meno che sufficiente negli animali da esperimento.
L’allocazione di un agente nella categoria 2B significa che per l’agente in questione esiste una
limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo e un’insufficiente evidenza di cancerogenicità
nell’animale da esperimento. Si noti fra l’altro che la IARC non contempla la possibilità che un
agente venga classificato come non cancerogeno, ma al più “probabilmente non cancerogeno”.
E’ fondamentale sottolineare che la classificazione 2B è valida per il solo campo magnetico a 50 o a
60 Hz in relazione alle sole leucemie dell’età infantile. Per altre frequenze e configurazioni di
campo elettrico e magnetico, per altre forme tumorali e per categorie di soggetti differenti
dall’infanzia la IARC valuta insufficiente o inconsistente l’evidenza epidemiologica per una
classificazione in relazione alla cancerogenesi. Valutazioni molto simili ma non completamente
sovrapponibili a quelle dalla IARC (effettuate utilizzando proprio le categorie di cancerogenesi
dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) erano state formulate nel 1998 dal National
Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS, 1999) degli Stati Uniti, il cui gruppo di esperti
ad hoc aveva espresso a maggioranza l’opinione a favore della classificazione dei campi magnetici
a 50 e 60 Hz come possibili cancerogeni per l’uomo (gruppo 2B), in relazione prevalentemente alle
forme di leucemia dell’infanzia, ma anche (sulla base di alcuni estesi studi occupazionali) per la
leucemia linfatica cronica dell’adulto.

1.2.9 La questione degli effetti a lungo termine


Il problema dei possibili effetti a lungo termine derivanti da un’esposizione cronica a campi di
bassa intensità è notevolmente complesso. Data l’intrinseca natura limitata del metodo scientifico,
questo tipo di effetti non può per principio essere definitivamente escluso per nessun tipo di
agente, fisico, chimico o biologico. E’ altresì possibile formulare delle valutazioni sulla

28
ragionevolezza e credibilità di una loro ipotesi unicamente attraverso l’analisi delle evidenze
disponibili dalla ricerca epidemiologica e sperimentale.
E’ ampiamente riscontrato nella letteratura scientifica che i campi elettromagnetici possono
indurre, soprattutto “in vitro” e in modalità spesso non replicabili, vari tipi di effetti biologici basati
su possibili meccanismi di interazione differenti da quelli considerati nel processo di definizione
delle linee guida. E’ importante precisare in merito che ogni tipo di agente può produrre effetti
biologici che in alcuni casi possono portare ad effetti di danno alla salute; vi è una notevole
differenza tra i due tipi di effetti, ben evidenziata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
proprio nell’ambito del progetto EMF. Un effetto biologico si verifica quando l'esposizione provoca
qualche variazione fisiologica notevole o apprezzabile in un sistema o organo, mentre un effetto di
danno alla salute si verifica quando l’effetto biologico è al di fuori dell’intervallo in cui l'organismo
può normalmente compensarlo, e ciò porta a qualche condizione di detrimento della salute. La
segnalazione isolata di un effetto biologico “in vitro” non autorizza automaticamente
l’estrapolazione nei confronti di un ipotesi di danno sanitario a livello sistemico.
Anche le evidenze epidemiologiche, specie nel settore delle radiofrequenze e microonde, e con
l’eccezione dell’associazione tra campi ELF e leucemia infantile, rivestono sovente mero carattere
esplorativo, per il prevalente basso potere statistico in gioco, per carente valutazione
dell’esposizione, o per non valutate esposizioni concomitanti ad altri fattori di rischio, specie in
relazione agli studi occupazionali. Solo attraverso un’analisi ad ampio spettro del complesso delle
evidenze disponibili dalla ricerca epidemiologica e sperimentale si può quindi tentare di formulare
valutazioni sulla ragionevolezza e credibilità di ipotesi di effetti a lungo termine. Come evidenziato
in numerosi documenti di gruppi multidisciplinari di esperti redatti in ambito nazionale ed
internazionale (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, OMS, ed altri), allo stato il complesso
delle indagini epidemiologiche e sperimentali disponibili depone in modo molto debole in favore
dell’ipotesi di effetti sanitari a lungo termine legati all’esposizione della popolazione e dei
lavoratori a campi elettrici e magnetici in tutto lo spettro di frequenze compreso tra 0 e 300 GHz,
in relazione ad esposizioni croniche a livelli di bassa intensità, inferiori ai limiti sanitari stabiliti
dall’ICNIRP. Unicamente per i campi magnetici alla frequenza di 50 e 60 Hz, la coerenza della pur
debole associazione evidenziata dai numerosi studi epidemiologici, controbilanciata dal complesso
delle evidenze sperimentali in vivo e in vitro dal chiaro carattere negativo nei confronti di tale
associazione, hanno permesso a importanti istituzioni scientifiche internazionali (IARC) di
classificare i medesimi quali “possibili cancerogeni” per l’uomo (classificazione molto lontana dal

29
significato di nesso causale, si veda il paragrafo seguente), solo in relazione alle leucemie dell’età
infantile. L’evidenza di effetto disponibile è legata a tipologie di esposizione a corpo intero, di
carattere continuo e protratte nel tempo (anni). Peraltro, è fondamentale tenere presente che i
meccanismi fisici di interazione con i sistemi biologici, e di conseguenza i relativi effetti, dipendono
in modo determinante dalla frequenza, e ogni estrapolazione da una gamma di frequenze all'altra
è del tutto arbitraria. Nel caso dei campi in radiofrequenza, è altresì significativa la corrente
valutazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1998) secondo la quale:
"Una revisione dei dati scientifici svolta dall'OMS nell'ambito del Progetto Internazionale CEM ha
concluso che, sulla base della letteratura attuale, non c'è alcuna evidenza convincente che
l'esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza abbrevi la durata della vita umana, né che
induca o favorisca il cancro". Tale affermazione non è per principio definitiva, considerato che pur
nella vastissima mole di lavori svolti (si tratta probabilmente dell’agente di rischio maggiormente
indagato negli ultimi 20 anni) esistono ancora delle lacune nelle conoscenze, dovute
principalmente alla mancanza di approfonditi studi relativi a diverse regioni dello spettro e a
patologie a lungo termine di natura non tumorale.

1.3 Radiazioni ottiche coerenti (Laser)


Il nome LASER è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation. I laser sono
sorgenti di luce coerente che si basano sull’emissione stimolata di radiazione da parte di un
sistema di atomi eccitati che operano transizioni da uno stato quantico ad un altro di energia
inferiore.
L’impiego in campo medico risale ad un anno dopo la costruzione del primo laser, avvenuta nel
1960, da parte di Theodore H. Maiman. Da allora il suo uso si è esteso rapidamente a tutti i campi
della medicina.

1.3.1 Emissione spontanea ed emissione stimolata


Atomi ed elettroni si trovano normalmente in uno stato stabile. Se un elettrone assorbe l’energia
di un fotone incidente passa dallo stato stabile ad uno stato ed energia superiore, detto eccitato.
Affinchè questo accada è necessario che il fotone incidente trasporti un’energia pari al salto
energetico che deve compiere l’elettrone. Dopo circa 10¯⁸ secondi, l’elettrone tornerà nello stato
stabile emettendo un nuovo fotone con pari energia, in direzione casuale. Questo processo viene
chiamato emissione spontanea. Tuttavia se un altro fotone con identica energia interagisce con un
30
elettrone nello stato eccitato, quest’ultimo ritorna nello stato stabile emettendo un secondo
fotone che possiede stessa fase, direzione e lunghezza d’onda del fotone incidente. Questo
processo è detto emissione stimolata ed è alla base dell’attività di un laser. Se infatti il fotone
originale e quello stimolato entrano in contatto con altri due elettroni eccitati, l’interazione darà
luogo ad una nuova coppia di fotoni, che procederanno nella stessa irezione e in fase con i
precedenti e che potranno a loro volta dar luogo ad ulteriori fotoni. Al fine di instaurare questa
sorta di reazione a catena è necessario che un numero elevato di elettroni si trovi nel livello
energetico eccitato. Si deve cioè verificare la cosiddetta inversione di popolazione.

1.3.2 Inversione di popolazione


Se un materiale è in equilibrio termico il numero di atomi presenti nel livello energetico stabile è
molto maggiore del numero di atomi nel livello eccitato. La condizione in cui questa situazione si
ribalta è una condizione di non equilibrio chianata inversione di popolazione ed è essenziale per
garantire l’attività laser in quanto favorisce l’emissione stimolata. Il processo utilizzato per
provocare e mantenere l’inversione di popolazione è detto pompaggio. In figura 1 è mostrato un
sistema a 4 livelli energetici, tra i più comuni nel favorire l’azione laser: un sistema di pompaggio
fornisce l’energia richiesta per portare gli elettroni del livello stabile (e₁) a quello eccitato (e₃) dal
quale, per emissione spontanea, ricadono su un livello intermedio (e₂) dove gli elettroni devono
rimanere per un tempo sufficiente affinchè si verifichi l’inversione di popolazione(dai µs ai ns). A
questo punto può iniziare l’emissione stimolata dal livello e₂ al livello e₁.

1.3.3 Struttura di un laser

31
I laser sono costituiti da 3 elementi (Fig. 2):
• una sorgente di energia, quale un arco elettrico, un forte campo elettromagnetico o
un’altra sorgente laser, il cui scopo è quello di fornire energia al fine di garantire il
pompaggio richiesto per generare l’inversione di popolazione;
• un mezzo attivo, che fornisce gli elettroni che devono essere investiti dall’energia della
sorgente per generare la radiazione laser. Il mezzo attivo può essere allo stato gassoso
(argo, anidride carbonica, HeNe, eccimeri, vapori di rame, krypton, ecc.), liquido (tunable
Dye), solido (alessandrite, rubino, Nd:YAG, Er:YAG, Ga:As) o costituito da elettroni liberi.

• una cavità ottica: si tratta di un contenitore che presenta alle estremità due specchi tra i
quali rimbalzano i fotoni che investono gli elettroni, con passaggio degli elettroni eccitati
allo stato stabile e conseguente produzione di energia. Uno degli specchi è parzialmente
riflettente e permette alla luce all’interno della cavità di essere trasmessa all’esterno.

1.3.4 Proprietà della luce laser


La luce laser presenta tre importanti caratteristiche che la contraddistinguono dalle sorgenti di
luce convenzionali:
• monocromaticità: tutta l’energia della luce è concentrata in una banda minima centrata su
una particolare lunghezza d’onda. La lughezza d’onda è determinata dal mezzo attivo che
genera la radiazione laser;
• coerenza: le onde della luce laser sono tutte in fase tra loro;
• collimazione: le onde elettromagnetiche della luce laser sono parallele tra loro. Questo
permette alla luce di propagarsi per lunghe distanze con una minima divergenza del raggio,
32
permettendo così, anche grazie alle proprietà di coerenza, di concentrare elevate quantità
di energia luminosa in piccole aree.

1.3.5 Interazione laser – tessuti biologici


Per parlare dell’utilizzo dei laser in campo medico è necessario considerare l’interazione
radiazione-materia, doce per materia si intende, in questo caso, i tessuti organici umani. Lo studio
dell’interazione laser-tessuto si basa sulla conoscenza del mezzo di propagazione della luce e
quindi sull’assorbimento e la trasmissione della radiazione. La tipologia dell’interazione cambia
notevolmente al variare dei parametri del dispositivo laser e a seconda di come l’energia della
radiazione viene convertita a livello biomolecolare.
Quando la luce colpisce la superficie di un tessuto biologico, circa il 3% di essa viene riflessa a
causa del cambiamento improvviso dell’indice di rifrazione tra aria e tessuto. La parte rimanente si
propaga all’interno del tessuto biologico subendo assorbimento e scattering. L’assorbimento
dell’energia luminosa, con conseguente trasformazione della luce in calore, è indispensabile
perché si verifichi una reazione tissutale. Se i fenomeni di scattering sono trascurabili rispetto alla
capacità di assorbimento del tessuto, la luce laser rimane fortemente collimata nel tessuto e lo
spessore di penetrazione, definito come la profondità alla quale il fascio collimato risulta
attenuato di un fattore e¯¹ (37%), è funzione del coefficiente di assorbimento, che a sua volta è
dipendente dalla lunghezza d’onda. In figura 3 è mostrato lo spessore di penetrazione di alcuni
laser comunemente utilizzati in medicina.

1.3.6 Scattering
Lo scattering della luce laser nei tessuti può influire in maniera significativa sulla propagazione
della radiazione. La probabilità di scattering aumenta al diminuire della lunghezza d’onda, quindi
33
intuitivamente questo fenomeno dovrebbe essere più significativo alle lunghezze d’onda
dell’ultravioletto e del visibile.

1.3.7 Modalità d’interazione dei laser con i tessuti biologici


Una modalità per classificare l’interazione tra laser e tessuti biologici è l’utilizzo della cosiddetta
mappa d’interazione dei laser medicali (Fig. 5) che classifica la tipologia d’interazione in funzione
dell’intensità erogata e della durata dell’esposizione alla radiazione laser. In base a tale grafico è
possibile distinguere quattro tipologie d’interazione: fototermica, fotochimica, fotoablativa ed
elettromeccanica.
Interazione fototermica
Nella mappa si può osservare che si ha interazione termica quando la durata dell’impulso laser è
compresa tra 10¯³ e 5 s. per ottenere tale effetto si utilizza l’estrema concentrabilità dell’energia
luminosa in spot micro o millimetrici con una conseguente conversione elettromagnetica in
energia termica. La generazione di calore nei tessuti è determinata dall’assorbimento locale della
luce laser da parte dei cromofori presenti nei tessuti, in seguito rilasciata e dissipata come energia
cinetica o termica. Il calore è trasferito nelle regioni adiacenti più fredde tramite il fenomeno della
conduzione che dipende dalla conducibilità elettrica e dal coefficiente di diffusione del tessuto.

34
Una volta che la luce laser è stata assorbita e convertita in calore si verifica un innalzamento della
temperatura locale. Per temperature inferiori a 50 °C il danno termico che si verifica è reversibile e
comporta solitamente semplice riscaldamento e ipertermia. A temperature comprese tra 50 °C e
100 °C la maggior parte dei tessuti va incontro a denaturazione o a coagulazione irreversibile delle
proteine. Proteine e altre macromolecole cellulari essenziali sono infatti funzionali solo se disposte
in specifiche configurazioni tridimensionali; un elevato riscaldamento causa una deformazione di
queste delicate strutture, spesso irreversibilmente. Quando la temperatura del tessuto raggiunge
circa 100 °C, l’acqua vaporizza, disidratando il tessuto. La perdita d’acqua provoca una modifica
delle proprietà termiche del tessuto: la conducibilità e la diffusività si riducono e un rapido
aumento di temperatura si verifica prima della vaporizzazione del tessuto, che avviene a
temperature superiori a 100 °C (Fig. 6)
Infine, intorno ai 300 °C, si verifica la carbonizzazione del tessuto. Questi effetti si verificano
sequenzialmente in direzione del gradiente di temperatura dal punto d’impatto verso i tessuti
circostanti. In fig. 7 è indicato l’andamento di temperatura tipico di un’interazione laser-tessuto.

35
La teoria della fototermolisi selettiva , introdotta nel 1983 da Anderson e Parrish, che ha
enormemente aumentato le conoscenze sull’interazione laser-tessuto, stabilisce che un cromoforo
può essere selettivamente danneggiato da un impulso di luce di una specifica lunghezza d’onda la
cui durata risulti più breve del tempo di rilasciamento termico (TRT) del suddetto cromoforo. Il TRT
è definito come il tempo necessario al tessuto irradiato per rilasciare il 50% del calore accumulato.
L’erogazione di impulsi di durata minore rispetto al TRT bersaglio consente di limitare il danno
termico al target prestabilito e ridurre al minimo la diffusione di calore rispetto al TRT di cromofori
più piccoli (es. Fig. 9 riguardo ai target cutanei). Di conseguenza, la possiblità di programmare la
durata di una impulso di energia laser in relazione al calibro del cromoforo prescelto come target,
è essenziale per ottenere un trattamento efficace.

Interazione fotochimica
Questo tipo di interazione è basato sulla capacità della luce di generare reazioni chimiche con
macromolecole o tessuti. Tali reazioni si verificano per livelli molto bassi di intensità (un valore
36
tipico è 1 W/cm²) e per elevati tempi di esposizione; le lunghezze d’onda privilegiate sono quelle
del visibile. Un esempio importante di interazione fotochimica è la fotosensibilizzazione, un
processo che sfrutta la fotoattivazione di molecole mediante la radiazione luminosa. Si iniettano
nel corpo particolari sostanze fotosensibili le cui molecole, irradiate da luce laser, assorbono la
radiazione, passando ad uno stato eccitato, e la rilasciano quasi istantaneamente, dando luogo a
reazioni di trasferimento intramolecolare. Al termine di queste reazioni vengono liberati dei
particolari reagenti che causano un’ossidazione irreversibile di determinate strutture cellulari
essenziali. Questa tecnica viene utilizzata ed esempio, nella terapia fotodinamica, un innovativo
trattamento di alcuni tipi dui tumore. Un altro tipo di interazione fotochimica è la biostimolazione,
ossia la stimolazione dei tessuti con laser a bassa potenza. In questo caso, tuttavia, i meccanismi
alla base del processo sono abbastanza controversi e non ancora del tutto noti.
Interazione fotoablativa
Questa interazione dà luogo ad una pura ablazione di materiale senza provocare lesioni termiche
ai margini. Richiede elevata densità di potenza (10⁷ - 10¹⁰ W/cm²) e durate dell’impulso che vanno
tipicamente dai 10 ai 100 ns. Tale interazione si verifica principalmente per lunghezze d’onda nella
banda dell’UV, in quanto in tale banda i fotoni luminosi trasportano elevata energia e determinate
macromolecole (proteine, amidi, peptidi) presentano un forte assorbimento. Tali assorbimenti
comportano una dissociazione molecolare localizzata, in quanto i fotoni hanno energia sufficiente
a rompere i legami molecolari con energia di circa 6 eV. Il processo fotoablativo consiste nella
fotodissociazione di macromolecole in fotoprodotti repulsivi. L’energia residua non utilizzata per la
rottura dei legami molecolari rimane nei fotoprodotti sotto forma di enegia cinetica traslazionale,
provocando l’istantanea espulsione dei fotoprodotti dalla zona colpita dal fascio.
Interazione elettromeccanica
Si tratta di un’interazione tra tessuto biologico e un laser impulsato con impulsi che vanno dai 10
ns ai 20 ps. Il processo interattivo non è sostenuto da un assorbimento lineare e quindi non è di
tipo termico, si utilizzano infatti intensità luminose che vanno dai 10¹⁰ W/cm² (per tempi di
qualche ns) ai 10¹¹ W/cm² (per tempi di qualche ps) che generano campi elettrici dell’ordine di 10⁶
- 10⁷ V/cm. Tali campi elettrici sono paragonabili ai campi coulombiani intermolecolari e alle
energie di ionizzazione delle molecole e la loro azione provoca un breakdown nel materiale con
una conseguente formazione di microplasma. Nella zona colpita dal fascio si ha quindi un’alta
densità di elettroni liberi. L’espansione del plasma genera un’onda d’urto sferica che copre una
distanza di circa 30 µm; la pressione dovuta all’onda d’urto genera uno stress meccanico, con

37
conseguente lacerazione dei tessuti, localizzato nei punti in cui l’aumento della pressione eccede
le forze di coesione dei tessuti.

1.3.8 Laser in medicina: tipo di emissione


La luce laser viene generata sotto forma di emissioni di diverso tipo, a seconda dell’ambito di
utilizzo (Fig. 10):
• emissione continua: i laser ad emissione continua emettono un raggio con potenza
relativamente bassa che non varia nel tempo. L’emissione di questi laser può essere
interrotta manualmente dall’operatore o possono essere installati dei meccanismi di
controllo elettronico che interrompono, ad intermittenza, l’emissione del raggio laser per
un determinato tempo (da 0,001 a svariati secondi), producendo quindi un raggio, detto
pulsato, che non deve essere confuso con l’emissione dei laser pulsati.
• emissione pseudo-continua: consiste in un treno molto rapido di impulsi ultrabrevi,
dell’ordine dei nanosecondi, con un’erogazione di potenza relativamente bassa e costante.
• emissione pulsata: il laser produce singoli impulsi, estremamente brevi e di potenza più
elevata, ma non costante. I laser superpulsati e ultrapulsati emettono una sequenza
controllata di pulsazioni brevi e potenti. la potenza massima erogata è dieci volte
superiore a quella prodotta dai laser ad emissione continua.
• Q-switched: gli impulsi sono ancora più brevi rispetto a quelli emessi dai laser superpulsati
e ultrapulsati e sono dotati di potenza maggiore. Questo è possibile grazie ad un accumulo
di energia nella cavità del laser.

