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Testi Non siamo padroni del

Orazio
Dalla riflessione sul tempo nasce l’universo
ideologico di Orazio, che da un lato si salda con la
domani Vedi come il Soratte si eleva
personale formazione epicurea, dall’altro ripropone candido per l’alta neve e come i boschi affaticati non
sostengano piu' il peso e i fiumi si siano fermati per
temi gia' affrontati dai poeti greci, che Orazio
l’acuto gelo. Sciogli il freddo mettendo ampiamente
rielabora per renderli conformi al suo modo di
la legna sopra il fuoco e tira fuori piu' benignamente
sentire. TEMI ORAZIANI: incertezza del futuro,
il vino puro di quattro anni dall’anfora Sabina, oh
scorrere veloce dei giorni, necessita' di trovare in Taliarco. Lascia agli dei le altre cose. Non appena
se stessi un equilibro che non faccia cedere quelli hanno placato i venti che combattono sul mare
l’animo, non lasciarsi trascinare dal troppo fervido, né i cipressi né i vecchi ornelli sono agitati.
successo o dalla malasorte. La vita e la morte, la Evita di chiedere cosa accadra' domani, e metti
serenita' consapevole di sé e del mondo, l’intensita' qualsiasi giorno la fortuna ti dara' nel guadagno, e
del sentire vengono espresse con immagini di forte non disprezzare i dolci amori e i balli, o fanciullo,
carica simbolica ed emotiva. finché la fastidiosa vecchiaia e' lontana dalla

Carpe diem giovinezza. Ora e i campi e i piazzali e i lievi sussurri


sul far della notte si ripetano nell’ora stabilita, ora e
il gradito riso traditore della fanciulla che si
Non domandare, Leuconoe - non e' dato sapere che
destino gli dei hanno assegnato a me e a te, né nasconde dall’intimo angolo e il pegno strappato
consulta gli oroscopi. Com’e' meglio tollerare cio' alle braccia o al dito che mal volentieri si ostina.
che sara', sia che Giove ci abbia dato ancora tanti
inverni sia che questo, che sfianca il mar Tirreno con I primi versi descrivono un paesaggio laziale in cui
rocce di pomice, sia l’ultimo: sii assennata, purifica il monte Soratte svetta bianco di neve in una
il vino e recidi la duratura speranza, ché la vita e' giornata invernale, a cui si contrappone, nei versi
breve. Mentre parliamo, se ne va il tempo geloso: seguenti, l’ambiente caldo e confortevole di un
strappa l’attimo, e non fidarti per nulla del domani. interno da cui si assiste allo spettacolo della natura
sorseggiando del vino. Viene ribadito il tema del
In questo componimento egli invita i lettori a carpe diem incitando ad approfittare delle
godere appieno, senza eccedere, dei momenti felici occasioni che offre la vita per poter godere dei
che offre la vita, evitando di pensare troppo al momenti migliori ed in particolare esortando a
futuro, che causa solo inutili preoccupazioni. L’ode cogliere i piaceri che la giovinezza a l’amore
e' dedicata e rivolta a una donna, di nome riservano mentre e' ancora lontana la vecchiaia.
Leuconoe. Il titolo contiene, tramite un imperativo, Prevale nell’ode la rassegnata osservazione della
un’esortazione a catturare tutto cio' che di fugacita' del tempo, di fronte alla quale perde
piacevole ci offre il presente (non permette di significato l’affannarsi degli uomini, Orazio invita
annullare il tempo, ma solo la momentanea l’interlocutore a non preoccuparsi affatto del
dimenticanza). Troviamo anche un vocativo al futuro, ma a vivere giorno per giorno
secondo verso che ci introduce chi e' il destinatario (epicureismo). L’ode e' uno dei componimenti
dell’opera. La etimologia del nome della donna oraziani in cui l’ispirazione di Alceo e' piu'
suggerisce i concetti di giocosita' e di ingenuita' di evidente: Orazio non si limita a tradurre il modello
uno spirito non agitato da tormenti esistenziali. greco, ma lo elabora in maniera originale. Da un
L’autore la esorta in modo amichevole a non lato Orazio introduce elementi descrittivi
consultare inutili oracoli che dovrebbero rivelarle il indispensabili per un pubblico di lettori che non
futuro: l’unica entita' che lo ha in mano e' Giove, assistevano alla scena rappresentata; dall’altro egli
circondato dagli altri dei, e spetta a lui deciderne il “romanizza” alcuni di questi elementi per renderli
corso. E’ solo lui che conosce quanto durera' la piu' familiari a chi legge. Il carme puo' essere
nostra vita, se molti “inverni”, o se e' gia' giunta al quindi letto come un progressivo allontanamento
termine. Con il penultimo imperativo che il poeta dall’iniziale spunto alcaico sui cui si innesta la
usa, “pensaci”, invita Leuconoe a lasciare da parte riflessione gnomica epicurea e, nell’ultima strofa,
ogni speranza a lungo termine, in fondo la vita e' un vivace realismo dal gusto alessandrino.
