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& SICUREZZA
DEL LAVORO
mensile di formazione
e aggiornamento professionale
Anno XXII – Febbraio 2020
Direzione e Redazione Via dei Missaglia n. 97 Edificio B3 - 20142 Milano 2/2020
edicolaprofessionale.com/ISLcorsi
Ergonomia organizzativa:
sicurezza, salute
e sviluppo sul lavoro
MODULO UNICO
5 000002 444104
00244410
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G
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SIMPLEDO
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M
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Unica soluzione.
Illimitate possibilità.
La piattaforma all-in-one per la gestione
della salute, della sicurezza e dell’ambiente
in Azienda.
Considerazioni introduttive__________________________________________________________________________________________ 5
Lo scontro fra culture organizzative: dal meccanicismo alla complessità________________________________________________ 7
Approccio meccanicista 7
Approccio psicosociale 8
Organizzazioni e sistemi 9
Lavoro e benessere 10
Ergonomia e organizzazione _______________________________________________________________________________________ 11
Che cos’è l’ergonomia organizzativa 11
Il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro 14
Prevenzione dello stress lavoro-correlato e coerenza organizzativa____________________________________________________ 17
Sistema manageriale e gestione del rischio psicosociale 17
SLC: i danni della cultura meccanica nelle procedure di lavoro 18
Ergonomia organizzativa___________________________________________________________________________________________ 22
La buona organizzazione 22
Ergonomia organizzativa: dai principi all’applicazione 24
Allegato - Intervista semi-strutturata (Ergo Omnia) __________________________________________________________________ 30
Questionario: Ergo Omnia System__________________________________________________________________________________ 33
Bibliografia________________________________________________________________________________________________________ 35
REDAZIONE AMMINISTRAZIONE
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REDAZIONE
Donatella Armini, Marta Piccolboni, Maria Lorena Radice Vendita esclusiva per abbonamento
Ergonomia organizzativa:
sicurezza, salute e sviluppo
sul lavoro
di Gabriele Corbizzi Fattori – European Ergonomist (*)
Considerazioni introduttive
Da molti anni ormai sto pensando che in Italia, i modelli organizzativi, riflesso dei modelli sociali
di riferimento siano “obsoleti” e ancorati a prassi e concetti ormai arcaici ed anacronistici.
La crisi d’impresa che sta attraversando e “decimando” le imprese italiane, è l’emersione
delle problematiche organizzative mai affrontate nelle nostre aziende. I cambiamenti econo-
mici e sociali dei nostri giorni, nel nuovo mondo globalizzato, prefigurano in maniera chiara e
definita, nei paesi (cosiddetti) “evoluti”, la fine dell’organizzazione scientifica sul lavoro (ideata
e pensata da Taylor agli inizi del ‘900), ma ancora applicata in maniera “arcaica e anacronistica”
all’interno di alcuni contesti di lavoro. Manager o presunti tali con scarse qualità umane e
professionali stanno distruggendo patrimoni cognitivo-culturali di notevoli dimensioni solo per
incapacità creativa e resistenza gerarchica al miglioramento organizzativo di tipo ergonomico.
Il “Mondo” comunque, nella sua complessità si evolve, e all’interno dei Paesi che hanno
progredito (nell’immediato dopoguerra) sulla spinta della “quantità produttiva” resisteranno e
proseguiranno la loro “vita” solo quelle aziende che saranno capaci di sviluppare e incremen-
tare qualità e innovazione.
Contestualmente a questa nuova dimensione produttiva si sono sviluppati studi e ricerche sul
funzionamento del sistema cerebrale che, partendo dalla teoria dei campi, approdano a
modelli di funzionamento quantistico che ridisegnano il nostro modo di pensare presumibil-
mente in maniera più funzionale alle caratteristiche umane e quindi di benessere. Questo
lavoro è tratto da articoli e capitoli scritti in vari anni, circa l’importanza dell’Ergonomia
Organizzativa ed i suoi risvolti qualitativi in termini operativi. Il tentativo è di unire i filoni di
pensiero sull’organizzazione del lavoro e sul funzionamento del sistema cerebrale, in maniera
tale che si possa approdare a modelli di riferimento organizzativi di tipo ergonomico, capaci di
sviluppare qualità e innovazione produttiva partendo proprio dai livelli di benessere delle
persone che vivono il contesto organizzato.
Se riusciremo, tutti insieme, a percorrere vie produttive rispettose dell’incolumità e del
benessere delle persone che vivono il contesto organizzato, potremo dire di aver tracciato
un piccolo ma significativo solco nel percorso più ampio di un nuovo umanesimo moderno.
Come funziona il cervello Nella ricerca dello studio dei diversi modelli di funzionamento del sistema cerebrale, ho avuto
la fortuna di incontrare Giuseppe Vitiello (1), Professore di Fisica dell’Università di Salerno da
cui ho imparato moltissimo sulla dinamica cerebrale interloquendo appassionatamente con lui
sulle dinamiche pre-condizionanti lo sviluppo del processo stressogeno (G. Vitiello, 2010).
Durante una visita a Firenze per un convegno organizzato dal polo Scientifico dell’Università ho
avuto la possibilità, grazie a Giuseppe, di incontrare Walter. J. Freeman, grande neuroscien-
ziato americano docente della Graduate School dell’Università di Berkley (California), che ha
rivoluzionato il modo di pensare il funzionamento del cervello (W.J. Freeman, 2000); due
splendidi scienziati, due splendide persone e grandi ideatori di quello che è stato denominato
“modello dissipativo quantistico del cervello”.
Le mie argomentazioni partono proprio dall’inatteso ma subito “emozionante” e apprezzato
incontro con questi due scienziati che hanno rivoluzionato il modo di pensare il funzionamento
del nostro sistema organico più importante: il cervello.
(*) Dedicato a Valeria, Carolen, Alejandro, indispensabili per il mio esistere bene.
(1) Mi preme ringraziare due grandi maestri: Emilio Del Giudice e Giuseppe Vitiello, scienziati straordinari ed amici veri. La
comprensione dei fenomeni organizzati, con cui ho interagito, la devo sicuramente alle loro ricerche sulla fisica quantistica e sulle
neuroscienze; ma anche e soprattutto alle loro fraterne spiegazioni.
Il modello dissipativo La plasticità funzionale del cervello, e cioè la sua capacità di adattarsi a diverse condizioni
quantistico del sistema esterne, rappresenta una delle caratteristiche funzionali di maggiore importanza. Abbando-
cerebrale nando necessariamente, quindi, la logica meccanica di deduzione dei fatti, non si può dedurre
l’attività cerebrale solo nello studio del singolo neurone ma dall’oscillazione in fase dei neuroni
(il tutto è molto di più che la somma dei singoli elementi). È quindi l’oscillazione in fase dei
neuroni che produce la risposta cerebrale e non il funzionamento del singolo neurone.
Questa impostazione permette di passare dallo studio delle configurazioni micro degli
oscillatori (neuroni) a quello macro del sistema nel suo complesso.
Il dato che “emerge” inconfutabilmente è che il cervello si comporta come un sistema aperto
in relazione costante con l’ambiente, al di là delle nostre intenzioni. Nello studio dei sistemi
aperti, dobbiamo quindi analizzare (al fine di trarre conclusioni scientifiche) il sistema che
stiamo studiando ma anche l’ambiente con cui questo è in relazione. Dobbiamo quindi operare
dal punto di vista cognitivo nell’organizzazione con una logica legata alla “complessità” del
sistema, spostando il focus organizzativo dall’elemento di risultato alle dinamiche che
determinano l’atteso risultato. Questo è un primo “assioma-cesura” tra coloro che intendono
operare nell’organizzazione con concetti e prassi di tipo “ergonomico” e chi persegue “one
best way” organizzative frutto della loro dimensione esperienziale e non della cultura vigente
all’interno del gruppo organizzato.
Nel modello dissipativo quantistico del sistema cerebrale, l’ambiente non è altro che la copia
esatta del sistema, perché per il principio di bilanciamento dei flussi, il flusso in uscita dal
sistema cerebrale è bilanciato con il flusso in uscita dall’ambiente con cui si relaziona. Ne
deriva che lo studio dell’ergonomia che vede la centralità della persona nella relazione con il
sistema diventa funzionale a creare organizzazioni rispettose anche del funzionamento del
sistema cerebrale (Bruno, Corbizzi Fattori, Simonini, 2011).
La coppia cervello-ambiente è trattata in termini funzionali e formali come unicità e quindi
cervello e il suo doppio. Ora, se analizziamo il rapporto fra i due e quindi poniamo l’attenzione
sulla relazione più che sull’elemento, possiamo dedurre senza dubbio che il rapporto tra i due è
quello del reciproco scambio e della reciproca influenza. Nel modello dissipativo quantistico, il
rapporto con il doppio è un rapporto dinamico sempre in divenire e mai concluso, perché mai
definitivo e statico è il bilanciamento dei flussi in/out con il mondo (Vitiello, 2010).
Il cervello, quindi, accumula esperienza e costruisce conoscenza, cioè apprende come fare ad
avere la massima “presa sul mondo”, cioè la massima capacità interpretativa ed acquisitiva
del funzionamento delle cose nel mondo. In questa esperienza percettiva il cervello, stac-
candosi dalla logica meccanica, procede per astrazione e per generalizzazione. L’evento
percettivo (nuova acquisizione della relazione con il mondo) induce il cervello ad esplorare il
paesaggio degli attrattori alla ricerca di una nuova corrispondenza o somiglianza fra l’espe-
rienza presente ed una esperienza del passato (attrattore in memoria) al fine di evolvere la
risposta del sistema. Questo passaggio da attrattore ad attrattore è sempre dinamico e mai
statico, anzi se permane in maniera statica su un’idea si possono avere “patologie” come le
fissazioni. L’acquisizione di una nuova esperienza (memoria) diviene “nuovo attrattore” che
riorganizza l’intero passaggio degli attrattori (ri-contestualizzazione delle esperienze
pregresse).
Il significato e la risposta che ognuno di noi dà alla nuova esperienza percettiva non appartiene
al solo stimolo percettivo nella relazione con il mondo, ma è il risultato del nuovo contesto e del
ridisegnato passaggio degli attrattori nel suo complesso.
Quindi: R= EP + SP + PA cioè
Risposta = Esperienza Pregressa + Stimolo Percettivo + Passaggio degli attrattori
tutto nella sua complessità.
Ciò che possiamo notare in termini di risposta esterna è la complessità della relazione EP/SP/
PA organizzata in strategia spontaneamente funzionale per avere la massima presa sul mondo
(acquisizione di nuova conoscenza) che serve ad aumentare il significato percettivo del suo
“essere nel mondo” per avere sempre maggiore presa sul mondo in termini vitali.
Il dialogo con il doppio (ambiente-ambiente organizzato-mondo) è dunque caratterizzato dalla
dimensione della novità (stupore); senza questo atto di “risveglio emozionale” non potremo
avere evoluzione e nuova acquisizione concettuale. Questa dimensione (stupore) fortemente
innovativa vive nel presente, nel momento stesso in cui la si percepisce e la si assume ed è di
per sé quindi “libera” non imbrigliabile in convenzioni o strutture logico-riduttive pre-confe-
zionate o pre-costituite. La dimensione dello stupore, questo momento prezioso per la
crescita evolutiva dei sistemi viventi, questo “nuovo vedere” è l’atto di coscienza. L’atto di
coscienza, quindi, è funzionale a una nuova acquisizione concettuale e si struttura, si radica,
nel suo funzionale dialogo con il doppio. (Vitiello, 2010).