38
1.3.9 Modalità di trasmissione della radiazione laser
La trasmissione della radiazione laser dalla sorgente al punto di applicazione può avvenire in
diversi modi:
• trasmissionne diretta: è il caso dei laser di posizionamento dei pazienti in radioterapia, in
apparecchi TC o laser a diodi per fisioterapia
• trasmissione mediante fibre ottiche: le fibre ottiche sono costituite per la maggior parte da
vetro di silice in cui possono essere inseriti elementi droganti per migliorare le proprietà
ottiche o da plastica. Si basano sul principio della riflessione totale interna che un raggio
luminoso subisce nella sua propagazione ogni volta all’interfaccia vetro-aria. La fibra è
costituita da due parti: la più interna è il nucleo, o core, che ha indice di rifrazione
maggiore, e quella esterna è il mantello, o cladding, che ha indice di rifrazione minore. Al
fine di proteggere e irrobustire meccanicamente la fibra è presente un rivestimento
esterno polimerico detto coating.

39
Le fibre possono essere monomodali o multimodali: nelle prime il fascio al loro interno si
propaga in un unico modo, quasi parallalelamente all’asse di fibra perché costretto dal
raggio molto piccolo del core (diametro di pochi micron); le fibre multimodali sono quelle
normalmente utilizzate per i laser chirurgici, hanno dimensioni maggiori delle precedenti
(da 200 a 800 micron di diametro). Alcune fibre, dette coassiali, possono essere ricoperte
da un tubo plastico coassiale che consente di veicolare un gas inerte sulla punta e
all’interno del campo operatorio. Tale flusso ha la funzione di rimuovere i fumi generati
dall’interazione laser-tessuto e di raffreddare la punta della fibra. Occorre quindi
attenzione nell’impiego di tali fibre che non possono essere sostituite da quelle prive di tale
sistema, le quali potrebbero subire pericolosi surriscaldamenti.
• trasmissione mediante braccio articolato e/o a guida d’onda cava: questa modalità è
indicata per le radiazioni laser con l > 4000 nm, che vengono assorbite dal vetro e non
possono quindi usufruire della trasmissione mediante fibre in vetro e/o lenti (come per es.
quelle dei laser a CO₂).

40
1.3.10 Modalità di applicazione del fascio laser
L’applicazione del fascio laser alla zona di tessuto da trattare può avvenire in vari modi tramire:
• lenti di focalizzazione: sono utilizzate nei manipoli a contatto del paziente per aumentare o
diminuire l’irradiamento o per ridurre il diametro del fascio sul tessuto bersaglio.

• punte di contatto a zaffiro: sono state sviluppate per i laser ad uso medico (Nd:YAG). Esse
consentono di migliorare le caratteristiche di taglio del laser modellando il fascio e
modificando il rilascio di energia al tessuto, e un maggiore controllo della profondità di
penetrazione del fascio. Aumentano, inoltre, la coagulazione consentendo un contatto
diretto con il tessuto. La punta agisce come una lente alla fine del sistema di trasmissione a
fibra e assume forme (coniche, cilindriche o sferiche) e dimensioni diverse.
• fibre conpunta sagomata: in un altro approccio della chirurgia di contatto, le punte delle
fibre possono essere sagomate in forme coniche o semisferiche. In questo modo si evita la
necessità di un refrigerante e si ottiene una minore fragilità rispetto alle punte in zaffiro.
Consentono anche l’uso “non a contatto” e “interstiziale”.

• estremità metalliche o in ceramica: l’energia del fascio laser può essere utilizzata per
riscaldare una punta metallica o in ceramica alla temperatura in cui la punta come una
sonda di ricanalizzazione.

41
• diffusori e sonde per la terapia fotodinamica: incorporano un diffusore che diffonde la luce
laser su un’area di trattamento relativamente ampia. La forma del diffusore determina la
distribuzione di energia al tessuto bersaglio.

• micromanipolatori: utilizzano un joistick che comanda uno specchio e dirige l’energia laser
al tessuto da trattare. In genere sono impiegati in otorinolaringoiatria ed in ginecologia
accoppiati a laser a CO₂.

• sistemi a scansione: utilizzano delle superfici riflettenti che opportunamente sincronizzate


nei movimenti consentono di definire un’area limitata ento cui far “spazzolare” il fascio in
modo da distribuire l’energia all’interno di tale area. Questi sistemi sono normalmente
impiegati in fisioterapia.

1.3.11 Parametri applicativi


I parametri applicativi più importanti della luce laser sono la densità di potenza, la densità di
energia, il tempo di esposizone, il profilo di intensità e la dimensione del fascio.
Densità di potenza e di energia: la densità di potenza esprime la potenza rilasciata per unità di
area del tessuto irradiato. Si misura in W/cm² e si determina divindendo la potenza di uscita del
laser con (W) per la dimensione dello spot (cm²), assumendo per semplicità una densità uniforme.
Esiste infatti un rapporto inversamente proporzionale fra la dimensione dello spot e la densità di
potenza, inoltre, più breve è la durata dell’impulso, maggiore dovrà essere la densità di potenza
richiesta per rilasciare una quantità di energia sufficiente a rimuovere il tessuto. Densità di
potenza molto elevate riscaldano però molto rapidamente il tessuto mentre il riscaldamento

42
graduale determina la coagulazione del tessuto, quello veloce ne causa la vaporizzazione.
Utilizzando densità di potenza molto alte, nell’ordine di MW/cm² o GW/cm², come raggiungono i
laser Q-switched, il riscaldamento è così rapido che il bersaglio esplode. Per determinare un
effetto clinico è necessario che una certa quantità di energia venga assorbita dal tessuto. Questo
valore viene misurato dalla densità di energia (o fluenza) che rappresenta l’energia rilasciata per
unità di area del tessuto irradiato. La fluenza si misura in J/cm² e si calcola moltiplicando la densità
di potenza per il tempo di esposizione. Attualmente, in alcuni laser Q-switched, la densità di
energia può essere modificata dall’operatore così da variare l’effetto clinico. Infatti, l’aumento di
tale parametro incrementa la quantità di energia rilasciata al tessuto, con conseguente maggiore
effetto clinico.
Profilo di intensità e dimensione del fascio: molto spesso il fascio laser assume un profilo di
intensità gaussiano e questo comporta una densità di potenza non uniforme che assume un valore
massimo al centro del fascio e decresce allontanandosi in direzione radiale (Fig. 13).

La regione interessata da vaporizzazione o coagulazione dipenderà da una soglia di intensità


(W/cm²), funzione della potenza applicata: all’aumentare della potenza, l’intensità nella coda del
profilo gaussiano tenderà ad aumentare e la soglia di intensità si allontanerà dal centro del fascio.
Per questo tipo di profilo la dimensione del fascio è spesso indicata come il raggio o il diametro del
fascio, ¹/e²: cioè la distanza dal centro del fascio in corrispondenza della quale l’intensità si è
ridotta di un fattore di 0,135 rispetto al valore massimo. Circa l’85% della potenza del fascio laser è
contenuta all’interno del diametro ¹/e².
Accade a volte che i laser perdano l’allineamento e l’intensità assume in questo caso un profilo a
ciambella, presentando una depressione al centro. A causa di questi profili non uniformi è difficile
focalizzare il fascio in un punto ben preciso, inoltre è importante ricordare che il diametro minimo
43
ottenibile dipende dalla lunghezza d’onda utilizzata. Laser che operano nelle regioni del visibile e
dell’ultravioletto permettono di focalizzare maggiormente il fascio rispetto ai laser ad infrarosso.

1.3.12 Classificazione dei laser ad uso medico


I laser disponibili per applicazioni mediche generano lunghezze d’onda che si estendono da 193
nm, in banda UV, ai 10300nm, nel lontano infrarosso (Fig. 15).

In base alle loro caratteristiche fisiche i laser possono essere suddivisi in diverse categorie:
• Laser a CO₂: è uno dei laser chirurgici più utilizzati. Numerose applicazioni traggono
beneficio dalla sua abilità di taglio e vaporizzazione, grazie al forte assorbimento dell’acqua
alla lunghezza d’onda prodotta da questo laser, 10600nm. Possiede buone capacità di
cauterizzazione, tuttavia presenta difficoltà nel trasporto in fibra ottica: per l’utilizzo
endoscopico devono pertanto essere impiegate particolari guide d’onda. Le principali
applicazioni riguardano la chirurgia generale (come bisturi), la coagulazione superficiale, la
terapia dermica di alcuni tumori, la ginecologia, l’urologia, la neurochirurgia e la chirurgia
cardiovascolare.

44
• Laser Nd:YAG (Neodymium doped Yttrium Aluminium Garnet): si tratta di uno dei laser
più versatili per la gamma di frequenze generabili e per l’utilizzo endoscopico, grazie al
facile trasporto in fibra ottica. Le frequenze di emissione sono 1064 nm, 532 nm (seconda
armonica), 266 nm (quarta armonica), 1320 nm. È fortemente assorbito da acqua,
emoglobina e cornea. Le principali applicazioni riguardano la coagulazione in profondità, la
distruzione termica di masse tumorali, la chirurgia vascolare, la chirurgia generale,
l’oftalmologia e l’odontoiatria.
• Laser ad Argo: possiede una frequenza di emissione di 488 nm e 514,5 nm. Viene assorbito
fortemente dall’emoglobina ed i principali utilizzi sono la fotocoagulazione, in particolare
per trattare patologie retiniche in oftalmologia. Viene inoltre utilizzato come sistema di
pompaggio per la sorgente laser nella terapia fotodinamica.
• Laser Er:YAG (Erbium doped YAG): presenta una frequenza di emissione di 2940nm, a cui
corrisponde il massimo assorbimento dell’acqua. Permette di ottenere precise foto
ablazioni tissutali e può essere trasportato in fibra. Ha trovato ampio utilizzo in ortopedia e
odontoiatria, grazie all’abilità di incidere tessuti duri, e sta rapidamente sostituendo il laser
CO₂ in molte applicazioni dermatologiche. Lo svantaggio maggiore è la scarsa capacità di
coagulazione.
• Laser Ho:YAG (Holmium doped YAG): è un laser ad emissione nell’IR ad una frequenza di
2060 nm. Presenta caratteristiche simili ai laser CO₂ ma ha il vantaggio di essere facilmente
trasportabile in fibra e di poter essere utilizzato in mezzi liquidi. È in grado di incidere con
precisione i tessuti e garantisce un’adeguata coagulazione. Viene efficacemente utilizzato
in chirurgia ortopedica, per la frammentazione dei calcoli e per altre patologie delle vie
urinarie.
• Laser ad eccimeri: si tratta di diversi tipi di laser con frequenza di emissione nello spettro
UV (es. ArF: 193 nm, KrF: 248 nm). Vengono fortemente assorbiti da stroma corneale e
polimeri organici producendo un effetto ablativo. La principali applicazioni riguardano la
chirurgia rifrattiva per la correzione di difetti visivi e la chirurgia cardiovascolare.
• Laser a coloranti (Dye laser): sono laser fortemente accordabili, presentano una frequenza
di emissione variabile tra 570 nm e 650 nm. Vengono assorbiti da vari tessuti a seconda
della frequenza utilizzata. Grazie alla caratteristica di accordabilità permettono di scegliere
selettivamente il tessuto da trattare. Vengono utilizzati in diverse aree della dermatologia.

45
• Diodi laser: sono stati introdotti abbastanza di recente e presentano numerosi vantaggi
rispetto ai laser più tradizionali: sono compatti, efficienti e silenziosi. Emettono una
radiazione nel vicino infrarosso. Attualmente vengono utilizzati in odontoiatria per
l’incisione di tessuti molli, in terapia fotodinamica in terapia laser a bassa potenza.
• Laser ad elettroni liberi: sono dispositivi in cui il mezzo attivo non è costituito da un
sistema atomico o molecolare in cui sia stata realizzata un’inversione di popolazione, ma
da un fascio di elettroni che, accelerato ad una velocità di poco inferiore a quella della luce,
si propaga attraverso un campo magnetico periodico generato da una serie di magneti a
poli alternati (chiamato wiggler o ondulatore). L’interazione tra gli elettroni e l’ondulatore
provoca l’emissione di fotoni ad una specifica lunghezza d’onda. Tali fotoni vengono poi
fatti rimbalzare tra due specchi come nei dispositivi laser convenzionali. Tuttavia, a
differenza di questi ultimi in cui le frequenze di emissione sono limitate dalle transizioni
energetiche ammesse nel materiale utilizzato, i laser ad elettroni liberi possono coprire
l’intera porzione dello spettro che va dai raggi infrarossi ai raggi x, variando
opportunamente la potenza del fascio elettronico o la spaziatura tra i magneti. Oltre
all’importante proprietà di accordabilità, i laser ad elettroni liberi sono caratterizzati da una
elevata coerenza spaziale e temporale del fascio generato, da un’elevata potenza d’uscita
(fino ai GW) e dalla possibilità di essere facilmente trasportati in fibra.

1.3.13 Applicazioni chirurgiche e terapeutiche


Il laser ormai è diventato insostituibile in una gran varietà di applicazioni in campo medico grazie
alle sue peculiarità: precisione, frequente assenza di sanguinamento, riduzione del dolore e delle
complicanze post-operatorie. La grande varietà di laser ad uso medico è dettata dal fatto che
ciascun problema clinico va affrontato con una precisa combinazione di lunghezza d’onda e
caratteristiche d’intensità del fascio laser. nella tabella sottostante sono schematizzati i principali
laser chirurgici, le loro caratteristiche e le applicazioni nei vari ambiti clinici.

46
1.4 Radiazioni ottiche non coerenti (Radiazione Ultravioletta)
La radiazione ultravioletta (radiazione UV) è quella porzione dello spettro elettromagnetico di
lunghezze d´onda comprese tra 100 e 400 nm (nanometri) o, equivalentemente, tra 0,1 e 0,4
47
micron. Verso le lunghezze d´onda maggiori, la radiazione UV confina con la luce visibile di
lunghezza d´onda più corta, percepita dall´uomo come viola, da cui la denominazione "radiazione
ultravioletta".

La radiazione UV è suddivisa in tre bande di differenti lunghezze d´onda chiamate UVA, UVB e
UVC. Le esatte lunghezze d´onda in base alle quali vengono definite le tre bande variano a
seconda degli specifici ambiti di studio. La suddivisione più utilizzata è però la seguente:

L’irradianza solare, ovvero il flusso della potenza radiante incidente su un elemento di superficie
(W/m²), per la radiazione UV che giunge sulla Terra (emessa dal sole) è fortemente dipendente da
una molteplicità di variabili quali ora, giorno dell’anno, latitudine, altitudine, condizioni
atmosferiche, qualità dell’aria, riflessione del sole, spessore dello strato di ozono e, ovviamente,
ombra.

1.4.1 Le sorgenti di radiazione ultravioletta


Sorgenti naturali. La sorgente naturale più importante è sicuramente il sole. Come tutti i corpi a
temperature elevate, anche il sole emette una ampio spettro di onde elettromagnetiche che
spaziano dall´infrarosso all´ultravioletto.
Tale emissione è legata alla trasformazione dell´energia termica prodotta dalle numerose reazioni
nucleari e chimiche che avvengono all´interno e sulla superficie della stella, in energia radiante.

48
L´atmosfera terrestre, tramite processi di assorbimento e diffusione, agisce come un filtro rispetto
alle radiazioni provenienti dal sole. In particolare:
• la radiazione UVC (la più dannosa per la vita a causa del suo alto contenuto energetico) viene
completamente assorbita dall´ozono e dall´ossigeno degli strati più alti dell´atmosfera;
• la radiazione UVB viene anch´essa in buona parte assorbita, ma una non trascurabile
percentuale (circa il 15-20%) riesce a raggiungere la superficie terrestre;
• la radiazione UVA riesce in buona parte (circa il 55-60%) a raggiungere a superficie terrestre.
In sintesi, la radiazione UV che raggiunge la superficie terrestre è circa il 9% (circa 120 Wm²) della
radiazione solare al top dell´atmosfera ed è distribuita tra UVA (90%) ed UVB (10%).

Sorgenti artificiali. Le sorgenti artificiali sono di svariati tipi e ambiti di applicazione. Tra le più
diffuse, ricordiamo le lampade germicide che sono usate per assicurare la sterilità di
utensili e ambienti ospedalieri. Esse sono costituite da tubi di vetro al quarzo riempiti con una
49
miscela gassosa di argon e vapori di mercurio a bassa pressione, attraverso i quali viene indotta
una scarica elettrica. A differenza dello spettro solare, lo spettro di emissione di queste lampade è
costituito da righe discrete, in corrispondenza alle frequenze di diseccitazione degli atomi di
mercurio soggetti alla scarica elettrica. Per le lampade a mercurio la riga principale, che
comprende da sola l´80% dell´energia emessa, si trova a 254 nm. Essa è vicinissima alla lunghezza
d´onda di massimo assorbimento del DNA, a 260 nm, e questo spiega la particolare efficacia di
queste lampade nell´indurre effetti di sterilizzazione.
Un altro utilizzo delle lampade UV, oggi molto comune, è negli istituti di estetica per favorire
l´abbronzatura. In questo caso la lampada deve essere opportunamente schermata per eliminare
le componenti nocive e permettere la fuoriuscita della sola radiazione UVA che è quella ad effetto
abbronzante. In campo artigianale ed industriale infine è frequente l´uso di saldatrici ad arco
elettrico ed anche di alcuni laser che operano a lunghezze d´onda comprese nell´ultravioletto.

Tubi a vapori di mercurio per l'emissione di raggi ultravioletti, quello più in alto emette
raggi UV-A (lampada di Wood), l'altro raggi UV-C (lampada germicida)

Data la natura dell’esposizione a radiazione UV, gli organi a rischio sono la cute e gli occhi.
L’effetto dell’esposizione a UV è fortemente dipendente dalla tipologia del soggetto: in relazione
alla cute è legato al cosiddetto fototipo, per quanto riguarda gli occhi al cosiddetto fenotipo. La
tabella sottostante riporta la classificazione dei fototipi cutanei basata sulla tendenza alle
scottature solari e sulla capacità di abbronzarsi.

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L’azione dannosa della radiazione UV sulla cute può essere amplificata dalla presenza di agenti
foto sensibilizzanti (farmaci ecc.) analogamente a quanto avviene in senso positivo nella
fotochemioterapia. La tabella sottostante riportata gli effetti dannosi sulla cute dovuti
all’esposizione a radiazione ultravioletta.

Per gli occhi i danni possibili sono rappresentati da cataratta, congiuntiviti, fotocheratiti,
fotoretiniti, pterigio. Le diverse tipologie di danno sono riassunte nelle tabelle seguenti.

51
È da rimarcare nuovamente come la tipologia dei danni, alla cute o agli occhi, dipenda dalla
lunghezza d’onda della radiazione incidente, mentre l’entità sia ovviamente in diretta relazione
con il tempo e l’intensità di esposizione.

1.4.2 Rischi e benefici


L´esposizione del corpo umano alla radiazione solare è un evento naturale e si può dire che gli
organismi viventi abbiano raggiunto nel corso della loro evoluzione un delicato equilibrio tra
effetti benefici e danni biologici prodotti dalla radiazione. Piccole dosi di radiazione UV sono
infatti benefiche, mentre una eccessiva esposizione può avere conseguenze indesiderate per la
salute. La condizione di esposizione ideale alla radiazione UV non è quindi l´assenza di esposizione
bensì una "giusta" dose che varia in funzione dell´età, del sesso e del tipo di pelle.
Gli effetti positivi dell´esposizione a corrette dosi di radiazione UV possono essere ricondotti ai
seguenti ambiti:
• Produzione di vitamina D (prevenzione dell´osteoporosi, del diabete tipo 1, delle malattie
autoimmuni e di diversi tipi di tumori)
• Produzione serotonina (prevenzione depressione)
• Effetto disinfettante (limitazione proliferazione batteri)
• Terapie di patologie dermatologiche (psoriasi, vitiligine, dermatite atopica)
• Benessere termico e visivo

52
Risulta quindi evidente che livelli eccessivamente bassi di esposizione rappresentino un rischio per
la salute in relazione ad aspetti di notevole importanza.
Effetti a breve termine. Alcuni degli effetti avversi sulla salute umana sono visibili entro poche ore
dall´esposizione. L´azione della radiazione UV sull´epidermide porta alla liberazione di sostanze
(mediatori) che causano vasodilatazione ed eritema. E´ solo a distanza di alcuni giorni che si ha un
aumento della pigmentazione cutanea dovuta alla stimolazione della produzione di melanina da
parte dei melanociti; tale reazione è da considerare un meccanismo di difesa della cute nei
confronti dell´azione degli UV.

