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PEL GIORNO ONOMASTICO

DELLA MIA DONNA TERESA PIKLER


Vincenzo Monti

Donna, dell’alma mia parte piú cara1,


Perché muta in pensoso atto mi guati,
E di segrete stille
Rugiadose si fan le tue pupille?
Di quel silenzio, di quel pianto intendo, 5
O mia diletta, la cagion. L’eccesso
De’ miei mali2 ti toglie
La favella, e discioglie
In lagrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace, e il core 10
Ad un pensier solleva
Di me piú degno e della forte insieme
Anima tua. La stella3
Del viver mio s’appressa
Al suo tramonto; ma sperar ti giovi 15
Che tutto io non morrò4; pensa che un nome
Non oscuro5 io ti lascio, e tal che un giorno
Fra le italiche donne
Ti fia bel vanto il dire: Io fui l’amore
Del cantor di Bassville, 20
Del cantor che di care itale note6
Vestí l’ira d’Achille.
Soave rimembranza ancor ti fia,
Che ogni spirto gentile7
A’ miei casi compianse (e fra gl’Insubri8 25
Quale è lo spirto che gentil non sia?).
Ma con ciò tutto nella mente poni
Che cerca un lungo sofferir chi cerca
Lungo corso di vita. Oh mia Teresa,
E tu del pari sventurata e cara 30
Mia figlia9, oh voi che sole d’alcun dolce
Temprate il molto amaro
Di mia trista esistenza, egli andrà poco
Che nell’eterno sonno lagrimando10
Gli occhi miei chiuderete! Ma sia breve 35
Per mia cagione il lagrimar: che nulla,
Fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi
Nel partirmi da questo
Troppo ai buoni funesto
Mortal soggiorno, in cui 40
Cosí corte le gioie e cosí lunghe
Vivon le pene; ove per dura prova
Già non è bello il rimaner, ma bello
L’uscirne11 e far presto tragitto a quello
De’ ben vissuti, a cui sospiro. E quivi 45
Di te memore, e fatto
Cigno12 immortal (che de’ poeti in cielo
L’arte è pregio e non colpa), il tuo fedele,
Adorata mia donna,
T’aspetterà, cantando, 50
Finché tu giunga, le tue lodi; e molto
De’ tuoi cari costumi
Parlerò co’ celesti, e dirò quanta
Fu verso il miserando tuo consorte
La tua pietade; e l’anime beate. 55
Di tua virtude innamorate, a Dio
Pregheranno, che lieti e ognor sereni
Sieno i tuoi giorni e quelli
Dei dolci amici che ne fan corona:
Principalmente i tuoi, mio generoso 60
Ospite amato13, che verace fede
Ne fai del detto antico,
Che ritrova un tesoro
Chi ritrova un amico.

Note
1. dell’alma mia ecc.: La stessa frase, ma detta alla figlia, è ne’ versi Chieggon le Muse ecc. (ed. Card.,
p. 425).
2. L’eccesso de’ miei mali: Il 9 aprile di quell’anno era stato percosso da una forte emiplegia, tanto da
perderne il lato sinistro: piú, lo tormentava (senza dire de’ molti e gravissimi affanni morali), una
lunga malattia d’occhi. Cfr. il son. a p. 197.
3. La stella ecc.: Morí, di fatti, nel 13 ottobre del ’28.
4. Che tutto lo non morrò: È l’oraziano (Od. III. xxx, 6): non omnis moriar. Cfr. anche, per il concetto
della fama immortale dei poeti e della poesia, Pindaro Pizia III, 108; Ovidio Metam. XV, 871, Amor.
I, x, 62 e I, xv, 7 e 32; Properzio III, n. 23; Petrarca P. I. canz. vi, 94; Parini Od. VIII, 27; Manzoni Il
cinq. mag., 23 e seg. ecc. ecc.
5. Non oscuro: illustre. Litote attica: cfr. la nota al v. 3. p. 2.
6. che di care ecc.: Accenna, com’è manifesto, alla sua maravigliosa traduzione dell’Iliade, che
pubblicò nel 1810, e poi, riveduta e corretta, nel ’12.
7. Che ogni ecc.: Vuol dire de’ molti amici che gli furono larghi di cortesie e d’ospitalità negli ultimi
anni, quali il Londonio, il Trivulzio, l’Aureggi ecc.
8. Insubri: cfr. la nota al v. 17, p. 182.
9. Mia figlia!: cfr. la nota d’introd. a p. 108.
10. Che nell’eterno sonno ecc.: Tien qualcosa del petrarchesco (P. I, canz. xi, 16): «Ch’Amor
quest’occhi lagrimando chiuda».
11. L’uscirne: Ariosto XLIII, 171: «Di questo fango uscir».
12. Cigno: cfr. la nota al v. 260, p. 18.
13. mio generoso ospite: Luigi Aureggi, che nella sua villa di Caraverio in Brianza ospitava allora il
poeta e la famiglia di lui.

Fonte:
Vincenzo Monti. Poesie, scelte, illustrate e commentate da Alfonso Bertoldi. A cura di Alfonso
Bertoldi. Firenze, Sansoni, 1891. Fonte: Internet Archive

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