breve e sarebbe uno spreco non goderne ogni piu'
piccolo, irripetibile istante. (atteggiamento
epicureo apparentemente sereno di fronte al tempo
Gli anni scivolano
mortifero, un vissuto ricco di sottile e struggente
malinconia). via veloci Ahime', fuggevoli,
Postumo, Postumo, scorrono gli anni, né la religiosita'
arrechera' ritardo alle rughe e alla vecchiaia che incalza e alla l’erba spunta di nuovo nei campi, i fiumi tornano a scorrere
morte inevitabile, neppure se, tutti i giorni che passano, con nei loro argini, le Grazie e le ninfe danzano felici. Tuttavia
trecento tori tu cercassi di placare, o amico, lo spietato Plutone il ritorno della primavera richiama il mutare delle stagioni
che trattiene il tricipite Gerione e Titio con la triste onda che che a sua volta e' associato dal poeta alla fugacita'
certamente tutti noi che ci nutriamo del dono della terra
dell’esistenza umana: a differenza dei tempi dell’anno, la
dovremo attraversare, sia se saremo re sia se poveri coloni.
Invano staremo lontani dal sanguinoso Marte, e dalle ondate
vita degli uomini non si ripete ed essi, una volta morti,
infrante del fragoroso Adriatico; invano durante l'autunno ci sono per sempre “pulvis et umbra”. Non si puo' conoscere
riguarderemo dall'Ostro dannoso alla salute. Dovremo visitare il momento del proprio trapasso, che e' condizione
lo scuro Cocito errante con la sua languida corrente e la stirpe irreversibile, come dimostrano i due miti citati alla fine; di
famigerata di Danao e Sisifo Eolide condannato alla lunga qui l’accenno a godere degli attimi di gioia concessi prima
fatica. Dovremo lasciare la terra, e la casa, e la cara moglie, né che questi svaniscano (con toni simili al Carpe diem).
alcuno di questi alberi che coltivi, eccetto gli odiosi cipressi, Il componimento riprende volutamente lo stesso tema
seguira' te, padrone di breve durata. Un erede piu' degno affrontato in 1, 4, ma in questo caso il tono complessivo e'
tracannera' le anfore di Cecubo conservate con cento chiavi, e decisamente piu' cupo: in Solvitur acris hiems, infatti, lo
con vino puro migliore (di quello) delle cene solenni dei spazio dedicato alla descrizione della primavera e'
pontefici tingera' il pavimento.
maggiore e riequilibra la meditazione sul tempo e sulla
morte. In Diffugere nives, invece, essa e' la vera
Orazio rivolge all’amico Po'stumo un cupo monito: gli protagonista. Sembra, quindi, che il poeta, in una fase piu'
anni fuggono inesorabili, mentre si avvicinano la vecchiaia matura della sua vita, dichiari di non essere riuscito a
e la morte. La morte, soprattutto, non puo' essere evitata in raggiungere quella razionale serenita' che Epicuro aveva
nessun modo: e' inutile cercare di ingraziarsi gli de'i con promesso.
cospicui sacrifici, e anche evitare i pericoli delle guerre e
delle malattie; tutti gli uomini, ricchi o poveri che siano,
sono destinati a incontrare, prima o poi, le squallide
Exegi monumentum aere
presenze che popolano l’Oltretomba. La fuga del tempo, un
tema centrale nella poesia oraziana, e' in genere associato perennius
all’invito a godere la vita. Nella parte finale, il poeta Ho innalzato un monumento piu' duraturo del bronzo
ammonisce Postumo: gli comunica infatti che la sua morte e piu' elevato della mole regale delle piramidi, che non la
e' certa e sicura e che dunque un giorno egli dovra' pioggia corrosiva, non l'Aquilone impetuoso
abbandonare i beni materiali di cui si sente padrone. Forse, potrebbe distruggere o l'innumerevole serie degli anni e la fuga
in punto di morte, Postumo scoprira' con rammarico di dei tempi. Non tutto moriro' e molta parte di me evitera'
Libitina: continuamente io crescero' mantenuto in vita dalla lode
aver vissuto non tanto per se stesso quanto piuttosto per un
dei posteri, finché il Pontefice salira' il Campidoglio con la
erede che usufruira' dei frutti del suo lavoro; e a tal vergine silenziosa. Si dira' che io, dove vorticoso rumoreggia
proposito, l'immagine del pavimento sul quale scorre il l'Ofanto e dove, povero d'acqua, Dauno regno' su popoli agresti,
"prezioso Cecubo" rovesciato dai commensali e' molto da umile potente, per primo ho condotto la poesia eolica ai modi
significativa: Postumo teneva il Cecubo "sotto cento italici. Mantieni l'orgoglio conquistato con i meriti e a me con
chiavi"; e cio' significa che lo conservava gelosamente, l'alloro delfico cingi benevola, o Melpomene, la chioma.
senza goderne appieno.