Da quanto sopra detto emerge in maniera inconfondibile come il bilanciamento dei flussi, che
non sono altro che le relazioni, con il mondo esterno al sistema vivente è una necessità
funzionale del nostro cervello; limitarlo o addirittura inibirlo è un elemento precursore di stress
anche nelle organizzazioni lavorative perché compromette la funzionalità del nostro sistema
cerebrale.
A questo punto possiamo determinare il primo requisito di una organizzazione che vogliamo
definire “ergonomica”: l’organizzazione nel suo insieme, fatta di procedure e prassi, verifiche
e pianificazioni, deve essere costruita “lasciando margini non regolamentati” di evoluzione
creativa (miglioramenti) funzionali al sistema cerebrale delle persone che vivono il contesto
organizzato ma conseguentemente funzionali a sistemi organizzativi produttori di prodotti o
servizi di “vera” qualità.
Qualità e cervello: Nei modelli meccanicistici di organizzazione del lavoro (2), derivati dall’organizzazione
dinamiche e relazioni scientifica del lavoro e applicati nelle “catene di montaggio”, alcuni elementi generatori
di stress sono stati individuati nel ritmo e nei carichi di lavoro, come ampia letteratura
scientifica ha dimostrato (Carnevale, Baldasseroni, 1999). In quel modello organizzativo
l’obiettivo dell’intera filiera produttiva è l’aumento quantitativo della produzione. I risultati
economici dei “capi” della catena di montaggio dipendono dall’incremento della produ-
zione, e questo espone indubbiamente gli operai a ritmi talvolta “forsennati” che minano la
stabilità psichica e fisica dei lavoratori stessi. In alcuni periodi quel modello produttivo
esponeva i lavoratori anche all’isolamento o all’impossibilità di avere relazioni nell’ambito
dell’attività o all’impossibilità dell’agire in prima persona (Carnevale, 2010) tutte variabili
psicosociali che favoriscono malessere psicosociale e distacco emozionale dal lavoro e dalle
attività.
I postulati della complessità hanno rimodellato sia il modo di fare produzione che quello di
progettare organizzazione del lavoro. Tra l’altro, una maggiore sensibilità sociale sulle temati-
che di benessere sul lavoro o la necessità di garantire qualità produttiva per riuscire a
competere sul mercato mondiale aprono la strada ad un nuovo paradigma interpretativo
dei rischi psicosociali. La qualità (come approccio teorico) e i sistemi di qualità (ISO 9001) come
applicazione pratica schiudono davvero la possibilità di ripensare le organizzazioni produttive,
facendo del sistema di benessere l’elemento su cui costruire miglioramento e innovazione. A
questo punto servono capacità interpretativa e modelli di riferimento di tipo ergonomico che,
ponendo al centro dell’organizzazione l’uomo e la sua capacità di relazione, sappiano coniu-
gare sviluppo e benessere delle persone in un circolo virtuoso che promuova innovazione e
miglioramento dei processi e dei sistemi.
Mentre la flessibilità (se ben armonizzata) è una caratteristica virtuosa per sviluppare inno-
vazione e miglioramento, la precarietà del lavoro rappresenta un elemento di freno allo
sviluppo con ricadute importanti di tipo psicosociale sulle persone (Gallino, 2001). L’instabilità
del lavoro oltre a non prefigurare scenari di futuro per le persone che la sperimentano (Gallino,
2014), non permette di costruire una relazione sufficientemente empatica con il contenuto del
lavoro, impedendo così la possibilità di anticipare eventuali innovazioni produttive. Anche la
relazione con il contesto del lavoro (funzione, ruolo, autonomia ...), altra variabile psicosociale
collegata allo stress, verrà inutilizzata dal punto di vista esperienziale e, quindi, impossibilitata
a prefigurare miglioramento procedurale. Occorre invertire la tendenza e creare dei modelli
organizzativi che siano sistemi di sviluppo “reale”, pensati e progettati sulle caratteristiche di
funzionalità del sistema vivente.
Approccio meccanicista
La definizione di salute data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948 “completo
stato di benessere fisico, psichico e sociale” ci richiama all’importanza di attivare all’interno
dell’organizzazione quegli elementi gestionali che non confliggono con lo stato di benessere
dei lavoratori, ma anzi, che sono funzionali ai livelli di salute e sicurezza degli stessi. In questo
contesto si fa sempre più forte lo scontro fra culture organizzative.
La cultura meccanicistica che trovava la sua massima espressione organizzativa nelle teorie
dell’organizzazione scientifica del lavoro ha mostrato enormi limiti dal punto di vista produttivo
e sociale: incapacità di produrre qualità e innovazione in maniera snella e alti costi umani pagati
dai lavoratori per ottenere gli aumenti di produttività (Carnevale, Baldasseroni, 1999). L’idea di
separare la progettazione e la pianificazione del lavoro dalla sua esecuzione (e quindi dai
lavoratori che eseguono materialmente le attività) è forse l’elemento più deleterio di tutta la
teoria, perché comporta una separazione del lavoratore dalla sua mano, dal suo cervello, dalla
sua soggettività creativa.
L’approccio meccanicistico tende a limitare, piuttosto che favorire, lo sviluppo delle capacità
umane, modellando le persone in modo da renderle adatte ai requisiti propri dell’organizzazione
piuttosto che a costruire l’organizzazione attorno alle potenzialità degli individui. Tale conce-
zione produce e trasforma spesso i miglioramenti in “miglioramenti formali e sicuramente non
organizzativi ma puntuali” perché pensati e progettati da chi non svolge le attività e quindi
sempre sovrastrutturali rispetto al prodotto o servizio da realizzare (Figura 1).
Tale concezione culturale ha prodotto una visione “entitaria” dell’organizzazione (Meyer,
Stevenson, Webster, 1985) dove si individua una netta separazione fra l’organizzazione e lo
status delle persone, in contrapposizione a quella più evoluta di tipo ‘psicosociale’’ in cui si
individua invece una relazione stretta (Hosking e Morley, 1991) quasi ‘‘osmotica’’ fra persone
e organizzazione dove l’entità si migliora migliorando l’altra e viceversa.
Infine, va ricordato che l’organizzazione meccanicistica del lavoro, basandosi sull’assunto che
il controllo e l’eventuale miglioramento debbano essere esercitati dall’esterno sulle parti
dell’organizzazione piuttosto che essere inseriti nelle parti stesse, spinge verso passività e
apatia del lavoratore rispetto al prodotto o servizio da realizzare. Ciò caratterizza tale tipo di
organizzazione come eccessivamente rigida, poco incline a processi di miglioramento, con
ricadute negative in termini di produzione e benessere sul lavoro (Figura 2).
Approccio psicosociale
L’approccio psicosociale parte dal presupposto che la dinamicità è naturale mentre la staticità
è costrittiva e per questo deve essere spiegata. La visione sistemica dei processi produttivi ci
porta ad identificare l’azienda come sistema aperto in continua interazione con i sistemi che la
circondano e la compongono. L’osservazione della realtà attraverso questo nuovo orienta-
mento intende l’organizzazione come causa ed effetto della relazione fra i vari sistemi che
compongono l’insieme (Figura 3).
Questa impostazione culturale ci permette di capire, in maniera significativa, il valore del
contributo al miglioramento del processo produttivo attraverso l’evoluzione qualitativa della
relazione fra sistemi, perché comprensiva delle emozioni e delle prassi vissute in quel
contesto e perché dinamica nei processi di rilevazione.
Figura 1
Figura 2
Figura 3
Organizzazioni e sistemi
Ogni organizzazione, come ogni sistema, tende a cambiare stato per cui il solo modo che
l’organizzazione ha per contrastare la degenerazione è rigenerarsi e riorganizzarsi con dina-
micità. L’azienda vista come sistema di sistemi (Morin, 1994) ci permette di comprendere la
capacità del sistema organizzato di differenziarsi e scomporsi in sottosistemi dotati di auto-
nomia, ma pur sempre in relazione fra loro. Tale dinamica sfugge ad ogni pianificazione
razionale del rilevatore esterno, ma di fatto tale capacità è quella che produce qualità e
benessere organizzativo in quanto conferisce vitalità al sistema e permette agli individui di
risolvere le problematiche di processo senza aspettare l’intervento del superiore (Figura 4).
I risultati ottenuti con questa visione metodologica sono nettamente superiori dal punto di
vista qualitativo, in quanto empaticamente pensati e realizzati dalle persone coinvolte nel
processo produttivo.
La SGS Non a caso, il nuovo modello di sicurezza e salute sul lavoro identificato dagli anni ‘90 con le
normative europee si distingue dal lineare meccanicistico perché diviene circolare nella sua
applicazione e complesso nella sua impostazione. Dall’approccio europeo della prevenzione
negli ambienti di lavoro emerge con chiarezza come sia fallimentare pensare all’organizza-
zione come ad una “macchina” dove la sostituzione del “pezzo” difettoso ristabilisce la
funzionalità, mentre diventa fondamentale intervenire nel processo organizzativo prendendo
in considerazione le interazioni che concorrono a definirlo (Depolo, 1998). Le variabili di
riferimento del sistema di sicurezza e salute sul lavoro cambiano completamente ed invece
dell’oggettività assumono rilevanza le soggettività: cambia l’approccio di prevenzione in
quanto non è più pensabile ragionare in termini di nesso causa-effetto ma diviene fondamen-
tale il dato della probabilità.
Figura 4
Lavoro e benessere
Il benessere sul lavoro è il risultato di un lungo processo di organizzazione “creatore di senso e
significato” (Weick, 1997) che parte dalla considerazione del lavoro come elemento che
favorisce la realizzazione individuale attraverso il coinvolgimento e la partecipazione delle
persone impegnate nelle attività.
Le aziende “per continuare a sopravvivere” in un mercato globale dovranno “inevitabil-
mente” occuparsi non solo delle condizioni di natura fisica dei lavoratori ma anche del loro
benessere mentale e sociale, cominciando a monitorare quegli elementi di tipo organizzativo
che possono influenzarlo.
Per quanto detto sopra, la valutazione dello stress lavoro-correlato assume una connotazione
strategica per il benessere dei lavoratori ma anche per l’intero sistema produttivo; rispetto alla
valutazione dello stress lavoro-correlato occorre adottare una prospettiva che tenga conto del
contesto organizzativo in cui l’individuo è inserito, in termini di probabilità del dato (statistico) e
in termini di persistenza del disagio (monitoraggio nel tempo).
Con tale approccio non si rischia di ridurre le disfunzioni di sistema a soggettività né di fare della
soggettività elemento di sistema. Il ruolo del manager si evolve negli aspetti gestionali, in
quanto deve favorire:
— auto-organizzazione del team;
— creatività organizzativa e condivisione degli obiettivi;
— flessibilità strategica;
— organizzazione promotrice di idee e relazioni;
— circoli virtuosi di idee ed esperienze.
