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dottorando
Giorgio Ciarallo
relatori
dottorando
Giorgio Ciarallo
indirizzo:
via Prima Strada 19/B,
20020 - Lainate (MI)
4 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
INDICE
Ringraziamenti
Introduzione pg. 9
5. Nelle città del Mediterraneo: le differenti forme del progetto urbano pg. 197
5.1 Il progetto urbano allo specchio: convergenze e distinzioni tra costa europea pg. 199
e PSEM
5.2 Conclusioni: le declinazioni del progetto urbano nei PSEM pg. 213
5.2.1 Il ‘chi’ del progetto urbano: pg. 215
dal rapporto con la città a quello con la finanza?
5.2.2 Il ‘come’ del progetto: pg. 219
alterazione del modello o limiti dello strumento?
5.2.3 Il ‘dove’ del progetto: pg. 223
opportunità strategica o squilibrio speculativo?
In copertina
Tunisi: Petite Sicile e il Lac Sud,
attendono progetti urbani.
(foto Giorgio Ciarallo,
2007)
6 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Ringraziamenti
il mio primo ringraziamento va a Luisa, mia moglie, e a Lea, la nostra bambina... che noi ‘ci crescia-
mo’ l’un l’altro. Anche questa volta: grazie!
Ringrazio i miei genitori, Luciana e Roberto per i caffè, i pasti caldi e per i lunghi silenzi lavorati-
vi; mia sorella Stefania e mio cognato Andrea ed i miei suoceri Maria e Tommaso per il supporto
dato.
Vorrei ringraziare, per le numerose indicazioni e per gli insegnamenti, i miei due relatori, la Pro-
fessoressa Corinna Morandi e il Professore Giuseppe Cinà. La mia speranza è che questo lavoro
possa avervi appassionato, come ha appassionato me.
I miei amici, nonché colleghi: Ugo Nocera, Emiliano Bugatti, Matteo Trentini, Fabio Capurso, Mar-
co Spada, Annalaura Spalla, per le sferzanti idee per il futuro di questo lavoro... il nostro lavoro,
intendo.
I miei compagni di corsi: Alberto, Lina, Claudia, Alessio, Mina, Maddalena, Francesco e tutti gli altri.
Eccoci.
M.me Sylvie Mazzella, M. Andrè Donzel, M. Bordreuil Jean-Samuel, M. Ymitris Trimithiotis, M. Chri-
stian Tamisier e il resto del laboratorio LAMES al MMSH di Aix-en-Provence.
I Proff. Franco La Cecla, Francesco Infussi e Cristina Pallini per la partecipazione al seminario.
Ai compagni ed amici di Elèuthera e di Libertaria: Rossella, Luciano e gli altri.
Ringrazio inoltre M. Pierre Arnaud Barthel. Ho apprezzato molto i suoi lavori e mi hanno aiutato a
capire un pò meglio.
Per le attese e per la comprensione, i miei amici di e per sempre: Paolo, Fabio, Giovanni, Pieran-
drea e le loro compagne.
Infine, il più profondo ringraziamento è per i Professori Giancarlo De Carlo e Giovanni Ciarallo, un
chimico. Tentare con le proprie idee è meglio che riuscire con quelle di altri.
Giorgio
7
8 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 1.
Tunisi, le acque del
Lago Nord. Sullo sfondo
le torri dell’attuale
quartiere direzionale.
(foto Giorgio Ciarallo,
2008)
introduzione
di uno o l’altro popolo e che essi le abbiano usate in una grande varietà di contesti,
Hassan Fathy
Nous avons donc assisté pendant quelques décennies à la création de nouveaux centres (modernitè
oblige!), qui tout en abandonnant le mode de vie traditionnel (les Médinas) n’adoptait néanmoins pas
Silvia Finzi
La recente presentazione1, da parte delle società Solidere International Ltd. (Libano, Dubai)
e Vinci (Francia), del progetto Terra Maris - Monaco Urban Expansion and Development
at Sea per il Principato di Monaco - può apparire come l’avvio di una semplice operazione
1 La società Terra Maris già esistente nel Principato è stata incorporata da S e Vinci il 24 gennaio 2008
10 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
immobiliare che, come in molti altri casi contemporanei, viene finanziata attraverso circuiti
internazionali al fine di dare vita ad una società “unica responsabile di tutta l’attuazione e
della gestione del progetto urbano”2.
Uno sguardo un poco più approfondito permetterà, invece, di scoprire che il tema ed i sog-
getti promotori di questo progetto urbano presentano forti attinenze con lo sviluppo sul mare
del Central Businness District di Beirut, iniziato negli anni ‘90 e tuttora in corso.
Cosa lega questi due progetti, previsti in due città dalle storie completamente differenti? Qua-
li dinamiche, oltre a quelle finanziarie, permettono ad una società di un Paese del Mashreq3
di sviluppare un progetto urbano sulle coste monegasche?
Tra le opere (testi o articoli) che hanno trattato monograficamente il tema si segnalano:
Boeri S nfussi F schia U (1989) (a cura di) Progetto Urbano in Urbanistica n 95/89;
Balbo P P con De Cola B (1992) Il progetto urbano Gangemi Roma;
Morandi C Pucci P (a cura di) (1998) Prodotti notevoli. Ricerca sui fattori di successo dei progetti di trasformazione
urbana Franco Angeli Milano;
Mangin D Panerai P (1999) Projet urbain Editions Parenthèses Marsiglia;
ngallina P (2004) Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana Franco Angeli Milano;
Marinoni G (2005) Metamorfosi del progetto urbano Ed Franco Angeli / Diap Milano;
Busquets J (2005) Barcelona. The urban evolution of a compact city Nicolodi editore (Rovereto) Actar Harvard University
Graduate School of Design
Approfondimenti nel successivo capitolo primo
5 Cfr Secchi B (2005) La città del XX secolo Ed Laterza Roma Bari
6 Cfr Marinoni G (2005) Op cit
7 Cfr ngallina P (2004) Op cit
introduzione 11
Il fenomeno della globalizzazione - caratterizzato da dinamiche di concorrenza tra diverse realtà ur-
bane, come informano i lavori di Jordi Borja, Manuel Castells e Marcello Balbo8 - e l’affermazione di
numerose grandi operazioni di trasformazione urbana europee, hanno generato un forte interesse
in altre realtà internazionali. Città ‘emergenti’ nel panorama economico mondiale, ma ancora por-
tatrici di alcune caratteristiche dei PVS9, si sono così orientate verso modalità di implementazione
del progetto urbano che potessero portare con sé condizioni di sviluppo generalizzato dell’econo-
mia cittadina. Città che, con tutta evidenza, hanno storie differenti da quelle europee: trasformate
radicalmente durante le esperienze di colonizzazione e successivamente gestite da governi spesso
accentratori, queste metropoli sono state infine ‘investite’ dalle logiche liberiste dei mercati interna-
zionali, proponenti modelli propri e indipendenti dalle matrici di sviluppo locale.
Quali declinazioni del progetto urbano sono da considerare per queste realtà emergenti? Quali con-
vergenze e quali distinzioni si possono riconoscere tra queste esperienze ed il modello europeo?
La tesi si propone di rispondere a tali quesiti, rivolgendo lo sguardo al contesto Mediterraneo, luogo
di scontri e incontri tra le grandi civiltà che vi si affacciano. Sulla scia delle narrazioni storiche di
Fernand Braudel10, delle letture geografiche dei fenomeni urbani litoranei contemporanei11, ma
soprattutto alla luce della frattura Nord-Sud introdotta dalla modernizzazione del XIX secolo12 e
dalle conseguenze protrattesi sino ai giorni nostri, si individua nel Mediterraneo un contesto valido
nel quale operare un raffronto tra l’esperienza originaria del progetto urbano e le sue declinazioni
in contesti sociali, economici e culturali differenti.
Qui sono nate, infatti, alcune tra le più note trasformazioni urbane del Sud Europa (Barcellona, Ge-
nova, Marsiglia, Valencia, etc.) e, nell’ultimo decennio del Novecento, si è assistito all’ideazione di
numerosi progetti urbani nelle maggiori città dei Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo (PSEM);
città che, sullo scenario internazionale, si comportano come ‘antenne di ricezione’, captando i se-
gnali provenienti dalle economie più sviluppate, e concentrandone le informazioni, le pratiche ed i
capitali entro i propri confini.
Il crescente fenomeno dei progetti urbani nei PSEM, messo in luce anche dalle recenti ricerche
di Pierre Arnaud Barthel ed Eric Verdeil13, si compone inoltre con modelli differenti, come quelli
8 Cfr Balbo M (a cura di) (2002) La città inclusiva. Argomenti per la città dei PVS Franco Angeli Milano;
Bojra J Castells M (1996 ed it 2002) La città globale ed De Agostini Novara
9 PVS: Acronimo di Paesi in Via di Sviluppo Cfr Laureti L (2008) Economia dello sviluppo e dell’integrazione euromediterranea
pg 81 Franco Angeli Milano
10 Braudel F (1953) Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II ed Einaudi Torino; (1985) Il Mediterraneo. Lo spazio,
la storia, gli uomini, le tradizioni Flammarion Parigi (trad it 1987 Bompiani RCS Milano)
11 Troin J F (1997) Le metropoli del Mediterraneo Jaca Book Milano; (2000) Les métropoles des ‘Sud’ collana Carrefours de
géographie Ellipses ed Parigi;
Fuschi M (a cura di) (2008) Il Mediterraneo. Geografia della complessità Franco Angeli Milano
12 Cfr Gironda C (2004) La modernità nelle città del Mediterraneo. Storie, segni e mutamenti iriti editore Reggio Calabria
13 Cfr Barthel P A (2006) Tunis en projet(s). la fabrique d’un metropole au bord de l’eau Presses Universitarires de Rennes
Rennes;
Barthel P A Eric Verdeil (2008 a) Experts embarqués dans le « tournant financier ». Des grands projets urbains au sud de la Médi
terranée Annales de la recherche urbaine n°104 pp 38 48;
Barthel P A (2008 b) Faire du « grand projet » au Maghreb. L’exemple des fronts d’eau (Casablanca et Tunis) UMR ESO / UMR
12 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
riferibili agli Emirati Arabi Uniti, che giocano un ruolo fondamentale come idealtipi dell’immagine
di progresso e ricchezza, e soprattutto come origine degli investimenti finanziari per i progetti dei
PSEM.
Attraverso un’indagine comparativa, operata mediante schede analitiche costituite sulla base degli
elementi ricorrenti e costitutivi del progetto urbano, si pongono così a fronte due dei più noti casi
euro-mediterranei (Barcellona e Marsiglia) e tre recenti casi dei PSEM (Beirut, Algeri e più appro-
fonditamente Tunisi), dando inoltre seguito alle recenti ricerche segnalate14.
Le due città dell’arco latino della costa europea si presentano come casi di riferimento - non scevri
da punti critici, soprattutto nella relazione tra azione pubblica e interessi privati - ai quali confrontare
i casi nati nelle differenti situazioni dei PSEM: la ricostruzione del centro di Beirut dopo 15 anni
di guerra civile (1975-1990); la previsione, nel punto baricentrico della Baia di Algeri, di un nuovo
centro direzionale, ulteriore componente “limitata al modello unico della crescita urbana”15; infine,
attraverso un approfondimento puntuale, la Porte de la Méditerranée a Tunisi, imponente ed au-
tonoma espansione urbana operata sul lago che divide la città dal mare aperto, finanziata da una
società degli EAU.
Dall’analisi operata emergono tre ‘chiavi di lettura’ che permettono di individuare convergenze e
distinzioni tra i progetti della costa Nord e quelli delle coste Sud ed Est: il ‘chi’ del progetto urbano,
il ‘come’ ed infine il ‘dove’. E’ possibile sin d’ora segnalare alcuni elementi principali:
- tra i soggetti promotori dei progetti dei PSEM non vi sono i differenti livelli delle amministrazioni
locali e centrali - eventualmente affiancate dagli investitori - come è accaduto a Barcellona ed
a Marsiglia, ma le più alte cariche dello Stato che, dopo le passate esperienze di pianificazione
economica, ora affidano direttamente l’intero sviluppo dei progetti a grandi operatori finanziari e
immobiliari, in stretto legame con i governi stessi;
- le modalità di costruzione dei progetti nei PSEM, convergenti con i casi euro-mediterranei nell’al-
terità al piano urbanistico generale e nella definizione di parti relativamente autonome dal resto
della città, divergono nella relazione con il contesto locale, fisico e sociale;
- infine, si evince che la localizzazione dei progetti nei PSEM non è dettata dalle vicissitudini della
città compatta o dalle problematiche legate alle relazioni tra le parti, ma dall’opportunità di definire
grandiosi progetti d’espansione.
In breve, il progetto urbano, declinato nelle variegate realtà dei PSEM, ha qui assunto caratteri ben
definiti: sviluppato al di sopra di ‘città-mosaico’16 - frammentate dalle vicende occorse nel XIX e
nel XX secolo - si fonda economicamente sulla “svolta finanziaria”17 degli Stati, i cui rappresentanti
promuovono tali progetti per accrescere il loro consenso, attraverso un urbanistica metaforicamen-
te definita “del principe”.
I possibili limiti (riscontrabili anche in area europea) dello strumento progetto urbano - la scarsa
connessione con politiche urbane di ampio respiro e la conflittuale relazione tra obiettivi di portata
pubblica e interessi privati18 - vengono qui esacerbati e portati a conseguenze probabilmente ine-
dite, che danno luogo ad una ‘urbanistica delle opportunità’ - opportunità finanziarie e opportunità
politiche - che si presenta come una figura lacerante il rapporto tra le capacità tecniche locali e il
possibile sviluppo della città.
Immagine 2.
Marsiglia,
Polo scolastico
“College J.C. Izzo”,
progetto urbano
Euroméditerranée
(foto Giorgio Ciarallo,
2008)
Il progetto urbano
strumento complesso di trasformazione della città
capitolo
primo
16 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
In un passaggio del testo Città in evoluzione, Patrick Geddes introduceva, entro un breve paragrafo
dal titolo L’urbanistica come processo, un concetto che sarebbe poi divenuto di fondamentale inte-
resse per la pianificazione della città a venire: “(…) bisogna fare in modo che l’educazione dell’ur-
banista non decada in quella disciplina troppo esteriore e tecnica che è stata la rovina degli istituti
di architettura. E come si può ottenerlo? In un solo modo: accompagnandola con una iniziazione
vitale, cioè l’iniziazione alla vita e al lavoro della città; in altre parole, con lo studio delle scienze
civiche”1.
Attraverso una nota quasi profetica, il pianificatore scozzese dava così spazio ad una delle temati-
che chiave del rapporto tra la forma della città e la trasformazione urbana, che avrebbe poi attraver-
sato tutto il secolo: il riconoscimento, da parte della componente esperta tecnico-amministrativa, di
quelle ‘scienze civiche’ che altro non sono che la gestione e la progettazione della vita collettiva a
livello locale, nel senso più includente che questa gestione possa considerare.
E’ invece da rilevare che, per buona parte del XX secolo, la pianificazione urbana, fondata su prin-
cipi tecnico-scientifici e su relazioni economiche considerate stabili e durature, ha dominato gran
parte della scena attraverso rappresentazioni convenzionali, occupandosi di definire ‘bidimensio-
nalmente’ le funzioni che si svolgono sul territorio (si veda ad esempio l’insistenza sull’utilizzo delle
destinazioni d’uso, confinate attraverso lo zoning). Così, se da una parte il linguaggio convenzio-
nale del piano moderno “proponendosi di regolamentare gli usi ed i comportamenti dei soggetti”
ha reso possibili “eventi e non stati di cose” perseguendo “il suo ottimo nella capacità di normare
le combinazioni possibili”, dall’altra ha lasciato inevaso “il controllo della forma” in quanto non ha
esplicitato il ‘come’ arrivare ad una dato risultato fisico2. Contiene quindi in sé una rottura di senso
che spesso oppone, in termini sostanziali, ciò che è previsto dal piano con ciò che è esperito in
termini fattuali sul territorio.
La pianificazione urbana di matrice taylorista-fordista3 è in un certo senso debitrice nei confronti
delle realtà in divenire della città, in quanto connaturata ad una visione normativa fondata su teorie
di natura essenzialmente statica (da un punto fermo X ad un altro determinato punto fermo Y) e per
tale motivo “nessuna (teoria) affronta con successo il tema del cambiamento continuo o delle azioni
progressive che portano in una qualche direzione di crescita”4.
Limitandosi al contesto italiano, solo alcuni differenti apporti hanno cercato di interpretare una di-
versa idea di urbanistica che, pur poggiando su solidi strumenti tecnici, cercasse al contempo
di leggere e interpretare le forme di vita relazionale e volizioni progettuali esistenti sul territorio
(si pensi alle esperienze ed ai progetti di Carlo Doglio, Giancarlo De Carlo o Ludovico Quaroni),
ma è da rilevare che si è assistito, in linea generale, da una parte alla scomparsa del tentativo di
comprensione del rapporto che intercorre tra il grande sistema infrastrutturale (e quindi le ampie
1 Geddes P (1915) Città in evoluzione pg 271 (vers ta 1970) il Saggiatore Milano La tematica introdotta da Geddes è da
riferirsi ad un più ampio discorso sulla “educazione all’urbanistica che prevede una chiara emancipazione dall era ‘paleotecnica
verso un rinascimento civico promosso anzitutto da una “università militante come vero ideale dell educazione
2 Gabellini P in Cinà G (1996) L’ innovazione del piano. Temi e strumenti urbanistici a confronto pg 87 Franco Angeli Milano
3 Concetto che è esplicitato entro tale ambito nella Prefazione di Giancarlo Consonni al testo di Vescovi F (2006) Progetto urbano
strategico e competitività delle aree metropolitane Clup edizioni Milano
4 Cfr Lynch K (1981) Progettare la città. La qualità della forma urbana (vers ta 1990) Etas Libri Milano
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 17
politiche di strutturazione del piano) e la progettazione locale a ‘scala minore’5, dall’altra parte ad
una sempre più accentuata discrasia tra la complessità delle molteplici dimensioni urbane possibili
e “l’eteroreferenzialità”6 degli enunciati di carattere generale propri della disciplina urbanistica.
Entro questo campo, si cammina sul fine ma resistente filo epistemologico che divide la volontà
tecnocratica di una modernità ‘depurata’ dai rapporti umani del quotidiano da un’altra modernità
‘ibrida’, dove la natura umana e la razionalità illuministica costituiscono un insieme quasi olistico
che si oppone ontologicamente ad un concetto autonomo della stessa modernità7.
Ma è sempre nel campo urbanistico che, nella seconda metà del XX secolo, è possibile ricono-
scere una fondamentale conversione culturale8 verso una nuova idea di modernità che, ben
visibile a livello concettuale, andrà anche a scalfire il livello procedurale verso la fine del secolo:
dopo un cinquantennio dominato dall’idea ormai ‘sostantiva’ di modernismo, un energico ritorno
alla lettura della vita e del lavoro della città ha portato alla formazione di nuovi costrutti culturali,
vicini sia alla trasformazione minuta della città che alla gestione dell’intero corpo urbano, in quanto
forma riconoscibile di un futuro auspicato. Per dirla con Secchi, un passaggio “dalla continuità alla
frammentarietà”9.
Parallelamente, sul piano fisico, la crisi industriale degli anni ‘70 e le conseguenze sul piano territo-
riale (svuotamento di aree urbane centrali e dispersione, produttiva e abitativa) e le connesse tra-
sformazioni sociali10, hanno fornito l’occasione progettuale di ‘oltrepassare’ le regole dettate dal
piano regolatore onnicomprensivo, al fine di rispondere a pressanti domande locali (certamente
immobiliari, ma anche sociali e culturali) di rinnovamento urbano. Come vedremo sono queste, in
estrema sintesi, le principali motivazioni che hanno dato vita, dagli anni ‘80 in poi, ad una intera
generazione di progetti che, dapprima in ambito europeo, hanno trasformato il modo di costruire la
città: i progetti urbani.
In questo primo capitolo si affronteranno anzitutto le principali motivazioni della formazione di
questo strumento11 di trasformazione della città, attraverso le quali è intuibile la complessità delle
finalità per le quali esso è concepito; complessità che si traduce in un insieme di elementi ricor-
renti del progetto urbano che saranno evidenziati nel secondo paragrafo. Nella terza parte saranno
5 Choay F (1994) Il regno dell’urbano e la morte della città, pg 145 ripubblicato in Del destino della città (2008), a cura di
A Magnaghi Alinea Firenze; Choay fa discendere questa interpretazione critica dall opera di Gustavo Giovannoni (1873 1943)
ingegnere architetto e fondatore della Scuola superiore d Architettura di Roma
6 Secchi B (2005) La città del XX secolo pg 160 Ed Laterza Roma Bari l linguaggio ‘eteroreferenziale dell urbanistica viene qui
opposto al linguaggio dell architettura che esplicito e ostensivo non è riuscito ad “entrare in risonanza con il primo quindi “senza
mai intendersi completamente reciprocamente
7 Latour B (1991) Non siamo mai stati moderni, Eléuthera editrice A coop Milano Latour etnografo e filosofo ha ben definito
un progetto di depurazione che sarebbe alla base dell idea stessa di modernità entro il quale l ibridazione tra natura e cultura viene
vista come segno di arretratezza Nel campo dell urbanistica è possibile riconoscere tale confronto nella autonomia della rappresen
tazione convenzionale del piano urbano moderno che epurato dalle sue relazioni con la realtà in divenire (che è relazione continua
tra cultura e natura) sfugge dal confronto con la realtà
8 Secchi B (2000) Prima lezione di urbanistica Ed Laterza Roma Bari Si veda a pg 74 Città moderna e città contemporanea e
a pag 107 il capitolo Progetti; Marinoni G (2005) Metamorfosi del progetto urbano pg 14 F Angeli/Diap Milano
9 Secchi B (2000) Op cit
10 Galdini R (2008) Reinventare la città pg 22 F Angeli Milano
11 l termine ‘strumento non è qui inteso nella sua accezione normativa o politica di “atto pubblico quale ci si riferisce per i piani
normativi ma nel suo significato primario di “mezzo per ottenere uno scopo Dizionario Hoepli Gabrielli 2009
18 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
presentate alcune tappe significative che hanno connotato l’evoluzione del progetto urbano in
ambito europeo, approfondendo poi, nel quarto paragrafo, le relazioni intessute tra la globalizza-
zione e tale strumento di riqualificazione e trasformazione urbana. Saranno proprio queste rela-
zioni che, induttivamente, proporranno le tematiche (presentate nel quinto paragrafo) sulle quali
il presente lavoro intende ragionare approfonditamente: quali declinazioni sono possibili per
il progetto urbano entro contesti differenti da quelli in cui ha preso forma? E, alla luce delle
numerose esperienze sviluppate nelle città ‘emergenti’, quali relazioni possono esistere tra queste
realtà urbane e tale strumento complesso di trasformazione? In che modo, entro un ampio contesto
di riferimento, considerare le similitudini e le differenze che intercorrono nei differenti approcci al
tema del progetto urbano?
Ed infine, alla luce di alcuni recenti risultati: in che misura alcuni fenomeni di ‘cedimento’ del pro-
getto urbano sono da riferire a una qualche ‘immaturità’ civica e tecnica di particolari contesti socio
economici o, invece, in quale misura si è di fronte ad una sorta di ‘crisi involutiva’ dello strumento
che, entro una logica meramente sviluppista, si appoggia sempre maggiormente all’impatto media-
tico e alla capacità finanziaria globale, slegandosi dai luoghi e dal contesto?
Negli ultimi trent’anni, in Europa, alcune tra le più significative esperienze di progettazione si sono
affermate entro la città consolidata, ponendosi anche tra le principali condizioni tendenti all’inver-
sione dei processi di dispersione urbana (alcuni autori hanno parlato di ‘de-urbanizzazione’12) da
molti considerati ormai inevitabili in quanto paragonabili a fenomeni di sprawl. Invece, un nuovo
interesse per la città consolidatasi nel tempo – soprattutto verso la città costituitasi nel Novecento,
foriera di grandi piani e progetti ma anche di problematiche connesse alle molteplici trasformazioni
socio-economiche - si è manifestato sotto la forma di progetti orientati alla riqualificazione di intere
porzioni di città, riportando l’attenzione verso tematiche legate alla città compatta.
Parallelamente, il dibattito interno alla disciplina urbanistica degli ultimi anni si è concentrato, in
notevole misura, sul superamento della concezione onnicomprensiva del piano urbanistico, con-
siderata non più rispondente alle istanze proposte dalle trasformazioni sociali in atto13, ed anche
sul ruolo assunto dai progetti di parti relativamente autonome della città nei confronti del corpo
urbano nel suo insieme14.
Attraverso il riconoscimento di fattori decisivi quali la “scala intermedia che consente una perce-
pibilità dell’insieme, la dimensione dell’intervento congruente alle potenzialità economiche di una
12 Tra i tanti si segnala Hall P e Hay D (1980) Growth centers in european urban system Heinemann London; Petsimeris P
Counter urbanization in Italy in Geyer H S (a cura di) (2002) International handbook of urban systems ed EE Chentelham UK ;
Emanuel C (2000) Urbanizzazione, controurbanizzazione, periurbanizzazione: metafore della città post industriale in Leone U (a
cura di) Scenari del XXI secolo, temi di geografia economica Giappichelli Torino pp 143 181
13 Secchi B (2000) Op cit pg 74
14 Bohigas O (1985) Ricostruire Barcellona pg 20 Ed t Etas libri (1992) Milano;
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 19
Interventi che, come ricorda Pier Paolo Balbo19, hanno preso forma da un interesse per la città fi-
sica che si manifestava entro un “rinnovato rapporto tra architettura ed urbanistica”, dove il supera-
mento della “inutilità faticosa del piano in favore del progetto” ha determinato, a parere dell’autore,
un dualismo forzato, in quanto “la concreta fenomenologia delle realizzazioni per ‘progetti’ dimostra
l’attualità dell’esigenza di pianificare come dimostra per altro l’inattualità delle forme di piano in
vigore”. Ciò per sottolineare che nella stagione nella quale il progetto urbano prendeva forma, era
in pieno svolgimento un vasto dibattito sulle nuove forme e sulle modalità di attuazione del piano
(terza generazione, flessibilità, efficienza).
E’ inoltre opportuno ricordare che, parallelamente al forte ‘ritorno’ del progetto urbano, nello stesso
contesto storico ha preso forma una “nuova stagione di pianificazione flessibile e strategica”20 in
risposta allo scollamento tra la “funzione del piano tradizionale di regolare e contenere” e le “di-
namiche delle trasformazioni territoriali”, più rapide rispetto al sistema vincolistico di piano. La c.d.
‘pianificazione strategica’ ha così “travalicato gli strumenti urbanistici tradizionali” e si è proposta,
in Europa a partire dagli anni ‘80, come riferimento per la strutturazione urbana di molte città, cer-
cando di non fare eccessivo affidamento ai singoli episodi progettuali. La dimensione di area vasta
che caratterizza la pianificazione strategica non è comunque antitetica rispetto alla costruzione
per parti della città - il progetto urbano - e può anzi integrare differenti progetti entro un “approccio
comprensivo”21.
15 Cfr de Solà Morales M citato in Marinoni G (2005) Metamorfosi del progetto urbano Ed Franco Angeli / Diap Milano;
16 Gli elementi culturali che hanno segnato un ritorno al pensiero sulla ‘forma della città opposto alla ‘descrizione razionale cui si
affidava il piano sono ad esempio gli spunti teorici forniti dal lavoro del Team X soprattutto negli scritti degli Smithson di Giancarlo
De Carlo o di Aldo Van Eyck ed in altri termini l opera di Kevin Lynch o di Jane Jacobs sull immagine e sulla forma della città;
oppure il discorso sull urbanitè introdotto da Francoise Choay Sotto un punto di vista tipo morfologico è importante sottolineare la
‘forza delle argomentazioni di Aldo Rossi e di Carlo Aymonino e in altri termini ma sempre all interno di questa discussione teorica
le opere di Colin Rowe e Robert Venturi
17 Su questo tema si veda anche Macchi Cassia C (1991) Il grande progetto urbano Ed N S Roma
18 Secchi B (2005) Op cit pg 37
19 Balbo P P con De Cola B (1992) Il progetto urbano pg 90 Gangemi Roma;
20 Martinelli F (a cura di) (2005) La pianificazione strategica in Italia e in Europa pg 15 Franco Angeli Milano
21 Gibelli M C in Martinelli F (a cura di) (2005) pg 287 Op cit
20 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Nella direzione delineata da Secchi, ma abbracciando anche il ruolo dell’urbanista entro tale condi-
zione, Marcel Roncayolo fornisce una breve ma efficace descrizione delle cause e del ruolo assun-
to dal progetto urbano come mezzo per la trasformazione della città contemporanea: “L’intenzione
principale del projet urbain è la riqualificazione degli spazi urbani colpiti, dalla metà degli anni ‘70,
da repentini cambiamenti di tipo socio-economico e dal rallentamento dell’economia. Se a ciò si
aggiunge, da un lato l’eccessivo ricorso allo zoning, dall’altro i pericoli di vario genere incorsi nei
quartieri ‘difficili’ – i grand ensembles – si capisce come si è potuti arrivare alla situazione di degra-
do attuale. Il projet urbain si batte proprio contro queste difficoltà, con un obiettivo di riqualificazione
non solo degli spazi urbani, ma anche dell’attività dell’urbanista, per elevarne la dignità, cercando
anzitutto di definire la collocazione dell’urbanistica nei processi di sviluppo”22.
La concretezza con la quale Roncayolo introduce i progetti urbani quali strumenti di contrappo-
sizione alle difficoltà della città, è utile a comprendere la relazione tra le differenti problematiche
sviluppate entro il corpo urbano e le molteplici risposte che il progetto urbano è chiamato a fornire,
anche nei confronti della disciplina urbanistica.
E’ possibile quindi affermare che questa modalità di intervento sulla città contemporanea si sia
costituita come risposta a differenti, particolari e pervicaci condizioni destrutturanti (per la pratica
urbanistica e per la dimensione fisica) che si sono manifestate nel corso dell’ultimo quarto del No-
vecento; tra queste due paiono di precipua importanza, l’una culturale - e riconducibile alla lettura
della città contemporanea come luogo delle differenze (in contrapposizione alla città omogenea e
zonizzata) - l’altra più fisica (pur se connessa alla prima) e riferibile ai fenomeni di deindustrializ-
zazione post-fordista e di atomizzazione sociale e lavorativa; si cerca di seguito di definire queste
due condizioni.
La prima condizione, culturale ed interna alla disciplina urbanistica, è data dall’evidenza del fatto
che i progetti e la distribuzione fisica della città contemporanea non si sono conformati (e si può
aggiungere che tuttora non si conformino) al presupposto di ‘omogeneità del territorio’23, spesso
soggiacente a strutture tecniche e amministrative rispondenti a gerarchie istituzionali, oppure ri-
spondente all’unificazione dei codici entro l’idea del piano onnicomprensivo. Le ragioni sono da
cercare nella riscoperta e nella lettura interpretativa dell’esperienza vissuta e della realtà quotidia-
na come elementi che possono contraddistinguere il rapporto tra “il mondo degli oggetti e i piani
di vita dei soggetti che li utilizzano e che li abitano”24. Lettura che prende anzitutto le distanze da
modalità universalistiche di interpretazione di tale rapporto quali si sono sviluppate ripetitivamente
nella prima metà del Novecento, attraverso l’idealtipo della città moderna, proposto con i principi
della Carta di Atene; infatti, ciò che da essa ne risultava era uno spazio eminentemente isotropo,
uno spazio ‘nuovo’ rispetto a quello della città storica e soprattutto “considerato in termini quanti-
tativi, luogo ideale per l’applicazione della ripetizione industriale di elementi isolati identici (…)”, in
22 Roncayolo M in ngallina P (2004) Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana Franco Angeli Milano
23 Cfr Secchi B (2000) Op cit
24 Secchi B (2000) Op cit pg 141
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 21
quanto “modalità illustrata dalla tecnica della zonizzazione”25. Uno spazio che, nella realtà dei fatti,
non è mai stato assimilato completamente e acriticamente perché lontano dalle diverse percezioni
e dai diversi modi di vita degli abitanti, come già dimostrato dal CIAM del 1956 e con le seguenti
esperienze del Team X.
Lo sviluppo di questa distanza critica ha portato a differenti formulazioni teoriche e progettuali del
rapporto tra la forma della città, l’architettura e la società insediata: dalla connessione storico-
tipologica di Rossi e Aymonino alla lettura storicamente orientata di Krier, dal regionalismo critico
di Frampton e Gregotti alla progettazione ‘tentativa’ di De Carlo, dal lavoro teorico di Grumbach e
Huet sino agli studi sulle forme urbane di Panerai; in tutte queste esperienze, come in altre coeve,
la forma urbana del progetto veniva oggettivata (o teorizzata) anche attraverso una precedente - e
comunque soggettiva - comprensione delle trame del territorio e dei tessuti urbani26 presenti nel
contesto locale. Sia da riferimento esemplare, ai nostri fini, il rapporto morfologico tra Piano gene-
rale e Piani particolareggiati ricercato da Giancarlo De Carlo a Urbino, attraverso il quale lo zoning
veniva ‘oltrepassato’ da una attenta lettura del territorio e da una “organizzazione dello spazio in
termini di forma”27.
Le forme urbane e le architetture degli autori menzionati hanno sperimentato relazioni molteplici
con i tracciati, i tessuti urbani e le società locali; alla base di tale atteggiamento vi è il riconoscimen-
to della complessità urbana come elemento interpretativo della realtà, elemento che (forse in ra-
gione delle suddette motivazioni) con modalità estremamente differenti conduce ad un sostanziale
superamento del rapporto tra destinazione funzionale del piano generale e singolarità dell’episodio
progettuale.
I diversi tasselli che compongono la città contemporanea sono stati poi interpretati come una con-
dizione nella quale è stata ravvisata la possibilità di agire attraverso progetti integrati, che di questa
complessità urbana ne facessero carico28 e dalla quale ne potessero trarre vantaggi di tipo relazio-
nale (tra le funzioni interne ai progetti) e di tipo morfologico. Una “complessità urbana, affrontabile
soltanto con approcci progettuali sufficientemente integrati ai diversi aspetti dei problemi di trasfor-
mazione: da quelli fisici e formali a quelli economici e funzionali, a quelli operativi e gestionali’”.
E’ questa, ad esempio, la condizione di Barcellona descritta da Bohigas nel 198529: all’esistenza
di un precedente piano generale metropolitano (PGM del 1976), si sovrappose la necessità di ri-
conoscere – nella città reale – le specificità interne che potessero dare forma a risposte differenti
ai diversi problemi urbani. E risulta ancor più attinente alla complessità sopra definita l’accezione
di progetto urbano come “combinazione finalizzata di azioni per lo sviluppo ed il welfare locale, per
l’ambiente, per la mobilità, insieme a quelle per l’urbanistica, l’edilizia e le opere pubbliche” propo-
sta più recentemente da Clementi30 riguardo il progetto di San Lorenzo a Roma.
Tra gli anni ‘80 e ‘90 questo interesse per l’aspetto fisico della città ha però travalicato, sotto diversi
punti di vista, la necessità di condividere programmi che potessero coinvolgere temi di pianificazio-
ne e di costruzione di politiche sociali e territoriali di ampia portata35. Questo per segnalare che,
comunque, il forte ricorso al progetto urbano spesso non ha trovato traduzione in una forma gestio-
nale elastica e inclusiva del piano, oppure in un programma generale che potesse dirigere i progetti
31 Per una esaustiva trattazione del tema si rimanda a Chaline C (1999) La régénération urbaine, Presses Universitaires de
France PUF Parigi
32 La definizione più nota di classe sociale è quella di Karl Marx che intendeva per classe un insieme di individui che hanno lo
stesso rapporto con i mezzi di produzione Nella tradizione marxista al concetto di classe si legano la coscienza di classe e la lotta
di classe
33 E questa una soluzione che comunque non trova unanimità: è ad esempio il caso di Giancarlo De Carlo e di Pier Carlo Paler
mo i quali non collegano ‘necessariamente la trasformazione fisica allo sviluppo del territorio l primo (De Carlo G (1999) Gli spiriti
dell’architettura ( edizione) pg 187 a cura di L Sicchirollo Ed Riuniti Roma) denuncia le storture provocate dalla fisicità quale
forma di interesse speculativo il secondo mette in guardia dai criteri di legittimazione del “disegnare la soluzione del problema in
Palermo P C (2009) I limiti del possibile Governo del territorio e qualità dello sviluppo pg 101 Donzelli Ed Roma
34 A questo proposito è di estremo interesse l esperienza anglosassone e americana sulla rivalutazione dei brownfields Si veda a
tal proposito Kilpatrick J (2007) Valuation of Brownfields in Lexis Nexis Matthew Bender Brownfield Law and Practice
35 Le problematiche che sottendono a questa discrasia sono individuabili per quanto riguarda il contesto italiano in Palermo P C
(2009) Op. cit., pg 121
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 23
verso obiettivi coerenti alle diverse scale. Che questo abbia coinciso con una fase di delegittima-
zione delle forme di pianificazione è coerente con il fatto che, del resto, la “deregulation è servita
a “spianificare” e cioè a liberare lo sviluppo della città da ogni ombra di programma (…), una delle
tante manifestazioni del trionfo del neocapitalismo”, come segnalato da Giancarlo De Carlo36.
Le due condizioni sopra richiamate - l’una interna alla disciplina, l’altra esterna e legata alle trasfor-
mazioni socio-economiche - non esauriscono chiaramente tutta la casistica cui è possibile riferirsi
ricercando le condizioni generali del progetto urbano, né possono dare conto di tutte le cause e
delle problematicità che ne stanno alla fonte, ma sicuramente contribuiscono in modo determinante
nell’affrontare il superamento fattuale del piano generale come modalità di pianificazione urbana,
superamento avvenuto attraverso l’individuazione di letture e interpretazioni differenti (la comples-
sità della città nelle sue molteplici forme) combinata con una volontà risolutiva delle problematiche
reali e contingenti, in quella che è possibile richiamare come una “strategia cognitiva orientata
all’azione”37.
Il progetto urbano, lungi dall’essere forma taumaturgica di risoluzione sistematica di problemi molto
complessi, sotto il punto di vista sin qui descritto acquisisce una visione operativa ben definita,
che riconduce quindi alla relazione tra domande poste dalla società (dalla collettività, dagli ope-
ratori, dalla politica) e risposte fornite dal progetto, nelle sue differenti sfaccettature. In tal modo è
riuscito ad operare un dinamico trasferimento verso l’operatività (di scala, gestionale, di senso e
di montaggio economico delle operazioni) di forme di piano troppo spesso strutturalmente votate
all’impasse burocratica o al blocco decisionale, quali erano diventate le esperienze di pianificazione
generale negli anni ‘70 e ‘8038; si pensi, ad esempio, al tema della reiterazione dei vincoli sulle aree
a standard inattuate ed alla conseguente difficoltà nello strutturare progetti di suolo riconoscibili
come spazi pubblici39, tema che, attraverso una progettazione integrata tra progetto architettonico
e regolazione urbanistica, può essere affrontato e risolto dal progetto urbano, pur correndo grossi
rischi di tipo speculativo nell’azione coordinata con soggetti privati interessati a rendite posizionali
di prim’ordine40.
Basandosi sulle principali condizioni sopra segnalate, il progetto urbano acquisisce senso nella mi-
36 De Carlo G (1999) Gli spiriti dell’architettura ( edizione) pg 187 a cura di L Sicchirollo Ed Riuniti Roma L affermazione
di De Carlo in realtà non è frutto di una semplice lettura degli eventi ma di una precisa critica mossa nei confronti del ‘canto della
fisicità che negli anni ‘80 e ‘90 ha permesso di eludere la forma del piano e dei programmi
37 Morandi C Pucci P (a cura di) (1998) Prodotti notevoli. Ricerca sui fattori di successo dei progetti di trasformazione urbana
pg 17 Franco Angeli Milano;
38 Palermo P C (2009) Op cit pg 101
39 Cfr Portas N in Morandi C Pucci P (a cura di) (1998) Op cit ;
40 Ceccarelli P (2005) Le risposte invecchiate dei progetti urbani in Urbanistica n 126
24 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
sura in cui risponde alle ‘domande poste dalla città’, giocando così un eminente ruolo politico41 che
corrisponde alla relazione molteplice che si instaura tra istituzioni pubbliche, abitanti, organizzazio-
ne private, decisori e progettisti; relazione che, se bene impostata e dotata degli strumenti commi-
surati alla realtà locale, può offrire esempi di connessione programmatica tra domande proposte
e risposte effettuate, anche non del tutto convenzionali se confrontate alle precedenti prescrizioni
dei piani.
La comprensione di queste ‘domande’ è quindi fondamentale nell’impostazione del progetto urba-
no. Prima di cercare di definire alcuni elementi costituivi e ricorrenti del progetto urbano è quindi
opportuno sottolineare la necessità di una corretta lettura dello stato di fatto e quindi della interpre-
tazione del contesto, che inevitabilmente andrà poi a condizionare le risposte date dal progetto. E’
evidente che lo stato di fatto di cui si vuole qui parlare non è semplicemente una condizione fisica,
ma è definibile come un “difficile adattamento tra descrizione del contesto, ipotesi progettuali e sce-
nari auspicati”42. Si tratta di una descrizione molteplice, che interseca il contesto come ambiente
naturale, come forma antropica di fruizione quotidiana degli spazi e come volontà gestionale della
realtà minuta, delle ipotesi progettuali e dei differenti scenari auspicati dai differenti attori in gioco.
Procedendo quindi con una disamina degli elementi costitutivi e ricorrenti dei progetti urbani, è
possibile ‘poggiare’ su alcuni punti definiti da autori e progettisti che hanno avuto ruoli di primo
piano in significative esperienze progettuali o di ricerca degli ultimi venti anni. Con riferimento al
“programma speciale” operato per la Città Olimpica di Barcellona43, Joan Busquets individua alcu-
ne tematiche che il progetto urbano dovrebbe ‘portare con sé’:
- Una revisione del modello decisionale piramidale: con riferimento al rapporto con la pianifica-
zione corrente ed alla rilettura delle forme di amministrazione e di gestione del piano, viene data
particolare importanza alle differenti modalità multilivello che permettono, attraverso accordi inter
partes, nuove relazioni tra la componente pubblica e quella privata, concorrenti alla definizione del
progetto urbano;
- Una ridefinizione della forma urbana, in accordo con le particolari esigenze espresse dal terri-
torio, soprattutto nella connessione tra infrastrutture e architettura: questa caratteristica permette di
individuare linee di azione specifiche per l’integrazione tra territorio, trama infrastrutturale e proget-
to. Il fine è quello di considerare deroga al piano generale laddove particolari esigenze del progetto
impongano differenti forme urbane rispetto a quelle predefinite, in modo da rispondere specifica-
mente alle domande espresse dal territorio (in una vasta accezione), superando la logica degli
indefiniti ambiti di esecuzione del piano, puntando verso una progettazione puntuale delle diverse
occorrenze, in particolar modo nei confronti delle infrastrutture urbane (mobilità – collegamento dei
principali servizi), valutando il loro impatto sul progetto e sull’intero corpo urbano;
- Cambiamenti fondamentali nella relazione tra settore pubblico e privato: pur mantenendo
un ruolo decisivo di regia della trasformazione urbana, entro il progetto urbano il settore pubblico
dovrebbe cercare di superare le tradizionali forme prescrittive connesse alle norme del piano, che
tendono alla individuazione di regole attuative senza definire specifiche modalità di esecuzione.
Facendo ciò, il soggetto pubblico si pone con modalità propositive verso l’esecuzione del singolo
progetto, cercando di attirare economie private entro il programma attuativo e ritagliandosi un ruolo
eminentemente regolativo che possa dare esecuzione al progetto, mantenendo fisse alcune qualità
richieste;
- Nuove forme di gestione e nuovi strumenti di pianificazione per definire corpi urbani equili-
brati (caratterizzati da mixitè): in conseguenza ai predetti punti, è necessaria una differente forma
di gestione delle trasformazioni, in quanto - nel periodo dei ‘progetti speciali’ degli anni ‘80 che si
sono susseguiti a Parigi, Barcellona e a Berlino - “veniva a cadere la fiducia negli strumenti pianifi-
catori tradizionali, incapaci di indirizzare e prefigurare lo sviluppo urbano e di controllare la qualità
morfologica e spaziale. Nella maggioranza dei casi, questi ‘progetti speciali’ nel modificare ampie
parti di città, lasciano sullo sfondo il piano regolatore tradizionale che, non essendo più in grado di
rispondere alle mutate richieste, viene di fatto invalidato con varianti parziali o procedure alternative
e settoriali: Zac, Ez, piani d’area, piani di settore, progetti di opere pubbliche e altro”44. In Italia negli
anni ‘90 il ricorso ai Programmi Integrati di Intervento, che fondano la propria ragion d’essere sul
superamento delle procedure di variante al PRG e su accordi specifici tra pubblico e privato (AdP),
è da considerarsi entro tale quadro di riferimento.
Il problema principale pare essere, in prima istanza, collegato al tema gestionale, in quanto gli stru-
menti sopra richiamati, pur introducendo pratiche negoziali non più discendenti - entro una logica
univocamente deduttiva - dal piano generale, non hanno predisposto momenti di governo continuo
del progetto, controllo ‘evolutivo’ che entro il progetto urbano è invece di precipua importanza45.
L’elaborazione di strumenti atti a pianificare porzioni di territorio urbano, mantenendo un energico
controllo gestionale delle differenti fasi attuative, è tra gli elementi ricorrenti dei più significativi pro-
getti urbani in ambito internazionale.
Seguendo le indicazioni fornite dalla relazione tra coerenza interna ed esterna delle opere previste
e i molteplici ‘stati di fatto’ dapprima segnalati, è possibile considerare alcuni campi valutativi che
introducono a tutti gli effetti degli elementi che dovrebbero essere costitutivi dei progetto urbano,
declinati secondo le accezioni date dai differenti casi. Nel loro Prodotti notevoli Corinna Morandi
e Paola Pucci individuano alcuni temi ai quali è possibile fare riferimento in quanto ‘condizioni di
efficacia’ riscontrabili nei differenti progetti urbani analizzati46, temi che in parte integrano i predetti
punti:
- L’attenzione per l’efficacia operativa ed economica introduce chiaramente la necessità della
presenza di previsioni, effettuate attraverso valutazioni economico-finanziarie, ma soprattutto una
“messa in valore delle specificità locali e delle differenze”, al fine di coniugare lo sviluppo sperato
con il rinnovamento e la tutela dell’esistente;
- Rapporto con il contesto fisico, laddove “chiare regole morfologiche” dovrebbero contribuire a
leggere ed interpretare le “coerenze tra principi insediativi diversi”, in modo da conferire al progetto
una morfologia rapportabile al contesto, pur introducendo le opportune e necessarie novità proget-
tuali;
- Ricostruzione del valore dello spazio pubblico come risposta ad una domanda sociale, inter-
pretando le nozioni di ‘spazio’ e ‘pubblico’ attraverso l’organizzazione di “nuove tipologie di spazi
urbani” che possano fornire una differenziata risposta alle frammentate e molteplici domande so-
ciali.
Oltre ai punti citati, sono inoltre da ricordare requisiti legati al raggiungimento di alcuni obiettivi che
ricorrono all’interno dei progetti urbani, quali quelli presentati da Giuseppe Marinoni47. Tra questi,
spicca il requisito definito tramite il “permettere che la città si costruisca nel tempo”, indicando i
futuri sviluppi (definiti “linee germinative”) ed i ‘codici genetici’ per il suo accrescimento. Tale qualità
è auspicabile soprattutto laddove le variabili locali (riferendosi alla precedente lettura dello stato
di fatto) hanno caratteristiche di elevata instabilità nel tempo (sia questa economica, spaziale o
sociale). Considerare un atteggiamento incrementale, piuttosto che aprioristicamente definitorio, è
stato di grande importanza per alcuni progetti urbani, in ordine alla possibilità di accogliere risorse
(non solo economiche, anche ideative e gestionali) che si sono presentate nel tempo. In riferimento
a ciò, diventa di grande importanza “creare condizioni opportune per regolare i singoli contributi
(progettisti, operatori, amministratori, cittadini), in un gioco consensuale che possa produrre un
arricchimento reciproco”: collegata agli interessi di volta in volta in gioco, la regolazione dei singoli
contributi è da riferirsi a tematiche di revisione del modello decisionale. Si tratta di un elemento
decisivo all’interno dell’idea stessa di progetto urbano, in quanto misura il possibile grado di artico-
lazione dei rapporti che possono intercorrere tra i differenti soggetti coinvolti, articolazione che in
grande parte va a sostituire i tradizionali rapporti regolati dal piano generale, che vedono inizio nel
momento dell’apposizione del retino (e dei vincoli che esso comporta) e si estendono sino all’attua-
zione, attraverso le norme speciali dei singoli isolati che governano le trasformazioni. Inoltre tale at-
teggiamento implica la necessità di “fornire situazioni e occasioni affinché le progettazioni settoriali
e specialistiche trovino (…) ambiti di convergenza sugli obiettivi”, visti come condizione indispensa-
bile, proprio dal momento in cui il progetto urbano non si affida a progettazioni chiuse nel tempo e
compatte nella realizzazione generale, ma a una costruzione incrementale del brano di città.
Tra gli elementi ricorrenti del progetto urbano, è inoltre da ricordare l’importanza del rapporto tra
progetto ed esperienza del vissuto quotidiano, laddove “il punto di partenza diventa l’accetta-
zione degli elementi pluralisti presenti nell’ordinamento della città esistente, e dei tanti modi che
trovano per esprimersi”48. Il progetto urbano si trova quindi nella posizione di non dovere ‘inven-
tare’ da zero una nuova spazialità, ma di dover riconoscere ciò che già è esperito, sul territorio di
riferimento, da attori tra loro differenti e portatori di istanze altrettanto diseguali49. In quale modo il
progetto urbano si rapporta – o meno – con tali esperienze locali può essere sintomo dell’attenzione
che viene posta nei confronti della relazione tra spazio e società insediata.
Infine, il rapporto con gli ‘eventi’, con il quale si sottolinea la relazione tra alcuni grandi progetti
urbani e grandi manifestazioni internazionali, appuntamenti sportivi di vasto richiamo o particolari ri-
correnze storiche, infatti “la terziarizzazione dell’economia, la globalizzazione dei mercati e l’utilizzo
di mega eventi come catalizzatori di rinnovamento urbano assumono una particolare dimensione
almeno dai primi anni ottanta, e tale processo continua a crescere negli anni. I mega eventi infatti
costituiscono un fattore di stimolo della trasformazione urbana”50.
Non si tratta di una condizione essenziale per un progetto urbano, ma è sicuramente un elemento
catalizzatore di attenzioni e di risorse economiche che può, in alcuni casi, cambiare addirittura le
sorti delle città. Un grande evento può infatti riguardare ampie porzioni del territorio cittadino o so-
lamente aree limitate, ma è in ogni caso foriero di ‘visibilità’, alla quale è spesso correlata un’idea
di trasformazione e di rigenerazione urbana. Diversi fenomeni sono ricorrenti, indipendentemente
dalle tematiche degli eventi :
- l’evoluzione degli indicatori sociali;
- il mutamento dei tradizionali rapporti tra popolazione e territorio (…) e l’allargamento della qualità
e della quantità dei consumi;
- la terziarizzazione dell’economia, con la trasformazione delle città fordiste e portuali;
- il cambiamento delle strategie di marketing territoriale.
Con progetto urbano, si intende quindi di un modello complesso, fortemente influenzato dalle diver-
se componenti fisiche, tecniche, economiche e sociali che si possono riscontrare nei diversi con-
testi urbani; un modello che non risponde ad una definizione univoca, come appena argomentato,
ma a molteplici elementi che concorrono a definire la perimetrazione di un oggetto riconoscibile
soprattutto nel superamento del piano onnicomprensivo e nella strutturazione di una ‘parte di città’
considerata strategica rispetto all’intero corpo urbano.
Gli elementi ricorrenti e costitutivi del progetto urbano, così come segnalati nel paragrafo preceden-
te, hanno avuto un ruolo determinante in alcuni casi significativi che, per la loro innovazione rispetto
alle pratiche precedenti di pianificazione e per la nuova relazione istituita nei confronti delle strutture
decisionali tradizionali, sono da annoverare tra le esperienze più significative dello sviluppo dell’
‘architettura urbana’51 avutosi in Europa tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo passato.
Tra questi casi, si vogliono qui segnalare tre esperienze significative, che si può dire abbiano ‘fatto
scuola’, ognuna per le proprie caratteristiche: due in Francia (Bercy a Parigi e Euralille a Lille) e una
in Germania (Postdamer Platz a Berlino).
“Gli anni ‘80 segnano per la Francia un passaggio decisivo: da un’urbanistica tecnocratica, es-
senzialmente basata su un piano impostato rigorosamente, sia per quanto riguarda i suoi tempi di
applicazione che le sue diverse disposizioni, si passa ad un approccio più aperto e flessibile del
processo di pianificazione, attraverso l’introduzione della nozione di progetto urbano”. Così Patrizia
Ingallina introduce il testo52 che ripercorre le vicissitudini della nozione di projet urbain “dall’espe-
rienza francese alla realtà italiana”. Attraverso una definizione volutamente e necessariamente
ampia del concetto, viene presentato un tema che, dalla sua accezione fisico-spaziale, si amplia
sino ai giorni nostri verso dimensioni sociali ed economiche, investendo gran parte del dibattito
disciplinare francese, connesso ad altre esperienze europee (su tutte, quella italiana nella sua di-
mensione critica e, in parte, operativa).
Dal punto di vista procedurale, l’ampia definizione del projet urbain, si sviluppa dapprima entro un
“approccio più programmatico che progettuale” il quale, entro una logica quantitativa e produttiva, si
pone in diretto riferimento con la procedura della ZAC (Zone d’Aménagement Concerté)53, dando
forma, in termini fisici, a progetti che presentano una grande capacità operativa attraverso le SEM
(Société d’Economie Mixte), ma una scarsa qualità urbana, dovuta alla ripetitività meccanica con
la quale sono sviluppati, definita come un lavoro quasi “di routine”54. Tale sistematizzazione delle
operazioni viene talvolta ‘adeguata’ alle particolari condizioni del contesto e, attraverso la qualità
delle previsioni progettuali e delle realizzazioni architettoniche, riesce comunque ad approdare a
risultati significativi, soprattutto se inserita in visioni più ampie dei singoli comparti urbani entro i
quali è inserita.
Ad ogni modo, la sempre maggiore “globalità del progetto urbano (...) contrasta con una concezio-
ne settoriale diffusa”55 e ben presto abbraccia - sin dalla sua concezione - diverse forme di ‘aper-
ture’, fisiche56 e concettuali, che concorrono ad una visione integrata del progetto ma anche alla
difficoltà di considerarne la perimetrazione disciplinare.
I due progetti che vengono di seguito trattati, Bercy e Euralille, si riferiscono alle due ‘modalità’ so-
pra descritte: il primo si configura come progetto urbano inscritto entro operazioni di pianificazione
operativa ‘tradizionale’ di aménagement concerté, il secondo come esito di una “strategia gestiona-
le e finanziaria”57 che ripone in un’unica e forte regia le connessioni ideative, finanziarie e spaziali
del progetto di una parte della città.