Quest’ode chiude il terzo libro dei Carmina, pubblicato nel
Siamo polvere e 23 a.C. Nella prima parte Orazio si volge al passato per
considerare l’itinerario poetico da lui percorso e
ombra
La neve e' scomparsa, ritorna l’erba sui prati, le foglie sugli
alberi; si rinnova la terra e i fiumi scorrono decrescendo in
mezzo alle rive; si affaccia la Grazia a guidare nuda le danze
paragonando la sua opera ad un grande monumento, piu'
duraturo del bronzo e piu' grandioso delle piramidi tale che
con le sorelle e le ninfe. Non sperare nell’immortalita': te lo dice
con orgoglio egli puo' ben dire che non morira' mai del
l’anno, e l’ora che porta via il giorno fecondo. Lo Zefiro mitiga tutto, ma i suoi versi lo renderanno immortale. Nella
il freddo, l’estate travolge la primavera e morra' a sua volta, seconda parte il poeta volge lo sguardo al futuro sempre
quando l’autunno produce i frutti e le messi, poi presto ritorna per sottolineare la sopravvivenza della sua opera e legarla
l’inverno inerte. Pero' la luna ripara alla svelta i danni del all’immortale impero romano. In questi versi in particolare
cielo; noi invece, quando siamo caduti dove sono il padre Enea, Orazio insiste sui luoghi dell’Apulia che lo hanno visto
Anco e Tullo, noi siamo polvere e ombra. E chi sa mai se gli dei crescere e sul fatto che egli e' stato l’iniziatore di un nuovo
vorranno aggiungere un domani alla somma degli oggi? Ma corso poetico riprendendo la lirica eolica di Saffo e Alceo e
sfuggira' alle mani avide del tuo erede cio' che darai a te stesso trasferendo metri e tematiche nella lingua e nello spirito
con animo amico. Quando sarai morto, Torquato, e su te romano. Proprio in questo sta la sua grandezza nonché la
Minosse pronuncera' una chiara sentenza, non varranno a
sua novitas. L’epilogo del carme e' costituito da
riportarti in vita la fede, la nobilta', l’eloquenza. Non libera mai
Diana il puro Ippolito dalle tenebre infernali, né Teseo riesce un’apostrofe a Melpomene, la musa il cui nome significa
per il suo Piritoo a spezzare le catene del Lete. letteralmente “la cantante”. In questi ultimi due versi
Orazio si veste di modestia ed attribuisce il vanto del suo
L’ode e' uno dei componimenti oraziani piu' noti tra quelli primato poetico alla musa, chiedendole che sia proprio lei a
che trattano il tema epicureo della caducita' della vita. cingere il suo capo con l’alloro così caro ad Apollo.
Dedicato al Torquato, inizialmente il carme e'
contraddistinto da grande letizia, poiché la primavera Attraverso la lente
riporta la vita sulla terra: gli alberi si ricoprono di foglie,
epicurea La favola del topo di
L’adesione all’epicureismo ebbe un ruolo fondamentale
nella sua vita, perché gli permise di entrare in contatto con campagna e del topo di citta'
Mecenate, e nella poetica perché diede un indirizzo Si racconta che una volta un topo di campagna accolse un topo
definitivo alla formazione culturale di Orazio. Gli di citta' nel suo povero buco, un ospite di vecchia data col suo
vecchio amico, grossolano e attaccato alle sue cose, comunque
insegnamenti paterni e la sorgiva cultura contadina che lo
tale da aprire il suo cuore taccagno ai doveri ospitali. Perché
spingeva a vivere secondo natura, si saldano con i principi farla lunga? Né gli fece risparmio di ceci tenuti da parte ne' di
dell’epicureismo e danno al poeta un orizzonte piu' ampio sottile avena, e portando con la bocca un acino secco, gli offrì
e sicuro al suo muoversi nell’universo della poesia. dei pezzetti rosicchiati di lardo,invano, desiderando, con la

Gli insegnamenti paterni varieta' della cena, vincere le ripugnanze dell’amico che toccava
appena ogni cosa con dente schizzinoso, mangiava il farro e il
Se mi sfuggira' una battuta troppo franca, o magari troppo loglio, lasciando il meglio del banchetto. Alla fine il topo di
scherzosa, con un po’ d’indulgenza questo diritto me citta' gli disse: perché ti piace, amico, vivere in preda delle
l’accorderai: me l’ha inculcato quel brav’uomo di mio padre a ristrettezze sul dorso di un dirupo selvoso? Vuoi preferire gli
fuggire i difetti, facendomeli notare uno per uno con esempi. uomini e la citta' a queste selve incolte? Mettiti in cammino,
Quando mi esortava a vivere parcamente, con frugalita' e dammi retta, compagno, giacche' le creature terrestri vivono
contento di cio' che lui stesso m’aveva procurato: ‘Non vedi che un’esistenza mortale e non c’e' nessuna via d’uscita o
vita grama conduce il figlio di Albio e come Baio e' in miseria? scappatoia dal destino, per il grande come per il piccolo.