L´eritema solare, cioè l´arrossamento della pelle determinato dall´effetto combinato della
dilatazione dei vasi capillari (indotta soprattutto dai raggi infrarossi) e da una reazione
infiammatoria protratta, può trasformarsi in ustione. L´ustione è determinata sia dagli UVB sia
dagli UVA; benché per questi ultimi sia necessaria una dose di esposizione 1000 volte superiore a
quella degli UVB, dato il predominante contributo degli UVA allo spettro solare al suolo, si ritiene
che essi siano responsabili di almeno il 15% della reazione eritematosa. L´abbronzatura, il cui
scopo naturale è proteggere la pelle, è più rapida e meno intensa nella sua componente dovuta
agli UVA, più duratura nella componente prodotta dagli UVB. Altri effetti precoci legati
all´esposizione alla luce solare sono rappresentati dalla comparsa di intenso bruciore agli occhi
accompagnato da lacrimazione e sensazione di fastidio in condizioni di esposizione alla luce
(fotofobia) causati da infiammazione della cornea e della congiuntiva.
Effetti a lungo termine. Tra gli effetti tardivi devono essere ricordati i fenomeni di invecchiamento
accelerato della cute, con perdita di elasticità della stessa e comparsa di macchie. Fenomeni di
maggiore importanza sono rappresentati dalla comparsa di tumori cutanei, tra cui in particolare i
carcinomi e il melanoma. Anche l´occhio può essere oggetto di effetti a lungo termine: a distanza
di tempo, infatti, può manifestarsi la comparsa di malattie tra le quali l´opacizzazione del
cristallino (cataratta).

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E´ da sottolineare che molte ricerche hanno messo in evidenza come causa della comparsa di
tumori della pelle, oltre alla durata dell´esposizione ed alle caratteristiche delle radiazioni
assorbite, anche la precocità della stessa e il numero delle cosiddette "scottature". Particolare
attenzione si consiglia pertanto nell´esposizione al sole dei bambini, che risultano particolarmente
sensibili alla radiazione solare, non solo rispetto agli effetti a breve termine, ma soprattutto
rispetto a quelli a lungo termine.
Legato sia agli effetti a breve termine che a quelli a lungo termine è l´effetto immunodepressivo.
C´è infatti una crescente evidenza che sia l´esposizione acuta, sia l´esposizione cronica alla
radiazione UV possano indurre un sistematico effetto immunodepressivo. Largamente incomplete
sono però le evidenze sul fatto che questo si traduca in un effetto sanitario significativo.
Sebbene tutti gli individui siano da considerarsi a rischio rispetto agli effetti di una eccessiva
esposizione alla radiazione UV, una particolare prudenza dovrebbe essere adottata, oltre che dai
bambini di cui si è già parlato, anche dalle donne in gravidanza, dalle persone con precedenti in
famiglia di tumori cutanei, dalle persone che assumono farmaci fotosensibilizzanti e in generale
dalle persone con fototipi bassi.
Il corpo umano possiede efficienti sistemi di fotoprotezione naturale, quali:
• la barriera cornea - La cornea è lo strato cellulare dell´epidermide più esterno e più spesso
ed aumenta di spessore in seguito all´esposizione al sole;
• la melanina - La melanina è un pigmento scuro prodotto da cellule specializzate, i melanociti,
presenti nello strato basale dell´epidermide in quantità diversa secondo il tipo di carnagione. La
fotoprotezione della pelle umana è ottenuta mediante un efficiente processo fotochimico che
coinvolge la melanina, il DNA e le proteine e che converte l´energia dei fotoni UV in piccole
quantità di calore, assolutamente innocue;
• i carotenoidi e le vitamine C e E - I caroteneoidi e le vitamine C ed E sono utili sia per
potenziare il fattore di protezione delle creme utilizzate, sia per evitare i fenomeni di foto-allergia
che si sviluppano normalmente nei primi giorni di esposizione;
• la pelosità - I capelli e i peli in generale rappresentano un importante barriera fisica di
protezione dell´epidermide;
• meccanismi enzimatici di riparazione del DNA - La radiazione UV è caratterizzata da livelli
energetici sufficienti ad indurre modificazioni del DNA ma esiste una meccanismo biologico di
riparazione del danno chiamato DNA polimerasi che, con differente efficienza a seconda delle

54
condizioni di esposizione e delle caratteristiche individuali, è in grado di provvedere al ripristino
della configurazione genetica originaria.
La pelle ed il corpo umano possiedono quindi dei mezzi di protezione intrinseci. Quando
l´esposizione non è graduale e la pelle non ha il tempo di "adeguarsi" alle condizioni cui è
sottoposta, tali difese naturali diventano insufficienti il rischio di danni sanitari reale.

1.4.3 Principali applicazioni delle sorgenti UV in medicina


Tuttavia, pur restando valide le precauzioni consigliate dai dermatologi e dagli oculisti
nell’esposizione solare (uso di adeguati filtri solari per gli occhi e la pelle, evitare le esposizioni
prolungate ecc.), parimenti non sono diffuse adeguate indicazioni di sicurezza per quelle attività
che in ambito sanitario prevedono l’utilizzo di sorgenti artificiali di radiazione UV e che vengono di
seguito riportate:
• fotodermatologia
• odontoiatria
• ortopedia
• analisi e ricerca
• impiantistica
Le sorgenti di UV sono costituite essenzialmente da lampade contenenti vapori a bassa o alta
pressione (neon, mercurio, idrogeno, xenon ecc.), funzionanti a scarica elettrica, che emettono
radiazione spesso focalizzata con sistemi ottici (paraboloidi, specchi ecc.). Le lampade possono
essere singole o installate in più unità vicine tali da formare delle vere e proprie batterie di
irradiazione per l’intero corpo (total body).

In fotodermatologia l’esposizione di utenti alla sola radiazione di specifiche bande UV


(fototerapia), è un trattamento altamente efficace e tollerabile per numerose dermatosi quali
psoriasi, micosi fungoide, vitiligine e varie fotodermatosi. Le bande possono essere: banda stretta

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UVB, banda larga UVB, UVA, UVA1 e UVAB. L’esposizione a UVA può essere anche associata alla
somministrazione di farmaci, per lo più psoraleni, il cui effetto viene stimolato o potenziato
proprio dalla radiazione che investe la cute del soggetto trattato (foto chemioterapia o PUVA-
terapia). In odontoiatria vengono impiegate delle lampade a UV per indurire, provocando un
cambio di stato fisico (polimerizzazione), alcuni composti (resine) utilizzati per la ricostruzione
dentaria. In ortopedia si sfrutta un procedimento analogo per indurire o saldare i composti chimici
di cui sono fatte alcuni tipi di protesi ossee. Nei laboratori di analisi e ricerca si utilizzano le
radiazioni UVC generate da lampade per sterilizzare le colture cellulari da alcuni tipi di agenti
patogeni sensibili, oppure le radiazioni UVA e UVB per studiare, attraverso l’uso di sistemi ottici
(microscopi, diffrattometri ecc.), alcune strutture materiali o molecolari.
In molti impianti di climatizzazione o di distribuzione dell’acqua vengono impiegate lampade a
UVC per la sterilizzazione di microrganismi patogeni sensibili, che si possono sviluppare all’interno
di canali di ventilazione dell’aria o di condotti di trasporto dell’acqua. In generale le sorgenti di UV
sono anche sorgenti di luce visibile ma, a parità di spettro visibile, lo spettro UV può essere
sostanzialmente diverso, dipendendo fortemente dalla modalità di produzione e dal sistema di
filtri posti davanti alla sorgente che limitano l’emissione. Esistono inoltre filtri che riducono
maggiormente lo spettro visibile di quello UV.

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Capitolo II

Il quadro normativo alla luce del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81

2.1 Introduzione

Il Capo IV del Titolo VIII del nuovo “testo unico” (il d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81) contiene le
disposizioni specifiche sulla protezione dai campi elettromagnetici, derivanti dal recepimento della
direttiva 2004/40/CE, la diciottesima direttiva particolare ai sensi della 89/391/CEE, che reca i
requisiti minimi per la protezione dei lavoratori dalle esposizioni ai campi elettromagnetici
nell'intervallo di frequenze tra 0 Hz e 300 GHz.
Il Titolo VIII del d.lgs. 81/2008 raccoglie a sua volta le disposizioni specifiche sugli agenti fisici. Il
Titolo reca sei capi, il primo di carattere generale, quattro su specifici agenti (rumore, vibrazioni,
campi elettromagnetici, radiazione ottica artificiale), e l’ultimo sulle sanzioni. La scelta di trattare
unitariamente gli agenti fisici è giustificata da vari motivi. Buona parte delle disposizioni del Titolo
deriva del recepimento di direttive europee, in particolare la direttiva 2002/44/CE sulle vibrazioni,
la direttiva 2003/10/CE sul rumore, la direttiva 2004/40/CE sui campi elettromagnetici, e la
direttiva 2006/25/CE sulla radiazione ottica artificiale. In attuazione del mandato previsto dalla
legge 3 agosto 2007 n. 123 (la legge che ha delegato il governo a emanare il testo unico), che ha
tra suoi principi il coordinamento delle norme previgenti, le disposizioni comuni alle varie direttive
sugli agenti fisici sono state raccolte nel Capo I -Disposizioni generali- del Titolo VIII, al fine di
creare un quadro di principi generali, successivamente arricchito dalle disposizioni specifiche sui
singoli agenti.
Il testo del Capo IV riproduce in larga parte quello del d.lgs. 19 novembre 2007 n. 257
(recepimento della direttiva 2004/40/CE), pubblicato in G.U. il 9 gennaio 2008 nella forma di
modifiche e integrazioni al d.lgs. 626/94, che oggi è superato e abrogato dal testo unico. Il decreto
257/07 recava il 30 aprile 2008 quale data di entrata in vigore, riprendendo il termine per il
recepimento stabilito dalla direttiva 2004/40/CE. Più recentemente è intervenuta la direttiva
2008/46/CE, pubblicata sulla gazzetta ufficiale europea il 26 aprile 2008, a modificare tale termine
al 30 aprile 2012, sulla base di una proposta della Commissione Europea formulata nell'ottobre del
2007. Alla data di pubblicazione del d.lgs. 81/08 (il 30 aprile) la direttiva 2004/40/CE è quindi da
intendersi come modificata dalla 2008/46/CE.

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L’entrata in vigore delle disposizioni del Capo IV è posta al 30 aprile 2012, in quanto la
formulazione utilizzata all'articolo 306 -Disposizioni finali-, comma 2, rimanda alla data stabilita
nella direttiva quale termine di recepimento. Nondimeno, le disposizioni generali del Capo I, in
particolare l'obbligo di valutazione del rischio, si applicano anche ai campi elettromagnetici, e il
Capo IV costituisce un valido punto di riferimento operativo in termini di principi guida.
Quest’orientamento è anche quello condiviso tra il Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei
luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome e l’ISPESL, che sarà raccomandato in
documento congiunto sul tema che sarà presto disponibile sui rispettivi siti istituzionali.

2.2 I principi fondamentali del Capo I del Titolo VIII, e la loro rilevanza nei confronti della
protezione dai campi elettromagnetici
L’art. 180 -Definizioni e campo di applicazione-, comma 1, definisce il campo di applicazione ed
elenca gli agenti fisici di interesse della norma. Il comma 2 rimanda ai successivi quattro capi del
Titolo per gli agenti di interesse delle direttive europee, ma allo stesso tempo stabilisce
chiaramente la validità generale e l’autonomia delle disposizioni del Capo I rispetto ai successivi.
Nell’art. 181 -Valutazione dei rischi- si richiede esplicitamente al datore di lavoro, nell’ambito del
processo generale di valutazione del rischio di cui all’art. 28, la valutazione di tutti i rischi derivanti
da esposizione ad agenti fisici, e l’identificazione e adozione delle opportune misure di
prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone
prassi (comma 1). Tale disposizione ha validità del tutto generale ed immediata,
indipendentemente dalla data di entrata in vigore dei successivi capi specifici, che nel caso del
Capo IV (campi elettromagnetici) e del Capo V (radiazione ottica artificiale) è posta,
rispettivamente, al 2012 e al 2010. Resta ferma l’acquisizione dell’efficacia delle disposizioni di
detto articolo, anche sotto il profilo sanzionatorio, a decorrere dal 1 gennaio 2009, come previsto
all’art. 306, comma 2, come recentemente modificato dalla legge 129/2008.
Per i campi elettromagnetici assume quindi particolare rilievo il richiamo alle norme di buona
tecnica e alle buone prassi, da intendersi nelle definizioni formulate all’art. 2 del testo unico, ma
anche i principi stabiliti al Capo IV, pur non immediatamente in vigore, non possono essere
ignorati. Al comma 2 viene stabilito che la valutazione dei rischi da agenti fisici deve essere
effettuata da personale qualificato in possesso di specifiche conoscenze in materia. Tale
disposizione integra i requisiti generali stabiliti all’art. 32, ed è auspicabile sia applicata in modo
rigoroso dai datori di lavoro, mediante analisi specifica dei curricula dei soggetti interessati.

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Peraltro, nel caso particolare dei campi elettromagnetici e della radiazione ottica, la Consulta
Italiana Interassociativa per la Prevenzione (CIIP) ha già proposto specifici percorsi e requisiti
educativi, che costituiscono un buon punto di riferimento e potrebbero essere assunti quale base
per una più puntuale definizione delle specifiche conoscenze in materia. Il comma 3 stabilisce la
possibilità, da parte del datore di lavoro, di includere nel documento di valutazione dei rischi una
giustificazione secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione
più dettagliata. Tale norma non elude l’obbligo di valutazione del rischio, ma definisce la possibilità
di una procedura di valutazione semplificata, in particolare solo documentale, che deve ad ogni
modo essere fondata su informazioni reperibili sulla normativa tecnica di riferimento, come la
raccomandazione europea 199/519/CE riguardante le esposizioni inferiori ai livelli di riferimento
per la popolazione. In linea con queste definizione, sono condizioni espositive giustificabili quelle
elencate nella tabella 1 sottostante, elaborate dal CENELEC nel Final Draft FprEN 50499:2009.
Esempi di luoghi di lavoro per i quali, comunemente, si può effettuare la giustificazione del rischio
sono gli uffici, i centri di calcolo, i negozi, gli alberghi, etc. Resta ferma la piena disponibilità del
datore di lavoro nell’assumere la giustificazione per la propria particolare sorgente nelle specifiche
condizioni e ambiente di utilizzo.
D’altro canto, nello stesso documento, vengono elencate le situazioni lavorative che meritano
sicuramente un approfondimento valutativo (tabella 2): centrali e sottostazioni elettriche,
installatori e manutentori di sistemi fissi di telecomunicazioni, fino ad arrivare alle situazioni
inerenti la realtà sanitaria, come gli operatori sanitari e personale delle pulizie di apparecchi di
Risonanza Magnetica, chirurghi e personale sanitario che utilizza elettrobisturi e apparecchiature
similari, fisioterapisti che utilizzano apparecchi di diatermia, addetti alla manutenzione e
riparazione di apparecchiature e impianti medicali emittenti CEM.
Non possono essere automaticamente giustificati tutti quegli apparecchi che dichiarano il rispetto
delle norme di compatibilità elettromagnetica. Tali norme prescrivono vincoli sull’immunità degli
apparati ai CEM (cioè la capacità di funzionare correttamente anche in presenza di disturbi
elettromagnetici) e sull’emissione degli stessi apparati ai fini della prevenzione di
malfunzionamenti su altre attrezzature utilizzate in prossimità dell’apparato. I vincoli sulle
emissioni però non garantiscono automaticamente il rispetto dei limiti per la protezione della
salute umana, a meno che tale aspetto non sia esplicitamente riportato nella norma di prodotto.

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60
61
L’art. 182 –Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi- ribadisce i principi generali di
riduzione alla fonte e minimizzazione del rischio, e introduce il divieto di superamento dei limiti di
esposizione definiti nei capi successivi. L’art. 183 – Lavoratori particolarmente sensibili- richiama il
datore di lavoro ad adattare le disposizioni di cui all’art. 182 alle esigenze dei lavoratori
appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed
i minori. La formulazione riprende un principio già presente nell’articolo 28, comma 1. Un caso
rilevante in tal senso è quello dei soggetti portatori di dispositivi medici attivi (es. pacemaker) che
potrebbero soffrire di effetti di interferenza elettromagnetica se esposti a campi elettromagnetici.
L’art. 185 –Sorveglianza sanitaria- richiama al comma 1 i principi dell’articolo 41, e stabilisce che la
sorveglianza sia effettuata dal medico competente nelle modalità enei casi previsti ai rispettivi capi
..., sulla base dei risultati della valutazione del rischio. L’esplicito riferimento ai risultati della
valutazione del rischio rende coerente l’applicazione di un regime di sorveglianza sanitaria anche
nei confronti dei lavoratori esposti a campi elettromagnetici (e a radiazione ottica artificiale)

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soprattutto in relazione ai lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio. Il
comma 2 definisce l’obbligo di revisione della valutazione del rischio qualora la sorveglianza
sanitaria riveli un’alterazione apprezzabile, correlata ai rischi lavorativi, dello stato di salute di un
lavoratore. Il datore di lavoro deve altresì tenere conto del parere del medico competente
nell’attuazione delle misure necessarie a ridurre o eliminare il rischio. Tale previsione è conforme
al principio già espresso all’art. 25, comma 1, lettera a), secondo il quale il medico competente
partecipa attivamente alla valutazione dei rischi e all’attuazione delle misure di tutela, principio
che trova terreno elettivo di applicazione nel caso dei lavoratori appartenenti a gruppi
particolarmente sensibili al rischio.

2.3 Le disposizione specifiche del Capo IV - Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a
campi elettromagnetici
L'art. 206 -Campo di applicazione- corrisponde all'art. 1 della direttiva 2004/40/CE, e definisce il
campo di applicazione, che, secondo il comma 1, afferisce alla protezione dagli effetti accertati dei
campi elettromagnetici, che sono quelli riconducibili all’induzione di correnti nell’organismo,
all’eccessivo riscaldamento dei tessuti, ed al rischio di correnti di contatto. Nel comma 2 viene
esclusa la protezione da eventuali effetti a lungo termine, e dai rischi risultanti dal contatto con i
conduttori in tensione (questi ultimi già disciplinati nell’ambito della sicurezza elettrica),
riprendendo un principio espresso nell’articolato e nel preambolo della direttiva 2004/40/CE.
L’art. 207 –Definizioni- (identico all'art. 2 della direttiva) definisce in dettaglio i campi
elettromagnetici di interesse della norma, che sono i campi magnetici statici, ed i campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo con frequenza fino a 300 GHz, che è il limite
inferiore delle frequenze ottiche. In accordo con gli orientamenti internazionali non vengono
trattati i campi elettrici statici, di scarso interesse protezionistico. La definizione dei valori limite di
esposizione e dei valori di azione è mutuata dalle linee guida dell'International Commission on Non
Ionising Radiation Protection (ICNIRP). I valori limite di esposizione sono basati sugli effetti sulla
salute accertati e su considerazioni biologiche, e garantiscono la protezione contro tutti gli effetti
nocivi a breve termine conosciuti. Nella terminologia dell'ICNIRP questi valori vengono chiamati
limiti di base, e corrispondono a grandezze interne al corpo umano, non direttamente misurabili
nei soggetti esposti. I valori di azione corrispondono invece all'entità dei parametri misurabili, in
termini di campo elettrico (E), campo magnetico (H) o induzione magnetica (B), e densità di

63
potenza (S), che determina l'obbligo di adottare una più azioni finalizzate a proteggere i lavoratori.
Il rispetto dei valori di azione assicura il rispetto dei pertinenti valori limite di esposizione.
L'art. 208 -Valori limite di esposizione e valori di azione- richiama le relative tabelle riportate
nell'allegato XXXVI, che è identico all'allegato della direttiva. Le tabelle sono corredate di note
esplicative riprese dalle linee guida dell'ICNIRP. La tabella 1 reca i valori limite di esposizione, che
coincidono con i limiti di base stabiliti dall'ICNIRP.