Con tale impianto metodologico, lo stato di benessere sul lavoro è il risultato di una
impostazione culturale che prevede l’organizzazione come “sistema aperto” in intera-
zione dinamica con l’ambiente circostante, capace di creare meccanismi di responsabi-
lità delle persone facendo perno sul contributo che esse possono dare alla creazione di
un assetto strutturale migliore e più funzionale, rispettoso della salute delle persone che
ci operano.
Se mancano dinamicità e prospettiva dell’organizzazione, il processo tenderà all’irrigidimento
e soprattutto all’espulsione di quelle persone che, generando elementi critici o creativi del
processo, minano nelle fondamenta l’assetto realizzato. Di conseguenza, non riuscendo a
gestire le ‘‘critiche’’ e le ‘‘anomalie’’ (cercando di mutarle in opportunità di coinvolgimento e
miglioramento dell’intero processo), l’organizzazione tenderà all’espulsione delle stesse
proprio attraverso meccanismi che possono essere, nel migliore dei casi anche inconsci
ma di fatto “patologici nel risultato”.
Figura 5
Ergonomia e organizzazione
La fine del determinismo “In natura niente è statico, figuriamoci un sistema vivente”, amava affermare spesso
Emilio Del Giudice (3), noto scienziato ed esponente importante di quella branca della
scienza chiamata fisica quantistica. L’avvento delle “neuroscienze” dimostra in maniera
indiscutibile come non esistano sistemi statici, considerazione che sicuramente investe
anche i sistemi organizzati. Come conseguenza di questo dato oggettivo, possiamo
comprendere che quando un sistema organizzato si struttura su prassi operative di tipo
statico, si trova di fatto già in una fase di tipo regressivo. In natura i sistemi statici sono
sistemi in decomposizione, che hanno perduto ormai la fase dell’omeostasi come
principio vitale. In sociologia i sistemi organizzati di tipo statico, non permettendo
sviluppo e crescita, sono sistemi forieri di involuzione produttiva con conseguente
crisi e fuoriuscita dal mercato.
Se tutto ciò che vive è dinamico, allora, dobbiamo cominciare a vedere anche il sistema
produttivo come “sistema dinamico”, in equilibrio oscillante, foriero di continue evoluzioni ed
adattamenti. L’intera azienda, a sua volta, deve essere vista come sistema di sistemi (Morin
1983)., in relazione fra loro, alla ricerca di un equilibrio sempre più evolutivo.
Tale visione sistemica dei processi produttivi, ci permette di vedere nell’interazione fra gli
elementi che compongono il sistema, il focus dell’attività di prevenzione aziendale che ha
riflessi importanti sui livelli qualitativi espressi.
Con questa nuova logica operativa, si chiude definitivamente l’era del determinismo orga-
nizzativo nell’organizzazione e conseguentemente anche nella sicurezza e salute sul lavoro. Il
principio determinista per cui tutto accade secondo ragione e necessità, individuando una
spiegazione di tipo causale per tutti fenomeni (fisico “materiale” nella SSL), ha prodotto una
visione meccanica della realtà, legata ad analisi e spiegazioni riconducibili alla relazione causa-
effetto anche negli infortuni e nelle malattie professionali. L’interpretazione meccanica di
simili fenomeni non produce possibilità di sviluppo ed evoluzione nell’affidabilità organizzativa
della sicurezza e salute dei lavoratori, perché fa regredire su un piano statico fenomeni
organizzativi “fortemente complessi” e soprattutto di tipo dinamico (Corbizzi Fattori,
2010), inibendo qualsiasi spinta evolutiva.
Le principali conseguenze di approcci così “meccanici” sono:
— una spiegazione lineare e sequenziale dell’evento, con conseguente soluzione preventiva
legata alla manifestazione dell’evento accidentale stesso, ma non alla sua causa originaria;
— una visione dell’operatività prevenzionale preordinata gerarchicamente in modo univoco, a
prescindere dai lavoratori e dalla loro esperienza, circa la soluzione da adottare.
La crisi di tale visione si rende visibile e si rende percepibile proprio con il recepimento delle
direttive europee sulla salute dei lavoratori. Come l’approccio determinista entra in crisi,
perché crolla il principio di causalità (relazione causa-effetto) su cui si basava, così la visione
meccanica della sicurezza e salute sul lavoro entra in crisi con la visione sistemica dei processi
produttivi.
La crisi del mercato globale e l’impossibilità di continuare a praticare un sistema produttivo
“lineare” (organizzazione scientifica del lavoro), sequenziale, determinato e quindi prevedi-
bile, apre la strada alla qualità produttiva ed alla necessità di fare affidamento a metodi di
carattere probabilistico chiaramente caratterizzati da una logica indeterminista. In questo
nuovo panorama operativo l’affidabilità del sistema di sicurezza e salute dei lavoratori non
dipende esclusivamente da logiche meccaniche legate all’ottemperanza normativa
(Gagliardi, 1995) ma risente in maniera determinante della capacità (esperienza creativa) e del
sentire (sentimento-azione) del lavoratore o dei lavoratori impegnati nel contesto produttivo
(Weick. 1997).
La nuova centralità del fattore umano, attraverso l’applicazione del D.Lgs. n. 81/2008,
prefigura un modello complesso di prevenzione ed impone indubbiamente un ripensamento
in termini gestionali, organizzativi e culturali delle imprese, attraverso una nuova logica legata
alla qualità delle relazioni industriali e degli obiettivi aziendali (Alacevich, 1996). Emerge così
l’importanza di un approccio psicosociale nella sicurezza e salute sul lavoro, in cui l’ergonomia,
come “scienza” che adatta il lavoro all’uomo e non viceversa, può esprimere tutte le sue
potenzialità.
Ergonomia Avendo necessità di dimostrare la valenza operativa di un approccio ergonomico all’organiz-
e organizzazione zazione, va definito che cosa si intende comunemente per ergonomia. Partirò, quindi, dalla
definizione stessa della disciplina e quella che ritengo più attinente è: “Ergonomics (o Human
Factors) è quella disciplina scientifica che si occupa della comprensione delle interazioni fra
l’uomo e gli altri elementi di un sistema, ed è quella professione che applica teorie, principi, dati
e metodi di progettazione al fine di ottimizzare il benessere dell’uomo e la prestazione
dell’intero sistema”.
Tale definizione è stata coniata, in apposita sessione, dal direttivo IEA (International Ergono-
mics Association) tenuto a San Diego (USA) nel 2000. In tale esplicitazione ritroviamo
l’importanza che “storicamente”, in questo contesto sociale, può assumere l’ergonomia
con le sue numerose applicazioni.
La capacità di considerare l’uomo nella sua integralità come elemento centrale del sistema,
capace di innovare i processi ed i prodotti proprio attraverso “l’esperienza ed il sentimento”
dei lavoratori, può essere la precondizione di uno sviluppo produttivo efficiente basato sulla
qualità e non sulla quantità.
Questa nuova visione produttiva tiene in conto e valorizza una “nuova” logica operativa
capace di trasformare i risultati produttivi in termini qualitativi, perché “includenti” delle
esperienze vitali del gruppo di lavoro. Abbiamo quindi una “saldatura funzionale” fra il
benessere delle persone e l’ottimizzazione del sistema organizzato.
In tali organizzazioni la qualità produttiva (ISO 9001) (Lamprecht, 1998) non è scelta buro-
cratica o formale che nega l’intelligenza ed il sapere esperienziale dei lavoratori, ma è la
metodologia che valorizza la partecipazione e l’interesse delle persone che vivono in quel
contesto (Giannini, 1996). Il loro vissuto trova espressione, emerge, si rende visibile negli
“artefatti” e “nei servizi” realizzati. In tale contesto l’affidabilità organizzativa, di cui fa parte la
sicurezza e salute sul lavoro, non può prescindere dal benessere delle persone impegnate nel
sistema produttivo ed il benessere delle persone non può fare a meno di relazioni con
l’ambiente organizzato premonitrici di evoluzione e non di costrizione. La scelta di approcci
ergonomici nell’organizzazione diviene pertanto irreversibile nel nuovo panorama culturale. Si
sviluppa di conseguenza una nuova logica operativa: benessere sul lavoro e miglioramento
produttivo sono strettamente collegati e non si può scardinare un elemento senza provocare
conseguenze sull’altro in un sistema dinamico in continua evoluzione.
Il punto centrale dell’attività delle figure previste dal D.Lgs. n. 81/2008 sta proprio nel
ridisegnare ed accompagnare i processi di evoluzione del sistema di sicurezza e salute sul
lavoro.
Ogni sistema, compreso il sistema organizzativo previsto per l’applicazione del D.Lgs. n. 81/
2008, deve trovare nella positività relazionale degli attori aziendali (D.L., RSPP, RLS, MC,
Dirigenti, Lavoratori, fornitori ecc.) e nella “costruzione di senso” delle pratiche svolte dai
lavoratori i fondamenti su cui costruire un sistema efficiente e reattivo rispetto agli eventi che
possono manifestarsi durante le attività. In questa prospettiva, insieme all’assetto organiz-
zato è proprio la reattività del sistema che può evitare gli eventuali errori generatori di possibili
incidenti (Reason, 2004). Cambia di conseguenza l’approccio al sistema, da sistema “pen-
sato” a sistema sentito, da sistema “progettato” a sistema “vissuto”.
La sicurezza e salute sul lavoro ed il benessere vissuto dai lavoratori divengono perciò
elementi di sviluppo imprescindibile, per un assetto efficiente del sistema produttivo. Si
crea pertanto una trama relazionale, su cui procede lo sviluppo produttivo derivato dal
benessere dei lavoratori ed innovazione e qualità dell’organizzazione e dei prodotti e/o servizi.
Tali dinamiche non sono più divergenti ma convergenti, anzi spingono nella stessa direzione:
migliorando qualitativamente il benessere dei lavoratori impegnati nelle attività, si migliora
qualitativamente organizzazione, prodotti e/o servizi.
Emerge così chiaramente l’importanza di conoscere e approfondire prassi e riflessioni tipiche
dell’ergonomia organizzativa, partendo dai processi applicativi da porre in essere al fine di
creare organizzazioni umane capaci di sviluppare contesti produttivi in grado di emergere in
termini realizzativi qualità e innovazione, partendo proprio dalle relazioni partecipative dei
lavoratori impegnati nelle attività (principio ergonomico della partecipazione).
Al fine, quindi, di creare sistemi organizzati “tendenti al miglioramento”, occorre creare livelli
operativi e sotto-sistemi di tipo aperto, dove gli assetti organizzati assorbono “omeostatica-
mente” le buone prassi applicate in altri contesti intra/interaziendali. Vivere all’interno di
un’organizzazione che opera come “sistema aperto” in interazione dinamica con i livelli od i
sottosistemi aziendali, e necessariamente con i sistemi sociali di riferimento, permette una
funzionalità cerebrale delle persone (Vitiello, 2008) e produce funzionalità cooperativa al fine di
raggiungere risultati qualitativi in termini di prodotto o servizi. Il raggiungimento di tale
funzionalità organizzativa presuppone l’impegno di una molteplicità di attori aziendali caratte-
ristici del sistema di sicurezza e salute sul lavoro (principio ergonomico della
multidisciplinarietà).