La lezione migliore per chi sia portato a dilapidare le sostanze Percio', caro, finche' e' possibile, vivi beato in mezzo ai piaceri,
paterne’. Voleva dissuadermi dall’amore infamante per una vivi memore di quanto tu sia di vita breve”. Queste parole
sgualdrina? ‘Cerca di non fare come Scetano.’ perché non scossero il topo di campagna , infatti balzo' leggero fuori dalla
corressi dietro alle sposate, quando potevo fruire d’amori liberi: sua casa; poi entrambi percorrono il cammino prefissato,
‘Colto in flagrante’, mi diceva, ‘non s’e' fatta certo Trebonio vogliosi di insinuarsi di notte nelle mura della citta'. E gia' la
una gran fama. Un filosofo ti spieghera' la ragione perché notte occupava il mezzo cielo, quando entrambi fermano i passi
questo va evitato e quello cercato: a me basta di poter in un ricco palazzo, dove, dipinta di rossa porpora, una tovaglia
conservare i costumi tramandati dagli avi e, finché hai bisogno brillava sopra i divani d’avorio e dove erano rimasti molti
di guida, di mantenere intatta la tua vita e la tua fama; quando avanzi da un grande banchetto che giacevano da parte in
gli anni ti avranno irrobustito nel fisico e nell’animo, ti terrai a canestri ammonticchiati. Dunque, quando il topo di citta'
galla da solo’. Con queste parole plasmava la mia giovinezza e sistemo' disteso sulla tovaglia purpurea il topo di campagna,
se desiderava che facessi una data cosa: ‘Eccoti il modello per egli, con un vestito succinto, trotterella come fosse di casa e
farlo’, e mi citava uno dei probiviri; se poi me la vietava: porta in continuazione vivande e , come fanno i servi, adempie
‘Dubiti ancora che sia azione dannosa e disonesta, quando ai loro stessi doveri, pregustando ogni piatto che porta. Quello,
questo e quello avvampano di cattiva fama?’. Se il funerale di un standosene sdraiato, si rallegra della sorte mutata, e per quelle
vicino sgomenta gli ammalati intemperanti e per paura della squisitezze, un gran sbattere di porte li fa saltare giu' entrambi
morte li induce a riguardarsi, cosí la vergogna altrui distoglie dal divano. Impauriti, correvano per tutta la sala da pranzo e
dal male le menti ancora da plasmare. Grazie a questo, esente tremavano sempre piu' tramortiti, non l’alto palazzo rimbombo'
da tutti quei difetti che portano a rovina, sono affetto solo da di cani molossi. Allora il topo di campagna disse: Questa vita
quelli piú comuni e che si possono scusare. Forse anche da non fa per me. Stammi bene: preferisco la selva, una tana al
questi potranno almeno in parte liberarmi gli anni a venire, un riparo da molti pericoli e mi consoleranno delle povere vecce.
amico sincero o il mio discernimento: neanche a letto o sotto i
portici infatti vengo meno a me stesso. ‘Questo e' piú giusto, Nella prima parte della satira II, 6 Orazio, nel ringraziare
facendo cosí vivrei meglio e cosí riusciro' caro agli amici. Mecenate per la villa che gli ha donato in Sabina, esalta la
L’azione di quel tale non e' bella: potrebbe capitarmi un giorno vita semplice della campagna. Nel locus amoenus in cui
di fare come lui senza riflettere?’ Questi i discorsi che faccio tra la casa e' collocata, egli puo' trovare la serenita', lontano
me a bocca chiusa; se poi ho un po’ di tempo libero li butto per dalle beghe e dai fastidi della vita di citta'. Lì, a causa della
diletto sulla carta. sua amicizia con Mecenate, tutti gli si raccomandano
sperando di ottenere chissa' quali favori. Il poeta esalta, per
e' una satira ricordata come una dichiarazione poetica, in
contrasto, le gioie della vita campestre: la lettura, il dolce
cui Orazio parla dei suoi modelli letterari, tra cui Lucilio,
far niente, le cene con gli amici allietate dal vino buono e,
chiarisce i suoi canoni stilistici e giustifica la propria scelta
dopo cena, le conversazioni su temi seri e coinvolgenti: la
di scrivere satire. In questo pezzo Orazio ricorda con
felicita', l’amicizia, la natura del bene. Proprio durante una
commozione il padre, espone i fondamenti dell’educazione
di queste conversazioni, il vicino
che questi gli aveva impartito da ragazzo. Il padre seguiva i
Cervio narra la favola del topo di campagna e del topo di
principi del mos maiorum dei quali lo stesso Orazio ne
citta'. L’usanza di inserire favole nelle trattazioni letterarie
riconosce la validita' e la trasmissione di valori morali
e' patrimonio della cultura greca arcaica: ne troviamo
avveniva tramite esempi concreti da evitare. Anche la
esempi in Esiodo e Archiloco, ma e' solo con Esopo che la
poesia satirica del poeta prosegue in questa direzione, tesa
favola, patrimonio della cultura orale, diviene genere
a riaffermare la moralita' all’interno della ristretta cerchia
letterario. Nel mondo latino prima di Fedro sara' la satira
di amici. L’osservazione del comportamento altrui sta alla
ad accogliere in sé l’apologo. Su Orazio agisce poi anche
base della sua attivita' poetica perché innesca un processo
l’influenza della diatriba cinico-stoica, che si serviva di
di riflessione che induce Orazio a un atteggiamento ispirato
apologhi per affermare teorie filosofiche. Orazio si serve
al principio filosofico della metretes e spinge a dar vita a
dunque di un apologo, che ha per protagonisti gli animali e
una norma morale che si ricava dalla realta'.
