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FRANCESCO PETRARCA (Arezzo 1304 – Arquà di Padova 1374)

Rvf. III
Il testo si riferisce al giorno dell’innamoramento, avvenuto nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, il Venerdì Santo (6
aprile) 1327, durante le funzioni religiose per la Passione di Cristo.
Era il giorno che al sol si scoloraro
per la pietà del suo fattore1 i rai,
quand’io fui preso, e non me ne guardai,
4 ché i bei vostr’ occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra i colpi d’Amor: però2 m’andai
secur, senza sospetto: onde i miei guai 1. fattore: creatore
2. però:perciò
8 nel comune dolor3 s’incominciaro.
3. comune dolor: sofferenza di tutti (i cristiani)
Trovommi Amor del tutto disarmato 4. pur: nemmeno
et aperta la via per gli occhi al core,
11 che di lacrime son fatti uscio e varco.
Però, al mio parer, non li fu onore
ferir me di saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur4 l’arco.

Rvf. LXI
Sonetto che rievoca il giorno dell’innamoramento, rivivendo l’esaltazione di quel momento e di tutto quello di positivo e
negativo che ne seguì.
Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, et l’anno
et la stagione, e ’l tempo, et l’ora, e ’l punto1
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
4 da’ duo begli occhi che legato m’ànno;
et benedetto il primo dolce affanno, 1. punto: istante
ch’i’ ebbi ad esser con Amor congiunto, 2. piaghe:ferite
et l’arco, et le saetteond’io fui punto, 3. voci: parole, versi
8 et le piaghe2 che ’nfin al cor mi vanno. 4. carte: pagine, opere
5. l’acquisto: le (=a Laura) procuro
Benedette le voci3 tante ch’io
chiamando il nome de mia donna ò sparte,
11 e i sospiri, et le lagrime, e ’l desio;
et benedette sian tutte le carte4
ov’io fama l’acquisto5, e ’l pensier mio,
ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’à parte.

Rvf. LXII
Altro sonetto “anniversario” dell’innamoramento, immediatamente successivo al precedente, con un bilancio morale ed
esistenziale dell’esperienza dell’amore per Laura fin qui vissuta.
Padre del ciel, dopo i perduti giorni, 1. vaneggiando: inseguendo obbiettivi inutili (come l’amore per
dopo le notti vaneggiando1 spese, Laura)
con quel fero desio ch'al cor s'accese, 2. atti: i gesti e gli atteggiamenti (di Laura)
4 mirando gli atti2 per mio mal3 sí adorni4, 3. per mio mal: per mia sfortuna
4. adorni: belli
piacciati5 omai col Tuo lume6 ch'io torni 5. piacciati: fa’ in modo
ad altra vita et a piú belle imprese, 6. lume: grazia
sí ch'avendo le reti indarno7 tese, 7. indarno: invano
8 il mio duro adversario8 se ne scorni9. 8. adversario: nemico (il demonio)
Or volge10, Signor mio, l'undecimo anno 9. se ne scorni: rimanga deluso e sconfitto
10. volge: ricorre
ch'i' fui sommesso11 al dispietato giogo 11. sommesso: sottoposto
11 che sopra i piú soggetti è piú feroce. 12. Miserere: abbi pietà
Miserere12 del mio non degno affanno; 13. reduci: riconduci
reduci13 i pensier' vaghi14 a miglior luogo15; 14. vaghi: deviati (dalla retta via)
15. luogo: oggetto, obbiettivo
ramenta lor come oggi fusti in croce.
Rvf XII
La sofferenza amorosa è proiettata all’età della vecchiaia, quando forse il poeta-amante troverà il coraggio per confidarsi
con l’amata e riceverne conforto.
Se la mia vita da l’aspro tormento
si può tanto schermire1, et dagli affanni,
ch’i’ veggia per vertù de gl’ultim’anni2,
1. schermire: proteggere
4 donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento, 2. per vertù de gl’ultim’anni: per effetto della vecchiaia
e i cape’ d’oro fin farsi d’argento, 3. lassar le ghirlande e i verdi panni: abbandonare gli orna-
e lassar le ghirlande e i verdi panni3, menti floreali e le vesti di colori vivaci
e ‘l viso scolorir4, che ne’ miei danni5 4. scolorir: perdere luminosità
5. ne’ miei danni: purtroppo per me
8 a lamentar mi fa pauroso e lento; 6. pur: allora, finalmente
pur6 mi darà tanta baldanza Amore, 7. ‘l tempo: l’età
ch’i vi discovrirò de’ miei martiri 8. be’ disiri: desideri d’amore
11 qua’ sono stati gli anni e i giorni e l’ore; 9. non fia ch’almen non giunga: almeno giungerà
e se ‘l tempo7 è contrario ai be’ desiri8,
non fia ch’almen non giunga9 al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.