Le procedure e le metodologie di tipo ergonomico favoriscono partecipazione e coinvolgi-
mento cognitivo delle persone ai risultati dell’organizzazione; senza tale approccio gli elementi
creativi o critici del processo organizzato, si possono trasformare in “circoli viziosi” e non
virtuosi di possibile evoluzione sistemica dell’intera organizzazione.
Miglioramento Il miglioramento e l’innovazione rappresentano, per un’azienda moderna, non solo una
e approccio ergonomico frontiera necessaria di evoluzione produttiva ma anche una linea di demarcazione fra coloro
che prefigurano assetti organizzativi statici ed organizzazioni invece orientate alla qualità. La
ricerca della vera qualità produttiva può essere in linea con le reali funzionalità cognitive delle
persone, se progettata in relazione al rispetto dei principi ergonomici dell’organizzazione. Tali
principi permettono riprogettazione organizzativa sulle condizioni psicofisiche delle persone
inserite nel contesto lavorativo. Così facendo la persona è al centro del progresso organizza-
tivo (principio ergonomico) e permette attraverso la sua capacità creativa evoluzione e
sviluppo del sistema.
Il miglioramento, che significa etimologicamente “diventare migliore”, può essere applicato a
un processo, un sistema o un prodotto; ognuno influenzerà l’altro, ma tutti influenzeranno lo
stato di benessere delle persone con cui si relazionano (che siano lavoratori o utenti). Occorre
evidenziare questo passaggio concettuale, perché se vogliamo intraprendere azioni operative
collegate a prassi ergonomiche, il risultato del miglioramento dovrà essere raggiunto attra-
verso “il sapere esperienziale” dei lavoratori, e quel miglioramento allora, oltre ad essere
strutturale e qualitativo, sarà anche performante del sistema di benessere delle persone sul
lavoro, perché da loro ideato e costruito.
In questo nuovo contesto culturale, si capisce l’importanza di fare affidamento proprio sui
lavoratori artefici d’innovazione più che di standardizzazione; lavoratori che mettono in gioco
“il loro sapere” organizzato all’interno di quel circolo virtuoso di qualità che permette sviluppo
e innovazione. L’armonizzazione ed emersione delle idee di coloro che realizzano gli artefatti
diventa un elemento imprescindibile di un’organizzazione che accetta le sfide del nuovo
mercato e capisce l’importanza delle risorse umane come patrimonio culturale di un’azienda
moderna.
L’ergonomia organizzativa permette di strutturare l’azienda come sistema aperto, attenta alle
dinamiche relazionali e in cerca di rapporti e scambi con i sistemi sociali di riferimento.
La chiusura alle novità organizzative e la conseguente staticità routinaria delle operazioni, oltre
a creare un danno produttivo, pone su un piano formale (che esclude il sistema sentimentale
dei lavoratori) le operazioni da compiere. Dato che tale “distacco relazionale” non è una
caratteristica dei sistemi viventi (Vitiello, 2010), occorre inevitabilmente invertire le prassi
organizzative: porre al centro le persone e su queste creare dinamiche relazionali più evolute
con i sistemi interagenti. Da questa nuova visione potremmo avere risultati produttivi
efficienti e miglioramento del benessere delle persone impegnate nelle attività.
Il ruolo dei manager Un aspetto fondamentale di questa nuova visione organizzativa passa attraverso il diverso e
più evoluto ruolo del manager. Il manager orientato culturalmente ai concetti legati all’ergo-
nomia consente la presenza all’interno dei contesti produttivi di qualità e cultura aziendale
rivolta alle opportunità, più che all’ottemperanza sistemica. Promozione, monitoraggio e
gestione degli indicatori di benessere dei lavoratori rappresentano strumenti fondamentali
di possibile evoluzione organizzativa. La stessa formazione, qualitativamente vissuta, rap-
presenta realmente un “caposaldo” della nuova visione dell’organizzazione. Se ben gestita,
potrebbe “innescare” nelle persone che fanno parte del processo formativo, processi virtuosi
legati alla percezione del loro “essere” con una visione, “vitale e sentita”, nuova, del loro ruolo
operativo. Tale sentimento positivo di percezione e costruzione della realtà avrebbe ricadute
qualitative sul benessere delle persone e sui risultati produttivi. Un’accurata gestione mana-
geriale orientata alle opportunità di sviluppo dei processi più che alla loro standardizzazione
(Corbizzi Fattori, 2014), permetterebbe uno stato proattivo di cambiamento operativo capace
di generare e implementare esperienze di miglioramento qualitativo dei prodotti o dei servizi.
Il benessere La definizione di benessere ha trovato nel corso degli anni numerose varianti relative al
progressivo approfondimento degli studi interdisciplinari su questa tematica. Nel rapporto
della Commissione Salute presso l’European Observatory on Health Sistems and Policies
(2010) è stata proposta la definizione di “benessere” come lo stato “emotivo, mentale, fisico,
sociale e spirituale di ben-essere”. È utile partire da questa definizione perché permette di
evidenziare l’evoluzione particolare e significativa del dibattito culturale attuale sulla defini-
zione di benessere, che etimologicamente significa “esistere bene”. Tale definizione impone
un passaggio logico da una connotazione individuale dell’esistenza a un processo di realizza-
zione di quella caratteristica che ha necessariamente nel “sé” il riconoscimento dell’impor-
tanza di relazioni sociali ed esperienze positive, al fine di connotare la parola esistere con la
valenza qualificativa di “bene”. Quando possiamo affermare che il nostro esistere è suffi-
cientemente qualitativo dal punto di vista emotivo, mentale, fisico e sociale; quando possiamo
affermare che il nostro esistere sul lavoro è sufficientemente “esperito” dal punto di vista
emotivo, mentale, fisico e sociale, così da perseguire una tendenza volta al benessere vitale:
ecco le caratteristiche di un’organizzazione che intende perseguire livelli di benessere delle
persone impegnate nelle attività perché ha compreso ormai come il binomio benessere/
sviluppo possa essere elemento fondamentale di “qualità produttiva” con conseguenze
positive sul mercato concorrenziale (Simonini, Giannini, Corbizzi Fattori, 2009).
SSL e applicazione L’applicazione del D.Lgs. n. 81/2008, nei suoi articolati di legge e l’integrazione seguente del
del TUSL D.Lgs. n. 106/2009, abbia reso operativo e necessario rispondere anche dal punto di vista
organizzativo alla valutazione e bonifica dei rischi di natura psicosociale fra cui emerge in
maniera diretta quella relativa allo stress lavoro-correlato, che, tra l’altro, non esaurisce tale
valutazione (Guariniello, 2011).
Partendo dall’analisi della normativa di sicurezza e salute sul lavoro, notiamo come già
l’abrogato D.Lgs. n. 626/1994 (oggi D.Lgs. n. 81/2008 TUSL) all’art 15, comma 1, lettera d)
delinea nelle “Misure generali di Tutela” “il rispetto dei principi ergonomici nell’organizza-
zione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla
salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”. Se nel dettato normativo sostituissimo alla
parola salute la definizione che ne ha dato l’OMS (1948) ne risulterebbe tale precetto: “il
rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di
lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in
particolare al fine di ridurre gli effetti sul completo stato di benessere fisico, psichico e sociale
del lavoro monotono e di quello ripetitivo”. Ne risultano alcuni elementi fondamentali del
dibattito socio-psicologico ed organizzativo in genere, che possono essere forieri di evolu-
zione culturale notevole per gli assetti organizzativi che nel futuro scaturiranno.
Per le ragioni più volte evidenziate (Corbizzi Fattori, 2010) un approccio di tipo sociologico
legato alla cultura della complessità ci permette di vedere in questo articolato un grande
elemento di sviluppo organizzativo basato su alcune affermazioni fondamentali circa la
tematica dello stress lavoro-correlato. La normativa di prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali ribadisce che il lavoro monotono e ripetitivo ha necessariamente degli
effetti negativi sullo stato di salute delle persone impegnate nelle attività. Molta letteratura
psicologica, medica e sociologica (Alacevich, 2010) ha più volte evidenziato questo problema
di salute; oggi, data l’evoluzione del dibattito sugli assetti organizzativi, possiamo affermare
che l’efficienza del sistema organizzato aziendale risente in maniera importante del livello di
benessere delle persone impegnate nell’attività.
I principi ergonomici Come precedentemente affermato: “Ergonomics (o Human Factors) è quella disciplina
scientifica che si occupa della comprensione delle interazioni fra l’uomo e gli altri elementi
di un sistema, ed è quella professione che applica teorie, principi, dati e metodi di progetta-
zione al fine di ottimizzare il benessere dell’uomo e la prestazione dell’intero sistema.” (IEA). A
tal riguardo, per poter affrontare con professionalità l’approccio alla valutazione dei rischi e
particolarmente ai rischi psicosociali, occorre uscire da una logica meccanica dei processi di
prevenzione e operare qualitativamente con una logica sistemica. Per fare questo, occorre,
inevitabilmente avere sul sistema organizzato un approccio di tipo ergonomico.
Già dalla definizione data dalla IEA, per comprendere l’interazione fra l’uomo e gli altri elementi
di un sistema è necessario un modello culturale di riferimento circa il funzionamento del
sistema vivente (uomo) nella relazione con gli altri sistemi in dialogo. Nell’approfondimento e
lo studio dei modelli di funzionamento del sistema cerebrale, fondamentale per la compren-
sione della relazione fra uomo e sistema organizzato è il “Modello dissipativo quantistico del
cervello” (v. supra). Non volendo entrare nel formalismo descrittivo del modello stesso, mi
limiterò ad evidenziare alcuni punti fondamentali di relazione fra il funzionamento del sistema
cerebrale e la costruzione di un sistema organizzato rispettoso del benessere delle persone.
Il rispetto della dinamica Il primo elemento che emerge in maniera chiara e indiscutibile dagli studi effettuati da Vitiello,
cerebrale nei metodi è che il sistema cervello è in relazione perenne con l’ambiente circostante (Vitiello, 2010). Tale
di lavoro proprietà, se debitamente considerata, permette immediatamente l’evoluzione progettuale e
ideativa delle persone addette al sistema di sicurezza e salute sul lavoro. Il nostro cervello
costruisce conoscenza attraverso la sua relazione con il mondo, o una parte di esso, come
meglio rappresenta quotidianamente l’azienda dove ognuno di noi vive e lavora. Questa
relazione con la parte di mondo (azienda) che noi frequentiamo diventa inevitabilmente
esperienza. Primo elemento di fondamentale riflessione operativa per le persone che si
occupano del sistema di benessere sul lavoro: è proprio dall’esperienza vissuta quotidiana-
mente nella relazione con la parte di mondo con cui si dialoga (organizzazione aziendale) che
emergono gli elementi di “positività” o all’opposto di “negatività” percepiti dalle persone che
esperiscono la relazione.