52 ngallina P (2004) Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana Franco Angeli Milano
53 La ZAC istituita con la Loi d’Orientation Fonciére del 1967 è una procedura di urbanistica operativa collegata sin dalla sua
primitiva concezione ai due strumenti di urbanistica generali: il POS (Plan d Occupation des Sols) e lo SDAU (Schéma Directeur
d Aménagement et d Urbanisme)
54 ngallina P (2004) Op cit pg 17
55 bidem pg 20
56 Si pensi al concetto di embrayage (aggancio)
57 Marinoni G (2005) Op cit pg 146
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 29
Immagine 3.
Veduta d’assieme
dell’area dismessa
dei magazzini vinicoli
di Bercy, prima degli
interventi. Tratta da:
Marinoni G. (2005),
Op. cit.
Immagine 4.
Gli edifici ed il Parco.
Progetto realizzato.
Tratta da: Di Martino V.
(2008), Op. cit.
Immagine 5.
Le regole grafiche di co-
struzione delle facciate
prospicienti il parco.
Coordinatore: J.P. Buffi.
Tratta da: Marinoni G.
(2005), Op. cit.
30 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il Documento di sviluppo di Buffi, che interviene come “momento specifico e limitato”63 dopo una
gestione frammentaria di una serie di opere architettoniche e infrastrutturali mancanti di un progetto
morfologico d’insieme (costruzione delle grandi opere pubbliche e riforma della viabilità espressa),
costruisce una serie di ‘regole’ rispondenti alle specifiche programmatiche della ZAC Bercy-Front
de Parc: un settore di alloggi e di attrezzature pubbliche a Nord, il parco a Ovest e il quartiere ter-
ziario e commerciale a Est.
L’architetto Buffi definisce un sistema di sei regole generali molto precise, entro una fase di décou-
page, ma che non costituiscono uno schema rigido: affidamento a singoli architetti parti ben definite
dell’intero isolato ma non di singole parcelle, rendere i tetti abitabili, abitazioni secondo la tipologia
del duplex, introduzione di un elemento unificatore (linea continua dei balconi), utilizzo di rivesti-
menti unitari per parti specifiche, sistema di relazioni visive e fisiche tra edifici e parco.
Attraverso l’introduzione di elementi di composizione architettonica (i divisori, il quadro, i padiglioni
e le connessioni) che operano una reale scomposizione e re-interpretazione del tema dell’isolato,
Buffi ricerca il “superamento della frontalità imposta al progetto dalla forma allungata dell’area”. I
diversi operatori immobiliari hanno così potuto contare sulle superfici di vendita entro un progetto
di alta qualità formale.
Il parco, realizzato sul progetto degli architetti Huet, Ferrand, Feugas e del paesaggista Le Casine,
viene considerato quale “Giardino della memoria”, mantenendo alcuni elementi preesistenti ed i
tracciati delle vecchie fabbriche e dei magazzini del vino, all’interno di una visione ‘per sequenze’
che privilegia visioni intrecciate tra differenti livelli di attraversamento.
Il progetto urbano di Bercy, inserito entro uno schema rigido di definizione ‘amministrativa’ dell’ope-
razione - attraverso la sequenziale procedura di ZAC, anche se non predefinita dal POS - si è
evoluto attraverso una concezione ‘attiva’ del Plan d’Aménagement de Zone, che ha superato le
distinzioni gestionali, configurando una parte della città che, pur attraversata da molteplici infra-
strutture, nasconde un prezioso parco urbano e un comparto residenziale misto a servizi locali e
sovralocali.
Lille, Euralille
Differentemente dal caso di Bercy, il progetto di Euralille a Lille, città del Nord-Est francese posta
al confine con il Belgio, non si configura entro un predefinito piano-programma, ma si caratterizza
dalla presenza di una serie di opportunità che hanno determinato le favorevoli condizioni per lo
sviluppo del progetto, attraverso un “processo continuamente governato sin dai primi momenti della
sua attivazione”64, pur utilizzando il medesimo strumento, la ZAC.
La principale opportunità, che ha poi innescato una serie di eventi che hanno portato alla definizio-
ne del programma progettuale, è stata la decisione di collegare Londra con Parigi attraverso l’alta
velocità ferroviaria TGV con il tunnel sotto la Manica, avvenuta nel 1986. Tale decisione ha fatto sì
che Lille, cittadina di circa 200.000 abitanti (ma riunita in una Comunità urbana di oltre un milione di
abitanti), si trovasse nel mezzo di una rete che collega metropoli che complessivamente raccolgono
più di cinquanta milioni di residenti (Londra, Parigi, Bruxelles, Rotterdam, Amsterdam).
L’area di Lille, come tutto il Nord-Est francese, era stata colpita negli anni ‘80 da una profonda crisi
industriale che stava destrutturando il tessuto economico e sociale della città. Ciò richiedeva una
forte inversione in termini produttivi, verso attività differenziate che potessero riattivare l’economia
locale.
L’occasione fu inizialmente raccolta da Pierre Mauroy, sindaco della città, presidente della Comuni-
tà Urbana ed ex primo ministro della Repubblica, il quale si adoprò per ‘attirare’ il passaggio dell’in-
frastruttura nel cuore della città di Lille (dapprima era prevista a circa 40 km dal centro abitato).
Questa decisione fece convogliare gli interessi di molteplici attori economici internazionali, dando
seguito alla metafora della “turbina terziaria”65, introdotta dallo stesso sindaco a proposito delle
possibilità economiche indotte dall’occasione.
Il percorso sostenuto dal progetto vide, oltre al sindaco Mauroy, la presenza di altre due figure di
rilievo nel ‘montaggio’ della strategia adottata: sotto il punto di vista economico Jean-Paul Baietto
e sotto il punto di vista tecnico-operativo Rem Koolhaas, rispettivamente direttore generale della
società di gestione Sem Euralille e autore del masterplan di progetto, oltre che coordinatore delle
progettazioni e realizzazioni.
Il montaggio finanziario del progetto urbano inizialmente si basò sul modello delle società ad econo-
mia mista francesi66, per poi approdare a forme differenti di partenariato più consone all’operazione
in corso. Attraverso la società di studi a capitale privato Euralille Métropole venne elaborato un
progetto di fattibilità economica, sul quale “si implementa un lavoro di concertazione con la comu-
nità locale (...) e si raccolgono, attorno allo scenario di sviluppo, gli operatori privati interessati ad
investire capitali”67.
Sin dall’inizio del processo, diverse banche si aggregarono nell’operazione, puntando sulle possi-
bilità a lungo termine offerte dal progetto, in quanto non connotato da semplici speculazioni immo-
Immagine 6.
L’indicazione delle ZAC
corrispondenti alle due
fasi. Tratta da: Tiano C.
(2007), Op. cit.
Immagine 7.
Vista d’assieme
dell’area di Euralille.
Fase 1.
Masterplan di OMA.
Fonte: www.oma.eu
68 Tiano C (2007) Tesi di Dottorato in Urbanisme, Aménagement et Études Urbaines Université Paris 8 Vincennes Saint Denis
nstitut Français d Urbanisme Ecole Doctorale Ville et Environnement Laboratoire Théorie des mutations urbaines
Titolo della tesi: Les Fauteurs d’imaginaire. Construction d’un imaginaire et jeu d’acteurs dans les operations de requalification ur
baine Euralille, Euroméditerranée et Neptune Directeur de thèse : Alain Bourdin
34 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Si tratta quindi di un caso segnato dalle eccezionalità, un caso che ha influenzato operazioni simili
in Francia71, ma che trova nella confluenza di elementi politici, economico-amministrativi e tecnico-
gestionali la sua unicità.
del 1984, mostra internazionale dell’edilizia) si erano potuti sperimentare metodi di intervento nella
città consolidata, specialmente attraverso i “principi della ricostruzione critica”75, portando però
verso compromessi dovuti alla “volontà d’innovazione contrapposta a principi di restaurazione della
forma urbana”76.
La vicenda della ricostruzione di Potsdamer Platz si inserisce, dopo IBA 84 ed a cavallo della ca-
duta del Muro, come un esempio delle trasformazioni nei rapporti tra l’amministrazione della città, i
nuovi investitori e i protagonisti del dibattito sulla futura forma urbana della città.
Nel 1989, prima della caduta del Muro, la coalizione tra Verdi e Socialdemocratici (Sindaco Walter
Momper) diede inizio a colloqui con la corporation Daimler-Benz sulle possibilità trasformative della
città, cercando di spostare gli interessi in direzione di un economia terziaria e di servizi, superando
le logiche industriali e produttive77. Venne individuata, come sito privilegiato, Potsdamer Platz. Nel
1990 e nel 1991, dopo la caduta del Muro, Daimler-Benz e il gigante giapponese dell’elettronica
Sony firmarono accordi con i quali acquisirono grandi superfici di terreno costruibile attorno alla
piazza. Il prezzo con il quale acquisirono le aree, relativamente basso nei confronti delle proprietà
del centro, causò una pioggia di critiche da parte dei giornalisti e degli urbanisti, che accusarono
l’amministrazione di “vendere la città agli interessi corporativi”78.
Al contempo l’amministrazione dà vita al Planwerk, un piano generale delle aree centrali di Berlino
che ha operato “tramutando in legge i principi della ricostruzione critica elaborati dall’IBA 84”79, at-
traverso il quale dare seguito alla densificazione della città, con l’ausilio di concorsi internazionali. I
temi legati alla ‘ricostruzione critica’, alle diverse possibilità legate ad una città costruita ‘in verticale’
e alla contrapposizione tra urbanità della città storica e definizione di una nuova città direzionale,
segnarono un dibattito che vide affrontarsi politici, investitori ed i più noti esponenti dell’architettura
internazionale.
Il concorso per Potsdamer Platz venne vinto, nel 1991, dallo studio Hilmer&Sattler di Monaco,
con un progetto concepito sul “denso modello urbano europeo” seguendo in modo quasi letterale
i principi della ‘ricostruzione critica’, con corpi urbani compatti e distribuiti secondo un rigido ritmo
stereometrico. Questo progetto generò numerose critiche, pervenute soprattutto da Rem Koolhaas,
membro della giuria, il quale si scagliò contro la reiterazione del blocco urbano quale forma-base
dell’intero impianto, sintomo del ‘provincialismo’ del progetto. Critiche simili vennero portate anche
dagli investitori, i quali non vedevano possibilità di sviluppo nella proposta vincitrice80.
Fu così che la pubblica amministrazione prese la decisione di attuare il masterplan attraverso tre
concorsi autonomi, corrispondenti alle aree di proprietà degli investitori (che nel frattempo erano
diventati tre: Sony, Debis - parte di Daimler - e ABB), senza imporre tra loro nessun tipo di coordina-
75 Cfr Marinoni G (2005) Op cit Si tratta di principi con i quali la ricostruzione del tessuto della città viene affidata alla ricon
ciliazione con il blocco urbano unità edilizia che occupa l intero isolato agli allineamenti stradali e all individuazione di altezze
privilegiate
76 bidem pg 118
77 von Rauch Y Visscher J (a cura di ) (2000) Op Cit pg 31
78 bidem
79 Marinoni G (2005) Op cit pg 119
80 Cfr von Rauch Y Visscher J (a cura di ) (2000) Op Cit
36 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
mento; questa scelta genererà tre differenti entità, ognuna con una propria logica progettuale e sen-
za relazioni di alcun tipo tra i differenti episodi, che sono semplicemente separati dagli assi viari.
I tre progetti sono stati affidati a progettisti di chiara fama internazionale, quali Murphy&Jahn per
Sony, Renzo Piano per Debis e Giorgio Grassi per ABB, ma compongono una collezione di ‘parti
di città’ autoriferite, che convergono in altezza verso Potsdamer Platz, tralasciando i dettami della
‘ricostruzione critica’ (nel caso di Grassi, attraverso una ulteriore ‘fuga nel passato’, verso le forme
del palazzo barocco).
Il progetto di Renzo Piano per Debis segna comunque uno scarto rispetto agli altri: egli costituisce
una maglia urbana basata sull’individuazione dello spazio pubblico aperto, per poi prendersi in ca-
rico la progettazione degli edifici più rappresentativi ed il coordinamento dei progetti singoli inseriti
nel masterplan dell’area Debis, per i quali vengono invitati altri architetti. Attraverso queste regole
ed altri espedienti (riferibili al mix funzionale orizzontale-verticale ed alla cura del dettaglio), Piano
riesce nel tentativo di costruire la complessità della città europea di fine secolo, laddove spazi
privati si rapportano con lo spazio pubblico in modo libero entro regole generali di ampio respiro,
permettondo la concentrazione di attrattori pubblici di livello urbano (viali, piazza, teatro) in diretta
corrispondenza con gli spazi della vita quotidiana.
Come anticipato, il caso di Potsdamer Platz si può collocare - per più motivi - nel mezzo dei casi di
Bercy ed Euralille: come a Parigi il progetto è inserito in una più ampia strategia pubblica riferita ad
una parte di città (il Planwerk) e vede inizialmente una procedura ad esso riferita; come a Lille, è di
fondamentale importanza l’ingresso di operatori privati, che hanno investito sull’area e che hanno
dato diversa evoluzione ai progetti. E’ però da sottolineare che l’entrata in scena degli immobiliaristi
ha definito, nei due casi di Lille e Berlino, diverse strategie di gestione del progetto: per Euralille il
progettista-coordinatore ha avuto un ruolo di regia dell’intera trasformazione (coordinando progetti
riferiti a diversi operatori), mentre per Potsdamer Platz gli investitori si sono suddivisi nettamente in
tre parti l’area e hanno poi promosso, con l’amministrazione, tre diversi concorsi a sé stanti.
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 37
Immagine 8.
Modello del progetto di
Renzo Piano e Christo-
ph Kohlbecker per la
proprietà Daimler-Benz
in Potsdamer Platz.
Aprile 1992.
Tratta da: von Rauch Y.,
Visscher J. (a cura di ),
(2000), Op. Cit.
Immagine 9.
Vista d’assieme del
progetto. Da sinistra:
il Sony Forum di Jahn,
le torri di Kollhoff e
Piano. In primo piano
il quartiere sulle aree
Daimler-Benz.
Tratta da: von Rauch Y.,
Visscher J. (a cura di ),
(2000), Op. Cit
38 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
1 Beck U (1999) Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria ed it Carocci Roma
2 Sassen S (1997) Le città globali, UTET Torino l fenomeno è costantemente seguito dall autrice che ha recentemente pubblica
to un testo dal titolo Una sociologia della globalizzazione (2008) Einaudi Torino
3 Bojra Castells (1996 ed it 2002) La città globale ed De Agostini Novara;
4 Balbo M (1999) L’intreccio urbano. La gestione della città nei paesi in via di sviluppo Franco Angeli Milano;
5 Bojra Castells (1996 ed it 2002) Op cit
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 39
Ma quali effetti hanno avuto tali caratteristiche della globalizzazione sulla formulazione dei più re-
centi progetti urbani?
Anzitutto, come riportano Borja e Castells nel loro La città globale, è da segnalare l’importanza
che le Pubbliche Amministrazioni (PA) acquisiscono nel governare trasformazioni complesse
collegate a dimensioni finanziarie a scala globale: oltre alle ricadute positive sul finanziamento dei
progetti, si pensi ad esempio ai rischi di investimenti privati connessi a speculazioni di borsa, che
non sono controllabili dalle PA. In questi casi gli effetti negativi di una crisi finanziaria hanno evidenti
ripercussioni sia in termini sociali che economici.
Gli stessi autori, quindi, affermano che i progetti urbani, per avere un’efficace attuazione, debbono
poggiarsi su solidi strumenti di strategia urbana (necessari anche in un’ottica di competizione
globale) o su schemi generali6, in modo da considerare tempi e modalità e quindi priorità di at-
tuazione. Il superamento della pianificazione convenzionale, secondo Borja e Castells, non può
significare la vittoria della dispersione progettuale, lasciata al libero arbitrio delle forze economiche
private, soprattutto nel momento in cui queste ultime condizionano, invece di esserne condizionate,
le determinazioni delle PA sulla strutturazione futura del corpo urbano.
Recentemente, lo stesso punto è stato energicamente richiamato da Joan Busquets7 a riguardo
delle possibilità di sviluppare progetti su aree contenute, ma che hanno grandi ripercussioni sull’in-
tera fabbrica urbana, come gli eventi internazionali. Anche in questi casi, la possibilità di muoversi
entro un quadro d’insieme noto ed orientato da chiare politiche urbane, favorisce l’integrazione tra
previsioni e singola trasformazione urbana.
E’ quindi da richiamare l’importanza del ruolo della pianificazione strategica per lo sviluppo urbano,
o comunque da programmi di ampie visioni e scenari, in quanto dovrebbero permettere il dispie-
gamento di forze e di economie coerenti con le finalità perseguite, introducendo eventuali indirizzi
regolativi nei confronti degli interessi diffusi sul territorio.
E’ comunque da ricordare chiaramente che i progetti urbani possono prendere corpo anche in as-
senza di un piano strategico della città, mantenendo avocate a loro stessi le già richiamate finalità
complesse; altrettanto chiaramente la pianificazione strategica non è da intendersi come portato
della nuova economia globale. E’ però importante segnalare che, entro un quadro globale e com-
petitivo, la relazione tra progetto urbano e pianificazione strategica assume un ruolo determinante,
dove “una serie di operazioni funzionali specializzate, quasi sempre correlate alle comunicazioni o
alle attività connesse a un’economia globale” collegate ai progetti, assumono valore strategico nella
misura in cui rispondono alla “coerenza con altri progetti paralleli”, alla “qualità nell’esecuzione del
progetto” e alla “capacità di movimentare iniziative e fondi pubblici e privati”8.
Un altro effetto della globalizzazione sul progetto urbano, collegato alla pianificazione strategica
sopra segnalata, è l’importanza assunta dalla scala degli interventi: se “il piano strategico diventa
un processo che dà legittimità ai progetti urbani su grande scala e conferisce loro una coerenza
territoriale”, allora gli interventi di scala minore dovranno avere un ruolo collegato alle esigenze
espresse dai progetti connessi a dimensioni territoriali più ampie9, con riferimento alla bigness più
volte richiamata da interventi progettuali di scala grandiosa e di forte impatto visivo.
Il successo avuto da numerose grandi operazioni finanziarie e di immagine in alcune città europee
(su tutte Barcellona, senza dimenticare Genova, Lille, Valencia, Lisbona e, più recentemente, To-
9 bidem
10 bidem
11 Balbo M (1999) Op cit
12 Amendola G (1997 nuove ed 2003 2009) La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea ed Laterza
Roma Bari
13 Guala C (2007) Op cit
14 La Cecla F (2008) Contro l’architettura Bollati Boringhieri Torino
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 41
rino) ha generato un forte interesse in altre realtà internazionali verso modelli di implementazione
del progetto urbano che possano portare con sé condizioni di sviluppo generalizzato dell’economia
cittadina.
E’ da rilevare che, entro un quadro globale competitivo, questo interesse è probabilmente da acco-
munare alla crescente attrazione esercitata dalla cosiddetta “architettura dello spettacolo”15, che
sta portando un numero sempre crescente di città a dotarsi di un progetto urbano - o almeno di
un architettura – che possa fregiarsi di numeri vertiginosi (la bigness richiamata da Rem Koolhass:
altezza, attrazione turistica, numero di impiegati, etc...) o di nomi altisonanti della progettazione.
Entro tale dimensione commerciale, visuale e formalistica, è sicuramente da ricordare la realtà
“neo-venturiana” di Dubai che, come una novella Las Vegas16, è stata fondata con il deliberato
obiettivo di stupire, di rendere possibile ciò che era considerato impossibile e cioè di realizzare
macchine del turismo e del divertimento internazionale a ridosso della penisola considerata sacra
dalla religione islamica, entro un ‘gioco’ che, ironicamente, viene definito da Mike Davis “l’incontro
di Albert Speer e di Walt Disney sulle rive d’Arabia”.
Pur essendo del tutto slegato dal tema ‘progetto urbano’, l’esempio di Dubai incarna la “città-even-
to” dove “gli eventi sono il quotidiano e dove ogni cosa e ognuno – la città stessa – possono diven-
tare evento”, in quanto “la città-evento è la vera città-mondo, una città al centro dei tantissimi mondi
di cui il mondo contemporaneo è fatto” e dove “si esiste solo se si è visibili” e quindi se si è parte
dell’evento stesso17.
Per conseguire i sopra citati obiettivi di mercato globale (fare parte dei flussi), le attuali politiche di
marketing urbano, fortemente promosse dalle PA e dagli enti locali, tendono a confondere questa
‘strategia dell’apparenza’ con le già richiamate politiche urbane strategiche, che invece sono di
reale pianificazione della città anche attraverso il ricorso ai progetti urbani.
Ne consegue che, all’interno di questa indeterminatezza, si insinua un carattere propagandistico,
una retorica propria dell’immagine virtuale del progetto, che caratterizza l’esistenza nell’era globale
delle ‘città-evento’.
La classificazione economica del FMI (Fondo Monetario Internazionale) individua come economie
emergenti (e quindi non ‘meno sviluppate’) tutte le economie nazionali non facenti parte del gruppo
‘avanzato’ (Nord America, Europa e Australia), ma fuoriuscite sostanzialmente dalla condizione di
15 “L’abbondanza estetica abbandona allora i propri processi che la rendevano autonoma nel costituirsi, si volge all’area delle arti
visuali (a loro volta in piena crisi), della pubblicità, del design, dei linguaggi mediatizzati ed audiovisivi, unificate dalla fascinazione
dello schermo del computer tratto da Gregotti V (2006) L’architettura nell’epoca dell’incessante Ed Laterza; dello stesso autore
e sullo stesso tema: (2009) Sono case da barbari articolo pubblicato su L Espresso n 3 22 gennaio 2009;
16 Davis M Monk D B (2007) Evil paradises. Dreamworlds of neoliberalism pg 87 101 The New Press New York
17 Amendola G (1997 e ed 2003 2009) Op cit
42 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Dal punto di vista urbanistico, entro tali paesi è sovente ravvisabile una dinamica demografica cen-
tripeta, a favore di alcuni centri maggiori: le principali conurbazioni dei Paesi emergenti sono nella
lista delle città più popolose al mondo e, nella quasi totalità dei casi, il fenomeno dell’inurbamento
di popolazione rurale ha qui assunto proporzioni di enorme rilievo (si pensi a Delhi, San Paolo,
Shangai o Il Cairo)21, facendo parlare taluni di “mega-città”.
Come ormai assai noto, entro queste città22 convivono a stretto contatto popolazioni che presen-
tano al loro interno un enorme divario economico, e queste realtà vengono descritte come “luoghi
flagellati da differenze sociali impressionanti”, dove è possibile registrare la presenza di innumere-
voli baraccamenti ad uso abitativo (dai sostantivi differenti rispetto ai modi e tempi di costruzione),
giustapposti ad insediamenti commerciali, residenziali o direzionali di alto livello. All’interno della
dinamica generale che vede le città assumere “un ruolo crescente come centri di controllo e di
autorità”23, ciò che è avvenuto nei paesi con economie urbane emergenti è un vero e proprio ‘as-
salto alla città’ da parte delle popolazioni più povere dei territori rurali.
Si tratta infatti di centri urbani che, pur nella loro dimensione di subordinazione al mercato, sono
18 L acronimo PVS (Paesi in Via di Sviluppo) individua tutti quei paesi compresi nella parte della lista stilata dall OCSE l Organiz
zazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (lista che annovera buona parte dell Africa subsahariana parte del Sud Est
asiatico oltre che alcuni Stati sulla costa Ovest del Sud America) Differenti indicatori economici stanno alla base di tali classificazio
ni tra i quali ricordiamo il Reddito pro capite (utilizzato dall OCSE) l ndice di Sviluppo Umano (utilizzato dall UNDP) e la valutazione
dei mercati dei paesi emergenti ad opera di agenzie private tra le quali la più accreditata è MSC Morgan Stanley Non è tuttavia
facile individuare una lista ‘chiusa dei Paesi emergenti in quanto i differenti indicatori subiscono variazioni di grande rilievo
19 http://www worldbank org/ URL permanente per la pagina sui Country Groups della Banca Mondiale: http://go worldbank org/
D7SN0B8YU0
20 Laureti L (2008) Economia dello sviluppo e dell’integrazione euromediterranea pg 75 Franco Angeli Milano
21 Troin J F (2000) Les métropoles des “Sud pg 5 collana Carrefours de géographie Ellipses ed Parigi
22 Petrillo A (2000) La città perduta ed Dedalo Bari Si fa particolare riferimento al capitolo secondo Orizzonti di catastrofe:
Mega città nel terzo mondo.
23 Cfr Balbo M (1999) Op cit
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 43
plasmati su dinamiche economiche globali ed infatti “gli effetti della competizione su scala planeta-
ria e della concorrenza generalizzata divengono palpabili se si analizzano le modalità di crescita e
gli enormi squilibri caratteristici delle Mega-città”24.
Con riferimento a quanto delineato nel precedente paragrafo, è qui da sottolineare che la competi-
zione planetaria cui ci si riferisce vede le città giocare un ruolo di punta nelle relazioni internazionali,
tessendo reti lunghe con altre città facenti parte della “rete-piramidale” globale, spesso trascurando
le relazioni interne con i territori circostanti. Come sottolineato anche dalla stessa Sassen, le città
all’epoca della globalizzazione “hanno finito per avere più cose in comune tra loro che con le rispet-
tive aree regionali e nazionali, molte delle quali sono andate perdendo importanza (...)”25.
Si tratta quindi, entro le economie emergenti, di vere e proprie ‘città-antenne’, che collegano l’eco-
nomia della città (ma molto meno quella del retrostante territorio regionale) con altre città facenti
parte delle gerarchie economiche mondiali26, ‘captando i segnali’ provenienti dalle economie più
sviluppate e concentrandone le informazioni ed i capitali entro i propri confini.
Un esempio di queste ‘città-antenne’ è facilmente osservabile entro il bacino del mare Mediterra-
neo, dove i paesi emergenti che vi si affacciano hanno dato vita a conurbazioni di grande rilievo
(Algeri, Tunisi, Alessandria, Il Cairo, Beirut, Damasco, Istanbul) che sono state definite “metropoli-
relé” da Jean Francois Troin27. In questo caso il fenomeno si accompagna ad una più generale ten-
denza insediativa e demografica verso la litoralizzazione, come sottolineato dal Plan Bleu28, dove
le “metropoli-relé diventano allora dei punti di transito, dei luoghi di consumo e assai raramente dei
centri promotori di innovazioni su scala planetaria”.
Le città dell’arco maghrebino, mantenendo sullo sfondo le dinamiche proprie della globalizzazione
introdotte nel precedente paragrafo, si presentano così come un caso peculiare di rapporto tra eco-
nomia emergente e mondializzazione dei mercati: in quanto nodi di una rete dinamica e complessa
quale quella Mediterranea – quest’ultima facente parte di una più vasta rete di scambio a scala
globale - tendono a isolarsi rispetto al territorio circostante, entro una dinamica di de-territorializ-
zazione29. Questo isolamento è però coincidente con la concentrazione finanziaria e gestionale
delle risorse dei rispettivi paesi, e con l’accorpamento di tutte le funzioni di pregio che un’economia
emergente può sostenere.
Questa polarizzazione delle economie locali fa sì che queste città assumano un’importanza non
dissimile da quelle della costa europea e ciò le induce, in quanto ‘antenne’, a perseguire gli stessi
obiettivi delle città dei paesi sviluppati in termini di visibilità, attrazione di capitali internazionali
e di operazioni immobiliari.
E’ quindi possibile riferire a tale dinamica lo sviluppo di numerosi progetti urbani nelle città
costiere del Maghreb e del Levante, città che tendono a mantenere un primato territoriale entro i
rispettivi paesi e una discreta relazione con i livelli più alti dell’economia-mondo30, anche se pre-
sentano forme di pianificazione e dinamiche di trasformazione che si discostano sensibilmente da
quelle delle città occidentali.
E’ comunque da rilevare che tali dinamiche, con i dovuti distinguo, sono ravvisabili anche in molti al-
tre città facenti parte di contesti emergenti: dal Sud America al Sud Africa al Sud-Est asiatico, dove
la recente crescita economica ha proiettato molti centri urbani nell’agone della mondializzazione
finanziaria, mantenendo comunque caratteristiche tipiche delle città emergenti.
Queste città, generalmente segnate da uno sviluppo incontrollato e da storie urbanistiche travaglia-
te (con il comune passaggio dalla stratificazione storica alla modernizzazione esogena dovuta al
colonialismo, sino alla pianificazione generale del post-colonialismo) spesso presentano situazioni
di degrado che spingono ai margini una grande fetta della popolazione, entro baraccopoli o altri in-
sediamenti marginali. Le politiche degli organismi sovranazionali (FMI, Banca mondiale, etc) hanno
generalmente rivolto loro il proprio interesse, attraverso modalità di supporto delle economie e delle
società locali, ad esempio con i progetti di sites and service, mentre la pianificazione locale sovente
non riusciva a gestire le dinamiche insediative in relazione a quelle produttive, e quindi non riusciva
a determinare equilibri che potessero accogliere le stesse pressioni demografiche.
Ma, come detto, queste città hanno comunque stabilito un primato economico rispetto al territorio di
riferimento e, nella prima decade del nuovo millennio, mirano a mantenere il passo dell’economia
globale. Per fare ciò, cercano di inserire al loro interno meccanismi economici di sfruttamento delle
proprie risorse (turismo, manodopera a basso costo, etc) che permettano loro di diventare “città
produttive”31, cioè di rimanere all’interno del circuito economico globale attraverso la produzione
di determinati beni (materiali o immateriali) che attraggano capitali stranieri. Entro questa logica il
marketing urbano è “diventato obbligatorio anche per le città dei PVS, ovviamente soprattutto per
quelle di maggiori dimensioni”32 per non restare ai margini dei flussi finanziari.
Hanno così modo di essere concepiti grandi progetti immobiliari, supportati dall’inserimento di fun-
zioni attrattive di vario genere dislocate anche a ridosso di quartieri degradati o di aree marginaliz-
zate, in quanto non necessitano di relazioni locali con le attività ‘tipiche’ di un determinato luogo33.
Questi progetti, che nascono con l’intento di rilanciare l’immagine della città e che sono promossi
da developers internazionali (riferibili sia ai paesi occidentali ex-colonizzatori sia ad altri nuovi paesi
30 Questo è in parte da addebitarsi alle relazioni mantenute con i paesi europei dei quali sono state colonie
31 Balbo M (a cura di) (2002) La città inclusiva. Argomenti per la città dei PVS Franco Angeli Milano
32 Balbo M (a cura di) (2002) Op cit
33 Balbo M (a cura di) (2002) Op cit
capitolo 1 - Il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città 45
emergenti) presentano, in linea generale, solo alcuni tratti comuni con i progetti urbani dei paesi
più sviluppati:
- Relativa indipendenza dalla pianificazione generale urbana;
- Nuove forme di gestione e regolazione del progetto;
- Grande attenzione all’impatto visivo;
- Presenza di capitali riferibili a soggetti privati (in questo caso in prevalenza).
Sembra, in prima istanza, che le similitudini si limitino a quelle sopra elencate. In questi casi infatti
il ricorso a forme di sviluppo ispirate al progetto urbano così come sperimentato in Europa e, in
generale, in Occidente, presenta qualche problema:
- la difficoltà di combinare tali realtà urbane (caratterizzate da un alto grado di esclusione, forme di
povertà estrema e problemi di contenimento demografico) con gli elementi ricorrenti del progetto
urbano;
- il problema di costituire relazioni con il contesto fisico degradato e con quello sociale, portatore di
esperienza propria molto differente da quella generalmente proposta dai progetti;
- la necessità di individuare fondamenti tecnici (esperienza tecnico-amministrativa, capacità proget-
tuali, elementi di coesione programmatica) sui quali poggiare lo strumento progetto urbano.
Incognite che, alla luce delle recenti realizzazioni e delle dinamiche connesse alla competizione
urbana, mantengono sullo sfondo fenomeni di iconodulìa e di spettacolarizzazione avviati dapprima
nelle città europee ed occidentali, che possono abilitare i progetti urbani delle città emergenti ad
aspirare ad “un disinvolto vitalismo” privo di connessione con la realtà economica e sociale del luo-
go, influenzato dalle vecchie e nuove icone urbane del gigantismo architettonico e che, in coerenza
con la “società della comunicazione”, tendono a contrastare le caratteristiche proprie (la costru-
zione storica della città, i modi di vita e i processi locali di trasformazione urbana), proponendo “di
continuo nuove immagini prive di inerzia, che tendono ad annullare ogni identità e ogni differenza
e che trovano un consenso acquiescente”34.
34 Secchi B (2005) Op cit pg 37 con riferimento a Perniola M (2004) Contro la comunicazione Einaudi Torino
46 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Carta 1.
Il mare Mediterraneo e le
terre che bagna.
Elab. di Nocera U.,
Ciarallo G. (www.cumalab.
eu), 2007.
Il Mediterraneo come contesto
le motivazioni di una scelta
capitolo
secondo
48 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Con riferimento alla tematica introdotta nel capitolo precedente - le possibili declinazioni del proget-
to urbano nelle realtà emergenti - è possibile considerare il Mediterraneo come un contesto valido
entro il quale strutturare analisi, riflessioni ed ipotesi sulle convergenze e le distinzioni tra le più
recenti trasformazioni urbane occorse in differenti ambiti economici e socio-culturali.
Per dimostrare ciò si è cercato, nel presente capitolo, di individuare anzitutto gli elementi che carat-
terizzano questo bacino come un possibile ‘contesto’ di ricerca; passando poi a considerare la dua-
lità1 che il XIX secolo, periodo storico della modernizzazione urbana, ha posto tra le città europee e
le città dei Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo (PSEM2); arrivando infine a delineare i caratte-
ri della contemporaneità ed i ruoli che caratterizzano le metropoli mediterranee3 che recentemente
hanno sperimentato il progetto urbano come strumento complesso di trasformazione della città.
Il Mediterraneo delle città è una rete composita e differenziata, che addensa in luoghi attrattori le
storie e le geografie dei popoli che vivono le vaste terre che lo circondano, Europa, Africa e Asia.
L’interesse politico per tale contesto ha visto recentemente un forte incremento, attraverso la cre-
azione dell’Unione Per il Mediterraneo (UPM)4 che, in continuità con il Processo di Barcellona5,
sancisce alcune possibili modalità di cooperazione tra le diverse sponde del bacino.
Legenda
Stati ‘osservatori’
Carta 2.
Gli Stati membri dell’UPM
- Unione Per il Mediterra-
neo - Elab. Ciarallo G.
Dati tratti da: Joint Decla-
ration of the Paris Summit
for the Mediterranean,
Paris, 13 July 2008 .
1 Cfr Gironda C (2004) La modernità nelle città del Mediterraneo. Storie, segni e mutamenti, iriti editore Reggio Calabria;
2 PSEM Pays du Sud et de l’Est de la Méditerranée come da classificazione Rapporto Plan Bleu 2007 Liste des pays méditer
ranéens et leurs abréviations. La lista PSEM comprende: Turchia sraele Territori Palestinesi Siria Libano Egitto Libia Tunisia
Algeria Marocco Tratto da: www planbleu org
3 Cfr Troin J F (1997) Op cit
4 “Union for the Mediterranean, building on the Barcelona Declaration and its objectives of achieving peace, stability and security, as
well as the acquis of the Barcelona Process, is a multilateral partnership with a view to increasing the potential for regional integration
and cohesion. (...) Tratto da Joint Declaration of the Paris Summit for the Mediterranean, Paris, 13 July 2008, fonte: www europarl
europa eu/ /declaration paris summit formediterranean
5 “The Barcelona Process was launched in November 1995 by the Ministers of Foreign Affairs of the 15 EU members and 14 Me
diterranean partners, as the framework to manage both bilateral and regional relations. Guided by the agreements of the Barcelona
Declaration , it formed the basis of the Euro Mediterranean Partnership which has expanded and evolved into the Union for the Me
diterranean. Tratto da The Barcelona Process, European Commission, External Relations. http://ec.europa.eu/external relations/
euromed/barcelona en.htm
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 49
Il progetto urbano, come modalità ideativa, progettuale ed attuativa, è ormai da tempo praticato in
area occidentale - come già sottolineato - su presupposti coerenti al superamento della visione on-
nicomprensiva del piano urbanistico e rispondenti alle mutate condizioni urbane di fine Novecento.
Questa forma complessa e multiattoriale di trasformazione urbana, che ha visto il suo maggiore
sviluppo in Europa negli anni ‘80 e ‘90 del Novecento, sul finire del secolo ha iniziato ad interessare
anche Paesi dalla differente storia culturale, sociale ed urbanistica, Stati che generalmente vivono
una stagione economica di crescita rispetto alle passate condizioni considerate di sottosviluppo
e denominati, per questo motivo, ‘Paesi emergenti’; tale dinamica ha rilevanti conseguenze sui
modi della trasformazione urbana nelle maggiori città di questi Paesi, in quanto caratterizzate da
numerose problematiche connesse alla relazione tra crescita economica e sviluppo, all’esistenza di
ricchezze egemoniche e povertà diffuse6, alla salvaguardia del patrimonio locale7 ed alla frammen-
tazione insediativa riconducibile alle forti differenze economiche che generalmente attraversano le
loro società.
Si ritiene quindi di grande interesse capire come questo strumento complesso di trasformazione,
il progetto urbano, venga declinato in tali realtà: capire cioè su quali presupposti si fonda la co-
struzione di strumenti che consentano la trasformazione urbana ‘per parti’ entro contesti locali
‘multiproblematici’ in quanto connotati da una crescita accelerata ed incontrollata, dove “l’urbano
è perlopiù caratterizzato dalla ‘città di fatto’ che dalla ‘città di diritto’’ ” e dove “una crescita avvenuta
‘per parti’ aggiunte l’una sull’altra sta alla base della settorializzazione e di una accentuata segrega-
zione sociale”8. E’ quindi rilevante capire quali forme del progetto urbano ‘tradizionale’ siano state
adottate, quali sono le differenze che intercorrono tra i diversi casi, quali esiti si sono verificati ad
oggi e quali sono attesi per il futuro.
Ai fini della presente ricerca, non si è ritenuto opportuno considerare realtà urbane tra loro molto
distanti, in quanto avrebbero ingenerato seri dubbi sulla validità dei parametri utilizzabili: porre sullo
stesso piano realtà tra loro poco conciliabili porterebbe a risultati compromessi dalla eterogeneità
delle condizioni operanti al contorno dell’oggetto di studio9.
Si è quindi considerato di evitare ‘carotaggi’ a campione, entro corpi urbani inseriti in differenti
territori, prendendo invece in considerazione la possibilità di individuare un ‘contesto’ comune, un
‘manto’10 sotto il quale individuare - senza tema di sfuggire alla dimensione geografica, sociale e
politica – le pur notevoli differenze che esso raccoglie in sé.
Mantenendo il focus sui Paesi emergenti, si è quindi rivolta l’attenzione verso ambiti più ‘operabili’
ai fini della ricerca, entro un contesto territoriale storicamente rapportabile a quello europeo (quello
in cui è nata una teoria e una pratica del progetto urbano) per via delle relazioni storiche e culturali
intercorse. Si è guardato quindi al mar Mediterraneo come ad un contesto generale11, sulle rive
del quale riconoscere - quali fenomeni rilevanti – i progetti urbani della costa europea del bacino,
ai quali raffrontare i più recenti casi manifestatisi nelle metropoli dei Paesi emergenti che vi si af-
facciano, città che dei PSEM sono le ‘antenne di interazione’ con il mondo europeo, ‘avamposti’
economici, e porte di accesso a relazioni politiche e culturali con Paesi che, in cambio, vi “esportano
democrazia”12 (controversa e delicata questione, per la quale si rimanda al testo di Persichetti in
Cassano, Zolo) e nodi di una rete economica mediterranea fondata sulle mutue relazioni e sulla
competizione13.
Se, al contrario, si fosse rivolto lo sguardo ad altre realtà emergenti, quali ad esempio il Sud Ame-
rica o il Sud Est Asiatico, si sarebbero certamente trovate situazioni di specifico interesse per le
trasformazioni urbane, sovente con tecniche e modalità gestionali riferibili al progetto urbano. Le
specifiche condizioni ambientali, culturali, politiche ed economiche e, non ultima, la distanza geo-
grafica, avrebbero però reso tale sguardo estremamente lontano dal nostro contesto di riferimento
e, quindi, passibile di errate valutazioni.
11 Cfr Balbo P P (2002) Strategie della ricerca e strategie del territorio in Giovannini M Colistra D (a cura di) Op cit
12 Persichetti A L’esportazione della democrazia nei paesi del Medio Oriente e del Mediterraneo in Cassano F Zolo D (a cura
di) (2007) L’alternativa mediterranea pg 125 Feltrinelli Milano
13 Cfr Troin J F (1997) Op cit
14 Cfr Sarlo A (2002) Città mediterranee: arcipelago di identità in Giovannini M Colistra D (a cura di) Op cit
15 Lange J (2009) C’era una volta in Edilizia Popolare n°283 Abitare il Mediterraneo Federcasa Roma
16 Cfr Troin J F (1997) Op cit
17 Si vedano Cerasi M (2005) La città dalle molte culture ed Scheiwiller Milano e Eslami A N (a cura di ) (2002) Architetture e
città del Mediterraneo tra Oriente ed Occidente De Ferrari Genova;
18 Cfr Bianca S (2000) Urban form in the arab world Past and present Thames & Hudson New York;
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 51
francesi e spagnole diffuse sulle coste nordafricane, dei mercanti orientali a Venezia, Genova e Pi-
sa19; presenze che hanno segnato e influenzato la progressiva determinazione di forme dell’abitare
ibride, caratterizzate dall’intreccio di culture e dalla necessità di stabilire vie commerciali durature.
Sotto il punto di vista urbanistico, sarà il dominio coloniale di Inghilterra e Francia, alla caduta del
vasto Impero Ottomano nel XIX secolo, a guidare l’interazione tra le forme di piano europee - co-
stituite su teorie nate dalla forte spinta all’industrializzazione e dalla conseguente espansione della
città moderna - entro contesti locali subordinati: in Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto (ed in
minor misura in Libano) la costruzione della ‘città europea’ ha comportato spesso la duplicazione
della città tradizionale, attraverso forme riconducibili alla tradizione occidentale della griglia ippo-
damea e degli isolati urbani (con la notevole eccezione del Plan Obus di Le Corbusier, a livello
ideativo). Successivamente, l’Indipendenza degli stati colonizzati, avvenuta per differenti fasi tra la
fine della seconda guerra mondiale e il 1962 (con l’Indipendenza algerina), non ha completamente
reciso tali relazioni euro-mediterranee, e la pianificazione urbana delle città dei PSEM ha goduto
ancora di contributi provenienti dal continente europeo20.
In breve, le “metropoli del Mediterraneo21, punti di particolare effervescenza sulle ampie fasce
urbanizzate che costeggiano le rive del Mediterraneo”, condividono una certa interazione sia sul
piano fisico che urbanistico, oltre a qualità comuni quali il potere decisionale, l’attrattiva culturale e
la dimensione internazionale.
Si considera quindi, come sfondo operativo della ricerca, il contesto mediterraneo, entro il
quale puntare specificatamente l’attenzione su differenti casi urbani maturati sulle diverse
‘sponde’ (europea, maghrebina e levantina). Attraverso questo accostamento si cercherà di
far emergere i differenti approcci nei confronti dell’oggetto di ricerca, il progetto urbano, alla
luce della “frattura nord-sud che il Mediterraneo rispecchia in pieno”22.
“Considerandolo contesto, in cui ricollocare e connotare le forme dell’abitare e del costruire, il Me-
diterraneo ci consente di operare in forma non astratta (idealistica), ma concretamente verificando
su una particolare condizione della contemporaneità, che richiede una forte rimessa in discussione
dei valori e dei modelli della città e dell’architettura occidentale. Quindi, ipotesi di un binomio, cioè di
formulazioni biunivoche tra i valori ispiratori, che rimarrebbero il nostro centro di interesse (e punto
di riferimento nel nostro fare di architetti) e, dall’altra, la loro ricollocazione nei problemi concreti
degli uomini per cui vorremmo renderli operanti”.
Così Pier Paolo Balbo introduce la figura del contesto come approccio possibile al Mediterra-
neo per la ricerca23; egli, in questo breve passo, descrive compiutamente l’idea di contesto che
qui si vuole sostenere: ‘ambiente operativo’ nel quale effettuare “connotazioni e ricollocazioni” delle
differenti esperienze, considerando una “particolare condizione della contemporaneità”, che implica
una discussione attorno ai valori ed ai modelli della città e dell’architettura occidentale.
Il mare Mediterraneo, sul quale si affacciano culture, città e popolazioni di tre differenti continenti,
è inoltre un contesto dove, secondo i recenti studi di geografia di Marina Fuschi, “si riproducono
alla scala regionale le più ampie problematiche del sistema-mondo (squilibri Nord-Sud; malgover-
no delle correnti migratorie; integralismi religiosi; scarsità delle risorse; vulnerabilità ambientale)” e
dove “ci si continua ad interrogare sulla sua dimensione di ‘spazio della coesione o della divisione’,
alimentando il dibattito e arricchendo la letteratura e gli studi di settore”24. Contesto entro il quale è
possibile cogliere, individuare e infine selezionare relazioni molteplici tra le sue diverse sponde.
Su questa linea operativa si muove l’opera di Franco Cassano e Danilo Zolo25, che considerano il
Mediterraneo come “un oggetto legittimo di analisi e di valutazione storica ‘olistica’, o ‘globale’, per-
ché si tratta di una realtà che può vantare, come poche altre aree del pianeta, una struttura omoge-
nea, coerente e originale”, che ha nelle sue “singolarità ambientali” e nella “intensità delle relazioni
comunicative” le componenti che strutturano un vasto ma riconoscibile spazio di confronto.
Carta 3.
Il divario nel rapporto
economico/demografico
tra Paesi UE e PSEM,
sintomo dello squilibrio
Nord-Sud. Fonte: Plan
Bleu, dati 2008 FMI
(Fondo Monetario Interna-
zionale).
24 Fuschi M (a cura di) (2008) Il Mediterraneo. Geografia della complessità pg 15 Franco Angeli Milano;
25 Cassano F Zolo D (a cura di) (2007) L’alternativa mediterranea pg 16 Feltrinelli Milano
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 53
Per considerare le ampie convergenze cui si allude, è necessario compiere alcuni brevi passi nella
storia e nella geografia del Mediterraneo.
Pur non mancando alcune e importanti caratteristiche comuni, soprattutto sotto il punto di vista
climatico, è difficile affermare che il Mediterraneo costituisca una unica regione geografica, almeno
così come le intende la geografia attuale26. Anche a livello urbano, in uno spazio nel quale le diffe-
renze sono importanti almeno quanto le somiglianze27, è altrettanto difficile sostenere che possa
esistere un modello unico di città mediterranea. Ci si dovrà quindi riferire, al plurale, alle differenti
città mediterranee.
Come sottolineato dalla stessa Gironda28, riprendendo Michele Sernini, nemmeno il concetto di
area culturale sembra potersi accostare ad una così vasta ed eterogenea messe di esperienze,
ed è quindi impensabile stabilire rapporti culturali univoci entro il bacino del mare interno. Si potrà
parlare, forse, di diverse culture in contatto e “in dialogo”29.
Sin qui alcuni cenni sulle differenze che sono riscontrabili entro il Mediterraneo; ma se appuntiamo
l’interesse verso i tratti comuni storici che caratterizzano questo mare interno, potremo trovare
nell’opera di Fernand Braudel alcune lunghe periodizzazioni - nella forma che è cifra stilistica degli
studi degli Annales 30 - che connotano la tradizione politica e culturale delle civiltà che si affaccia-
no sul bacino. Si può citare, ad esempio, l’importanza primigenia dell’emigrazione commerciale
fenicia che, prima dei greci, ha dato compiutezza ai viaggi ‘della civiltà’ da Oriente verso Occidente,
portando con sé conoscenze empiriche ed elementi culturali; per poi continuare con il sinecismo
greco e la colonizzazione delle coste dell’Italia meridionale, la Magna Grecia; sino ad arrivare
all’egemonia avuta dai romani su tutte le acque del mare interno ed alla conquista araba da oriente
verso occidente.
Il ruolo avuto dalle città, in questi periodi differenti, è abbastanza noto: l’insediamento commerciale
per i fenici, le colonie-poleis per i greci, gli stanziamenti militari per i romani. Entro tali schematismi,
con i quali ‘si abbrevia’ la grande storia urbana del Mediterraneo, è forse utile ricordare che sono
nati concetti quali la democrazia, quelli di civitas e di urbs, l’idea dello scambio commerciale quale
mezzo di prosperità: tutti concetti che hanno dato vita a varie forme di città-madri (metropoli, da
mêtêr = madre, pólis = città)31 che poi hanno funzionato da modello o da substrato per ulteriori
insediamenti.
La storia mediterranea, che poi vide l’arrivo di dominazioni nordiche sulla costa settentrionale (ma
anche meridionale, nel caso dei Vandali), arabe sulle sponde Sud (ma anche sulla sponda Nord nel
26 Cfr Muscarà C (1998) Per una geografia urbana del Mediterraneo in A Bianchi (a cura di) Le città del Mediterraneo. Atti del I
Forum Internazionale di Studi, Reggio Calabria 1998 Jason ed 2001;
27 Cfr Gironda C (2004) Op cit
28 bidem
29 Salvatore A Europa e mondo islamico: un dialogo mediterraneo? pg 447 in Cassano F Zolo D (2007) Op cit
30 Braudel F (1985) Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni Flammarion Parigi (trad it 1987 Bompiani RCS
Milano) La ‘cifra stilistica cui si allude riguardo Les Annales è la considerazione di letture ampie della storia che contengano al loro
interno fenomeni differenti ma collegati per il tramite di componenti strutturali comuni
31 Troin J F (1997) Op cit pg 15
54 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
caso dell’Andalusia e della Sicilia), e poi bizantine e ottomane nell’Anatolia e nell’Est del bacino,
costituì lentamente differenti aree culturali (quella romano-cristiana, quella arabo-musulmana e
quella ortodossa) che ancora oggi sono distinguibili32.
Ma oltre alla storia delle civiltà, intesa come storia dell’evoluzione culturale dei popoli, vi è una storia
economica nel Mediterraneo, che impone ulteriori tappe: la scoperta dell’America e la conseguente
apertura verso l’oceano delle rotte dei conquistatori, spostando l’attenzione verso l’Atlantico, atten-
zione che si protrasse sino a che il Mediterraneo si pose come collegamento tra lo stesso oceano
Atlantico, le rotte mercantili asiatiche e l’Africa. Ciò portò a differenti relazioni commerciali e a diver-
se forme di colonialismo, poi sviluppate compiutamente con la rivoluzione industriale.
Il breve sunto ‘braudeliano’, con le lunghe periodizzazioni storiche nel Mediterraneo, ci abilita a
considerare l’evoluzione della storia degli insediamenti umani entro il bacino attraverso il ricono-
scimento di alcune grandi narrazioni che hanno dato forma ad un contesto comune e che, al loro
interno, contengono le trasformazioni fisiche delle città delle coste mediterranee. Infatti “la civiltà
mediterranea è per eccellenza una civiltà urbana: da almeno cinque millenni, come sostiene Mau-
rice Aymard, la storia del mondo mediterraneo si è identificata con la figura emblematica della città
dove si sono organizzati l’affermazione del potere politico e religioso, il controllo del territorio e
l’economia di scambio”33. Lo stesso Aymard sottolinea come il ruolo delle civiltà urbane entro il ba-
cino mediterraneo sia stato di prim’ordine: “Dai semplici borghi alle metropoli, si possono facilmen-
te cogliere tutti i livelli di una gerarchia, peraltro complessa, che non tiene conto soltanto dell’entità
della popolazione, dell’attività economica e dell’accumulazione di capitale, ma anche della storia,
del dato monumentale, del prestigio, del ruolo politico e amministrativo – che determina le élites -,
della vita intellettuale, e di un qualcosa che fa sì che una città sia più città di un’altra”34.
Come dato complessivo, interessante per la comprensione dei legami che uniscono le città del Me-
diterraneo, dall’opera di Braudel è possibile estrapolare i tratti salienti di una forma evolutiva della
storia delle città mediterranee:
- modello di civiltà (nel periodo fenicio-greco-romano);
- luogo di concentrazione degli scambi e di dominio commerciale (nel periodo delle conquiste ‘ester-
ne’: normanna in Italia, arabo-musulmana in area nordafricana, iberica e levantina);
- luogo di gestione del potere politico e commerciale (durante l’espansione commerciale delle città
portuali, come Genova, Venezia e, più tardi, Istanbul);
- luogo di esportazione ed importazione, imposizione e gestione di modelli culturali esogeni (si pen-
si a tutto il periodo del colonialismo);
- forma fisica e simbolica di concentrazione del potere politico ed economico (con riferimento al
periodo post-coloniale, di indipendenza degli Stati nazionali e di rafforzamento dei singoli interessi
nazionali).
Chiaramente questo schema evolutivo delle città mediterranee non è da considerarsi come effetto
di una crescita costante e lineare nel tempo: complessità interne e influenze reciproche hanno se-
gnato in modo determinante le funzioni e la forma delle città, attraverso molteplici reti di influenza.
Si vedano ad esempio gli studi sulla mobilità, diffusione e architettura della contaminazione di Ali
Reza Eslami; quelli sui processi di sintesi e di differenziazione entro l’architettura levantina di Mau-
rice Cerasi; le analisi urbanistiche e tipologiche di Enrico Guidoni e Attilio Petruccioli35. Studi che
confermano il Mediterraneo come universo di scambi e relazioni.
Immagine 10.
Il “Mappamondo di Idrisi”,
particolare. Simbolo
delle relazioni intercultu-
rali mediterranee, venne
commissionato dal re
normanno Ruggero II
di Sicilia al geografo e
scienziato berbero Al
Idrisi. L’opera si trova nel
noto “Libro di Ruggero”,
opera dell’Idrisi compiuta
nel 1154 d.C.
Fonte: Giovanni Oman,
«Al-Idrisi», in Encyclopa-
edia of Islam, nuova ed.,
vol. 3, (1971, ristampato
nel 1986).
scambi in epoca coloniale - ‘metropoli di equilibrio’ tra le più importanti entro il contesto nazionale
del periodo gollista, anzitutto per la capacità portuale e le relazioni con i paesi d’oltremare. Altri
esempi di questo tipo (le regioni metropolitane di Barcellona, Genova, Napoli e Atene in area greco-
latina; Algeri, Tunisi, Il Cairo, Beirut e Istanbul in area arabo-musulmana) rispondono in maniera
quasi esemplare a tali caratteristiche, con le dovute (e qui ricercate) differenze.
Il contesto ambientale, oltre a differenziare biogeograficamente parti di Stati non completamente
mediterranei, è strettamente collegato al tema della litoralizzazione37, in quanto l’effetto del clima
mediterraneo (caratterizzato da zone climatiche situate poco più a Nord dei Tropici, vicine a mari e
oceani, che rendono il clima piuttosto mite, pur avendo un lungo periodo di siccità estiva) ha prodot-
to un intenso fenomeno insediativo lungo le coste, caratterizzato prima dallo sfruttamento agricolo
delle terre, e poi da una massiccia pressione insediativa, abitativa, turistica e conseguentemente
commerciale, sovrapponendosi alle dinamiche storiche dinanzi richiamate.