I valori limite di esposizione sono definiti in termini di densità di corrente indotta, espressa in
mA/m2, fino alla frequenza di 10 MHz, al fine di proteggere dagli effetti acuti di stimolazione
elettrica i tessuti del sistema nervoso nella testa e nel torace. Tali effetti acuti sono
sostanzialmente istantanei, ed istantanea deve essere considerata la base temporale su cui
valutare il rispetto dei limiti.
Nell'intervallo di frequenze comprese tra 100 kHz e 10 GHz sono definiti valori limite di
esposizione per il SAR, espresso in W/kg, al fine di prevenire stress termico sul corpo intero ed

64
eccessivo riscaldamento localizzato. Il SAR corrisponde alla quantità di energia elettromagnetica
assorbita da un kg di massa, ed è un indicatore diretto dell'incremento di temperatura, sistemica o
localizzata a specifici distretti, conseguente all'esposizione. I valori limite per il SAR sono definiti sia
in relazione al valore medio sul corpo che ai valori locali su capo, tronco ed arti. La massa adottata
per definire il SAR localizzato è pari a ogni 10 g di tessuto contiguo, con proprietà elettriche
omogenee. I valori sul corpo intero e locali devono essere sempre rispettati
contemporaneamente. Tutti i valori di SAR sono definiti in termini di media su un qualsiasi periodo
di 6 minuti, al fine di tenere conto delle capacità termoregolatorie dell'organismo umano. I valori
limite di esposizione sul SAR sono indipendenti dalla frequenza, in quanto direttamente finalizzati
a limitare l'incremento della temperatura corporea.
Nell'intervallo di frequenze compreso fra 100 kHz e 10 MHz, sono previsti valori limite di
esposizione sia in termini della densità di corrente che del SAR, che devono essere rispettati allo
stesso tempo. Alle frequenze comprese tra 10 GHz e 300 GHz, molto rare nella pratica, sono infine
definiti valori limite di esposizione per la densità di potenza, espressa in W/m2, al fine di prevenire
eccessivo riscaldamento dei tessuti della superficie del corpo.
I valori limite di esposizione (o limiti di base nella terminologia ICNIRP) non sono direttamente
misurabili nei soggetti esposti, e possono essere ottenuti solo mediante misure su fantocci o
calcoli numerici estremamente sofisticati e onerosi, che si avvalgono di avanzati codici di calcolo e
database digitali delle proprietà anatomiche e dielettriche del corpo umano. Nella filosofia
dell'ICNIRP, a partire dai limiti di base vengono prodotti i livelli derivati di riferimento per le
grandezze misurabili in ambiente, che garantiscono il rispetto dei pertinenti limiti di base. Le
condizioni molto conservative sull'accoppiamento tra i campi ed il corpo esposto e sulle proprietà
dielettriche di quest'ultimo, assunte nel processo di derivazione dei livelli di riferimento dai limiti
di base, fanno sì che il superamento dei livelli di riferimento non implichi necessariamente il
superamento dei corrispondenti limiti di base. La direttiva 2004/40/CE assume i livelli derivati di
riferimento delle linee guida ICNIRP quali valori di azione. La tabella 2 dell'allegato XXXVI reca tali
valori.

65
I valori di azione hanno una dipendenza dalla frequenza molto più complessa dei valori limite di
esposizione, in quanto le caratteristiche di assorbimento del corpo umano cambiano fortemente al
variare della frequenza, principalmente per motivi morfologici e geometrici.
Secondo le linee guida ICNIRP, i valori di azione per il campo elettrico e per il campo magnetico (o
indifferentemente per l’induzione magnetica) debbono essere intesi come media sul volume
occupato dal soggetto esposto. Nell'intervallo di frequenze fino a 100 kHz i valori di azione per le

66
intensità dei campi sono finalizzati a garantire il rispetto dei valori limite di esposizione per la
densità di corrente indotta nella testa e nel tronco, e vanno quindi considerati su base temporale
sostanzialmente istantanea. Per le frequenze superiori a 10 MHz lo scopo è invece quello di
garantire il rispetto del valore limite di esposizione per il SAR mediato sul corpo intero. In questo
caso la base temporale corrisponde alla media quadratica su ogni periodo di sei minuti.
Nell'intervallo di frequenze tra 100 kHz e 10 MHz i valori di azione per le intensità dei campi sono
finalizzati al rispetto dei valori limite di esposizione sia per la densità di corrente indotta che per il
SAR. E' importante notare che il rispetto dei valori di azione per le intensità dei campi non
garantisce necessariamente il rispetto dei valori limite per il SAR locale che, specialmente in
condizioni di esposizioni molto disomogenee in stretta prossimità della sorgente, può essere
dimostrato solo con misure su fantocci o tecniche di calcolo numerico, come avviene ad esempio
per la valutazione di conformità dei telefoni cellulari, o in alcuni casi mediante la misurazione della
corrente che fluisce attraverso gli arti. Tale misura può essere effettuata con strumentazione
disponibile in commercio costituita da un clamp o da una pedana resistiva. Il valore d'azione per la
corrente negli arti, espresso in mA, è quindi finalizzato al rispetto del valore limite di esposizione
per il SAR locale negli arti per le frequenze comprese tra 10 e 110 MHz. Tale tipo di misura è poco
conosciuta e praticata, ma è necessaria in molte applicazioni di tipo industriale (es. macchine a
perdite dielettriche), e per la protezione degli operatori che operano su tralicci radiotelevisivi.
I valori di azione per la corrente di contatto, definiti per tutte le frequenze fino a 110 MHz, non
sono collegati al rispetto dei valori limite di esposizione, ma sono finalizzati a proteggere da scosse
o ustioni che potrebbero verificarsi al contatto con oggetti conduttori, non connessi ad impianti di
terra, caricati dai campi elettromagnetici presenti nell'ambiente. In questo caso i valori di azione
della tabella 2 sono legati alle soglie di percezione della corrente. La misurazione delle correnti di
contatto è un tema molto poco praticato, tanto che non risultano ad oggi misuratori idonei
disponibili in commercio.
L'art. 209 -Identificazione dell'esposizione e valutazione dei rischi- deriva dall'art. 4 della direttiva
2004/40/CE, e stabilisce l'obbligo per il datore di lavoro di valutare e, quando necessario, misurare
o calcolare i livelli dei campi elettromagnetici a cui sono esposti i lavoratori. La semplice
valutazione può essere ricondotta alla procedura semplificata di cui all'art. 181, comma 3; nelle
situazioni non giustificabili è necessaria un'indagine più approfondita che può avvalersi di
misurazioni o calcoli. Il datore di lavoro è inoltre chiamato a valutare anche ogni tipo di effetto

67
indiretto, il più rilevante dei quali è sicuramente l'interferenza elettromagnetica con dispositivi
medici impiantati.
La valutazione, misurazione e calcolo devono essere effettuati in base alle norme armonizzate del
Comitato europeo di normazione elettrotecnica (CENELEC), e finché tali norme non avranno
contemplato tutte le pertinenti situazioni lavorative, il datore di lavoro può adottare “le specifiche
linee guida individuate od emanate dalla Commissione consultiva permanente per la prevenzione
degli infortuni e per l'igiene del lavoro, o, in alternativa, quelle del CEI, tenendo conto, se
necessario, dei livelli di emissione indicati dai fabbricanti delle attrezzature.” L'uso del termine
"linee guida" in tale formulazione (ripreso dal d.lgs. 257/08), dovrebbe comunque essere inteso
come "buone prassi" in riferimento agli atti della Commissione consultiva, e come "norme
tecniche" in riferito ai documenti del CEI, secondo le definizioni dell'art. 2 del testo unico.
Il CENELEC è in avanzata fase di preparazione di vari documenti. Il progetto di norma più
importante è il prEN 50499 "Procedure for the assessment of the exposure of the workers to
electromagnetic fields". Il documento definisce il processo ed il percorso logico per la valutazione
dell’esposizione, e reca un elenco di apparati, o famiglie di apparati, che sono intrinsecamente
aderenti ai limiti, oppure rispettano standard di prodotto ispirati alla raccomandazione
1999/519/CE sulla protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici. Tali
situazioni saranno quelle giustificabili, suscettibili di una valutazione semplificata di tipo
documentale. Il documento reca anche un elenco di macchine o attrezzature per le quali sono
necessarie valutazioni più approfondite. Il prEN: "Assessment, measurement and calculation of
human exposure at the workplace for persons bearing AMD (Active Medical Device) or AIMD
(Active Implanted Medical Device) in electric, magnetic, and electromagnetic fields with
frequencies 0 - 300 GHz", riguarda la valutazione del rischio per i lavoratori portatori di dispositivi
medici impiantati; si può rilevare in merito che tali soggetti dovranno comunque essere
considerati lavoratori particolarmente sensibili al rischio ai sensi dell'art. 183, e fruire di una
valutazione del rischio del tutto ad hoc, anche con l'attiva partecipazione del medico competente.
Il prEN "Basic standard on measurement and calculation procedures for workers exposure to
electric, magnetic and electromagnetic fields (0 Hz – 300 GHz) in the production, transmission, and
distribution of electricity", è un progetto di norma che trova applicazione nell’industria per la
produzione e distribuzione dell’elettricità.
Recentemente è stato finalizzato l’EN 50500 "Measurement procedures of magnetic field levels
generated by electronic and electrical apparatus in the railway environment with respect to human

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exposure”, che riguarda infine le procedure di misura per la valutazione dell'esposizione ai campi
magnetici dei lavoratori e della popolazione a bordo dei treni.
Va segnalato che anche la Commissione Europea ha affidato ad un gruppo di esperti la
preparazione di una non-binding guide sull'applicazione pratica della direttiva 2004/40/CE.
Per quanto riguarda le procedure di misura e calcolo, i riferimenti elettivi sono le due guide del CEI
211-6 e 211-7, che trattano in modo del tutto generale la misura e la valutazione dei campi
elettromagnetici con riferimento all’esposizione umana, rispettivamente per le basse e alte
frequenze. Il CEI ha peraltro attivato un gruppo di lavoro per produrre un documento specifico
sulle valutazioni per specifiche attrezzature occupazionali. L'utilizzo delle tecniche di calcolo
numerico può risultare indispensabile in particolari scenari espositivi, come esposizioni fortemente
localizzate o disuniformi in stretta prossimità della sorgente, specialmente ai fini della verifica del
rispetto dei limiti di esposizione per il SAR locale. Va anche detto che l'utilizzo delle tecniche di
calcolo numerico finalizzate alle grandezze dosimetriche è praticato esclusivamente presso centri
di ricerca altamente specializzati.
Altri riferimenti utili sono le "Guidances on occupational exposure assessment", messe a punto
nell'ambito del progetto europeo EMF-NET.
L'art. 211 -Misure di prevenzione e protezione- corrisponde all'art. 8 della direttiva 2004/40/CE e,
ispirandosi ai principi generali della direttiva 89/391/CEE, reca un elenco delle possibili azioni
generali di prevenzione, tra cui la segnalazione delle aree a rischio. Viene sancito l'obbligo di
attivare un piano di azione al superamento dei valori di azione, a meno che non sia stato
dimostrato che non sono superati i limiti di esposizione, in accordo con la filosofia dell'ICNIRP.
L'art. 210 -Sorveglianza sanitaria- presenta alcune differenze rispetto all'omologo del d.lgs.
257/08. Si prevede (comma 1), che la sorveglianza venga effettuata di norma una volta l'anno, o
con periodicità inferiore, con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili al rischio
(art. 183), tenuto conto dei risultati della valutazione dei rischi. La selezione dei lavoratori da
sottoporre a regime di sorveglianza sanitaria è quindi in sostanza affidata alla discrezionalità del
medico competente (e del resto anche l'omologo art. 8 della direttiva 2004/40/CE non fornisce
alcun criterio in merito), sulla base dei risultati della valutazione dei rischi e con particolare
riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili di cui all'art. 183, che nel caso dei campi
elettromagnetici devono essere in primis individuati nei soggetti portatori di dispositivi medici o
protesi impiantate, che potrebbero soffrire effetti di interferenza elettromagnetica o altri effetti
indiretti (es. torsione o movimento della protesi).

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Il comma 2 riguarda invece la fattispecie dei casi di sovraesposizione, e prevede che i lavoratori
per i quali sia stata rilevata un'esposizione superiore ai valori di azione, siano tempestivamente
sottoposti a controllo medico. Nel d.lgs. 257/08 tale disposizione era incardinata al superamento
dei valori limite di esposizione, in accordo con quanto stabilito dal secondo capoverso del comma
1 dell'art. 8 della direttiva 2004/40/CE. La nuova formulazione non può che essere intesa come
corredata dall'importante corollario: "a meno che la valutazione effettuata a norma dell'articolo
209, comma 2, dimostri che i valori limite di esposizione non sono superati", al fine di non
contraddire quanto stabilito dal dell'art. 210, comma 1, e mantenere coerenza con le altre
disposizioni del Capo IV.
L'art. 212 -Linee guida-, che non era già presente nel d.lgs. 257/08 per un errore materiale,
stabilisce che il Ministero della Salute (ora Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche
sociali), avvalendosi degli organi tecnico-scientifici del Servizio sanitario nazionale, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, elabori entro
due anni dall'entrata in vigore del d.lgs. 81/08 specifiche linee guida per l'applicazione del Capo IV
nel settore dell'utilizzo in ambito sanitario delle attrezzature di risonanza magnetica (RM).
L'articolo era stato concepito nel quadro della messa a punto del d.lgs. 257/08, al fine di
salvaguardare la pratica clinica con risonanza magnetica dal possibile impatto negativo della
direttiva 2004/40/CE, problematica che costituisce anche la ragione del rinvio dei termini di
recepimento stabilito in sede UE, a partire dalla formulazione a ottobre 2007 di una proposta da
parte Commissione Europea, poi sancita con la già menzionata direttiva 2008/46/CE. La questione
era nata dal crescente utilizzo di tomografi RM "aperti" nella pratica interventistica, con
esposizione dello staff a livelli di campo magnetico statico, gradienti di campo magnetico e campi
in radiofrequenza a livelli prossimi a quelli utilizzati sul paziente, e comunque dalla prospettiva di
introduzione sul mercato di tomografi dal potere risolutivo sempre più elevato, operanti a livelli di
campo magnetico molto intensi, fino a 7 Tesla e più. In particolare è stato osservato che il limite
ICNIRP per la densità di corrente indotta alle frequenze dei campi di gradiente (circa 1 kHz), che è
basato su assunzioni estremamente conservative, può essere considerevolmente superato sugli
operatori per alcune tipologie di pratiche (es. interventistica) e di sequenze.
Lo slittamento dell'entrata in vigore del Capo IV al 30 aprile 2012 rende meno impellente la
problematica; è tuttavia auspicabile che il Ministero possa presto attivarsi per la formulazione di
linee guida che contemperino la salvaguardia della pratica clinica con la protezione del lavoratore,

70
che è comunque un obbligo previsto dal Capo I, indipendentemente dalla data di entrata in vigore
del Capo IV.
Come più volte richiamato, le disposizioni del Capo IV entreranno in vigore il 30 aprile 2012. A
decorrere dal 1 gennaio 2009 ha trovato ad ogni modo piena applicazione il Capo I, che avrà
implicazioni immediate nei confronti della protezione dai campi elettromagnetici. Ci si riferisce in
particolare alle disposizioni dell’art. 181 sull’obbligatorietà della valutazione del rischio e
l’adozione delle opportune misure di protezione, e al complesso delle disposizioni degli articoli
182, 183 e 185, in relazione alla protezione dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio. Già il
decreto 626/94 imponeva la valutazione di tutti i fattori di rischio, ma non vi era una specifica
disposizione sugli agenti fisici che richiamasse esplicitamente i campi elettromagnetici.
Appare peraltro evidente l’opportunità di riferirsi sin da ora al Capo IV, quantomeno in termini di
principi generali e obiettivi di protezione a cui tendere. Resta inteso che, fino alla piena entrata in
vigore di detto Capo, la condizione di non completa efficacia del quadro normativo dovrà essere
attentamente governata dal “Sistema Istituzionale” definito al Capo II del testo unico, che dovrà
mettere a disposizione dei datori di lavoro e degli organi di controllo strumenti applicativi

2.4 Le disposizione specifiche del Capo V – Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a
radiazioni ottiche
Tale decreto, al Capo V del Titolo VIII (capo specialistico), recependo la Direttiva 2006/25/CE, ha
introdotto le disposizioni relative alla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione alle
radiazioni ottiche artificiali, ivi comprese le radiazioni laser; ciò nonostante, l'entrata in vigore del
suddetto Capo V, in virtù del terzo comma dell'articolo 306, è rinviata al 26 aprile 2010. D'altra
parte le disposizioni generali per tutti gli agenti fisici, radiazioni laser comprese, contenute nel
Capo I del Titolo VIII (artt. 180 ÷ 186), sono già entrate in vigore; pertanto, laddove previsto, le
violazioni a questi ultimi articoli sono già sanzionabili Il Capo V (articoli 213 ÷ 218) stabilisce le
prescrizioni minime di protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che
possono derivare a causa dell’esposizione alle radiazioni ottiche artificiali, cioè alle radiazioni
ultraviolette, visibili, infrarosse, comprese le radiazioni laser (chiamate di seguito sinteticamente
radiazioni ottiche), con particolare riguardo ai rischi dovuti agli effetti nocivi sugli occhi e sulla
cute. L’articolo 214, tra le altre definizioni, riporta in particolare quella relativa ai valori limite di
esposizione, basati direttamente sugli effetti accertati sulla salute e su considerazioni biologiche; il

71
rispetto di tali limiti garantisce che i lavoratori esposti a sorgenti artificiali di radiazioni ottiche
siano protetti contro tutti gli effetti nocivi conosciuti sugli occhi e sulla cute. L’articolo 215 rimanda
all’Allegato XXXVII che a sua volta riporta, nella parte II, i valori limite di esposizione per le
radiazioni laser. Nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’articolo 181, il datore di lavoro
valuta e, quando necessario, misura e/o calcola i livelli delle radiazioni ottiche a cui possono essere
esposti i lavoratori; per quanto riguarda le radiazioni laser, la metodologia seguita nella
valutazione, nella misurazione e/o nel calcolo rispetta le norme della Commissione Elettrotecnica
Internazionale (IEC). In tutti i casi di esposizione, la valutazione tiene conto dei dati forniti dai
costruttori (articolo 216, comma 1). Il datore di lavoro, in occasione della valutazione dei rischi,
deve prestare particolare attenzione:
a) al livello, la gamma di lunghezze d’onda e la durata dell’esposizione a sorgenti artificiali;
b) ai valori limite di esposizione di cui all’Allegato XXXVII;
c) a qualsiasi effetto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori appartenenti a gruppi
particolarmente sensibili;
d) a qualsiasi eventuale effetto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultante dalle
interazioni sul posto di lavoro tra le radiazioni ottiche e le sostanze chimiche foto-sensibilizzanti;
e) a qualsiasi effetto indiretto come l’accecamento temporaneo, le esplosioni o il fuoco;
f) all’esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione;
g) alla disponibilità di azioni di risanamento volte a minimizzare i livelli di esposizione;
h) per quanto possibile, a informazioni adeguate raccolte dalla sorveglianza sanitaria;
i) alle sorgenti multiple di esposizione;
j) a una classificazione dei laser stabilita conformemente alla pertinente norma IEC e, in relazione
a tutte le sorgenti artificiali che possono arrecare danni simili a quelli di un laser di classe 3B o 4,
tutte le analoghe classificazioni;
k) alle informazioni fornite dai costruttori in conformità delle pertinenti direttive comunitarie.
Il datore di lavoro deve precisare le misure adottate per eliminare o ridurre i rischi nel documento
di valutazione dei rischi di cui all’articolo 17 del decreto.
Nel caso la valutazione dei rischi metta in evidenza che i valori limite di esposizione possono
essere superati, il datore di lavoro definisce e attua un programma di azione comprendente
misure tecniche e/o organizzative destinate a evitare che l’esposizione superi tali valori limite
(articolo 217 comma 1); in particolare tenendo conto:
a) di altri metodi di lavoro che comportano una minore esposizione alle radiazioni ottiche;

72
b) della scelta di attrezzature che emettano meno radiazioni ottiche, tenuto conto del lavoro da
svolgere;
c) delle misure tecniche per ridurre l’emissione delle radiazioni ottiche, incluso, quando
necessario, l’uso di dispositivi di sicurezza, schermatura o analoghi meccanismi di protezione della
salute;
d) degli opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle
postazioni di lavoro;
e) della progettazione e della struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
f) della limitazione, della durata e del livello di esposizione;
g) della disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale;
h) delle istruzioni dei costruttori delle attrezzature.
In base alla valutazione dei rischi i luoghi di lavoro in cui i lavoratori potrebbero essere esposti a
livelli di radiazioni ottiche che superino i valori limite di esposizione devono essere indicati con
un’apposita segnaletica; dette aree sono inoltre identificate e l’accesso alle stesse è limitato,
laddove ciò sia tecnicamente possibile (articolo 217, comma 2).
La sorveglianza sanitaria (articolo 218) deve essere effettuata periodicamente, di norma una volta
l’anno o con periodicità inferiore decisa dal medico competente con particolare riguardo ai
lavoratori particolarmente sensibili, tenuto conto dei risultati della valutazione dei rischi trasmessi
dal datore di lavoro. La sorveglianza sanitaria è effettuata con l’obiettivo di prevenire e scoprire
tempestivamente effetti negativi per la salute, nonché prevenire effetti a lungo termine. I
lavoratori per i quali è stata rilevata un’esposizione superiore ai valori limite di cui all’Allegato
XXXVII sono tempestivamente sottoposti a controllo sanitario.
L’allegato XXXVII, parte II, è costituito da sei tabelle: non essendo necessaria la loro immediata
consultazione per l’obiettivo del presente che sinteticamente affermano quanto segue:
• La tabella 2.1 riporta per intervalli di lunghezza d’onda, compresi da 180 nm a 106 nm, l’organo
bersaglio interessato (occhi e cute) e il tipo di danno (fotochimico, termico, eritema o alla retina) e
la tabella ove ricercare/calcolare il valore limite di esposizione.
• La tabella 2.2 riporta, per ogni lunghezza d’onda compresa da 180 nm a 106 nm, i valori limite di
esposizione dell’occhio per durate di esposizione minori di 10 s, espressi, in generale, in termine di
irradianza [W/m2] o esposizione energetica [J/m2] ed in funzione della durata di esposizione t e dei
parametri / fattori di correzione CA, CC, CE, da calcolarsi secondo la tabella 2.5. La tabella 2.2
riporta solo i valori di singoli impulsi laser; in caso di impulsi multipli le durate degli impulsi che