La relazione con il sistema organizzato, quindi, può “stimolare” conoscenza sempre più
evoluta o “inibire” l’evoluzione, (miglioramento) derivata proprio dall’acquisizione della
“nuova conoscenza”. Tale nuova “acquisizione” è la risultante di una naturale necessità
funzionale. Non mi soffermo sulle modalità di funzionamento della relazione uomo-mondo
(Vitiello, 2008), però mi preme porre in rilievo come il nostro cervello nel momento in cui crea
“nuova conoscenza” o “nuova ideazione creativa” lo fa mettendo in relazione e ricontestua-
lizzando nell’immediatezza tutte le esperienze pregresse vissute dalla persona. Ciò porta ad
affermare che il lavoro nella sua dimensione “vera”, ideato con criteri ergonomici “reali”, può
essere anche performante e promotore di un sistema di benessere effettivo; ma su questo
tema il dibattito culturale è ancora molto “accesso” e non potremo esaurirlo in queste poche
riflessioni. Per coloro invece che si occupano di stress lavoro-correlato o di gestione del
sistema di sicurezza e salute sul lavoro, mi preme ribadire come “funzionalmente” il nostro
cervello fa esperienza e crea conoscenza. Questa conoscenza, prima denominato “nuova
ideazione creativa”, non può essere inibita da modelli organizzativi e procedurali che non
permettono il normale funzionamento del sistema cerebrale, in quanto il sistema vivente così
mutilato ne risentirebbe immediatamente in termini di “benessere” (Vitiello, 2010). Chi
gestisce l’organizzazione deve avere la capacità culturale di inibire l’eventuale “costrittività
organizzativa” da lui pensata, per proporla come elemento di ricontestualizzazione della
relazione persone-organizzazione. Senza questo passaggio metodologico si rischia di pro-
porre prassi degenerative di costruzione dei sistemi organizzati, basati su postulati culturali di
modelli ormai “arcaici” sia per lo sviluppo dell’impresa che per lo sviluppo vitale delle persone.
Tra l’altro, tali modelli “meccanici” di costruzione della realtà organizzativa non trovano alcuna
“giustificazione” circa l’ottemperanza normativa del “rispetto dei principi ergonomici
nell’organizzazione”.
Specificando meglio il concetto descritto, dato che il D.Lgs. n. 81/2008 con l’art. 15 prevede
“... il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro ... e nella definizione dei
metodi di lavoro” si capisce, per quanto sopra detto ed in relazione a quanto approfondito in
base alle nuove conoscenze scientifiche, come nella definizione dei metodi di lavoro applicati
debba essere rispettata quanto meno la necessaria dinamica funzionale del sistema cerebrale
(come organo fondamentale del sistema-uomo). Se l’azienda intende operare con criteri
ergonomici deve necessariamente porre al centro delle prassi organizzative il sistema vivente
(lavoratore) e la sua funzionalità, e su questa funzionalità costruire i metodi di lavoro applicati
nel sistema produttivo (norma ISO 26800 Ergonomics - General Approach and principles and
concepts).
La scelta del legislatore circa l’art. 15, D.Lgs. n. 81/2008 è stata quella di non prevedere una
sanzione per la disposizione nei suoi aspetti generali. Ciò non vuol dire, come il lettore saprà,
che tale articolo non debba essere applicato. Proprio perché le “Misure generali di tutela”
riconoscono la non punibilità nella parte generale, se non in collegamento con gli articoli
specifici o con un eventuale danno alla persona, l’ottemperanza ad esso, nel pieno rispetto del
dettato normativo, permette sviluppo progettuale e organizzativo “di tipo sperimentale” nei
vari contesti aziendali.
L’organizzazione come Emerge dagli studi sul modello dissipativo quantistico del cervello come il nostro sistema
sistema aperto cerebrale sia e operi funzionalmente come un “sistema aperto”. L’interazione permanente
con l’ambiente circostante è ineliminabile e produce una dinamica “dissipativa” verso
l’ambiente e viceversa che è condizione fondamentale della vita (Vitiello, 2001). Il rapporto
tra il sistema cerebrale e l’ambiente è quindi sicuramente dialogico, ma per produrre evolu-
zione deve necessariamente essere foriero di “esperienze di tipo ergonomico”. In tal modo
essendo un rapporto di reciproco scambio e di reciproca influenza permette alla persona di
ricostruire un nuovo panorama di relazione, dove poter avere maggiore “presa sul mondo”
attraverso l’innovazione di processo da lui/lei ideata. Cercando di rendere ancora più chiaro e
definito il concetto, se, come detto, è stato dimostrato che il cervello e quindi l’essere umano
opera funzionalmente come un sistema aperto, scambiando flussi di energia con l’ambiente
con cui si relaziona e ricevendo nuovi flussi (stimoli) dall’ambiente stesso, (paragonabili al
livello di dissipazione emessa), allora si capisce che diventa fondamentale in termini orga-
nizzativi concepire l’architettura organizzativa rispettando tale dinamica. In quest’ottica, ad
esempio, l’empatia (rapporto emozionale) espressa nella relazione fra lavoratori, rispetto al
loro lavoro (da svolgere o svolto), permette uno scambio energetico con l’ambiente organiz-
zato precursore di un duplice sviluppo: evoluzione produttiva ed evoluzione del suo benes-
sere. Il lavoratore, posto in un sistema organizzato rispettoso della sua capacità ideativa, vede
nell’espletamento della dinamica cerebrale un elemento funzionale necessario alla realizza-
zione operativa. Tale elemento di costruzione del suo “essere nel mondo” (Vitiello, 2008) può
promuovere un livello di ben-essere adeguato, precursore di ulteriore miglioramento opera-
tivo e di benessere sul lavoro. Allora si comprende come diventi funzionale, in termini di
prevenzione dello stress lavoro-correlato, cercare di costruire un ambiente di lavoro (orga-
nizzazione) che operi con caratteristiche tipiche dei sistemi aperti: un’organizzazione che
permette emersione della “dissipazione” delle idee dei lavoratori (innovazioni operative),
affinché opportunamente socializzate e ricontestualizzate all’interno dei processi di lavoro
possano permettere evoluzione qualitativa del sistema produttivo, con importanti ricadute sul
benessere delle persone perché da loro pensate e proposte. Tale impostazione culturale e
organizzativa permette di rendere compatibili i miglioramenti produttivi ottenuti con il miglio-
ramento del livello di benessere dei lavoratori. Tale miglioramento, così pensato, deriva
proprio dallo scambio relazionale con la parte di mondo (organizzazione) con cui essi interagi-
scono in termini realizzativi (principio ergonomico dell’ottimizzazione). La stessa qualità
produttiva, al di là della connotazione normativa (ISO 9001) si gioca, molto più, proprio sul
piano dell’apertura all’informalità procedurale che si trasforma in processo realizzativo, in
quanto tali procedure hanno al loro interno il “vero sentire” del lavoratore.
Quel “sentimento” di costruzione se ben compreso e gestito può divenire elemento di
sviluppo e riprogettazione (miglioramento) da integrare e rendere operativo sul piano formale
delle procedure. La vera qualità produttiva e il necessario sistema di benessere delle persone
si gioca proprio sul piano dell’informalità, perché questa ha già integrato in ciò che emerge sul
piano realizzativo, la stretta connessione fra “sentimento” e azione. Dall’informalità emersa
occorre costruire la formalità procedurale e non viceversa, come capita spesso nelle aziende.
Se l’azienda, intende perseguire la vera qualità, non può fare a meno di un’impostazione
culturale legata al funzionamento dei sistemi aperti.
Appare evidente che nella governance aziendale così come nel livello gestionale, occorre
avere una cultura sistemica “aperta”, capace di integrare le novità derivate dal sapere
organizzato dei lavoratori a qualsiasi livello. Tale apertura culturale serve al sistema per
riproporsi, in termini formali, come “risultato di partenza” che apra a nuove spinte evolutive
derivanti da un processo di partecipazione dell’intero assetto aziendale. Occorre dare senso e
significato (Weick, 1997) alle azioni organizzative e procedurali, in quanto quel senso e
significato derivante dal sentimento degli operatori a qualsiasi livello sia anche performante
di ben-essere (esistere bene) con risultati di evoluzione produttiva qualitativa.
All’opposto, se l’organizzazione aziendale è strutturata su piani meramente formali e su una
cultura meccanicistica “asettica” da ogni valenza psicosociale, con procedure rigide e
statiche create al fine unico di dare visibilità esclusiva all’ottemperanza metodologica, si
avrà regressione qualitativa nel processo produttivo perché privo di quel rapporto “emozio-
nale” fra lavoratori e loro mondo (processo di interazione con l’organizzazione) che è fonda-
mentale per la costruzione di organizzazioni efficienti e benessere sul lavoro.
Paradossalmente, in questa visione meccanicistica della qualità, l’unico spazio di evoluzione
del sistema è l’eventuale non conformità. In tale sistema gli aspetti gestionali del manage-
ment dovrebbero essere giocati proprio nel premiare le non conformità operative, in uno
spazio temporale definito, studiato e partecipato (scongelamento del sistema) (Schein, 2001)
per poi ricostruire proprio sulle non conformità emerse la vera qualità procedurale. Tale
capacità culturale e manageriale, sostenuta dalla logica organizzativa collegata alla dinamicità
dei sistemi aperti, permette di creare relazioni positive fra l’uomo e il processo produttivo con
la necessità “naturale” di ricercare spazi di miglioramento. Tali spazi di miglioramento
possono manifestarsi in tutta la loro dimensione e globalità, favorendo come risultato un
clima di benessere “reale” delle persone che sono impegnate nei processi realizzativi.
L’intero sistema azienda deve, quindi, operare come sistema aperto, dalla governance
aziendale, al management, fino all’intero comparto operativo, comprendendo tutti i “portatori
d’interesse” (stakeholders) che si relazionano con l’intero processo economico. L’apertura
all’esterno del contesto, in ogni ambito o livello, permette ricontestualizzazione e dinamicità
del processo risultante proprio dai “feedback” monitorati e “presi in carico” come elementi di
miglioramento strutturale. Senza questa “apertura” il sistema azienda tenderebbe
all’irrigidimento e alla “staticità”, caratteristiche degenerative dei sistemi sociali e dei sistemi
viventi. L’intero universo normativo (ISO 9001 gestione della qualità - ISO 14001 gestione
ambientale - OHSAS 18001 Health and safety assessment, oggi ISO 45001) che ruota intorno
al mondo della produzione, tra l’altro, prevede necessariamente questa apertura gestional-
culturale dell’impresa costruita sul principio del miglioramento continuo. Fondamentale in
tema di responsabilità sociale dell’impresa, ad esempio, lo standard internazionale SA 8000
(Social Accountability) prefigura un vantaggio economico-competitivo rilevante, per le
aziende che mantengono il “brand” su livelli etici di sviluppo compatibili con il rispetto dei
diritti dei lavoratori, in un’ottica di accrescimento culturale e consapevolezza delle scelte
effettuate sul mercato.
L’approccio ergonomico all’organizzazione, oltre ad essere richiamato normativamente dal-
l’art. 15, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008, produce “vera qualità produttiva” perché attraverso la
gestione del sistema organizzato evita formalismi operativi e costrittività organizzative gene-
ratrici di staticità routinaria con inibizioni delle possibili evoluzioni di sistema (miglioramenti).