La litoralizzazione ha effetti evidenti entro la totalità del bacino, e in particolari situazioni ha avuto un
grandissimo peso nella distribuzione demografica interna ai paesi litoranei: si pensi alla Spagna, al
Sud della Francia e dell’Italia, alla Grecia, all’Albania, alla Turchia e soprattutto ai paesi del Magh-
reb che, aggrediti dalla desertificazione, hanno subito forti tensioni interne tese alla concentrazio-
ne urbana litoranea, concause (assieme alle scelte di pianificazione) degli immensi “rigonfiamenti
urbani”38 di città quali Algeri, Tunisi, Il Cairo, Beirut e Istanbul.
Carta 4.
L’area biogeografica dell’ulivo.
Fonte: Plan Bleu, dati 2005.
(Elaboraz. Ciarallo Giorgio).
37 l termine “litoralizzazione è ufficialmente definito nell ambito della convenzione dell ONU “contro la desertificazione (UNCCD)
ed è riconosciuto come uno dei processi che rendono un territorio vulnerabile alla desertificazione “La litoralizzazione è il processo
di concentrazione di attività economiche, popolazione ed insediamenti nelle aree costiere. In alcuni casi, tale processo può essere
associato all’abbandono degli insediamenti delle zone più interne, e quindi ad un flusso di popolazione e di risorse dall’interno
verso la costa; in altri casi esso può dipendere da uno sviluppo socioeconomico differenziale o preferenziale. Tratto da Colombo
V Zucca C Enne G (2006) ndicatori di desertificazione Approccio integrato e supporto alle decisioni All interno del programma
R ADE Ricerca Integrata per l’ Applicazione di tecnologie e processi innovativi per la lotta alla DEsertificazione Lavoro realizzato
dal NRD Centro nterdipartimentale di Ateneo Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione Dip Struttura Servizi Generali Facoltà di
Agraria Università degli Studi di Sassari
38 Cfr. Fuschi M (a cura di) (2008) Op cit
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 57
Lo sviluppo di una serie di progetti urbani, già avviati o in previsione sul litorale meridionale e orien-
tale del bacino mediterraneo – si rilevano ad oggi nei PSEM i principali progetti per Orano, Algeri,
Tunisi, Tripoli, Il Cairo, Alessandria, Beirut, Amman, Istanbul – come detto fornisce l’occasione per
cercare di comprendere come questo complesso strumento progettuale venga declinato entro città
con ‘storie urbanistiche’ differenti da quella europea. Le citate metropoli guidano paesi emergenti
dello scenario mondiale, ma in gran parte ancora legati ad economie tradizionali e sovente dipen-
denti da fonti economiche parastatali (idrocarburi e in qualche misura turismo) oppure collegate a
poteri oligarchici, distanti dalle forme di governo europee.
Nel Maghreb39 (ed in alcune aree del Mashreq) permangono infatti gravi problemi economici: in
tutti i paesi, con l’eccezione della Libia e del Libano, un’elevata percentuale della popolazione ha
un reddito assai basso e alta è la percentuale dei disoccupati40; la Mauritania, ad esempio, è tra
gli stati più poveri del mondo e dipende fortemente dagli aiuti finanziari internazionali. E’ possibile
affermare che, a fronte della concorrenza mondiale, il Maghreb abbia avuto difficoltà a sviluppare
una propria industria di trasformazione e che dipenda ancora fortemente dall’esportazione di pro-
dotti primari o secondari e dalla presenza sul proprio suolo di industrie manifatturiere straniere, che
poco reinvestono sul territorio41.
La recente ‘intensità’ dei progetti urbani lungo tutto l’arco dei PSEM non poteva però essere presa
in considerazione tralasciando le più note esperienze compiute in area euro-mediterranea, oppure
operando una separazione aprioristica tra queste ultime e quelle più recenti della sponda opposta,
in quanto alcune relazioni (pur se in un continuo contrasto tra le comunanze e le differenze) pongo-
no le città mediterranee in contatto tra loro, anche alla luce delle dinamiche di valorizzazione econo-
mica dovute alla competizione urbana innescata dalla globalizzazione dei mercati (cfr. capitolo I).
Inoltre, il fatto che le città dove stanno sorgendo i più recenti progetti urbani facciano parte dell’arco
meridionale del mar Mediterraneo – con una minor crescita sotto il profilo economico e con forti
contrasti tra le forme locali di governo e la gestione delle risorse - non dà motivo di considerare
un ruolo secondario del fenomeno sullo scenario internazionale: quella che Jean-Francois Troin
chiama “effervescenza dei litorali”42 è infatti una condizione di particolare interesse che coinvolge
molte realtà urbane dell’intero bacino, sia settentrionale che meridionale.
Seguendo l’impostazione del geografo francese riguardo tale ‘effervescenza’, è possibile selezio-
nare alcuni caratteri generali per la scelta dei casi-studio:
- alta concentrazione di popolazione nella fascia costiera, valutata in percentuale rispetto alla
popolazione nazionale, entro differenti forme e gruppi insediativi (quella che i geografi chiamano
39 Con il termine Maghreb (in arabo al Maghreb “l Occidente opposto ad al Mashreq “l Oriente ) si intende l area più a ovest
del Nordafrica che si affaccia sul mar Mediterraneo e sull Oceano Atlantico l Mashreq ha inizio con l Egitto e si sviluppa lungo il
Levante
40 Cfr Laureti L (2008) Economia dello sviluppo e dell’integrazione euromediterranea pg 92 Franco Angeli Milano
41 Cfr Pergolini A (2009) Maghreb. Il nuovo Eldorado (anche per gli italiani) apparso su Panorama 08 maggio 2009
42 Troin J F (1997) Op cit pg 9
58 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Carta 5.
Gli agglomerati
urbani litoranei nel 1950.
Fonti:
Plan Bleu, dati 1999;
Troin F., 1997, Op. cit.
(Elaboraz. Ciarallo G.).
Carta 6.
Gli agglomerati
urbani litoranei nel 1995.
Fonti:
Plan Bleu, dati 1999;
Troin F., 1997, Op. cit.
(Elaboraz. Ciarallo G.).
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 59
Questi elementi costituiscono solamente un primo livello di comprensione della realtà urbana me-
diterranea che, storicamente, ha visto l’affermarsi di alcuni centri che - con fortune alterne - di sono
distinti come avamposti di economie, culture e tradizioni differenti, tra loro collegate da un ‘lago
comune’ (l’idea del Mediterraneo come lago comune risale a Platone).
Sembra comunque valida, in prima istanza, una certa correlazione tra la presenza di una serie di
trasformazioni urbane di grande rilievo sulle coste mediterranee e la pressione esercitata dalla cre-
scita del fenomeno della litoralizzazione43.
La litoralizzazione si manifesta nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo ed è storicamente
associata all’abbandono degli insediamenti dell’entroterra e quindi ad un flusso di popolazione che
dalle aree più interne si muove verso la costa, aumentando la pressione esercitata sulle risorse na-
turali delle aree costiere, mentre nelle aree interne si osserva specularmente l’aumento del degrado
diffuso, per abbandono della terra e dei piccoli centri urbani. L’urbanizzazione della costa, spesso
associata allo sviluppo del turismo ed all’indotto che esso genera, crea una forte competizione per
l’uso dei suoli, per l’insediamento di complessi turistico-alberghieri e seconde case che vanno a
contendere terreno alla residenza che, in alcune aree urbane costiere è relegata ad insediamento
irregolare.
Il risultato di tale dinamica è abbastanza chiaro ed è confermato dalle cifre contenute nello stesso
Plan Bleu44, che segnala un ritmo di crescita della popolazione urbana costiera del 40% che - in
previsione - passerà dai 274 milioni di abitanti dell’anno 2000, ai 378 milioni previsti per il 2025.
Tutto ciò con un notevole squilibrio a favore delle aree urbane dei PSEM, nelle quali è previsto un
incremento demografico di circa 80 milioni di abitanti, rispetto ai 25-30 milioni delle città del Nord.
Entro questo incremento demografico “saranno, principalmente, le grandi città portuali e, comun-
que, le città litoranee e le città-capitali a riflettere le tappe di un incessante processo di urbanizza-
zione che, soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale, ha raggiunto ritmi sostenuti, pas-
sando dal 44% circa del 1950 al 64% del 2000, con proiezioni al 2025 di oltre il 70%”45.
Il fenomeno della litoralizzazione, avvenuto attraverso un incremento costante dagli anni ‘50 del
Novecento in poi e manifestatosi su gran parte della linea costiera mediterranea, rende quindi
possibile l’individuazione di una cornice comune, entro la quale operare una combinazione compa-
rativa tra alcune metropoli, nel considerare i loro recenti e differenti sviluppi urbani.
E’ altrettanto vero, comunque, che le differenze sociali, economiche e culturali che sono riscontra-
bili tra le città mediterranee sopra segnalate non permettono generalizzazioni fondate sulla sola
pressione demografica o sulle dimensioni economiche, soprattutto alla luce del tema principale
che si vuole affrontare, il progetto urbano, il quale - come modalità operativa - non ha confini entro
il bacino Mediterraneo ma, al contrario, annovera numerosi esempi nell’Europa continentale e in
altre parti del mondo.
43 La litoralizzazione sta alla base del pensiero sviluppato dalla geografia urbana riguardo i litorali mediterranei e degli studi geo
politici dell ONU operati attraverso il Plan Bleu
44 www planbleu org Sul sito sono presenti tutte le più importanti pubblicazioni scientifiche sotto forma di report riguardanti lo
‘stato di salute e le dinamiche legate al mar Mediterraneo
45 Cfr Fuschi M (a cura di) (2008) Op cit Fonte: United Nations Population Division
60 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Dunque la caratteristica demografica presentata - pur importante nella sua relazione con temi so-
ciali, economico-gestionali e politici - non può fornire tutte le valide motivazioni secondo le quali
considerare l’evidenza del progetto urbano in rapporto alle città costiere del Mediterraneo: altre
definizioni ed altri dati, non meno importanti nei confronti della domanda di ricerca, potranno aiutare
nel definire le ‘coordinate’: la differente ‘modernizzazione’ occorsa nel XIX secolo, il ruolo attuale
delle città nel contesto, l’appartenenza a particolari ambiti socio-culturali.
I maggiori centri urbani mediterranei sopra segnalati sono portatori di differenti storie con le quali,
nel XIX secolo, si sono ‘affacciati alla modernità’. Questo aspetto ai nostri fini è di particolare im-
portanza in quanto ha generato, lungo la storia urbana mediterranea, un ‘punto di rottura’ notevole
tra i differenti ambiti del bacino (coste europee, maghrebine e levantine), dovuto a due principali
elementi: una ‘innovazione’ - cioè l’impatto della rivoluzione industriale in Europa - ed una ‘so-
vrapposizione’ - l’esperienza coloniale nei PSEM - che hanno introdotto elementi di discontinuità
urbana (espansione, incremento demografico, frammentazione, etc.) che, a loro volta, hanno avuto
ripercussioni di lunga durata.
“Il XIX secolo e la rivoluzione industriale hanno gettato le basi per uno sviluppo stadiale differente,
filtrato da scelte economiche e politico-strategiche fondamentali per l’avvenire del sistema urbano
mediterraneo e del suo posizionamento geopolitico”46. E’ così che è possibile chiarire, entro una ri-
costruzione diacronica delle trasformazioni delle città nel contesto mediterraneo, l’importanza avuta
dal XIX secolo nel determinare motivazioni, forme e sviluppi futuri delle città mediterranee.
Il ruolo ricoperto dall’industrializzazione della società europea e dalle esperienze colonialiste,
- sicuramente tra gli eventi di maggiore importanza che hanno caratterizzato il secolo - è stato in
effetti decisivo: la prima è ‘l’ingrediente’ principale delle grandi trasformazioni urbane, attraverso la
formazione di nuove rendite posizionali - differenti da quelle agricole - collegate alla nuova classe
dirigente borghese, attraverso la costruzione dei primi insediamenti industriali e per i fenomeni di
crescita demografica ad essa collegate (l’inurbamento delle masse lavoratrici, con i correlati proble-
mi d’igiene urbana), argomenti fondamentali per la nascita della disciplina urbanistica47; le seconde
hanno determinato l’espansione degli interessi economici e, conseguentemente culturali e sociali,
delle grandi potenze europee nei paesi del Nord Africa e del vicino Medioriente, con ripercussioni
di grande rilievo sull’intero assetto delle terre colonizzate.
L’importanza degli avvenimenti riferibili all’epoca della modernizzazione è tale da porli come ‘limite’
oltre il quale si sono manifestate le grandi differenze che tutt’oggi intercorrono tra le città europee
Probabilmente non è possibile descrivere tutte le accezioni con le quali si è cercato di definire la
modernità, anche nelle delimitazioni date dalla disciplina urbanistica, ma è certamente possibile
abbozzare alcune delle manifestazioni che hanno provocato mutamenti di grande portata nella
struttura della città e nella cultura progettuale.
Guardando alla storia culturale europea entro un contesto globale, gli sviluppi storicamente definiti
come ‘modernità’ - iniziati con il Rinascimento, continuati con l’Illuminismo e culminati nello svi-
luppo tecnologico del XIX e XX secolo - mostrano caratteristiche uniche, non comparabili ad altre
epoche nella storia del sapere umano49. Queste caratteristiche sono dovute al processo di seco-
larizzazione della società e, come detto, vedranno un loro completo dispiegamento nella capacità
di controllare le forze della natura (attraverso la scienza e la tecnica) e le differenti manifestazioni
della società (attraverso il controllo da parte dello Stato).
L’urbanistica, entro questo processo, si è comportata come una “figlia tardiva” dell’Illuminismo50
ed ha costituito le proprie fondamenta sui complessi mutamenti che la società urbana occidentale
stava attraversando, dando vita, nell’Ottocento, alla modernizzazione della città. I più importanti
tra questi mutamenti sono stati segnalati da Caterina Gironda nel suo “La modernità nelle città
del Mediterraneo”51 e, in questa sede, si ritiene opportuno ripercorrerli al fine di dare forma ad un
discorso coerente con le finalità che ci si propone.
L’autrice presenta una lettura delle manifestazioni della modernità nel contesto mediterraneo attra-
verso tre principali mutamenti occorsi nell’Ottocento: teorico-disciplinari, i mutamenti negli
assetti globali e quelli avvenuti negli assetti locali.
48 l tema è trattato da Bianca S (2000) Op cit e da Balbo M (1992) Povera grande città. L’urbanizzazione del Terzo Mondo
Franco Angeli Milano;
49 Cfr Bianca S (2000) Op cit
50 Cfr Secchi B (2000) Op cit
51 Gironda C (2004) Op cit
52 l modello ‘regolativo e quello ‘utopico sono stati introdotti come interpretazione della storia del pensiero sulla città da Francoi
se Choay come segnala la stessa Gironda Cfr Choay F (1973) La Città. Utopie e realtà (ed it ) Einaudi Torino
62 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
I secondi, i mutamenti negli assetti globali, descrivono le grandi trasformazioni politiche e strut-
turali avvenute nel bacino del Mediterraneo.
Ripercorrendo le trasformazioni politiche, è anzitutto da ricordare che nel corso del XIX secolo si
sono formati gli Stati nazionali, fenomeno indissociabile dal sentimento patriottico di appartenenza
e dalle aspirazioni di grandezza delle potenze post-napoleoniche. Entro questo quadro, la Francia,
dapprima con Luigi Filippo e poi con Napoleone III si avviò ad estendere la sua influenza sulle
sponde Sud del mar Mediterraneo il quale, dopo l’ingresso francese in Algeria (1830) e le azioni
diplomatiche avviate con l’Impero Ottomano, iniziava ad essere considerato un ‘lago francese’.
L’evento che più di altri ha segnato il secolo è comunque l’apertura del Canale di Suez54: la ‘vittoria’
degli inglesi nell’assicurarsene la gestione ha permesso loro di esercitare un certo dominio su tutto
il bacino, se a ciò si aggiunge il controllo di punti strategici quali Gibilterra, Malta e Cipro, raggiunto
nel 1878. Così, il Canale di Suez simboleggia il “cedimento politico del mondo mediterraneo. Opera
dei francesi, che sono mediterranei per metà, il canale, e con esso il Mediterraneo, sono diventati
una rotta inglese. Il mare Interno continua così ad essere alienato”55.
Carta 7.
L’assetto politico tra il
1878 ed il 1912. Tratto da
Gironda C. (2004), Op. cit.
Fonte:
G. Chaliand e JP. Rageau,
Atlas historique du monde
méditerranéen, Atlas
Payot.
Il colonialismo europeo del XIX secolo assume così i caratteri di un’ espansione territoriale di tipo
imperialista: le potenze europee, seguendo la strada già percorsa da portoghesi e spagnoli nel
Nuovo Mondo, tendono ad affermare la propria influenza su territori sempre più vasti, ed il Mediter-
raneo, “mare da sempre colonizzato”56, è divenuto, con il definitivo tramonto dell’Impero Ottomano,
un mare conteso dalle potenze europee durante tutto il primo Novecento, sino alla seconda guerra
mondiale.
Dal punto di vista delle trasformazioni strutturali degli assetti globali, sono due gli elementi che
hanno caratterizzato il secolo: la rivoluzione industriale ed il colonialismo. Se infatti la rivoluzione
industriale, per mezzo della macchina a vapore, della strada ferrata e dell’innovazione degli scali
portuali, ha cambiato la relazione tra città e territorio, il colonialismo ha avuto nella prima i mezzi
per il suo dispiegamento ed inoltre ha fornito le ricchezze di cui lo sviluppo tecnologico aveva bi-
sogno.
Le trasformazioni strutturali dovute al processo di modernizzazione hanno stabilito una certa ege-
monia dell’Europa sulle terre colonizzate, soprattutto a livello urbano. Infatti, “l’effetto più evidente
dell’occupazione coloniale è il capovolgimento di una situazione esistente, dovuto ad una nuova
dinamica degli agglomerati urbani nonché, in termini strettamente urbanistici, la dualità che si crea
tra i tessuti antichi e le città europee”57. Ma oltre a ciò non bisogna dimenticare l’importanza della
infrastrutturazione dei territori occupati, in quanto “fra le maggiori opere di colonizzazione territoria-
le vanno (dunque) poste le strade, le ferrovie, gli scali portuali che integrano i sistemi di trasporto
fluviale e i punti di imbarco esistenti”. A tal proposito è comunque importante sottolineare che in
alcuni paesi del Levante (ed in qualche occasione nel Nordafrica) erano già state avviate opere di
‘modernizzazione’ già prima della colonizzazione, con le riforme volute dai governatori ottomani58.
Ma è nei mutamenti degli assetti locali dove è possibile apprezzare in modo completo la spinta
modernizzatrice che, durante il secolo, si è verificata in Europa e successivamente sulle rive del
Mediterraneo: le trasformazioni morfologiche dovute alla compresenza di importanti eventi (quali
l’esplosione demografica, il processo di urbanizzazione e la costruzione dei sistemi di trasporto)
hanno portato ad una specifica ‘configurazione della città’, attraverso componenti principali che
si possono così riassumere:
- la borghesia come nuova classe dominante, con il conseguente nuovo rapporto tra città e suolo
urbano;
- il superamento della città compatta in termini fisici;
- l’aumento di densità abitativa nei quartieri popolari e i conseguenti problemi igienici;
- la saldatura tra città e campagna;
- l’importanza, nel centro cittadino, delle attrezzature funzionali, espressione dei nuovi poteri e della
possibilità di produrre servizi.
Conseguentemente, alcuni importanti elementi puntuali della città ‘moderna’ - tipici della configu-
razione spaziale della città del XIX secolo - sono da richiamare, anche in funzione dell’importanza
che hanno avuto nella strutturazione della città coloniale:
- I tracciati viari che, in contesto urbano, assumono le caratteristiche del boulevard;
- Le funzioni pubbliche che sul boulevard ‘si appoggiano’: teatri, scuole, municipi, prefetture, ospe-
dali, biblioteche, banche, etc;
- Le stazioni ferroviarie, come nodi di una nuova infrastrutturazione territoriale, ma anche come
luoghi di addensamento dei flussi, ruolo svolto anche dai nuovi porti (marittimi e fluviali) o dagli
ampliamenti dei porti pre-industriali;
- I parchi urbani ed i giardini pubblici, ‘aperture’ fondamentali del nuovo scenario urbano, che anda-
va ora a comprendere anche le ville storiche e le proprietà di campagna.
Oltre ad essere ‘materiali’ fondamentali per la modernizzazione della città tradizionale nei grandi
centri europei, questi elementi ebbero una straordinaria importanza nella sovrapposizione della
città europea sulle città colonizzate.
Planimetria 1.
Carta della città Tunisi
nel 1906, sotto il dominio
francese. Si notino tutte
le principali caratteristiche
(componenti ed elementi)
della modernizzazione,
giustapposte alla città
araba.
Tratto da: Chabbi M.
(2009), Les Grands
projets urbaine a Tunis.
Fonte: Guide Joanne,
Algerie et Tunisie, Paris,
1906.
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 65
Una volta definite le componenti principali e alcuni elementi puntuali che hanno caratte-
rizzato la modernizzazione urbana, è possibile evidenziare i diversi modi in cui questa si è
verificata con la colonizzazione della costa Sud del bacino Mediterraneo, laddove è possi-
bile leggere le fratture dovute all’introduzione delle componenti e degli elementi tipici della
modernità.
Per quanto riguarda le componenti principali, la prima differenza, essenzialmente sociale ma con
riflessi sulla strutturazione urbana, è data dalla presenza della borghesia come classe dirigente
che, come mostra Albert Camus59 nel caso di Orano, nei paesi colonizzati interviene come un
corpo estraneo, essenziale portato della borghesia europea e senza intersezioni significative con
la popolazione autoctona.
In relazione al superamento della città compatta troviamo, nel caso di Tunisi, un certo parallelo con
la città europea di formazione medievale: anche qui le mura della medina60 vengono demolite, per
fare posto a strade perimetrali che, in punti definiti, cercano una composizione con la nuova espan-
sione urbana, questa in forma di ‘griglia’ ippodamea, giustapposta alla precedente61; nel caso di
Algeri, invece, la città compatta viene ‘sovrapposta’ alla medina, attraverso demolizioni interne, che
fanno posto a larghe strade di rappresentanza e a edifici in cortina62. In questo secondo caso la
Planimetria 2.
“Noveau plan de la ville
d’Alger et de ses envi-
rons”, Paris, 1850. Qui la
città europea ‘entra’ nella
Medina e si sovrappone
alla città storica.
Tratto da: Ouageni Y.
(2006), in Urbanistica
PVS, n.44/06.
città compatta viene ‘aperta’, ricorrendo a modalità simili alla percée haussmaniana (interessante
notare che le demolizioni di Algeri hanno addirittura preceduto quelle avvenute a Parigi) che vanno
a sostituire la continuità fisica della città islamica.
All’interno dei differenti casi, siano essi di sovrapposizione o giustapposizione, è comunque da
rilevare l’importanza della dualità concettuale63, morfologica e sociale che questi interventi hanno
portato con sé, nei termini della diversa concezione spaziale dell’insediamento urbano (diverso
rapporto tra spazio pubblico e privato, diversa aggregazione degli spazi commerciali, diversa dispo-
sizione degli elementi di uso collettivo), e nella contrapposizione, spesso segregativa, tra i coloniz-
zatori e la popolazione autoctona.
Per quanto riguarda la terza componente principale individuata ci si limita a segnalare che, nelle
città colonizzate, i principali problemi di sovraffollamento e di igiene si sono per lo più verificati nelle
parti di fondazione araba delle città, conseguenza delle politiche di depauperamento sociale ed
economico imposte dalle forze colonizzatrici, che taluni autori addebitano alla mancata compren-
sione dello spazio confessionale e comunitario della medina in relazione alla città moderna64;
Una nuova relazione tra città e campagna, quarta componente sopra segnalata, è ben visibile nella
forma urbana coloniale dell’Ottocento: l’espansione oltre i confini delle mura determina l’urbaniz-
zazione di terreni precedentemente coltivati65 e lo stravolgimento del rapporto tra la medina ed il
proprio intorno, scollegando di fatto la città storica dal territorio circostante.
Infine è sostanziale, nella città coloniale Ottocentesca, l’espressione dei nuovi poteri nel centro cit-
tadino europeo, che si palesa nella costruzione dello spazio urbano e delle attrezzature funzionali,
laddove gli ampi spazi pubblici della città europea si oppongono alle forme chiuse e apparente-
mente labirintiche della città araba. Ne sono d’esempio la Grande Poste di Algeri o la sede della
Prefettura francese a Tunisi.
Immagine 11.
Algeri. La Grande Poste
del 1910, esempio del
rapporto tra edificio e
spazio pubblici, tipico
della cultura moderna
europea.
Tratto da: Cinà G. (2006),
in Urbanistica PVS,
n.44/06.
63 bidem L autrice rispetto a questo tema definisce la dualità come esito delle diverse modernità mediterranee
64 Cfr Abdelkafi J (1989) Op cit in relazione alla medina di Tunisi o in termini generali Mortada H (2003) Traditional islamic
principles of built environment Routledge Curzon Oxon
65 Cfr. Abdelkafi J (1989) Op cit
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 67
Per quanto riguarda gli elementi puntuali posti in opera nel processo di modernizzazione, è no-
tevole l’impatto che questi hanno avuto sul precedente assetto, sia per le città colonizzate che
in assenza di colonizzazione, come nel caso delle opere di modernizzazione avviate dall’Impero
Ottomano66.
Anzitutto l’importanza dei tracciati viari principali, elementi ordinatori sui quali, come veri e propri
boulevard, generalmente si imposta la città coloniale, generando così uno stridente rapporto di-
mensionale con la città storica, particolarmente evidente dai punti focali che definiscono la struttura
della città pubblica europea, opposta alle diverse forme di spazio pubblico riscontrabili nella città
araba e ottomana (souk, moschee, han, hammam, etc.)67 qui intimamente connesse, pur se sepa-
rate fisicamente, alla residenza privata.
A tal proposito, è da rilevare che le nuove centralità pubbliche, che sul boulevard ‘si appoggiano’,
sono dello stesso tipo di quelle riscontrabili nelle città europee: teatri, scuole, municipi, prefetture,
ospedali, biblioteche, banche, etc; elementi di grande forza evocativa68, tipici della forte presen-
za dello Stato entro il corpo urbano, che qui si caricano di un ulteriore elemento connotativo nel
momento in cui ‘esportano’ le forme civiche sviluppate in Occidente in seguito all’Illuminismo, alla
Rivoluzione Francese ed alla Rivoluzione Industriale. Queste nuove centralità, profondamente in-
novatrici nei significati e negli spazi urbani che ne conseguono, spesso sono caratterizzate per un
uso esclusivo da parte della popolazione colonizzatrice e per finalità connesse ai soli interessi delle
potenze europee.
Come nei paesi europei, le stazioni ferroviarie, dapprima problema di localizzazione, diventano poi
nodi di una nuova infrastrutturazione territoriale che contribuisce, insieme alla strada carrabile, alla
realizzazione di una rete di centri di scambio (tra i quali anche nuove città di fondazione). I porti, en-
tro questo quadro, acquisiscono un precipuo ruolo di relazione diretta con la ‘patria’ colonizzatrice e
diventano veri e propri condensatori di merci e persone, come nel caso delle città algerine (Orano,
Algeri), in relazione diretta con l’ampliato porto della Joliette di Marsiglia.
Per quanto riguarda gli spazi pubblici, parchi urbani e giardini, di differente concezione rispetto ai
giardini persiani e rispetto alla tradizione arabo-musulmana, diventavano in alcuni casi piccoli luo-
ghi relazionali tra la città compatta tradizionale e la città europea, in altri sono invece più ampi spazi
di ‘conclusione’ della città moderna nei confronti del territorio circostante.
Le componenti principali e gli elementi puntuali sopra richiamati hanno dato vita, nel XIX secolo,
a corpi urbani completamente differenti rispetto al passato: una chiara occidentalizzazione69 della
forma urbana, si è verificata nelle città del Maghreb e del Levante mediterraneo, anche nell’area
di diretta influenza ottomana, laddove - già nell’Ottocento - erano state introdotte importanti inno-
vazioni tendenti alla ‘modernizzazione’ urbana, sia di tipo civico70, sia strettamente urbanistiche;
66 Cfr Bianca S (2000) Op cit ; Saadaoui A (2001) Tunis Ville Ottomane. Trois siecles d’urbanisme et d’architecture Centre de
Publication Univ Tunis
67 Cfr Bianca S (2000) Op cit e Mortada H (2003) Op cit
68 Cfr Secchi B (2000) Op cit
69 Cfr Bianca S (2000) Op cit
70 Bottoni R (2007) Secolarizzazione e modernizzazione nell’Impero ottomano e nella Repubblica di Turchia: alle origini del princi
68 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
innovazioni che, pur se in parte provenienti da modelli occidentali, tendevano ad una certa autono-
mia nell’organizzazione della città71.
L’occidentalizzazione ha quindi segnato un punto di rottura evidente all’interno degli equilibri locali
delle città colonizzate ed ha portato ad una profonda divisione spaziale (sovente frutto di una voluta
divisione sociale) tra le parti storiche delle città e quelle ‘moderne’ europee.
Con l’avvento degli stati indipendenti, succeduti alle colonie, ebbero inizio nuove esperienze di
pianificazione urbana, collegate al nuovo ruolo-guida che assumevano le principali città entro i
processi di formazione di Stati politicamente autonomi. Tendenzialmente entro un economia nazio-
nale pianificata72, ciò che questi piani erano chiamati a ricomporre non era ‘solo’ una forma urbana,
ma un’intera società che al suo interno mostrava ampie divisioni e forme di controllo locale, flebile
garanzia per l’attuazione dei piani commissionati73.
In termini generali si può quindi affermare che si è verificata, nella seconda metà del Novecento,
una sorta di ‘sconfitta’ della pianificazione nei PVS del Mediterraneo. Differenti esperienze stanno a
testimoniare questo fallimento: dall’esitante pianificazione territoriale algerina74 che ha generato un
ingente consumo territoriale a favore di una crescita informe della città, alle altalenanti politiche di
gestione urbana e rurale tunisina75, causa dell’evoluzione centripeta a ridosso della capitale, sino
alle differenti - ed in gran parte inattuate - ipotesi di riconfigurazione urbana delle città levantine,
come testimoniano i numerosi piani per Beirut e Istanbul76.
Tale fallimento ha avuto chiare ripercussioni di medio e lungo periodo sulle città prese in esame:
se timide previsioni urbanistiche e ampie realizzazioni di tipo residenziale (si pensi ad esempio ai
quartieri sociali costruiti sulla scia delle opere di Fernand Pouillon ad Algeri77) cercavano di dare
alloggio alle popolazioni che premevano alle porte delle città, altri casi hanno posto l’accento su
improbabili architetture amministrative in stile post-moderno/arabisance o su quartieri ispirati ai
modelli delle città-giardino, occupando le posizioni privilegiate nel territorio circostante la città; la
casualità di molti di questi episodi non ha permesso di considerare equilibri che potessero dare
risposte alle complesse domande di società in continuo divenire, divise tra le nuove possibilità
pio di laicità in RSP (Rivista di Studi Politici nternazionali) N 2 Aprile giugno 2007 Univ di Roma 1 Scrive Bottoni: “Nell’età delle
Tanzimat (1839 1876), l’età delle riforme ottomane per eccellenza, si sviluppò il concetto di Ottomanesimo (Osmanlılık), una nozione
secolarizzata di cittadinanza secondo la quale tutti gli ottomani, senza distinzione di religione, avevano esattamente gli stessi diritti
e i medesimi doveri.
71 Cfr Cerasi M (2005) Op cit ; Bianca S (2000) Op cit
72 A tale proposito si segnala che la fase di pianificazione economica algerina ha avuto sviluppo per circa un ventennio dal 1965 al
1985 n Tunisia invece questa ha avuto uno sviluppo decennale dal 1962 al 1971
73 Cfr Chabbi M (2006) Fonctions et usages de études d’urbanisme dans la production de la ville au Maghreb in Boumaza N et
al (2006) Villes réelles, villes projetées. Fabrication de la ville au Maghreb Maisonneuve et Larose Parigi
74 Cfr Berezowska Azzag E (2006) Alger, la ville invente son avenir in Urbanistica PVS n°44/2006
75 Cfr Chabbi M (2005) Urbanisation et politiques urbaines dans le pays du Sud, La cas de la Tunisie (Diplôme d HDR en amé
nagement et urbanisme UP Université de Paris 12); Abdelmoula K Cidonio G Giammetta G Giammetta M (1993) Tunisi, storia
dei processi di urbanizzazione Ed Mediterranee Roma
76 Cfr Cinà G (2008) Istanbul. Identità e innovazione, crescita incontrollata e protezione dei centri storici. Articolo pubblicato su
Urbanistica PVS vol n 50; Nasr J Verdeil E (2008) The Reconstructions of Beirut pubblicato in Salma K Jayyusi Renata Holod
Attilio Petruccioli and André Raymond (pgg 1116 1141) The City in the Islamic World Lyon France
77 Cfr Cinà (2006) Op cit ; Ferlenga (2009) Marsiglia/Algeri. Il lungo viaggio delle pietre dorate in Edilizia Popolare n°283 Abitare
il Mediterraneo Federcasa Roma
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 69
economiche date dallo sfruttamento degli idrocarburi e dal turismo e la necessità di fare fronte alle
pressioni insediative provenienti dalle campagne.
Ciò ha causato il fenomeno che, all’interno dello squilibrio sin qui descritto, ‘meglio’ caratterizza e
accomuna le città dei PSEM nella seconda metà del XX secolo: l’abitazione informale. ‘Posticcia’ o
‘in duro’, è questa la modalità principale con la quale si sono costituite le grandi conurbazioni delle
città mediterranee dei PVS, con un enorme accrescimento del consumo di suolo e con problemi
igienici e di mobilità di vario tipo. Senza dubbio le differenti modalità di costruzione della ‘città ille-
gale’ (dalle gourbiville tunisine alle bidonvilles algerine, sino ai gecekondu turchi) hanno in qualche
modo contribuito a dare possibilità abitative ad un elevato numero di persone; le autorità locali non
hanno però contribuito a rendere pienamente ‘cittadine’ tali persone, negandogli de facto tale di-
ritto di cittadinanza similmente a ciò che accadeva “in Italia all’inizio dell’epoca moderna”78. Alcuni
importanti programmi di ‘risanamento’ degli slums hanno avuto notevoli risultati79, ma non hanno
inciso sufficientemente sulla globalità del problema e sull’equilibrio delle centralità funzionali delle
città.
I problemi emersi nella seconda metà del Novecento, qui brevemente delineati, si sono pro-
tratti nel XXI secolo e ad oggi costituiscono in misura preponderante la principale caratteristica
delle città dei PSEM.
Immagine 12.
Vista della strada
principale del quartiere
spontaneo - gourbiville - di
Douar Hicher, nel settore
Nord-Ovest di Tunisi, La
Manouba.
(foto: G. Ciarallo, 2008)
Immagine 13.
Vista del quartiere
spontaneo El Ettadhamen,
anch’esso nel settore
Nord-Ovest di Tunisi (foto:
G. Ciarallo, 2008)
78 Cfr Roncayolo M (1988) La città. Storia e problemi della dimensione urbana Einaudi Torino
79 Cfr. Abdelmoula K Cidonio G Giammetta G Giammetta M (1993) Op. cit.; Chabbi M (1999) Réhabilitation des quartiers popu
laires en Tunisie: de l’intégration à la regulation sociale in Signoles (a cura di) L’urbain dans le monde arabe, Politiques, instruments
et acteurs CNRS editions Aix en Provence
70 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
2.5 Il ruolo attuale delle città nel contesto: sulle tracce dei casi studio
La scelta di considerare il Mediterraneo come un contesto entro il quale riconoscere alcune metro-
poli come casi particolari80, pone come conseguenza la necessità di capire quali siano gli ambiti
entro i quali è possibile indagare differenze e peculiarità delle città entro il contesto mediterraneo,
per non rischiare di vagare entro la semplice dualità tra città euro-mediterranee e città dei PSEM.
Due utili fonti ci vengono incontro per cercare di definire tali ambiti: l’una storica e l’altra geografi-
ca.
La fonte storica, Fernand Braudel, pone entro questi termini un già richiamato discrimine, fisico e
culturale: “Il Mediterraneo, al di là delle sue attuali divisioni politiche, si identifica con tre comunità
culturali, tre civiltà di grande vitalità ed estensione, tre peculiari modi di pensare, di credere, di man-
giare, di bere, di vivere (…). Tre civiltà: innanzitutto l’Occidente, o forse sarebbe meglio dire la cri-
stianità, antica parola troppo pregna di significati; meglio ancora, forse, parlare di romanità: Roma
è stata e rimane il centro di questo vecchio universo latino e poi cattolico (…). Il secondo universo
è l’Islam, un altro gigante che comincia in Marocco e si spinge oltre l’oceano Indiano (…). Lo si
potrebbe definire un Contro-Occidente, con le ambiguità che comporta qualsiasi profonda contrap-
posizione, che è insieme rivalità, ostilità e acculturazione reciproca (…). Oggi il terzo personaggio
non palesa immediatamente il proprio volto. Si tratta dell’universo greco, dell’universo ortodosso,
che comprende almeno tutta l’attuale penisola balcanica, la Romania, la Bulgaria, la quasi totalità
della Iugoslavia e la stessa Grecia, carica di memorie (…)”81.
La seconda fonte, il già introdotto testo di Marina Fuschi, è geografica e politica, e riconduce al
presente le considerazioni di Braudel sulle tre civiltà mediterranee e soprattutto ne cristallizza i ca-
ratteri urbani: si possono leggere “tre distinti quadri macroregionali che consentono di assimilare la
città del Nord a quella ‘occidentale’, riconducibile ad un sistema urbano consolidato; la città dell’Est
a quella ‘post-comunista’, inquadrabile come sistema urbano in transizione; la città del Sud a quella
‘periferica’, in via di sviluppo, tipica di un sistema urbano immaturo”82.
In relazione a quanto introdotto nel precedente paragrafo, cioè ai differenti caratteri della modernità
nelle diverse città del Mediterraneo, e sulla base della distinzione geografica appena introdotta,
si vuole ora cercare di definire alcuni caratteri peculiari delle città che si intende prendere in consi-
derazione (vedi par.2.2) ed il ruolo che queste assumono nello scenario globale, limitando però lo
sguardo a quelle che hanno saputo ‘utilizzare’ lo strumento progetto urbano ai fini del proprio
rinnovamento. Si inizia così a selezionare i casi che costituiranno il vero e proprio corpus entro il
quale analizzare le differenti costruzioni del progetto urbano, distinguendo sin d’ora i casi euro-
80 Tale scelta è stata operata nei confronti delle seppur legittime possibilità di richiamare al posto del ‘contesto la figura diretta del
‘testo (dove invece il Mediterraneo sarebbe vero oggetto di studio “da riconoscere come fine della conoscenza ) oppure una figura
più libera quella del ‘pretesto (dove si utilizzerebbe “strumentalmente il Mediterraneo per costruire ragionamenti basati su “funzioni
ispiratrici ed evocative ) cfr Balbo P P (2002) Op cit
81 Cfr Braudel F (1985) Op cit
82 Fuschi M (a cura di) (2008) Op cit pg 86
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 71
mediterranei (città facenti parte di sistemi urbani consolidati, connotate da una lunga tradizione di
pianificazione), dai casi dei PSEM (città facenti parte dei sistemi urbani in transizione o immaturi).
Questo ultimo passaggio è utile per operare una definitiva scelta, attraverso la quale riconoscere i
casi emblematici su cui operare con un approfondito lavoro di analisi.
Barcellona. Comprovata la sua “volontà di affermazione”85 nei confronti delle asperità del territorio
retrostante e nei confronti del “letargo castigliano” impostogli dal XVI secolo sino al primo Ottocen-
to, Barcellona oggi è tra le più dinamiche e attrattive metropoli del Mediterraneo. L’ensanche del
Plan Cerdà (1859) le ha fornito una mirabile griglia di accrescimento, sulla quale e nella quale, dagli
anni ‘80 in poi, una forte spinta democratica ha fatto sì che un gran numero di progetti di rinnova-
mento urbano la collocassero tra le città mediterranee più attrattive. Basti segnalare che Barcellona
ospita nella sua area urbana più di 3 milioni di abitanti dei 7 che vivono complessivamente in Cata-
logna. La designazione quale sede dei Giochi Olimpici del 1992 si è rivelata un’occasione, sfruttata
abilmente dalla municipalità per effettuare grandi interventi di riqualificazione nei quali il progetto
urbano si è imposto come strumento alternativo alla pianificazione onnicomprensiva; ciò ha ulte-
riormente accresciuto le potenzialità della città che, oggi, è particolarmente legata al turismo ed al
terziario, anche se mantiene un ruolo preminente come porto commerciale e centro industriale.
Negli ultimi anni, la ‘tensione’ progettuale della città si è spostata verso il recupero di aree speci-
fiche del tessuto urbano, non senza polemiche nei confronti dell’autonomia di tali operazioni86; il
vero obiettivo pare essere, comunque, coinvolgere la “regione metropolitana come fattore strategi-
co di sviluppo”87, verso ulteriori scenari progettuali.
Marsiglia. Città che ha conosciuto i fasti dell’economia coloniale francese dell’Ottocento, Marsiglia
in tale epoca ha saputo costruire un insieme variegato di opere (estensione portuale e urbana,
opere di risanamento, etc.) che la connotano come “la città del XIX secolo”88. Negli anni ‘60 del
Novecento è riuscita a costituire un nuovo porto commerciale e industriale a Fos, a qualche chi-
lometro di distanza dal centro cittadino, operazione con la quale ha potuto liberare di tale carico
il porto ottocentesco della Joliette. La situazione economica della città è strettamente legata alle
relazioni intrattenute con le ex-colonie89 – infatti la sua popolazione è in buona parte costituita da
immigrati maghrebini - ed alla lavorazione degli idrocarburi, quindi a situazioni di non particolare
stabilità commerciale. Instabilità che, con la dismissione del porto cittadino, ha avuto un ulteriore
incremento.
E’ così che, negli anni ‘80, prende corpo l’idea di costituire un grande progetto urbano di recupero
del fronte-mare90 che, con la fine degli anni ‘90, ha visto la luce in una dimensione ulteriore (non
solo di affaccio marittimo), cioè di ‘rigenerazione’ dei quartieri ottocenteschi posti nel centro cittadi-
no (progetto Euroméditerranée).
Marsiglia, seconda città della Francia, nel panorama mediterraneo mantiene una posizione di
prim’ordine entro l’arco latino, posizione che cerca ora di rafforzare attraverso la ‘riconversione del
suo passato’ in una innovativa struttura urbana turistico-terziaria e legata alle economie dei nuovi
media.
88 Cfr Roncayolo M (1981) Les grammaires d’une ville ed de L école des Hautes Études en Sciences Sociales
89 Cfr Peraldi M (2005) Marsiglia. Bazar del Mediterraneo Mesogea Messina
90 Cfr. Roncayolo M (1981) Op cit
91 Cfr Braudel F (1985) Op cit
92 Marina Fuschi nell Op cit inserisce stanbul tra i sistemi urbani immaturi soprattutto per via del tumultuoso inurbamento che la
città ha conosciuto nella seconda metà del Novecento Le citate dinamiche politiche sociali e culturali permettono però di annove
rare la città tra i sistemi urbani in transizione
93 Cfr Cinà G (2008) Op cit
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 73
Istanbul. Questa grandiosa e storica capitale (l’antica Bisanzio e Costantinopoli) si pone geografi-
camente nel punto esatto che divide l’Europa dall’Asia: la città stessa è divisa in due parti separate
dal mare, l’una europea, l’altra asiatica.
Dal punto di vista urbanistico Istanbul è stata contrassegnata da una “faticosa costruzione della di-
sciplina (...), inventata a ridosso della elaborazione dei piani urbanistici, tra la necessità di far fronte
ai problemi della crescita urbana e l’incapacità di affermare un’idea di città”94 in quanto gli strumenti
della pianificazione ‘europea’ in Turchia si sono rivelati fallimentari.
Dal secondo dopoguerra in poi, la città è diventata luogo di una enorme pressione insediativa, con
“la tumultuosa urbanizzazione a scala metropolitana e la caotica forma urbana conseguente”. La
città infatti è sede portuale di grandi commerci e ha sviluppato negli anni numerose sedi produttive
e poi direzionali. Per via di questa attrazione è nata una “città marginale dalla forma amebica, frutto
di puntuali e disparate convenienze insediative” che tutt’oggi si giustappone alla città storica, e ciò
avviene su entrambe le sponde del Bosforo.
Dopo il sostanziale fallimento della pianificazione degli anni ‘60-’80, dagli anni ‘90 Istanbul sta
cercando di gestire le sue sproporzionate dimensioni urbane (la città ha circa 13 milioni di abitanti)
attraverso un Masterplan regionale (risalente al 1995) ed una più attenta salvaguardia della città
storica. Entro questo quadro, a scala metropolitana, l’imporsi di differenti progetti urbani rischia di
perpetrare ulteriori fratture nella città, proprio laddove la sua struttura si mostra più debole, cioè nei
quartieri periferici: “Parliamo dei laceranti interventi fuori scala, come nel caso dei centri direzionali
di Fülya-Mecidiyekšy e di Maslak. Dove il ‘progetto urbano’ è la denominazione colta che si conti-
nua ad attribuire a qualsiasi intervento di puro real estate development, incurante della necessità di
fare sistema con la città circostante”.
città”98 non sembra cessare, tanto che la proiezione al 2025 vede un ulteriore aumento demogra-
fico pari al 74%99.
Nei confronti della condizione vissuta nel secondo dopoguerra, periodo nel quale la maggior parte
dei PSEM rientrava nella lista dei PVS a basso reddito, attualmente molti di questi Paesi sono
considerati come economie emergenti (vedi cap.1), per via di un generale sviluppo del turismo,
dell’esportazione di idrocarburi verso l’Europa e di un certo incremento della produzione industria-
le.
Algeri. Sino agli ‘90 del Novecento, anni nei quali la spinta destabilizzatrice del terrorismo e della
guerra civile ne ha causato un grave declino, Algeri incarnava per molti paesi del Terzo Mondo il
successo di uno sviluppo autonomo100. In effetti la città ha accentrato su di sé gran parte delle atti-
vità direzionali del Paese e, sin dai primi anni di Indipendenza - avvenuta nel 1962 - è stata centro
culturale di riferimento per tutto il Maghreb.
La storia coloniale e l’ipertrofia dovuta alla crescita della popolazione urbana, ha fatto sì che già
negli anni ‘70 Algeri si potesse definire una “città mosaico”101, formata da cinque principali com-
ponenti: la casbah, la città coloniale adiacente, le numerose cités, i nuclei periurbani ed i numerosi
insediamenti irregolari detti bidonvilles; nel suo complesso la città mostrava i segni di possibili cam-
biamenti positivi che culminarono nel Plan d’Orientation Generale del 1975, ancora sotto il governo
socialista. Questo piano non ha avuto seguito e, con l’ingresso nell’economia di mercato avvenuto
nel 1985, si sono fatte strada soluzioni casuali ai pressanti problemi sopra elencati e la componente
tecnica non ha saputo esprimere un “progetto di città” che potesse darne risposta articolata.
La fase economica attuale, relativamente positiva entro lo scenario africano, fa sì che il porto (co-
stantemente collegato con quello di Marsiglia) e le attività connesse a quelle estrattive (l’Algeria è
tra i più grandi Paesi produttori di petrolio e di idrocarburi in genere) diano una spinta anche alla
terziarizzazione dell’economia che ha riflessi importanti sulla strutturazione episodica dei nuovi
insediamenti urbani.
Tunisi. Dopo la proclamazione dell’indipendenza del Paese, avvenuta nel 1956, Tunisi ha triplicato
la sua popolazione nel giro di un decennio e oggi - nella sua area urbana - vivono più di due milioni
di abitanti.
Città “triplice” per via dell’estrema cesura tra la città di fondazione (la medina), la città europea
sviluppatasi con il protettorato francese e l’espansione post-coloniale102, nel secondo dopoguer-
ra Tunisi ha saputo sfruttare la sua posizione di dominio economico incontrastato nel panorama
nazionale ed ha sviluppato settori quali i servizi finanziari, il commercio ed i turismo. A questa
situazione, però, non ha coinciso un altrettanto favorevole sviluppo urbanistico della città: gli anni
98 bidem
99 Fonte: United Nations Population Division rev 2008 http://www un org/esa/population/unpop htm
100 Troin J F (1997) Op cit
101 Cfr Cinà G (2006) Algeri, da città ad agglomerazione: vecchi problemi e difficili soluzioni in Urbanistica PVS Vol 44
102 Abdelkafi J (1989) La médina de Tunis éd Presses du CNRS Paris; Santelli S (1995) Tunis, la creuset mediterraneen
Demi Cercle Parigi
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 75
dell’economia pianificata (1962-1971) ed il successivo Stato liberale non sono riusciti a dare rispo-
sta alla forte crescita demografica con una pianificazione coerente alla domanda103 ed inoltre sono
stati privilegiati insediamenti per le classi agiate (a Nord della città). Parallelamente si è cercato
più volte di dare risposta alla costruzione della città informale con programmi di ricollocazione o di
approvvigionamento di servizi, ma la mancanza di uno stock residenziale per le classi meno agiate,
che potesse quindi rispondere alla differenziazione della domanda, non ha permesso di attutire
l’esponenziale crescita di tali insediamenti. Inoltre il problema fondiario, “motore della segregazione
urbana”104 è stato evidentemente trascurato dallo Stato, lasciando nelle mani di un mercato iniquo
il problema dell’abitazione. In anni recenti, la costruzione di nuovi complessi terziari, commerciali
e abitativi di rango elevato sulle coste del lago di Tunisi (che la divide dal mare) ha ulteriormente
rafforzato la separazione che esiste tra questi e gli insediamenti irregolari dell’entroterra.
Il ruolo di connessione economica del Sud Europa, il Maghreb e l’Arabia Saudita (Tunisi è stata
sede della Lega Araba) è sicuramente uno dei punti di forza di Tunisi; inoltre la vocazione turistica
della propria regione (il sito archeologico di Cartagine è a pochi chilometri dal centro) e la diversi-
ficazione della produzione e dei commerci (Tunisi è ora sede di numerose aziende di componenti-
stica ed elettronica, ma affida ancora gran parte della sua esportazione ai prodotti primari) fanno sì
che l’economia tunisina viva una crescita stabile, anche se sostenuta dagli investimenti stranieri.
Entro questo quadro stanno prendendo corpo numerosi progetti urbani, sviluppandosi lungo le aree
umide che storicamente separano la città dal mare.
Beirut. Capitale del Libano, Paese che nello scenario mediorientale è caratterizzato da un’econo-
mia florida e da una lunga tradizione di politiche economiche basate sulla concorrenza e il libero
scambio. La lunga guerra civile (1975-1990) ha causato numerose vittime e danneggiato seria-
mente le infrastrutture della città, ma non ha intaccato del tutto il ruolo e la sua reputazione di hub
regionale per i servizi bancari, finanziari e assicurativi105.
La città conta circa 1.200.000 abitanti all’interno dei confini amministrativi, ma l’area metropolitana
arriva ad oltre due milioni di abitanti. Grazie alla sua storia cosmopolita, la città rappresenta inoltre
un centro culturale e accademico di grande rilevanza.
La storia urbanistica della città106 è segnata da due principali elementi: il dominio ottomano, che
dal XVI secolo si è protratto sino al XIX dando forma alle prime ‘modernizzazioni’ della città, e il
mandato francese che si istituì nei primi anni del Novecento sino alla seconda guerra mondiale,
lasciando traccia nell’impianto viario del centro cittadino.
La città è settorialmente suddivisa in aree ad influenza sunnita, aree cristiane ed aree a maggioran-
za sciita (le più povere, a Sud, ma anche sede di un moderno aeroporto internazionale), che hanno
subito il bombardamento del 2006 da parte di Israele. Tra le principali arterie cittadine si ricordano
103 Abdelmoula K Cidonio G Giammetta G Giammetta M (1993) Tunisi, storia dei processi di urbanizzazione Ed Mediterranee
Roma
104 Barthel P A (2006) Tunis en projet(s). la fabrique d’un metropole au bord de l’eau Presses Universitarires de Rennes Ren
nes
105 Cfr Troin J F (1997) Op cit
106 Cfr Kassir S (2003) Histoire de Beyrouth, Ed Fayard Parigi
76 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
l’Avenue de Paris (a Beirut Ovest), che corre lungo la costa e ospita le principali infrastrutture turi-
stiche, e l’Avenue de l’Aéroport, che collega l’area portuale all’aeroporto internazionale.
La ricostruzione del centro città, dopo la fine della guerra civile, è avvenuta sotto la guida di un
progetto urbano denominato SOLIDERE (acronimo di Société Libanaise pour le Développement et
la Reconstruction) che ha cercato di rinnovare l’immagine di Beirut quale capitale finanziaria medi-
terranea, anche sotto una continua e persistente instabilità politica.
L’unico caso che avrebbe potuto essere equiparabile (nelle cifre e nelle grandiose dimensioni) a
quello di Istanbul sarebbe stata Il Cairo, come dimostrato dai dati del Plan Bleu e del World Gaze-
teer sulle città più popolose del mondo. Ciò comporterebbe, però, l’esclusione di tutte le altre città,
comprese quelle della costa europea, vanificando così il raffronto con i PSEM.
La motivazione nel non considerare città di dimensioni così differenti risiede nella volontà di man-
tenere la possibilità di confrontare l’impatto dei progetti sull’intero corpo urbano. Ad esempio, come
mostrato nei successivi capitoli 3 e 4, il rapporto del progetto con la forma urbana o le relazioni che
intrattiene con il contesto locale (fisico e sociale)108.
Questo tipo di valutazioni, pur lontane da considerazioni puramente quantitative, necessitano co-
munque di una certa affinità tra i casi, ancora riscontrabile nel rapporto tra Tunisi ed Algeri (de-
mografico 1:3 - dimensionale 1:1), ma decisamente inaccettabile nel rapporto tra la stessa Tunisi
107 Fonti dei dati: stanbul: Dati del Tüik Sito Ufficiale Turco http://www tuik gov tr/Start do censimento 2007; Barcellona: NE
nstituto Nacional de Estadística www ine es/ censimento 2009; Marsiglia: NSEE nstitut national de la statistique et des études
économiques www insee fr/fr/default asp censimento 2006; Algeri: stima della popolazione al 2009 secondo World Gazeteer
http://world gazetteer com/; Tunisi: nstitut National de la Statistique ( NS) della Tunisia http://www ins nat tn/ censimento 2004;
Beirut: stima della popolazione al 2009 secondo World Gazeteer http://world gazetteer com/
108 nfatti “il passaggio di scala modifica anche dal punto di vista qualitativo i meccanismi di produzione, di funzionamento e di
gestione della città. Se non altro, il passaggio di scala amplifica le conseguenze di scelte sbagliate, di ritardi, di mancate soluzioni, e
rende più difficile ogni correzione di rotta tratto da Balbo M (1992) Povera grande città. L’urbanizzazione del Terzo Mondo Franco
Angeli Milano
capitolo 2 - Il Mediterraneo come contesto: le motivazioni di una scelta 77
Di conseguenza, i cinque casi oggetto di studio sono: Barcellona e Marsiglia per la costa europea;
Algeri, Tunisi e Beirut per i PSEM.
78 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 14.
Il fronte-mare del pro-
getto Euroméditerranée
a Marsiglia, immagine
del progetto secondo
l’investitore Constructa.
Rendering tratto da
http://www.lesquaisda-
renc.fr/ il giorno 15 ott.