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rientrano in un intervallo Tmin (definito nella tabella 2.6 per le diverse regioni spettrali) devono
essere sommate ed il valore tempo risultante deve essere usato per t nella formula (5,6 · 103 t0.25)
che compare in tabella.
• La tabella 2.3 riporta, per ogni lunghezza d’onda compresa da 180 nm a 106 nm, i valori limite di
esposizione dell’occhio per durate di esposizione superiori a 10 s, espressi, in generale, in termine
di irradianza [W/m2] o esposizione energetica [J/m2] ed in funzione della durata di esposizione t e
dei parametri / fattori di correzione CA, CB, CC, T1, CE, T2, γ da calcolarsi secondo la tabella 2.5.
• La tabella 2.4 riporta, per ogni lunghezza d’onda compresa da 180 nm a 106 nm, i valori limite di
esposizione della cute espressi, in generale, in termine di irradianza [W/m2] o esposizione
energetica [J/m2], in funzione della durata di esposizione t ed, in alcuni casi, del parametro CA, da
calcolarsi secondo la tabella 2.5.
• La tabella 2.5 riporta come calcolare i parametri / fattori di correzione, CA, CB, CC, T1, CE, T2, γ.
• La tabella 2.6 riporta per ogni regione spettrale il valore di Tmin già introdotto nella descrizione
della tabella 2.2.
Relativamente alle tabelle 2.2, 2.3, 2.4, se la lunghezza d’onda del laser (o un’altra sua
caratteristica) è coperta da due limiti si applica quello più restrittivo. Per tutte le esposizioni
ripetute, derivanti da sistemi laser ripetitivi o a scansione, dovrebbe essere applicata la condizione
più restrittiva delle seguenti tre:
1) l’esposizione derivante da un singolo impulso di un treno di impulsi non deve superare il valore
limite di esposizione per un singolo impulso della durata di quell’impulso;
2) l’esposizione derivante da un qualsiasi gruppo di impulsi (o sottogruppi di un treno di impulsi)
che si verifica in un tempo t non deve superare il valore limite di esposizione per il tempo t;
3) l’esposizione derivante da un singolo impulso in un gruppo di impulsi non deve superare il
valore limite di esposizione del singolo impulso moltiplicato per un fattore di correzione termica
cumulativa Cp = N-0,25, dove N è il numero di impulsi; questa regola si applica soltanto ai limiti di
esposizione per la protezione da lesione termica, laddove tutti gli impulsi che si verificano in meno
di Tmin sono trattati come singoli impulsi.
Le affermazioni che la valutazione dei rischi associata all’utilizzo degli agenti fisici deve essere
effettuata da personale in possesso “di specifiche conoscenze in materia” e che la metodologia
seguita nella valutazione delle radiazioni laser, nella misurazione e/o nel calcolo dei livelli di
esposizione deve rispettare le norme della Commissione Elettrotecnica Internazionale (IEC),
dunque in Italia del Comitato Elettrotecnico Italiano, nonché, ma non per ultimo, la complessità

74
della materia “sicurezza laser” impongono, di fatto, la nomina o la consulenza di un esperto. La
norma IEC 60825-1, a livello internazionale, e la norma CEI EN 60825-1, a livello nazionale,
definiscono la figura del “Laser Safety Officer” (LSO) come “persona che possiede le conoscenze
necessarie per valutare e controllare i rischi causati dai laser e che ha la responsabilità di
supervisione sul controllo di questi rischi”.
Il CENELEC, nella guida CLC/TR 50448, afferma più precisamente che il compito del LSO è quello di
assicurare che vengano predisposti adeguati controlli per minimizzare i rischi derivanti dall’utilizzo
delle sorgenti laser e che vengano effettuati regolari monitoraggi. La normativa tecnica nazionale,
per alcune delle classi di pericolo previste dalla norma CEI EN 60825-1, prevede due figure
preposte alla sicurezza dei sistemi laser, l’Addetto alla Sicurezza Laser (ASL) in campo sanitario e il
Tecnico Sicurezza Laser (TSL) in campo industriale, di ricerca e nei settori civile e ambientale
(Guide CEI 76 fascicoli 3849 R e 3850 R).
La definizione di due figure, i cui compiti da assicurare ai fini della sicurezza sono simili in linea di
principio, ma con conoscenze e competenze non uguali, trova giustificazione nelle differenti
valutazioni specifiche dei rischi, nelle procedure e nei controlli da applicare che sono in relazione
al tipo di impiego delle apparecchiature laser. A oggi, comunque, non esiste una norma di
carattere cogente che impone il TSL (o l’ASL) per la valutazione dei rischi associati ai sistemi laser;
ciò nonostante, prendendo spunto dalla normativa tecnica, è consigliabile la sua nomina o la sua
consulenza quando i laser in uso appartengono a una delle seguenti classi di pericolo:
• 1, 2, 3A (vecchia classificazione, CEI EN 60825-1 fasc. 4405 R), solo per applicazioni che
comportano l’osservazione diretta del fascio laser o l’uso di componenti/dispositivi ottici in grado
di alterare le caratteristiche di potenziale pericolosità del fascio laser originario;
• 1, 1M, 2, 2M (nuova classificazione CEI EN 60825-1 fasc. 6822), solo per applicazioni che
comportano l’osservazione diretta del fascio laser o l’uso di componenti/dispositivi ottici in grado
di alterare le caratteristiche di potenziale pericolosità del fascio laser originario;
• 3R (nuova classificazione);
• 3B e 4 (vecchia e nuova classificazione
L’entrata in vigore del Decreto Legislativo 81/08 ha introdotto le disposizioni relative alla
protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione alle radiazioni ottiche artificiali, ivi comprese le
radiazioni laser. Le disposizioni di cui al Capo I del Titolo VIII sono già obbligatorie e sanzionabili, le
disposizioni di cui al Capo V lo saranno dopo il 26 aprile 2010. Le affermazioni che la valutazione
dei rischi associata all’utilizzo degli agenti fisici deve essere effettuata da personale in possesso “di

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specifiche conoscenze in materia”, le indicazioni della normativa tecnica IEC e CEI e la complessità
della materia “sicurezza laser” impongono, di fatto, la nomina o la consulenza dell’Addetto
Sicurezza Laser. La consulenza dell’Addetto Sicurezza Laser, in presenza di sorgenti pericolose, è
decisamente consigliata per meglio ottemperare alle disposizioni cogenti, in particolare in materia
di salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori e per il supporto offerto al datore di lavoro e
al servizio di prevenzione e protezione per i doveri di rispettiva competenza. Le indicazioni sui
requisiti del TSL che possono orientare la scelta del datore di lavoro, riportate nella seconda parte
dell’articolo, si possono sintetizzare in una buona formazione tecnico-scientifica di base, una
buona conoscenza della tecnologia laser, dei principi di sicurezza e delle norme di sicurezza laser e
in una sufficiente esperienza sul campo, compresa la dimostrazione di un continuo aggiornamento

76
Capitolo III

Valutazione dei rischi e finalità dei controlli

3.1 Prevenzione dei rischi da esposizione ai campi elettromagnetici in terapia fisica

L’impiego di campi elettromagnetici per terapia fisica risale a parecchie decine di anni fa con un
aumento costante del numero di apparecchiature installate e utilizzate in campo sanitario.
Progressivamente si è passati da terapie ad onde radio (marconiterapia) a terapie con microonde
(radarterapia e ipertermia a varie frequenze) che consentono una migliore localizzazione
dell’energia utilizzata per il riscaldamento dei tessuti. Negli ultimi 20 anni a queste due tradizionali
terapie fisiche si è associata anche la terapia a bassa frequenza (magnetoterapia), la quale è
basata non sul riscaldamento dei tessuti ma su specifiche stimolazioni di carattere biologico.
Nonostante i protocolli di trattamento degli utenti siano ormai standardizzati e correttamente
utilizzati, vanno purtroppo premesse alcune considerazioni per niente rassicuranti:
• le apparecchiature utilizzate hanno sovente una vita media superiore a dieci anni;
• spesso non esistono protocolli specifici per il loro utilizzo in sicurezza e ciascun ente, e a
volte ciascun reparto, utilizza propri protocolli o addirittura non utilizza alcun protocollo;
• non vi sono protocolli riconosciuti da associazioni tecnico-scientifiche per la verifica delle
prestazioni delle apparecchiature.
Inoltre, anche a causa della parziale attuazione della normativa nazionale, occorre considerare che
i lavoratori addetti alle apparecchiature per terapia fisica con impiego di campi elettromagnetici
risultano fra quelli maggiormente esposti a livelli che possono superare i limiti previsti dalle
normative o raccomandazioni internazionali. Infine, nel caso in cui non vi sia una corretta
dislocazione dei box di trattamento, è possibile che la popolazione che ha accesso ai reparti per
altre terapie, o semplicemente per prenotazioni e/o ritiro esami, sia esposta a livelli di campi
elettromagnetici non trascurabili e, a volte, perfino superiori a quelli previsti dalle normative o
raccomandazioni internazionali.

3.1.1 Magnetoterapia
La magnetoterapia utilizza campi magnetici a bassa frequenza, in genere da 1 a 100 hertz (Hz),
variamente modulati. Nel trattamento “total body” l’utente viene posizionato all’interno di bobine

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(fino a tre per lettino) oppure quasi a contatto con una serie di bobine inserite nel lettino per il
trattamento. Nel trattamento “localizzato” sono impiegate bobine di varie forme e dimensioni che
vengono posizionate in corrispondenza dei punti da trattare. All’interno delle bobine l’induzione
magnetica (proporzionale al campo magnetico) varia in funzione del tipo di applicazione e può
raggiungere valori fino a 5 millitesla (mT) corrispondenti a 50 gauss (G). Attorno alle bobine
l’induzione magnetica decresce rapidamente allontanandosi dalla sorgente (approssimativamente
il campo magnetico è funzione dell’inverso del cubo della distanza), sebbene in prossimità delle
bobine e nelle posizioni delle consolle di comando i valori misurati possano raggiungere anche
qualche decina di microtesla (μT).

3.1.2 Marconiterapia
La marconiterapia utilizza campi elettromagnetici alle frequenze di 27,12 megahertz (MHz) e, più
raramente, di 40,68 MHz (frequenza ISM, cioè consentita per applicazioni industriali, scientifiche e
mediche – World Administrative Radio Conference, Ginevra 1979). L’apparecchiatura consiste di
un generatore (trasmettitore) e di vari applicatori (antenne) in funzione delle patologie da trattare
con una potenza erogata che può arrivare fino a 500 watt (W). Gli applicatori si possono
distinguere in capacitivi, che sono formati da una coppia di elettrodi (condensatore), e induttivi,
che sono formati da una o più bobine (monode, diplode, a pancake). Il campo elettrico a pochi
centimetri dagli applicatori può raggiungere valori di 1000 V/m e il campo magnetico da 0,5 a 3
A/m in funzione della potenza di trattamento e del tipo di applicatore scelti. Il campo elettrico
diminuisce abbastanza rapidamente allontanandosi dagli applicatori (approssimativamente con
l’inverso della distanza o con il quadrato dell’inverso della distanza).
78
Tuttavia si possono misurare valori di campo elettrico non trascurabili (fino a decine di V/m) a
qualche metro dagli applicatori con esposizione dei lavoratori, della popolazione e possibili
fenomeni di interferenza con altre apparecchiature elettromedicali.

3.1.3 Radarterapia
L’apparecchiatura è costituita da un generatore con emissione continua o pulsata con potenze di
picco che raggiungono i 1000 W e potenze medie dell’ordine di 250-300 W. La frequenza del
campo elettromagnetico utilizzato è quasi esclusivamente di 2,45 gigahertz (GHz) anche se sono
ancora in uso apparecchiature alla frequenza di 915 MHz. A causa dell’alta frequenza, gli
applicatori sono tutti di tipo radiativo anche se le forme e soprattutto le dimensioni possono
essere notevolmente diverse in funzione dell’estensione della zona di trattamento. Le antenne
sono generalmente direzionali con un’onda praticamente confinata all’interno del lobo di
irraggiamento (direzione e spazio entro cui l’onda si propaga). Negli ultimi anni sono stati
introdotti sistemi per la termostatazione della cute che funzionano alle frequenze di 433,92 MHz o
915 MHz, più correttamente denominati sistemi per ipertermia. In prossimità degli applicatori i
livelli di campo elettromagnetico, e in particolare di campo elettrico, possono essere elevati fino a
raggiungere valori di 1000-1200 V/m. A causa della direzionalità del campo emesso dalle
apparecchiature per radarterapia, l’esposizione è solitamente confinata nella zona attorno agli

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applicatori. Occorre comunque prestare attenzione ad attivare l’emissione solo se in presenza di
utenti o di opportuno materiale schermante/assorbente, in quanto di fronte agli applicatori si
possono avere campi elettrici di qualche decina di V/m. In questo caso è possibile l’esposizione
indebita per i lavoratori e per la popolazione che ha accesso ai reparti anche a qualche metro di
distanza dalle sorgenti.

3.1.4 Ipertermia
Le apparecchiature per ipertermia utilizzano campi elettromagnetici alle frequenze fisse di 13,56
MHz, 27,12 MHz, 433,92 MHz, 915 MHz e 2,45 GHz (frequenze ISM) oppure con frequenza
variabile da 1 MHz a 1 GHz. L’ipertermia può essere utilizzata per il trattamento di patologie
muscolari, tendinee, articolari in alternativa alla radarterapia, oppure per il riscaldamento di
masse oncologiche. Per il trattamento di patologie muscolari, tendinee e articolari vengono
solitamente impiegati campi elettromagnetici alla frequenza di 433,92 MHz con potenze erogate
comprese fra i 250 e 500 W. Le modalità di trattamento per le applicazioni più recenti prevedono
solitamente l’impiego di un liquido circolante a contatto con la superficie corporea trattata al fine
di sottrarre calore dalla zona superficiale. Per tale motivo il posizionamento degli applicatori è
rigorosamente controllato e l’esposizione dei lavoratori e della popolazione è decisamente
inferiore rispetto a quella della radarterapia.
Nelle applicazioni oncologiche si può avere ipertermia profonda allo scopo di riscaldare regioni
corporee in profondità in corrispondenza di masse tumorali, oppure ipertermia superficiale con

80
riscaldamento dei tessuti tumorali meno profondi o sulla cute. Per l’ipertermia profonda vengono
impiegati sistemi a dipoli multipli a controllo di fase per la distribuzione dell’energia all’interno del
corpo, generalmente alle frequenze più basse fra quelle elencate. Per l’ipertermia superficiale si
possono utilizzare applicatori capacitivi, applicatori induttivi oppure applicatori di tipo radiativo.
Con i primi due si utilizzano campi elettromagnetici alle frequenze più basse (f< 30 MHz) mentre
con l’ultimo tipo si utilizzano le frequenze più alte. Più raramente viene impiegata la così detta
“terapia interstiziale” in cui il riscaldamento della massa tumorale avviene per mezzo di aghi e
cateteri posizionati in cavità anatomiche. Per la terapia interstiziale sono utilizzati particolari
elettrodi resistivi ad ago (f = 0,5÷1 MHz) e antenne a microonde (f = 300÷1000 MHz) che vengono
impiantati a ogni seduta di trattamento. Inoltre nella massa tumorale possono essere inserite delle
“clips ferromagnetiche” (cobalto, palladio) per tutto il periodo di trattamento che vengono
riscaldate mediante l’applicazione di un campo magnetico esterno alla frequenza di 0,2÷2 MHz.
La potenza erogata può raggiungere i 400 W. I livelli di campo elettromagnetico in prossimità degli
applicatori sono dello stesso ordine di grandezza di quelli che si misurano attorno alle
apparecchiature per marconiterapia, anche se per il limitato numero di apparecchiature presenti
sul territorio l’esposizione dei lavoratori e della popolazione interessa un minor numero di
persone.

81
3.1.5 Individuazione dei soggetti esposti
Con riferimento alle attività in cui sono impiegate le apparecchiature per terapia fisica e alle
caratteristiche di emissione delle sorgenti, i soggetti esposti agli effetti del campo
elettromagnetico risultano:
• gli utenti sottoposti a trattamento;
• i lavoratori dei reparti dove sono impiegate le apparecchiature;
• gli individui della popolazione che per vari motivi stazionano negli stessi reparti.
Una prima misura necessaria per una corretta sorveglianza e prevenzione dei rischi è quella di
acquisire e mantenere aggiornato l’elenco dei lavoratori, per la valutazione dei rischi, la
formazione e l’eventuale sorveglianza sanitaria.

3.1.6 Rischi per gli utenti


Gli utenti sono esposti ai campi elettromagnetici per ragioni terapeutiche. Per tali persone l’effetto
biologico (benefico) delle radiazioni è cercato e voluto con livelli di esposizione che sono ben al di
sopra dei limiti previsti per i lavoratori e per la popolazione. È il medico prescrivente la terapia che
deve, sulla base delle proprie conoscenze, decidere dell’appropriatezza della stessa dopo avere
effettuato una valutazione fra i benefici e i rischi del trattamento (bilancio rischio/beneficio).
Tuttavia gli utenti possono essere esposti ad altri rischi oltre a quelli dovuti ai campi
elettromagnetici, rischi che devono essere evitati. Alcuni di questi sono legati alla condizione degli
utenti mentre altri alle modalità di trattamento. In particolare devono essere valutati i rischi
elettrici per gli utenti nonché la presenza di dispositivi medici attivi impiantati come pacemaker,
defibrillatori o altri dispositivi elettronici di supporto a funzioni vitali. Caso per caso va valutato dal
medico che prescrive il trattamento se esistano controindicazioni. Il trattamento delle utenti in
presunto o accertato stato di gravidanza dovrebbe essere evitato in via precauzionale anche se
non esistono dati che indichino un effetto dei campi magnetici sul feto.
Per marconiterapia, radarterapia e ipertermia non impiegata nel trattamento oncologico vanno
inoltre adottate le seguenti misure preliminari di sicurezza:
• l’area da trattare deve essere denudata, priva di oggetti metallici anche endotissutali, non deve
presentare zone di ipo-anestesia, né tracce di sudore;
• l’utente non deve indossare lenti a contatto durante il trattamento. Il campo di applicazione non
deve investire il cristallino, o cavità contenti fluidi (bolle, versamenti ecc.);

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• i cavi di raccordo dell’apparecchio alle armature dei condensatori non devono entrare in
contatto con l’utente o con l’operatore.
Nel trattamento oncologico dell’ipertermia le controindicazioni devono essere valutate dal medico
che prescrive il trattamento. Le procedure dipendono dal tipo di trattamento utilizzato.

3.1.7 Rischi per i lavoratori


I lavoratori sono soggetti ai seguenti fattori di rischio:
• esposizione ai campi elettromagnetici;
• elettricità dei sistemi di alimentazione delle apparecchiature e impianti;
• incendi ed esplosioni dovuti all’accensione di materiali infiammabili provocata da scintille
prodotte da campi indotti, correnti di contatto o scariche elettriche.
L’esposizione dei lavoratori deve essere mantenuta entro i limiti previsti dalla normativa vigente.
Anche in questo caso devono essere predisposte norme operative per evitare l’indebita
esposizione dei lavoratori. A tal fine, sulla base di misurazioni e/o valutazioni del campo
elettromagnetico disperso, devono essere delimitate delle aree di accesso controllato mediante
opportuna segnaletica. È opportuno predisporre adeguate procedure per evitare l’ingresso
accidentale di lavoratori non addetti e di individui della popolazione in tali aree. I lavoratori da
destinare ad attività che comporti esposizione ai campi elettromagnetici devono essere resi idonei
dopo avere escluso su di essi l’impianto di dispostivi medici attivi di ausilio alle funzioni vitali
(pacemaker, defibrillatori automatici ecc.). Va verificata negli ambienti a rischio la presenza di
materiali infiammabili (solidi, liquidi e gassosi) per i quali sussista il rischio di incendio o esplosione
(ad esempio, gas medicali, solventi ecc.) e di conseguenza devono essere attuate tutte le
procedure di sicurezza necessarie. I rischi elettrici sono tenuti sotto controllo mediante la corretta
applicazione della Norma CEI EN 60601-1(1990) Apparecchi elettromedicali. Parte 1: Prescrizioni
generali per la sicurezza, e attraverso la predisposizione di procedure specifiche per evitare
infortuni di carattere elettrico (il rispetto di queste norme elimina anche il rischio per gli utenti).