Nei modelli meccanicistici, talvolta, le “percezioni” di uno stato di malessere da parte dei
lavoratori possono essere spiegate proprio come l’impossibilità, da parte degli stessi, di
apportare al lavoro elementi innovativi derivanti dal loro sapere esperienziale. Tale mutilazione
della loro “creatività” operativa oltre ad essere foriera di “malessere” non produce sviluppo
organizzativo e produttivo “di qualità”. La cultura gestionale di tipo ergonomico, favorendo
l’apertura dei processi a logiche di miglioramento e ottimizzazione (principi dell’ergonomia)
riconosce l’interlocutore operativo (persona) come possibile creatore di nuove dimensioni
ideal-produttive. Tali dimensioni, fuori da logiche “deterministiche” (di tipo statico), sono
capaci di migliorare lo stato di benessere delle persone, attraverso la loro capacità ideativa che
si esprime nei processi con cui quotidianamente interloquiscono.
Le misure generali di tutela previste dal D.Lgs. n. 81/2008 e il rispetto dei principi ergonomici
nell’organizzazione, possono davvero rappresentare un “antidoto” alla manifestazione di
disfunzioni organizzative, che trovano nella manifestazione di patologie “stress lavoro-corre-
late”, una chiara dimostrazione di un processo organizzativo disfunzionale e improduttivo (dal
punto di vista qualitativo).
La cultura sistemica tipica dello sviluppo legato al rispetto dei principi ergonomici nell’orga-
nizzazione, nei metodi di lavoro e nella produzione, come ricordato nel D.Lgs. n. 81/2008,
identifica e promuove l’azienda come sistema formato da sistemi (Morin, 1994) organizzati e
informali. Analizza i fenomeni che si manifestano, come risultato di un equilibrio multifattoriale
momentaneamente raggiunto (non statico), da parte degli elementi che sono in relazione nei
sistemi e che compongono l’azienda stessa. Si capisce, quindi, come la relazione fra sistemi
assume importanza manageriale e gestionale e non l’intervento sul singolo elemento di
processo che può essere tranquillamente analizzato e gestito da propri collaboratori. La
relazione, oserei dire “armonizzazione”, dei singoli fenomeni aziendali, in un contesto più
evoluto capace di realizzare qualità e benessere sul lavoro è la vera sfida del manager
moderno. La capacità di possedere una cultura ergonomica legata all’organizzazione e al
suo “divenire”, diventa un elemento strategico fondamentale per le imprese che vogliono
permanere sul mercato sviluppando qualità.
Le logiche alla base Un insegnante che ha staccato la parte più profonda del proprio “sentire” e non riesce più a
della cultura trasmettere ai ragazzi la passione per lo studio, un operaio esperto che non riesce più ad
organizzativa essere costruttore attento di artefatti qualitativi, un manager che si distacca dalle relazioni e
dal proprio lavoro, un bravo chirurgo che smette di operare perché non si sente più all’altezza
del compito, un infermiere attento e premuroso che chiede di essere trasferito perché in quel
reparto non ce la fa più ... e così potremmo andare molto avanti; quanta “ricchezza professio-
nale” viene perduta per l’incapacità di utilizzare modelli e sistemi organizzati rispettosi della
funzionalità del sistema vivente (4).
Questa riflessione prende le mosse dalla fondamentale esigenza di dare risposte a tanta
disfunzione organizzativa che continua a produrre “arcaicamente” risultati “nefasti” sulla
salute delle persone che vivono quel contesto di lavoro. Esistono filoni di pensiero diversi nei
contesti che gestiscono o progettano organizzazioni. Per semplicità e concretezza analitica è
possibile dividere la cultura organizzativa in due grandi filoni: quella che ripercorre cultural-
mente logiche legate ai postulati del meccanicismo, e quella che sviluppa la logica organizza-
tiva sulla base delle coerenze derivate dalla cultura della complessità (5).
All’interno di questa riflessione è importante identificare gli assiomi e gli argomenti che
permettono l’interpretazione dei dati analitici necessari alla realizzazione di un assetto
organizzativo efficiente, attraverso il rispetto della funzionalità del sistema vivente. L’indivi-
duazione di soluzioni o sistemazioni organizzative scaturisce dall’interpretazione analitica dei
dati di realtà, la quale a sua volta deriva dalla visione culturale del manager di riferimento. Al fine
di identificare i principi progettuali su cui costruire procedure rispettose della dinamica
naturale dei sistemi cerebrali, occorre avere chiara la definizione di cultura come “l’insieme
di conoscenze che concorrono a formare la personalità e ad affermare le capacità ragionative
di un individuo” (6).
In questo contesto interessa “relativamente” capire le ragioni che inducono progettisti e
gestori dell’organizzazione ad abbracciare una filosofia operativa o l’altra, interessa molto di
più capire come le due interpretazioni intervengono nell’organizzazione del sistema e quali
ripercussioni esse hanno sul sistema di benessere delle persone che lavorano all’interno
dell’assetto produttivo.
Analisi dei diversi Senza dover entrare nel merito dei paradigmi culturali che hanno prodotto le due visioni ma
approcci alla cultura focalizzando l’analisi sui risultati che vengono prodotti in termini organizzativi, possiamo
organizzativa affermare che, mentre l’approccio meccanicista fa regredire l’organizzazione su un piano
statico, l’approccio organizzativo legato ai principi della complessità sviluppa l’organizzazione
su relazioni dinamiche ed evolutive. Questa prima analisi funzionale può, isolatamente dalle
altre variabili, rappresentare una caratteristica coerente al sistema vivente o viceversa
disfunzionale; ma per interpretarla meglio, occorre ricordare quali sono le caratteristiche
basilari dei sistemi viventi:
1) sono composti da cellule (sotto-sistemi in relazione);
2) richiedono energia (metabolismo);
3) si riproducono;
4) mostrano ereditarietà;
5) rispondono all’ambiente (rispondono agli stimoli dell’ambiente);
(4) G. Corbizzi Fattori, “Ergonomia organizzativa e rispetto dei principi ergonomici”, in I danni da stress lavoro-correlato, Altalex WKI
Milano, 2015..
(5) G. Corbizzi Fattori, “Lo scontro fra culture organizzative”, in ISL Igiene & Sicurezza del Lavoro, 2010, 5, pag. 315.
(6) Il Sabatini Colletti. Dizionario della Lingua Italiana, Rizzoli, Larousse, Milano, 2007.
permette un dispiegarsi armonico del loro sapere, proprio all’interno del processo di miglio-
ramento da loro ideato.
Il livello manageriale moderno dovrebbe uscire definitivamente dalla razionalizzazione esclu-
dente (13), accogliendo, promuovendo e supportando tale processo gestionale evolutivo,
perché rispettoso dei lavoratori e contemporaneamente anticipatore del raggiungimento
degli obiettivi aziendali di miglioramento continuo. Si creerebbe così un circolo virtuoso, che
sosterrebbe il livello di ben-essere delle persone impegnate nelle attività lavorative; tale
dinamica funzionale, infatti, permette la gestione e l’implementazione di processi di miglio-
ramento capaci di costituire le premesse di sviluppo, innovazione e crescita d’impresa.
I danni della tecnocrazia: Per esplicitare l’applicazione pratica di tale impostazione culturale e le ripercussioni che
lo SLC questa può avere all’interno dei contesti produttivi, mi preme iniziare l’approfondimento
dall’analizzare i danni che la cultura meccanica produce nella progettazione e gestione delle
procedure di lavoro. Occorre ricordare che tali dinamiche organizzative vengono misurate
nella parte analitica legata alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato; gli indicatori
usati sono: funzione e cultura organizzativa, e ancor più autonomia gestionale e controllo del
lavoro.
Le risultanze analitiche della valutazione divengono parte integrante del DVR aziendale,
assumono rilevanza strategica nella gestione del rischio psicosociale e sono direttamente
influenti sul livello operativo e percettivo dei lavoratori. Il rapporto dello studio commissionato
dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e Salute sul lavoro sul “Calcolo dei costi dello stress e dei
rischi psicosociali nei luoghi di lavoro” individua negli indicatori “controllo del proprio lavoro e
margine discrezionale ridotto nell’operatività” due elementi correlati a patologie importanti
quali depressione e malattie cardiovascolari.
Diviene, quindi, necessario interrogarsi e riflettere (prevenzione primaria) sulle dinamiche
relazionali che le procedure e la loro progettazione generano nel livello di benessere dei
lavoratori per mezzo degli assetti organizzativi predisposti e delle prassi operative prefigurate.
Il ruolo delle procedure Non è infrequente, in contesti di lavoro che, negli ultimi anni, hanno iniziato o terminato un
aziendali percorso legato ai sistemi di qualità (ISO 9001), imbattersi in un “errore culturale” nell’impo-
stazione e progettazione delle procedure di lavoro. L’avvento del “sistema qualità” all’interno
dei contesti di lavoro ha portato alla necessità di redigere procedure per la gestione delle
attività finalizzate alla realizzazione di prodotti o servizi. Spesso la fretta o la buona volontà di
pervenire alla certificazione dei sistemi hanno generato errori ed equivoci nell’impostazione
culturale di coloro che hanno progettato le procedure, i quali hanno finito per scambiare le
procedure necessarie alla rendicontazione del sistema con le procedure di lavoro. Tale
ingannevole interpretazione ha inibito la possibilità, da parte dei manager aziendali, di cono-
scere i fenomeni spontanei di miglioramento (sistemico) collegati all’andamento del processo
produttivo.
La valutazione dei rischi psicosociali verifica proprio fino a che punto la realtà aziendale
corrisponda ai requisiti individuati per lo sviluppo e valorizzazione della risorsa umana (14).
L’ignoranza della conoscenza dei livelli relazionali fra risultati produttivi e benessere dei
lavoratori ha minato alla base le ragioni stesse su cui si erano costruiti e strutturati i sistemi
di qualità in Europa. Questa fallace pianificazione, se non risolta e bonificata (come previsto
dalla revisione ISO 9001/2015), porta inevitabilmente alla regressione statica delle attività
operative con ricadute negative sul benessere delle persone che vivono il contesto
organizzato.
L’“errore culturale” che (forse involontariamente) spesso è stato commesso da coloro che
hanno predisposto le procedure e che, in parte, viene riconosciuto dagli stessi in momenti
informali, è stato quello di pensare che tali dispositivi non servissero a supportare la rendi-
contazione della gestione del sistema qualità, ma fossero lo strumento per una standardizza-
zione degli interventi operativi, micro-sezionati e razionalizzati all’eccesso, perché da tale
impostazione potesse nascere maggiore funzionalità del prodotto o servizio. Tale imposta-
zione culturale (di tipo meccanicistico) considera la persona residuale rispetto all’affidabilità
qualitativa del risultato produttivo, ma la cosa su cui riflettere riguarda le ripercussioni negative
sulla salute che tale impostazione genera nei lavoratori inseriti in simili contesti. La procedura,
così fatta, (statica e microsezionata) non permette all’operatore il naturale esplicarsi del
proprio “sapere competente”, ed ancor più lo espropria della capacità o possibilità di generare
miglioramenti connaturati alla professionalità espressa nelle operazioni di lavoro. Questa
pianificazione, oltre ad essere ormai riconosciuta fallimentare da molta letteratura organizza-
tiva, ha ricadute negative sul risultato produttivo perché si attesta esclusivamente
(13) E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano, 1993.