2009
Immagini 15-20.
Nelle due pagine
seguenti: localizza-
zione geografica dei
casi-studio e morfologia
delle città. (Elaboraz: G.
Ciarallo)
Progetti urbani entro il contesto mediterraneo
casi significativi
capitolo
terzo
sc.1/100.000
arc l ona
marsig i
b iu
alg ri
82 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Una volta definiti i contorni tematici dell’oggetto di studio, il progetto urbano, e dopo aver delineato,
sulla base di elementi di tipo urbanistico ma anche economici e culturali, il contesto entro il quale
tale oggetto viene indagato, si procede ora con l’analisi di progetti urbani che hanno contraddistinto
il recente sviluppo di alcune metropoli mediterranee, attraverso una ‘scansione’ organizzata delle
informazioni acquisite e dei differenti contributi ottenuti.
Tale sequenza sarà mantenuta, per quanto possibile, per tutti i successivi casi di studio e sarà
composta da:
- una breve introduzione alla storia urbanistica della città in questione;
- l’esposizione della vicenda che ha portato alla definizione del progetto urbano e le ragioni di in-
teresse rispetto al caso;
- schede analitiche che, per ogni progetto, introducono gli elementi ricorrenti e costitutivi indivi-
duati nel cap.1, in modo da intercettare le variabili che entrano in gioco nella ‘costruzione’ di progetti
complessi in ambiti urbani differenti.
44 OBSERVATO RE DES GRANDS PROJETS URBA NS MED TERRANEENS struttura di ricerca attivata presso Institut d’Urba
nisme et d’Aménagement Regional di Aix en Provence; Dubois J (2006) L’espace normé ne fait pas l’espace du projet. L’opération
d’intérêt national à Marseille p 53 91 in Bourdin (A ) Lefeuvre (M P ) et Melé (P ) dirs Les règles du jeu urbain. Entre droit et
confiance Paris Descartes et Cie
45 Verdeil E Ricercatore CNRS Environnement, ville, sociétés Responsabile del progetto “Services urbains en transition dans
les villes moyennes du sud de la Méditerranée Convention Agence universitaire de la Francophonie Lyon Université de Sfax
Université de Marrakech Université Libanaise (2006 2008)
46 Barthel P A Université de Nantes: 2006 Tunis en projet(s). La fabrique d’une métropole au bord de l’eau Rennes Presses Uni
versitaires de Rennes Campi di ricerca: Urbanisme opérationnel et waterfronts dans les capitales du monde arabe méga projets à
Tunis aménagement de la marina de Casablanca
47 Barthel P A (2008 b) Faire du « grand projet » au Maghreb. L’exemple des fronts d’eau (Casablanca et Tunis) pubblicato su
Géocarrefour n°83 1/2008
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 83
Le due principali condizioni qui considerate come base del grande sviluppo dei progetti urbani, il
superamento della condizione produttiva taylorista-fordista ed il ritorno alla fisicità della
progettazione nel tessuto cittadino consolidato (così come segnalate nel par. 1.1) hanno avuto un
notevole impatto anche sulle città costiere del bacino Mediterraneo, con particolare evidenza nelle
strutture portuali.
Nel corso della seconda metà del Novecento si è infatti assistito all’indebolimento funzionale delle
aree di attracco e di stoccaggio nei pressi delle antiche banchine dei maggiori porti, ritenute ormai
superate – si pensi al caso del Porto Antico di Genova dopo la costruzione delle banchine di Sam-
pierdarena (1927-1936) e del porto di Voltri (V.T.E. Voltri Terminal Europa, inaugurato nel 1992) o al
caso delle banchine di Marsiglia-Joliette dopo l’entrata in funzione del porto di Fos (1968) – e dei siti
di prima trasformazione delle materie importate e delle aree industriali contermini ai vecchi porti48,
che tendevano a perdere importanza in virtù delle nuove tecnologie di trasporto adottate per masse
molto superiori di merce49.
Una serie di elementi, tra loro legati, hanno influito in modo sostanziale nel determinare le necessità
di trasformazione urbana: l’obsolescenza dei fronti marittimi dei porti (con alcune realizzazioni del
primo Novecento, ma generalmente costituitisi nella loro conformazione prima del XIX secolo) ed al
contempo la sostanziale vetustà commerciale delle banchine e dei moli, non più adatti ad ospitare
le grandi navi da trasporto; la necessità di rispondere ad un mercato differenziato del trasporto
marittimo – non più dominato dalle sole attività tradizionali del trasporto merci e della pesca, ora
affiancate dalle grandi navi da crociera delle rotte del turismo internazionale – e quindi la necessità
di diversificare gli attracchi e gli ‘ingressi’ alla città; l’arretratezza tecnologica di zone produttive più
o meno collegate alla vita del porto50 e la marginalità abitativa di ampie porzioni delle città maritti-
me, densamente abitate e legate ad economie indotte o a reti informali51. Inoltre, le condizioni di
degrado di grandi aree urbane delle città mediterranee della sponda europea e delle città del Sud
europeo in generale52, anche se non dotate di primarie strutture portuali (per motivi geomorfologici
48 Cfr Delponte (2009) Evoluzione degli spazi portuali e strumenti di pianificazione Aracne Roma; Hoyle B S Pinder D A
Husain M S (1994) Aree portuali e trasformazioni urbane. Le dimensioni internazionali della ristrutturazione del waterfront Mursia
Milano
49 A questo proposito bastino alcuni dati per evidenziare l impatto di tale fenomeno: dal 1970 al 2006 l evoluzione della movi
mentazione portuale ha fatto registrare un aumento del 9976% dei carichi; la previsione al 2015 è maggiore a 1 miliardo di TEU di
movimentazione merci mondiale TEU (acronimo di Twenty Foot Equivalent Unit) è la misura standard di volume nel trasporto dei
container SO: un container da 20 piedi corrisponde ad 1 TEU Fonte: Fedele annone (2008) Rapporto su l’evoluzione della mo
vimentazione portuale e dei traffici marittimi di contenitori a livello globale Università Federico di Napoli;
50 Cfr Delponte (2009) pg 8 Si evidenzia qui una peculiarità delle città portuali cioè l influenza che le attività propriamente ‘di
porto assumono nei confronti del resto del territorio urbanizzato (carico scarico trasporto e deposito merci lavorazioni industriali
collegate alle materie importate etc )
51 E questo il caso di un quartiere come Belsunce a Marsiglia etnicamente connotato dalla forte presenza della comunità magh
rebina e legato alle dinamiche di scambio con l Algeria e con altri paesi del Maghreb (M Peraldi 2005); oppure di aree connotate
da urbanizzazioni informali e dalla presenza di funzioni secondarie come per l area del Montjuic a Barcellona prima del 1992 (J
Busquets 2005);
52 Si fa riferimento anzitutto ai quartieri di edilizia sociale che differentemente dal Nord Europa hanno subito direttamente la con
trazione dei finanziamenti pubblici Le politiche abitative dei paesi latini dagli anni ‘80 in poi hanno progressivamente puntato sulla
‘casa in proprietà diminuendo il peso della voce ‘casa sulla spesa sociale interna Questo ha causato soprattutto nei Paesi del Sud
Europa un progressivo degrado dei comparti residenziali pubblici Fonte: Social Housing e agenzie pubbliche per la casa Ricerca
realizzata dal Censis e Federcasa a cura di Dexia Crediop SpA 2008
84 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
o storico-economici), hanno influito in modo determinante nel gettare le basi per lo sviluppo di pro-
getti di riqualificazione53 di tali parti di città.
Questi elementi hanno giocato un ruolo determinante nella decisione di avviare progetti urbani che
potessero rispondere a molteplici problematiche, entro strategie di medio-lungo periodo54 all’in-
terno di perimetri riconoscibili, anche attraverso il superamento delle precedenti determinazioni di
piano per le aree considerate.
Ed è quest’ultima notazione che introduce la seconda condizione segnalata nel capitolo 1 - discipli-
narmente più rilevante - cioè il superamento del piano urbanistico generale come unica base con la
quale considerare particolari determinazioni entro differenti zone, operando quindi attraverso una
nuova visione fisica della città, non completamente riconducibile all’astrazione della pianificazione
onnicomprensiva.
Nei casi della costa europea del Mediterraneo, dove la pianificazione urbana ha visto la ‘nascita’ e
la ‘crescita’ di notevoli esempi costitutivi per la disciplina55, gli effetti indotti dalla pianificazione onni-
comprensiva hanno avuto una particolare evidenza. Per citare solo alcuni esempi: la marginalità del
centro storico di Genova, a lungo ‘tagliato fuori’ dalla vita economica della città - al pari della Ciutat
Vella di Barcellona o del Panier di Marsiglia – stretto tra la dinamicità dei moli di ponente e la fiera
nel levante cittadino; l’obsolescenza del porto commerciale della Joliette a Marsiglia, non adegua-
tamente considerato all’interno delle dinamiche di piano e soprattutto collegato a forme abitative
(la percée della Rue de la Republique, il quartiere di Belsunce) e produttive (la zona detta Belle de
Mai) ritenute superate, oltre che collegato da infrastrutture considerate inadatte per le nuove realtà
socio-economiche56; l’impossibilità di fornire caratterizzazioni progettuali differenti e adeguate alle
diverse centralità ed alle zone degradate di Barcellona, anche rispetto ad un quadro d’insieme volto
alla interpretazione dell’esistente (il Plan General Metropolitano del 1976).
Alcune tra queste città, attraverso le opportunità date da cambiamenti politici, eventi culturali, ma-
nifestazioni sportive oppure tramite differenti ‘geografie’ degli interessi commerciali sulla fabbrica
urbana57, sono riuscite a scardinare la relazione univoca tra la pianificazione generale, la destina-
zione funzionale e la trasformazione puntuale (relazione fonte dei citati disallineamenti procedurali),
per mezzo della costruzione di progetti urbani complessi che cercassero di riallineare la costruzio-
ne di parti della città con le esigenze maturate. Infatti, una volta superata la fase espansiva della
53 Rodrigues Malta R (2004) Une vitrine métropolitaine sur le quais. Villes portuaires au Sud de l’Europe in Les Annales de la
recherche urbaine n° 97 pp 93 101
54 J Busquets (2005) Op cit l testo riferendosi al caso di Barcellona individua sostanzialmente come ‘medio periodo l arco di
un decennio E questa infatti la scansione temporale con la quale i progetti urbani di Barcellona hanno avuto compimento rispetto
alle programmazioni definite con tale qualità
55 Si pensi tra i numerosi casi al piano dell arch C Barabino del 1825 per Genova (A Neri Il Barabino e la cultura urbanistica di
Genova nell’800 in Casabella giugno 1958); all Eixample dell ng Cerdà a Barcellona (1859); al piano di risanamento di Napoli
(G Zucconi La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885 1942) Jaca Book Milano 1989) ai progetti di espansione
ed al ciclo haussmaniano ottocentesco per Marsiglia sino ad arrivare alla sequenza dei Piani per Roma (1873 1909 1931 1962)
56 “Marsiglia appartiene a quella categoria di città come Napoli, Genova o Palermo che non sono riuscite a produrre dinamiche
atte ad arrestare la formazione di sacche di povertà nel centro città Tratto da Bertoncello B Rodrigues Malta R (2001) Euromédi
terranée: les échelles d’un grand projet de régénération urbaine in Donzel A (a cura di) Métropolisation, gouvernance et citoyen
neté dans la région urbaine marseillaise pg 407 Maisonneuve & Larose Parigi
57 E questo il caso di Marsiglia con la trasformazione dei docks portuali in ‘contenitori per negozi e uffici
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 85
città – eminentemente industriale ed ancorata ad un’idea modernista della città suddivisa in zone
funzionali – la ricostruzione diviene il tema centrale con il quale affrontare l’evoluzione urbana, per
la quale “occorrono progetti integrati, capaci di risolvere problemi concreti e ben localizzabili; che
avviino una dinamica di riqualificazione spontanea, con le risorse esistenti”58.
Si apre così una interessante fase di sperimentazione progettuale che, sulla scia di esempi ameri-
cani e Nord-europei59, si pone al contempo come modalità operativa per la risoluzione di specifiche
problematiche urbane (ad esempio il rapporto tra porto e città) e come possibilità di rilancio econo-
mico e sociale delle città (ad esempio, nella riconversione di aree dismesse) entro un economia di
mercato globalizzata. Una fase che introduce un ‘pensiero operativo’ sulla forma urbana.
Le tappe principali del progetto urbano sulle coste euro-mediterranee - sovente connesso alla
riqualificazione del fronte-mare - si possono così riassumere:
1980 - Barcellona è la città che ‘apre’ questa strada: in questo anno prende infatti avvio il lavoro
della Commissione urbanistica presieduta da Oriol Bohigas che, sulla base del Piano generale della
città del 1976, avvia la stagione dei progetti urbani con la nuova amministrazione democratica della
città; progetti che hanno cambiato il volto al tessuto urbano: spazi pubblici (piazze, parchi, strade)
che, attraverso la regia della PA, hanno potuto costituire una ‘trama civica’ che ha dato impulso alla
trasformazione puntuale della città.
1992 - anno in cui la stessa Barcellona ospita i Giochi Olimpici, occasione nella quale viene dato
avvio ad un’ampia riqualificazione urbana e infrastrutturale, con l’individuazione dei quattro siti olim-
pici, tra i quali la Vila Olimpica, vero e proprio progetto urbano sul lungomare.
1992 - nello stesso anno Genova organizza le Celebrazioni Colombiane (cinquecentenario della
scoperta dell’America), opportunità per il recupero del Porto Antico e per l’avvio di una serie di ope-
razioni di rigenerazione urbana.
1992 - sempre in questo anno Siviglia ha ospitato l’Esposizione Internazionale (Expo ‘92), sfruttan-
do l’occasione per costituire un nuovo sistema infrastrutturale (strade e ponti) e parchi con padiglio-
ni tematici (con il seguente tentativo di riconvertirli a parchi pubblici, poco riuscito).
2004 - Ancora Barcellona ospita il Forum delle Culture e, nell’occasione, prende forma un grande
progetto urbano (a scala metropolitana) che funge da ‘tacca di mira’ della Diagonal che attraversa
il corpo denso della città. Inoltre viene dato avvio a numerosi progetti urbani, tra i quali il Plan Delta
e il Plan Sagrera.
2004 - Genova, nell’anno in cui è capitale europea della cultura, punta invece sul recupero di alcuni
luoghi strategici del centro storico, oltre a concludere il progetto Fiumara allo sbocco marittimo della
Val Polcevera.
2005/2007 - Valencia, attiva nella riqualificazione urbana già dagli anni ‘60 con la canalizzazione
del fiume Turia (operazione che ha permesso di costituire un parco urbano lineare sul suo letto pro-
sciugato) ottiene l’organizzazione della America’s Cup. In questo frangente avvia la riqualificazione
del suo waterfront, attraverso una serie di interventi che mirano a costituire un nuovo ‘paesaggio’
marittimo della città.
2007/2008 - Barcellona, all’interno della strategia di grande scala ora intrapresa, pone sul tavolo la
questione dell’espansione urbana (ad Est) con il progetto urbano St.Andreu-Sagrera.
Ciò che non è possibile evincere dalla cronologia, è che si è di fronte a differenti tematiche di pia-
no/progetto, molto spesso compresenti: dal nuovo quartiere residenziale all’area ricreativa, dalla
trasformazione funzionale di aree ex-industriali sino all’integrazione dei servizi tecnici con il resto
della città; tematiche che, in molti dei casi cui si è accennato, hanno richiesto uno sforzo aggiuntivo
nell’integrazione tra i differenti apparati tecnici, pubblici e privati.
Un tratto comune tra i progetti è sicuramente l’attenzione verso la riprogettazione del lungomare
urbano, uno degli elementi ‘trainanti’: nel caso della Vila Olimpica di Barcellona il waterfront è di-
ventato il luogo ove insediare il settore residenziale dei Giochi Olimpici (con la presenza di servizi e
di due emblematiche torri che segnalano un nuovo asse urbano litorale che congiunge l’Eixample
con il mare)60, un parco litoraneo e, a scala metropolitana, il Forum delle Culture; a Genova è stato
occasione per costituire la ‘piazza sul mare’ del Porto Antico, che rapporta gli antichi moli con il cen-
tro storico, attraverso uno spazio ora caratterizzato dalla presenza di aree museali e culturali, dopo
varie vicissitudini organizzative61; a Marsiglia sono invece le storiche strutture a docks (magazzini
meccanizzati, mutuati nell’Ottocento dalla modalità inglese), gli nuovi e svettanti edifici vetrati a
torre e un sistema di spazi ricreativi e culturali ad essere fulcro della composizione del fronte-
mare; infine a Valencia il lungomare è stato oggetto di una riprogettazione paesaggistica totale62,
che comprende sia elementi puntuali a torre che costruzioni di minore altezza, distribuite entro un
ampio perimetro che conclude un parco fluviale urbano che si interseca con l’area portuale, dove
Il fronte-mare, però, non è da considerarsi come unica chiave di lettura con la quale interpretare
le trasformazioni urbane oggetto della presente trattazione, in quanto non definisce tutti i contorni
qualitativi dei progetti urbani che qui si vogliono considerare: la dimensione abitativa dei progetti
incontrati spesso non si esaurisce con la trasformazione funzionale dei waterfronts, lo spazio del
commercio locale e delle attività artigianali ad esso collegate è spesso collocato nel tessuto den-
so della città, il tema della mobilità - sia privata che pubblica - non può essere compreso nel solo
waterfront66, ma soprattutto non si esaurisce, con la progettazione del fronte-mare, il rapporto tra
città e territorio67, sia nella dimensione disciplinare che in quella fisica. Numerosi sono gli esempi
dove la trasformazione del waterfront non esaurisce il ruolo avuto dal progetto urbano nella com-
plessiva trasformazione della città: anzitutto Barcellona dove, prima di dare vita alla riqualificazione
del lungomare, si è considerato di attivare operazioni di riqualificazione diffusa della città compatta
e, parallelamente allo sviluppo della Vila Olimpica, altre operazioni di rinnovo urbano (le ‘Aree di
Nuova Centralità’) sono state attivate nel corpo denso della città; oppure Marsiglia, dove un gran-
de progetto urbano - a differenza di Barcellona - si sviluppa entro un unico perimetro, nel quale
il progetto si rivolge all’interno del tessuto urbano, spingendosi sino ad abbracciare siti produttivi
dismessi distanti dal porto e quartieri non interessati da una relazione diretta con il fronte marittimo
della città.
Concludendo, si può forse parlare di progetti che, dagli ultimi decenni del secolo scorso, hanno inte-
ressato le città europee in generale e, con qualche ritardo68, le sponde mediterranee, sviluppando
alcune tematiche di riferimento, quali:
- la riqualificazione di parti della città compromesse dalla dismissione di precedenti funzioni in-
dustriali e portuali;
E’ possibile, a questo punto, vedere da più vicino i due casi di Barcellona e Marsiglia, individuati
nel capitolo 2 e ritenuti rilevanti per via delle loro interazioni con le politiche urbanistiche nazionali e
locali, per le forme progettuali, per le aspettative generate e per i risultati ottenuti, coerenti o meno
con il programma predefinito.
L’avvento dell’industrializzazione portò alle grandi trasformazioni dell’età moderna: lo sviluppo della
rete ferroviaria determinò l’urbanizzazione del territorio circostante e, tra il XVIII ed il XIX secolo,
numerose strade di collegamento e piazze vennero a costituirsi tra il centro urbano ed il territorio
circostante. La completa urbanizzazione del centro storico, “l’abnorme incremento della densità”71
e la commistione tra spazi abitativi e recinti industriali generarono la necessità di ridefinire la struttu-
ra urbana della città, attraverso la demolizione della muraglia (che iniziò nel 1854) e l’ampliamento
costituito dal Plan Cerdà (ad opera dell’ingegnere Ildefonso Cerdà) che, approvato nel 1859, ebbe
inizio nel 1860.
“Il progetto si strutturava a partire dalla coesione di tre idee fondamentali: i principi igienisti (…), la
centralità delle esigenze della circolazione (…), ed infine una nuova idea urbana che avrebbe ab-
bracciato la piana di Barcellona nella sua interezza (...)” entro un “organismo urbano che garantisse
condizioni di uguaglianza”72. Il piano Cerdà, così come è ancora possibile apprezzare, si basava
“sull’uso sistematizzato di una griglia ortogonale che si adattava ai caratteri geografici del contesto”,
griglia costituita dalla gerarchizzazione delle vie carrabili, sulle quali si poggiavano le costruzioni
private e le dotazioni comunitarie, sviluppando così isolati quadrangolari (con angoli smussati per
una migliore circolazione dei mezzi) con interassi di 113 metri circa.
L’operazione di ampliamento attraverso la costruzione dell’Eixample ebbe da subito un notevole
successo, anche per via della storica propensione della città ad occuparsi più delle rendite fondiarie
che di quelle provenienti dal commercio marittimo73, puntando sulla dimensione quantitativa entro
un piano che garantiva comunque una certa qualità diffusa degli interventi74.
Nel 1888, l’Esposizione Universale fu l’occasione per dare una svolta qualitativa e puntuale alla
costruzione della città: le Ronde definirono un primo anello di circonvallazione e si procedette con
la costruzione di nuovi settori urbani e di una serie di dotazioni pubbliche.
Nel 1905, il Plan Jaussely cercò di dare forma ai differenti centri del nuovo ambito amministrativo
della Gross-Barcelona, venutosi a formare con l’annessione del 1897 dei municipi della piana. Il
piano, con un esplicito rifiuto del Plan Cerdà, introduceva elementi obliqui e diagonali e si basava
sulla zonizzazione delle attività e, nella sua conformazione planimetrica costituita da due anelli di
circonvallazione e da cinque assi radiali, prefigurava temi fondamentali per la città odierna.
L’Esposizione del 1929, invece, diede la possibilità di recuperare la montagna del Montjuic come
un grande parco urbano, all’interno del quale vennero disposti vari edifici su terrazze (tra questi il
famoso Padiglione di Mies van der Rohe); inoltre venne portata a termine una ulteriore infrastruttu-
razione della città, attraverso la costruzione di nuove piazze e di una stazione di testa.
Crescenti flussi migratori portarono la città a toccare il milione di abitanti nel 1930. La crisi del 1929
e l’impossibilità di rispondere a tale ondata migratoria con il modello urbano promosso dalla borghe-
sia industriale, fecero sì che nel 1934 si diede avvio al Plan Macià, ad opera del gruppo GATCPAC
(Grupo de Artistas y Tecnicos Catalanos para la Promocion de la Arquitectura Contemporanea),
piano che dovette molto alla relazione instaurata tra questi ultimi e Le Corbusier, assumendo prin-
cipi progettuali quali una Gran Via parallela al mare come asse principale sul quale strutturare la
zonizzazione urbana, un’espansione a levante attraverso una griglia - di scala più ampia dell’Ei-
xample - con “edificazioni aperte in stile Ville Radieuse”75 e, a ponente, un progetto di alloggi minimi
ad alta densità, ad opera dello stesso Le Corbusier.
Il secondo dopoguerra vide, pur sotto l’iniziale politica autarchica di Franco, un forte incremento
dell’importanza economica di Barcellona all’interno della scena nazionale, aumentando ancor di
più la crescita demografica e quindi la necessità di alloggi, entro una congiuntura caratterizzata
dalla pressione speculativa. Nacque così il Plan Comarcal del 1953 che, attraverso una zonizza-
zione rigorosa, cercò di definire un modello di distribuzione funzionale basato su unità di quartiere
indipendenti, con una chiara attenzione alla “produzione di plusvalore piuttosto che all’utilità reale
legata al funzionamento urbano76”.
Successivamente, attraverso il Plan de Urgencia Social (1958) ed il Plan de estabilizaciòn (1959),
la città ha cercato di dotarsi di suoli edificabili per la costruzione di residenze a prezzi contenuti (i co-
siddetti poligoni). I poligoni videro un primo periodo di promozione pubblica, per poi vedere promo-
tori privati operare direttamente attraverso la costruzione di “poligoni speculativi”, ad alta densità,
seguiti dai “quartieri metropolitani degli anni ‘70”, che esasperarono un certo scollegamento urbano
tra la residenza privata ed i servizi pubblici77.
Nel 1968, con il Plan Director, fece comparsa sulla scena il concetto di ‘area metropolitana’, apren-
do la città verso il territorio, principalmente attraverso due idee: la decongestione della città a partire
dalla delocalizzazione industriale e la collocazione delle attività terziarie come strumento di riequi-
librio territoriale. Ad ogni modo, la pianificazione della città, pur intensa e puntuale, non riusciva a
contenere la pressione insediativa che si registrava in tale periodo: ancora numerose erano la ba-
racche che andavano a formare vere e proprie urbanizzazioni marginali, con caratteristiche proprie
e tessuti urbani minuti ma riconoscibili78.
Con la morte del “Caudillo” Francisco Franco, avvenuta nel 1975, la città di Barcellona - già prota-
gonista nell’ultimo periodo del regime - si avviava a riconsiderare la propria cultura urbana.
Il cosiddetto ‘risveglio democratico’ portò con sé, sul piano urbanistico, un elemento proveniente
dal precedente periodo franchista: il PGM - Plan General Metropolitano - approvato nel 1976 ma
cresciuto entro gli organismi tecnici metropolitani dei primi anni ‘70, la Corporaciò Metropolitana de
Barcelona. Questo piano dovette fare fronte a molteplici problemi che affliggevano la città: un gra-
vissimo deficit dotazionale nei servizi, una densità abitativa tra le più elevate al mondo e la scarsità
di spazi pubblici entro il corpo urbano consolidato.
Il piano, pur concepito sotto gli effetti della pressione speculativa, ha prodotto una “serie di scelte
positive di grande rilievo: ha consentito la salvaguardia di aree importanti per spazi pubblici e attrez-
zature; ha promosso un rapporto equilibrato tra usi e densità (…); ha affermato una serie di regole
e criteri rispetto ad usi e forme” con l’intento di superare concettualmente lo zoning e la formazione
di standard quantitativi, attraverso un “processo di localizzazione e formalizzazione” delle opere
pubbliche che già prelude alle successive operazioni degli anni ‘80; inoltre “ha dato una risposta
alle esigenze di coordinamento territoriale alla scala superiore”79, coordinamento poi risultato utile
per la costruzione delle ipotesi olimpiche del 1992 e nella futura dimensione programmatica, sino
alla discussione delle tematiche odierne80. Si può affermare che il PGM sia stato il primo vero pas-
so verso un’idea di città ampia ma al contempo inclusiva, costituita da differenti ‘episodi’ interni di
piccola-media scala (prefigurati solamente attraverso i vincoli, comunque ben visibili) e da alcune
grandi possibilità di relazione con il territorio: le infrastrutture, le vaste aree in abbandono e le do-
tazioni verdi infraurbane.
Nel 1981 Joseph Acebillo ebbe la direzione della Oficina de Proyectos Urbanos che, collegata alle
determinazioni dell’amministrazione pubblica, affidò a numerosi progettisti locali una serie di pro-
getti che si prefiguravano come “interventi sullo spazio aperto”, come “operazioni di miglioramento
puntuale” che avrebbero prefigurato “attuazioni di medio termine distribuite nei vari quartieri, per
giungere successivamente a delle strategie a tutto campo”86. Presero così forma una serie di pro-
80 Busquets J (2005) Op cit pg 335 l piano infatti per la prima volta faceva riferimento alla Corporacion Metropolitana de Bar
celona che come autorità locale ‘allargata abbracciava Barcellona e 26 municipalità minori intorno ad essa
81 Bohigas O (1985) op cit pg 3 4
82 Cfr Delbene G (2007 b) Op cit
83 Bohigas O (1985) op cit pg 5
84 Delbene G (2007) Op cit pg 49
85 Busquets J (2005) Op cit pg 348 l riferimento che compie l autore è da considerarsi rilevante in quanto definisce ‘insufficienti
gli standard connessi agli atti di valenza giuridica rispetto alla proprietà dei suoli per la strutturazione dei contenuti del piano Egli
compie questa notazione riferendosi in linea generale ai modelli occidentali di pianificazione urbana
86 Delbene G (2007) Op cit pg 50
92 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
getti discretamente posizionati all’interno della città consolidata, per dare nuova forma a piazze,
parchi e strade, in modo da costituire, attraverso politiche pubbliche, scenari entro i quali economie
e ‘popolazioni’ differenti potessero dare vita a usi complessi ed integrati della città.
Venne scelta quindi la strada di “concepire l’idea globale della città con la filosofia dei progetti (…)
che siano in grado di affrontare temi alla scala urbana”87.
Ed è attraverso questa filosofia che bisogna leggere i progetti urbani che hanno contraddistinto
l’evoluzione della città dagli anni ‘90 ad oggi: la Vila Olimpica, collegata all’evento sportivo interna-
zionale del 1992, il Forum delle Culture del 2004 ed il Plan Sagrera-St.Andreu del 2007.
Considerando infatti le premesse gettate dal lavoro diffuso a scala minuta (riqualificazione di piaz-
ze, parchi e strade) e la redazione del documento programmatico che ha introdotto le Aree di Nuova
Centralità (1987) - aree che potessero ‘sgravare’ la Ciutat Vella e l’Eixample dal peso delle funzioni
direzionali e commerciali che sino a quel momento vi si erano concentrate - è possibile indicare,
con questi progetti urbani, i casi con i quali la città ha compiuto un evidente salto di scala, con
obiettivi fisico-spaziali e temporali.
Avendo alle proprie spalle l’esperienza della revisione del PGM del 1976 e l’introduzione delle
Aree di Nuova Centralità, i Giochi Olimpici del 1992 costituirono una opportunità strategica per
completare lo sviluppo di zone marginali e per dotare l’area centrale delle infrastrutture e dei servizi
necessari per la crescita futura della città: le quattro aree considerate per le diverse installazioni
olimpiche erano infatti parte delle dodici nuove centralità diffuse individuate sotto la direzione di
J. Busquets, e potevano quindi generare una prima definizione, anche in termini temporali, delle
trasformazioni future, in quanto “i grandi progetti urbanistici vennero visualizzati quali strumenti di
discussione per il nuovo schema infrastrutturale della città, per il riordinamento di zone obsolete e
la funzionalizzazione dei vuoti interstiziali”88.
Le quattro aree ospitanti i giochi olimpici, diffuse sul territorio cittadino, erano:
- L’Anello olimpico (che ospitò la maggior parte degli eventi), localizzato sul Montjuic, un impianto
compositivo longitudinale, sul quale si dislocarono differenti installazioni sportive;
- L’area di Vall d’Hebron che, entro una zona non propriamente ‘urbana’, vide la collocazione di
differenti piastre per diverse discipline sportive, attraverso un impianto di modellazione topografica,
oltre a blocchi per appartamenti alti sino a 15 piani;
- L’area della Diagonal, già precedentemente adibita a funzioni sportive di tipo privato, vide la siste-
matizzazione degli spazi circostanti e la definizione dell’uso degli spazi aperti;
- Infine, la Vila Olimpica che, come vedremo, fu l’occasione per recuperare un ampia porzione
del litorale urbano, a lungo sottovalutato in quanto sede di alcune strutture di difficile collocazione
(cimitero, depositi del gas, etc.) oltre che attraversato dalla antica linea ferroviaria, sede di alcuni
depositi ad essa connessi. Attraverso un difficile lavoro di relazione tra infrastrutture, strutture olim-
piche e ricettive, il progetto ha fatto sì che questo sito potesse ospitare le residenze olimpiche, gli
uffici direzionali e servizi di diverso tipo, poi riconvertiti e diversamente utilizzati alla fine dei Giochi,
Gli obiettivi urbanistici della trasformazione che si produsse per Barcellona 1992 sono sintetizzabili
in tre principali ‘azioni’: l’ampliamento e la modernizzazione dei sistemi generali; la strutturazione
organica della periferia; la correzione delle tendenze di crescita urbana verso le aree del Nord-Est.
In questo quadro “le quattro aree olimpiche furono il chiaro segno della volontà di riformare e con-
solidare come spazi urbani ambiti fino ad allora non formalizzati, sotto-utilizzati e bisognosi di una
forte revisione”89.
Ma oltre a ciò è da segnalare che la trasformazione olimpica fu in primo luogo una trasformazione
infrastrutturale e l’opera che ha cambiato il volto della città è sicuramente la pianificazione e la
realizzazione dell’anello delle Ronde, che ha fornito la possibilità di connettere perifericamente la
viabilità cittadina.
Il grande successo delle Olimpiadi di Barcellona, con la nuova infrastrutturazione che ne scaturì,
vide una parallela dinamica di dispersione urbana verso l’entroterra: si assisteva, durante gli anni
‘90, alla ‘costruzione’ di una regione metropolitana.
La ricerca di una crescita urbana ‘sostenibile’ portò, quindi, verso la riqualificazione del territorio e
verso il “riconoscimento della superiorità della pianificazione strategica”, con l’obiettivo di costituire
una “città concentrata con relazioni complesse”, all’interno di un “modello mediterraneo compatto,
in cui avrebbero trovato spazio residenza, lavoro, svago senza aumentare l’utilizzo di territorio
periferico”90.
La priorità di mantenere il livello acquisito quale nodo primario di attività di carattere internazionale,
richiese anzitutto una maggiore sistematizzazione delle risorse logistiche e la messa in opera di
nuovi interventi che potessero garantire qualità delle comunicazioni, delle connessioni internazio-
nali, miglioramento nella distribuzione di urbanità e contenimento dell’inquinamento, evolvendo
‘l’idea’ della trasformazione urbana per parti della città.
Videro così la luce una serie di interventi ad una scala più ampia rispetto a quelli previsti per il 1992,
secondo una trasformazione generale “da fiume a fiume”91, tra i quali: l’ampliamento del porto e
dell’aeroporto, l’ammodernamento della rete ferroviaria e nuove strutture ricettive, congressistiche
e fieristiche. Le nuove trasformazioni avvennero confermando sostanzialmente i criteri delle Aree di
Nuova Centralità ed inoltre, in una logica intermunicipale, si polarizzarono in due aree ai limiti della
città, in corrispondenza dei fiumi Besos e Llobregat, confermando un ‘metodo’ operativo a differen-
te scala. Entro tale quadro è da inserirsi il progetto urbano del Forum delle Culture del 2004, che
assieme ai progetti Distretto 22@, della zona culturale attorno a Placa de les Glóries Catalanes,
all’apertura della Diagonal Mar e alla stazione dell’alta velocità di Sagrera, costituisce l’insieme dei
progetti del Nord-Est di Barcellona.
Eventuali In una prima fase è prevalso l’operatore pubblico, sia per le iniziative che per gli investimenti. L’ingresso
del capitale privato è avvenuto in una seconda fase, creando una certa concorrenzialità tra pubblico e
finanziamenti privato. Nell’ultima fase, ha prevalso l’operatore privato (che ha finanziato il 60% di NISA), utilizzando
privati i vantaggi di rendite posizionali fornite dall’iniziale esproprio pubblico.
Costo totale delle Il costo totale delle opere per Barcelona ‘92 (di tutte le quattro aree di progetto e delle infrastrutture) è
di circa 4,90 miliardi di Euro, superiore di circa il 250% ai 1,90 preventivati. Per la sola riqualificazione
opere del Villaggio Olimpico la cifra investita è di circa 520 milioni di Euro (Bazzocchi, 1996).
Plà especial d’adequaciò de l’area residencial i de la Vila Olimpica i de la zone dels equipaments costaners,als
Strumento ajustosd esdevinguts necessari al Pla especial (ottobre 1989), che andava a variare il Piano Speciale per
la zona costiera redatto nel 1986. Il piano del 1989, operante sulla base del Plan General Metropolitano
urbanistico (PGM) del 1976 ed entro il programma delle ‘Aree di nuova centralità’ individuate, era caratterizzato da:
utilizzato - dimensione urbana come quadro di riferimento territoriale; ricostruzione del waterfront (lungomare);
ridefinizione del sistema infrastrutturale; articolazione multifunzionale interna (un ‘pezzo di città’).
2 modello decisionale
Si segnala, come modello tradizionale, quello facente capo al Plan General Metropolitano (PGM) del
1976, attraverso le sue prescrizioni e vincoli (anche sulla base della nuova Legge sul regime dei Suoli
del 1975); tale piano generale permetteva una migliorata operatività da parte della PA (attraverso
l’esproprio e la compensazione) ma non contemplava diverse scale urbane di intervento e quindi non
Modello poteva considerare le fasi decisionali di tali operazioni. Si trattava sostanzialmente di un piano derivato
decisionale da un modello decisionale verticistico. Il PGM del 1976, come definito da O. Bohigas (Bohigas, 1985),
tradizionale Planes especiales de reforma interior 1981-85), che
è servito da ‘base’ per l’elaborazione dei PERI (Planes
hanno permesso lo sviluppo di progetti di iniziativa pubblica ben localizzati e coordinati rispetto ad un
più ampio quadro urbano. In ogni caso, le nuove politiche di rinnovamento urbano necessitavano di
un salto di scala maggiore rispetto a quello consentito dalle previsioni del PGM e questo conduceva
anche a nuovi modelli decisionali.
La modalità introdotta dal progetto urbano della Vila Olimpica è data dalla forma imprenditoriale
acquisita dall’attore pubblico per la gestione dell’intera operazione: i compiti di direzione e di controllo
Modello iter di approvazione e della fase di negoziazione degli espropri e degli sfratti sono stati assunti
dell’iter
dalla società VOSA, cosa che ha permesso lo sviluppo progettuale di tutte le opere pubbliche e
decisionale infrastrutturali attraverso un operatore pubblico con uno statuto di impresa privata. L’ingresso
adottato successivo di differenti operatori privati ha fatto sì che i decisori, per quanto riguarda le tematiche
legate alla residenza, si moltiplicassero e si creassero frizioni tra le spinte speculative e gli obiettivi
originari del progetto urbano (Collarini, 1998).
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 95
Planimetria 3.
Le 12 ‘Aree di nuova
centralità’; in rosso le
4 aree olimpiche. Con-
tornata l’area della Vila
Olimpica. La numera-
zione è solo indicativa e
non progressiva (Fonte:
Ajuntament de Barcelo-
na - tratto da Busquets
J., 2005, Op. cit. - Elab.
Ciarallo G.)
n.10, Montjuic.
Impianti sportivi
dell’Anello Olimpico sul
Montjuic.
Planimetria 4.
Le 4 aree dei Giochi
Olimpici del 1992. La
numerazione è riferita
alle Aree di Nuova
n.12, Vila Olimpica.
centralità (Planim. 3)
Impianti sportivi, porto,
(Tratta da Delbene G.,
residenze, uffici.
2007.b, Op. cit.)
Grafico 1.
I differenti modelli
decisionali: tradizio-
nale e adottato (Elab.
Ciarallo G. su dati tratti
da Delbene G., 2007.b,
Op. cit.)
96 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
La revisione della forma urbana è passata per l’individuazione di differenti centralità rispetto a quelle
note: le cosiddette “nuova centralità”, 12 aree concepite dalla municipalità come vere e proprie parti
di città complesse ed articolate, tra le quali si annoverano le 4 aree olimpiche. Le 12 aree, e più
specificatamente le 4 aree olimpiche, si trovavano perlopiù in posizione eccentrica rispetto al centro
storico della città e questo ha determinato una chiara relazione con le ‘porte’ di ingresso al corpo
urbano. Fu questa l’occasione di costituire le Rondes, ossia un sistema di collegamento periferico ad
Modificazione degli anello circolare: questo permise di affrontare le questioni di equilibrio tra urbanizzazione e territorio
assetti formali e e di considerare, al proprio interno, le nuove centralità urbane. All’interno di questo quadro, la Vila
relazionali Olimpica, parte dei 4 progetti per i Giochi, ebbe un ruolo determinante: ricostituire la connessione tra
città e acqua sul fronte marittimo e interpretare la relazione tra gli isolati del Plan Cerdà e tale nuovo
fronte. Ciò venne raggiunto, a livello infrastrutturale, tramite l’interramento della linea ferroviaria e con
a connessione viaria della Ronda Litoral
Litoral, e a livello progettuale attraverso la suddivisione in quattro
‘super-isolati’ urbani, a loro volta suddivisi in 34 unità di progetto, con le quali si è potuto stabilire
un semplice - ed a tratti costrittivo (Marinoni, 2005) - rapporto morfologico tra l’esistente e le nuove
costruzioni.
Una nuova relazione tra settore pubblico e privato è pienamente percebile, nelle politiche gestionali
della trasformazione urbana, proprio con il progetto urbano della Vila Olimpica: la PA ha sostanzial-
mente mantenuto il controllo delle scelte strategiche per le modifiche dell’assetto territoriale, conside-
rando in un secondo tempo l’ingresso di operatori privati, una volta definite le linee-guida strategiche
del Piano Speciale. E’ da sottolineare come questo sia avvenuto grazie alla sinergia tra la componen-
te politica e quella tecnica e per il sistema concertativo di relazione (negoziazione) che ha garantito
a partecipazione dei privati all’operazione. Il rapporto tra pubblico e privato si è quindi sviluppato in
tre fasi:
Nuova relazione tra - una prima fase nella quale l’operatore pubblico ebbe ruolo maggioritario, sotto il controllo dell’Ammi-
settore pubblico/ nistrazione municipale. E’ questa la fase in cui si eseguono espropri, indennizzi e negoziazioni, sino
privato alle demolizioni delle industrie preesistenti. Il ruolo trainante della PA si pone come obiettivo di evitare
rendite posizionali rilevanti.
- in una seconda fase sono entrati nell’operazione i soggetti privati, attraverso quote sino al 60% della
NISA, società a carattere misto con il compito di realizzare le abitazioni. La logica di mercato introduce
una certa concorrenzialità tra pubblico e privato.
- la terza fase vide l’imporsi di logiche di concorrenzialità tra settore pubblico e privato, in assenza
di indirizzi precisi per la regolazione e diversificazione dell’offerta immobiliare. Ribaltandosi la situa-
zione, i privati colgono al meglio l’occasione data dalla costruzione del Piano in termini di rendita. La
conseguenza è che lo stock abitativo si sia collocato nelle fasce alte del mercato (Collarini, 1998).
Immagine 15.
La costa tra Barcelo-
neta ed il Poblenou
negli anni ‘60, l’area
dove oggi sorge la Vila
Olimpica. Si notino
i numerosi baracca-
menti sul fronte-mare
(Fonte: J. Busquets,
2005, Op. cit.)
Immagine 16.
L’area della Vila
Olimpica nel 1987:
deposito di containers
e sede ferrovia (Fonte:
J. Busquets, 2005,
Op. cit.)
Immagine 17.
L’area della Vila
Olimpica nel 1992:
area olimpica,
residenze e servizi
(Fonte: J. Busquets,
2005, Op. cit.)
98 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
compagine urbana (Marinoni, 2005) all’interno di un processo di negoziazione tra differenti enti re-
sponsabili dei diversi sistemi infrastrutturali.
- Una seconda fase di coordinamento è attuata attraverso il rapporto tra morfologia generale del
Forma di costruito e i singoli episodi costruttivi. L’individuazione di quattro ‘super-isolati’, ognuno composto
pianificazione dimensionalmente da tre isolati dell’Ensanche, si impone come un forte vincolo progettuale così de-
(continua) terminato: edificazione lungo la strada, definizione dei bordi dei parchi, ingressi e affacci tra spazio
nterno ed esterno dei ‘super-isolati’.
- Un’ultima fase, più orientata alla decifrazione di strumenti edilizi consoni alle finalità, individua attra-
verso quattro strumenti le regole edificatorie a cui attenersi durante i successivi sviluppi progettuali.
Conseguentemente alle esperienze degli anni ‘80 di ‘urbanistica urbana’ (Marinoni, 2005) attuata
attraverso un processo governato tramite una competenza specifica sulla città, la gestione del pro-
getto è avvenuta attraverso l’individuazione di forme societarie che potessero rispecchiare le forze in
campo: la società pubblica VOSA si è occupata del montaggio e della gestione delle relazioni con i
Modalità di diversi enti coinvolti nel piano attraverso un ampio mandato, dalla fase progettuale alla realizzazione,
comprese le opere di ristrutturazione infrastrutturale, approvate nel 1989. Per la costruzione degli
gestione adottate appartamenti, venne poi costituita la NISA, a capitale privato maggioritario (12 società immobiliari).
Il coordinamento e la progettualità, interconnesse tramite le finalità generali del progetto urbano, si
sono dimostrate di grande importanza per la riuscita del progetto, mentre l’ingresso di attori privati ha
dimostrato limiti nella congruità tra programma generale (domanda sociale di residenza) ed obiettivi
speculativi delle società immobiliari (Collarini, 1998).
Immagine 18.
Vista del modello del
Plan Especial approvato
nel dicembre 1986
(Tratta da G. Marinoni,
2005, Op. cit.)
Immagine 19.
Il nuovo lungomare
visto dalla torre di
Ortiz-Leon
(Tratta da Bohigas O.
1985, Op. cit.)
Immagine 20.
Le indicazioni funzionali
del masterplan finale
del 1992.
(Tratta da Bohigas O.
1985, Op. cit.)
100 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
La relazione tra il progetto urbano della Vila Olimpica e il contesto sociale si può leggere:
- nei termini del rapporto tra il vissuto quotidiano dello spazio urbano e le forme del progetto: i grandi
solati hanno cercato di contenere al loro interno molte delle caratteristiche della relazione tra spazio
privato e vita pubblica barcellonese e le cortine edificate hanno consentito una stretta relazione con
Relazione tra ’edificato compatto dell’Ensanche in termini di continuità fisica e quindi di diversificazione delle atti-
progetto urbano e vità;
contesto sociale - nelle risposte fornite dal progetto agli obiettivi prefigurati ex-ante, nei termini di socialità e diversifica-
zione funzionale: sotto questo punto di vista, il progetto urbano ha dimostrato difficoltà nel rispondere
ad uno degli obiettivi principali alla base del progetto, ossia quello di consentire l’accesso alle resi-
denze alle fasce economicamente svantaggiate, per dare alloggio alle persone spostate dal Barrio
Gotico (Busquets, 2005).
9 fasi di progetto
Le fasi evolutive del progetto sono riassumibili attraverso alcuni passaggi:
- la pianificazione speciale del ‘pezzo di città’;
- la negoziazione degli espropri e varianti al piano in base alle necessità;
Evoluzione - la demolizione, parallela alle progettazioni di settore;
temporale degli - la predisposizione di un suolo urbanizzato (interramento ferrovia, strade) e introduzione di schemi
interventi normativi e descrizioni per la progettazione architettonica;
- possibilità, per i diversi progettisti, di considerare varianti formali, quale esito architettonico del pro-
cesso.
- predisposizione del progetto per approssimazioni successive.
La possibilità di acquisire apporti progettuali differenti è stata alla base delle scelte di piano: l’intero
comparto è stato suddiviso in 34 ‘unità di progetto’, raggruppate in 9 ‘super-unità’: ogni unità è sotto-
posta a progetto unitario coordinato da una équipe responsabile del singolo intervento.
Quattro strumenti regolano le diverse edificazioni, come condizioni alla base dei contributi:
Possibilità di - la descrizione dei criteri di formalizzazione degli spazi pubblici e degli edifici;
apporti diversi - la ‘proposta morfologica’ in forma di planimetria e modello;
- la ‘normativa grafica’ che definisce ciò che è negoziabile e ciò che è fondativo. Un esempio di norma
non trattabile è la dimensione dei ‘super-isolati’ e la cortina continua su strada;
- i criteri di allineamento, di altezza di gronda, di permeabilità dei fronti ed i punti di relazione tra strada
e isolato interno.
Immagine 21.
Il masterplan della Vila
Olimpica nella sua ver
sione definitiva. (Tratta
da Delbene G., 2007,
Op. cit.)
Immagine 22.
Il ‘Triangolo magico’
dei PU di Barcellona
(Fonte: Aula Barce-
lona - Ajuntament de
Barcelona)
102 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Nella seconda metà del XIX secolo la città si attrezza delle prime grandi infrastrutture moderne, il
porto e la ferrovia, elementi che giocano un ruolo fondamentale nel dare forma alla fabbrica urbana
così come è oggi apprezzabile. Nel 1844 si dà inizio alla costruzione del porto della Joliette, costi-
tuito da tre diversi bacini serviti da docks, progettato dall’ingegnere Montluisant a Nord della città
antica, dando forma ad una vera e propria porzione urbana separata dal nucleo vitale della città,
che ora si trova prevalentemente a Sud. La successiva decisione di posizionare la nuova stazio-
ne ferroviaria nella pianura di St. Charles, in modo da essere direttamente collegata con il porto,
sancisce definitivamente il destino della parte Nord della città, che si delinea come luogo per la
localizzazione delle grandi attrezzature, con direzione privilegiata verso l’hinterland e verso la valle
del Rodano.
“La dinamica urbana che ne risulta si traduce in un disequilibrio permanente tra il Nord ed il Sud
della città con il primo destinato all’industria e alle abitazioni popolari, a vantaggio del centro e del
Sud che diventano la città borghese”46.
Questo nuovo assetto conduce alla necessità di rinnovare il rapporto tra i nuovi impianti e la struttura
urbana, necessità che si traduce nel piano globale del 1858 che, sulla scia delle pratiche haussma-
niane, prevede numerosi ‘sventramenti’ (percée) da realizzare nel tessuto medievale e seicentesco,
attraverso un “model liberal”47 che, esteso a tutta la città, si è evoluto come una ‘grande avventura
speculativa’. Le percée operate costituirono grossomodo un’ampia struttura viaria cruciforme, con
l’asse della Cannebiére a collegare il Vieux Port con la città alta a Est e con il Course Belsunce e
la Rue de Rome ad attraversare da Nord a Sud il tessuto cittadino. Di gran lunga più ‘invasiva’ nei
confronti della città antica è la realizzazione della Rue Imperial (oggi Rue de la Republique) che
unisce il vecchio porto del Lacydon con il nuovo bacino della Joliette. Questa enorme operazione
fu portata a termine celermente (1862-64) e ben presto si diede mano alla costruzione dei blocchi
residenziali, sul modello degli schemi haussmaniani e sulla spinta di un audace spirito teso al rinno-
vamento della città48. Facendo scomparire parte della città antica, la Rue Imperial viene costituita
con l’intento di portare i benefici del Sud della città (eminentemente commerciali) verso la porzione
urbana popolare e meno abbiente. Il risultato nel complesso fu negativo49, soprattutto per via degli
intenti unicamente speculativi che in realtà sottendevano alla realizzazione dell’opera.
Nella seconda metà dell’Ottocento una serie di problemi affliggono la città: è la Marsiglia delle
grandi crisi immobiliari dovute a speculazioni avventate, della crescita disordinata e delle abitazioni
precarie, della insalubrità fisica delle strade e delle case, della povertà diffusa nel centro della città,
la Marsiglia del noir del primo Novecento, dove la Belle Epoque tarda ad arrivare50. Ma l’economia
portuale continua a trainare il resto della città sino a che, negli anni ‘30 del Novecento, una grave
crisi residenziale colpisce la città che, sovrappopolata, non riesce ad contenere l’afflusso di migran-
ti.
Nel 1931, Jacques Greber elabora un mirabile piano di espansione della città, che si fonda sulla
creazione di viali esterni e nuovi quartieri, sul riordino di lottizzazioni esistenti tramite vie di circola-
zione radiocentriche che assicurino la connessione porto-città-regione metropolitana ed infine sulla
salvaguardia di un ‘capitale naturale’ (13000 ettari) non destinati all’urbanizzazione. Il piano non
fu attuato, ma ebbe una forte eco ‘strategica’ sul successivo piano ad opera dell’architetto Eugéne
Beaudouin (1941-43); un piano, quest’ultimo, che si basava sul richiamo alle ‘basi’ dell’urbanistica
ottocentesca (circolazione, igiene e decoro) e sull’interpretazione, quale fulcro problematico della
città, dell’area della Borsa (tra il vecchio porto, la Cannebiére, St. Charles e la Joliette) in quanto
“condensato delle questioni marsigliesi”51; il piano venne poi ripreso e rivisto nella proposta di Ge-
orges Meyer-Heine.
Sono questi gli anni in cui l’area urbana inizia a configurarsi ad una scala maggiore, una grande
area metropolitana che suggerisce l’idea della Grand Marseille52, idea che successivamente con-
corre ad inserire la città tra le otto ‘metropoli di equilibrio’ francesi volute da Charles De Gaulle per
controbilanciare il ‘peso’ amministrativo e sociale sostenuto da Parigi.
Successivamente, un nuovo Plan Directeur (1949-59), voluto dall’amministrazione centrale di Sta-
to, si sovrappose ai piani Greber e Beaudouin - Meyer-Heine, invalidandoli sostanzialmente. E’
questo un piano che, mantenendo di fatto la grande divisione spaziale e sociale tra Nord e Sud
della città53 non riesce a collegarsi con la realtà in divenire dell’economia cittadina, pur cercando
di muoversi in tal senso.
Si arriva così all’epoca dell’amministrazione Defferre54, nota per l’attenzione verso la modernizza-
zione della città (i grand travaux degli anni ‘50 e ‘60, tra i quali la realizzazione della metropolitana)
e per la realizzazione del decentramento urbano (creazione del porto di Fos e spostamento della
grande industria a Nord-Ovest dell’abitato).
I piani che, alle diverse scale, hanno contraddistinto questo periodo sono:
- lo Schéma d’aménagement de l’aire métropolitaine marseillaise, étape 2000 (1969), a cura
dell’OREAM-PACA55;
- lo Schéma directeur d’aménagement et d’urbanisme de l’agglomération marseillaise, (1973) a
cura dell’AGAM56;
- Il Plan d’occupation des sols (1981), a cura dell’amministrazione comunale.
Piani che, alle diverse scale amministrative, hanno mantenuto come visione costante la ‘città-area
metropolitana’, soprattutto in considerazione della possibilità di spostare il porto industriale dalla
Joliette al bacino di Fos, a Nord-Ovest dell’agglomerato urbano, senza la necessaria attenzione per
la questione abitativa collegata alle nuove dimensioni metropolitane57. Ciò effettivamente avvenne
nel 1966 e questa enorme operazione, eminentemente industriale ed economica, ebbe forti riper-
cussioni di vasta scala sul piano morfologico-insediativo, per via degli effetti della presenza dell’in-
dustria pesante - e del proprio indotto - concentrati nella zona Nord della città. A questo si accom-
pagnò in seguito il cosiddetto ‘urbanisme de Zup’58 varato nella V Repubblica francese prima della
Loi d’Orientation Fonciére del 1967 che, attraverso la costruzione di ‘torri e stecche abitative’59,
portò circa il 60% delle costruzioni residenziali a canone moderato nella zona settentrionale della
città, anche per accogliere la popolazione di pieds noirs in ritorno dall’Algeria dopo l’Indipendenza
di quest’ultima (1962).
Negli anni ‘70 e ‘80 le maggiori problematiche della città sembrano riprodursi nel centro cittadino, in
quanto luogo mai risolto della divisione spaziale tra porto e città, condizione che ha avuto ripercus-
sioni sulla struttura urbana dell’Area Metropolitana Marsigliese, ricreando la suddivisione spaziale
sulla vasta scala e formalizzando una netta distinzione funzionale tra le diverse parti della città.