3.1.8 Rischi per la popolazione


La popolazione che si trova nei reparti per terapia fisica senza sottoporsi ad alcun trattamento,
oppure per trattamenti che non comprendono l’impiego dei campi elettromagnetici, può
comunque trovarsi in aree dove i livelli di esposizione superano i limiti previsti per la popolazione
medesima. Sulla base di misurazioni e/o valutazioni devono essere delimitate delle aree interdette

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alla popolazione mediante opportuna segnaletica e attuate delle opportune procedure di
sicurezza. I campi elettromagnetici emessi dalle apparecchiature per marconiterapia e, in misura
minore, da quelle per radarterapia, possono provocare interferenze e quindi mal funzionamenti su
altre apparecchiature elettromedicali presenti nei reparti. Al fine di evitare tali fenomeni e di
proteggere la popolazione, deve essere rispettata la Norma CEI EN 60601-1-2.
Inoltre, è fondamentale distanziare le aree di attesa per la popolazione dalle zone interdette,
predisponendo idonea segnaletica per i portatori di pacemaker, defibrillatori automatici o altri
dispostivi medici attivi di ausilio alle funzioni vitali.

ATTENZIONE !!!!

CAMPO MAGNETICO VARIABILE

DIVIETO DI INGRESSO AI PORTATORI DI PACEMAKER,


DEFIBRILLATORI, VALVOLE O PROTESI METALLICHE, POMPE
DI INSULINA ED ELETTROMEDICALI IN GENERE.

IN CASO DI DUBBIO, INFORMARE IL PERSONALE

3.1.9 Misure di prevenzione e protezione


Il personale che opera in ambienti in cui si impiegano sorgenti di campi elettromagnetici per
terapia fisica deve essere a conoscenza dei rischi dell’esposizione a tali sorgenti di radiazione. In
modo particolare la formazione deve essere volta alla corretta gestione delle apparecchiature sia
per il posizionamento dell’utente da trattare sia in termini di scelta dei parametri di esposizione.
I lavoratori addetti devono essere inoltre in grado di:
• verificare il rispetto delle normative riguardanti le apparecchiature elettromedicali;
• fornire appropriato avviso sanitario ai soggetti esposti.
A tale fine vanno predisposti opportuni corsi di formazione e norme operative che devono essere
affisse nei locali di trattamento, secondo quanto previsto dalle normative specifiche per quanto
riguarda la sicurezza e in particolare dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i.

84
3.1.10 Valutazione dei livelli di esposizione
Al fine di valutare i livelli di esposizione è necessario approntare tre tipi di verifiche strumentali
secondo quanto indicato nelle Norme CEI 211-6 e 211-7 del 2001.
• Misure ambientali
Sono misure volte a verificare il rispetto dei limiti di esposizione sia negli ambienti dove
viene effettuato il trattamento che negli ambienti contigui. Questo tipo di misure è rivolto
alla sicurezza dei lavoratori addetti e della popolazione. Vanno effettuate sia all’atto
dell’installazione dell’apparecchiatura che periodicamente (delimitazione delle aree a
rischio, segnaletica, accesso controllato, misura dei livelli di campo elettrico e magnetico
ecc.). È necessario sottolineare che le tendine di plastica che separano i vari box di
trattamento non offrono alcuna schermatura ai campi elettromagnetici emessi dalle
apparecchiature per terapia fisica. Sono misure volte a verificare il corretto funzionamento
delle apparecchiature e sono necessarie per garantire la corretta effettuazione del
trattamento ed è quindi rivolto alla protezione dell’utente.
• Misure di compatibilità elettromagnetica
Sono misure volte a verificare il rispetto di quanto previsto dalla Norma CEI EN 60601-1-2.
Tali misure sono quindi rivolte alla protezione dell’utente. Vanno effettuate sia all’atto
dell’installazione dell’apparecchiatura che periodicamente.

85
3.1.11 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature
All’atto dell’acquisto di una nuova apparecchiatura devono essere fornite dal produttore le
caratteristiche di emissione. Tali caratteristiche devono essere verificate presso l’impianto, al
momento dell’installazione o durante il collaudo, mediante misure strumentali. In particolare
devono essere effettuate misure di emissione (campo elettrico, campo magnetico e/o densità di
potenza) a potenza variabile in modo da verificare la corrispondenza fra potenza di trattamento
impostato e livello di esposizione. Per applicatori di dimensioni notevoli impiegati per trattamento
di ampie superfici corporee occorre verificare l’uniformità dell’esposizione alla distanza di
trattamento. Tali misure vanno effettuate all’atto dell’installazione (prove di accettazione) e
periodicamente (prove di costanza). Le misure vanno inoltre ripetute ogni volta che si effettuano
interventi di manutenzione su parti che possono influenzare l’emissione dell’apparecchiatura
(prove di stato). Per la peculiarità e complessità di tali verifiche è necessario avvalersi di personale
competente e con dimostrata esperienza nel settore, ad esempio dei Servizi di Fisica Sanitaria, ove
disponibili.

3.1.12 Verifica sistemi di segnalazione e di sicurezza


All’esterno di ogni locale di trattamento deve essere affissa opportuna segnaletica indicante la
presenza di campi elettromagnetici e deve essere installato un segnalatore luminoso indicante il
funzionamento delle apparecchiature. All’atto dell’installazione e periodicamente va verificato il
corretto funzionamento dei segnalatori luminosi all’esterno dei locali. Inoltre va verificato il
corretto funzionamento dei temporizzatori che controllano la durata del trattamento.

3.1.13 Caratteristiche delle apparecchiature


Le apparecchiature devono ottemperare a quanto disposto dalla direttiva 93/42/CEE recepita dal
decreto legislativo 46/97 riguardante i dispositivi medici. Per tali apparecchiature è prevista:

86
a) marcatura CE riportante il codice numerico dell’ente che ne ha verificato la conformità alla
direttiva 93/42/CEE;
b) opportuna documentazione in lingua italiana nella quale viene dichiarata la conformità alle
normative CEE pertinenti
c) segnaletica di avvertimento o pericolo con scritte nere su fondo giallo, ove prevista, in lingua
italiana
d) etichettatura ben visibile riportante i dati di “targa” dell’apparecchiatura, compreso il numero
di serie e/o matricola
e) istruzioni per l’installazione, uso e manutenzione, in lingua italiana, comprendenti le necessarie
informazioni di sicurezza.
Per le apparecchiature deve inoltre essere garantita la sicurezza elettrica mediante apposite prove
che tengano conto di quanto indicato nella norma CEI EN 60601-1 Apparecchi elettromedicali
Parte 1- prescrizioni generali per la sicurezza e da “norme particolari” emanate dal CEI riferite a
singole tipologie di apparecchi. Il mantenimento delle caratteristiche previste dalle norme citate
deve essere assicurato mediante una corretta manutenzione e una verifica periodica delle
proprietà delle apparecchiature stesse. A tal fine risulta necessario un programma di controllo di
qualità basato anche su misure strumentali di grandezze fisiche (ad esempio, intensità di
irraggiamento in funzione della potenza indicata al tavolo di comando) che verifichi sia la
rispondenza con quanto dichiarato nelle specifiche tecniche e sia il mantenimento nel tempo di
tali specifiche. Inoltre tali misure devono essere effettuate periodicamente negli ambienti in cui
sono installate le apparecchiature per garantire il rispetto dei livelli di esposizione sia per i
lavoratori addetti che per la popolazione.

3.1.14 Dispositivi di Protezione Individuali (DPI)


Non sono previsti DPI per la riduzione dell’esposizione ai campi elettromagnetici; in alcuni casi,
tuttavia, è possibile schermare le sorgenti o gli ambienti in cui sono installate.

3.1.15 Riferimenti normativi riguardanti l’esposizione dei lavoratori e della popolazione


Il D. Lgs 81/2008, Capo XXXVI, detta i principi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori,
fissando i limiti d’azione. Il rispetto di tali limiti assicura il rispetto dei limiti d’esposizione. Con i
due D.P.C.M. dell’8 luglio 2003 sono stati fissati i limiti di esposizione per la popolazione a campi
elettrici e magnetici a 50 Hz generati da elettrodotti e i limiti di esposizione per la popolazione nei

87
confronti di sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, basati sui livelli di
riferimento previsti nella Raccomandazione Europea del 12/7/1999. Tali limiti non sono applicabili
alle esposizioni per scopo diagnostico e terapeutico né alle esposizioni per ragioni professionali.
Per quanto riguarda queste ultime si può fare riferimento alle linee guida sulla limitazione
dell’esposizione alle radiazioni non ionizzanti emanate dall’ICNIRP, alle normative internazionali e
in particolare ai livelli di azione raccomandati dalla recente direttiva europea 2004/40/CE del 29
aprile 2004 (vedere le due tabelle sottostanti).

88
89
• Magnetoterapia
Per i lavoratori le raccomandazioni dell’ICNIRP indicano un limite di 500 μT per l’induzione
magnetica, mentre per quanto riguarda la popolazione si può fare riferimento ai livelli
previsti nella Raccomandazione Europea del 12/7/1999 e al limite di esposizione pari a 100
μT stabilito dal “D.P.C.M. 8 luglio 2003. Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni
ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti”;
infatti anche se quest’ultimo è espressamente riferito al problema della esposizione a
campi derivanti dalla generazione, trasformazione e trasporto dell’energia elettrica, il
limite fissato dal DPCM 8/7/2003 può ritenersi valido anche per la magnetoterapia, in
quanto la frequenza dei campi indotti è la stessa o molto vicina (massimo 100 Hz).
Ai fini di una corretta radioprotezione relativa alle attività di magnetoterapia fattori da
tenere in considerazione sono, per le apparecchiature fisse:
 - una adeguata distanza degli operatori (quando non impegnati nelle attività di assistenza)
e della popolazione dall’ apparecchio, quando questo è in funzione;
 - la delimitazione della zona di rispetto a 0,1 mT;
 - la filtrazione delle persone che accedono a tale zona, con divieto assoluto di accesso ai
portatori di pacemaker o altri apparecchi elettromedicali di sopravvivenza.
Tali fattori sono anche sufficienti, nel senso che non sembra necessaria la adozione di altre
contromisure per la prevenzione del rischio. Un dato confortante è che, avendo sufficienti
spazi a disposizione, tali contromisure sono quasi a costo zero. La spesa è infatti limitata
alla apposizione di apposita cartellonistica ed all’ eventuale apprestamento di delimitazioni
basate su barriere fisse (box).
Per quanto riguarda gli apparecchi mobili, molto usati nella assistenza domiciliare, si
consiglia agli operatori, quando non richiesto dalla assistenza, di tenere una distanza di
cautela dall’ utente durante l’ applicazione. Tale distanza, considerato che gli applicatori
sono in questo caso “a nucleo” ed il campo è estremamente concentrato, può essere
stimata in circa un metro.

• Marconiterapia, radarterapia, ipertermia


Poiché l’intervallo di frequenza è estremamente variabile, occorre determinare i livelli dei
valori raccomandati per i lavoratori a partire dall’effettiva frequenza di impiego. Per la

90
popolazione si può fare riferimento ai livelli previsti nella Raccomandazione Europea del
12/7/1999 e, poiché le frequenze di impiego ricadono nell’intervallo 3÷3000 MHz, ai limiti
di esposizione indicati nel “D.P.C.M. 8 luglio 2003. Fissazione dei limiti di esposizione, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese
tra 100 kHz e 300 GHz”.

3.1.16 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza


Il seguente elenco riassume schematicamente ed in maniera non esaustiva le procedure ritenute
indispensabili ai fini specifici dell’esposizione ai campi elettromagnetici in ambito sanitario.

91
92
3.2. Prevenzione dai rischi da esposizione ai laser
Come già ampiamente illustrato nel capitolo I, paragrafo 1.2.12, i laser grazie alle loro
caratteristiche intrinseche vengono utilizzati in chirurgia per il taglio, la coagulazione e la
vaporizzazione di tessuti con estrema precisione e in fisioterapia per la terapia dei dolori articolari
e degli stati infiammatori muscolari. In fisioterapia viene utilizzata sia la tecnica a contatto sia la
tecnica a scansione (il fascio viene riflesso da una serie di specchi in movimento sincronizzato per
irradiare superfici corporee delimitate) per la terapia di diverse patologie a carico di tendini e
articolazioni. In chirurgia la possibilità di veicolare il fascio laser attraverso una fibra ottica per via
laparoscopica o endoscopica, all’interno del corpo umano, ha aperto nuovi orizzonti consentendo
ai chirurghi di migliorare l’efficacia e l’efficienza del loro operato con grandi vantaggi per i utenti.
Per tali motivi, e anche per la facilità di impiego, i laser chirurgici sono in crescente diffusione
presso strutture sanitarie pubbliche e private in molte specialità, quali ginecologia,
otorinolaringoiatria, oculistica, urologia, chirurgia vascolare, pneumologia, odontoiatria,
dermatologia, ortopedia, neurochirurgia, cardiochirurgia, gastroenterologia. In campo estetico le
sorgenti laser vengono utilizzate per la depilazione cutanea, per l’eliminazione di piccole
imperfezioni della cute o per la stimolazione dei tessuti superficiali in associazione a farmaci a uso
topico.
Sono inoltre presenti in ambito sanitario:
• sorgenti laser impiegate come sistemi di puntamento dei laser chirurgici o terapeutici e di
posizionamento di utenti in radiodiagnostica e radioterapia (classe 2)
• sorgenti laser utilizzate come dissettori di campioni biologici per analisi di anatomia patologica o
per indagini spettrometriche (classe 3B).
Il proliferare di queste sorgenti comporta la necessità di valutare attentamente i rischi per i
lavoratori addetti e gli utenti, in considerazione del fatto che si tratta di sorgenti classificate ad
alto rischio da specifiche norme tecniche. Il simbolo internazionale che identifica tali tipi di
sorgenti è quello sottostante.

93
3.2.1 Individuazione dei soggetti esposti
Facendo riferimento alle attività in cui vengono impiegate le sorgenti prima descritte, i soggetti
esposti, oltre agli utenti che vengono sottoposti a specifici trattamenti chirurgici anche
ambulatoriali, sono tutti i lavoratori che permangono all’interno degli ambienti in cui le sorgenti
laser sono installate e utilizzate. A tal fine si raccomanda l’acquisizione dei nominativi e delle
qualifiche degli operatori sanitari che partecipano alle attività che richiedono l’utilizzo di sorgenti
laser. Ciò al fine di stabilire degli elenchi dei lavoratori per i quali è necessario effettuare una
valutazione dei rischi di esposizione a sorgenti laser, la necessaria formazione e la eventuale
sorveglianza medica periodica. Sarà comunque necessario prevedere apposite procedure che
forniscano indicazioni ai soggetti esposti e più in generale a tutti coloro che si accingano a
frequentare ambienti in cui sono presenti sorgenti laser pericolose (studenti, specializzandi,
persone in visita ecc.). L’esposizione fortuita o di tipo incidentale può e in generale deve essere
evitata. Nel caso quindi di esposizione non desiderata sarà necessario valutare l’entità
dell’incidente e le eventuali implicazioni mediche.

3.2.2 Individuazione dei rischi nell’utilizzo del laser


Il fascio laser generato da un dispositivo medico per impiego chirurgico o per fisioterapia trasporta
la sua energia sulla parte da trattare in vari modi (fibra ottica o manipolo a contatto o tramite
sistemi di riflessione a movimento sincronizzato). Ciò si traduce in una serie di rischi potenziali
laddove la luce laser colpisca accidentalmente una superficie riflettente, come ad esempio un
ferro chirurgico non satinato, una parte metallica cromata del tavolo operatorio, di un tavolino
servitore o di altri oggetti cromati presenti nei pressi del campo di lavoro. Inoltre gli stessi teli di
tessuto non tessuto impiegati nel campo operatorio o gli indumenti dei lavoratori addetti possono
incendiarsi se accidentalmente colpiti dal fascio. Gli interventi chirurgici in anestesia generale con
utilizzo di laser richiedono l’impiego di tubi endotracheali rivestiti di metallo adatti all’uso, qualora
il campo operatorio preveda la vicinanza del fascio laser con il distretto tracheale dell’utente. Ciò
al fine di evitare incidenti dovuti all’accensione della miscela gassosa respiratoria, a seguito
dell’impatto accidentale tra il fascio laser e un comune tubo endotracheale, in materiale plastico,
che attiverebbe la combustione all’interno dell’utente. Gli organi a rischio sono in prima istanza gli
occhi e la pelle ma esistono anche dei rischi collaterali associati all’utilizzo dei laser. Le sorgenti
laser sono classificate in funzione del livello di Esposizione Massima Ammissibile (EMP) per

94
l’occhio e la pelle. Nella tabella sottostante si riporta la classificazione vigente in classi di rischio
crescenti.

I laser per fisioterapia appartengono in genere alla classe 3B mentre quelli chirurgici, largamente
diffusi, appartengono alla classe 4. Esistono anche dei laser cosiddetti estetici che vengono
utilizzati per la stimolazione cutanea dei tessuti. In genere si tratta di sorgenti il cui mezzo attivo è
una miscela di gas He-Ne. Emettono radiazione visibile, la loro potenza non supera generalmente
10 mW e possono appartenere alla classe 2 o 2M (ex classe 2). Tali laser sono compresi nelle
attrezzature impiegabili dalle estetiste ai sensi della legge n. 1 del 4/1/90, mentre i laser di classe
3B e 4 devono essere impiegati esclusivamente da personale medico, anche se con finalità di tipo
estetico. Ciò in quanto è necessario valutare a priori l’idoneità del soggetto al trattamento
tenendo conto dei rischi per la salute che ne possono derivare (ad esempio, contemporanea
assunzione di farmaci, fototipo, fragilità capillare ecc.).

95
I rischi per gli occhi e la pelle riassunti nella tabella sottostante sono controllabili attraverso
l’applicazione di apposite procedure sia in fase di prima installazione della sorgente laser
nell’ambiente di lavoro sia durante l’uso routinario. Paradossalmente i rischi collaterali, che sono
meno controllabili, spesso vengono sottovalutati e possono generare danni di elevata entità. I
laser di classe 4 possono infatti produrre energia sufficiente a incendiare materiali infiammabili,
causare la combustione di gas endogeni (come il
metano nel tratto gastro-intestinale dell’utente) e anestetici, bruciare la guaina esterna di un
endoscopio (che è di materiale infiammabile), surriscaldare i ferri chirurgici. Durante interventi
chirurgici possono svilupparsi fumi tossici e può esservi dispersione di particelle di materiale
biologico contaminato. Si aggiungono a questi rischi quelli tipici derivanti dall’uso di una
apparecchiatura elettrica (elettrocuzione) e l’emissione di campi elettromagnetici a
radiofrequenza o di ultravioletti o anche di raggi X dovuti ai sistemi di pompaggio del mezzo attivo.
Questi ultimi sono in genere efficacemente schermati dai pannelli di rivestimento
dell’apparecchiatura.