Rvf XXXV
In questo sonetto, fra i più noti di Petrarca, il topos cortese dell’amore nascosto viene ripreso in un’ambientazione natura-
le, in modo che gli elementi del paesaggio diventino confidenti e testimoni del colloquio ininterrotto tra Amore e il poeta.
Solo et pensoso i piú deserti campi1
vo mesurando2 a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
4 ove vestigio3 human l'arena stampi. 1. campi: luoghi di campagna
Altro schermo4 non trovo che mi scampi 2. mesurando: percorrendo
dal manifesto accorger de le genti, 3. vestigio: traccia
4. schermo: difesa
perché negli atti d'alegrezza spenti 5. piagge: pianure
8 di fuor si legge com'io dentro avampi: 6. di che tempre: di che tipo
sí ch'io mi credo omai che monti et piagge5 7. pur: tuttavia
et fiumi et selve sappian di che tempre6 8. cercar: trovare
9. ragionando: dialogando
11 sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur7 sí aspre vie né sí selvagge
cercar8 non so ch'Amor non venga sempre
ragionando9 con meco, et io co llui.

Rvf. CCXXVI
Anche qui è ripreso un motivo frequente nella lirica provenzale, quello della lontananza dell’amata (amore de lohn), che
provoca uno stravolgimento totale del mondo del poeta-amante.
Passer mai solitario in alcun tetto
non fu quant’io, né fera in alcun bosco;
ch’io non veggio il bel viso, e non conosco
4 altro sol, né questi occhi hanno altro obietto1.
Lagrimar sempre è il mio sommo diletto,
1. obietto: oggetto
il rider doglia, il cibo assenzio e tosco2,
2. assenzio e tosco: amaro e veleno
la notte affanno, e il ciel seren m’è fosco 3. qual uom: come si
8 e duro campo di battaglia il letto. 4. almo: fertile
Il sonno è veramente, qual uom3 dice, 5. piagge: pianure
parente della morte, e il cor sottragge
11 a quel dolce pensier che in vita il tiene.
Solo al mondo paese almo4 e felice,
verdi rive fiorite, ombrose piagge5,
voi possedete et io piango il mio bene.
Rvf. XC
Altra rievocazione del giorno dell’innamoramento, stavolta in un’ambientazione en plein air. Si noti al v.1 il gioco di parole
tra «l’aura» e il nome dell’amata, come una sorta di senhal provenzale. Altri esempi in Rvf sono “lauro” (alloro, albero
sempreverde sacro ad Apollo e simbolo della gloria poetica) e “l’auro” (l’oro, il metallo più prezioso, emblema di perfezio-
ne). Il finale allude forse a un immaginario presente/futuro in cui l’amata con l’età ha perso il suo fascino (come in Rvf
XII).

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi


che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e l'vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sí scarsi;
4 e 'l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea: 1. esca: materia infiammabile
i' che l'ésca1 amorosa al petto avea, 2. qual meraviglia: cosa c’è da meravigliarsi
qual meraviglia2 se di súbito arsi? 3. sonavan altro: avevano un suono diverso
4. per allentar d’arco: anche se l’arco non è più teso
8 Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro3, che pur voce humana.
11 Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i'vidi: et se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco4 non sana.

Rvf. CCC
Il dolore per la morte di Laura è espresso tecnicamente con un’anafora, ripresa con minime variazioni ad ogni inizio di
strofa, come in Rvf LXI («Benedetto»)
Quanta invidia io ti porto avara terra
ch’abbracci quella cui1 veder m’è tolto2,
e mi contendi l’aria3 del bel volto
4 dove pace trovai d’ogni mia guerra! 1. cui: che (c.ogg.)
Quanta ne porto al ciel, che chiude e serra 2. tolto: impedito
3. contendi l’aria: sottrai la vista
e sì cupidamente4 ha in sé raccolto
4. cupidamente: gelosamente
lo spirto da le belle membra sciolto, 5. altrui: qualcun altro
8 e per altrui5 sì rado si diserra6! 6. diserra: apre
Quanta invidia a quell’anime che ‘n sorte 7. ‘n sorte / hann’or: hanno ora la fortuna di avere
hann’or7 sua santa e dolce compagnia, 8. stassi: ha sede, domina
11 la qual io cercai sempre con tal brama!
Quant’a la dispietata e dura morte,
ch’avendo spento in lei la vita mia,
stassi8 ne’suoi begli occhi e me non chiama!

Rvf. CCCII
Laura appare in sogno al poeta nella gloria dei beati, preannunciando un ricongiungimento nell’altra vita. Il sonetto ri-
chiama quello conclusivo della Vita nova di Dante, con la «mirabile visione» finale.

Levommi il mio penser in parte1 ov'era


quella ch'io cerco, et non ritrovo in terra:
ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra2,
4 la rividi piú bella et meno altera.
Per man mi prese, et disse: - In questa spera
sarai anchor meco, se 'l desir non erra3: 1. parte: luogo
i' so' colei che ti die' tanta guerra, 2. fra lor…serra: i beati del terzo cielo, quello di Venere, dove
si trovavano gli spiriti amanti
8 et compie' mia giornata4 inanzi sera. 3. se…non erra: se il desiderio non mi inganna
Mio ben non cape5 in intelletto humano: 4. compie’ mia giornata: finii la mia vita
te solo aspetto, et quel che tanto amasti 5. mio ben non cape: la mia felicità non può essere concepita
11 e là giuso è rimaso, il mio bel velo6. - 6. velo: il mio corpo (mortale)
Deh perché tacque, et allargò la mano?
Ch'al suon de' detti sí pietosi et casti
poco mancò ch'io non rimasi in cielo.

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