“Tutte le domande riguardanti l’avvenire della città oggi passano per il futuro del centro cittadino”,
scriveva nel 1982 Ariela Masboungi dell’Agence d’Urbanisme de Marseille60. Un centro cittadino
che ha accolto, nei quartieri limitrofi al porto della Joliette, immigrati italiani, armeni, nordafricani
e che quindi aveva assunto, nel tempo, connotati unici di prossimità e convivialità (un vero bazar
mediterraneo61) differenti da quelli inizialmente immaginati dalla pubblica amministrazione (si pensi
all’operazione ottocentesca della Rue Imperial). Un centro città oggi connotato da un dispositivo
economico informale di grande vivacità, per lo più animato da immigrati maghrebini che, attraverso
tale economia, hanno costituito il ‘core’ della città post-industriale.
Questa particolare condizione, unitamente allo sforzo analitico ed interpretativo compiuto dai diffe-
renti livelli amministrativi per indirizzare lo sviluppo metropolitano62, individua la situazione urbana
della città di Marsiglia verso la fine del XX secolo.
58 Sono queste le ‘Zones à urbaniser en priorité modalità di ‘urbanisme opérationell introdotta a livello nazionale nel 1958 Dal
1967 in poi gli ZUP sono stati rimpiazzati dagli ZAC (Zones d’Aménagement Concerté) Si veda: Loew S (1998) Modern architec
ture in historic cities. Policy, planning and building in contemporary France pg 23 Routledge Londra
59 Parisis J L (1993) op cit pg 9
60 Parisis J L (1993) op cit pg 10
61 A tal proposito si guardi all opera di Michel Peraldi ed in particolare Marsiglia, bazar del Mediterraneo (2005) Mesogea Mes
sina
62 Borruey R (2004) Marseilles metropolitan area, in 20th century projects in AAVV (2004) L’explosiò de la ciutat Coac e Forum
Universale delle Culture 2004
106 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
biente urbano63, ha causato nel tempo lo ‘svuotamento’ (fisico e di senso, rispetto al centro citta-
dino) del bacino della Joliette, dando vita, a metà degli anni ‘80, alle prime discussioni sulla futura
destinazione dell’area portuale urbana.
Ma è solo negli anni ‘90 che, alla ricerca di un rinnovato equilibrio urbano e sotto la spinta della
competizione internazionale tra le città, si guarda al friche (area dismessa) delle banchine della
Joliette come ad un’area ricca di potenziale innovativo; un’area che, attraverso il rinnovamento
urbano, potesse raggiungere gli obiettivi di qualità urbana per il Nord del centro cittadino - collegato
al porto - ed al contempo potesse costituire ‘volano’ per lo sviluppo dell’intera città, in risposta alla
crisi ed agli squilibri economici64.
L’individuazione del porto della Joliette quale ‘motore’ della trasformazione è chiara sin dalle origini
del progetto che, anzitutto, è stato concepito alla fine degli anni ‘80 come un’operazione urbana
‘locale’, limitata ad un quartiere della città, come suggerisce la denominazione iniziale Projet de la
Grande Joliette, promosso essenzialmente da attori locali: Comune di Marsiglia, Autorità Portuale
e Camera di Commercio65.
Ma, con l’entrata dello Stato nella gestione del programma, il progetto ha cambiato il suo status
per diventare, nel 1995, una OIN (Operazione di interesse nazionale) con il nome di Euroméditer-
ranée, gestito dall’EPAEM (Établissement public d’aménagement Euroméditerranée). Inoltre la sua
definizione fisica si è estesa ben oltre la sfera locale del progetto di recupero della zona portuale,
estendendosi su ben 310 ettari tra la città e il porto, divenendo così un ‘progetto urbano’, così come
inteso ad esempio da P. Mangin e J. Panerai66, laddove si sovrappongono nel progetto le finalità
istituzionali e sociali, quelle economiche, ambientali, etc.
Al fine di raggiungere gli obiettivi sopra descritti vengono incluse, all’interno del programma, il Baci-
no di Arenc, i quartieri di Belsunce e di St. Charles, la Rue de la Republique e l’area dismessa della
Belle de Mai, con il fine di dare forma ad un progetto urbano di grandi dimensioni ed estremamente
diversificato al suo interno. E’ comunque opportuno sottolineare che la ‘costruzione’ dello strumento
di rigenerazione urbana sin dall’inizio non ha tenuto nel debito conto le componenti locali presenti
nel centro cittadino, e ciò ha prodotto effetti di esclusione sociale non indifferenti.
La ‘semantica’ del progetto è ora riconoscibile nel “punto di cristallizzazione di natura geopolitica”67
di un programma che si sviluppa al di là dei confini nazionali e degli interessi dei singoli soggetti
(investitori, sviluppatori, imprese, progettisti) incaricati delle operazioni urbanistiche. L’operazione
Euroméditerranée si riferisce così ad un contesto più ampio: la costruzione di un nuovo spazio isti-
tuzionale e transnazionale per il bacino Mediterraneo, che si confronti con il processo di Barcellona
63 Guillermin B e Picheral D (1994) Vers une nouvelle relation entre le port et la ville pg 126 in Dominique Becquart (a cura di)
(1994) Marseille, 25 ans de planification urbaine, Ed de l Aube
64 Cfr Donzel A (a cura di) (2001) Métropolisation, gouvernance et citoyenneté dans la région urbaine marseillaise Maisonneuve
& Larose Parigi Ci si riferisce all intero testo sul rapporto tra città governo metropolitano e progetto Euroméditerranée
65 Donzel A (2009) Euroméditerranée: ville habitée ou perimetre competitif? relazione del seminario Rigenerazioni urbane in area
mediterranea Dai differenti processi evolutivi all omogeneità del prodotto urbano tenutosi il 25 marzo 2009 presso il Politecnico di
Milano nell ambito del corso di Dottorato PUTeA dottorando: Giorgio Ciarallo
66 Mangin D Panerai P (1999) Projet urbain Editions Parenthèses Marsiglia
67 Donzel A (2009) Op cit pg 2
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 107
avviato nel 1995 e con la creazione dell’Unione per il Mediterraneo del 2008, anche attraverso
l’immagine simbolica di una Cité de la Méditerranée che si estende sul fronte mare della città, con
funzioni culturali e ricreative68.
Immagine 23.
Planimetria di
Marsiglia nella prima
metà del XIX secolo.
Non sono ancora
state operate le percée
haussmaniane (Fonte:
Marseille, ville et nature.
Tamisier Christian, Lab.
Lames - MMSH)
Immagine 24.
Il piano per le percée
del 1858. Si leggono
le tracce dei lavori
previsti e poi compiuti,
soprattutto Rue de la
Republique (Fonte:
Marseille, ville et nature.
Tamisier Christian, Lab.
Lames - MMSH)
68 Bertoncello B Rodrigues Malta R (2001) Euroméditerranée: les échelles d’un grand projet de régénération urbaine in Donzel
A (a cura di) Métropolisation, gouvernance et citoyenneté dans la région urbaine marseillaise pg 405 Maisonneuve & Larose
Parigi Sul rapporto tra città governo metropolitano e progetto Euroméditerranée
108 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Superficie Il territorio urbano inizialmente interessato (1995) da Euroméditerranée era di ca. 310 Ha (205 ettari
di proprietà pubblica e 105 proprietà private). Dal 2007, con l’estensione (170 Ha) approvata a Nord
complessiva del quartiere di Arenc, la superficie totale di Euroméditerranée è di ca. 480 ettari.
Settori costieri settentrionali della città (a Nord della Cannebiére, vero centro città) e quartieri ‘interni’
ad essi collegati (per industria, commercio o altro). I settori sono quelli del ‘triangolo’ dell’angiporto:
Localizzazione Arenc, Joliette, Rue de la Republique, Belsunce, La Belle de Mai, Saint-Charles, ai quali aggiungere
’area a Nord di Arenc.
Il progetto urbano si compone di differenti interventi, tutti comunque riconducibili al coordinamento
dell’AGAM (agence d’urbanisme de l’agglomération marseillaise). Un primo piano di massima
fu presentato da A. Masson nel 1993, progetto che è tutt’ora da considerarsi come la base sulla
Consulenti e quale sono stati sviluppati i differenti ‘piani e progetti specifici’: il coordinamento della ZAC Citè de
progettisti la Méditerranée di Y. Lion (nel quale troviamo il progetto del Mucem di R. Ricciotti, quello del Centre
Régional de la Méditerranée di S. Boeri, l’Euromed
Euromed center di M. Fuksas e le torri di J. Nouvel, Y. Lion,
J. B. Pietri, R. Carta e Z. Hadid), la ZAC della Joliette di P. Celeste, la ZAC di St. Charles B. Fortier e
J.M. Savignat, parte del piano di recupero della Belle de Mai a J. Nouvel.
Eventuali Non esistono finanziamenti privati all’EPAEM, ma esistono investimenti privati nelle singole opere
connesse al progetto. Sino al 2006 gli investimenti privati ammontavano a circa 1 miliardo €. Per
finanziamenti a conclusione della terza fase (previsione 2012) l’EPAEM prevede che gli investimenti privati totali
privati salgano a 3 miliardi €.
Costo totale Il costo totale delle opere è stimato tra i 3,5 ed i 4 miliardi €.
Plan d’Occupation du Sol
Sulla base del POS (Plan Sol) - poi Plan Local d’Urbanisme de la Commune de
Strumento Marseille - è stato sviluppato un iniziale masterplan (1993) che prevedeva la creazione di differenti
ZAC (Zone d’Aménagement Concerté) come forma di controllo delle singole parti del progetto urbano.
urbanistico Seguendo questa linea, le differenti ZAC hanno ‘influenzato’ le varianti e gli aggiornamenti del PLU,
utilizzato che ad oggi (ultime modifiche approvate il 13 ottobre 2008) si compone dei differenti interventi previsti
dal progetto urbano.
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 109
110 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
2 modello decisionale
Il modello decisionale francese è legato all’individuazione di progetti gestiti dal settore pubblico o
comunque entro un quadro definito dalla pubblica amministrazione. Il quadro generale urbano, a
ivello comunale o intercomunale, è dato dallo Schéma Directeur, il quale definisce la guida sulla
Modello quale impostare il POS (Plan d’Occupation du Sol) - poi sostituito dal Plan Local d’Urbanisme - che a
decisionale sua volta può essere interessato dalle ZAC (Zone d’Aménagement Concerté). I progetti di interesse
tradizionale nazionale (Grand Travaux e OIN - Opération d’intérêt national godono di priorità rispetto ai piani
urbani. E’ da dirsi che le ZAC consentono di attivare pratiche negoziali sottraendosi alle previsioni di
piano (Loi d’Orientation Foncière, 1967). Di conseguenza il modello è atto a comprendere ‘morceaux
de ville mantenendo uno schema decisionale piramidale.
Il modello adottato non si sottrae alle dinamiche decisionali note, introducendo comunque due elementi
Modello di novità: la presenza della OIN che ha promosso l’EPAEM (Etablissemént Public Aménagement
Euroméditerranée) con un partenariato completamente pubblico a più livelli ed il coordinamento
decisionale unitario di differenti ZAC entro un unico masterplan ed un unico perimetro continuo, in modo da
adottato conferire anche unità d’intenti. E’ previsto l’ingresso di operatori privati ai differenti livelli (o attraverso
e OPAH, Opération programmée d’amélioration de l’habitat o nel libero mercato).
Una ‘riconquista del centro’ che tende quindi a stabilire nuove relazioni sull’intera città. Gli elementi
attraverso i quali Euroméditerranée ha perseguito l’obiettivo sono (Donzel, 2009):
1. La disponibilità del porto della Joliette quale attracco turistico e area ludico-culturale;
2. Il rifacimento degli isolati urbani del quartiere della Joliette, di Arenc, di St.Charles;
3. Il recupero di 4.000 alloggi e dei fronti della Rue de la Republique, collegamento tra Joliette e centro
Modificazione degli cittadino (Vieux Port);
assetti formali e 4. L’abbattimento della sopraelevata ed interramento della strada; revisione della mobilità pubblica e
relazionali privata;
5. L’arrivo del TGV alla Gare de St. Charles;
6. Recupero dell’area dismessa Belle de Mai, come polo televisivo-media e teatrale;
7. Creazione di un nuovo fronte mare, con torri per uffici ed abitazioni.
Attraverso questi elementi, il rapporto tra Nord e centro cittadino dovrebbe, nelle intenzioni, subire
significative trasformazioni sinergiche ritenute positive.
Planimetria 5.
Pagina precedente:
Planimetria del progetto
al 2008, con l’estensio-
ne a Nord. Redatta in
occasione di ‘Marseille
2013’ capitale europea
della cultura.
(Rielaboraz. e traduzio-
ni G. Ciarallo - Fonte:
EPAEM, 2010)
Grafico 2.
I differenti modelli
decisionali: tradizionale
e adottato (Elab. G.
Ciarallo su dati tratti da
Donzel, 2001, Op. cit.)
Immagine 25.
Da Arenc a la Joliette.
Particolare del modello
ligneo all’interno della
sede temporanea del
Mucem, Fort-St.Jean.
(Foto di G. Ciarallo del
29.11.’08)
Immagine 26.
I Docks.
I cortili interni di stoc
caggio hanno cambiato
funzione: negozi e uffici.
(Foto di G. Ciarallo del
29.11.’08)
112 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
La gestione dell’intero processo di trasformazione urbana è stata affidata all’organismo pubblico EPA-
EM che, in collaborazione con l’AGAM (l’agenzia per l’urbanistica marsigliese), ha dato corso alla
messa in opera del progetto. La modalità di gestione segue direttamente la suddivisione dell’intero
Modalità di progetto in tre fasi ed in parti differenti: a seconda delle disponibilità (economiche e territoriali) si è
dato inizio a singoli episodi ‘interni’ alle differenti ZAC o che compongono il progetto urbano, come ad
gestione adottate esempio i Docks de la Joliette o la torre CMA-CGM. Il programma ha potuto così beneficiare incre-
mentalmente dell’apporto degli interessi privati già presenti o creatisi intorno al progetto. Tale modalità
ha mostrato comunque i suoi limiti almeno in due casi: nella ristrutturazione urbana della Rue de la
Republique (sospesa) e nel rispetto dei tempi programmati (per diversi ambiti).
Immagine 27.
La torre per uffici CMA--
CGM in costruzione.
(Foto di G. Ciarallo del
30.11.’08)
Immagine 28.
ZAC de la Joliette.
Il retro dei docks riattati
e i nuovi palazzi per
uffici (Foto di G. Ciarallo
del 30.11.’08)
Immagine 29.
Rue de la Republique.
I cortili degli edifici
haussmaniani ‘in attesa’
del recupero. Molte
persone sono state
‘spostate’ da questi edi-
fici per le esigenze degli
investitori. (Foto di G.
Ciarallo del 30.11.’08)
114 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Planimetria 6.
ZAC de la Joliette.
Tavola con le principali
destinazioni di progetto.
Fonte: Communauté
Marseille Provence
Métropole - http://www.
marseille-provence.
com/
Planimetria 7.
Estensione Nord 2007 -
progetto vincitore:
Francois Leclercq/TER,
associé à Remy marcia-
no/Jacques Sbriglio et
au Groupes Setec
(Fonte: EPAEM, 2009)
116 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
9 fasi di progetto
E’ questa una delle caratteristiche fondamentali del progetto: le tre fasi di avanzamento del program-
ma (1995-99 / 1999-06 / 2006-12) prevedono infatti la possibilità di ‘incrementare’ o ‘diminuire’ gli
elementi del progetto attraverso aggiustamenti definiti dall’EPAEM, soprattutto in presenza di investi-
tori privati che, con tempi differenti, introducono capitali per la realizzazione delle opere. E’ il caso ad
esempio, della Rue de la Republique: lo ‘stallo’ dei finanziamenti ha qui provocato un fermo prolunga-
to; invece nel caso della torre CMA-CGM le necessità del privato hanno dettato un’accelerazione dei
avori, che anticipano di molto il resto del lungomare.
Evoluzione La convergenza generale tra le differenti finalità delle singole parti del progetto, così come definita
temporale degli dagli organismi ufficiali, si ritrova nella ‘riappropriazione’, segnalata sin dal 1995, del Nord del centro
interventi di Marsiglia da parte dei marsigliesi. Anzitutto, è da rilevare che in realtà lo sviluppo dell’intera opera-
zione è stato in gran parte finanziato da investitori internazionali (acquirenti di EPAEM) e gli interessi
sovralocali hanno determinato una certa disassociazione dall’obiettivo generale: sembrano ora preva-
ere obiettivi particolari, legati allo sviluppo di progetti singoli, come ad esempio il progetto SAS-Suede
di Constructa, il recupero della Rue de la Republique o l’immagine della Citè de la Méditerranée. Se-
condariamente, è opportuno ricordare che il centro-Nord di Marsiglia era già abitato e vissuto da una
popolazione, a basso reddito e con alta percentuale di disoccupati, che con difficoltà stanno trovando
una propria collocazione entro le nuove politiche urbane (Taliercio, 2008; Donzel, 2001).
Le possibilità di differenti apporti stanno alla base dello sviluppo del progetto: sin dagli anni ‘80 diffe-
renti attori privati hanno manifestato intenzioni nei confronti dell’area. Essi sono stati ‘propulsivi’ nei
confronti del progetto.
Possibilità di Sulla base delle integrazioni al POS ed in forza della gran parte della proprietà delle aree (circa il
apporti diversi 66%), la pubblica amministrazione ha definito ‘regole’ all’ingresso di investitori privati e, quindi, dei
singoli progettisti. Gli ZAC hanno definito ‘regole insediative’ (allineamento, altezza, continuità degli
edifici e dimensioni degli spazi pubblici) attraverso le quali i differenti interventi hanno potuto dare
forma ai progetti, in base alle parti di proprietà.
Immagine 30.
I marciapiedi di
Marsiglia. (Foto di
G. Ciarallo, 30.11.2008)
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 117
Immagine 31.
Il logo di “Marsiglia,
capitale europea
della cultura, 2013” e la
composizione societaria
della
EPAEM. (Fonte: EPA
EM, 2009)
Immagine 32.
Rue de la Republique,
la parte già riabilitata.
(Foto: G. Ciarallo,
30.11.2008)
Immagine 33.
Lavori in corso sulle
banchine (Foto:
G. Ciarallo, 30.11.2008)
118 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
3.2 Le forme del progetto urbano nelle città dei Paesi del Sud e dell’Est
Mediterraneo
La Vila Olimpica di Barcellona (1989-92) e Euroméditerranée a Marsiglia (progetto iniziato nel 1995
e tuttora in corso) si inseriscono rispettivamente nella stagione di crescita ed in quella di maturazio-
ne dell’urbanistica operativa nel continente europeo. Essi, pur se vicini nel tempo, rappresentano
due momenti distinti: il primo coevo ad altre esperienze innovative del Nord Europa (Lille, Berlino,
Parigi, etc.), il secondo prende le mosse da queste esperienze note e da forme di rigenerazione
urbana differenti (Genova o Hafen City ad Amburgo), nel tentativo di imboccare una propria strada.
Entrambi si inseriscono nel ‘filone’ dei progetti di recupero del waterfront, e come tali hanno sfruttato
sapientemente le occasioni fornite dal rapporto con il fronte marittimo, integrando nelle operazioni
di conversione differenti soggetti, portatori di logiche spesso divergenti44.
Come si nota dalle schede analitiche, una grande parte all’interno dei progetti è ricoperta dall’azio-
ne politica di costruzione delle condizioni (economiche, sociali, culturali) che permettessero la re-
alizzazione degli obiettivi, all’interno di una condizione generale di ristrutturazione dell’economia
cittadina.
Nel Sud e nell’Est del Mediterraneo, e con particolare riferimento ai tre casi di nostro interesse (Al-
geria, Tunisia e - con i dovuti distinguo - Libano), gli anni ‘70 ed ‘80 hanno dato l’avvio ad un modello
di sviluppo basato sulla promozione dell’esportazione e sulla liberalizzazione delle economie45 e
gli anni ‘90 hanno determinato il definitivo ingresso nel mercato globale: attraverso decisioni indi-
pendenti dalle precedenti politiche statali centraliste e dalle programmazioni nazionali, i governi dei
principali Paesi del Maghreb si inserivano pienamente all’interno delle logiche del mercato interna-
zionale. Ciò non è sempre avvenuto in modo semplice o indolore: in Algeria alla caduta del regime
socialista (1985) è seguita una forte crisi economica e, negli anni ‘90, una lunga guerra civile46; nel
caso della Tunisia (in questo similmente all’Egitto), all’apertura ai mercati ed alla liberalizzazione
economica non è coincisa una chiara affermazione dei principi di libera espressione ed associazio-
ne politica.
La storia libanese successiva all’Indipendenza è stata invece caratterizzata dall’alternanza di perio-
di di stabilità politica e di disordini, ai quali si è sovrapposta la prosperità economica, determinata
dall’importanza che Beirut riveste nel Medioriente quale centro finanziario e commerciale. Qui, il
sanguinoso conflitto civile, durato ben 15 anni (1975-1990), ha causato una evidente difficoltà nel
perseguire obiettivi territoriali, sociali ed economici che non fossero dettati dalle contingenze.
Ad ogni modo, molti tra i PSEM - tutti indipendenti dal 1962 (firma del Trattato tra Francia e Algeria)
- uscivano da lunghe esperienze di pianificazione economica post-coloniale, collegate a forme di
nazionalismo47 e di socialismo che, nella realtà dei fatti, esercitavano un forte controllo sulle popo-
lazioni. In Tunisia, ad esempio, “il modello di sviluppo operante negli anni ‘60 e qualificato dai suoi
promotori come socialista, corrisponde in realtà ad un capitalismo di Stato caratterizzato da forme
di controllo autoritario e da un inquadramento politico della popolazione passante per le strutture
del partito unico”48.
Dal punto di vista della gestione del territorio, questo periodo fu contraddistinto, entro un quadro
basato sulla pianificazione economica, da esperienze tunisine e algerine di pianificazione territo-
riale, che hanno avuto inizio negli anni ‘6049, mentre nell’area levantina era la Turchia ad avere
maggiore intraprendenza in tal senso (anche per via della pianificazione del massicio sfruttamento
idro-elettrico).
Ed è in questo periodo che, entro l’ampia zona di interesse dei PSEM, l’urbanistica appare come
“una forma di politica pubblica messa a servizio dello sviluppo e della costruzione dell’identità
nazionale”50, che si traduce negli investimenti, da parte degli Stati e delle amministrazioni locali, atti
alla creazione di enti e di forme istituzionali “consacrati alla messa in opera di tali politiche”51.
A livello urbano, è questo il momento nel quale vengono introdotte forme avanzate di pianificazio-
ne, perlopiù riferibili alle esperienze francesi: vedono così la luce i primi SDA (Schéma Directeur
d’Agglomérations) delle principali città maghrebine e prendono forma i PAU (Plans d’Aménagement
Urbain). Questi ultimi, largamente riferibili ai POS francesi e in qualche misura ai ‘nostri’ PRG,
si basarono su norme e regole molto simili a quelle riscontrabili nei Paesi europei (allineamenti,
densità, etc.), causando però una chiara difficoltà di adattamento in questi contesti; ciò generò un
non-rispetto delle regole e “questa inadeguatezza tra norme e bisogni della popolazione, basate
su uno strumento rigido e poco adeguabile alle necessità” ha fatto sì che esso paradossalmente
divenisse (“anche se poco applicato”) un “mezzo di negoziazione tra la popolazione e attori pub-
blici”, attraverso l’adozione informale di regole differenti e l’obbligata elaborazione di deroghe che
“di mano in mano, si sono istituite come nuove modalità di organizzazione dello spazio”52. Inoltre,
grande importanza viene accordata, da parte degli Stati centrali, allo smantellamento dei quartieri
‘illegali’, considerati immagine del sottosviluppo.
In questi Paesi è quindi l’azione dello Stato, in tutte le sue forme, ad influenzare direttamente le
trasformazioni territoriali ed urbane. Come segnala Eric Verdeil53, la via socialista post-coloniale di
Algeria, Egitto o Siria rappresenta una nazionalizzazione non meno forte rispetto all’autoritarismo
centralizzato degli anni Sessanta di Turchia, Tunisia o Marocco. Il Paese più liberale di tutti, il Liba-
47 Verdeil E (2006) Marché, lieux d’exercise et profils professionels de l’urbanisme in Concevoir et gérer les villes. Milieux d’urba
nistes du Sud de la Méditerranée pg 149 196 nstitut français du Proche Orient Laboratoire Théories des mutations urbaines
48 Cfr Chabbi M (2006 b) Op cit
49 Cfr Chabbi M (2006 a) Op cit
50 Cfr Verdeil E (2006) Op cit
51 E ad esempio il caso del COMEDOR (Comité d Etudes d Amenagement e d Organization de la Region d Alger) nato alla fine
degli anni Sessanta (1968) in Algeria e dell AFH (Agence Fonciére d Habitation) in Tunisia nata nel 1975
52 Cfr Chabbi M (2006 a) Op cit
53 Cfr Verdeil E (2006) Op cit
120 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
no, in questo periodo non si distingue dagli altri: è questo il fine di alcune riforme che affermano il
ruolo del governo nell’economia, negli anni che vanno dal 1958 al 1964.
In breve, in questo periodo lo Stato si incarica, nei PSEM, delle responsabilità nel campo della pia-
nificazione urbana ed economica: si creano a tal fine istituzioni ad hoc, e attraverso di esse lo Stato
emerge come la principale, se non l’unica, amministrazione committente.
Nel decennio successivo alcune prime forme di studio (studi di quartieri e di settori urbani) e di
progettazione alla scala urbana (non è ancora possibile parlare di veri e propri ‘progetti urbani’,
alla luce della concatenazione causa-effetto messa in luce nel capitolo 1) vengono implementate
con il parziale finanziamento dello Stato: è il caso, ad esempio, del progetto di riqualificazione del
quartiere di El Hafsia nelle Medina di Tunisi, promosso dalla ASM (Association de Sauvegarde de la
Médina), tuttora un mirabile esempio di integrazione progettuale tra conservazione storica e adatta-
mento ai bisogni della popolazione; oppure dei progetti di riqualificazione dei quartieri informali; nei
casi di progetti residenziali periferici, invece, i risultati sono assai meno favorevoli.
Ma è con gli anni ‘80 che, con la liberalizzazione economica data dalla svolta liberale, si hanno
i maggiori impatti sul territorio, a causa delle costruzioni edilizie ‘coup par coup’. In Algeria si dà
inizio ad una notevole produzione di insediamenti a bassa densità, estendendo la città “caotica sul
suo retroterra”54 e a Tunisi si sperimentano misure intraprese dal governo, dirette ad adeguare gli
strumenti di pianificazione urbanistica agli imperativi della decentralizzazione dei poteri, e promuo-
vendo l’iniziativa dei privati.
I problemi fondiari, le questioni finanziarie e sociali generate dal nuovo contesto, portarono alla
nascita di nuove pratiche urbane, operate da diversi attori (locali, pubblici e privati, investitori, pro-
prietari, etc.). Il caso del progetto Jardin Urbain El Menzah, a Tunisi, è sintomatico di una nuova
capacità di regolamentazione degli strumenti di pianificazione e delle politiche urbane, adattate agli
attori coinvolti nel progetto55.
In questi anni lo Stato ritrae notevolmente la propria influenza diretta sulle politiche territoriali, per
favorire l’ingresso di capitali privati, spesso stranieri, tramite il meccanismo degli IDE (Investimenti
Diretti dall’Estero) o per accedere ai livelli cooperativi definiti da organizzazioni internazionali (su
tutte, la Banca Mondiale)56. Lo Stato trasforma così i propri interessi, defilandosi dall’attuazione di-
retta ma non dalla gestione delle trasformazioni territoriali, influenzando il debole mercato interno.
Gli anni ‘90 definiscono il completo sviluppo del modello liberale e, con esso, l’ingresso in scena dei
grandi progetti di trasformazione urbana ‘per parti’, concepiti in termini oppositivi (o, come vedremo,
di ‘opportunità’) rispetto agli SDA ed ai PAU, che comunque non escono di scena ma, anzi, vengono
a distribuirsi sulla quasi totalità delle città maghrebine57.
I progetti urbani nascono, nell’area dei PSEM, con l’intento di rinnovare i quartieri centrali, di ricon-
vertire i waterfront e di costituire nuove espansioni periferiche e, per questo, sono “concepiti dai
promotori - pubblici o privati - come una modalità di partecipazione alla mondializzazione dell’econo-
mia, per attirare investimenti, all’interno di un contesto di concorrenza tra le città mediterranee”58.
Attraverso una decisa apertura ai privati, questi progetti partecipano ad una dinamica internazio-
nale di deregolazione urbanistica e di privatizzazione territoriale e sono caratterizzati, nei PSEM,
da una gestione che si potrebbe definire ‘clientelare’ del rapporto pubblico/privato, non celata dalle
istituzioni.
Due esempi, ben documentati nelle pagine seguenti, mostrano rispettivamente tali fenomeni. Anzi-
tutto il primo progetto urbano dei PSEM che, per dimensioni e soggetti coinvolti, può definirsi tale:
la ricostruzione del Central Businness District di Beirut, operata dalla società privata Solidere nel
1991, caso nel quale il centro storico della città è stato completamente privatizzato, attraverso evi-
denti legami tra lo Stato e gli investitori.
Secondariamente si segnala una normativa tunisina59 del 1999 che, al fine di attrarre capitali stra-
nieri - specificatamente developers urbani - permette l’acquisizione di una qualsivoglia porzione di
territorio per la cifra simbolica di 1 dinaro, di fatto escludendo ogni forma concorrenziale di parteci-
pazione ed introducendo un meccanismo clientelare di enormi proporzioni.
Dopo l’11 settembre 2001, i progetti urbani nei PSEM hanno subito un forte incremento, dovuto al
rialzo del prezzo del petrolio ed allo spostamento di ingenti capitali dei Paesi produttori, dagli USA
alle coste Sud del Mediterraneo60. Grandi compagnie dubaitiane o comunque provenienti dagli
EAU (Emirati Arabi Uniti) hanno così dato inizio ad una serie di progetti che si sviluppano lungo
tutto l’arco Sud-Est del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia, non tralasciando nessuna città
capitale.
Lo Stato, in questi progetti, è tutt’altro che assente: memore del proprio ruolo di ‘guida’ delle politi-
che di trasformazione territoriale, si costituisce ora quale committente di operazioni internazionali
speculative, con evidenti implicazioni a livello procedurale.
Lo studio dei casi di Beirut, Algeri e Tunisi, nelle seguenti pagine, permetterà di comprendere me-
glio tali fenomeni.
44 Kassir S (2003) Histoire de Beyrouth pg 65 Ed Fayard Parigi L autore fa riferimento alle dominazioni subite e alle relazioni
commerciali stabilite dalla città che così è divenuta luogo di ‘costruzione e ‘trasformazione del diritto romano attraverso la sede
della scuola di diritto che ha contribuito a dare vita al Codice Giustinianeo del V secolo base sulla quale ha preso vita il corpo
giuridico dell Europa cristiana;
45 Kassir S (2003) Op cit pg 72;
46 brahim Pascià (Kavala 1789 l Cairo 10 novembre 1848) è stato un generale egiziano nel X X secolo brāh m fu Khedivè
d Egitto e supremo comandante militare nelle campagne d Arabia di Siria e d Anatolia Figlio adottivo di Mehmet Ali il viceré d Egit
to brahim governò il Paese dal luglio al 10 novembre 1848 Con l aiuto del colonnello francese Joseph Anthelme Sève introdusse
la disciplina e le metodologie europee nell esercito egiziano attraverso le quali minò alle fondamenta l egemonia dell mpero Otto
mano (al quale formalmente rispondeva) per la costruzione di una grande nazione araba indipendente Si veda: Saint Prot C (1996)
Le nationalisme arabe: Alternative à l’intégrisme p 11 Ellipses ed Parigi
47 Kassir S Op Cit pg 128;
48 Soprattutto lavori di bonifica di canalizzazione delle acque e di installazione dei cimiteri al di fuori delle mura cittadina oltre all in
troduzione della quarantena per i commercianti ed i visitatori noltre l Ottomanizzazione incluse una serie di progetti Tra questi la
riprogettazione della Piazza Burj con il nuovo Serraglio (1883 4) e l erezione della torre dell orologio (1898) erano rappresentative
dello spirito del tempo e nel 1915 un progetto di ammodernamento della zona dei souk
49 May D (2001) Beyrouth 1825 1975, Un siècle et demi d’urbanisme Ed Ordine degli ngegneri e degli Architetti Beirut La
creazione della Wilaya (governatorato) di Beirut nel 1888 diede alla città un nuovo status amministrativo relativamente autonomo
da stanbul che nel corso dell ultimo decennio del X X secolo ha portato ad un rinnovato benessere con conseguente crescita de
mografica e dei commerci a scapito di quelli di Saida e Tripoli l nuovo statuto ha avuto luogo nel quadro più ampio della moderniz
zazione delle città ispirata ai Tanzimat ottomani (riforme) e più tardi alla diffusione delle idee urbanistiche del mondo coloniale
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 123
Dopo la prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero Ottomano, la Francia scelse Beirut
quale capitale della Repubblica Libanese51. La città, in tal modo, ha acquisito il controllo su territori
strategici, tra la Siria, la Palestina e la Giordania52, con un importante accesso al mare.
La presenza dei francesi, dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, diede avvio a numerose ope-
re: la demolizione e la ricostruzione di parte del vecchio Souk; la progettazione su una griglia orto-
gonale del quartiere portuale; la Place de l’Etoile, progettata nel 1925-26 e costruita nel 1930, che
sovrappose i suoi assi convergenti sul vecchio tessuto urbano ottomano; sedi istituzionali come il
Comune o gli edifici del Parlamento, progettati secondo una ‘nuova architettura levantina’53.
L’introduzione della pianificazione moderna, a partire dagli anni Trenta, portò la città coloniale fran-
cese a divenire “un campo di sperimentazione per i progettisti, a richiesta delle autorità coloniali”54:
un primo tentativo avvenne nel 1930-32, ad opera dei fratelli Danger la cui impresa, la Société des
plans régulateurs de villes, aveva operato in altre zone del Medio Oriente; un secondo, nel 1941-
43, fu commissionato a Michel Ecochard, giovane architetto francese, con il compito di istituire un
masterplan per la città in espansione e per la modernizzazione del centro città. Entrambi i tentativi
fallirono di fronte alla speculazione immobiliare operata da società private francesi, che sovrastava
la debolezza finanziaria dei soggetti pubblici.
Dopo la seconda guerra mondiale e l’indipendenza dal mandato francese avvenuta nel 1943, Bei-
rut è riuscita a ‘sfruttare’ una serie di trasformazioni politiche ed economiche che hanno contribuito
a promuovere il suo ruolo primario a livello regionale: la creazione dello Stato di Israele e la guerra
arabo-israeliana del 1948 ha portato la città di Haifa alla chiusura degli scambi con i paesi arabi; di
conseguenza il porto di Beirut è divenuto principale scalo marittimo lungo la costa del Mediterraneo
orientale, avvantaggiandosi degli scambi economici con il suo entroterra, esteso dall’Iraq all’Arabia
Saudita.
Durante gli anni Cinquanta, Beirut ha beneficiato dell’ingresso di ricchi esponenti dei Paesi dove
erano in corso rivoluzioni nazionaliste o socialiste e di coloro che avevano fatto fortuna con i redditi
del petrolio del Golfo Persico, i quali hanno arricchito le casse del sistema bancario libanese e han-
no investito nel settore immobiliare. Inoltre, le imprese occidentali vi istituirono i loro uffici regionali,
trovando la sicurezza di un governo sostanzialmente filo-occidentale, una popolazione qualificata,
un’attraente atmosfera balneare (Beirut negli anni ‘60 divenne importante meta turistica internazio-
nale) e un aeroporto dal quale tutte le destinazioni del Medio Oriente erano raggiungibili55.
50 Mutasarrifiyya è anche il nome con cui viene identificata l entità semi autonoma esistente in periodo ottomano (Governatorato
del Monte Libano) Nel 1861 il distretto autonomo del “Monte Libano fu istituito all interno della cornice statale ottomana fruendo
di una garanzia internazionale Esso fu amministrato da un soggetto cristiano ottomano non libanese (noto localmente come “Mu
tasarrif ) cristiani costituirono la maggioranza della popolazione del Monte Libano con un significativo numero di Drusi al suo
interno Kassir S Op Cit
51 l 1 settembre 1926 la Francia istituì la Repubblica Libanese da ora in poi separata dalla Siria anche se amministrata sotto lo
stesso mandato
52 Nasr J Verdeil E (2008) Op cit
53 bidem
54 bidem
55 bidem
124 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il ruolo regionale di Beirut era divenuto quello di un centro economico e di servizi per l’intera regio-
ne mediorientale, per il quale alcuni la definirono il Libano la “Svizzera dell’Oriente”56.
Nel corso degli anni ‘50, i piani urbanistici sono però rimasti ‘contenuti’, in linea con un volontario
laissez-faire e solo dopo i disordini civili del 1958 il nuovo presidente Fouad Chehab fu sostenitore
di uno ‘Stato forte’. Egli promulgò una legge al fine di introdurre nuovi strumenti di pianificazione,
attraverso la creazione di una direzione per la pianificazione urbana, nel 1959, e di due organismi
pubblici indipendenti per l’attuazione dei progetti, in 1961 e 1963, prove significative della determi-
nazione del governo.
Ancora una volta, è stato invitato Ecochard per estendere il nuovo piano57: nel 1961, egli venne
incaricato per la redazione di un masterplan per le ‘città governative’ (un grande complesso am-
ministrativo) al di fuori del centro della città ma, nel 1963, egli presentò un masterplan per l’intera
Beirut e la sua periferia, integrando l’idea di decentramento urbano con il rinnovamento del centro
città. Questo piano, ambizioso per via dei suoi fini politici, venne comunque portato a compimento
solo in parte.
A causa del suo status di capitale di uno Stato nuovo e instabile, la pianificazione di Beirut è
sempre stata legata alla ‘costruzione della nazione’58, mentre i tentativi di modernizzazione della
capitale, e in particolare del centro città, cercavano di promuovere una economia regionale basata
sul commercio e sul mercato immobiliare.
Successivamente, la città di Beirut è stata teatro, dal 1975 fino al 1990, di una sanguinosa guerra
civile ‘essenzialmente urbana’59, entro un complesso quadro continuamente in trasformazione,
composto da un’intricata dimensione internazionale, regionale e locale, ideologica e religiosa. Inol-
tre, per via della lunga durata del conflitto, diversi attori (milizie, grandi e piccoli proprietari trasfor-
mati in finanziatori, stati esteri, etc.) hanno fatto la loro comparsa su tale scenario, con il risultato
che lo Stato e la sua amministrazione sono stati fortemente indeboliti: lo Stato non erano nemmeno
in grado di controllare l’urbanizzazione in termini, ad esempio, di licenze edilizie. Nello stato nel
quale versava l’amministrazione, il Consiglio per lo Sviluppo e la Ricostruzione (CDR), creato nel
1977 per sostituire il Ministero della Pianificazione, ha visto a poco a poco, il concentrarsi dei poteri
in seno a ‘uomini d’affari’, a scapito dell’amministrazione ‘tradizionale’.
In aggiunta a tutto ciò, la natura ciclica di questa guerra (con due brevi periodi di tregua, nel 1977
e nel 1982-83) ha favorito l’intrecciarsi di distruzioni e ricostruzioni, facendo del centro città uno dei
principali luoghi di scontro (fisico e poi economico).
La città, durante i 15 anni di guerra, ha visto la distruzione di circa il 10% degli edifici della Greater
Beirut, ma con una forte concentrazione entro il centro città, dove quasi l’80% degli edifici ha subito
devastazioni60.
Inoltre, caratteristica delle guerre civili ed urbane, la popolazione è stata indotta a movimenti di
massa, modificando radicalmente la propria distribuzione geografica, con una conseguente espan-
sione rapida e massiccia della periferia61 composta in prevalenza dalle costruzioni ‘irregolari’ di
Beirut Sud (campi profughi palestinesi e quartieri ‘irregolari’ occupati perlopiù da sciiti). Ma il risul-
tato più evidente della guerra, palese verso il 1987, è la formazione di due settori, suddivisi da una
linea di demarcazione (la ‘linea verde’) passante da Nord a Sud per tutta la fabbrica urbana, con
una omogenea composizione religiosa su entrambi i lati della linea di demarcazione: l’Est quasi
totalmente cristiano, l’Ovest in gran parte musulmano.
Inoltre, il ruolo di Beirut quale centro economico regionale è stato colpito profondamente dalla guer-
ra: parzialmente compensata attraverso i redditi di ritorno dalla diaspora libanese, l’economia della
città subì il ‘trasloco’ degli uffici delle imprese occidentali, delle banche e degli altri istituti finanziari,
a favore di città quali Amman, Dubai, Manama, Doha, Il Cairo62; in più, il settore turistico fu colpito
pesantemente e la città perse il ‘fascino’ di capitale economica dell’Oriente.
Alla fine della guerra, il centro città divenne il luogo simbolico della ricostruzione, non senza pre-
cedenti: nel primo breve periodo di pace (1977) il Presidente Elias Sarkis commissionò ad una
Società francese di consulenza pubblica, l’Atelier Parisien d’Urbanisme (APUR) il progetto per la
ricostruzione del centro, spazio pubblico più importante della città, dove le diverse comunità del
paese hanno storicamente interagito (e combattuto). La prima proposta era quello di ripristinare
l’immagine di una città ‘mediterranea’, con il restauro del souk, l’apertura della città al porto, e la
progettazione di una passeggiata lungo il mare, con un limite alle altezze di 30 metri e la ricerca
di uno ‘stile locale’. Ma il progetto si spinse verso la modernizzazione dell’intera città: prevedeva
nuovi edifici pubblici che simboleggiavano l’unità dello Stato e nuove arterie attraverso il tessuto
urbanistico antico, così come la realizzazione di un moderno centro commerciale su un vecchio sito
industriale. Questo progetto, rispettoso delle pre-eistenze, organico e al contempo puntuale, venne
accantonato per via della prosecuzione degli scontri, che provocarono un nuovo peggioramento
proprio nel centro città.
Le riflessioni sulla ricostruzione sono riprese solo nel 1982, a seguito dell’invasione israeliana, quan-
do divenne Presidente Bashir Gemayel, appoggiato dai falangisti maroniti. Venne lanciato un vasto
programma di pianificazione urbana generale (masterplan per l’area metropolitana di Beirut)63 il cui
consulente è stato il francese Institut d’Aménagement et d’Urbanisme de la Région Ile-de-France
(IAURIF). Il centro della città, una volta ancora, era visto come un simbolo della continuità della Na-
zione. La bonifica dei siti venne affidata alla società privata OGER, appartenente all’uomo d’affari
libanese Rafiq Hariri, che ha offerto il suo aiuto per la bonifica del sito dove, in circostanze poco
chiare, si diede anche luogo alla demolizione di ampie parti dei souk antichi. La ricompensa per la
OGER non si fece attendere: tra il 1983 e il 1986, la società di Hariri propose una serie di modifiche
ai piani ufficiali e varie opzioni di ricostruzione. Come risultato, il piano è stato radicalizzato: forme
svettanti e vetrate ora addensavano funzioni commerciali, turistiche e terziarie, a scapito della con-
servazione del patrimonio e dei molteplici proprietari e vecchi inquilini.
Nella periferia Sud, ormai informe, il piano affrontava la questione degli insediamenti illegali con-
trollati dalle milizie sciite di Amal e di Hezbollah, con un progetto che combinava alloggi a basso co-
sto e miglioramento delle infrastrutture64, ma la brutale rimozione delle occupazioni ritenute illegali
ha portato, nel 1984, ad una rivolta che ha poi sprofondato Beirut in un’ulteriore fase della guerra.
Il fallimento del Piano mostra come la pianificazione in Libano non si sia affermata come una
neutrale riaffermazione dello Stato65, perché influenzata dal forte ingresso di interessi economici,
politici e religiosi locali, nazionali e sovranazionali.
L’assenza di un piano generale o di una visione strategica, al fine di trattare in modo esauriente le
questioni relative al recupero delle zone devastate dalla guerra, ha causato una frammentazione
64 Verdeil E (2002) Une ville et ses urbanistes: Beyrouth en reconstruction Dottorato in Geografia Università Parigi
65 Nasr J Verdeil E Op cit
66 Nasr J Verdeil E Op cit
67 Kassir S Op cit pg 444
68 Huybrechts E Verdeil E (2000) Beyrouth entre reconstruction et metropolisation pubblicato su Villes en paralléle Gouverner
les métropoles n°32 33/2001 pgg 83 103 Nanterre: Editions de l université Parigi X Nanterre
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 127
in ‘settori’ della ricostruzione: da una parte le grandi infrastrutture e dall’altra i grandi progetti di
riqualificazione. Per quanto riguarda le prime, alcuni grandi progetti sono stati portati a termine
(l’autostrada da Beirut verso Sud, l’aeroporto ed il porto). Tuttavia, un pezzo fondamentale della
programmazione come il Piano dei Trasporti, elaborato nel 1994 dall’Agenzia francese IAURIF, è
rimasto in gran parte solo un documento cartaceo.
Per quanto riguarda i grandi progetti di riqualificazione, tre sono da ricordare: il progetto Solidere
per il quartiere centrale di Beirut, il progetto Elyssar per il recupero graduale dei sobborghi Sud,
tra i confini della città e l’aeroporto, ed il progetto per la riqualificazione della costa Nord-orientale,
Linord. Il più importante dei tre è Solidere e sarà approfondito in seguito.
Gli altri due progetti hanno vissuto storie complesse, con pochi ed alterni risultati. Il progetto Elys-
sar, quello che dei tre è più vicino a un progetto pubblico di riqualificazione, vive continue situazioni
di stallo, dovute alla lotta politica, alla mancanza di fondi, alle complicazioni per l’acquisizione di
terre e per il risarcimento dei residenti (legali e illegali), anche se gode dell’appoggio di gruppi di po-
tere locali (in particolare di Hezbollah). Invece la riqualificazione delle zone industriali Nord-orientali
non ha avuto l’eco che attendeva, e le trasformazioni sono avanzate casualmente. E’ da rimarcare
la recente presenza di un ulteriore progetto di ricostruzione, detto Al-Waad (la promessa), con il
quale i promotori diretti (Hezbollah) intendono ricostruire laddove hanno colpito le bombe israelia-
ne del 2006.
I primi tre progetti, diversi per gli scopi e per gli attori che coinvolgono, esemplificano, attraverso
i loro caratteri, le conseguenze della frammentarietà della ricostruzione: tutti di enorme portata e
ambiziosi, hanno come caratteristica principale di essere concepiti come progetti immobiliari con-
correnti, piuttosto che strumenti integrati di trasformazione sociale o motori economici; tutti portato-
ri di un alto valore simbolico (spesso antitetico), sono tutti progetti a lungo termine con storie che si
estendono lontano nel passato. E’ invece interessante considerare i risultati dell’atteggiamento di
Hezbollah nel progetto Waad: il rifiuto del ‘partito di Dio’ di collaborare con lo Stato alla ricostruzio-
ne, ha portato ad un intervento diretto di Hezbollah che, in circa 2 anni e con l’aiuto di Siria e Iran,
sta portando a termine la ricostruzione di circa 200 edifici (consegna prevista per dicembre 2009),
tra cui scuole, negozi, uffici, un ospedale (donazione del governo iraniano), oltre alle residenze69.
La creazione della società Solidere, come investitore unico per la ricostruzione del centro di Beirut,
ha avuto - sin dai primi anni ‘90 - molta eco, per via delle polemiche legate al modello decisionale
adottato, e poi fino agli anni recenti, quando la sua parziale realizzazione è diventato una sorta di
modello regionale per il redevelopment70.
Solidere (Sociéte libanais pour le développement et la reconstruction del BCD - Beirut Central
District) è una società per azioni nata il 5 maggio 1994, quotata in borsa, alla quale è stato affi-
dato - dal Governo libanese - il pieno controllo su circa 1,5 chilometri quadrati del BCD, con una
concessione recentemente estesa a 75 anni. L’area su cui insiste il ‘progetto Solidere’ comprende
69 Clerc V (2008) Negotiations of space, perceptions and strategies in the urban projects of Beirut’s Southern Suburbs reconstruc
tion in Negociation of Space: The Politics and Planning of Destruction and Reconstruction in Lebanon St Anthony College Oxford
University Middle East Center Regno Unito
70 Come si è già visto in grandi progetti di riqualificazione ad Amman (Abdali) Damasco (Souk Saruja) Nasr J Verdeil E Op
cit
128 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
il centro storico di Beirut e le zone immediatamente adiacenti, compresa la discarica sul lungomare
(deposito dei detriti di guerra) che ora forma la nuova linea di costa.
La società è stata creata trasformando obbligatoriamente i diritti fondiari dei singoli proprietari in
azioni, costituendo i due terzi del capitale azionario della società. L’altro terzo è stato aperto agli in-
vestitori, locali e stranieri (principalmente arabi) - tra i quali il maggiore era lo stesso Rafiq Hariri71.
La forma di controllo operata da Solidere (dalla gestione delle proprietà fino alla scelta della pavi-
mentazione stradale), la scala del progetto (ben al di là dell’area demolita dalla guerra) e il lungo
programma delle operazioni, sono aspetti innovativi del progetto urbano di ricostruzione. Un altro
aspetto innovativo è stato l’alto grado di expertise della società stessa, dimostrato attraverso l’ap-
proccio alla pianificazione, alla progettazione, al marketing ed al management, aspetti fortemente
sottolineati dalla società per offrire l’immagine di un modello di impresa integrata “di alto livello”,
globale, in un Libano che è ancora una volta si dimostrasse all’avanguardia in Medio Oriente.
Il progetto, che si è concretizzato sostanzialmente con il governo Hariri - dal 1992 in poi - ha subìto
sin dall’inizio dure critiche rispetto ai meccanismi di esproprio e nei confronti delle vaste operazioni
di demolizione del centro storico. In risposta alle critiche dei meccanismi di esproprio è stato isti-
tuito un elenco degli edifici che avrebbero potuto essere recuperati dai rispettivi proprietari (quindi
esclusi dalla forma di ‘azionariato diffuso’ che è stato imposto a tutti gli altri) e sono stati esclusi
dal progetto tutti i beni detenuti da comunità religiose. Il cambiamento più incisivo è stata però
l’accettazione di alcuni settori del tessuto storico quali zone da preservare e da recuperare. Non
tutti i proprietari hanno aderito ai termini del progetto (la defezione più nota è quella della proprietà
dell’Hotel St.Georges, storico albergo degli anni ‘30 progettato da August Perret), mentre altri han-
no collaborato alla definizione pro-quota del piano.
Entro questa nuova dimensione, lo slogan che ha segnato la presentazione del progetto è stato ‘an-
cient city for the future’, puntando sull’integrazione tra storia e innovazione, anche se la sensazione
generale è che questa ‘nuova rotta’ sia stata un semplice tentativo di pacificare gli spiriti più critici,
per poi utilizzare gli edifici recuperati quali zona commerciale72.
Il successo raggiunto dalle prime opere di restauro (soprattutto ai piani terra, in quanto i livelli su-
periori sono diventati in gran parte una ‘città fantasma’73) - ha di fatto trasformato il significato del
programma di Solidere, in quanto le grandi aree sbancate, ‘vuoti’ in attesa delle nuove costruzioni,
divennero i parcheggi per le persone che affollavano le parti del centro restaurate.
Il lento avvio della attività principali della società, cioè le nuove costruzioni, parallelamente alla crisi
economica che ha investito la regione alla metà degli anni ‘90, ha decretato una perdita di valore
delle azioni della società. Le spiegazioni sono legate anzitutto al divario tra l’offerta di Solidere
(edifici di alta qualità - un ‘world-class project’74- con alti prezzi al metro quadro) e la richiesta lo-
71 Lagrange Claire Davie Michael F Tabet Jade (1995) Ricostruire Beirut in Casabella n°627/ott 1995;
72 Nasr J Verdeil E Op cit
73 bidem
74 bidem
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 129
cale, che ha causato l’esclusione della maggior parte degli abitanti dalla possibilità di locazione,
di lavoro e di acquisto nella zona di Solidere (divenendo per i più uno ‘spazio per il tempo libero’).
Inoltre, i problemi emersi tra Solidere e la Municipalità, legati all’atteggiamento tenuto dalla società
in quanto ente al di fuori dei controlli dello Stato, hanno rallentato la costruzione di molte parti del
progetto.
Ma, forse, i problemi più grossi da affrontare sono stati due: la ‘lenta e strisciante’ crisi economica
che ha colpito il Paese durante le fasi decisive della messa in opera del piano e, più recentemente,
gli attacchi aerei israeliani che hanno fermato tutte le attività della città.
Alla luce dei problemi occorsi e delle difficoltà ancora presenti in Libano, è da segnalare un fat-
tore nuovo che ha contraddistinto Solidere: il fatto che, entro un Paese in gran parte islamico, la
dimensione confessionale sia stata praticamente espulsa dal dibattito nato intorno al progetto,
concentrando gli sforzi sullo strumento operativo da adottare e sull’operazione finanziaria alla base
del prodotto.
Una valutazione su tale atteggiamento forse non è ancora ponderabile ma, alla luce dell’esclusione
violenta di Hariri75 e dei recenti scontri con Israele, si direbbe che i problemi dell’area continuino
comunque ad avere relazione anche con le dimensioni confessionali.
75 l 14 febbraio 2005 Rafiq al Hariri è stato ucciso con altre 22 persone mentre la sua auto passava davanti all Hotel
St George
130 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 34.
Beirut.
Veduta del nuovo fron-
te mare nel 2007, con
in primo piano il CBD
di Solidere e la nuova
linea di costa.
(Fonte: www.oversea-
spropertymall.com)
Planimetria 8.
La ‘linea verde’ che ha
diviso in due parti la cit-
tà dal 1975 al 1990. Le
aree campite in giallo
segnalano i luoghi degli
scontri più duri. (Fonte:
Al Mashriq - The Levant
Photographs and
model, 1995-97
Michael Habib
Simen Haagenrud
Børre Ludvigsen
Ole Møystad
Richard Saad)
132 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
2 modello decisionale
Il modello decisionale tradizionale è da riferirsi, in Libano, alle aspettative generate attorno alla
affermazione dell’identità nazionale attraverso la pianificazione urbana e, negli ultimi 30 anni, ai piani
Modello di ricostruzione per Beirut. E’ quindi da considerarsi, come modello gestionale tradizionale e locale,
quello che ha visto la presenza di governi che, associati a periodi di pace (pochi), tentassero la via
decisionale del ri-assetto fisico della capitale. Così è il potere politico che, nel 1977-78 e nel 1986, ha dato vita a
tradizionale piani che, definiti da ateliers francesi, hanno cercato di istituire il recupero del centro ed una struttura
urbana segnata dalla presenza di infrastrutture di collegamento. Sulle complesse modalità gestionali
ibanesi si sono fermati tali piani, incontrando difficoltà nelle realizzazioni, con attuazioni saltuarie.
Solidere, sin dalla sua fondazione nel 1994, ha goduto della completa gestione delle aree entro
l perimetro del progetto urbano. Alla luce del coinvolgimento dell’imprenditore Rafih Hariri
nell’operazione, è possibile considerare il modello decisionale da lui introdotto: i legami della società
Oger, di sua proprietà, con la ricostruzione del BCD si sono ‘evoluti’ in una forma di controllo sulla
Modello nuova società Solidere, che ha potuto usufruire di una legge ‘ad hoc’ (legge n.117/91), che associava
decisionale obbligatoriamente gli aventi diritto (2/3 azioni) e gli investitori (1/3 azioni). Le proteste sollevate fecero
adottato cambiare in parte indirizzo, garantendo la possibilità, per i proprietari degli immobili conservatisi, di
recuperarli nelle forme originarie, e revocando alle proprietà religiose l’obbligo di cessione. (Lagrange,
1995; Nasr, Verdeil, 2008). Nella sostanza il modello decisionale è verticistico, con una società al
posto dello Stato: la moltitudine di piccoli proprietari, ha fatto sì che il controllo fosse stabilmente nelle
mani dei principali investitori, che tutt’ora ne decidono le sorti.