96
3.2.3 Misure di prevenzione e protezione
In relazione ai rischi considerati, è necessario provvedere al loro controllo e all’avvio di idonee
procedure che garantiscano ai lavoratori addetti e ai utenti adeguate condizioni di sicurezza. Per
fare ciò il datore di lavoro, in possesso di sorgenti laser di classe 3B o 4, deve nominare un Addetto
Sicurezza Laser (ASL) che, esperto in materia, supporta e consiglia sull’uso sicuro di tali dispositivi
medici e sulle relative misure di prevenzione e protezione da porre in atto. L’Addetto Sicurezza
Laser deve valutare i rischi relativi all’installazione laser, delimitare la zona laser controllata e
individuarla con apposita segnaletica adesiva e luminosa, scegliere i dispositivi di protezione
individuale adatti a ciascuna sorgente, effettuare la valutazione delle condizioni di sicurezza
dell’ambiente e dei lavoratori sia in fase di acquisto che durante l’utilizzo della sorgente,
partecipare alla attività di formazione del personale operatore, effettuare i test di accettazione di
ogni sorgente e i controlli periodici di sicurezza, analizzare tutti gli infortuni e incidenti che
riguardano i laser, definire le procedure di sicurezza, definire e mantenere il programma di
assicurazione della qualità (Norma CEI 76-6 Sicurezza degli apparecchi laser Parte 8: Guida all’uso
degli apparecchi laser in medicina). Per poter utilizzare in sicurezza queste sorgenti, è necessario
prevedere dei corsi di formazione per tutto il personale che opera direttamente o nelle vicinanze
di una apparecchiatura laser di classe 3B o 4. È necessario prevedere anche una sorveglianza
medica dei lavoratori addetti per valutare l’integrità dei parametri visivi dei soggetti e in
particolare effettuare una visita oftalmica preventiva e delle visite periodiche di monitoraggio.
Qualsiasi incidente o infortunio provocato dall’uso di un apparecchio laser deve essere segnalato
immediatamente all’Addetto Sicurezza Laser che dovrà effettuarne un’analisi e dovrà
intraprendere delle azioni per evitare il ripetersi dello stesso. Va inoltre istituito un registro su cui
riportare tali incidenti o infortuni. È fondamentale assicurare un programma di manutenzione
delle apparecchiature da parte di personale qualificato così come un programma di assicurazione
della qualità (AQ), di cui risponde l’Addetto Sicurezza Laser, per garantire il funzionamento
ottimale di ciascuna apparecchiatura sia in termini di prestazioni rese sia in termini di sicurezza. A
tale uopo potranno essere utilizzate adeguate procedure e apposite liste di controllo da applicare
con le periodicità stabilite dall’Addetto Sicurezza Laser. L’Addetto Sicurezza Laser è la persona che
ha la responsabilità di monitorare e aumentare il controllo sui possibili rischi causati dal laser e
possiede le conoscenze necessarie per valutare e controllare i rischi causati dai laser. Per
installazioni in cui vengono utilizzati apparecchi laser di classe 3B o 4, “l’organismo responsabile”
deve nominare un Addetto Sicurezza Laser e definirne le responsabilità. L’Addetto Sicurezza Laser

97
dovrebbe avere la competenza necessaria per informare “l’organismo responsabile” della
struttura sanitaria sugli aspetti relativi alla sicurezza laser correlati all’uso dei laser in quella
struttura. Le sue responsabilità sono descritte nella tabella seguente che riporta testualmente
quanto contenuto nella guida tecnica CEI 76-6.

3.2.4 La formazione dei lavoratori addetti


La conoscenza delle problematiche di sicurezza connesse all’utilizzo dei laser medicali deve essere
considerato l’aspetto più importante nella gestione del rischio. La formazione dei lavoratori
addetti, peraltro obbligatoria per la vigente normativa, deve prevedere dei corsi mirati e
differenziati in modo da adeguarsi alle sorgenti laser da utilizzare e al ruolo delle persone

98
interessate. In particolare dovranno essere previsti dei corsi di formazione di livello base e con
contenuti generali destinati a tutti gli operatori sanitari che svolgono la propria attività in
prossimità di sorgenti laser. Per gli operatori laser (personale medico e infermieristico) dovranno
invece realizzarsi dei corsi di formazione ad hoc della durata minima di 4 ore con i contenuti
previsti dalla guida CEI 76-6. In particolar modo la formazione deve essere in grado di trasferire
adeguate conoscenze sui rischi per gli operatori stessi e gli utenti derivanti dall’impiego di
radiazioni laser, al fine di acquisire comportamenti sicuri nella gestione e utilizzo delle
apparecchiature e dei dispositivi di protezione individuale (DPI). I DPI per gli occhi (normalmente
occhiali in grado di filtrare adeguatamente la radiazione laser e costruiti secondo norme tecniche
specifiche) e quelli per la pelle (indumenti di materiale idoneo) sono in genere sufficienti a
eliminare i pericoli diretti più importanti. I lavoratori addetti devono essere inoltre in grado di
fornire adeguate informazioni ai soggetti esposti.

3.2.5 Valutazione dei livelli di esposizione


Le apparecchiature emittenti radiazioni laser di cui ogni struttura è dotata o si deve dotare
dovrebbero essere sempre in numero e di tipo adeguato alle finalità di impiego.
Al fine di valutare i livelli di esposizione è necessario approntare due tipi di verifiche sperimentali.
Misure ambientali
Sono misure volte a verificare il corretto confinamento della radiazione laser agli ambienti ove sia
utilizzata. Questo tipo di misure è rivolto alla sicurezza dei lavoratori addetti e della popolazione.
Vanno effettuate possibilmente in fase preventiva all’installazione dell’apparecchiatura oppure al
più presto se la stessa è già operante. È necessario sottolineare che anche l’esposizione indiretta a
fonti di radiazione laser conseguente a fenomeni di riflessione può essere causa degli effetti
dannosi citati. Pertanto dovrà essere valutata attentamente l’idoneità degli ambienti in cui sono
installate le sorgenti. In particolare dovranno evitarsi superfici cromate e lucidate a specchio (ad
esempio, tavolini servitori, accessori per i lettini operatori, ferri chirurgici non satinati,
rubinetterie, telai di porte e/o finestre, vetrine, cornici cromate di negativoscopi o orologi di sala
operatoria ecc.). In presenza di tali condizioni, si dovranno adottare tutti i provvedimenti necessari
per rendere non riflettenti tali superfici (ad esempio, ricoprendole con dei teli di tessuto di cotone
pesante o satinandole o impiegando vernici opache). La presenza in sala operatoria di tubi plastici
per il trasporto di gas medicali può costituire una fonte di rischio e pertanto dovranno essere

99
ricoperti, durante gli interventi con laser chirurgici a trasmissione diretta (ad esempio, CO2) con
materiali idonei (cotone pesante o alluminio opaco in fogli).
Misure di emissione
Sono misure volte a verificare il buon funzionamento delle apparecchiature e vanno eseguite
secondo quanto previsto nella norma CEI EN 60601-2-22. Questo tipo di misure è necessario al
fine di garantire adeguata sicurezza ai soggetti esposti e ai lavoratori addetti. Per la peculiarità e
complessità di tali verifiche è necessario avvalersi di personale competente e con dimostrata
esperienza nel settore. Nell’ambito di strutture sanitarie è possibile avvalersi dei Servizi di Fisica
Sanitaria ove disponibili.

3.2.6 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento delle apparecchiature laser


Al fine di controllare le prestazioni di funzionamento delle apparecchiature e dei sistemi di
protezione è necessario eseguire delle verifiche strumentali, e in particolare delle misure fisiche,
che possono essere effettuate secondo quanto indicato dalla citata norma CEI EN 60601-2-22 del
1997 (classificata CEI 62-42).

3.2.7 Verifica prestazioni di funzionamento delle apparecchiature


All’atto dell’installazione di una nuova apparecchiatura devono essere fornite dal produttore
dell’apparecchiatura le caratteristiche di emissione della sorgente laser. Tali caratteristiche
devono essere verificate in fase di collaudo (prove di accettazione). I controlli sulle sorgenti laser
devono essere effettuati con le periodicità indicate nella norma CEI 76-6, e comunque
periodicamente (prove di costanza) e dopo rilevanti interventi di manutenzione e/o riparazione
(prove di stato) nell’ambito di un programma di assicurazione della qualità come citato nelle
stesse norme CEI. Le misure strumentali dovranno essere eseguite con strumentazione idonea alla
potenza erogata, lunghezza d’onda e modalità di emissione (continua e/o pulsata) della sorgente
laser verificata secondo le modalità indicate dalle pertinenti norme tecniche.

3.2.8 Verifica dei sistemi di segnalazione e sicurezza


All’esterno di ogni locale di trattamento (zona laser controllata) deve essere affissa opportuna
segnaletica indicante la presenza di radiazione laser e deve essere installato un segnalatore
luminoso indicante il funzionamento delle apparecchiature. Ove previsto deve essere applicata
apposita segnaletica di prescrizione delle protezioni oculari. All’atto dell’installazione e

100
periodicamente va verificato il corretto funzionamento dei segnalatori luminosi all’esterno dei
locali. Inoltre va verificato il corretto funzionamento degli interruttori di emergenza posti sugli
apparecchi laser e dei cavi per l’alimentazione e per il pedale erogazione raggi. Devono essere
affisse in tali ambienti adatte norme comportamentali e di sicurezza per i lavoratori addetti e gli
utenti.

3.2.9 Caratteristiche delle apparecchiature


Le apparecchiature, se prodotte dopo il 14 giugno 1998, devono ottemperare a quanto disposto
dalla direttiva 93/42/CEE recepita dal decreto legislativo 46/97 in materia di dispositivi medici.
Per tali apparecchiature è prevista:
• la marcatura CE riportante il codice numerico dell’ente che ne ha verificato la conformità alla
direttiva 93/42/CEE
• opportuna documentazione in lingua italiana nella quale viene dichiarata la conformità alle
normative CEE pertinenti segnaletica di avvertimento o pericolo con scritte nere su fondo giallo in
lingua italiana
• etichettatura ben visibile riportante i dati di “targa” dell’apparecchiatura (potenza, lunghezza
d’onda, classe di rischio ecc.) compreso il numero di serie e/o matricola
• istruzioni per l’installazione, uso e manutenzione, in lingua italiana, comprendenti le necessarie
informazioni di sicurezza.
Inoltre deve essere garantita la sicurezza elettrica mediante apposite prove che tengano conto di
quanto indicato nella norma CEI 62-5. Le caratteristiche di funzionamento e di sicurezza devono
essere mantenute mediante un programma adeguato di manutenzione, secondo le indicazioni del
fabbricante e tramite delle verifiche periodiche secondo quanto stabilito dall’Addetto Sicurezza
Laser nel programma di assicurazione della qualità. Per le apparecchiature più datate è necessario
verificare la conformità alle norme vigenti al momento della loro produzione, fermo restando che
devono essere sottoposte anch’esse a manutenzione periodica e ai controlli citati.

3.2.10 Uso dei Dispositivi di Protezione Individuali (DPI)


Devono essere a disposizione dei lavoratori addetti e dei soggetti esposti i DPI, in particolare
occhiali o indumenti di protezione. Per quanto riguarda gli occhiali è necessario che sia specificato
per quale tipo di radiazione laser (modalità di emissione e lunghezza d’onda) e quindi di
apparecchiatura forniscono protezione. È inoltre da sottolineare che gli occhiali devono poter

101
garantire anche la protezione da incidenza obliqua. Gli occhiali dovranno essere costruiti
conformemente alle norme UNI EN 207:2000 relativamente alla tipologia di impiego delle sorgenti
laser e recare la marcatura CE. Gli occhiali di protezione devono essere sempre in numero
adeguato agli utenti e ai lavoratori addetti interessati dalle emissioni laser e adeguati al tipo di
attività svolta. Particolare attenzione dovrà essere rivolta ai lavoratori addetti portatori di occhiali
da vista. Per questi dovranno essere scelti occhiali confortevoli da potere indossare sopra quelli da
vista. Qualora un DPI sia manomesso o non integro deve essere immediatamente sostituito. Per gli
indumenti di protezione, necessari in caso di utilizzo di laser di classe 4, è consigliato l’utilizzo di
camici di cotone pesante. Per il campo operatorio sono da evitare i teli di tessuto non tessuto
(TNT) in quanto facilmente infiammabili quando investiti da fasci laser chirurgici.

3.2.11 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza


Il seguente elenco riassume unicamente le procedure ritenute indispensabili ai fini specifici
dell’esposizione a laser in ambito sanitario e non è esaustivo degli obblighi delle diverse figure
coinvolte per i quali occorre fare riferimento alla norma CEI 76-6.

102
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3.3 Prevenzione dai rischi da esposizione a sorgenti artificiali di radiazioni ultraviolette
La gestione dei rischi derivanti dall’esposizione a sorgenti artificiali di radiazione ultravioletta (UV)
in ambito ospedaliero, e più in generale in ambito sanitario, richiede una particolare attenzione
per la diffusione in costante aumento di tali sorgenti. Tali agenti fisici di rischio sono spesso
trascurati ai fini di una corretta valutazione dei pericoli a cui espongono sia i lavoratori addetti che
gli utenti. Al fine di prevenire l’insorgenza degli effetti a breve termine a carico della pelle e
dell’occhio, nonché di ridurre il più possibile i rischi a lungo termine consistenti principalmente in
un aumentato rischio di contrarre carcinomi della pelle e melanoma maligno cutaneo (non
totalmente prevenibili per via dell’assenza di una soglia per gli effetti), sono state sviluppate
normative di protezione, intese a limitare le esposizioni dei lavoratori e della popolazione generale
(in quest’ultimo caso, tuttavia, un ruolo molto importante è svolto dalle campagne di informazione
relative ai rischi connessi alle esposizioni, per lo più a scopo ricreativo, alla radiazione solare).
Le norme di protezione contro gli effetti nocivi della radiazione UV sono essenzialmente di tre tipi:
1) linee guida sviluppate da organismi professionali nel campo della protezione della salute, quale
l’ICNIRP, che fissano i limiti di esposizione;
2) norme emanate da organi legislativi nazionali o sovranazionali (quali gli organismi dell’Unione
Europea), che forniscono valore legale ai limiti di esposizione;

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3) standard tecnici adottati da appositi organismi di normalizzazione (IEC, CENELEC, CEI), che
forniscono le prescrizioni tecniche, i test di misura, i limiti di emissione di specifiche
apparecchiature, ai fini del rispetto delle norme di cui ai punti precedenti.
I limiti di emissione hanno lo scopo di garantire il rispetto dei limiti di esposizione in relazione a
condizioni di esposizione umana predeterminate, che tengano conto della posizione di esposizione
potenziale più vicina “ragionevolmente accessibile”, e della più grande durata di esposizione
“ragionevolmente prevedibile”. Il fine del rispetto dei limiti di esposizione non è tuttavia quello
degli standard specifici relativi alle lampade per l’abbronzatura artificiale.
Le linee guida dell’ICNIRP sono rivolte alla protezione dei lavoratori e della popolazione generale, e
non si riferiscono alle esposizioni volontarie per trattamenti medici o per trattamenti cosmetici
quale l’abbronzatura artificiale. I limiti di esposizione sono derivati dai dati scientifici, ed includono
margini di sicurezza, non rappresentando perciò una linea di demarcazione tra sicurezza e
pericolo. Questi limiti si riferiscono principalmente agli effetti acuti dell’esposizione alla radiazione
UV sull’occhio e sulla pelle per periodi di 8 ore al giorno, ma forniscono un certo grado di
protezione nei confronti degli effetti cronici in quanto il loro rispetto limita l’esposizione
complessiva. I limiti vanno intesi come limiti assoluti per l’occhio, che a differenza della pelle non
può sviluppare risposte adattative di difesa, e corrispondono ad una dose efficace di 30 J eff/m2,
calcolata per mezzo dello spettro d’azione definito dall’ICNIRP. Sempre per la protezione
dell’occhio deve essere rispettato anche un limite aggiuntivo sull’esposizione radiante fisica (non
pesata) nella regione degli UVA pari a 10 kJ/m2.
Per quanto riguarda la pelle, il limite di 30 Jeff/m2 rappresenta condizioni sotto le quali ci si aspetta
che quasi tutti gli individui possano essere esposti anche ripetutamente senza che compaiano
effetti a breve termine, e con rischio trascurabile di effetti a lungo termine. Questo limite
incorpora fattori di sicurezza sostanziali per fototipi meno sensibili, e per chi ha la pelle già
abbronzata da esposizioni precedenti. I limiti dell’ICNIRP sono stati recepiti dal Parlamento
europeo e dal Consiglio dell’Unione europea che, nel 2006, hanno emanato una direttiva relativa
alla sicurezza dei lavoratori nei confronti dei rischi derivanti dalle radiazioni ottiche artificiali
(Direttiva 2006/25/CE). Tale direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri dell’Unione
europea prima del 27 aprile 2010. L’Italia ha già inserito quanto previsto dalla direttiva nel
recentemente approvato “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” (Decreto Legislativo
9/4/08, n.81), ma le disposizioni specifiche per la protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione
a radiazioni ottiche artificiali entreranno in vigore il 26 aprile 2010.

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Per quanto riguarda le esposizioni di chi si sottopone a trattamenti estetici di abbronzatura
artificiale, le normative per la protezione della popolazione generale e dei lavoratori non si
applicano, trattandosi di esposizioni volontarie, e anche in considerazione del fatto che l’effetto
desiderato (l’abbronzatura) è strettamente connesso ad un danno sulla pelle, che le normative per
la protezione dei lavoratori e della popolazione generale hanno invece il fine di prevenire.
I sistemi per l’abbronzatura artificiale che utilizzano lampade che emettono radiazione
ultravioletta ricadono tuttavia nell’ambito di applicazione della Low Voltage Directive (LVD)
dell’Unione Europea, secondo cui il materiale elettrico alimentato in bassa tensione può essere
immesso sul mercato solo se non compromette la sicurezza delle persone. Tale materiale elettrico
deve essere costruito conformemente alla regola dell’arte in materia di sicurezza valida all’interno
della Comunità, circostanza che si considera rispettata se il materiale elettrico soddisfa le
disposizioni in materia di sicurezza delle norme armonizzate adottate dall’organismo europeo di
normalizzazione elettrotecnica CENELEC, tradotte in italiano dal CEI che le adotta come norme
italiane. Queste norme indicano quindi le prescrizioni, e i test di valutazione del rischio, necessari
per la verifica che i prodotti soddisfano i requisiti di sicurezza della LVD, solo a seguito della quale
è possibile apporre sulle apparecchiature la marcatura CE di conformità, necessaria per la loro
immissione sul mercato.
La norma attualmente vigente prevede prescrizioni relative alle emissioni e una serie di
informazioni per il corretto utilizzo delle apparecchiature che devono essere riportate nei manuali
d’uso, tra cui un programma di esposizione raccomandato basato sulle caratteristiche della
sorgente, sulle distanze di esposizione e sulla sensibilità cutanea. Per la prima seduta, per una cute
non abbronzata, il tempo di esposizione non deve essere inferiore a un minuto, e deve
corrispondere ad una dose efficace eritemale che non superi 100 Jeff/m2. La norma prevede inoltre
che, ai fini della protezione nei confronti degli effetti a lungo termine, debba essere indicato il
numero raccomandato di esposizioni che da non superare in un anno, basato su una dose efficace
eritemale massima annuale di 15 kJeff/m2.
Sono prevedibili comunque ulteriori evoluzioni della normativa tecnica, in considerazione del fatto
che l’ultima versione dello standard sullo stesso argomento dell’International Electrotechnical
Commission (IEC), che influenza le norme europee adottate dal CENELEC (e quindi anche le norme
italiane CEI), prevede l’utilizzo dello spettro d’azione per i tumori cutanei non melanocitici CIE-
2000, tranne nel caso del calcolo della dose per la prima seduta per la quale deve continuare ad
essere usato lo spettro d’azione eritemale CIE-1998.

106
L’esposizione di individui a sorgenti UV artificiali può essere suddivisa in tre tipologie:
• professionale – conseguente all’attività lavorativa;
• incidentale – non voluta e occasionale;
• intenzionale – per esposizione a fini clinici.
Ovviamente sarà diverso l’approccio al problema nelle tre situazioni, data la diversa tipologia di
profilo spazio-temporale dell’esposizione. Non si deve dimenticare che la radiazione ultravioletta
utilizzata in terapia e per altri scopi trasferisce una notevole quantità di energia al corpo umano.
Ciò suggerisce la necessità di attivare un sistema di controllo e registrazione della “dose” di
radiazione somministrata all’utente nelle varie attività e anche una valutazione della “dose”
ricevuta dai lavoratori addetti.

3.3.1 Individuazione dei soggetti esposti


Tutti i lavoratori che operano in ambienti in cui vi siano sorgenti UV possono essere considerati
soggetti potenzialmente esposti. In particolare in ambito sanitario si tratta di medici, infermieri,
personale tecnico di supporto e di laboratorio, personale addetto alla manutenzione e ai controlli
di qualità. Esistono procedure diagnostiche e terapeutiche che prevedono l’esposizione degli
utenti a UV. Le applicazioni terapeutiche, che comportano in genere la maggiore esposizione in
termini di irradianza, sono la fototerapia e la fotochemioterapia. Nell’ambito della ricerca è il
medico responsabile della attività stessa che deve valutare il rapporto detrimento
sanitario/beneficio per gli utenti trattati. L’esposizione fortuita o di tipo incidentale può e in
generale deve essere evitata. Nel caso quindi di esposizione non desiderata sarà necessario
valutare l’entità dell’incidente e le eventuali implicazioni mediche.

3.3.2 Prevenzione e protezione: formazione dei lavoratori addetti


Il personale che opera in ambienti con sorgenti di radiazioni UV deve essere a conoscenza dei
rischi dell’esposizione acuta o prolungata a tali sorgenti. In particolar modo il processo di
formazione deve trasferire adeguate conoscenze sui rischi per gli stessi lavoratori addetti nonché
per gli utenti, al fine di acquisire comportamenti sicuri nella gestione delle apparecchiature e dei
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). I DPI per gli occhi (normalmente occhiali in grado di
filtrare adeguatamente la radiazione UV e costruiti secondo norme tecniche specifiche) e quelli
per la pelle (indumenti di materiale idoneo) sono in genere sufficienti a eliminare i pericoli più

107
importanti. I lavoratori addetti devono essere inoltre in grado di utilizzare correttamente le
apparecchiature e di fornire adeguate informazioni ai soggetti esposti.