(14) F. Simonini, M. Giannini, G. Corbizzi Fattori, “Dalla qualità organizzativa dei sistemi produttivi alla valutazione del rischio
psicosociale”, in ISL Igiene & Sicurezza del Lavoro, 2009, 2, pag. 66.
sull’ottemperanza formale descritta dalla procedura. Tale agire “meccanico” oltre ad essere
“arcaico”, ha conseguenze nefaste anche sul “benessere” dell’operatore che esplica le
attività. La regressione professionale di tale impostazione genera un sentimento “di distacco,
incertezza, anomia operativa” fra il sentire di dover “fare qualcosa in più” (atteggiamento
proattivo) per migliorare le operazioni da compiere, ed il “routinario” fare procedurale. Le
analisi organizzative dimostrano che il permanere di tale assetto organizzativo indurrà i
lavoratori ad attestare le proprie attività professionali su un piano più formale, privo di
senso e significato (15), indirizzando gli interventi sull’ottemperanza procedurale più che
sullo sviluppo del miglioramento possibile.
Le azioni partecipative Se l’obiettivo è la standardizzazione delle operazioni, altre sono le azioni utili a questo scopo,
verso la vale a dire iniziative di coinvolgimento del personale di tipo professionale e culturale, intra ed
standardizzazione extra reparto o azienda, ad esempio:
— incontri e riunioni fra lavoratori dei reparti;
— scambi di pareri e discussioni sulle metodologie operative;
— socializzazione e approfondimento di eventuali sviluppi interpretativi differenziati;
— brainstorming o focus group professionali sulle operazioni da compiere ed eventualmente
sui rischi e sulle “bonifiche” da attuare.
Tali relazioni partecipative al cambiamento permetterebbero ricontestualizzazione delle ope-
razioni e nuova acquisizione di conoscenza operativa utile ad elevare i livelli di benessere delle
persone quotidianamente impegnate nelle attività, perché per-formanti di sviluppo cognitivo.
Se è ovviamente corretto seguire delle procedure di lavoro, è però culturalmente fallimentare
mettere sotto procedura ogni singolo micropassaggio operativo e relazionale, in quanto tale
operazione inibisce la possibilità di ogni processo evolutivo. Questo esproprio organizzativo,
oltre ad essere un danno per il processo produttivo, come detto, non permette il naturale
funzionamento del sistema cerebrale. La persona impegnata nelle attività non trova più spazi
di dissipazione esperienziale che, opportunamente relazionati (tra loro), permetterebbero
evoluzione operativa e l’inibizione di tale dinamica ha una ripercussione negativa diretta sul
suo sistema di benessere. L’impossibilità di esprimere la necessaria “professionalità” nelle
attività espone il lavoratore ad una perenne insoddisfazione per il proprio “agire professio-
nale” in quanto ogni prassi operativa viene vissuta “asetticamente” più nell’ottica della
formalità che in quella della sostanzialità evolutiva (spesso qualitativa) dell’atto operativo.
Tale impostazione non permette la giusta “presa in carico” e ricontestualizzazione positiva e
peculiare delle prassi di lavoro, così l’elemento mancante “di naturale” soddisfazione dell’e-
spressione della propria professionalità può, nel tempo, trasformarsi in strutturale ed inibire la
possibilità di compensazione. In tale contesto si induce una regressione dei livelli di benessere
e si amplificano le possibilità di sviluppo degli elementi stressogeni.
Gli esseri viventi sono in relazione perenne con il mondo; nell’attività lavorativa una parte di
mondo è rappresentata dal sistema organizzato con cui la persona interagisce. È altresì una
necessità funzionale del sistema cervello avere spazi di evoluzione (nuova ideazione opera-
tiva), perché tali spazi rappresentano l’equilibrio dinamico nel quale si situa l’essere nel mondo
di quella persona. In termini gestionali occorre prendere atto del dato costitutivo rappresen-
tato dal funzionamento del sistema cerebrale ed avere la capacità di progettare organizzazioni
rispettose di tale funzionamento. Tale progettazione non rappresenta solo un elemento
“ergonomico” richiamato dalla norma (D.Lgs. n. 81/2008), ma permette ottimizzazione e
sviluppo dei risultati produttivi nell’ottica concreta e tangibile di qualità.
Il ruolo del management Il manager di cultura complessa difende il principio appena sopra espresso e si muove su un
aziendale piano dinamico legato alla pratica delle opportunità operative. Nella progettazione o gestione
delle procedure di lavoro avrà cura e necessità di non far regredire il processo produttivo su un
piano statico e di salvaguardare spazi autonomi (promossi, gestiti e monitorati) di nuova
ideazione operativa (fase evolutiva). Tali spazi creativi, formalizzati all’interno del processo
produttivo, potranno veramente rappresentare un elemento qualitativo di sviluppo del
sistema e risultare “per-formanti” del benessere dei lavoratori in quanto rispettosi della
dinamica dei flussi relazionali. Il bilanciamento dei flussi, “con le cose e con gli altri” è una
necessità funzionale del cervello. Quando questo bilanciamento non è possibile per motivi
endogeni o per circostanze ambientali o relazionali (organizzazione) si instaura una situazione
di stress (16). All’opposto di tale sbilanciamento stressante c’è la possibilità di un dialogo
armonioso con l’ambiente organizzato, dove il risultato produttivo (merce o servizio) in realtà
non è solo l’effetto meccanico di operazioni standardizzate e ripetute, ma porta in sé il
“sentimento”, la percezione, la naturale capacità evolutiva relazionale dei lavoratori rispetto
al contesto di lavoro. La costruzione di sistemi produttivi privi di stress passa attraverso la
pratica della cooperazione organizzativa come “forza risonante” (17) promossa e sostenuta
da un’adeguata cultura manageriale orientata ai principi della complessità. La consapevolezza
della funzionalità del sistema vivente fa emergere la sua centralità nello sviluppo organizzativo
(principio ergonomico), favorendo benessere dei lavoratori e affidabilità e qualità del prodotto
o servizio: elementi non trascurabili per uno sviluppo aziendale moderno.
Ergonomia organizzativa
La buona organizzazione
Strategia per la sicurezza Abbiamo assistito negli ultimi anni in Italia ad un vero e proprio incremento dell’importanza
della formazione e in particolare in ambito di prevenzione degli infortuni e malattie professio-
nali. Questo è il risultato “posticipato” con quanto applicato ormai da anni in molti Paesi
europei e finalmente recentemente recepito con l’accordo Stato-Regioni sulla formazione dei
lavoratori circa la loro sicurezza e la loro salute. Giustamente i legislatori ed i rappresentanti
delle Regioni e delle Istituzioni hanno puntualizzato all’interno dell’accordo i contenuti e le ore
necessarie per ottemperare ai dettami dell’art. 37, D.Lgs. n. 81/2008 ed hanno specificato in
maniera “lapalissiana” la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione sulla
sicurezza e salute sul lavoro a dirigenti, preposti e lavoratori.
Ormai da anni in Europa la necessità di avere un training formativo sulla sicurezza del lavoro e
sulle ricadute in termini di salute dei lavoratori è un “bagaglio culturale necessario e inso-
stituibile” per qualsiasi carica dirigenziale e/o manageriale di qualunque azienda europea (dato
che le dimensioni aziendali sono notevolmente maggiori delle nostre). Affinché tutto questo
“movimento culturale” sugli aspetti di prevenzione degli infortuni e delle malattie professio-
nali abbia ricadute in termini di benessere delle persone e di miglioramento qualitativo dei
risultati aziendali, occorre sottolineare l’importanza che assume una buona organizzazione
aziendale anche in relazione al flusso di idee ed esperienze che potrebbe generare il
ricevimento e l’applicazione della “nuova formazione acquisita” sui rischi e sulla loro gestione.
Cultura ergonomica Le aree di intervento formativo, nonché i contenuti e la loro durata sono stabilite dall’accordo
e analisi dei bisogni Stato-Regioni, mentre per quanto riguarda le metodologie d’intervento “giustamente” si
formativi riporta l’importanza del fatto che siano effettuate con un approccio interattivo che comporta la
centralità del lavoratore nel percorso di apprendimento (principio ergonomico). Affinché gli
interventi formativi non siano meramente convenzionali e nozionistici, occorre necessaria-
mente che siano pensati e strutturati sui bisogni del ricevente e non sui bisogni formali
individuati dal decreto. Questo passaggio progettuale è di fondamentale importanza: l’analisi
dei bisogni formativi è l’elemento portante di tutta la struttura di apprendimento disegnata
dalla normativa. Senza questo passaggio “di qualità” legato alla conoscenza dei bisogni degli
“utenti”, che in questo caso sono i lavoratori, sarà impossibile “centrare l’obiettivo” di ogni
buona formazione: cioè promuovere nelle persone sottoposte a training un processo di
apprendimento capace di far evolvere le azioni operative su elementi di qualità contenenti
le prassi riguardanti la loro sicurezza e la loro salute. Se il processo formativo producesse
ricadute in termini esperienziali negative o addirittura indifferenti (che sono peggio di negative)
allora si correrebbe il rischio di veder regredire il “sentire” della persona legato alla preven-
zione dei rischi sul lavoro su un piano di “eterna indifferenza” e l’orizzonte di avere lavoratori
pro-attivi rispetto alla loro salute ed a quella dei loro colleghi (come auspica l’impostazione
europea della norma) diventa irraggiungibile.
La formazione per essere realmente “form-azione” deve essere gestita quanto meno
attraverso il rispetto di “quei principi ergonomici” che permettono un’ottimizzazione dell’in-
contro esperienziale fra docente e discente. L’uomo, quindi, le persone e i loro stati senti-
mentali al centro dell’attività formativa, con le loro esperienze, i loro problemi operativi, le
procedure di sicurezza e salute sul lavoro formali ed informali. Solo attraverso questa
dimensione relazionale potremo sperare di avere incontro, condivisione e crescita di concetti
e prassi legati al benessere ed allo sviluppo.
La cultura della complessità e la ridisegnata visione della realtà ci porta a dire che, se la persona
(sistema vivente) che partecipa all’attività formativa “non vive” in una organizzazione che
opera con una visione di sistema-aperto ed è, quindi, impossibilitato a rompere l’eventuale
barriera che limita la sua relazione con i sottosistemi che compongono il sistema organizzato,
una volta rientrato nell’organizzazione produttiva si troverà a gestire feedback negativi rispetto
alla nuova acquisizione concettuale in termini di gestione del rischio. La non possibilità di
rimodellare le eventuali procedure produttive (spesso non condivise e partecipate)
(17) E. Del Giudice, “La forza risonante: contributo della fisica quantistica alla costruzione di sistemi produttivi privi di stress, mobbing e
burnout”, in AA.VV., “Lavorare serenamente: prospettive per il futuro”, in ISL Igiene & Sicurezza del Lavoro, 2013, 4, Inserto.
produttivo efficiente e di qualità non può essere addebitata che al “vero manager”. Questo è il
cambiamento che continua arcaicamente a non essere effettuato dalle strutture gestionali e
investe pienamente il ruolo del manager presente e futuro.
La cultura sistemica legata ai principi della complessità (Morin, 1994) “vede” l’organizzazione
come sistema aperto in continua evoluzione (condizione necessaria alla sopravvivenza
aziendale) e sfrutta le opportunità produttive (derivate dalle capacità cognitivo-operative dei
lavoratori) come elemento di sviluppo e miglioramento.