Il progetto Solidere, sin dalla sua iniziale ideazione, opera una netta distinzione tra il centro recuperato
ed il resto della città, tramite una cintura veicolare, servita da infrastrutture automobilistiche provenienti
dalla periferia. Entro tale perimetro si è data forma ad un quartiere affaristico, affiancato da un grande
‘centro commerciale’ al piano terra delle strutture recuperate. E’ difficile considerare che questo
Modificazione degli progetto possa aver operato una vera ‘revisione’ della forma urbana, in quanto ‘luogo simbolico’ del
assetti formali e potere (Lagrange, 1995) e ‘gabbia dorata’ (Capezzuto, 2003) e non più centro riconosciuto quale
relazionali egame dall’attuale popolazione beirutina (Assem, 2003). Se una revisione c’è stata, quella è da
ndividuarsi nell’auto-celebrazione del perimetro di progetto, a scapito delle aree Sud della città, che
tutt’ora permangono in condizioni di emarginazione (Clerc, 2008).
L’unico elemento che introduce una revisione della forma urbana è il recupero della discarica (resti
della guerra) che, attraverso una complessa bonifica, forma la nuova corniche a mare.
Non si può definire una ‘vera’ relazione tra pubblico e privato, piuttosto una sovrapposizione - nella
figura del Primo Ministro Hariri, principale investitore nella Solidere - tra i due soggetti. Si può forse
Nuova relazione tra dire che il privato ‘sia diventato’ lo Stato, entro il perimetro del BCD. E’ da evidenziare che questo pas-
saggio è avvenuto in completa trasparenza, come sottolineato dalle relazioni periodiche di Solidere.
settore pubblico/ Forse più interessante la relazione tra la società Solidere ed i singoli proprietari dei diritti. Questi ultimi,
privato dapprima ‘obbligati’ alla cessione dell’immobile ed alla permuta del 50% del valore dell’immobile in
azioni della Solidere (Lagrange, 1995), sono stati successivamente indennizzati con il diritto a ripristi-
nare ‘in proprio’ l’immobile, secondo i dettami di Solidere.
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 133
Grafico 3.
I differenti modelli
decisionali: tradizionale
e adottato (Elab. G.
Ciarallo su dati tratti da
Verdeil, 2001, Op. cit.)
Planimetria 9.
Il Plan Danger, 1930-32,
primo piano ad apllicare
una zonizzazione alla
città. (Fonte: Gavin A.
1996, Op. cit.)
Planimetria 10.
Il piano dell’agenzia
francese APUR del
1977 che, prima della
guerra civile, cercò di
strutturare il rapporto
tra il CBD, il mare ed il
resto della città. (Fonte:
Gavin A. 1996, Op. cit.)
134 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
La gestione del progetto urbano si basa sull’evoluzione del masterplan iniziale, anzitutto attraverso
ncontri pubblici che hanno evidenziato i limiti maggiori del progetto, includendo poi SPA (Special
Policy Areas), suddivisioni parcellarie, in cui definire la progettazione delle infrastrutture e linee-guida
per il recupero e le nuove edificazioni. Il masterplan ha cercato di fornire un disegno tridimensionale
Modalità di ma ‘flessibile’ delle opere da costruire, in modo da creare le condizioni favorevoli alla comprensione
gestione adottate del rapporto tra ‘memoria della città’ e nuovo sviluppo.
Sotto il punto di vista della strategia adottata per le destinazioni urbane, è l’aspetto cronologico che
ha determinato l’azione progettuale e costruttiva: dapprima le demolizioni, poi le necessarie infrastrut-
ture, seguite dal recupero degli edifici storici, per arrivare infine alla costruzione del centro direzionale
(nel 2009 non ancora terminato).
Descrizione del Il ricercato rapporto tra il contesto storico del centro città e il progetto, esemplificato dallo slogan
rapporto intessuto “ancient city of the future” (Gavin, 1996), ha avuto inizio dopo le iniziale critiche del ‘91. Infatti il primo
masterplan prevedeva il recupero di soli 120 edifici entro tutto il BCD, mentre nel ‘94 il numero salì
con il contesto a 300 circa (Lagrange, 1995). Recupero che, con metodologia filologica e puntuale, ha avuto ottimi
fisico risultati esecutivi sui singoli edifici.
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 135
Planimetria 11.
Il primo masterplan
per la ricostruzione
del CBD, 1991,
Dar-Handasah-Shair
and Partners. (Fonte:
Gavin A. 1996, Op.
cit.)
Planimetria 12.
Masterplan, variante
del 1993. Controllo
morfologico del piano
(Fonte: Gavin A.
1996, Op. cit.)
136 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il problema più importante è comunque il recupero della ‘memoria’ del luogo, che sarebbe passato per
l riconoscimento del valore del tessuto storico (Kassir, 2003), cosa che non è avvenuta. Infatti, pur
Descrizione del alleviando il ricorso a strade urbane di scorrimento, cercando di adattarne la ‘taglia’ al reticolo stradale
rapporto intessuto antecedente e di individuare visuali urbane consone alla stratificazione del luogo (Gavin, 1996), l’uso
con il contesto di metodi urbanistici riconducibili allo ‘sventramento’ del tessuto esistente (è stato demolito ben più
fisico (continua) di ciò che era stato distrutto dalla guerra, cioè circa l’80% del vecchio ambiente costruito di Beirut,
Assem, 2003) ha irrimediabilmente corrotto l’equilibrio tra spazio ed esperienza dello stesso (Kassir,
2003).
E’ forse uno dei punti più controversi dell’intero progetto in quanto, sin dal 1991, l’accusa che veniva
operata nei confronti di Solidere era legata al mancato rispetto degli spazi riconosciuti dall’immagina-
rio locale. Lo sforzo operato dalla società per rispondere a queste critiche si è tradotto nel recupero
puntuale di alcune parti del centro storico, ma ciò ha definito un nuovo ruolo di alto profilo commer-
ciale per queste aree che, congiuntamente al fenomeno di gentrification generato dal rialzo dei prezzi
delle abitazioni, non ha raggiunto lo scopo. L’esempio che spesso viene riportato è piazza dei Martiri
(Kassir, 2003), che ha perso tutta la cortina edilizia che la cingeva, in attesa di una nuova identità.
Relazione tra Inoltre, “ilil piano ha comportato lo spostamento di tutta la popolazione residente, senza diritto di ritor
ritor-
no, e ha così svuotato il centro dell’elemento umano che un tempo unificava la città. Oggi Beirut è
progetto urbano e più divisa che mai, e lo rimarrà probabilmente finché il carattere dei futuri residenti resterà indefinito.
contesto sociale Questo, è ovvio, nuoce gravemente agli sforzi volti alla riconciliazione nazionale. Con le sue raffinate
infrastrutture, il nuovo centro urbano è fatto evidentemente per un pubblico di privilegiati, una discri-
minazione che sta creando notevoli tensioni sociali con le aree circostanti
circostanti” scrive Assem nel 2003.
Visto il carattere speciale della ricostruzione operata (dopo anni di guerra civile) l’obiettivo comune
‘principe’ del progetto è ristabilire il ruolo di nodo finanziario internazionale della città. Questo obiettivo
ha caratterizzato anche la ricostruzione di parti antiche del centro, operando una certa ‘dissoluzione’
dei caratteri popolari che lo contraddistinguevano (Kassir, 2003), a favore di una progettazione per
‘elementi qualificati’.
9 fasi di progetto
1991 - primo masterplan, seguito da numerose critiche e dibattito;
1992 - demolizioni intensive, soprattutto nella piazza dei Martiri (seguono quelle del 1983);
1993 - variante del masterplan, con approvazione di alcune osservazioni;
1994 - approvazione PR del BCD sulla base del masterplan;
1995 - hanno inizio i lavori di restauro di alcuni edifici del BCD. Demolizione del souk;
Evoluzione 1998 - grande successo del BCD restaurato e demolizione definitiva del souk;
temporale degli 1999 - ritardi nella ricostruzione del souk;
interventi 2001 - un masterplan di studi americani (SOM, Sasaki) definisce il nuovo waterfront. Su questa base
vengono costruite le prime torri ad uffici sulle aree conquistate al mare;
2005 - l’attentato a Rafih Hariri e le conseguenze indotte impongono una pausa ai lavori;
2006 - l’attacco israeliano non permette il procedere dei lavori;
2007 - riprendono i lavori di costruzione (e di ricostruzione nelle zone Sud della città);
2009 - consegna dei nuovi souk.
Una delle qualità attribuibili al progetto urbano è la possibilità di ricevere apporti nel tempo. Strategia
relazionale ricercata per superare gli iniziali problemi, ha dato i suoi migliori frutti nel rapporto
tra Solidere e gli investitori acquirenti. Pur mancando un cronoprogramma dettagliato (per via
dell’imprevedibilità del mercato, Gavin, 1996) il progetto ha saputo raccogliere alcuni apporti privati
ocali ed altri internazionali (tra i quali la fondazione Trump), cercando di metterli a sistema con un
Possibilità di niziale costruzione tridimensionale del nuovo BCD, abbastanza ‘flessibile’ per raccogliere varianti non
previste. La possibilità di apporti differenti è alla base dell’idea di Solidere, in quanto essa si propone,
apporti diversi oltre che sviluppatrice del piano, come società intermediaria. L’ingresso di acquirenti prevede anche
apporti progettuali differenti. Il piano regolatore del ‘94 ha stabilito alcune linee guida che potessero
ndirizzare verso il rispetto di alcuni principi (costruzioni a blocchi continui, allineamento orizzontale
e verticale, altezze, rispetto dei vincoli storici, etc.), valide soprattutto per l’area di recupero urbano.
Nella nuova city sul fronte mare i vincoli sono meno restrittivi e si basano soprattutto sulla possibilità
di affaccio a mare del tessuto retrostante (Gavin, 1996).
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 137
Immagine 35.
Il fronte-mare in
costruzione(Fonte:
Solidere Annual report,
2007)
Immagine 36.
Veduta del fronte-mare
attuale (Fonte: Solidere
Annual report, 2007)
138 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 37.
La ‘green line’ nel 1991.
Foto di G. Basilico.
(Fonte: G. Basilico,
Beirut, 1994)
Immagine 38.
Edifici ristrutturati
da Solidere (Fonte:
Solidere Annual
report, 2007)
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 139
Legenda
Edifici civili e
religiosi restaurati
Edifici residenziali o
comm. restaurati
Spazi pubblici
Verde semi-pubblico
o privato
Nuovi edifici
altezza contenuta
Nuovi edifici
grandi altezze
Immagine 39.
Il Phoenician Village
progetto di Koetter/Kim
per il fronte-mare della
piazza dei Martiri. Tale
progetto ritorna a de-
finire una separazione
tra il mare e la piazza
(Fonte: Phoenicianvilla-
ge.com, 2009)
140 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Una costante nei due progetti è il contenzioso nato attorno ai temi della residenza, in quanto i
partiti confessionali hanno chiesto, in entrambi i casi, di mantenere i residenti in sito, proteggendo
l’identità locale laddove è maggiore la loro influenza politica e sociale, attraverso la ricostruzione
degli alloggi; il governo invece chiede di poter ‘modificare’ le popolazioni residenti, in modo da
equilibrare uno ‘spazio sociale sbilanciato’, preferendo quindi la soluzione dell’indennizzo, che non
avesse vincolato alla ricostruzione in sito.
44 Clerc V (2008) Negotiations of space, perceptions and strategies in the urban projects of Beirut’s Southern Suburbs recon
struction, nstitut Français du Proche Orient Siria Relazione per il Seminario internazionale Negociation of Space: The Politics and
Planning of Destruction and Reconstruction in Lebanon tenuta il 13/06/2008 al St Anthony College Oxford University Middle East
Center Regno Unito
45 Trad: promessa Si tratta della ‘promessa di ricostruire celermente le abitazioni fatta da Hezbollah agli abitanti del quartiere
Dahiye all indomani dei raid aerei israeliani del 2006 sul Sud di Beirut
46 Verdeil E (2006) Reconstruire encore… Le bilan des destructions de la guerre de 2006 au Liban. (CNRS Environnement Ville
Société Lyon) in Mermier Franck Picard Elizabeth (dir ) Une guerre au Liban : été 2006 La Fabrique Paris Tratto dal testo: La
guerra del luglio agosto 2006 in Libano uccise circa 1.200 persone, provocò il ferimento di più di 4000 e quasi un milione di sfollati.
Ha causato un danno diretto ad infrastrutture vitali e ad abitazioni. Il saldo di 34 giorni di combattimenti è estremamente pesante
e rivela la violenza del conflitto. Il danno è particolarmente pesante se si guarda alla ricostruzione del Paese dopo quindici anni di
guerra civile. La guerra del 2006 per il Libano è un passo indietro brutale e chiama in causa la ripresa economica e la moderniz
zazione, in termini di attrezzature e politiche infrastrutturali, quelle che erano state sviluppate dopo la guerra civile del 1975 1990.
(traduzione propria)
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 141
‘sponsorizzato’ da Hariri47), che coprono circa 560 ettari della periferia Sud-Ovest della città, con
la previsione di una completa ristrutturazione residenziale, operata su due terzi della superficie del
progetto, per dare una risposta al previsto smantellamento degli insediamenti irregolari.
I negoziati tra le parti (Rafic Hariri come Primo Ministro dall’una - sunnita -, Amal e Hezbollah come
movimenti confessionali dall’altra - sciiti -) sono intercorsi tra il 1992 ed il 1995 ed hanno portato alla
decisione di realizzare insieme un progetto di ristrutturazione territoriale (infrastrutture, patrimonio
immobiliare e ricettività turistica). L’accordo prevedeva i principi e le modalità di smantellamento
degli insediamenti irregolari, la compensazione per gli abitanti e per i proprietari che cedessero
parti di immobili ed infine l’insediamento di nuovi residenti, in cambio dell’assicurazione (fornita dal
governo ai partiti sciiti) che la popolazione già residente sarebbe rimasta in loco. Tutto ciò al fine di
promuovere una migliore coesione sociale.
Il progetto, dopo più di 15 anni di vita, non ha avuto risultati concreti sotto il punto di vista della
costruzione di nuovi alloggi, in quanto si è determinata una lotta di potere nella quale ogni attore
mirava ad una attuazione pratica dell’accordo corrispondente al proprio interesse.
E’ stato il caso, ad esempio, della scelta del trasferimento di nuovi abitanti nella zona: secondo i
partiti sciiti si sarebbe dovuta preferire la ‘continuità culturale’ nei confronti della comunità già pre-
sente, favorendo di fatto il mantenimento di una popolazione sciita entro la periferia meridionale, in
quanto territorio conquistato durante il conflitto e da difendere48; per il governo si sarebbero dovute
preferire popolazioni provenienti da quartieri legati ad altre confessioni, per cercare di rompere la
divisione territoriale tra le comunità: ne nacque un interessante, ma a posteriori poco costruttiva,
querelle sull’identità locale, animata da rappresentazioni simboliche (movimenti confessionali) e da
ragionamenti politici (governo) dove la sostanziale differenza risiedeva nel fatto che i due attori del
progetto Elyssar non consideravano la coesione sociale attraverso la stessa unità di misura49.
Prendendo in considerazione i due atteggiamenti contrari, la soluzione adottata per Elyssar - la pro-
posta di ri-alloggiamento in loco o la possibilità di scegliere un risarcimento per le aree di interesse
collettivo - è un compromesso che soddisfa entrambe le parti, ma che non ha mobilitato l’interesse
(di nessuna delle due parti) affinché avesse seguito una nuova edilizia residenziale.
Un compromesso che quindi non raggiunge assolutamente l’obiettivo prefissato ma che, tuttavia,
costituisce un terreno d’intesa che permette il procedere delle relazioni, e il soddisfacimento di al-
cune aspettative delle parti: il governo ha guadagnato la possibilità di ‘aprire’ e modernizzare parti
della periferia Sud, attraverso la costruzione di strade di collegamento, e ha ottenuto la cessazione
dell’espansione di insediamenti irregolari; d’altra parte, i partiti sciiti hanno ottenuto un ufficiale
riconoscimento dei diritti degli abitanti irregolari e la fine della minaccia di espulsione senza inden-
nizzo.
47 “Un grande piano di riqualificazione urbana era stato avviato dal governo Hariri come parte della sua audace ricostruzione
postbellica di Beirut, e con il progetto Elyssar ha promosso la riqualificazione della periferia Sud occidentale. Con l’intervento di
Hezbollah, il progetto è passato da una impresa privata ad un ente pubblico, con una rappresentanza da parte di Hezbollah entro il
processo decisionale del comitato. Tale passaggio era insolito in quanto la progettazione del centro di Beirut è continuata in modo
privatizzato, attraverso l’agenzia Solidere Tratto da Roy Anania (2007) Civic Governmentality, the politics of inclusion in Beirut and
Mumbai paper of the Associate Professor Department of City & Regional Planning University of California Berkeley
48 Clerc Valerie (2008) Op cit
49 Clerc Valerie (2008) Op cit
142 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il progetto Waad, entro il più ampio progetto sull’area di Haret Hreik (colpita dalle bombe israeliane
nel 2006), presenta alcuni spunti di maggiore interesse.
Anzitutto è da chiarire che la ricostruzione di Haret Hreik non può essere ridotta al progetto di rico-
struzione Waad, in quanto quest’ultimo è la parte più visibile di un processo che comprende anche
interventi da parte del governo (gli indennizzi e le infrastrutture).
In principio, ciascuna delle parti ha iniziato ad operare per conto proprio: Hezbollah ha fatto una
promessa (waad in arabo) per ricostruire la Dahiye50 e ha distribuito indennizzi, in modo indipen-
dente dal governo, ed il governo ha immediatamente annunciato l’intenzione di prendere in carico
le spese di indennizzo sostenute e di integrarle con una cifra maggiore.
Nei giorni successivi alla guerra, è stata istituita una commissione, composta dai responsabili della
pianificazione del governo e dei partiti di opposizione (Hezbollah), al fine di dare insieme inizio ad
un piano di ricostruzione.
La commissione, entro pochi mesi, ha deciso che il governo avrebbe sostenuto gli indennizzi eco-
nomici agli abitanti e che avrebbe ricostruito le necessarie infrastrutture, lasciando libertà ai pro-
prietari di ricostruire i loro appartamenti in proprio. Contemporaneamente Hezbollah ha ufficial-
mente lanciato il progetto Waad per la ricostruzione di 196 edifici (dei circa 265 distrutti dai raid
israeliani)51 per i quali i proprietari hanno deciso di impegnare gli indennizzi avuti dal governo.
Waad si impegnava, in tale quadro, a sostenere le spese maggiori agli indennizzi pubblici versati
dagli abitanti, sino al completamento delle opere, ed alla costruzione dei servizi necessari (scuole,
negozi, uffici, un ospedale).
Questo processo, pur non avendo dato forma a nessun progetto comune, ha ‘costruito’ un accordo
con il quale le parti interessate agiscono fianco a fianco, con complementari azioni parallele52. Il
progetto Waad giungerà a compimento nel dicembre 200953.
Il diverso approccio di Elyssar e di Waad, ed il fatto che il primo non è riuscito nel costruire gli
alloggi previsti in più di 15 anni mentre il secondo sta rapidamente raggiungendo l’obiettivo del-
la ricostruzione degli edifici distrutti, non è semplicemente una differenza di contesto finanziario
(Hezbollah per Waad riceve sostanziosi finanziamenti da Siria e Iran54), ma piuttosto il risultato
della comprensione del fatto che sarebbe stata impossibile la ricostruzione di Haret Hreik cercando
soluzioni univoche, finalizzate ai singoli scopi dei differenti attori55.
Con Waad, Hezbollah56 ha ottenuto ciò che voleva, cioè creare un progetto di ricostruzione in cui
i proprietari futuri fossero gli attuali abitanti; il governo ha invece ottenuto un certo status quo nei
confronti di una popolazione generalmente ostile al suo operato, visto che almeno il 20% della po-
50 Trad: periferia Si veda Harb Mona (2003) La Dahiye de Beyrouth. Parcours d’une stigmatisation urbaine, consolidation d’une
territoire politique in Dossier Genes 51 giugno 2003 pgg 70 91;
51 Clerc Valerie (2008) Op cit
52 Clerc Valerie (2008) Op cit
53 Joyce Chediac & Paul Wilcox Lebanon rebuilds, New Orleans still waits, pubblicato il 13 sett 2009 in www tayyar org
54 Joyce Chediac & Paul Wilcox (2009) Op cit
55 Clerc Valerie (2008) Op cit
56 E importante segnalare che Hezbollah spesso relegata solamente nell alveo delle organizzazioni “terroristiche è in realtà un
partito politico ed un agenzia locale di sviluppo il cui lavoro a favore dei poveri e sfollati sciiti è riconosciuto in Libano come “pianifi
cazione radicale Al suo interno è presente anche una struttura militare propria Si veda a tal proposito Saliba R (2000) Emerging
Trends in Urbanism: The Beirut Post War Experience Presentazione al Diwan al Mimar Pubblicata in rete dal Center for the Study
of the Built Environment Jordan http://www csbe org/Saliba Diwan/essay1 htm
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 143
polazione ha scelto di non essere dipendente da Hezbollah per la ricostruzione57 ed alla luce delle
nuove infrastrutture in previsione.
In assenza di fonti sulla effettiva qualità del progetto Waad (spazi pubblici, congruità del progetto
con le aspettative, rapporto con il contesto fisico, etc.) in questa sede ci si limita a segnalare l’impor-
tanza della corretta assegnazione di compiti specifici entro l’implementazione di progetti urbani che,
pur tenendo in considerazione l’eccezionalità della situazione di ricostruzione di un dopo-guerra,
tengano in considerazione sia le aspirazioni locali che la gestione generale da parte dell’ammini-
strazione.
Immagine 40.
Planivolumetrico del
progetto Waed - Haret
Hreik, parte di Al Waad,
arch. Khawam J.N.
(Fonte: Waad-Rebuild)
Immagine 41.
Veduta tridimensionale
del progetto Waed -
Haret Hreik, parte di Al
Waad, arch. Khawam
J.N. (Fonte: Waad-
Rebuild)
Immagine 42.
Il quartiere irregolare
di Ouzai, entro il peri-
metro di Elyssar, 1996.
(Fonte: Mona Harb,
2003, Op. cit.)
Immagine 43.
Le ‘autostrade dello
Stato’ nella periferia
Sud: la modernizzazio-
ne del tessuto urbano,
1998. (Fonte: Mona
Harb, 2003, Op. cit.)
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 145
44 Amireche L Cote M (2007) De la Medina a la metropole, dynamiques spatiales d’Alger a trois niveaux in Sciences & Techno
logie n°26/dic 2007 pgg 71 84 pubbl da Universitè Mentouri Costantine Algérie
45 Cote M (1996) L’Algérie, Espace et Société éd Masson Armand Colin Paris;
46 Gironda Caterina (2004) Op cit
47 Amireche L Cote Marc Op cit
48 Gironda Caterina (2004) Op cit
146 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
ta una sorta di recinto all’interno della città europea49, e contemporaneamente iniziano a formarsi
quartieri periferici esterni e le prime bidonvilles.
Il Plan Danger del 1929 ed il Plan Prost-Stoccard del 1945 sanciscono definitivamente l’emargi-
nazione della Casbah, puntando l’interesse esclusivamente sull’espansione della città francese,
ignorando l’integrazione con la città araba. Tra questi si inserisce il Plan Obus (1933-1939) di Le
Corbusier che, nella zona della Marina e nella sua estensione verso la Baia di Algeri, “rappresenta
un importante nodo nella città nel quale concentrare le attrezzature più complesse”50, puntando
verso la realizzazione di una città interrazziale51, mai realizzata.
Successivamente, gli anni ‘50 videro il tentativo di rispondere alla pressione demografica attraverso
il Plan de Costantine52, che prevedeva la costruzione di quartieri autonomi nella corona della città,
con effetti di dilatazione urbana che successivamente risultarono altamente invasivi sotto il punto di
vista del consumo di territorio.
Gli anni che seguirono l’Indipendenza, avvenuta nel 1962, hanno visto il concentrarsi di nuovi sforzi
per limitare la crescita del territorio urbanizzato ed i suoi effetti, sforzi che hanno portato all’indivi-
duazione di una serie di strumenti per la pianificazione urbana e la gestione territoriale.
Il “mille-feuille culturale”53 che aveva preso forma sotto le differenti dominazioni, e quindi la recente
‘esplosione morfologica e funzionale’, necessitavano ora di un’organizzazione spaziale che il nuovo
governo di ispirazione socialista sembrava potesse ottenere, anche sulla base di un “progetto di
sviluppo che presupponeva l’emancipazione dal passato coloniale e l’affermazione di una rinnovata
identità”54.
La città, nei primi anni ‘70, appariva come “un mosaico” costituito da “cinque principali componenti:
la Casbah, la città coloniale ad essa adiacente, le numerose cités, i nuclei periurbani (El Biar, El
Harrach, Birmandreis, Kouba, Bouzareah, etc.) e i numerosi insediamenti irregolari (...)” 55.
La Casbah, unico ‘elemento urbano’ parzialmente inattaccato dalla colonizzazione, poneva la que-
stione della salvaguardia del patrimonio storico, luogo dove poter sperimentare allo stesso tempo
“la ricerca delle origini e le forme evolutive della propria identità”56. In realtà essa presentava un
crescente degrado fisico e sociale e per porvi rimedio vennero avviate vaste analisi ed elaborazioni
di strumenti tecnici considerati necessari.
La città moderna mostrava le contraddizioni della ‘utopia coloniale’, cioè il tentativo di coniugare la
49 Questa condizione è ben documentata dalla pellicola di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri del 1966 interamente girata nei
reali luoghi degli scontri avvenuti nel 1957 (Leone d Oro alla 31° Mostra del Cinema di Venezia)
50 Gironda Caterina Op cit
51 Càtera P (1997) Il memorandum d’Algeri in Parametro n°218/1997
52 Il Plan de développement économique et social en Algérie o Plan de Constantine (1959-1963) è un programma eco-
nomico concepito dal governo francese nel 1958, al culmine della guerra in Algeria dopo l’arrivo al potere del generale de
Gaulle. Entro tale piano, vennero ideate le cités d’habitation destinate alla popolazione ‘indigena’, sul modelo dei Grands
ensembles métropolitains.
53 Berezowska Azzag Ewa (2006) Alger, le territoire invente son avenir in Urbanistica PVS periodico della Sapienza Università
di Roma DPTU n°44/dic 2006;
54 Cinà Giuseppe (2006) Algeri, da città a agglomerazione: vecchi problemi e difficili soluzioni in Urbanistica PVS periodico della
Sapienza Università di Roma DPTU n°44/dic 2006;
55 Cinà Giuseppe (2006) Op cit
56 Cinà Giuseppe (2006) Op cit
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 147
costruzione di una città “compiutamente francese”57 con le forme dettate dalla tradizione locale,
conciò riusciva a mantenere il carattere che contraddistingue l’anfiteatro urbano che tutt’oggi si
apre sulla baia.
Il Plan de Costantine degli anni ‘50, voluto dal generale De Gaulle, ha generato, direttamente o
indirettamente, le cossiddette cités, complessi residenziali autonomi con caratteristiche affini ai
‘quartieri-dormitorio’, in quanto separati dai modi di vita e dal contesto fisico locale. Tra esse è
possibile comunque trovare alcuni esempi che si fondano sul tentativo di integrazione tra le due
comunità, come ad esempio le opere di Fernand Pouillon58.
I nuclei periurbani, caratterizzati dalla ripetizione estensiva della casa isolata di tipo francese, si
trovavano in prossimità delle cités, formando una corona sulla città di Algeri, ormai inglobata da
una pressione urbana ad elevata densità.
Gli insediamenti irregolari (le bidonvilles) negli anni ‘70 dilagavano all’interno degli interstizi dell’ur-
banizzato, richiamando l’attenzione dell’amministrazione verso soluzioni di compensazione e con-
tenimento del fenomeno, spesso non adatte agli obiettivi perché non supportate da una corretta
lettura spaziale e sociale del fenomeno stesso59. Alcuni esempi più aderenti alle esigenze del
contesto sono quelli ad opera degli architetti Kopp e Chazanov.
Sopra questo quadro hanno preso forma tre grandi “capitoli”60 della pianificazione algerina, pro-
gressivamente aperti e poi richiusi, senza provocare effetti significativi sullo sviluppo della città per
l’incapacità gestionale di fenomeni complessi e sovrapposti. Questi capitoli si possono riassumere
attraverso tre decenni:
1970-1980: il decennio è stato caratterizzato dalla costruzione del Piano di Orientamento Generale
- POG (1975), piano che ha anticipato il futuro sviluppo della città (con orizzonte al 2000), con-
fermando l’espansione verso Est già prevista nel Plan Costantine. Il POG, che si basava in larga
misura sulla programmazione di servizi urbani, prevedeva anche l’espansione territoriale verso
l’interno (i terreni agricoli nella Mitidja, l’entroterra agricolo della città) attraverso zone industriali
intorno alla capitale. E’ stato anche il periodo della creazione dei “grand ensemble periferique”
(ZHUN), portatori di un intenso consumo di territorio.
1980-1990: il PUD (Plan d’Urbanisme Directeur) compie una brusca svolta rispetto al POG, preve-
dendo ulteriori estensioni verso Sud-Ovest, sulle colline del Sahel algerino, per proteggere i bacini
agricoli.
I meriti di questo piano sono: l’introduzione del problema del rinnovamento urbano della città esi-
stente, di aver presentato proposte per importanti ristrutturazioni urbane, di aver attuato diverse
grandi infrastrutture di portata nazionale e di aver posto il problema del controllo della crescita di
7 città satelliti. Inoltre, hanno avuto corso la maggior parte dei grandi progetti previsti dal questo
piano (aeroporto, autostrade, importanti servizi culturali, turistici, universitari).
1990-2000: in questo decennio si verificano cambiamenti rilevanti nella politica territoriale, ora
collegati a strumenti normativi: il Plan Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme (PDAU) e il Plan
d’Occupation du Sol (POS) che definiscono la relazione tra suolo urbanizzato, previsioni di cre-
scita e diritti delle proprietà. I risultati però non sono evidenti, in quanto il PDAU non ha sviluppato
una coerente visione strategica, rinnovando sostanzialmente l’orientamento del precedente PUD e
introducendo direttrici di espansione urbana verso tutte le direzioni: Est, Ovest e Sud, ponendo le
basi di una conurbazione difficilmente gestibile. I problemi politici (le continue revisioni del confine
amministrativo della città), la minaccia terroristica che ha segnato la guerra civile61, il deteriora-
mento dello stock abitativo e la proliferazione dell’urbanizzazione spontanea costituiscono ulteriori
problemi ai quali mancano risposte concrete.
Nel 1997, la creazione del Governatorato della Grande Algeri (57 comuni, 804 km ², 2,562 mln di
persone) porta con sé un barlume di speranza con l’introduzione del GPU (Grand Projet Urbain)62,
che pone in agenda una visione ampia della metropoli, in ordine alla gestione dell’immagine della
città, all’introduzione di dispositivi ambientali come la Ceinture Verte, alla previsione delle neces-
sarie infrastrutture, alla ri-valorizzazione del patrimonio storico, alla questione sociale e alla riabili-
tazione delle periferie, attraverso un approche fragmentaire che concepisce la città attraverso poli
urbani integrati. L’iniziativa della GPU è tuttavia interrotta nel 2001 e, con ‘l’esplosione’ del mercato
speculativo dei primi decenni del nuovo millennio, è difficile intravedere strategie che possano
rispondere ai molteplici problemi che Algeri porta con sé.
Algeri si può definire come una città “esplosa”, morfologicamente e funzionalmente63, cioè una me-
tropoli che non è riuscita a contenere, in termini di spazio, i processi demografici e le trasformazioni
funzionali occorse durante la seconda parte del Novecento, espandendo a dismisura un mosaico
urbano assai intricato.
La vicenda. Dal piano ai progetti urbani, tra logiche speculative e mancanza di strumenti
Ciò che, in questi primi anni del nuovo secolo, sta vivendo Algeri è un “vero e proprio salto nel
buio”64, dove situazioni diversificate, attori sociali e del libero mercato (nuovi e tradizionali) e for-
me differenti di piano si intersecano entro un’informe agglomerato urbano di elementi regolari ed
irregolari.
Mentre i precedenti piani di sviluppo tendevano a riferirsi all’attore istituzionale che li promulgava
(quindi ai propri confini amministrativi), il nuovo approccio “tesse una rete di strumenti a diver-
si livelli”65, dove la procedura di consultazione sui singoli progetti (in ottemperenza o meno del
61 Durante gli anni ‘90 l Algeria è stata scossa da una sanguinosa guerra civile con lunghi strascichi sino ad oggi
62 Saidouni M (2003) Quel projet pou le Grand Alger? Entre le discours et la methode in Hadjiedj Ali Chaline Claude Dbois
Maury Jocelyne (a cura di) Alger, le noveaux défis de l’urbanisation L Harmattan Parigi
63 Amireche Louisa Cote Marc Op cit
64 Cinà Giuseppe (2006) Op cit
65 Berezowska Azzag Ewa (2006) Op cit
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 149
Questa situazione ha portato ad un nuovo approccio alla pianificazione, che non viene più conside-
rata come disciplina atta a costituire strumenti regolatori, ma come quadro generale per la ristruttu-
razione territoriale e per la governance urbana68, attraverso azioni destinate a creare le condizioni
per il coinvolgimento di tutti gli attori al governo della città: le comunità locali, professionisti, società
civile.
Così il progetto urbano, con gli obiettivi che propone e le reazioni che ne derivano, diventa un ele-
mento di “intermediazione sociale”69 che mira a introdurre un cambiamento sia per il “sistema di
urbanizzazione” che per le funzioni urbane da insediare.
Improvvisamente, il PDAU deve affrontare una pletora di strumenti, con il rischio di perdersi in una
duplicazione di competenze tra i piani di protezione contro i rischi, piani di emergenza per la pro-
tezione e valorizzazione del patrimonio culturale, piani di gestione delle coste, piani di sviluppo di
nuove urbanizzazioni periferiche o zone turistiche. L’onere più importante per il PDAU Algeri 2025
sembra quindi quello di definire uno strumento strategico di sviluppo piuttosto che un progetto re-
golativo70.
Tuttavia, nel nuovo piano in costruzione è prevista l’approvazione di numerosi progetti ‘isolati’,
concepiti ‘volta per volta’71 che sostanzialmente si muovono in due direzioni: nuovi insediamenti
residenziali e distretti terziari, spesso con forti differenze settoriali. Infatti, sotto la pressione del glo-
balizzazione economica e la recente apertura degli scambi, questi progetti settoriali trovano sede
in base alla disponibilità di terreno, senza una visione globale per la loro gestione.
Tra i molti progetti in costruzione o in previsione si possono ricordare: la nascita spontanea di nuove
centralità commerciali in periferia (Hamiz, Dely Brahim, Chéraga, Draria)72, progetti su larga scala
come il nuovo Congresso e la Grande Moschea di Algeri a Mohammadia per 80.000 persone e,
66 Il PDAU di Algeri è stato affidato alla società portoghese ParquExpo, nata in occasione dell’Expo di Lisbona, in collabo-
razione con CDERU, Quaternaire, architetto Gonçalo Byrne, TIS, CONSULGAL, LNEC, e PROCONSULTORES, oltre ad
una serie di consulenti: Prof. Nuno Portas, Prof. Augusto Mateus, Prof. Ali Adjiedj, e Guy Burgel. Data di consegna prevista:
2010. Fonte: http://www.parqueexpo.pt. L’attuale revisione legislativa dello strumento (2009) avrà effetti significativi in ter-
mini di distribuzione dei diritti fondiari.
67 Berezowska Azzag Ewa (2006) Op cit
68 Hafiane A (2007) Les projets d’urbanisme récents en Algérie 43rd SOCARP Congress 2007
69 Hafiane Abderrahim Op cit
70 Berezowska Azzag Ewa (2006) Op cit
71 Berezowska Azzag Ewa (2006) Op cit
72 Berezowska Azzag Ewa (2006) Op cit
150 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
sotto l’egida del AADL73, due quartieri per circa 30.000 nuovi alloggi oltre alla nuova cité di Sidi
Abdallah, prevista per 200.000 residenti su 1878 ettari, con scadenza 2020. L’emarginazione fisica
di questi quartieri è sino ad ora evidente: l’integrazione spaziale e funzionale nel tessuto urbano
circostante è praticamente assente, vista la carenza di reti di comunicazione, la cesura morfologica
con il proprio intorno e l’assenza di legami forti con il resto della città, alimentando così il crescente
fenomeno della frammentazione sociale, territoriale e funzionale, seguendo una logica ‘per pezzi’
che rischia di perpetuare la creazione di ‘quartieri-dormitorio’ come i già citati ZHUN.
Infine, lungo la baia di Algeri sono in previsione (alcuni già in fase di costruzione) numerosi Grands
projets urbains di sviluppo o di rigenerazione urbana. Tra questi ultimi c’è il ventennale progetto
Hamma-Hussein Dey, area dismessa che dovrebbe ricevere un futuro CBD (Central Business Di-
strict) e numerosi “poli” alberghieri, terziari, per servizi di loisirs o residenziali. Tra di essi il proget-
to Alger’s Medina è sicuramente tra i più ambiziosi, in quanto prevede la costruzione di torri per
uffici e alberghi intorno ad un grande parco acquatico, situati a ridosso della prevista moschea di
Mohammadia. Il recente incarico, assegnato per concorso allo studio francese Arte Charpentier
Architectes, per l’aménagement della zona costiera, risulta essere una difficile sfida di integrazione
ecologica74 tra i progetti settoriali e ‘l’abbraccio della baia’.
Le prevalenti visioni settoriali, costruite “a seconda della disponibilità dei terreni, delle offerte finan-
ziarie, delle ambizioni o delle decisioni politiche”75 soffrono di una mancanza di coordinamento e
di un quadro strategico globale, motivi per i quali il nuovo PDAU avrà un compito estremamente
difficile.
73 AADL: Agence d’Amelioration et de Développement des Logements. Programma che mira a sviluppare in Algeri 10 000 alloggi
sociali in affitto (su 148 78 ettari compresi 52 ettari in zone di nuova urbanizzazione) e 20 000 abitazioni convenzionate (su 242 23
ettari di 48 5 di NU) con servizi locali
74 La descrizione del progetto gestionale della baia verte sull integrazione ecologica tra elementi di nuova centralità urbana diffusa
http://www arte charpentier com/
75 Berezowska Azzag Ewa Op cit
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 151
Carta 8.
Baia di Algeri. Loca-
lizzazione dei Grandi
Progetti Urbani, proposti
nel GPU (mai def.
approvato) e oggetto
di possibile sviluppo.
Il Pole n.2 è quello di
Alger Medina (Tratto
da: E.B. Azzag, 2006.
Fonte: Urbanis 2004)
152 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Superficie Il progetto dell’intero quartiere d’affari copre una superficie totale di 2 milioni di metri quadrati nel
cuore della Baia di Algeri. La prima parte, alla quale si riferisce il masterplan del 2007 con consegna
complessiva prevista al 2012, copre circa 75 ettari.
Entro i confini della Wilaya (provincia) di Algeri, sulla Baia omonima, nella municipalità di El
Localizzazione Mohammadia - Pines Maritimes, a Nord della Route de l’Armée National, ad Est della foce del fiume
Oued Chiffa, sopra un’area dapprima adibita ad uso misto-industriale.
Consulenti e Il masterplan è a firma dell’architetto coreano-americano M. Kim, è farà presumibilmente parte del
progettisti Projet d’Aménagement della Baia dello studio francese Arte Charpentier Architectes.
Il progetto si avvale di un finanziamento privato diffuso, attraverso le obbligazioni della società Dahli
Eventuali Spa. E’ stata anche promosso il lancio di soukouks, azioni aderenti alla legge della Sharia islamica, che
finanziamenti non permettono il prestito con interesse, ma legato ad uno specifico progetto. Recentemente lo Stato
privati ha promosso parte del finanziamento attraverso i fondi pubblici FNI (Fonds national d’investissement)
- (fonte: La Tribune - 03 maggio 2009).
La società Dahli prevede un costo totale, per tutto il progetto Alger Medina, di 2,5 miliardi di € (OBG,
Costo totale 2008). La prima fase, quella definita dal masterplan del 2007, prevede un costo di 252 mil. di euro.
Strumento Il masterplan di Alger Medina si inserisce tra i Poli di Sviluppo del GPU (Grand Projet Urbain) del
urbanistico 1997. La nuova versione del PDAU (Plan Directeur d’Aménagement Urbain) prevista per il 2010-2011
utilizzato dovrebbe recepire il Projet d’Aménagement Baie d’Alger e, quindi, il progetto Alger Medina.
2 modello decisionale
Il modello decisionale tradizionale è da riferirsi all’esperienza post-coloniale, che ha anzitutto visto
a grande presenza dello Stato quale agente di trasformazione territoriale, sino a metà anni ‘80. Con
Modello a liberalizzazione del mercato (1985) e con l’apertura a differenti rapporti con l’imprenditoria privata,
anche la pianificazione territoriale ha cercato di evolversi, producendo però un sistema di governo
decisionale basato sul consumo di suolo e su episodi urbani scollegati tra loro. Nella sostanza il modello francese
tradizionale è quello seguito nella creazione di strumenti di piano quali il PDAU e il POS (tali strumenti definiscono
rispettivamente le strategie urbane generali e le destinazioni dei suoli), ma senza una forma gestionale
adeguata. Nelle operazioni di piano sono coinvolti soprattutto lo Stato e le municipalità.
La società Dahli, dopo aver acquisito la disponibilità dell’area dallo Stato, ha indetto autonomamente
Modello un concorso per il masterplan, proponendo nei fatti alla Wilaya (provincia) di Alger una trasformazione
dell’attuale POS di Mohammadia. Si è quindi trattato di una decisione che ha visto protagonisti lo
decisionale Stato centrale e l’imprenditoria privata, sulla base del GPU (mai operativo), ma senza la preventiva
adottato pianificazione territoriale a scala locale, che è demandata al Projet d’Aménagément de la Baie
d’Alger
capitolo 3 - Progetti urbani entro il contesto mediterraneo: casi significativi 153
Immagine 43.
Baia di Algeri. Sulla
sinistra l’area di proget
to, sullo sfondo la città
di Algeri (Fonte: Alger
Medina)
Immagine 44.
Alger Medina. Modello
tridimensionale. Sulla si-
nistra in basso gli edifici
esistenti, sullo sfondo
la moschea ‘Bouteflika’
(Fonte: Alger Medina)
Grafico 4.
I differenti modelli
decisionali: tradizionale
e adottato (Elab. G.
Ciarallo su dati tratti da
B. Azzag, 2006, Op. cit.)
154 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il progetto fa parte di una revisione della forma urbana che il Projet d’Aménagement de la Baie d’Alger
dovrebbe gestire: la previsione sulla costa dei “Poli di sviluppo dei Grandi Progetti Urbani”, nella
Modificazione degli direzione prevista dal GPU del 1997, tende ad una nuova gestione del rapporto tra la città di Algeri
e l’intera Baia, attraverso l’individuazione di destinazioni privilegiate (terziarie, culturali, sportive,
assetti formali e universitarie) che costituiscono una multipolarità urbana lungo la Baia stessa. Questo scenario, alla
relazionali uce delle condizioni attuali del territorio, può presentare rischi di frammentazione sociale e marginalità
urbana (Berezowska-Azzag, 2006). Inoltre, la nuova metropolitana di Algeri (inaugurata nell’aprile
2009) non prevede fermate nell’area di Mohammadia.
La relazione intessuta nella programmazione del progetto Alger Medina è sostanzialmente definita
dalla vendita in concessione fatta dallo Stato alla società Dahli Spa nel 2002, al fine di promuovere il
Nuova relazione tra progetto. Il lancio di un azionariato ‘popolare’ per il montaggio finanziario del progetto definisce anche
settore pubblico/ connotati di immagine politica dell’operazione che, metaforicamente, riconduce un’operazione di svi-
privato uppo di importanza internazionale alla popolazione algerina. L’iniziale insuccesso dell’operazione di
azionariato diffuso, pur se supportata da un grande battage mediatico, ha posto Abdelouahab Rahim,
AD di Dahli Spa, nelle condizioni di ipotizzare un intervento dello Stato.
Modalità di La gestione del progetto urbano si basa sulle ipotesi formulate dal masterplan del 2007, attraverso un
gestione adottate cronoprogramma definito dalla società.
Immagine 45.
L’imprenditore
algerino davanti al
modello del progetto
(Fonte:Dailymaghreb)
Immagine 46.
Struttura societaria
di Arcofina Holding
(Fonte:Dahli SpA, Alger
Medina)
Immagine 47.
Le torri previste per
la seconda fase del
progetto (Fonte: Dahli
SpA, Alger Medina)
Immagine 48.
L’Alger Businness
Centre. Il primo edificio
costruito in sito da Dahli
(Fonte: E. B. Azzag,
2006, Op. cit.)
156 forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Allo stato attuale, non è ancora possibile valutare il rapporto tra i costi ed i benefici.
Efficacia Costi: non è possibile quantificare i costi sostenuti sino alla prima fase del progetto, vista l’assenza
economica: di informazioni pubbliche in merito. La previsione di spesa totale per la prima fase (252 milioni €)
dovrebbe apportare benefici economici duraturi.
rapporto costi/ Benefici: tra questi è da considerarsi la previsione della creazione di almeno 10.000 posti di lavoro, e
benefici a presenza turistica che il progetto intende generare. Beneficio ulteriore, in termini di guadagno eco-
nomico, è dato dal riscatto delle obbligazioni, che dovrebbe avvenire nel 2016 (Mellal Bouali, 2008).
7 rapporto del progetto urbano con il contesto
Il contesto generale della Baia, e del tessuto di Mohammadia, non sembra essere preso in considera-
zione dal progetto che, anzi, si impone come futuro centro città, in contrapposizione con l’edificato esi-
stente. L’unica considerazione nei confronti dell’ambiente circostante riguarda il bacino della Marina,
Descrizione del che si propone come attracco per imbarcazioni da diporto. Non sono note descrizioni che mettano in
rapporto intessuto relazione il progetto al proprio intorno; le uniche descrizioni del progetto si concentrano sulla dimen-
sione economica dell’operazione e sul futuro businness center. E’ solo con il Projet d’Aménagement
con il contesto de la Baie d’Alger che, ex-post, sembra si vogliano istituire relazioni tra il progetto e l’ambiente cir-
fisico costante (mare, linea di costa, foce fiume, edificato), ma i lavori di edificazione di Alger Medina sono
già in atto (Nordin Grim, 2007). Il progetto, come detto, ‘si impone’ sulla forma urbana per la nuova
relazione con la linea di costa della Baia. Sicuramente riconoscibile nelle sue fattezze architettoniche,
a sua realizzazione ‘esclude’ l’intorno dal processo di rinnovamento.
Non è possibile considerare, dai dati ottenuti, l’esistenza di approfondimenti su tale relazione. La fu-
Relazione tra tura grande moschea di Mohammadia (capienza prevista: 120.000 persone), non distante dal sito di
progetto urbano e progetto, sicuramente fornirà spunti di riflessione sulla relazione tra questa nuova centralità e i modi
contesto sociale di vita locali. In ogni caso, non è nota nessuna valutazione o riflessione sulla relazione tra l’area di
Mohammadia - Pins Maritims e il progetto Alger Medina.
9 fasi di progetto
.I principali passi compiuti in direzione del progetto Alger Medina sono:
2001 - acquisizione di Dahli Spa, la quale acquisisce l’esistente Hilton Hotel (esistente sull’area);
2002 - acquisizione dell’area per la prima parte del progetto Alger Medina (75 Ha);
2005 - un primo edificio (la torre Algeria businness center) viene consegnato e reso operativo da Dahli
Spa nell’area acquisita;
2007 - viene indetto il concorso per il masterplan e per le progettazioni esecutive per la prima parte
Evoluzione del progetto, vinto dall’architetto americano Michael Kim;
2008 - viene dato avvio allo studio per la vendita di obbligazioni del progetto Alger Medina, nello stes-
temporale degli so anno approvato dalla COSOB (organismo di controllo della borsa algerina);
interventi Sempre nello stesso anno prendono avvio i lavori per il centro commerciale e per il Water park;
2009 - viene lanciata l’offerta per le azioni di Alger Medina, che non raggiunge l’obiettivo prefissato.
Nello stesso anno si prevede il possibile finanziamento statale. Il progetto, nella sua divisione in due
fasi, permette una evoluzione temporale differenziata rispetto alle determinazioni iniziali. Anche all’in-
terno della prima fase, vengono segnalate le torri per uffici come ‘edifici intelligenti’, cioè capaci di
regolare la propria dimensione verticale rispetto alle esigenze di progetto, senza dover ricalcolare le
strutture (Dahli Spa, 2008).
Possibilità di Oltre all’indicazione del progetto vincitore, non viene menzionata la possibilità di apporti differenti al
progetto. Conseguentemente, non appaiono condizioni per singoli contributi progettuali. Non si esclu-
apporti diversi de la possibilità che questi avvengano nella seconda fase.
Carta 9.
Lo schema generale
di coerenza del Plan
d’aménagement de la
zone cotière de la Baie
d’Alger (Fonte: Doc.
presentazione dello
studio incaricato Arte
Charpentier).
Immagine 49.
Visione tridimensionale
del Plan d’aménage-
ment de la zone cotière
de la Baie d’Alger (Fon-
te: Doc. presentazione
dello studio incaricato
Arte Charpentier).
158 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 50.
La città esistente ed il
progetto Sama Dubai.
Foto del modello nella
sede Sama Dubai a Tu-
nisi. (Foto di Ciarallo G.
scattata il 28.11.2008).
Un approfondimento
grandi progetti urbani recenti a Tunisi
capitolo
quarto
160 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
I casi sin qui presentati - Barcellona e Marsiglia per la costa europea, Beirut e Algeri per i PSEM
- evidenziano alcune differenti caratteristiche dovute al particolare contesto locale - sociale, econo-
mico, storico e geografico - entro il quale si sono evoluti.
Tali caratteristiche, pur nella loro evidenza, non sembrano però costituire sufficiente ‘materiale di
studio’ per fornire elementi atti a supportare una esaustiva risposta alla domanda di ricerca. Alcune
‘tracce’ di convergenza e di distinzione tra i casi europei e quelli del Sud Mediterraneo, come quelle
riscontrate attraverso le schede analitiche, sono sicuramente di grande aiuto, ma necessitano di
una approfondita riconferma.
Tra queste ‘tracce’, alcune più importanti si evidenziano ad una prima lettura delle schede del
capitolo 3, e su queste è opportuno dare continuità e profondità al lavoro di ricerca; tra queste si
ricordano:
- chi è soggetto promotore della trasformazione urbana;
- il modello decisionale adottato;
- il rapporto tra il progetto ed il resto della città;
- la relazione tra settore pubblico e privato;
- gli strumenti tecnici e gestionali utilizzati;
- la costruzione dello spazio pubblico.
Pur non tralasciando le altre ‘entrate’ delle schede, i suddetti temi saranno oggetto di particolare
attenzione nel presente capitolo, nel quale verrà approfondito il caso di Tunisi.
La scelta di approfondimento tematico è ricaduta sulla città di Tunisi per via delle particolari condi-
zioni che essa offre rispetto al tema di ricerca: anzitutto un buon numero di progetti urbani compiuti,
in via di definizione o in previsione; secondariamente, la rilevante presenza di tutte le caratteristi-
che discriminanti alla base della scelta operativa di ricerca: è metropoli mediterranea tra quelle
annoverate (cap.2, par.3); subisce gli effetti demografici della ‘litoralizzazione’, che contribuiscono
a collocare la città tra i sistemi urbani cosiddetti ‘immaturi’ (cap.2, par.4.3); infine si connota quale
centro ‘relé’ della rete economica maghrebina di città capitali, sia a livello regionale che internazio-
nale (cap.2, par.1).
Un’approfondita analisi del caso tunisino potrà dare conferma o fornire dubbi sulle ‘tracce’ sino ad
ora seguite, per dare così corpo ad una valida risposta al quesito di ricerca.
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 161
Quella che, con espressione metaforica, Serge Santelli definisce una “ville inverse”1 è una città
che, con l’espansione avuta sotto il Protettorato francese del XIX secolo, ha tradotto tutte le attività
principali dalla antica medina alla nuova città di matrice europea e che, ottenuta l’Indipendenza nel
1956, ha nuovamente aggiunto diverse forme di espansione (fisica e gestionale) alla città colonia-
le. Nella lettura fisica dell’accrescimento storico della città di Tunisi è così possibile riconoscere
almeno tre ‘diverse città’2 che, con relativa autonomia, si sono avvicendate creando le condizioni
storiche per la formazione dell’agglomerato3 che riconosciamo ai nostri giorni.
La prima di queste tre ‘città nella città’ è la medina. Fondata dagli Arabi verso la fine del VII secolo
d.C. sui resti di un antico insediamento fenicio e poi romano (Tunes o Thunis)4, ancora oggi testi-
monia la continuità morfologica dell’evoluzione urbana della città islamica, dalla fondazione al domi-
nio ottomano, sino a che l’esogena e “progressiva addizione di nuovi ‘brani’ di tessuto”5 - avvenuta
nel XIX secolo - non ne mutò la relazione con il proprio territorio.
La medina è situata sulla “collina che separa la salina Sabkhit as-Sijoumi dal lago (di Tunisi, ndr),
protetta a Nord dai rilievi del Belvedere e di Ras at-Tabiya e a Sud dalle colline rocciose dello Aj-
Jallaz”6 e, sviluppandosi attorno all’elemento cardine della moschea degli Ulivi (in arabo Zitouna,
fondata nel 732 d.C.), si è estesa su un centinaio di ettari nella struttura semi-labirintica dei souk
e delle abitazioni private a corte, cinta da mura e dominata a monte dalla presenza della Casbah,
sede del governo politico, concretizzando così “l’ideale sociale e urbano proprio dell’Islam”7.
Capitale del Maghreb orientale nel periodo Hafside (1230-1573), sotto questa dinastia Tunisi ha
conosciuto il completo sviluppo della medina e dei due sobborghi ad essa laterali - a Nord Rbat Bab
Souika e a Sud Rbat Bab Dzira, rispettivamente di cento e settanta ettari - nati come conseguenza
dell’inurbamento di popolazioni contadine, e poi inclusi entro una cinta muraria più ampia.
La conquista ottomana della città, avvenuta nel 1574 dopo un breve periodo di dominazione spa-
gnola (ottobre 1573 - settembre 1574) ha determinato, dal punto di vista della forma urbana, una
certa continuità, senza che si verificassero variazioni morfologiche di rilievo: sino all’800, pur arri-
vando a contare 90.000 abitanti, Tunisi ha mantenuto la sua struttura ‘introversa’, con una forte de-
limitazione fisica tra lo spazio urbano e quello rurale, connessi dalle sole porte di ingresso ricavate
nelle mura.