contiene una morale, per illustrare il suo ideale di vita ed
esporre i temi che sono alla base della sua poetica: l’ideale facendo dipendere la propria serenita' interiora da se stesso
dell’angulus, del lathe biosas, l’autarkeia, la fugacita' della e non dal luogo dove il fato l’ha posto. e', dunque,
vita e l’invito a godere di ogni istante come se fosse nell’ottica del poeta, inutile sperare nel futuro, ma accettare
l’ultimo. Portavoce di questi principi sono due topi, che il presente, godendone le piu' piccole gioe. Nella prima
hanno una forte carica di umanita' nel modo di parte Orazio cita diverse citta' orientali, paragonandole a
comportarsi, ma nello stesso tempo mantengono inalterate Roma e domanda a Bullazio quali trova piu' attraenti; il
certe caratteristiche della loro animalita': ora parlano e poeta preferirebbe vivere in un luogo deserto. A questi
ragionano l’uno come un campagnolo sabino un po’ rozzo, luoghi favolosi ed esotici si contrappone Lebedo, la citta'
ma pieno di buon senso e l’altro come un uomo di citta' fantasma che nel III secolo a.C. rimase completamente
elegante e raffinato; ora invece si evidenziano i tratti spopolata: il poeta si identifica in un interlocutore che
peculiari della loro natura. E sono personaggi non privi di dichiara che vorrebbe vivere qui, coperto dalla
spessore psicologico, che Orazio sa delineare con acutezza: dimenticanza, ma lontano dal pericolo della “tempesta”.
ruvido e taccagno, eppure disposto ad offrire il meglio al D’altra parte, Orazio si rende conto che questo desiderio di
suo ospite e perfettamente a suo agio sul giaciglio di solitudine così estremo non puo' essere la soluzione di tutta
modesta paglia (magnitudo parvi) il topo campagnolo, un’esistenza. Per spiegarlo, il poeta fa l’esempio di tre
schifiltoso e sprezzante il topo cittadino, conoscitore del sfortunati viaggiatori: il primo di essi finisce in un forte
mondo e della filosofia epicurea, che cita in maniera acquazzone e percio' si rifugia in un’osteria, ma non vi
salottiera e spicciola per concludere con il rozzo ed restera' per l’eternita'; il secondo prende freddo, ma per
esplicito invito a vivere in rebus iucundis, ma nello stesso questo motivo vorra' rimanere per sempre nelle terme;
tempo pronto a farsi schiavo per persuadere del tutto l’ultimo, probabilmente un mercante, scampa ad un
l’amico della magnificenza dello stile di vita che propone. naufragio (torna, così, l’immagine della tempesta, ma poi
non vende la propria merce. Nella seconda sequenza lo
I viaggi non possono scrittore spiega la sua teoria della felicita': secondo lui,
essa sta nell’equilibrio dell’animo. Infatti, e' importante
guarire l’animo godere di ogni minuto, in modo tale che si possa dire di
aver vissuto volentieri in qualunque luogo. Succede, pero',
Cosa ti e' sembrata Chio, o Bullazio, e la famosa Lesbo, cosa
l'elegante Samo, cosa Sardi, reggia di Creso, cosa Smirne e che una strenua inertia affligga l’uomo e lo spinga a
Colofone: migliori o peggiori rispetto alla fama? Proprio tutte inseguire la gioia nei viaggi, non nella pace interiore. Il
sono miserabili rispetto al Campo Marzio e al fiume Tevere? O poeta, stanco di tutto e perfino di se stesso, immagina di
ti viene desiderio di una delle citta' attaliche, o apprezzi Lebedo ritirarsi così in un luogo disabitato: la zona in cui vorrebbe
per odio del mare e delle strade? "Sai cos'e' Lebedo; un essere e' Umbris. L’estrema illusione della solitudine e'
villaggio piu' solitario di Gabii e di Fidene; tuttavia lì vorrei superata dal motivo della saggezza, che avverte che nessun
vivere, e dimentico dei miei e dimenticato da loro guardare da luogo ci da' la quiete, che solo la pace interiore sa
terra Nettuno che infuria lontano." Ma né chi va da Capua a
Roma ricoperto di pioggia e di fango vorra' vivere in una assicurare.