La possibilità di strutturare in maniera sensata le operazioni, oltre a permettere livelli qualitativi
di produzione più evoluti è un precursore di benessere delle persone in quanto non permette
mutilazioni funzionali del sistema cerebrale (Vitiello, 2010). Partendo proprio dalla capacità
degli operatori di essere “costruttori” (in termini funzionali) delle operazioni realizzative, si
permette una relazione sé-ambiente-mondo funzionale alla dinamica cerebrale, per cui la loro
ridisegnata acquisizione concettuale rispetto alla gestione personale del rischio aumenta e
viene percepita come elemento di sviluppo e benessere e non come costrittività pensata da
altri.
Potremmo chiudere questa riflessione sottolineando semplicemente che il manager con
cultura meccanica guarda al passato ma non percepisce l’importanza del futuro (visione
riduzionista del ruolo), il manager con cultura sistemica guarda al futuro e cerca di far evolvere
gli errori del passato per migliorare i livelli qualitativi del presente.
Il lettore potrà dire se sono compatibili e funzionali “ibridi” o “derivati” ma per il sottoscritto la
visione del presente è talmente diversa che ben difficilmente potremo trovare punti di
contatto contemporaneamente: o si è sistemici o si è meccanici.
Guardando alla sicurezza e salute dei lavoratori, il processo di armonizzazione delinea e
sostiene una visione dell’azienda europea come sistema aperto, responsabile socialmente,
attenta ai diritti delle persone operanti nell’intera filiera produttiva (SA 8000) capace di
monitorare e promuovere livelli di benessere dei lavoratori sempre più evoluti attraverso
una continua attività di valutazione e riesame della situazione con obiettivi di miglioramento
continuo.
Partendo da questi presupposti, il manager che vive nella modernità non può continuare a
permettersi (dato il mutato paradigma produttivo a livello mondiale) una visione riduzionista e
meccanica del proprio ruolo, né può permettersi di considerare la salute dei lavoratori ed il loro
ben-essere elemento aggiuntivo e indipendente dal risultato produttivo.
Il D.Lgs. n. 81/2008, nel Titolo I “Gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro”,
stabilisce alla lett. d), comma 1, art. 15, rubricato “Misure generali di tutela”, “il rispetto
dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, ...” a significare in maniera
inequivocabile che la strada tracciata dalla normativa europea sulla sicurezza e salute
sul lavoro è molto netta: il rispetto dei principi ergonomici fin dall’organizzazione del
lavoro progettata e attuata.
A questo riguardo, ancora una volta, l’interpretazione e l’applicazione dell’articolato legislativo
è stata riduzionista e meccanica, considerando il rispetto dei principi ergonomici solo come la
scelta nelle attrezzature dotate di videoterminale e/o la verifica dei tempi e dei modi previsti
nella valutazione del rischio da movimentazione dei carichi. Poco o nulla si è realizzato a livello
gestionale e organizzativo e ancor più, il ritardo culturale su questa disciplina ha prodotto un
approccio al sistema di sicurezza e salute sul lavoro ancora vissuto come sovrastrutturale al
prodotto da realizzare e pertanto probabilmente ancora percepito managerialmente come
“zavorra” e non “opportunità”.
L’art. 37, D.Lgs n. 81/2008 e il successivo Accordo Stato-Regioni sulla Formazione obbliga
tutti gli attori aziendali a svolgere training formativi riguardanti la sicurezza e salute sul lavoro:
ormai il dato è certo, l’obbligo inderogabile, ma se questo basterà a cambiare la cultura
manageriale e le prassi gestionali, facendo di questa tematica un elemento fondamentale di
sviluppo produttivo e sociale, lo potremo scoprire tutti insieme attraverso i risultati dell’inno-
vazione gestionale realizzata dalle nostre aziende.
Applicazione dei principi Nel rapporto della Commissione Salute presso lo European Observatory on Health
ergonomici nelle Sistems and Policies (2010), come detto, è stata proposta la definizione di “benessere”
organizzazioni di lavoro come lo stato “emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere”; ciò con-
sente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società.
Questo studio cerca di rispondere a due domande fondamentali che si pongono spesso
coloro che si occupano di benessere organizzativo: quando possiamo affermare che il
nostro esistere sul lavoro è sufficientemente “esperito” dal punto di vista emotivo,
mentale, fisico e sociale, così da perseguire una tendenza volta al benessere vitale?
Quali sono le caratteristiche di un’organizzazione che intende perseguire livelli di
benessere delle persone impegnate nelle attività perché ha compreso ormai come il
binomio benessere/sviluppo possa essere elemento fondamentale di “qualità produt-
tiva” con conseguenze positive sul mercato concorrenziale (18)?
Il rispetto di principi ergonomici, a livello organizzativo, pone un ripensamento impor-
tante fra gli “addetti al sistema di salute e sicurezza aziendale” perché prevede la
necessità di individuare aspetti ed ingredienti del sistema produttivo (capaci di monito-
rare la sua tendenza), nell’ottica di “migliorare e promuovere effetti positivi sui lavoratori
per ricercare un completo stato di benessere fisico, psichico e sociale”. L’opportunità di
ripensare e riprogettare le opportune valutazioni di tipo organizzativo, che la norma
promuove ai fini della valutazione del rischio psicosociale diventano elementi di sviluppo
ergonomico circa gli aspetti di tipo cognitivo, emozionale e sociale che rappresentano le
componenti qualitative delle norme ergonomiche, coerentemente con il rispetto dei
principi connessi all’Ergonomic design work (ISO 26800 - General Approach and princi-
ples and concepts).
Si evidenziano, quindi, alcuni elementi fondamentali del dibattito socio-psicologico ed orga-
nizzativo in genere, che possono essere forieri di evoluzione culturale notevole per gli assetti
organizzativi che nel futuro scaturiranno.
Per le ragioni più volte evidenziate (19) un approccio di tipo sociologico legato alla cultura della
complessità ci permette di vedere in questo articolato un grande elemento di sviluppo
organizzativo basato su alcune affermazioni fondamentali circa la tematica dello stress
lavoro-correlato.
Principi ergonomici La letteratura scientifica inerente l’approccio ergonomico, mette in evidenza l’importanza
e stress lavoro-correlato delle relazioni sotto-sistemiche dell’organizzazione che possono generare evoluzione o
involuzione dei risultati produttivi.
Tali relazioni, addirittura sotto-valutate e spesso non considerate (in termini analitici) dagli
stessi addetti del sistema di sicurezza e salute aziendale, dovrebbero invece essere esami-
nate e valutate strutturali all’andamento sistematico dell’intera organizzazione perché rap-
presentano gli elementi di equilibrio delle dimensioni organizzative. Tale “modus operandi”
rappresenterebbe inoltre un elemento qualitativo di analisi e valutazione del livello di benes-
sere psicofisico promosso e avvalorato dalle stesse norme ergonomiche di riferimento (20).
La stessa norma UNI-EN ISO 10075 - 2: 2017 (Ergonomic principles related to mental
workload) mette in relazione il carico di lavoro mentale e la progettazione dei sistemi di lavoro
inserendo nella valutazione gli aspetti operativi legati allo stress lavoro-correlato. La gestione
dinamica dei rischi psicosociali è compresa inoltre nelle definizioni dell’ILO (International
Labour Organization) nonché nella definizione di benessere lavorativo dell’Oms (Organizza-
zione Mondiale della Sanità): “stato mentale dinamico, caratterizzato da un’adeguata armonia
tra capacità, esigenze ed aspettative di un individuo ed esigenze ed opportunità ambientali”.
Nel contesto lavorativo, logicamente, le opportunità ambientali citate dalla definizione si
identificano con le opportunità di sviluppo organizzativo (ambiente-organizzazione). Ne
emerge quindi, un quadro complesso nell’analisi dello stress lavoro-correlato (D.Lgs. n. 81/
2008) che non può essere ridotto alla esclusiva applicazione metodologica, ma che debba
necessariamente essere inquadrato in uno sviluppo organizzativo rispettoso del benessere
generale delle persone nel contesto di lavoro.
Lo stesso articolo sopracitato del D.Lgs. n. 81/2008 (art. 15) sulle “Misure generali di tutela”
recita: il “Rispetto dei principi ergonomici ... omissis ... nella definizione dei metodi di lavoro e
produzione, al fine di ridurre il lavoro monotono e quello ripetitivo”. Guardando all’etimologia
della parola monotono significa “tono unico”, come caratteristica negativa in termini di
prevenzione, cioè indica la necessità nel procedere del lavoro di essere organizzato in maniera
tale da offrire spazi di evoluzione crescente. L’incapacità di costruire o progettare attività
lavorative che non siano prive di interessi ed emozioni a livello cognitivo, può rappresentare,
se mantenute per lungo periodo sul medesimo flusso esecutivo “ripetitivo e statico” (privo di
nuove ideazioni operative), una componente importante dell’eventuale processo stresso-
geno dannoso per il benessere dei lavoratori. Tale dis-funzione organizzativa potrebbe
strutturarsi a livello cognitivo ed alterare la percezione della relazione persona-organizzazione
fino addirittura a produrre patologia SLC.
Se a quanto sopradetto aggiungiamo l’aggettivo ripetitivo usato dalla normativa e deduciamo
dall’analisi lessicale della parola ripetizione (dal latino repetǐtǐo-ōnis, da re-petěre), da cui
emerge il valore iterativo (re-) dell’operazione svolta e la richiesta (petěre) della stessa, emerge
11) Ha possibilità di applicare le idee di miglioramento operativo che apprende con l’esperienza?
12) Ha possibilità di spiegare ad altri le idee di miglioramento operativo o di metodo di lavoro che apprende con l’esperienza?
7) Lei può parlare, scambiare idee, proporre metodologie nuove con gli altri colleghi?
9) Esistono momenti dove lei può apprendere da altri colleghi miglioramenti operativi?
□ □ □
Sezione A
Rispetto della dinamica funzionale del sistema cerebrale nei metodi di lavoro
(Dinamica relazionale della persona)
1. Le sue operazioni sono:
a) ripetute
b) standardizzate
c) variano
2. Esistono situazioni conflittuali con i colleghi:
a) sì
b) no
c) se sì: sempre (ogni giorno), spesso (ogni settimana),talvolta (ogni 15 giorni),raramente (ogni
mese)
3. Nelle sue operazioni ha possibilità di relazione con i colleghi:
a) sì
b) no
4. Nel turno di lavoro sono previste pause:
a) sì
b) no
- se sì (vengono rispettate): sì, no,
(Dinamica dello spazio auto-organizzato delle operazioni)
5. Ha possibilità di organizzarsi il lavoro da svolgere:
a) sì
b) no
6. Ha possibilità di farlo per una parte del lavoro da svolgere:
a) sì
b) no
7. Ha un ritmo di lavoro elevato del lavoro:
a) sì
b) no
c) in alcuni momenti
8. Ha possibilità di applicare, nelle operazioni, ciò che ha imparato con l’esperienza
a) sì
b) no
(Dinamica del miglioramento operativo)
9. I cambiamenti o miglioramenti operativi sono pensati:
a) dalla direzione
b) dal coordinatore del gruppo
c) dal gruppo di lavoro insieme al coordinatore
10. Ha possibilità di migliorare le operazioni da compiere nel lavoro che svolge:
a) sì
b) no
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