Dal punto di vista politico e gestionale, invece, l’ingresso nell’Impero Ottomano ha determinato una
serie di novità, dovute al lungo periodo di pace che ha segnato i tre secoli di dominazione: già nel
Seicento una serie di opere - di nuova costruzione e di risanamento degli edifici di culto - ‘punteg-
giarono’ un lungo periodo di prosperità per la città che si prolungò a tutto il Settecento. Si pensi
alle madrasse (scuola coraniche) o agli hammam (bagni e terme)8 che ancora oggi scandiscono lo
spazio denso della medina.
Una certa vitalità del commercio tra la sede imperiale, Istanbul, ed il Maghreb creò un’attiva situa-
zione economica, alla quale si aggiunse l’apporto dato dai numerosi commercianti stranieri; fu così
che il Bey9 (governatore ottomano) Hammuda Pacha, già attorno al 1660, diede grande importanza
alla buona gestione urbana e all’edificazione di opere relative alla presenza straniera: la creazione
di un quartiere franco, l’edificazione di numerosi fondouk (alberghi), l’estensione del quartiere ebrai-
co e la creazione del souk dei livornesi (i commercianti ebrei originari di Livorno ebbero un ruolo
determinante nella costruzione del souk ora chiamato Al-Grana, ossia ‘dei livornesi’10), oltre ad altri
nuovi souk (tra questi quello della Chechia - tipico copricapo turco - ancora oggi in piena attività).
Nel periodo seguente, durante tutto il Settecento, un gran numero di opere di grande rilievo (mo-
schee, madrasse, mausolei, fondouk, hammam) vennero costruite entro le mura, prolungando così
il periodo di intensa urbanizzazione della Medina11. E’ importante sottolineare che questo delibe-
rato ‘atteggiamento’ atto alla densificazione - con la costruzione della città su sé stessa attraverso
lavori di addizione intensiva o di demolizione e ricostruzione - ebbe luogo proprio nei momenti in cui
le grandi città europee si attrezzarono per effettuare estensioni ‘moderne’ di più ampio respiro.
Una modernità che l’impero Ottomano ha comunque ricercato: a metà Ottocento il Bey della città,
nel periodo di governo del Primo Ministro Khérédine, ha introdotto importanti riforme socio-politiche
e alcuni interventi tecnici e amministrativi, atti al progresso economico e infrastrutturale del Pa-
ese12. Tra le prime, la Proclamazione del “Patto fondamentale di Dichiarazione dei Diritti” che
garantiva l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la libertà di culto (1857), l’istituzione del
Consiglio Municipale di Tunisi (1858) e una Costituzione che limitava i poteri del Bey e inaugurava
una Assemblea con autorità sovrana (1861); tra i secondi, la razionalizzazione della raccolta dei
rifiuti, la costruzione di condotte fognarie, la pavimentazione delle strade, la realizzazione del Col-
lege Sadiqi (per la formazione della classe dirigente locale, poi frequentato dal futuro ‘padre della
patria’ Habib Bourguiba) ed infine la costruzione di un ospedale interno alla medina.
Nella seconda metà dell’800, con i riflessi della Rivoluzione Industriale, “Paesi come la Tunisia con
già fragili equilibri economici vengono ulteriormente destabilizzati. Così, con l’inizio della decadenza
economica e dell’indebitamento che ne deriva, si apre per la Francia, verso la fine del XIX secolo, la
8 Cfr Saadaoui A (2001) Tunis Ville Ottomane. Trois siecles d’urbanisme et d’architecture Centre de Publication Univ Tunis
9 Col termine Bey (dal turco antico Beg ossia “signore che originò l arabo Bik ) si indicò in epoca moderna dal XV secolo fino
a tutto il XX secolo il signore di Tunisi nominalmente vassallo della Sublime Porta ottomana di stanbul ma di fatto ampiamente
autonomo l significato del termine in seguito fu allargato a indicare il responsabile fiscale o militare di una circoscrizione ammini
strativa dell impero; infine divenne semplice appellativo di rispetto Cfr Gabrieli F (1966) Storie di Bey e Dey in: L’Islàm nella storia
Bari Dedalo
10 Da qrana plurale di qurni ossia livornese (il nome arabo di Livorno è Guernata) Cfr. Manduchi P Per una storia degli italiani
in Tunisia in V Salvadorini a cura di Studi mediterranei ed extraeuropei Edistudio Pisa 2002
11 Cfr Saadaoui A (2001) Op cit
12 Gironda C (2004) Op Cit pg 167
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 163
strada del Protettorato”13. Dal 1881 in poi, l’anno del Trattato cosiddetto ‘del Bardo’ - che sancì l’uf-
ficiale ingresso del governo francese in Tunisia - si iniziò a delineare una “ville double”14: a cavallo
del secolo una seconda città venne istituita a ridosso dell’antica medina, attraverso una lineare
“giustapposizione”15 morfologica. Il termine ‘giustapposizione’ utilizzato da Jellal Abdelkafi, defini-
sce in modo preciso la modalità con la quale la città ‘europea’ si è estesa oltre la Medina araba, cioè
componendo una città “estroversa”16 a ridosso della tradizionale città ‘introversa’, sviluppandosi
concretamente tra la porta Bab al-Bar (la ‘Porta del Mare’, già ‘Porta di Francia’ sotto il protettorato)
ed il porto sul Lago di Tunisi (Bochaz), in seguito alla bonifica di una vasta area lagunare.
Attraverso il semplice impianto di un piano “quadrillé”17, tra il 1881 ed il 1890 si tracciarono le linee
della trama ortogonale della città nuova, con un asse principale Est-Ovest costituito sul tracciato
della strada che collegava la Porta del Mare alle rive del Lago di Tunisi (Avenue de la Marine),
passando per un territorio lagunoso che, attraverso la bonifica attuata su concessione del Bey, ha
permesso la costruzione degli edifici del centro europeo. La bonifica avvenne attraverso il lavoro
di maestranze europee, in particolare italiani, ai quali si deve ancora il nome del quartiere, detto
Petite Sicile18. E’ quindi da assegnare un ruolo determinante alla presenza italiana (imprenditori,
mastri e manovali)19 nella realizzazione di nuovi spazi abitabili per la città di Tunisi, ruolo che ha
prodotto una nutrita presenza nella città, ora non più immaginabile20, a cavallo tra il XIX ed il XX
secolo. Questa presenza italiana fu successivamente osteggiata dal protettorato francese, fino ad
annullarla quasi completamente tramite la ‘francesizzazione’ di tutti i cittadini europei residenti in
Tunisia21.
Nel 1890 vide la luce un secondo asse, in direzione Nord-Sud, impostato cioè sulla direttrice che
13 Gironda C (2004) Op Cit pg 168 Si veda per completezza Lapidus M (1994) Storia delle società islamiche vol Einaudi
Torino
14 Cfr Abdelkafi J (1989) Op cit ;
15 Cfr Abdelkafi J (1989) Op cit ; Gironda C (2004) Op Cit E interessante sottolineare ciò che mette in luce Gironda pg 172:
non (è) fondamentalmente dissimile dagli accostamenti che tra fine ‘800 e primi ‘900 si rivelano in altre città europee e mediterranee
in assenza di processi di colonizzazione
16 Cfr. Gironda C (2004) Op Cit
17 Santelli S (1995) Op cit pg 61 L autore pone particolare accento sulle derivazione ‘ingegneristica di tale soluzione non
riferibile alla maglia in quanto impianto urbano ma per la povertà degli elementi che fisicamente la connotarono
18 Nel 1865 la famiglia Fasciotti (composta da Carlotta Gnecco di famiglia genovese stabilita a Tunisi e da Eugenio Fasciotti già
Prefetto di Napoli e poi Senatore a Roma) ricevette dal Bey a titolo privato e gratuito una vasta area di terreno posta tra la città di
Tunisi (allora ancora sotto il dominio ottomano) ed il lago salato a Ovest Ciò per favorire lavori di urbanizzazione dell area stessa
che consistevano nella bonifica canalizzazione delle acque e nella fondazione di alcuni fabbricati artigianali Poco a poco i lavori
condotti dalla famiglia Fasciotti hanno portato all acquisizione di ben 13 ettari di terreno con beni immobiliari annessi che sono stati
per lungo tempo proprietà della famiglia stessa (gli ultimi appezzamenti sono stati definitivamente ceduti dagli eredi Fasciotti solo
nel 1951)
19 Cfr Finzi S (2002) Architetture italiane di Tunisia Finzi ed Tunisi l testo riporta numerosi esempi di imprenditori e di architetti
italiani che sin da prima dell unità d talia furono impegnati a Tunisi spesso con meriti assegnati dal Bey (Giuseppe Rey arrivò
addirittura alla carica di Amin dell mpero Ottomano)
20 Milella S (2004) Gli italiani all’estero: breve storia della comunità italiana in Tunisia Laboratorio di Ricerca Sociale Università
di Pisa Viene qui fornita la cifra indicativa di 80 000 italiani residenti in Tunisia nel 1900 come indicato in un rapporto dell allora
Console italiano Carletti;
21 Milella S (2004) Op cit dalla quale si riporta: “Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX i Francesi iniziarono a vedere come
un “pericolo la presenza italiana, il cui peso sul piano demografico (...), economico e socio culturale era cresciuto a dismisura. Si
arrivò a considerare gli italiani come “nemici del Protettorato, a cui imputare la colpa ogni volta che si verificava una rivolta o un
disordine sociale; in questo periodo inizia dunque a porsi quella che fu chiamata la “questione italiana , che durerà fino a 1943. I
francesi intrapresero una politica aggressiva nei confronti della collettività italiana, attraverso un’opera di naturalizzazione di massa,
di “francesizzazione . Dopo gli anni ‘30 venne perseguito un processo di naturalizzazione forzata della collettività: i francesi fecero
in modo che tutti i figli nati da cittadini europei diventassero automaticamente francesi; ovviamente il provvedimento mirava apposi
tamente a colpire gli italiani.
164 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
va dal grande cimitero musulmano di Jellaz al parco del Belvedere (creato nel 1896), posto su una
collina a Nord dell’agglomerato: la città nuova è così strutturata tramite l’incrocio di due assi princi-
pali ortogonali, l’Avenue de France-Jules Ferry (oggi Av. Habib Bourguiba) in direzione Est-Ovest
e l’Avenue de Paris-Carthage in direzione Nord-Sud22. E’ questo un piano semplice e funzionale:
una scacchiera che mai si discosta dalla trama istituita e dalla sua stessa direzione, seguendo le
indicazioni dei geometri e degli ingegneri francesi dei Travaux Publics. Un progetto che mette in
opposizione la antica città araba e la nuova città europea: da una parte la crescita ‘spontanea’23 - o
meglio ‘organica’ - e morfologicamente complessa della Medina, dall’altra una griglia ortogonale,
concepita e disegnata a priori da tecnici esterni, appositamente incaricati. Il piano della città nuova
è infatti la semplice espressione, la “più primitiva” 24, dell’espansione coloniale: non si avvale delle
nozioni di un progetto ‘di urbanità’ concepito da esperti della pianificazione urbana, ma si affida
all’esperienza degli ingegneri e dei geometri dello Stato, che adattano il principio della griglia al
sito e lo impongono sulle tracce del territorio. Un piano che si è preoccupato di costituire isolati ret-
tangolari ripetitivi, che semplicemente collegano il Nord al Sud della città e che sono stati ‘riempiti’
senza che vi fosse un reale progetto di spazio pubblico; un piano ben lontano dalle ambiziose ed
audaci progettazioni dei piani di Prost per il Marocco o anche della magnificenza ricercata nel Bou-
levard de l’Imperatrice ad Algeri25. A testimoniare inequivocabilmente questo tipo di impostazione
volutamente ingegneristica è la mancata relazione dell’asse principale, l’Avenue Jules Ferry, con il
fronte mare: sulla carta avrebbe dovuto collegare la città alle acque del Lago di Tunisi ad Est ma,
nella realtà, ha impedito alla città stessa di avere un affaccio marittimo, in quanto ha semplicemente
incardinato le vie secondarie a Nord e a Sud, funzionali al processo di costruzione urbana.
Con il piano del 1920, ad opera dell’architetto tunisino Victor Valensi (ebreo di origine livornese), la
città cercò di avvalersi di un vero piano di gestione e sviluppo, per ricercare il “lustre urbain”26 che
confacesse alle dimensioni raggiunte (Tunisi, nel 1914, conta circa 175.000 abitanti). Il Plan Valensi
prevede sostanzialmente lo spostamento dell’asse centrale, dall’Av. Jules Ferry ad un’altro grande
viale, nuovo e più a Nord, spostando a settentrione il baricentro della città nuova e con esso il col-
legamento tra una nuova sede municipale ed il Lago di Tunisi, creando così un vero fronte mare,
non realizzabile sulle aree portuali esistenti. Il piano non venne mai realizzato ed il fronte mare della
città rimase un nodo irrisolto.
Nel 1933, con il Plan Chevaux (redatto dall’ingegnere M. Chevaux e dall’ingegnere comunale Eloy)
- progetto municipale con obiettivi definiti dall’Amministrazione - la città cercò di rispondere alle
nuove dimensioni acquisite con le lottizzazioni private localizzate nella periferia, per lo più promos-
se dalla borghesia di origine europea. In questo periodo la maglia urbana del centro non aveva
ancora conosciuto una piena densificazione, in quanto molti europei accordarono la loro preferenza
residenziale alle ville in periferia, ed in questo quadro la politica municipale - in materia di gestione
22 Santelli S (1995) Op cit pg 61 Come vedremo questo incrocio è tutt ora rilevante per la trasformazione urbana della città
23 Santelli S (1995) Op cit pg 65 L aggettivo ‘spontanea al pari di ‘labirintica è stato criticato da altri autori basandosi sulla
reale gerarchia interna che la Medina araba possiede sin dalla sua primigenia concezione Si veda Eslami A N (a cura di ) (2002)
Architetture e città del Mediterraneo tra Oriente ed Occidente De Ferrari Genova
24 Santelli S (1995) Op cit pg 65
25 “On Est loin des ambitions urbaines et des projets architecturaux audacieux des architects francais en Algérie et au Maroc, des
immeubles entrepots du front de mer d’Alger ou des plans des villes marocaines de Prost tratto da Santelli S (1995) Op cit
26 Santelli S (1995) Op cit pg 74
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 165
urbana - si ridusse alla gestione della viabilità e delle reti di approvvigionamento. Per rispondere
a questa situazione, il piano del 1933 non fece altro che avallare la costruzione ripetitiva di questi
quartieri borghesi periferici (Franceville, Mutuelleville, Crémieuxville, etc...), optando, allo stesso
tempo, per una serie di percées che tagliassero in più parti la medina, in modo da collegarne la
parte inferiore alla città nuova della griglia europea, proteggendone solo la parte alta. Per fortuna27,
la città non ebbe i mezzi tecnici ed economici per portare a compimento tale piano.
Ma, sin dai primi anni dopo la Prima Guerra Mondiale, una terza28 ‘città nella città’ si stava facendo
avanti: lottizzazione private (più o meno pianificate) per le classi agiate e quartieri spontanei costru-
iti dalla popolazione più povera (di recente inurbamento) stavano cambiando il volto alla città. Si
tratta di una ‘città’ che contiene in sé almeno altre ‘due città’: la prima costituita da un gran numero
di abitanti defavoriti e costretti nelle bidonvilles della periferia, l’altra definita dalle espansioni resi-
denziali delle classi agiate e dalle nuove zone amministrative e terziarie.
Ma la situazione, dall’Indipendenza in poi, non è così semplice. Si può dire che, all’epoca, un insie-
me di ‘ingredienti’ plasmò una nuova frontiera urbana attorno alla città: la sovrappopolazione della
medina, esemplificata dall’utilizzo stabile dei fondouks e degli oukalas29, ne peggiorò le condizioni
di degrado e quindi portò all’impossibilità di contenere ulteriore popolazione, la quale, spostandosi
in aree periferiche, andava a costituire quella che oggi conosciamo come gourbiville30, quartieri
spontanei ed ‘irregolari’ cresciuti a dismisura nel tempo e su sé stessi, in gran parte autocostruiti
dagli abitanti, realizzati senza nessun tipo di pianificazione o di servizi. I primi accampamenti di po-
polazioni nomadi intorno alla città si videro negli anni Trenta31, ma la costruzione di vere e proprie
gourbiville ebbe inizio nel 1943 con il primo quartiere, Jebel Lahmar. Ne seguirono molte altre, ed
entro il decennio 1943-53 “l’abitato spontaneo faceva parte dell’ecologia urbana tunisina”32, con
circa 100.000 abitanti33, una cifra impressionante in rapporto alla popolazione totale di Tunisi alla
stessa data (410.000 abitanti). Ha così inizio una veloce trasformazione fisica e sociale della città,
avvenuta attraverso una vera e propria evoluzione dell’esclusione fisica e sociale34, affiancata da
una forte crescita demografica.
A fianco di tale dinamica insediativa, dovuta alla pressione demografica seguita alla fine della Se-
conda Guerra Mondiale, si registra una ulteriore espansione delle piccole abitazioni in proprietà
entro lottizzazioni sparse, prive di connessioni spaziali con il resto della città, situate nel Nord
dell’agglomerato, in posizione elevata rispetto alla città compatta.
In breve, sia la popolazione autoctona a basso reddito che quella francese più agiata concorsero
alla costituzione di una nuova città, ‘altra’ rispetto alla città europea ortogonale e alla densità della
medina.
Tabella 1.
La crescita demografica
nella città di Tunisi
(Fonte: Stambouli F.,
(1996), Tunis city in
transition)
Per rispondere a tali problematiche venne istituita, entro una “politica ambiziosa di costruzione e
ricostruzione”35, un’agenzia di architettura ed urbanistica che, sotto la diretta direzione della Fran-
cia Liberata36, di fatto esautorò la direzione dei Travaux Publics della Municipalità dalla responsa-
bilità sulla pianificazione della città. Questo nuovo servizio, gestito e diretto dall’architetto Bernard
Zehrfuss, grand prix de Rome e architetto di fama internazionale, si avvalse del lavoro di ben 19
professionisti francesi i quali, pur nella penuria di materiali da costruzione e nella scarsa conoscen-
za delle moderne tecniche occidentali che segnavano il Paese, si adoperarono per redigere progetti
34 A tal proposito si traduce e si riporta un ampio stralcio tratto da Stambouli F (1996) Tunis city in transition apparso su Environ
ment and Urbanization n 8/96: “Tre fasi possono essere identificate per delineare l’evoluzione dell’abitazione popolare a Tunisi:
La prima generazione spontanea di case urbane popolari (1943 1956) le intra gourbivilles città o in bidonvilles che sono state
organicamente connesse alla città, cioè ai poli (tra loro giustapposti) della città araba medievale (medina) e della città francese
moderna.
Il secondo tipo di case urbane popolari, sviluppatosi fino alla metà degli anni 1970 è stata una conseguenza del livello insolitamente
alto di sovraffollamento nella maggior parte delle aree della città vecchia. In quanto tale, non era una nuova forma spaziale.
Una terza fase di inurbamento spontaneo case popolari autocostruite peri urbane rappresenta un fenomeno nuovo e originale
sociologicamente e da un punto di vista urbanistico. In contrasto con la gourbivilles di prima generazione, quelli che vivono nelle più
recenti comunità peri urbane non sono migranti rurali sradicati, ma famiglie a basso reddito provenienti da aree affollate della città,
in particolare dalla medina ormai impoverita e decadente e dalle gourbivilles intra urbe. Inoltre le loro abitazioni, lungi dall’essere
precarie come è stato nel caso della bidonvilles precedenti, presentano strutture relativamente buone, ma sono costruite sul suolo
pubblico senza l’approvazione ufficiale, terreno che è stato precedentamente venduto illegalmente da una sorta di “developer pirata
(su questo si veda Chabbi M. (1988), The pirate sub developer: a new form of land developer in Tunis in International Journal for
Urban and Regional Research, Vol.12, No.1., ndr). In conclusione, a partire dal 1975, la metropoli Tunisina ha vissuto un rinnovo
della sua forma urbana, che può essere osservato tramite il sistema della residenza precaria. Queste nuove strutture sono emer
genti e la trilogia classica di Medina Città europea gourbiville, che per lungo tempo ha caratterizzato la lettura coloniale della città di
Tunisi, è diventata obsoleto. Oggi, l’urbanizzazione a Tunisi avviene nella periferia, suo principale teatro, è la città regione è il suo
orizzonte futuro.
35 Santelli S (1995) Op cit pg 74
36 France Libre, un organizzazione di resistenza al nazi fascismo nata durante gli anni della Seconda Guerra paragonabile al CLN
italiano
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 167
di pianificazione e di architettura per tutta la Tunisia, con un certo riguardo rispetto alla tradizione
locale e con strette relazioni con i professionisti del luogo.
L’atelier di Zehrfuss, nel periodo della ricostruzione post-bellica, diede così avvio ad una ‘modalità’
di costruire la città attraverso il riconoscimento delle reali capacità locali (tecniche e materiali) e con
la conseguente costruzione di opere riferite al contesto. Così facendo, Zehrfuss ha aperto la stra-
da al riconoscimento di una pratica locale della professione di architetto che, però, non ha avuto i
risultati sperati sul piano urbanistico: lo Schéma d’Aménagement de la Region de Tunis (1945) ad
opera dell’atelier è sicuramente da ritenersi un passo avanti rispetto al Plan Chevaux-Eloy, per via
dell’interpretazione territoriale di vasta scala e per la chiarezza con la quale affronta i temi cruciali
dell’agglomerato tunisino, senza dover ricorrere a tautologiche cesure fisiche. Nei fatti, però, il risul-
tato più evidente del piano è che “va ad aprire l’urbanizzazione della zona Nord di Tunisi, aldilà del
verde che costituisce il Parco del Belvedere”37. E’ facile comprendere che tale impostazione non
fece altro che assecondare alcuni forti ‘appetiti speculativi’ dell’epoca, pur se inserita entro una vi-
sione più ampia ed organizzata di pianificazione regionale attribuibile a Zehrfuss ed al suo atelier.
Ed è proprio dall’atelier di Zehrfuss che proviene Mohamed Ali El Annabi, il ‘polytechnicien’ che
elaborò un interessante modello di città islamico-europea per rispondere al problema dell’armo-
nizzazione di parti tra loro in evidente conflitto (la medina e la città europea, la città spontanea
e le industrie, ad esempio). Attraverso uno schema perfettamente speculare, El Annabi concepì
una struttura urbana impostata sulla superiorità dei modelli urbanistici europei, collocando in tale
impalcatura gli elementi tipici della cultura araba. Il modello, pur se avvincente per via della carica
utopica38 che ‘lo muove’, perde molto senso proprio nel momento in cui cerca di assecondare le
forme di una struttura urbana tradizionale alle esigenze tipiche della città produttiva dell’Ottocento.
L’influenza del lavoro di Zehrfuss è riconoscibile nell’impostazione di ‘vasta scala’ del Plan Direc-
teur d’Aménagement del 1948, ad opera dell’architetto Deloge che, attraverso un interessante pia-
no decisamente ‘organicista’ - con forme sinuose immerse nel verde e una rete ferroviaria capillare
- cercò di costituire un assetto funzionale di ampio respiro che, però, non ebbe molta fortuna e che
si può quindi annoverare tra le speranze inattuate di Tunisi. Ai nostri fini, è importante sottolineare
che questo è il primo piano urbanistico che prevede una ‘zone de loisirs, sports et tourisme’ sulle
rive del lago di Tunisi, cosa che, come vedremo, ha avuto un seguito concreto (pur se scollegato
completamente dal resto delle previsioni di Deloge).
Nel 1954, con il Plan de la Commune de Tunis a firma dell’architetto Berlanger, si istituisce il primo
strumento urbanistico di valore giuridico della città, cercando un difficile equilibrio tra le differenti vo-
lontà speculative e dando così vita a problemi di ordine interpretativo e morfologico: la zonizzazione
imposta sulle aree attribuì distinzioni o accorpamenti dei territori urbanizzati largamenti fittizi39,
senza la minima preoccupazione di considerare lo sviluppo territoriale nel suo insieme regionale.
Anche questo piano non vide attuazioni di grande rilievo, cercando per lo più di avallare situazioni
già in divenire o già definite sin dal piano di Valensi del 1920.
Intanto, questo susseguirsi di piani e di proposte di piano della prima metà del Novecento non fece
altro che acuire lo stato di degrado della medina e quindi della segregazione etnica cui fu sottoposta
la popolazione tunisina.
Con l’Indipendenza del 1956, lo stato tunisino cercò di dare inizio a grandi trasformazioni di tipo
sociale ed economico e, conseguentemente, territoriali. Entro un sistema economico che, all’indo-
mani dell’Indipendenza, è sostanzialmente quello ereditato dai 75 anni di colonizzazione francese,
lo stato centrale cercò anzitutto di promuovere lo sviluppo attraverso la nazionalizzazione delle
industrie e delle attività economiche a scala nazionale (1956-62), per poi passare ad un sistema
di completa pianificazione economica (1962-1970)40, al fine di ricostruire una economia nazionale
che “dopo il lungo letargo della dipendenza (aveva il) bisogno improcrastinabile di riconquistare la
fiducia del popolo, per indurlo a partecipare ad un’azione corale”41.
Sotto il punto di vista urbanistico la città conobbe un periodo di alta instabilità, dovuta al dirigismo
economico e burocratico dello ‘stato pianificatore’ da una parte, e dalla crescente disparità fisica
e sociale tra le parti della città. Con una felice espressione, presa in prestito dal documento sul
District de Tunis redatto da Ahmed42, è possibile sostenere che “da una segregazione etnica si
passò ad una esclusione sociale”. Ne è un esempio il trattamento delle urbanizzazioni ‘irregolari’,
che vide da una parte una politica statale di de-gourbificazione (eliminazione delle gourbivilles e
spostamento degli abitanti in costruzioni ‘in duro’, costruite e gestite a livello centrale) e dall’altra
l’impossibilità di risolvere il problema, dovuta allo ‘sfruttamento’ della rendita urbana generata dalle
classi medie e agiate, garantendo loro terreni qualificati, non permettendo di rispondere adeguata-
mente al bisogno di aree fondiarie a prezzi abbordabili43. Il risultato di tale doppio atteggiamento,
prolungatosi anche nel periodo successivo - e forse sino ai giorni nostri - è stata l’esplosione ter-
ritoriale della gourbiville in quanto politica reale, ma non ufficiale, per il trattamento del problema
abitativo a Tunisi44. Tutto ciò andava ad acuire il divario tra l’habitat informale e le nuove residenze
di pregio del settore Nord della città, sottolineando a dismisura l’importanza della ‘terza città’ tunisi-
na, a detrimento dello spazio storico della medina, ormai in uno stato di degrado avanzato, e della
città europea coloniale.
In campo urbanistico, il periodo tra il 1956 ed il 1970, vide la compenetrazione di due scale differen-
ti: a livello locale, si cercò di rispondere allo stato di degrado della medina attraverso una percée,
un taglio di notevoli dimensioni (un boulevard di 45 metri di larghezza) che, oltre a spostare un
notevole numero di persone, avrebbe congiunto l’Avenue Habib Bourguiba con il centro del potere
politico, la Casbah, senza relazioni evidenti con la moschea Zitouna. Attraverso un segno di chiara
matrice ‘ideologica’45 si cercò di introdurre una vera cesura con il passato, che potesse portare la
città ad una nuova configurazione, sia in termini morfologici che distributivi. Indirettamente, questo
atteggiamento da parte dello Stato, diede vita ad un movimento di opposizione al piano e di salva-
guardia del valore storico della medina, l’Association de Sauvegarde de la Medina (ASM) di Tunisi,
nata nel 1967. Numerosi progetti di restauro, conservazione e di divulgazione sono stati intrapresi
dalla ASM sin dalla sua nascita, garantendo così una certa vitalità della medina, più volte minac-
ciata da piani dirigisti.
A livello metropolitano, la città cercò di dotarsi anzitutto di un piano generale, il Plan Directeur du
Grand Tunis (1962), quindi di un Plan d’Aménagement de la Commune de Tunis (1964), sino alla
nascita del District du Grand Tunis del 1972.
I primi due strumenti videro all’opera due tra i più noti architetti e urbanisti italiani dell’epoca, Ludovi-
co Quaroni e Giancarlo De Carlo. Loro intenzione fu quella di considerare, come un unico insieme,
la città di Tunisi ed i tredici comuni confinanti, per dar vita ad uno schema generale, ad uno “studio
di coordinamento tra differenti intenzioni di gestione e pianificazione che aiutasse l’amministrazione
nella redazione di un programma di riorganizzazione generale della capitale”46 al quale potesse poi
seguire un Plan d’Aménagement coerente alle premesse generali.
Merito dei due architetti è l’aver introdotto alcune grandi tematiche che tutt’oggi sono al centro del
dibattito urbanistico tunisino: una rete stradale di ampio respiro con nodi e collegamenti a livello
regionale; una chiara definizione delle vocazioni e dei ‘ruoli’ delle diverse parti dell’agglomerato
urbano (zone residenziali, a verde, industriali); un programma dell’accrescimento urbano sostenuto
attraverso la definizione di numerose cinture verdi attorno ad altrettanti nuovi nuclei residenziali, in
modo da evitare la dispersione e la congiunzione periferica della città. Entro tale struttura generale,
alcuni elementi definiscono l’impalcatura del piano: la ‘famosa’ via X, che incrocia grandi direttrici
N-S e E-O nel quartiere francese, nei pressi della Medina; l’importanza dell’aeroporto (a Nord del
lago di Tunisi) e, per contro, dell’area industriale (a Sud del lago); la definizione di una ‘maglia del
verde’ entro il tessuto di nuova formazione. Tra gli elementi che hanno subito critiche47 troviamo
la scarsa attenzione allo spazio aperto non edificabile (semplicemente suddiviso in ‘zona rurale
normale’ e ‘zona agricola specializzata’) e soprattutto la decisione di inserire una strada di collega-
mento veloce N-S che attraversasse la parte bassa della Medina, in corrispondenza del cambio di
scala dato dalla giustapposizione della città europea (vedi fig. a pag. 177). Una decisione che, an-
che all’osservatore meno avvezzo all’interpretazione causale, pone alcuni quesiti in ordine alla pos-
sibilità di integrare la città araba tradizionale con le forme scaturite dalla modernità occidentale: è
45 l Partito Socialista Neo Destouriano di Habib Bourguiba aveva una chiara matrice laicista e questo ebbe riflessi sulle politiche
territoriali
46 Abdelkafi J (1989) Op cit pg 124
47 Cfr. Abdelkafi J (1989) Op cit
170 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
possibile che Quaroni e De Carlo volessero intenzionalmente separare ciò che - intimamente - non
può essere connesso? E, parallelamente, la prevista ripetizione di uno schema ‘introverso’ - anche
per il nuovo edificato periferico - può aver significato la ricerca di nuove prospettive urbanistiche per
le città dei PVS, coerente con le modalità aggregative del luogo? Quesiti di notevole importanza,
ai quali però sarebbe opportuno rispondere con gli strumenti corretti (tavole e relazioni di piano) e
nelle sedi appropriate (una trattazione specifica del tema48).
Dal 1970 in poi il ruolo dello Stato venne ridimensionato - pur nell’ottica di un controllo centralizzato
del territorio - e conseguentemente si diede maggiore spazio alle iniziative promosse dagli indu-
striali e dai commercianti e ciò favorì gli investimenti stranieri sul territorio tunisino. Si può affermare
che il periodo ‘pianificato’ si concluse con il governo Ben Salah nel 1970 e che, in assenza di stra-
tegie definite, i nuovi investimenti in entrata andarono a rigonfiare i poli di sviluppo già esistenti,
ponendo le basi per un aumento dello squilibrio regionale49. Tunisi divenne il “crinale delle decisioni
politiche (...), delle relazioni internazionali (...), sede di banche d’affari e (con ciò) consentiva ad una
borghesia commerciante ed industriale locale ed internazionale di svilupparsi e di condurre a buon
fine la sua attività contrattualistica e negoziale”50. Inoltre, la città continuò ad essere meta di una in-
cessante immigrazione essenzialmente rurale, dovuta all’impoverimento delle campagne limitrofe.
Questa situazione portò ad un aumento vertiginoso della popolazione insediata51 e ad una notevole
estensione della conurbazione. In questo ‘clima’, nel 1972, nacque il District de Tunis, un organismo
pubblico dotato di autonomia finanziaria, con competenze territoriali sui tre governatorati: Tunis,
Ariana e Ben Arous.
Il District de Tunis diede vita, durante gli anni ‘70 e ’80, a numerosi strumenti urbanistici52 a livello
sovracomunale, tra i quali i principali sono:
- lo Schéma Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme;
- il Rapport d’Orientation del 1975 e il Plan Regional d’Aménagement (PRA) del 1977;
- il Plan Vert del 1977;
- il Plan Directeur d’Urbanisme du District de Tunis nel 1985.
E’ da sottolineare, però, che il rapporto tra il District e lo Stato centrale non è mai stato comple-
tamente lineare e che, dagli anni ‘80 in poi, si è incrinato notevolmente sino a determinare lo
scioglimento dell’ente da parte dello Stato, avvenuto all’inizio degli anni ‘90. A prova di ciò la pro-
mulgazione del Code d’Urbanisme da parte del governo nel 1979, codice che promuove tre livelli
di pianificazione locale, indipendenti dalla pianificazione regionale, cioè quella a cui si riferisce il
District de Tunis. I tre livelli sono:
- plans directeurs d’urbanisme (PDU), di livello sovracomunale;
48 E molto scarsa la letteratura italiana su questo pur importante piano che ha segnato un punto di riferimento per l urbanistica
tunisina
49 Cfr Abdelmoula K Cidonio G Giammetta G Giammetta M (1993) Op cit
50 Tratto da Abdelmoula K Cidonio G Giammetta G Giammetta M (1993) Op cit pg 42
51 Cfr Amodei M (1985) Tunisi 1960 80: pianificazione e gestione urbana in Jatta A Rossi S (1985) Il Territorio da costruire:
pianificazione urbana e territoriale in Africa L agglomerazione di Tunisi passa dai 560 000 abitanti del 1956 a 1 037 000 nel 1980
Nel 1975 circa il 30% degli abitanti di Tunisi abitava le gourbivilles
52 nformazioni tratte da District de Tunis Republique tunisienne Ministere de l interieur (1985) Le District de Tunis, Ses attribu
tions documento informativo a cura del ministero
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 171
Sempre in questo periodo, dal 1968 al 1981, ebbe luogo un primo ‘progetto urbano’ a Tunisi o,
meglio, un importante ‘esperimento’ di urbanistica operativa: il progetto statale di rinnovamento
dell’antico quartiere ebraico di El Hafsia, ormai divenuto un grande vuoto urbano dopo la demolizio-
ne dei resti fatiscenti del ghetto. Questo interessante progetto ‘in divenire’ (vide numerose proposte
negli anni di gestazione) mostrò anzitutto l’abilità dell’associazione ASM per la salvaguardia della
Medina, in quanto riuscì a ‘spostare’ l’attenzione da un progetto classico, ‘a barre’ e isolati, verso
un progetto che potesse integrare le forme tipiche della Medina con la necessità di fornire residenze
a basso costo, spazi per il commercio e per la vita pubblica contemporanea. Elementi quali case a
corte e patii privati, anditi irregolari e piazzette pubbliche introverse vennero composti con zone per
servizi, aree sportive e scuole, incardinati su una strada veicolare principale, in un mirabile ‘inca-
stro’ che, tutt’ora, indica una via molto interessante per la declinazione morfologica dello spazio di
matrice islamica verso le esigenze della società contemporanea. (vedi imm. pg. 195).
Dal 1987, dalla presidenza Ben Ali in poi, il Paese ha dato inizio a tre processi che marcano l’evo-
luzione della gestione urbana da parte del settore pubblico53. Anzitutto un processo di mutazione
dell’economia, all’interno di un Plan d’Ajustment Structurel (PAS), che ha accentuato la dipendenza
del Paese dalla Banca Mondiale54. La privatizzazione dei beni dapprima pubblici e la liberalizzazio-
ne completa del mercato, segna la trasformazione economica del Paese da un’economia di rendita
ad una economia produttiva, di cui comunque lo Stato centrale è sempre elemento ‘direttore’.
Secondariamente, sempre con il sostegno della Banca Mondiale, la Tunisia ha iniziato una politica
di decentralizzazione dei poteri, in favore delle amministrazioni locali e regionali. Questo trasferi-
mento di competenze, parallelamente, favorì lo sviluppo di associazioni e di ONG che concorrono
alla gestione della ‘cosa pubblica’, associazioni comunque sempre riferibili al partito RCD55 del
presidente Ben Ali. Il dato interessante, ai nostri fini, è la perpetua presenza dello Stato che, sotto
altre forme, definisce anche a livello locale le politiche pubbliche.
Infine, vi è stata una ridefinizione degli strumenti di pianificazione, conseguentemente alla ristrut-
turazione dei dispositivi giuridici: nel 1994 lo stato ha promulgato un nuovo Code de l’Aménage-
ment du Territoire et de l’Urbanisme, detto CATU. In questo, lo Schéma Directeur d’Aménagement
(SDA) viene designato come strumento di coerenza generale alla scala regionale, seguito, alla
scala comunale dal PAU (Plan d’Aménagement Urbain) che al primo deve conformarsi e che stabi-
lisce la concertazione decisionale durante la propria elaborazione. Il PAU è dotato di due strumenti
operativi principali, i PIF (Périmètres d’Intervention Foncière, equivalenti degli ZAC francesi) e i
PRF (Périmètres de Réserves Foncières, equivalenti degli ZAD francesi).
Come fa notare Pierre-Arnaud Barthel56 “questo nuovo Codice sostiene il principio di una elabo-
razione distinta degli strumenti di pianificazione: da una parte gli SDA che vengono negoziati con i
Comuni, e dall’altra parte i PAU, negoziati con le collettività locali e regionali”.
Entro questi termini, anche lo Stato ha assunto una duplice ‘forma’: da una parte ha notevolmente
diminuito la propria influenza sulle politiche locali, lasciando alle dinamiche del mercato e della
concertazione locale le decisioni sulle trasformazioni; dall’altra ha dato vita ad un gran numero di
agenzie, a partecipazione prevalentemente statale, con il compito di dare luogo e sviluppare preci-
se funzioni ritenute di importanza nazionale.
Questa mancata relazione tra previsione di piano e realtà urbana è particolarmente evidente nelle
trasformazioni della ‘terza città’ di Tunisi: da una parte piani locali di sviluppo delle periferie ‘irrego-
lari’ e di ricostruzione del tessuto locale58, sociale ed economico, si scontrano con l’acquiescenza
della politica per la casa, incapace di fornire alternative strutturali alla ‘città irregolare’; dall’altra, un
notevole ritardo nel gestire l’accrescimento dell’agglomerato urbano non permette di riconoscere e
affrontare alcuni pressanti temi59, oggi particolarmente evidenti, quali:
- il continuo ampliamento del settore Nord della città (i vari quartieri pianificati e ‘numerati’);
- l’espansiva crescita delle zone ‘irregolari’ dell’Ovest e del Sud e la difficoltà nell’accedere ai servizi
urbani da parte degli insediamenti esistenti;
- l’adozione incondizionata dell’azzonamento nella creazione dei PAU comunali, che ha dato forma
ad una specializzazione spaziale e, quindi, ha spinto verso la segregazione sociale;
- la divisione spaziale tra l’antica medina e il tessuto storico della città europea, sempre più accen-
tuata;
- la dispersione urbana, che ha dato vita all’idea di un città ‘esplosa’;
- il problema della rete dei trasporti pubblici (reso comunque meno gravoso dalla metropolitana
leggera di superficie);
- il poco interesse verso il rispetto dell’ambiente;
In conclusione, entro il quadro generale definito dallo sviluppo sostanzialmente autonomo di ‘tre
città in una’ - la medina, la città coloniale europea e la città post-coloniale - è anzitutto possibile
rimarcare il ruolo dell’ultima ‘città’ segnalata che, con le sue aspettative, problemi, piani e differenti
tessuti (espansione irregolare a Ovest e Sud, espansione residenziale a Nord, nuovi quartieri am-
ministrativi e commerciali a Est e Nord) è sicuramente la protagonista contemporanea.
Su questa fragile impalcatura urbana e attraverso le maglie larghe di una pianificazione poco attesa
nei fatti, da qualche decennio vengono ‘calati’ grandi progetti urbani, atti allo sviluppo di aree boni-
ficate prevalentemente situate tra la città ed il mare, cioè lungo le rive del Lago di Tunisi, ma anche
nel tessuto denso e attivo della città coloniale.
Questo modo di ‘fare la città’ a Tunisi, non privo di contraddizioni, sarà oggetto dello studio e
dell’analisi dei casi seguenti.
58 Cfr Chabbi M (1999) Réhabilitation des quartiers populaires en Tunisie: de l’intégration à la regulation sociale in Signoles et al
(a cura di) L’urbain dans le monde arabe. Politiques, instruments et acteurs, CNRS éditions Aix en Provence
59 Problemi in parte segnalati da Ahmed A District de Tunis (1991) Journees d’Etude sur le Plan Directeur d’Urbanisme du District
de Tunis (Giugno 1991) testi tratti dalla sessione plenaria dal titolo L’experience particuliere de la region de Tunis en matiere de
planification urbaine.
174 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 51.
I Grands Projets
Urbains à Tunis. Il
presente documento,
a cura di Urbaconsult -
Tunis e mantenuto nella
sua versione originale,
mette in relazione i
progetti urbani con
le dimensioni del
centro storico (medina
e città europea), oltre
ad individuare le future
espansioni della me-
tropoli (Fonte: Chabbi
M., 2009, Op. cit. -
Urbaconsult)
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 175
Dall’Indipendenza del 1956 in poi, lo Stato centrale ha definito le linee della politica territoriale e
fondiaria, dapprima parallelamente alla pianificazione economica, poi - dagli anni ‘70 - in modo più
coerente alla liberalizzazione dei mercati, mantenendo comunque un ampio potere discrezionale,
anche attraverso le sue differenti diramazioni locali.
Sino a tutti gli anni ‘80, lo Stato ha avocato a sé una serie di compiti60, tra i quali: la politica infra-
strutturale regionale e locale; la politica di riabilitazione e rinnovamento dei tessuti urbani di Tunisi
(progetto El Hafsia, Mohamed V, ad esempio); un nuovo tentativo di migliorare le condizioni di vita
nelle gourbivilles, attraverso i “projet urbain” dei quartieri periferici; la costruzione di quartieri resi-
denziali per classi medie; infine, la pianificazione spaziale alle diverse scale.
Dagli anni ‘90 si può dire che il ruolo dello Stato tunisino abbia subito una chiara trasformazione:
dal controllo diretto delle politiche territoriali alla devoluzione di tale mandato a favore di molteplici
centri locali, sfavorendo la correlazione tra pianificazione territoriale ed investimenti economici, co-
munque centralizzati. La mancanza di mezzi necessari alle grandi trasformazioni di ‘pezzi di città’,
come nel caso di Tunisi, ha fatto sì che lo Stato “aprisse i giochi della costruzione urbana”, da una
parte ai promotori privati e a gruppi finanziari tunisini, dall’altra a investitori internazionali (banche
straniere - arabe e europee - holdings finanziarie). Territori ‘appetibili’ per tali investitori si potevano
facilmente trovare nella ‘terza città’ tunisina: nei quartieri periferici e in aree ‘da conquistare’ al lago
(attraverso la bonifica). In breve, “la politica della modernizzazione della capitale era stata condotta
al grado di opportunità fondiaria e poi finanziaria. (...) La caratteristica di queste operazioni immobi-
liari pubbliche e private è la deroga agli orientamenti ed alle regole dell’urbanistica! ”61.
Dapprima furono gli investitori tunisini ad essere coinvolti in operazioni di trasformazione urbana
più contenute. Poi, dal 1990, lo Stato ha cercato di attirare investimenti diretti provenienti dall’estero
(IDE) attraverso progetti più ampi, vere e proprie parti di città, grandi progetti urbani62.
Tabella 2.
Il flusso degli IDE,
secondo i dati dell’Ist.
Nazionale per il Com-
mercio Estero Italiano
(Fonte: INCE, 2009)
In questo periodo, Tunisi è entrata in una fase che, ancora seguendo Barthel, si può definire di “ur-
banistica dell’opportunità”, che conduce gli interessi (pubblici e privati) verso aree a forte potenziale
fondiario e di possibile rendita futura. Lo Stato diventa quindi una sorta di ‘promotore fondiario’,
orientando l’ingresso di offerte private, interne ed esterne, e concentrando i propri sforzi sulla co-
I risultati di tale politica, sono progetti nei quali lo Stato può essere parte integrante dell’operazio-
ne finanziaria, come il Berges du Lac del 1986, oppure essere semplice ‘mediatore’ tra superfi-
cie fondiaria e immobiliaristi, come nel recente caso del Lac Sud. E’ da sottolineare che questa
linea intrapresa dallo Stato è fonte di ambiguità e di opacità: si tratta infatti di uno “Stato-Partito
neopatrimoniale”64, che al centralismo del periodo di Habib Bourguiba ha preferito l’ingresso del
partito nella società, intrattenendo rapporti clientelari fondati principalmente su relazioni personali e
che all’interesse pubblico può facilmente anteporre l’interesse privato. Chiaramente, questa ‘quali-
tà’ non connota solamente il governo tunisino, ma qui è particolarmente legata a interessi fondiari.
Più recentemente hanno avuto inizio progetti urbani di una scala molto più importante del progetto
Berges du Lac, progetti negoziati sin dagli anni ‘90, ma resi pubblici e portati all’attenzione della
popolazione solo nel 2008. Progetti di ‘nuova generazione’ che, come ipotizza Morched Chabbi65,
si avvalgono dell’importazione di modelli urbani anglo-americani e che verosimilmente rischiano di
produrre, alla ricerca di guadagni elevati, una serie di ripercussioni sul funzionamento della città e
sui fragili equilibri urbani.
La ricerca di investimenti diretti esteri (IDE) è da molto tempo un imperativo per il Sud del mondo, la
cui capacità d’investimento è limitata. Il governo tunisino, come già segnalato, si è speso molto per
poter accedere in differenti campi ad investimenti internazionali sul proprio suolo nazionale66.
Come segnalato dai dati dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero italiano, gli IDE sono in forte
crescita e questo dato dipende fortemente dagli investimenti nel settore turistico ed immobiliare.
Inoltre, come già introdotto nel capitolo 1, la globalizzazione ha portato le città ad essere nodi di una
rete di scambio economico (finanziario e commerciale) mondiale, portando parti di esse (aeroporti,
centri direzionali, distretti del commercio) a connettersi con l’economia globale; parti di città che, per
accedere a tale connessione, devono avere punti di forza e attributi di standard internazionale67.
Tunisi, al fine di diventare un punto di collegamento per l’economia maghrebina e mediterranea,
si è impegnata in un ambizioso programma di investimenti, entro una visione strategica che possa
63 A titolo esemplificativo si vedano i numerosi articoli riguardanti tali progetti sulle prime pagine del più grande giornale tunisino
La Presse
64 Barthel P A (2006) Op cit pg 57 E da ricordare che il partito del presidente Ben Ali RCD Raggruppamento Costituzionale
Democratico è erede del partito di Bourguiba il Partito Socialista Neo Destouriano l RCD nelle votazioni presidenziali ha sempre
avuto più del 90% dei consensi
65 Cfr Chabbi M (2009) Op cit
66 “Secondo i dati recentemente pubblicati dalla FIPA Tunisia, gli investimenti esteri diretti (IDE) in Tunisia continuano a progredi
re, e nel 2008 hanno raggiunto un ammontare record di 3.127.3 milioni di dinari (escluso portafoglio), con un aumento del 51% in
rapporto all’anno precedente. Questa dinamica è stata favorita dallo sviluppo degli investimenti nei settori del turismo e immobiliare
che hanno beneficiato di 192.3 milioni di dinari, contro solo 72 nel 2007 Tratto da stituto nazionale per il Commercio Estero talia
(2008) Rapporto Tunisia
“Gli investimenti diretti esteri ( DE) in Tunisia mostrano una ripartizione per paese di origine con un predominanza degli Emirati Arabi
Uniti tra il 1997 2006 che registrano un tasso di crescita del 26 26% per un volume totale di 3 020 9 milioni di dinari tunisini ( )
Tratto da Les emiratis, premiers investisseurs étrangers en Tunisie di MSM in http://www babnet net/rttdetail 11121 asp scaricato
il 27 01 2008
67 Elsheshtawy Y (2004) Planning Middle Eastern cities: an urban kaleidoscope in a globalizing world Ed Routledge New York
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 177
portare la città a sviluppare nuove caratteristiche tecniche, economiche e culturali. Queste caratte-
ristiche sono destinate, secondo gli intenti, ad attrarre investimenti diretti esteri, pertanto, nel 1995
la città ha lanciato il progetto di sviluppo di Tunisi per il 2020. Questo ha permesso, da parte dello
Stato, di programmare la possibilità di sviluppare servizi nella Grande Tunisi e potenziare le sue
attività economiche, sociali e culturali attraverso decisioni prese sin dalla metà degli anni ‘90.
Questo orientamento ha effettivamente attratto IDE per i grandi progetti urbani promossi dallo Sta-
to. Ciò è valso principalmente per i seguenti progetti:
a) Progetto Boukhater (Lago Nord) - Città dello Sport
b) Progetto Sama Dubai (Lago Sud) - Porte de la Méditerranée
c) Porto finanziario di Tunisi
d) Progetto di Bled El Ward
A questi progetti internazionali c’è da aggiungere il progetto municipale di re-aménagement del
quartiere di Petite Sicile, entro un quadro di recupero del patrimonio coloniale esistente e di svilup-
po del waterfront dell’area portuale.
Segue una breve descrizione dei singoli progetti.
Situato nella zona a Nord di Tunisi, il progetto si estende su una superficie di 450 ettari e oltre alle
componenti di cui sopra, il progetto prevede un porto turistico, una zona residenziale e commercia-
le, un campo da golf e una scuola di Business Administration.
In aggiunta alle previsioni definite dal rapporto tra acqua e città, costante di tutte le operazioni sopra
descritte, è da inserire tra i progetti urbani di Tunisi il progetto per la riqualificazione del quartiere
Petite Sicile, zona di transizione (anche nel PAU vigente) tra la città coloniale europea e il vecchio
porto di Tunisi, a confine con la Porte de la Méditerranée di Sama Dubai. Trattasi degli isolati, già
descritti nel par.4.1, dove si insediarono numerose officine gestite da artigiani e imprenditori italiani
sul finire dell’Ottocento e che, tutt’ora, mantengono il caratteristico fascino dei quartieri di angipor-
to.
Questo progetto, a cavallo tra un piano di riqualificazione del tessuto ottocentesco e il progetto
urbano su ‘friche ‘ vacante, consta di una difficile ricognizione dello stato delle residenze e delle at-
tività insediate, nell’ipotesi di uno spostamento della popolazione, nel recupero dei fabbricati storici
e nell’abbattimento di strutture ritenute fatiscenti e infine nella costruzione, verso il litorale, di torri
per uffici, laddove sorgeva il porto.
Il budget sino ad ora stanziato, solo per la fase di ricognizione e recupero dei palazzi storici, è di
circa 17 milioni di euro, di cui 8 stanziati dalla Cooperazione italiana, interessata alla conservazione
degli edifici storici di matrice italiana. Per le fasi successive, la municipalità di Tunisi auspica l’in-
gresso di capitali privati stranieri.
Salta subito all’occhio il differente impegno economico stanziato per i grandi progetti urbani, rispetto
a quello profuso per il recupero ed il rilancio dell’area centrale di Petite Sicile.
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 179
Planimetria 14.
Plan Directeur du
Grand Tunis, 1962,
Quaroni - De Carlo.
Con la prevista bonifica
ed il tessuto industriale
(Tratto da: Jatta A.,
1985, Op. Cit.)
Planimetria 15.
Plan d’Aménagement
de la Commune de Tu-
nis, 1962, Quaroni - De
Carlo. (Tratto da: Jatta
A., 1985, Op. Cit.)
180 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il progetto è localizzato sulle rive del Lac Sud di Tunisi, ad Est della città compatta (e quindi
del Port de Tunis e di Petite Sicile) e a Nord dei quartieri di Maqrin, della Cité Chaker e Rades,
caratterizzati da residenze per classi medio-basse e con una forte presenza industriale (950
Localizzazione impianti industriali, circa il 50% dell’intero Paese). Il Lac de Tunis, storicamente luogo della inattuata
interfaccia marittima tra la città ed il mare aperto, ha subito nel tempo gli effetti di numerose fonti di
inquinamento e non ha conosciuto l’integrazione progettuale già prevista nel Plan Valensi del 1920.
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 181
Planimetria 16.
Il PAU del 2004 del Co-
mune di Tunisi (Fonte:
Ville de Tunis, settore
Urbanistica)
Grafico 5.
I differenti modelli
decisionali: tradizionale
e adottato (Elab. G.
Ciarallo su dati tratti
da Chabbi M., 2004,
Op. cit.)
182 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Il primo Schéma de Structure d’Urbanisme è stato redatto dallo studio tunisino Dirasset-Handassia.
Consulenti e Questo non ha avuto seguito nell’integrazione con la pianificazione a scala urbana, come nelle prime
intenzioni. Rimane comunque lo strumento-base sul quale hanno agito le previsioni seguenti.
progettisti L’attuale masterplan di Sama Dubai è stato redatto dall’agenzia giordano-libanese Dar Al Handasah.
Non sono riportati progettisti differenti.
Eventuali In una prima fase è prevalso l’operatore pubblico, con finanziamenti dovuti a investitori stranieri
pubblici. Tutta la prima parte del progetto, cioè la bonifica del sito, è avvenuta con fondi pubblici.
finanziamenti La seconda parte, lo sviluppo del progetto urbano, è totalmente di iniziativa privata, cioè di Sama
privati Dubai.
Costo totale delle Il costo totale del Grande progetto urbano ‘Mediterranean Gate’ di Sama Dubai a Tunisi è stimato in
opere 17 miliardi di euro, una tra le opere più costose al mondo.
2 modello decisionale
Come gran parte della tradizione urbanistica tunisina, il modello decisionale tradizionale è riferibile
a quello francese: un Plan d’Aménagement Urbain definisce gli usi del suolo, dando seguito ad uno
Modello Schéma Directeur che ‘opera’ strategicamente a livello generale, informando i livelli successivi di
decisionale pianificazione. Le principali trasformazioni urbanistiche vengono trattate attraverso norme tecniche
tradizionale che fanno seguito al PAU. L’utilizzo di tali strumenti, però, differisce molto: lo SDAU ha poco potere
decisionale ed il PAU è spesso disatteso (Chabbi, 2006.a) e da ciò ne consegue una certa distorsione
dello strumento (utilizzo clientelare).
Il modello decisionale adottato differisce dal PAU, in quanto si basa su un intervento di importanza
nazionale, quale l’istituzione della SEPTS. Da ciò deriva il fatto che lo Schéma Structure d’Urbanisme
Modello si sia ‘comportato’ indifferentemente dalle prescrizioni di PAU (zona UI per impianti industriali). Il
decisionale modello decisionale si è quindi orientato verso le priorità definite dall’attore pubblico, sulle quali si è
adottato però ‘innestato’, nel 2007, un grande operatore privato, Sama Dubai.
Si tratta quindi di un’azione diretta dello Stato che, attraverso sue agenzie territoriali, ha promosso il
successivo ingresso di capitali privati stranieri.