bettola; né chi ha preso freddo esalta le saune e i bagni come se
garantissero una vita del tutto fortunata. Né se l'Austro Il tema dell’angulus
impetuoso ti ha sballottato in alto mare per questo venderesti la Settimio, pronto a venire a Cadice, con me, e fra i Cantabri del
nave oltre il mare Egeo. A chi e' sano e salvo Rodi e la bella nostro giogo ancora insofferenti, nelle barbare Sirti dove l'onda
Mitilene fanno quello che (fa) un mantello al solstizio d'estate e mauritana sempre ribolle, come vorrei che Tivoli, fondata sul
un perizoma all'aria nevosa, durante l'inverno il Tevere, nel colono argivo, fosse la sede della mia vecchiaia, fosse il punto di
mese di Agosto un caminetto acceso. Finché e' possibile e la arrivo per me stanco di viaggi sulla terra e sul mare, stanco di
Fortuna mantiene il volto benigno, a Roma si lodi Samo e Chio e imprese militari. E se da qui le Parche avverse mi tengono
Rodi da lontano. Tu qualunque momento la divinita' ti abbia lontano, cerchero' la corrente del Galeso, gradita alle greggi
concesso accettalo con mano grata e non rinviare le gioie di protette dalle pelli, cerchero' la mia terra su cui regno' Falanto
anno in anno, affinché in qualsiasi luogo tu ti sia trovato tu dica di Laconia. Quell'angolo di mondo piu' di ogni altro mi sorride,
di esser vissuto volentieri; infatti se ragione e saggezza tolgono la' dove il miele non e' inferiore a quello dell'Imetto e rivaleggia
le ansie, non (le toglie) un luogo che domina il mare che si l'oliva con le olive della verde Venafro, la' dove Giove offre una
estende ampiamente; clima, non stato d'animo cambiano quelli lunga primavera e inverni miti, dove il poggio di Aulon, amico a
che corrono oltre il mare. Ci tormenta una faticosa inattivita': Bacco rigoglioso, non invidia l'uva che produce Falerno. Quel
con navi e quadrighe cerchiamo di vivere bene. Quello che luogo, quella cinta felice di colline, ci vogliono la' insieme, l'uno
cerchi e' qui, e' a Ulubre, se non ti manca una mente serena. e l'altro; e sarai tu, come e' dovuto, a bagnare di pianto le ceneri
del poeta amico.
Il tema principale e' la condizione di disagio esistenziale All’amico Settimio, che gli e' tanto legato da dirsi pronto a
nella quale vive una gran parte dell’aristocrazia romana, seguirlo in capo al mondo, Orazio confessa di non essere
della quale e' rappresentante il destinatario, Bullazio, un amante di viaggi né di avventure: piuttosto sarebbe
uomo che si e' arricchito recentemente e che e' tornato da contento di ritirarsi a passare la vecchiaia nella tranquillita'
un lungo viaggio in Oriente, proprio da pochi giorni. Come di Tivoli o nella campagna di Taranto (allusivamente
lui, anche altri nobili appaiono agli occhi del poeta come indicata con il nome del torrente Galeso e del mitico
vittime di una terribile corsa ai piaceri della vita, alla fondatore Falanto). La' il miele e' piu' dolce di quello greco
ricerca di un rimedio alla depressione. Orazio, invece, dell’Imetto, l’olio compete con quello di Venafro e il vino
esorta l’uomo a maturare una saggezza costruita a contatto non ha nulla da invidiare al Falerno della Campania. La' si
con la realta', riuscendo a staccarsi dalle cose del mondo e augura che Settimio lo segua, e possa versare le sue
lacrime sulle ceneri ancora calde dell’amico poeta. sorbendo il potente farmaco del filosofo di Samo. Il tempo,
Nonostante il tono dimesso, l’ode offre un’importante la vecchiaia, il vino, il canto e la sorte sono temi ricorrenti
riflessione sulla felicita' e sulla morte, toccando due temi nel sentire filosofico e poetico di Orazio, oltretutto presenti
importanti: il primo e' la ricerca dell’ “angulus”, inteso a larga vena nel suo universo psichico profondo sotto
come rifugio nella quiete serena e riposta della campagna, forma di energici fantasmi e di mitiche simbologie. Orazio
in un luogo piu' spirituale che materiale, in cui il «vivi proietta le sue umane angosce nel paesaggio invernale
nascosto» di matrice epicurea acquista una dimensione dominato da una terribile, quanto naturale, tempesta.