3.3.3 Valutazione dei livelli di esposizione


Le apparecchiature emittenti radiazioni UV di cui ogni struttura è dotata, o si deve dotare,
dovrebbero essere sempre in numero e di tipo adeguato alle finalità di impiego.
Al fine di valutare i livelli di esposizione è necessario approntare due tipi di verifiche sperimentali:
• Misure ambientali; sono misure volte a verificare il corretto confinamento della radiazione UV
agli ambienti ove sia utilizzata. Questo tipo di misure è rivolto alla sicurezza dei lavoratori
addetti e della popolazione. Vanno effettuate possibilmente in fase preventiva all’installazione
dell’apparecchiatura oppure al più presto se la stessa è già operante. È necessario sottolineare
che anche l’esposizione indiretta a fonti di radiazione UV conseguente a fenomeni di
riflessione può essere causa degli effetti dannosi citati. Pertanto dovrà essere valutata
attentamente l’idoneità degli ambienti in cui sono installate le sorgenti (ad esempio, un muro
intonacato bianco può riflettere fino al 65 % di radiazione UV incidente).
• Misure di emissione; sono misure volte a verificare il buon funzionamento delle
apparecchiature e vanno eseguite secondo quanto indicato al punto 3.5.3. Questo tipo di
misure è necessario al fine di garantire adeguata sicurezza e massimo beneficio clinico ai
soggetti esposti.
Per la peculiarità e complessità di tali verifiche è necessario avvalersi di personale competente e
con dimostrata esperienza nel settore, ad esempio dei Servizi di Fisica Sanitaria ove disponibili.

3.3.4 Verifiche strumentali sulle prestazioni di funzionamento degli apparecchi UV


Al fine di controllare le prestazioni di funzionamento delle apparecchiature e dei sistemi di
protezione è necessario effettuare delle verifiche strumentali, e in particolare misure fisiche che
possono essere radiometriche o spettroradiometriche. La Tabella sottostante riporta la
classificazione CEI degli apparecchi per il trattamento della pelle con raggi ultra-violetti per uso
domestico e similare e si può notare come sia essenziale, ai fini della classificazione di queste
apparecchiature, del tutto analoghe a quelle utilizzate in ambito clinico, la conoscenza delle
caratteristiche spettrali di emissione.

108
Si può, a compendio, rimarcare nuovamente come la tipologia del danno dipenda dalla lunghezza
d’onda della radiazione incidente, mentre l’entità sia ovviamente in diretta relazione con il tempo
di esposizione.

3.3.5 Verifica prestazioni di funzionamento delle apparecchiature


All’atto dell’installazione di una nuova apparecchiatura devono essere fornite dal produttore
dell’apparecchiatura le caratteristiche spettrali di emissione della sorgente UV. Tali caratteristiche
devono essere verificate presso l’impianto mediante misura con radiospettrometro (prove di
accettazione). In caso di installazione per finalità terapeutiche la misura di emissione deve essere
effettuata con periodicità dipendente dalla tipologia della sorgente e dal tipo di applicazione, e
comunque periodicamente (prove di costanza) e dopo rilevanti interventi di manutenzione e/o
riparazione (prove di stato). Le misure devono essere ripetute ogni volta che si sostituiscono delle
lampade UV nell’apparecchiatura o dopo rilevanti interventi di manutenzione e/o riparazione.

3.3.6 Verifica dei sistemi di segnalazione e sicurezza


All’atto dell’installazione deve essere verificato che non vi sia dispersione di radiazioni nelle
postazioni occupate dai lavoratori addetti. Si deve inoltre verificare che non vi sia dispersione negli
ambienti occupati da popolazione, ad esempio utenti in attesa. Le dispersioni possono essere
anche provocate da riflessioni dei materiali di rivestimento delle pareti o più semplicemente dalle
stesse vernici che le ricoprono. Le pareti chiare e lisce possono riflettere la radiazione UV.

109
Queste verifiche vanno ripetute a ogni modifica delle condizioni ambientali o di disposizione delle
apparecchiature negli ambienti ove sono installate. Non devono essere usate tende per delimitare
gli ambienti salvo verificare con misure strumentali che siano di materiale idoneo a schermare la
radiazione UV. È preferibile delimitare gli ambienti in cui vi è rischio di esposizione a UV con
pannelli o pareti opache agli UV regolamentandone l’accesso. È opportuno che siano ben visibili
sulle apparecchiature e negli ambienti cartelli di avviso secondo le norme CEI EN 60335-2-27.
Poiché non sono state emanate analoghe e specifiche norme per le apparecchiature usate in
ambito sanitario, tali norme sono comunque da intendersi come norme di “buona tecnica” ai fini
della sicurezza. Devono essere affisse in tali ambienti adatte norme comportamentali e di
sicurezza per i lavoratori addetti e gli utenti. Possono essere impiegati anche idonei cartelli
luminosi, al di fuori degli accessi ai locali ove funzionano sorgenti UV, indicanti l’emissione in
corso.

3.3.7 Caratteristiche delle apparecchiature


Le apparecchiature, se prodotte dopo il 14 giugno 1998, devono ottemperare a quanto disposto
dalla direttiva 93/42/CEE recepita dal decreto legislativo 46/97 in materia di dispositivi medici.
Per tali apparecchiature è prevista:
• la marcatura CE riportante il codice numerico dell’ente che ne ha verificato la conformità alla
direttiva 93/42/CEE
• opportuna documentazione in lingua italiana nella quale viene dichiarata la conformità alle
normative CEE pertinenti
• segnaletica di avvertimento o pericolo, ove prevista, con scritte nere su fondo giallo in lingua
italiana
• etichettatura ben visibile riportante i dati di “targa” dell’apparecchiatura, compreso il numero di
serie e/o matricola
• istruzioni per l’installazione, uso e manutenzione, in lingua italiana, comprendenti le necessarie
informazioni di sicurezza.
Inoltre deve essere garantita la sicurezza elettrica mediante apposite prove che tengano conto di
quanto indicato nella Norma CEI EN 60601-1 (1990) Apparecchi elettromedicali. Parte 1:
prescrizioni generali per la sicurezza e da “norme particolari” riferite alle singole tipologie di
apparecchiature. Il mantenimento delle caratteristiche di funzionamento e di sicurezza deve
essere assicurato mediante un programma adeguato di manutenzione secondo le indicazioni del

110
fabbricante e tramite verifiche periodiche sulle emissioni delle sorgenti UV. Per le apparecchiature
più datate è necessario verificare la conformità alle norme vigenti al momento della loro
produzione, fermo restando che devono essere sottoposte anch’esse a manutenzione periodica ed
ai controlli citati.

3.3.8 Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)


Devono essere a disposizione di lavoratori addetti e di soggetti esposti i DPI, in particolare occhiali
o indumenti di protezione. Per quanto riguarda gli occhiali è necessario che sia specificato per
quale tipo di radiazione UV e quindi di apparecchiatura forniscono protezione. È inoltre da
sottolineare che gli occhiali devono poter garantire anche la protezione da incidenza obliqua che,
tra l’altro, è la più pericolosa per induzione di cataratta, a causa dell’incidenza della luce sulle
cellule germinali del cristallino. Gli occhiali dovranno essere costruiti conformemente alle norme
UNI EN 166:1997 e UNI EN 170:1993 relativamente alla tipologia di impiego delle sorgenti UV e
recare la marcatura CE. Gli occhiali di protezione devono essere sempre in numero adeguato agli
utenti e ai lavoratori addetti interessati dalle emissioni UV. Qualora un DPI sia manomesso o non
integro deve essere immediatamente sostituito.

3.3.9 Tavola sinottica delle procedure per la sicurezza


Le seguenti tabelle riassumono le procedure ritenute indispensabili ai fini specifici dell’esposizione
a UV in ambito sanitario (ovviamente l’elenco non è esaustivo degli obblighi delle diverse figure
coinvolte).

111
112
113
Capitolo IV

Il ruolo del tecnico sanitario di radiologia medica all’interno del modello


organizzativo per la valutazione dei rischi e il controllo della qualità

Uno degli obiettivi del presente lavoro è quello di illustrare come il tecnico sanitario di radiologia
medica (TSRM) possa avere un ruolo di primo piano nella valutazione del rischio da radiazioni non
ionizzanti, in particolar modo all’interno delle aziende sanitarie e/o ospedaliere.
Il D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (Testo Unico per la sicurezza), al Titolo VIII – Agenti Fisici – Art. 181
“Valutazione dei rischi”, sancisce, al comma 1 che “Nell’ambito della valutazione di cui all’articolo
28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici in modo da
identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare
riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.” Conseguentemente al comma 2
esplicita che “La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici è programmata ed
effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio
prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia”.
In sostanza si afferma che il personale qualificato nella valutazione del rischio deve avere
specifiche conoscenze in materia di rischi da agenti fisici e va considerato “personale qualificato”
un operatore che abbia sostenuto un corso di qualificazione conclusosi con una valutazione
positiva e documentabile dell’apprendimento. Non essendo specificato niente di più sulla durata e
sui contenuti dei corsi e soprattutto nessun riferimento specifico viene fatto sulla necessità del
possesso di un titolo di studio specifico o di una qualifica professionale ad hoc, il datore di lavoro
potrà basare la scelta per la nomina dei soggetti addetti alla valutazione del rischio su una
moltitudine di fattori. Come suggerito nel documento del Coordinamento Tecnico Interregionale
della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro “Decreto Legislativo 81/2008, Titolo VIII, Capo I, II, III e IV
sulla prevenzione e protezione dai rischi dovuti all’esposizione ad agenti fisici nel luoghi di lavoro –
Prime indicazioni applicative”, la valutazione del personale qualificato andrebbe fatta sulla base
del curriculum, del rispetto delle norme di buona tecnica e del prodotto finale del proprio lavoro.
Per quanto riguarda il curriculum, vanno considerati tutti gli elementi che testimonino un percorso
formativo e professionale nell’ambito specifico delle radiazioni non ionizzanti e la partecipazione
ad almeno un corso teorico-pratico su tali tematiche. Il rispetto delle norme di buona tecnica e di
buona prassi va letto appunto da una lato, come il comportamento professionale di colui che
114
orienta il proprio lavoro secondo le specifiche tecniche approvate e pubblicate da organismi
internazionali o nazionali, la cui osservanza non sia obbligatoria, dall’altro, la “buona prassi”
consiste nel seguire soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con
le norma di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e la
sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di
lavoro. Il terzo e ultimo punto riguardante il prodotto finale va riferito alla capacità e competenze
del professionista di saper redigere una relazione tecnica con tutti gli elementi richiesti dal Capo
IV, Titolo VIII del D.Lgs. 81/08 e nel rispetto delle indicazioni previste dalle norme CEI 211-6 e 211-
7 e dello standard prEN 50499 emanato dal CENELEC.
Indicazioni più approfondite sulle figure professionali dell’Esperto nella valutazione dei rischi
derivanti da esposizione a campi elettromagnetici e nella valutazione delle radiazioni ottiche
incoerenti e coerenti vengono fornite da due appositi documenti stilati dalla Consulta
Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP). Questo organismo venne costituito nel 1990
dalle maggiori associazioni scientifiche e professionali operanti nei settori della medicina del
lavoro, dell’igiene industriale, della protezione ambientale, della sicurezza del prodotto e
dell’ergonomia. Nel 2006 la CIIP ha redatto due documenti propositivi: uno per l’identificazione
del profilo professionale dell’Esperto nella valutazione dei rischi lavorativi dei campi
elettromagnetici da 0Hz a 300 GHz (ECEM); l’altro per l’Addetto Sicurezza Laser (ASL) o Tecnico
Sicurezza Laser (TSL), Esperto delle sorgenti di radiazioni ottiche coerenti (LASER) e per l’ERO,
Esperto delle radiazioni ottiche non coerenti (Ultravioletto, visibile e infrarosso).
Lo spunto per definire tali profili professionali è stato preso dalla pubblicazione di due direttive
europee: la Direttiva 2004/40/CE del 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e salute
relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici “campi elettromagnetici
da 0 Hz a 300 GHz” e la Direttiva 2006/25/CE del 5 aprile 2006, sulle prescrizioni minime di
sicurezza e salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici
“radiazioni ottiche artificiali”.
Il documento che riguarda il Profilo dell’ECEM innanzi tutto definisce tale professionista come una
figura idonea ad effettuare l’attività di sorveglianza fisica dei campi elettromagnetici, inclusa la
valutazione intesa come stima, misura o calcolo dei livelli dei campi elettromagnetici a cui sono
esposti i lavoratori. I compiti dell’ECEM vanno dalla valutazione preventiva di nuove sorgenti, alla
determinazione periodica dei livelli di esposizione, fino alla definizione delle misure tecniche e
procedurali per la riduzione dell’esposizione in caso di superamento dei limiti. Particolare

115
attenzione è stata posta alla comunicazione con il datore di lavoro, responsabile ultimo della
valutazione dei rischi, e alla formazione e informazione dei lavoratori coinvolti.
Vengono previsti due livelli per la figura dell’ECEM: un livello base, in grado di effettuare una
misura dei livelli di esposizione dei lavoratori mediante misure effettuate con strumentazione a
banda larga; un livello specialistico, che oltre a quanto previsto per il livello base è in grado di
effettuare rilevazioni sperimentali con catene di misura in banda stretta e valutazioni dosimetriche
per la determinazione del rispetto dei limiti.
Per quanto concerne i requisiti formativi e l’esperienza professionale, per il livello base valgono: il
possesso di laurea di primo livello in Fisica, Ingegneria Elettronica, Elettrotecnica o delle
Telecomunicazioni, Ingegneria per la sicurezza e la Protezione, Tecnico della Prevenzione
nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, Scienza della Sicurezza e Prevenzione e la frequenza di un
corso formativo teorico-pratico con esame finale della durata di almeno 25 ore. Per il livello
specialistico servono il possesso della laurea specialistica per le discipline sopra elencate e l’aver
svolto attività adeguatamente documentabile nel settore della sorveglianza fisica dei campi
elettromagnetici per almeno un anno.
Per quanto riguarda il livello base, il documento prevede però che anche personale con la qualifica
di tecnico sanitario di radiologia medica che già svolge attività adeguatamente documentata
inerente la sicurezza con sorgenti di campi elettromagnetici da almeno 5 anni, può svolgere tale
funzione, limitatamente alla struttura di appartenenza.
Sulla falsariga del documento per l’individuazione del profilo dell’ECEM è stato redatto anche
quello che riguarda l’ERO per le radiazioni ottiche incoerenti e l’ASL per le radiazioni ottiche
coerenti (LASER). Anche in questo caso sono presenti un livello base e un livello specialistico con
compiti e responsabilità distinte e con requisiti formativi identici a quelli previsti per l’ECEM.
Anche per l’ERO e l’ASL è previsto specificatamente che il personale TSRM che svolge da almeno 5
anni l’attività documentata di sorveglianza delle sorgenti di radiazione ottica, è ritenuto idoneo
allo svolgimento dei compiti di Esperto per il livello base.
Quello che si evince da quanto finora esposto nel presente capitolo è che dal punto di vista
normativo, il D.Lgs. 81/08, non stabilisce alcun tipo di curriculum formativo o professionale
vincolante per lo svolgimento delle mansioni del “personale adeguatamente qualificato” nella
valutazione del rischio da radiazioni non ionizzanti. Gli unici documenti propositivi in tal senso
inseriscono però il TSRM tra quelle professioni in grado di svolgere tali delicati compiti.

116
Credo quindi di poter affermare legittimamente che il TSRM adeguatamente formato, sia nello
specifico dei rischi inerenti alla NIR che nel bagaglio culturale, gestionale, organizzativo, attraverso
la laurea specialistica in scienze sanitarie tecniche diagnostiche e che abbia conseguito
un’esperienza lavorativa specifica nell’ambito delle NIR, può assumere il ruolo di Esperto che
consiglia e indirizza il datore di lavoro nella valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza
dei lavoratori. Mi sembra altrettanto evidente che all’interno delle strutture di Fisica Sanitaria, il
Fisico Specialista è la figura, che per le conoscenze acquisite nel percorso di studi e per le
responsabilità ricoperte all’interno dei programmi di garanzia della qualità nell’ambito delle
radiazioni ionizzanti, maggiormente indicata ad occuparsi in prima persona della valutazione dei
rischi da radiazioni non ionizzanti. Ciò non toglie che a differenza di quanto avviene con la figura
dell’Esperto Qualificato che opera nella radioprotezione dalle radiazioni ionizzanti dei lavoratori e
della popolazione secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 230/1995, il D.Lgs. 81/2008 non pone nessun
vincolo che escluda a priori il TSRM dallo svolgere le mansioni di Esperto nella valutazione dei
rischi da radiazioni non ionizzanti, sia per quanto riguarda le onde elettromagnetiche che le
radiazioni ottiche coerenti e incoerenti.

117
Conclusioni

Come è stato ampiamente illustrato, il recepimento del D.Lgs. n. 81 del 2008 nelle aziende
sanitarie e nelle aziende ospedaliere, comporta una rivalutazione dei comportamenti degli
operatori sanitari che operano con sorgenti di radiazioni NIR e soprattutto richiede un impegno
multidisciplinare congiunto del Servizio di Prevenzione e Protezione (esplicitamente citato nella
norma) ma anche della Fisica Sanitaria, delle Unità di Risk Management e del Servizio delle
Professioni Sanitarie, che consenta al datore di lavoro di effettuare una valutazione organica dei
rischi. Tale valutazione porterà inevitabilmente ad una revisione, anche profonda,
dell’organizzazione e delle procedure in funzione di una sempre maggiore appropriatezza e qualità
delle prestazioni e quindi di una maggiore sicurezza per l’operatore, il paziente e la popolazione.
A differenza di quanto avviene per le radiazioni ionizzanti, ove sono noti gli effetti sulla salute
umana e per le quali la normativa radioprotezionistica è presente da decenni, nel caso delle NIR
sussistono notevoli complicazioni di varia natura. È problematico il metodo di misura e stima dei
campi elettromagnetici, in quanto si presuppone per astrazione, di avere a che fare con onde
piane, ma in realtà il campo elettrico e l’induzione magnetica spesso non sono vettori
perfettamente perpendicolari, né onde che si propagano in questo modo. Altrettanto complesse
sono le procedure di misura delle grandezze fisiche effettivamente misurabili, come il SAR.
È problematico l’inquadramento della reale pericolosità e cancerogenesità delle NIR, dato che gli
studi epidemiologici metodologicamente rigorosi, coerenti e riproducibili, in sostanza utilizzabili ai
fini della valutazione del rischio, sono solo quelli sui campi magnetici ELF in relazione alle sole
leucemie infantili.
A questi aspetti va aggiunta la percezione del rischio delle sorgenti NIR a livello della popolazione e
degli operatori coinvolti. Gli operatori sanitari che utilizzano da lungo tempo sorgenti NIR,
purtroppo nella maggior parte dei casi non hanno avuto una specifica formazione e non utilizzano
protocolli validati dalle associazioni scientifiche di riferimento, con le conseguenze che possiamo
immaginare, in termini sanitari e sociali.
Considerando la prossima applicazione degli specifici principi di prevenzione e protezione previsti
dal Capo IV e dal Capo V del Titolo VIII del D. Lgs 81/08, rispettivamente il 26 aprile 2010 per le
radiazioni ottiche coerenti e incoerenti e il 30 aprile 2012 per i campi elettromagnetici, si pone il
problema di gestire in maniera coordinata ed efficace l’organizzazione della rete di prevenzione e

118
protezione aziendale, attraverso l’emanazione di apposite linee guida e la formazione degli
operatori coinvolti.
In questo contesto, il TSRM operante in Fisica Sanitaria, può svolgere un ruolo centrale quale
esperto nella valutazione dei rischi connessi all’uso di radiazioni ionizzanti, collaborando con il
Fisico Medico o addirittura, nei casi in cui risulti evidente un percorso formativo e professionale
idoneo, ponendosi direttamente come “consulente” del datore di lavoro. Tale percorso formativo
non può prescindere da corsi teorico-pratici sulla valutazione dei rischi e sulle tecniche di misura,
già previsti dalla normativa, ma parallelamente, in virtù dell’organizzazione multidisciplinare, delle
competenze di risk management e technology assessment richieste, dovrà necessariamente
prevedere il conseguimento della Laurea Specialistica in Scienze delle Professioni Sanitarie
Diagnostiche. Questo duplice percorso formativo consentirebbe al TSRM, da un lato di essere in
possesso di “specifiche conoscenze in materia, secondo le norme di buona prassi e buona tecnica”
come recita il D. Lgs 81/08, e dall’altro di avere acquisito nozioni e strumenti “manageriali”
indispensabili per operare in equipe multidisciplinari complesse come quelle che si creeranno per
la prevenzione e la protezione dei rischi da sorgenti NIR.

119
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