fantastica e poetica. L’altro e' l’amicizia, che e' pure un L’inquietudine dei tempi successivi alla disfatta di Filippi,
tema di chiara estrazione epicurea, ma soprattutto e' un le drammatiche vicende politiche romane, la caduta degli
sentimento che, vissuto con intensita', accompagna Orazio ideali libertari e repubblicani destano un impetuoso
fino alla morte e riesce perfino ad addolcirgli l’idea della ribollimento del suo animo e il furore giovanile si realizza
morte stessa. Ed e' proprio dalla concorrenza di questi due nell’asprezza veloce del giambo. Pur tuttavia negli “Epodi”
temi che in Orazio prende corpo l’idea della felicita' nella il furore civile appare retorico e di poco spessore, così
quiete. Si tratta di una felicita' mesta ma serena, ormai come l’avversione verso personaggi a lui ben noti per i vizi
lontana dal “carpe diem”, alla ricerca di un riposo e le vilta', mentre sono sentiti e consistenti i temi
appartato: promessa di pace e quasi un preludio alla quiete dell’amicizia sincera, della trepidazione nei confronti delle
di una morte attesa serenamente, confortata dalla presenza persone care, della vita agreste, del pensiero della morte e
dell’amico. Taranto viene individuata come l’approdo della conseguente strategia esistenziale di cogliere l’attimo
definitivo del poeta, l’«angolo di mondo» da lui ricercato della gioia fugace, dell’oblio e del conforto che il vino
per porre fine alle sue peregrinazioni; nella descrizione offre nel variare lo stato di coscienza e nel risolvere
della terra di Taranto Orazio applica alcuni dei tradizionali l’angoscia profonda del momento. Orazio avra' anche
elementi del locus amoenus. Rientrano in questo canone la atteso durante la stagione invernale attorno al fuoco e
presenza di ameni corsi d’acqua, i prodotti naturali che insieme ai suoi commilitoni la fine della burrasca politica
rivaleggiano con quelli delle terre piu' famose (il miele con in Roma, ma nell’epodo considerato e' pressante la
quello dell’Imetto, le olive con quelle di Venafro, l’uva richiesta all’amico di mettere in tavola buon vino vecchio
con quella del Falerno, tutti prodotti spesso citati dai poeti per allontanare i tristi pensieri, il motivo della fugacita' del
e dagli scrittori antichi come paradigmi di eccellenza), il tempo e della necessita' di godere le poche gioie di una vita
clima favorevole, la protezione concessa dalla divinita' breve e incerta, richiesta e motivi che richiamano il saggio
(Giove e Bacco; l’espressione Aulon amicus Baccho quasi insegnamento del centauro Chirone, il precettore del pie'
personifica il rapporto di ‘amicizia’ fra il dio e la terra di veloce Achille, di obliare nel vino e nel canto ogni affanno
Taranto). prima di soggiacere alla dura legge del Fato, la tragica
sentenza ratificata dalle Moire, Cloto, Atropo e Lachesi, le
Vino e poesia contro la divinita' femminili della morte. Si rileva in questi versi
anche il tema della sorte, del destino o del caso che
tempesta governa la vita di ogni uomo ancora prima dalla nascita.
Minacciose all'orizzonte si addensano le nuvole e una bufera di
neve ci travolge; dal nord il vento urla tra gli alberi e sul mare. Un componimento augurale
Prendiamoci, amici miei, cio' che da' la vita e se reggono le
forze con decoro, sgombriamo la fronte rannuvolata dall'eta'. E per Virgilio
tu versati un po' di vino dell'anno in cui nacqui; non dire altro: La struttura dell’ode e' bipartita. Nella prima parte assume la
forse, mutando la sorte, un dio volgera' tutto al meglio. Qui non forma di un propempticon, ossia di un carme di augurio di
rimane che profumarci di essenze orientali e con la musica buon viaggio. Ma la funzione tradizionale del propempticon e'
allontanare dal cuore l'inquietudine del domani. Sono parole di stravolta, in quanto Orazio cerca soprattutto di trattenere
Chirone, il suo congedo per Achille: "Ragazzo invincibile, nato Galatea, sconsigliandole il viaggio pieno di pericoli. Nella
mortale da una dea, la terra di Assa'raco, solcata dalle acque seconda parte viene introdotto, in funzione di ammonimento,
rapide e gelide del Simoenta e del torrente Xanto, ti attende. Ma il mito di Europa. La temerarieta' di Galatea e' pari a quella di
con trama infallibile le Parche t'impediranno il ritorno e Europa, che, una volta in groppa al toro, si abbandono' a un
neppure tua madre, azzurra di mare, potra' ricondurti in patria. lungo lamento. Alla fine le si accosto' Venere a spiegarle
Laggiú ogni dolore dovrai consolare col vino, col canto, teneri
come il toro in realta' fosse Giove, ed essa col suo viaggio
conforti all'angoscia che ci sfigura
avrebbe dato il nome a un continente. L’uso di introdurre
cospicue parti mitologiche per illustrare il tema della lirica
Si pensa che Orazio abbia scritto questo epodo nell’anno
viene da Bacchilide, ma la presenza di lunghi monologhi e',
42 a.C. sul modello del greco Archiloco e sul campo di
piuttosto, carattere della poesia ellenistica: tuttavia qui non
battaglia di Filippi, magari nell’intervallo tra la disfatta
si coglie eco alcuna del poeta ellenistico Mosco, che aveva
militare e la morte di Cassio o addirittura dopo la rotta
definitiva dell’esercito di Bruto. Il componimento e' raccontato la storia di Europa in un epillio.
particolarmente originale e anomalo, dal momento che nel
suo sviluppo e' privo della violenza giambica, una poesia
Auguri di un viaggio orribile
pacata dal tema epicureo, a lui tanto caro, dell’inesorabile e' questa l'unica invettiva degli Epodi che presenti un
trascorrere del tempo e dell’altrettanto inesorabile evento attacco ad personam. Bersaglio della rabies di Orazio e'
della morte. Orazio tenta di sublimare quella tremenda Mevio, un poeta di cui poco conosciamo: malevolo
angoscia di morte che esiste soltanto durante la vita, detrattore della poesia di Virgilio, che lo nomina
proprio quando la morte non c’e' e sempre seguendo e sprezzantemente nelle Bucoliche, appare qui mentre si
accinge a salpare per la Grecia. Orazio, malignamente, gli questi versi la figura del seccatore sembra farsi indietro,
aizza contro l'intera rosa dei venti, suscita un'immaginaria quasi scomparire, per lasciare il posto al gioco di
tempesta omerica e gli augura una terribile morte per simulazioni e allusioni che si instaura tra Fusco e Orazio
naufragio. Lo spunto era gia' tutto in Archiloco, ma Orazio
ma che, comunque, non fa uscire quest'ultimo dal suo
lo rinnova facendo ricorso, parodisticamente, a un modulo
caro alla poesia alessandrina, il propemptikón (= carme "martirio". Sara', infatti, solo il dio Apollo a mettere fine
rivolto a un amico che parte, per augurargli buon viaggio), alle torture" subite dal poeta. La satira e' articolata secondo
che viene ribaltato sostituendo fosche e violente lo schema tipico della commedia: si possono, infatti,
maledizioni ai tradizionali benevoli auguri. I toni enfatici e individuare al suo interno un prologo, una parte centrale
caricati rivelano la natura di esercizio letterario del carme, articolata in quattro scene e un epilogo. Nei versi 35-60 e'
che non nasce da uno sdegno autentico, personalmente presente un'alternanza tra elementi raffinati ed elementi
sentito (come in Archiloco) ma da un topos poetico
popolari, volta a creare una forte contrapposizione tra il
rielaborato con intenti ludici per una schiera ristretta di
amici (come gia' nella poesia neoterica e catulliana). Anche carattere basso e meschino del seccatore e la cortesia, la
la distribuzione ordinata e calcolata delle parti rivela una sincerita' e la modestia tipiche di Orazio e dei frequentatori
preoccupazione formale piu' che uno sfogo passionale: fra del circolo di Mecenate. Il linguaggio diviene poi il
l'esordio e la chiusa, Orazio scandisce tre tempi di uguale "campo di battaglia" della lotta tra Orazio e Fusco, e si
lunghezza dedicati alla violenza dei venti, alla descrizione riempie, percio', di espressioni scurrili e di imprecazioni;
della tempesta e del terrore di Mevio dinnanzi all'orrendo l'epilogo e', invece, dominato da una sintassi rotta, quasi
naufragio.
singhiozzante. Infine e' interessante notare come all'interno
L’incontro con uno del componimento Orazio riesca a integrare i dialoghi e le
sequenze narrative, creando un perfetto equilibrio e dando
scocciatore ancora una volta prova di un'abilita' poetica comune a
La nona satira del primo libro dei Sermones di Orazio, pochi.
composta tra il 37 e il 33 a.C., presenta una situazione
comica in cui il poeta viene a trovarsi: mentre, infatti, egli
sta facendo una passeggiata immerso nei suoi pensieri,
all'improvviso viene infastidito da un uomo, un vero e
proprio seccatore, deciso a non lasciarlo piu'. Orazio, con
la sua abilita' di descrivere la psicologia umana, traccia un
ritratto molto dettagliato di questo scocciatore: e' una
persona sfacciata, tenace, pronta tutto pur di raggiungere il
suo scopo, che e' quello di garantirsi un buon "aggancio"
per entrare a far parte del circolo di Mecenate e far
aumentare, così, la sua considerazione sociale. Contro
questo seccatore senza scrupoli, che lo ha colto totalmente
alla sprovvista, Orazio non puo' che usare una sola arma
per difendersi: l'ironia, che nasce all'inizio sotto forma di
semplici allusioni (l'uso, ad esempio, di formule di
congedo, come il "Num quid vis?" del verso 6) e diviene
poi, a partire dal verso 8, un palese mezzo attraverso il
quale il povero poeta cerca di allontanare il suo
"persecutore". Ma l'ironia, benché sempre piu' forte ed
evidente, non puo' nulla contro l'ostinazione del seccatore,
ed e' per questo che Orazio, consapevole, decide di
chiudersi in una vera e propria autoironia: e' così che
ascolta lo scocciatore che dichiara la sua "condanna"
("Usque tenebo;/persequar hinc quo nunc iter est tibi", "Ti
terro' ben stretto; ti seguiro' ovunque andrai", versi 15-16),
ma a denti stretti sussurra frasi a sé stesso e al suo servitore
Bolano. Un momento particolarmente comico del
componimento e' compreso tra i versi 60-74, che vedono
l'entrata in scena di un nuovo personaggio, Aristio Fusco,
amico di Orazio. Questi, pur comprendendo bene la
situazione in cui si trova il poeta, finge di non capire e si
diverte a lasciare l'amico in balia del suo persecutore. In

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