La revisione della forma urbana è passata anzitutto dalla vasta bonifica sulle rive del lago: ben 850
ettari ‘recuperati’ dalle acque costituiscono una linea di costa ben differente da quella che Tunisi
Sud ha avuto sino a tutti gli anni ‘80. Le infrastrutture che ora ‘attraversano’ l’area o che vi insistono
Modificazione degli compongono il quadro attuale: una linea d’alta tensione ad Est, il nuovo collegamento autostradale
assetti formali e Nord-Sud della Z4 a Ovest, il canale di passaggio delle navi a Nord e l’ampliamento del porto di Rades
relazionali a Est. A tutto ciò si aggiunge una vasta area contaminata da metalli pesanti, in prossimità del porto
industriale.
Entro tale quadro, il progetto prevede l’insediamento di 280.000 persone e di numerose attività
terziarie, oltre a strutture ricettive.
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 183
Immagine 52.
L’area bonificata del
Lac Sud (Fonte: Goggle
Earth, elaborazione
Ciarallo G.)
Planimetria 17.
Lo Schéma de Structure
Urbain dello studio
Dirasset-Handassia
(Fonte: P. A. Barthel,
2006)
Planimetria 18.
Il masterplan del 2008
di Sama Dubai (Fonte:
Sama Dubai, 2008)
184 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Entro il quadro sopra delineato, la relazione tra settore pubblico e privato nell’operazione Lac Sud por-
ta con sé una notevole novità: ciò che, attraverso gli investimenti pubblici della SEPTS, lo Stato aveva
promosso (la bonifica delle aree e la promozione dello Schéma per lo sviluppo urbanistico) al fine di
contenere la speculazione edilizia e per formare una zona residenziale dedicata alle classi medie e
basse (con la presenza dei settori pubblici dedicati alla residenza sociale), si è trasformato completa-
mente in un investimento privato e speculativo con l’ingresso di un grande developer internazionale.
Il fatto più rilevante è, dopo una gestione sostanzialmente pubblica delle opere di bonifica (con una
rilevante parte finanziata dagli Stati Europei), la transazione per la aree fondiarie con il developer pre-
Nuova relazione tra scelto, cioè Sama Dubai: lo Stato si è impegnato a cedere le aree per una cifra simbolica di 1 dinaro
settore pubblico/ (circa 850 ettari ceduti per una cifra simbolica, secondo il Code d’incitation aux investissements: “Ar- Ar
Ar-
privato ticle 52bis: Il Est mis, au profit des investisseurs des terrains nécessaires à l’implantation des projets
importants du point de vue volume d’investissement et création d’emploi, au dinar symbolique. Cet
avantage Est accordé, après avis de la commission supérieur d’investissement, par décret fixant les
conditions d’octroi, de suivi et les modalités de recouvrement.” Cfr. Chabbi, 2008) in cambio dell’im-
pegno, da parte di Sama Dubai, a creare la completa urbanizzazione del territorio, comprese le opere
pubbliche. Il fine principale dello Stato, entro questa operazione, pare essere la creazione di nuovi
posti di lavoro.
In altre parole, lo Stato viene sostituito, in tutte le sue funzioni, dall’operatore privato, portando a termi-
ne un percorso di ‘ritiro’ della componente pubblica dall’azione urbanistica, ma non dalla gestione.
La gestione dell’operazione è delineata dal rapporto tra Stato e operatore Sama Dubai: dopo la ces-
sione statale delle aree all’operatore, quest’ultimo ha dato vita ad un ufficio di vendita e relazione con
il pubblico. L’investimento di Sama Dubai, infatti, non è dissimile da quelli operati a Dubai: lo sforzo
economico è semplicemente sostenuto dalle vendite dirette, condizionando così lo sviluppo del pro-
getto alle regole del mercato (locale e globale) (Cfr. Davis, 2007).
La gestione del progetto è quindi demandata, da parte della componente pubblica, alla capacità at-
Modalità di trattiva dell’operatore che, a sua volta, fonda la propria azione sull’attrazione esercitata da alcuni poli
gestione adottate di eccellenza: hotel, centri benessere, uffici di alta qualità, servizi, etc. Si tratta quindi di un progetto
‘chiavi in mano’, nel quale è difficile trovare traccia di relazioni con il mercato interno tunisino.
Al momento non si ha notizia di un quadro economico alla base di tale operazione, e questo genera
alcune preoccupazioni (Barthel, 2008.b) di ordine gestionale: l’ingresso di grandi operatori interna-
zionali senza il supporto di un “businness plan” che in qualche misura garantisca il loro operato può
dar vita a pezzi di città controllati direttamente dalle fluttuazioni del mercato internazionale, senza la
possibilità di un controllo locale.
capitolo 4 - Un approfondimento: i grandi progetti urbani a Tunisi 185
Immagine 53.
La sede di Sama Dubai
a Tunisi (Foto di Ciarallo
G., 21 ott. 2008)
Immagine 54.
Il modello del progetto
nella sede di Sama
Dubai a Tunisi (Foto
di Ciarallo G., 21 ott.
2008)
Immagine 55.
Il modello del progetto
nella sede di Sama
Dubai a Tunisi (Foto
di Ciarallo G., 21 ott.
2008)
186 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Immagine 56.
Immagine di presenta-
zione, redatta da Sama
Dubai (Tratta da: Docu-
mento di presentazione
del progetto - Sama
Dubai)
Immagine 57.
Immagine di presenta
zione, redatta da Sama
Dubai (Tratta da: Docu-
mento di presentazione
del progetto - Sama
Dubai)
Immagine 58.
Immagine di presenta-
zione, redatta da Sama
Dubai (Tratta da: Docu-
mento di presentazione
del progetto - Sama
Dubai)
188 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
9 fasi di progetto
Le principali fasi del progetto sono così riassumibili:
1983 - creazione della società mista pubblica/privata SPLT (Société de Promotion du Lac de Tunis),
per la bonifica di entrambi i laghi. Le aree prospicienti i laghi sono demaniali;
1985-88 - lavori di bonifica del Lac Nord;
1986 - prima definizione urbanistica dell’architetto franco-danese Hans Barreth, per il Lac Nord;
1990 - creazione della società a capitale pubblico SEPTS (Société d’Etude et de Promotion de Tunis-
Sud), per la bonifica e la promozione del progetto pubblico del Lac Sud;
1997-2001 - lavori di bonifica del Lac Sud;
Evoluzione 2000- pianificazione generale del Lac Sud attraverso lo Schéma de Structure d’Urbanisme, dello
studio Dirasset-Handassia. Individuazione delle linee strategiche generali per l’impianto urbano. Tale
temporale degli Schéma non è ancora stato recepito dal PAU e dalle PAD.
interventi 2005 - sulla base dello Schéma, la SEPTS promuove investimenti privati per la realizzazione del
piano.
2007 - accordo tra lo Stato tunisino (proprietario delle aree, in quanto demaniali) e l’operatore privato
Sama Dubai, della Dubai Holdings, società privata ma a carattere pubblico (in quanto diretta svilup-
patrice della città di Dubai), di proprietà del Principe Al Maktoum, regnante a Dubai;
2008 - Sama Dubai pubblica il masterplan del progetto “Porte de la Méditerranée”, per il Lac Sud e
installa il proprio quartier generale sull’area, per le vendite e lo sviluppo del progetto;
2009 - hanno inizio i lavori di demolizione degli ultimi edifici industriali e di costruzione di alcuni edifici
di rappresentanza: ufficio vendite e urbanizzazioni.
Possibilità di All’interno del piano sono previste 14 diverse fasi. Ognuna di queste fasi dovrà avere un proprio Plan
d’Aménagement. Non è chiaro se, a livello progettuale, potranno intervenire differenti società e/o
apporti diversi progettisti.
Il percorso sin qui tracciato, per una lettura e una possibile analisi dei progetti urbani a Tunisi,
permette ora di impostare alcuni ragionamenti e qualche valutazione sulle modalità di programma-
zione e realizzazione degli stessi. Tale operazione viene condotta mantenendo il focus sulla realtà
urbana in questione, senza cioè allargare lo sguardo alla valutazione comparativa con altre espe-
rienze, operazione che verrà invece eseguita nel prossimo capitolo.
Operativamente, si intende mantenere la suddivisione sino ad ora utilizzata: dapprima si cercherà
di commentare le modalità di programmazione degli interventi progettuali - in relazione al contesto
nazionale - per poi passare alla stesura di alcune considerazioni in ordine alle modalità previsionali
e realizzative.
La programmazione
Alla luce dell’evoluzione degli eventi verificatisi dall’Indipendenza in poi, quindi nella seconda metà
del Novecento, preme anzitutto dare giusta collocazione al ruolo dello Stato quale principale pro-
motore - sotto il punto di vista fondiario - in termini di pianificazione territoriale e quale attore del
cambiamento economico; come detto, lo Stato centrale ha mantenuto (e tutt’ora mantiene) un ruolo
dominante nella definizione delle politiche di sviluppo e di gestione del territorio, passando attraver-
so un’evoluzione nella quale sono individuabili tre grandi fasi:
1956-1970 pianificazione economica e urbana accentrate;
1970-1987 iberalizzazione economica e pianificazione urbana centrale ma ‘multilivello’;
1987-oggi nternazionalizzazione economica e dell’urbanistica “d’opportunità”.
Nel primo periodo, la pianificazione territoriale subì gli effetti di una gestione centralizzata e buro-
cratica da parte dello Stato: numerosi tentativi di gestire l’accrescimento della metropoli e di gover-
nare fenomeni quali la gourbificazione della periferia, non ebbero grande successo. Al contempo
veniva definitivamente fissata una struttura urbana ben precisa: il Nord residenziale-agiato, l’Ovest
destinato alle classi medio-basse, il Sud all’industria, mantenendo il centro direzionale nella città
europea. Ciò avveniva nelle modalità riferibili al “capitalismo di Stato”68, introdotto nel precedente
par. 3.2.
Il secondo periodo vide il passaggio da un’economia pianificata e centralizzata ad un’economia
di libero mercato; ciò ebbe effetti anche sulla pianificazione territoriale, più precisamente nella
devoluzione di compiti di strutturazione territoriale generale a enti sovracomunali, come il District
de Tunis. Lo Stato era comunque ben presente in differenti livelli di gestione del territorio: nelle po-
itiche infrastrutturali, nella riabilitazione e nel rinnovamento di parti del tessuto cittadino (come ad
esempio nella strutturazione della nuova area direzionale di Av. Mohamed V), nella definizione delle
inee programmatiche della pianificazione urbana e, più importante ai nostri fini, nella costituzione
di quartieri residenziali per classi medie, attraverso una politica di promozione dell’abitare tesa alla
formazione di una borghesia considerata ossatura della nuova società tunisina e quindi al consoli-
E’ quindi entro questo quadro che prende inizio la programmazione dei progetti urbani nella Grande
Tunisi: uno Stato deciso nell’attrarre capitali esteri, gruppi imprenditoriali locali e stranieri pronti ad
investire sul suolo tunisino, forme di partenariato che aprono la strada alla contrattazione program-
matica. E’ interessante da notare il fatto che le programmazioni ed i progetti previsti dimostrino una
chiara tendenza alla grandezza ed alla inattuabilità finanziaria, non raggiungibile dalle sole forze
economiche locali, al fine di garantire l’ingresso di operatori esterni.
In realtà, già nel 1983, fu la società saudita Al Baraka che propose allo Stato di costituire un parte-
nariato per la bonifica del Lago Nord di Tunisi. Nacque così la SPLT, Société de Promotion du Lac
de Tunis società che, in soli cinque anni, portò a termine egregiamente la bonifica del lago, creando
una riserva fondiaria di circa 1600 ettari, utilizzabile per operazioni immobiliari. L’evoluzione del
progetto portò alla creazione di un quartiere per sole classi agiate (Berges du Lac).
Nel 1990, alla luce della positiva esperienza per il Lago Nord, si diede inizio alla bonifica del Lago
Sud, operazione che durò circa 10 anni. Per tale operazione venne creata la SEPTS, Société d’Etu-
des et de Promotion de Tunis-Sud, completamente controllata dallo Stato e da agenzie parastatali,
riflettendo l’idea di privilegiare, in questo caso, la creazione di uno stock residenziale più accessibi-
le, per le classi medie e medio-basse. Come vedremo, questo obiettivo è stato poi completamente
disatteso, con l’ingresso di Sama Dubai (Dubai Holdings).
Sempre all’interno di questa logica partenariale stava l’offerta del 1994 dell’Agenzia Svedese per
la Cooperazione Internazionale (ASDI) per lo studio di una nuova urbanizzazione sulle rive della
Sebkha Ariana e, nello stesso anno, l’opportunità fornita dal Programme Citè Durable delle Nazioni
Unite per la Sebkha Sijoumi, per un progetto di decentramento urbano.
Infine, all’interno dei confini municipali di Tunisi e più precisamente nell’ ‘ipercentro’ cittadino, verso
la fine degli anni ‘90 prese avvio la riflessione sull’opportunità di riqualificare il quartiere di Petite
Sicile, con la municipalità impegnata direttamente nell’operazione, a fianco dello Stato e della co-
operazione italiana.
In breve, dagli anni ‘90 in poi, si è di fronte all’allargamento del numero degli attori presenti sulla
scena urbanistica tunisina, attori spesso ‘di peso’, istituzionali e privati (a volte coincidenti, come
nel caso della Dubai Holdings), provenienti dai paesi del Golfo o dall’Europa, con grandi portafogli
utilizzabili e con forte capacità di attrazione, quindi, perfettamente rispondenti alla politica di acca-
parramento degli IDE (Investimenti Diretti dall’Estero). A questa moltiplicazione del numero degli
attori interessati, corrispose una “urbanistica delle opportunità”, fondata sulla creazione di condizio-
ni favorevoli a tali investimenti, offrendo capacità fondiarie in grande quantità.
Una sintetica valutazione su tale ‘programma’, alla luce della concorrenza ‘spinta’ dalla globalizza-
zione e considerata la posizione economica e geo-politica della Tunisia, chiama un duplice ragio-
namento sull’opportunità di dare luogo a trasformazioni urbane in gran parte esogene: se da una
lato l’ingresso di capitali privati, soprattutto esteri, permette di implementare programmi di sviluppo
altrimenti non accessibili, dall’altro lato è da rimarcare il ‘prezzo’ che la pianificazione territoriale
- sviluppata a livello locale e regionale - deve pagare. Infatti, molteplici situazioni vedono il supera-
mento delle previsioni di piano costituite antecedentemente, previsioni che spesso indicavano svi-
luppi ed equilibri estremamente differenti da quelli ipotizzati attraverso l’urbanistica “d’opportunità”.
Ne è esempio la zona produttiva (e quindi occupazionale) precedentemente prevista per le rive del
Lago Sud di Tunisi, in continuità con l’area portuale, ora ‘abolita’ dal progetto Sama Dubai; oppure,
altro esempio, il costo delle aree fondiarie che, con le previsioni dei ‘megaprogetti’ internazionali,
diventa assolutamente inaccessibile anche per le superfici a questi contermini, soprattutto per il set-
tore pubblico, danneggiando seriamente le politiche per la residenza e, quindi, favorendo l’acuirsi
del fenomeno delle abitazioni precarie.
L’insieme dei programmi presentati, inoltre, prevedono investimenti per oltre 30 miliardi di dollari
(circa 20 miliardi di euro)70. Se si realizzeranno potranno arrivare, in 15 anni, a contribuire con cir-
ca 2 miliardi di dollari all’anno di IDE (circa 1,35 miliardi di euro), che raddoppierebbero gli attuali
1,73 miliardi di euro. Chiaramente una grossa opportunità per la Tunisia, nazione in fase di crescita
economica, ma con gravi mancanze strutturali: il massiccio ingresso degli IDE, se non supportato
da strutture tecniche e politiche capaci di mantenere il controllo gestionale delle opere, può risultare
controproducente sotto il punto di vista territoriale, e causare grandi disparità economiche e sociali,
acuendo una tendenza già in atto.
Realizzazioni e previsioni
Con ‘realizzazioni’ si intendono i progetti portati al completamento - cioè quelli che hanno già avuto
un seguito fisico-costruttivo - mentre con previsioni si intende la definizione del programma previ-
sionale, cioè i masterplan o i progetti d’area.
La prima delle realizzazioni riferibile ai progetti urbani a Tunisi è Berges du Lac, sul Lago Nord
di Tunisi, ad oggi fisicamente compiuta in tutti i suoi aspetti. Come già accennato, questo primo
intervento rientrò nella più ampia politica di risanamento dei laghi e delle acque (Sebkha, paludi)
tra Tunisi ed il mare aperto. L’intervento di bonifica, come anche la successiva fase costruttiva,
venne seguito dalla SPLT, società partecipata al 50% dallo Stato e ad al 50% da investitori sauditi
(Al Baraka e BEST) ed ebbe una breve durata: iniziato nel 1983, fu concluso nel 1988 e le aree si
presentarono pronte per essere urbanizzate, per un totale di 1600 ha di terreno.
Il progetto, ad opera dell’architetto danese Hans Barreth, vede già un primo abbozzo nel 1980, una
visione legata alla promozione dell’idea da parte degli investitori sauditi. Nella sua versione finale,
del 1986, il progetto prevede l’utilizzazione fondiaria del 43% del totale delle aree, cioè 688 ha, con
6,5 milioni di mq di pavimento, disposti entro una fascia litoranea dove grande spazio veniva dato
al verde ed alle superfici pubbliche. Attraverso idee-guida di un certo interesse (“far rientrare il lago
nella città”, “costruire dialogo tra la città progettata e lo specchio d’acqua”) si dislocavano centri
culturali e spazi collettivi che, entro un’ampia logica relazionale, cercavano di aggregare necessità
pubbliche ed interessi privati.
Giudicato insufficientemente redditizio, il progetto venne tralasciato, per approdare a differenti so-
luzioni, con una più alta densità edilizia. Soluzioni diverse, come quella ‘a scala regionale’ di Jellal
Abdelkafi (che cercava di integrare le funzioni urbane nella ‘nuova città’) avevano come scopo
quello di costituire un equilibrio funzionale e sociale per l’intero agglomerato.
Venne incaricato del progetto, dopo un concorso internazionale del 1997, l’architetto tunisino Wa-
ssim Ben Mahmoud, che portò a termine un programma previsionale di ampio respiro, scandito da
sezioni territoriali ben precise e da una certa integrazione delle aree Ovest ed Est del progetto con
il proprio intorno. Questo progetto vide una previsione di circa 10 milioni di mq di pavimento, con un
aumento sensibile della rendita.
Ad oggi di tutto questo progetto è realizzata la parte centrale di Citè Khalij, detta anche Berges du
Lac, l’attiguo parco dei divertimenti e parte dei Jardins du Lac. Il progetto vede la realizzazione fisica
di una città in gran parte distaccata dalla realtà urbana tunisina, con densità controllata in maniera
scalare (dalle villette degli isolati esterni, ai palazzi di 4-5 piani sulle rive del lago) e con un rapporto
edificio-strada riferibile alle realtà periferiche europee, con gli isolati che determinano il passaggio
dall’area residenziale a quella commerciale. L’immagine che si evince sul posto è quella di un set-
tore residenziale concluso da facciate completamente vetrate e cariche di pannelli pubblicitari.
Per quanto riguarda le previsioni, si tratta dei masterplan ideati per gli ulteriori grandi progetti urba-
ni, non ancora edificati ma già definiti nella loro specifica previsione dimensionale.
La presentazione sino ad ora compiuta introduce solo in parte le caratteristiche dei singoli casi. Di
seguito si cerca di mostrarle e, quindi, di segnalarne le criticità.
dedalo di canali, al fine di mantenere, alle spalle e verso l’edificato esistente, la superficie dedicata
agli sport all’aperto.
Il progetto lambisce la città storica di La Goulette, antico attracco commerciale e luogo di immigra-
zione italiana, e l’antica Cartagine, sito archeologico ricco di memorie puniche e romane. Non viene
data nessuna importanza alla relazione con queste e, in altri termini, viene concentrata l’attenzione
sullo sfruttamento fondiario sulle rive del lago.
E’ importante sottolineare che questo progetto costituirà la congiunzione tra il tessuto urbano di
Tunisi e le contigue città storiche, dando continuità all’agglomerato tunisino.
Infine si ripercorrono le previsioni per la riqualificazione del quartiere Petite Sicile: la realizza-
zione del piano, ad oggi molto remota viste le difficoltà nel definire un percorso relazionale tra pro-
motori e attori locali, porterebbe ad una chiara ‘estensione’ dell’ipercentro di Tunisi. L’auspicabile
194 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
recupero degli edifici e del tessuto urbano di memoria coloniale e la relazione con l’Avenue Habib
Bourguiba costituiscono punti di ancoraggio del progetto sul quale, però, incombe il vicino progetto
Sama Dubai, che opera per definire un ‘altro’ centro urbano, lasciando Petite Sicile ‘chiusa’ tra i
due poli.
In conclusione, i progetti urbani previsti a Tunisi, capitale di uno Stato con una economia emergen-
te, definiscono quella che è possibile considerare come una ‘variante fragile’ dei progetti urbani dei
Paesi sviluppati, frammista ad una chiara influenza iper-modernista proveniente dagli Emirati Arabi
Uniti. L’euforia con la quale questi progetti vengono presentati spesso cela le mancanze di un siste-
ma tecnico-amministrativo che non riconosce (o ignora) le debolezze della città e che, anzi, tende
ad incrementarle attraverso una logica speculativa priva di relazione con la realtà, come detto fatta
di gourbivilles, inquinamento atmosferico, crisi occupazionale e segregazione sociale.
Le decisioni riferite ai progetti passati in rassegna sono state prese senza il coinvolgimento delle
organizzazioni professionali (architetti, urbanisti, etc.) e non hanno avuto nessun tipo di relazione
con la società civile, pur attiva e presente in Tunisia71.
Il risultato di tale modalità decisionale, gestita direttamente dallo Stato con gli investitori, è il totale
scollamento tra realtà urbana-territoriale e previsioni: da una parte una città complessa, ricca di
risorse ma sommersa da problemi quali la segregazione urbana e la disparità sociale, con una
storia ben definita dalla ‘giustapposizione’ morfologica e dai tentativi di gestione dell’espansione
dell’agglomerato, in rapporto ad un centro ben definito; dall’altra una serie di ‘opportunità’ sfruttate
da investitori stranieri, provenienti in genere dalla penisola arabica, che offrono immagini isolate
di nuove polarità urbane, tese alla massima rendita ed alla produzione privatistica della città, sulle
quali solo un Osservatorio sui Grandi Progetti (del Ministére du Développement de la Tunisie)72 è
stato attivato.
Un quadro al quale bisogna aggiungere la mancanza di strumenti che possano governare lo svi-
luppo della città alla scala vasta, in quanto il vigente SDA - Schéma Directeur d’Aménagement73,
unico strumento che potrebbe offrire alternative alla fragilità dello scenario sopra delineato, non
riesce ad intercettare le previsioni che, in modo ‘evolutivo’, lo Stato centrale impone. Il PAU - Plan
d’Aménagement Urbain garantisce una lettura limitata del territorio e, comunque, evidentemente
non vincola lo Stato al rispetto delle norme di piano. Infine, non è noto nessuno strumento strategi-
co, documento di piano o programmatico che possa fornire una certa coerenza agli interventi sopra
descritti.
E, a dispetto dell’attuale crisi finanziaria, si ha notizia dell’apertura dei primi cantieri.
Immagine 59.
Tunisi. Una prima espe-
rienza vicina al progetto
urbano: il recupero
del quartiere El Hafsia
1968-1981 (Foto di G.
Ciarallo, 28.ott.2008)
Nelle città del Mediterraneo
le differenti forme del progetto urbano
capitolo
quinto
198 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
1 Barthel P A (2008 b) Faire du « grand projet » au Maghreb. L’exemple des fronts d’eau (Casablanca et Tunis) Articolo
pubblicato su Géocarrefour n°83 1 en 2008
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 199
I progetti urbani studiati, differenti sul piano programmatico ma accomunati dalla loro ecceziona-
lità2 rispetto ai piani urbanistici delle differenti città, presentano diversi trattamenti degli elementi
riconosciuti come ‘ricorrenti e costitutivi’ (vedi cap.1), elementi che si sono dimostrati validi nella
definizione dei contenuti dello ‘strumento’ così come nell’analisi sul campo. E’ utile quindi procedere
con l’individuazione di convergenze e distinzioni tra questi elementi, per cercare di comprendere
quali declinazioni del progetto urbano hanno preso forma nei PSEM.
I promotori. La comparazione dei soggetti promotori indica l’esistenza di situazioni assai differenti
tra loro. Nei progetti europei sono riconoscibili due diverse forme di partenariato: il partenariato
pubblico/privato, con la creazione di diverse società miste con statuti di impresa (con differenti par-
tecipazioni pubbliche e forte presenza della municipalità) a Barcellona; un partenariato pubblico/
pubblico a differenti livelli a Marsiglia, con capofila lo Stato.
Nei casi dei PSEM sono invece riscontrabili diverse modalità con le quali forme private di investi-
mento sono divenute soggetti promotori dei progetti in questione: a Beirut attraverso la costituzione
di una società per azioni costituita per 2/3 dai proprietari dei diritti edificatori e per 1/3 da investitori
privati; ad Algeri è soggetto promotore un imprenditore del settore della grande distribuzione. Infine
nel caso di Tunisi il promotore iniziale è dapprima lo Stato e poi, attraverso la cessione dei terreni,
l’operatore immobiliare privato che attualmente ne promuove il reale programma di sviluppo.
Ciò che si legge, dalla parte europea, è la presenza dell’operatore pubblico quale promotore ca-
pofila dei progetti incontrati. Dalla parte dei PSEM è invece riscontrabile, sin dalla genesi dei pro-
grammi, la tendenza ad una certa sovrapposizione, ed al limite sostituzione, tra operatore pubblico
e operatore privato.
2 Cfr Marinoni G (2005) Metamorfosi del progetto urbano Ed Franco Angeli / Diap Milano
200 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
I dati dimensionali offrono informazioni assai generiche, se non rapportate al tipo di intervento che,
su tali aree, viene effettuato. La minor superficie del progetto di Barcellona è infatti da rapportarsi al
fatto che esso è parte di una più ampia strategia di trasformazione urbana, composta da differenti
‘fuochi’ progettuali distribuiti sull’intero corpo della città (le 12 Nuove Centralità); questione strategi-
ca che, a Marsiglia, è stata affrontata attraverso l’individuazione di un unico perimetro continuo, che
racchiude diversi quartieri e differenti funzioni urbane, con dimensioni ragguardevoli.
I dati dimensionali, nei PSEM, non hanno una diretta relazione con la strategia urbanistica adot-
tata. Tra i diversi casi, quello di Porte de la Méditerranée a Tunisi è da considerarsi a parte: la sua
estensione è tale da confrontarsi con differenti parti della città esistente (il vecchio porto, la zona
industriale, quartieri residenziali, il porto industriale di Rades) ed il suo programma funzionale, con
la previsione di ben due businness-cities e l’insediamento di circa 280.000 persone, giustifica la sua
vasta dimensione: una vera e propria città nella città.
Localizzazione
Nella logica generale della localizzazione dei progetti è da segnalare il rapporto tra la città ed il
mare: se a Barcellona questo rapporto diventa occasione per il recupero di un litorale degradato
benché centrale, a Marsiglia è la dimensione del vecchio porto della Joliette che garantisce uno
svolgimento programmatico continuo, che affronta il recupero di tutta l’area Nord della città.
Il rapporto con l’acqua è centrale anche nei progetti del Sud e Est del Mediterraneo, ma all’interno
di una serie di evidenti ‘squilibri’ urbani: a Beirut il waterfront è l’avamposto3 di un recuperato centro
cittadino, contornato però da zone che soffrono di fenomeni di segregazione sociale e confessiona-
le; ad Algeri è l’occasione per dare corpo ad una ‘eccellenza’ urbana, ma scollegata dal contesto del
centro4 e dai tessuti contermini dalle infrastrutture viarie; a Tunisi, infine, è l’esito di una conquista
del fronte-mare5 delle aree lagunari che la dividono dal mare, dando seguito alla giustapposizione
di parti sostanzialmente autonome della città.
Ma il fattore che si pone come decisivo (ed al contempo problematico) rispetto alla localizzazione
3 Definito “un isola di opulenza in un mare di disperazione da Beyhum (1992) The Crisis of Urban Culture: Three Reconstruction
Plans for Beirut pubblicato su The Beirut Review citato da Boano C (2003) Op cit
4 Berezowska Azzag E (2006) Alger la ville invente son avenir in Urbanistica PVS n°44/2006
5 Barthel P A (2006) Op cit
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 201
dei progetti urbani presi in considerazione è il rapporto con la città esistente: i due casi mediterranei
europei si basano sull’individuazione di aree in disuso - o comunque considerate degradate - all’in-
terno del corpo denso della città dove, programmaticamente, si cerca di dare forma ad una rivita-
lizzazione del contesto. Le problematiche sono riferibili alla modalità di valorizzazione6 dei contesti
locali (cosa trasformare) ed all’impatto delle azioni di trasformazione7 (come trasformare).
Invece, nei tre casi dei PSEM, pur rispondenti alla logica del progetto urbano come superamento
delle previsioni del piano, viene generalmente data più importanza alla creazione di opportunità di
espansione urbana, soprattutto attraverso lo sfruttamento - ed al limite la ‘formazione’ ex novo - di
superfici utilizzabili a tale scopo. Pur presente a Beirut e ad Algeri, è a Tunisi che questo fenomeno
si esprime in tutta la sua evidenza: la creazione di nuove superfici fondiarie è la forma con la quale
si è potuto sviluppare una intera generazione di grandi progetti urbani (tra questi la Porte de la
Méditerranée) pensati e proposti agli investitori come riserve fondiarie ‘strappate’ all’acqua attra-
verso opere di bonifica idraulica.
Consulenti e progettisti
Nei casi di Barcellona e Marsiglia è possibile riscontrare, sin dalle prime ipotesi, il diretto coinvolgi-
mento di professionisti e agenzie locali, anche nella promozione dei progetti. Nelle fasi successive,
di progettazione particolareggiata, è rilevabile il ricorso a diversi studi internazionali.
I progetti di Beirut e Tunisi, invece, dapprima vedono il coinvolgimento di studi locali e di professio-
nisti internazionali ma, con il procedere dello sviluppo del programma, si nota una netta prevalenza
di questi ultimi nella definizione conclusiva dei piani. Ad Algeri, infine, tutti gli sviluppi progettuali (il
masterplan di progetto inserito nel Piano per la Baia) sono a carico di studi internazionali.
6 Cfr Delponte (2009) Evoluzione degli spazi portuali e strumenti di pianificazione Aracne Roma; Hoyle B S Pinder D A
Husain M S (1994) Aree portuali e trasformazioni urbane. Le dimensioni internazionali della ristrutturazione del waterfront Mursia
Milano
7 Rodriguez Malta (2004) Op cit
202 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
matica del progetto urbano, con l’esclusione pressoché completa delle amministrazioni locali. Tale
dinamica è approfondita nel par. 5.2.1.
Modello decisionale
A Barcellona è presente un modello decisionale decentrato – già dalla fine della dittatura franchista
- che ha influenzato anche gli avvenimenti a seguire (la revisione del PGM e la politica dei proyectos
urbanos), mentre a Marsiglia è una struttura lineare (Mairie de Marseille - Communauté Urbaine
de Marseille Provence Metropole - Region PACA - Stato)8 che vede la presenza di tutti i livelli di
governo, con lo Stato come capofila.
Ed è questo secondo modello, per via dell’influenza esercitata dalla Francia durante il periodo co-
loniale e nel periodo seguente, che ha generalmente influenzato le strutture decisionali dei Paesi
dei PSEM nel periodo post-coloniale: uno Stato ‘forte’ che ha la possibilità di definire direttamente
le trasformazioni locali e un Ministero dedicato alla gestione del territorio e all’urbanistica che, ai
differenti livelli di governo, definisce attraverso i piani le politiche di intervento da adottare. Piani
che si riferiscono, come nel caso del District de Tunis, a livelli amministrativi intermedi, tra le Wilaya
(governatorati o provincie) e le municipalità. Ma questa generica ‘adesione’ al modello francese
trova sviluppo, sin dai primi anni d’Indipendenza tunisina e algerina, entro differenti strutture gover-
native9, molto influenzate dal nazionalismo del primo periodo post-coloniale.
Il Libano, che non è stato colonia francese ma sottoposto a Mandato, ha invece fatto ricorso a stru-
menti gestionali ‘d’emergenza’ (sia a livello amministrativo che urbanistico) e - attraverso il lavoro
di agenzie, consulenti e studi di urbanistica che vi hanno operato - ha avuto comunque molteplici
punto di contatto con la cultura urbanistica francese. Questo è avvenuto all’interno di un sistema
politico instabile, immerso dal 1975 al 1990 in un clima segnato dalla guerra civile, nel quale alcune
figure sono emerse quali leaders delle politiche territoriali10.
I differenti sistemi decisionali, nei casi studio dei progetti urbani della costa europea, hanno subito
un’evoluzione in termini operativi, legata alle particolarità del contesto: a Barcellona, nel 1980, ha
8 Cfr Bertoncello B Rodrigues Malta R Dubois J (2009) Operation Euroméditerranée, une affaire d’Etat Université de Provence
Aix Marseille Université Paul Cézanne Aix Marseille per l agenzia POPSU (Plate forme d Observation des projets et strategies
urbaines) Marseille
9 Cfr Boumaza N et al (2006) Villes réelles, villes projetées. Fabrication de la ville au Maghreb Maisonneuve et Larose Parigi
10 Verdeil E (2001) Reconstructions manquées à Beyrouth in Les Annales de la recherche urbaine n° 91 pg 65 73 Qui si fa
riferimento dal punto di vista politico ad Amine Gemayel e dal punto di vista economico a Rafih Hariri
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 203
preso avvio la Commissione consultiva sui programmi di rinnovamento urbano presieduta da Oriol
Bohigas e quindi la revisione del PGM, mentre a Marsiglia, nel 1995 si è istituita l’EPAEM, agenzia
a maggioritaria partecipazione statale che, con il concorso degli altri livelli di governo locale, ha dato
forma al programma collegato all’operazione Euroméditerranée.
Nei casi dei PSEM i modelli decisionali sono stati sostanzialmente superati dall’intervento politico
centrale: ad Algeri lo Stato, entro un ‘vuoto’ gestionale a livello locale11, ha determinato l’intervento
privato attraverso la cessione dell’area; a Beirut il tema della ricostruzione urbana del centro è stato
‘devoluto’ a Solidere, una società per azioni; mentre a Tunisi un’operazione condotta dallo Stato
(con il finanziamento della cooperazione europea), inizialmente volta alla definizione di comparti
residenziali pubblici, ha poi determinato l’ingresso di un solo gruppo immobiliare degli EAU (Emirati
Arabi Uniti).
In breve, ciò che sembra importante sottolineare è la diversa modalità con la quale si è concepita
la trasformazione dei modelli decisionali per dare forma ai progetti urbani: da una parte l’evoluzione
della struttura decisionale verso le esigenze contestuali, caratterizzata dalla definizione di società
di scopo con la partecipazione di diversi livelli amministrativi; dall’altra la decisione centrale di in-
tervenire attraverso l’ingresso di operatori privati, anche in questo caso con modalità differenti, ma
caratterizzate dall’esclusione dei livelli di governo intermedi.
11 La revisione del PDAU di Algeri (con orizzonte 2020) non è ancora in vigore mentre il Plan d’Aménagement de la Zone Cotiére
de la Baie è ora in fase di studio noltre la mancanza di un quadro di concertazione in discussione nello Schéma National d’Amé
nagement du Territoire 2025 non permette di definire modalità di contrattazione e montaggio finanziario partecipativo (Berezowska
Azzag 2006 Op Cit )
204 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
Una situazione completamente differente è invece riscontrabile nei casi studio incontrati per il Sud
e l’Est del Mediterraneo.
A partire, in ordine cronologico, dall’esperienza di Solidere a Beirut è possibile individuare una pri-
ma distinzione: il ritorno in patria - dall’Arabia Saudita - dell’imprenditore Rafih Hariri, sin dai primi
anni ‘90, ha determinato un deciso spostamento dell’interesse politico verso la questione del recu-
pero del centro storico e direzionale della città. La sua doppia veste di investitore privato (dapprima
con la società Oger per le demolizioni e la bonifica, poi direttamente nella società Solidere) e di
primo ministro del governo libanese, se da una parte ha dato l’impulso necessario all’avvio di un
così vasto progetto di recupero urbano, dall’altra ha fatto sì che si verificasse l’introduzione di leggi
ad hoc per la costituzione della società Solidere che, di fatto, hanno esautorato la municipalità dal
controllo sulla trasformazione urbana, introducendo quindi una gestione privatistica del rapporto tra
diritti edificatori e suolo, pur se attutita dalla partecipazione dei precedenti aventi diritto.
Nel caso di Algeri, lo Stato ha venduto all’imprenditore a capo di Arcofina holding un terreno prece-
dentemente destinato a “Servizi centrali per la Capitale”14, il quale ha acquisito nel 2001 Dahli Spa,
società immobiliare, con il compito di sviluppare il progetto Alger Medina. Un’offerta obbligazionaria,
lanciata nel gennaio 2009, nasce con l’intento di finanziare ‘autonomamente’ il progetto, attraverso
un azionariato popolare diffuso. Lo Stato algerino non ha così ‘abdicato’ al suo ruolo di guida, tra-
ducendo la proprietà fondiaria pubblica in titoli della società, al fine di permettere lo sviluppo di un
progetto di iniziativa privata connesso allo sviluppo della Baia di Algeri.
E’ da segnalare che l’Algeria, grande esportatore di gas (soprattutto in EU), ha nelle sue banche
una grande disponibilità di danaro liquido (ca. 25 miliardi di euro), che non trova collocazione sul
mercato interno. Da qui la decisione presa nel 2008, da parte del governo algerino, di favorire gli
investitori che si basino esclusivamente sul credito locale, in modo da evitare l’inutile indebitamento
del Paese verso l’estero15. Questa fase ha coinciso con la chiusura degli uffici della società dubai-
tiana Emaar in Algeria16.
A Tunisi, infine, l’ampio valore acquisito dagli IDE (Investimenti Diretti Esteri) all’interno dell’econo-
mia nazionale ha permesso l’ingresso di numerosi e differenti operatori stranieri. Tra questi, nella
definizione e nella costruzione del progetto di bonifica del Lago Sud - dapprima ad opera di agenzie
facenti capo allo Stato - erano presenti sin dal 1997 la BEI - Banca Europea di Investimenti e quote
di partecipazione olandesi e belghe. L’originaria impostazione del programma per le rive del Lago
Sud di Tunisi prevedeva la realizzazione di residenze per redditi medio-bassi, al fine di contenere
la speculazione sullo sforzo operato dallo Stato17. Una volta conclusa la fase di bonifica, nel 2001,
lo Stato, attraverso la società SEPTS, ha dato vita ad uno Schéma de Structure d’Urbanisme, che
individuava le linee strategiche generali per l’impianto urbano.
Dal 2007, con la vendita dei terreni bonificati - circa 850 ettari - dallo Stato a Sama Dubai, è stata
impressa una notevole accelerazione al progetto:
- viene definito, dalla stessa Sama Dubai, un masterplan che, pur riprendendo l’impianto funzionale
di quello del 2001, stravolge il piano dal punto di vista volumetrico, con un deciso aumento delle
cubature e degli abitanti insediabili (da 120.000 a 280.000);
14 Sidi Boumedine R (2006) Alger. Réalités et perspectives du développement urbain: le cadre social, pubblicato su Urbanistiva
PVS n 44/2006
15 Benreguia S (2009) Dahli ou la nouvelle vision des investisseurs algériens articolo apparso su La Tribune il 19 12 2009
16 Nel marzo 2008 Emaar aveva firmato un protocollo di accordo con il governo algerino per investimenti immobiliari per un totale
di 20 miliardi di dollari Fonte: Kippreport 4 luglio 2009
17 Cfr Barthel P A (2006) Op cit
206 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
- viene costruito un edificio di rappresentanza, con uffici per vendite e relazioni con gli acquirenti
internazionali;
- il progetto viene presentato come ‘progetto presidenziale’, esaltando il rapporto diretto tra il gover-
no tunisino e la multinazionale di Dubai.
Immagine 60.
Tunisi, 21 Ottobre 2008.
Il Presidente tunisino
Ben Ali e l’emiro di
Dubai Al Maktoum
inaugurano la sede degli
Uffici di Sama Dubai, e
presentano ufficialmente
il progetto ‘Porte de la
Méditerranée’.
Tratto dal video della TV
ufficiale di Sama Dubai.
In tutti i casi presentati per i PSEM, la trasformazione urbana viene condotta, sia a livello politico
che economico, con un rapporto pubblico/privato ad alto livello - con attori i massimi esponenti
dello Stato e delle grandi multinazionali del mercato immobiliare - che sovrappassa tutti gli elementi
definiti localmente dai piani, in modo da consentire accordi diretti tra gli investitori e i decisori ai più
alti livelli.
Ciò determina - per gli immobiliaristi - un altissimo valore discrezionale nei confronti delle strategie
locali di sviluppo urbano e nei confronti dei livelli di amministrazione.
Una situazione particolare e differente da quelle descritte, ‘parallela’ al progetto di Solidere a Beirut,
è quella di Al Waad: in questo progetto urbano, promosso da Hezbollah - partito confessionale sciita
libanese - alcune particolarità si discostano dal modello appena descritto. Il rapporto tra pubblico (lo
Stato) e privato (gli abitanti e, in qualche misura, il partito) è stato definito in modo tale da garantire
una gestione locale delle risorse: una commissione multilaterale (governo in carica e partito) ha de-
ciso che il governo avrebbe sostenuto gli indennizzi economici agli abitanti (utilizzando anche i fondi
provenienti dall’estero) e che avrebbe ricostruito le infrastrutture, lasciando libertà ai proprietari di
ricostruire gli appartamenti in proprio. Contemporaneamente Hezbollah ha ufficialmente lanciato il
progetto Waad, per il quale molti dei proprietari hanno deciso di impegnare gli indennizzi avuti dal
governo.
Un esempio nel quale sono presenti molti degli ‘ingredienti’ - economici, confessionali e sociali - dei
grandi progetti urbani sopra descritti (per di più aggravati dal conflitto) ma che, attraverso la gestio-
ne locale delle risorse, ha ottenuto risultati ritenuti positivi rispetto a precedenti esperienze18.
La gestione dei progetti vede invece impostazioni radicalmente differenti: affidata a organismi pub-
blici e privati a Barcellona, la gestione del progetto a Marsiglia è stata sempre nelle mani dell’EPA-
EM, a maggioranza statale, con contributi privati sui singoli progetti.
La forma gestionale ‘costruita’ a Beirut, con operatori privati di diverso livello associati in una socie-
tà per azioni, ha permesso di considerare aspetti originariamente non adeguatamente previsti (la
salvaguardia storica) e di muoversi agilmente sul mercato immobiliare, creando però problemi di
relazione con il resto della città.
Nei casi di Algeri e Tunisi, la gestione del progetto è completamente demandata alle società immo-
biliari con, nel caso di Tunisi, la previsione di un calendario che suddivide l’intera opera in 14 fasi,
sino al 2022, mentre nel caso di Algeri l’orizzonte è di 15 anni (2001 - 2016) in 2 fasi. A parte queste
scarne informazioni, è difficile venire a conoscenza dei piani gestionali degli investitori19.
19 n un incontro avuto con la responsabile della sede (ufficio vendite) di Sama Dubai a Tunisi il 18 ottobre 2008 non si sono ac
quisite ulteriori informazioni in merito
208 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
a Beirut, l’iniziale cronoprogramma ha subito delle variazioni: per Euroméditerranée si sono ripetuti
‘fermi’ di tipo finanziario, mentre per Solidere esistono ragioni legate all’instabilità politica regionale
(si pensi, ad esempio, all’omicidio del primo ministro Hariri nel 2005 o al bombardamento israeliano
del 2006)20.
Nei casi di Algeri e Tunisi, il dato sui tempi di programmazione e di realizzazione si limita a quelli so-
pra accennati (orizzonte operativo: 15 anni). E’ comunque da sottolineare una grossa differenza tra
i due casi: mentre ad Algeri non si ha notizia di un intervento statale ex-ante, a Tunisi è da rimarcare
l’intervento - diretto dallo Stato - per la bonifica del sito, realizzato in tempi brevi e con un grande
sforzo ingegneristico. Un’opera che ha dato possibilità e forma al programma odierno di interventi.
La relazione tra gli attori è stata più volte richiamata quale fattore determinante nella costruzione di
un progetto urbano. La ‘natura’ ed il ruolo di questi attori determina, di volta in volta, esiti differenti.
La sperimentazione barcellonese, con i settori pubblico e privato in co-partecipazione nelle società
costituite a tale scopo, ha visto nascere frizioni nelle fasi di gestione dello stock residenziale, con
effetti considerati negativamente sul prezzo degli immobili21.
A Marsiglia il notevole accentramento dei poteri nelle mani dello Stato, ha determinato un ruolo
‘forte’ del pubblico, che però non ha visto funzionare, in modo abbastanza efficace, la gestione ai
differenti livelli, con ritardi e alcune difficoltà amministrative interne. Laddove il ruolo pubblico era al-
lentato, per lasciare spazio ad operatori immobiliari privati, come nei casi di Rue de la Republique e
di Quai d’Arenc, non si è tuttavia arrivati ad una situazione migliore, in quanto i problemi di equilibrio
economico dell’operazione hanno inciso maggiormente sulla costruzione del piano22.
Beirut, città simbolo della conflittualità tra gruppi confessionali, all’interno del progetto Solidere non
ha subito direttamente le stesse sorti, ma ha comunque dato vita a differenti ed aspre discussioni:
sul previsto abbattimento di gran parte del centro storico, sull’obbligatorietà a partecipare alla crea-
zione di Solidere imposta ai proprietari dei diritti, sulla struttura viaria delle nuove strade in progetto.
Dopo tre anni di discussioni, nel ‘94 si è arrivati alla definizione di un accordo sui due primi punti,
sulla base del diritto a procedere al restauro degli edifici su base volontaria, fornendo la possibilità
di ‘uscire’ da Solidere. La demolizione del tessuto storico è stata comunque criticata, in quanto
ha causato la perdita di circa l’80% degli edifici dell’antico centro. Infine la mobilità ha visto alcuni
miglioramenti nella relazione col tessuto storico. Tutt’oggi permangono grossi problemi in ordine al
diritto di esproprio di alcune aree (su tutte, l’area su cui insiste l’Hotel St. George) e di relazione tra
gli investitori e i proprietari dei diritti, pur se a livello economico l’operazione Solidere ha dato segni
di forte crescita.
Ad Algeri e a Tunisi ciò che colpisce è la mancanza di attori diversi da Stato e investitori privati: si
può dire che in questi due casi la relazione tra gli attori si limita a quella introdotta con il rapporto
20 Da notare che entrambe le città sono alla ricerca di un ‘evento internazionale che possa fissare dei termini chiari a livello interna
zionale: Marsiglia si è così aggiudicata il titolo di ‘Capitale europea della cultura per il 2013 mentre Beirut in un periodo di relativa
calma politica e sociale punta ad ospitare il Gran Premio di Formula Uno lungo la propria futura corniche (par. 5.1.10).
21 Collarini S (1998) Barcelona Vila Olimpica: la ricostruzione di un pezzo di città, in Morandi C Pucci P (a cura di) Op cit
22 Bertoncello B Rodrigues Malta R Dubois J (2009) Operation Euroméditerranée, une affaire d’Etat, Université de Provence
Aix Marseille Université Paul Cézanne Aix Marseille per l agenzia POPSU (Plate forme d Observation des projets et strategies
urbaines) Marseille
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 209
tra settore pubblico e operatori immobiliari. Con tutta evidenza i due progetti non presentano im-
plicazioni di tipo giuridico rispetto alle proprietà (nei due casi non sono comprese proprietà terze,
portatrici di diritti diversi) e questo può essere visto come un fattore decisivo per l’appianamento
dei conflitti.
L’efficacia economica dei progetti presi in esame è stata analizzata rispetto a due parametri: la
rispondenza tra le previsioni di spesa e i costi sostenuti per l’intervento e il rapporto tra i suddetti
costi ed i benefici addotti dal progetto.
Le previsioni di spesa fatte per Barcellona ‘92 e i costi realmente sostenuti vedono un divario molto
ampio, con una maggiore spesa superiore al 200%. A prescindere dalle motivazioni di tali aumenti,
è però da riconoscere che le opere eseguite hanno dato inizio ad una stagione florida per la città di
Barcellona, nella quale turismo, congressi, fiere internazionali, presenze universitarie hanno forma-
to un mix che ha contribuito in modo determinante allo sviluppo economico della città.
Nel caso di Marsiglia, dove gli stanziamenti pubblici sono suddivisi in tre fasi, è più complesso
definire il rispetto delle previsioni di spesa, in quanto il progetto ha una natura incrementale, attra-
verso la quale il settore pubblico ha previsto ‘l’attrazione’ di ingenti capitali privati (più del triplo di
quelli pubblici). In ogni caso, un elevato numero di opere pubbliche è già stato portato a termine: la
nuova tramvia della Joliette, la demolizione di parte della sopraelevata a mare, scuole, residenze di
diverso tipo. Permangono problemi di diverso genere, sotto il punto di vista del rapporto tra costi e
benefici: il ritardo nella costruzione della ‘città pubblica’ sul fronte mare, la differenza qualitativa tra i
posti di lavoro richiesti localmente (dalla popolazione residente a basso reddito) e l’offerta (terziario
avanzato) ed infine l’esiguo numero di alloggi a ‘canone moderato’23 rispetto alle aspettative.
A fronte di una previsione di spesa di circa 10 miliardi di euro (tra investimenti privati e pubblici), il
programma di Solidere a Beirut ha visto, per via del successo commerciale avuto, un forte aumen-
to di valore a livello azionario. Sicuramente un successo commerciale che, però, ha causato una
marcata gentrification della zona del centro storico, con un’alta disparità sul valore degli immobili. Si
può quindi affermare che all’efficacia economica non hanno corrisposto altrettanti benefici a livello
locale24.
Sempre con riferimento a Beirut, è da sottolineare l’efficacia operativa del progetto Al Waad, co-
partecipato da Stato ed Hezbollah: in tempi ristretti (tre anni) e con fondi provenienti dalle rimesse
dei singoli proprietari, ha dato inizio ai lavori di costruzione di circa 200 immobili per abitazioni e
servizi.
Nei casi di Algeri e di Tunisi, l’efficacia economica del progetto, sia nei confronti delle previsioni
di spesa che nel rapporto costi/benefici, dovrà vedere approfondimenti successivi, in quanto una
valutazione odierna appare precoce. Come detto, sono questi i due progetti più recenti, sia per la
programmazione (nei due casi, dopo il 2000) che per la successiva realizzazione (ad oggi entrambi
i progetti vedono l’inizio delle prime realizzazioni). Alcune valutazioni sono comunque possibili: nel
caso di Algeri, il sostanziale fallimento della vendita delle obbligazioni della società (con un ricavo
di 22 milioni di euro rispetto agli 80 preventivati) non ha fermato il progredire delle realizzazioni;
per il progetto Sama Dubai a Tunisi è da rilevare che, a fronte di una celere operazione di bonifica
del sito, ad oggi si è di fronte ad una fase di profonda incertezza, dovuta alle ricadute della crisi
economica globale.
Dal punto di vista del rapporto tra progetto e contesto sociale, si intende da subito rimarcare l’evi-
dente inadeguatezza dei progetti di Algeri e Tunisi rispetto alle problematiche presentate dalle città:
la prima si impone come grande trasformazione commerciale, poco incline alla costruzione di una
25 Da notare rispetto a questo punto una interessante dinamica ora in atto: lo studio Duany Plater Zyberk & Company
(DPZ) noto per lo sviluppo progettuale del New Urbanism americano cerca di stabilire relazioni con il contesto anche nei progetti in
Egitto tralasciando le tipiche forme residenziali americane in favore di un dialogo con la tradizione locale Si direbbe che si stiano
sviluppando quindi due opposte correnti che si misurano negli stessi luoghi
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 211
relazione con la città, dove gli unici servizi proposti sono concentrati in un grande centro commer-
ciale e la presenza di strutture ricettive garantisce la sola fruizione automobilistica o via mare; la
seconda definisce modelli di vita completamente differenti da quelli locali: un vasto campo da golf
divide il progetto dall’abitato esistente, un gran numero di attracchi per imbarcazioni da diporto mo-
della la linea costiera e spazi verdi delimitano i singoli edifici. Non c’è spazio per le forme continue
del costruito e neppure per l’urbanità postcoloniale del reticolo urbano, eliminando, soprattutto, le
superfici del commercio locale, vero e autentico spazio della socialità nelle culture arabe.
A Beirut, invece, è meno evidente la ‘rottura’ con il contesto sociale, ma nondimeno incisiva: la
dinamica di gentrification generata dal progetto ha causato lo spostamento di un elevato numero di
abitanti, sostituiti da “residenti dal carattere indefinito”26.
Problemi di questo tipo, legati al ‘ricambio’ delle popolazioni, sono evidenti anche a Marsiglia e a
Barcellona, in parte attutiti da specifici obiettivi di carattere sociale, di tipo occupazionale e residen-
ziale.
Fasi di progetto
Tutti i progetti urbani incontrati prevedono una attuazione per fasi, alla luce delle dimensioni, fisiche
ed economiche, e della complessità delle operazioni previste.
L’elemento che appare di maggiore interesse, rispetto a tale ‘entrata’, è il ritmo impresso dall’ingres-
so di attori privati nei casi dove ricoprono una parte di primo piano (Beirut, Algeri, Tunisi), rispetto ai
casi nei quali rivestono un ruolo subordinato all’interno del programma generale (Marsiglia, Barcel-
lona). Nei primi casi, è infatti con l’entrata in scena dell’operatore privato che sono definiti accordi
con il settore pubblico e quindi si dà inizio ad operazioni di progettazione attuativa, mentre nei casi
europei viene dapprima costituita una struttura del programma - da parte pubblica con il concorso
privato - per poi conseguire ulteriori adesioni da parte di differenti operatori.
Sotto il punto di vista progettuale, questo diverso ‘atteggiamento’ non ha generato necessariamente
limitazioni alla possibilità di ricevere apporti differenti, in tempi diversi, come nei casi di Euromédi-
terranée e della Vila Olimpica. Infatti il progetto di Solidere, a Beirut, ha visto l’incrementale ingresso
di diversi progetti architettonici, rispondenti ai differenti interessi dei clienti della società di trasfor-
mazione. Un dato simile non è ancora riscontrabile nei casi di Algeri e Tunisi.
Le operazioni condotte sino ad ora, l’analisi dei progetti urbani e il loro confronto incrociato, per-
mettono di fornire - in relazione ai confini operativi definiti alla base dello studio - una risposta alla
domanda di ricerca, con la quale ci si era interrogati sulle possibili declinazioni dei progetti urbani
per i Paesi emergenti.
E’ opportuno richiamare questi confini in quanto si sono dimostrati utili a definire il campo della
ricerca:
- Gli elementi ‘ricorrenti e costitutivi’ del progetto urbano. Dopo aver esposto alcune possibili defini-
zioni del progetto urbano, si è proceduto all’individuazione di alcuni elementi ricorrenti nei più noti
progetti europei, con l’obiettivo di far luce sulle caratteristiche che li contraddistinguono come tali e
che, di conseguenza, possono essere considerate come elementi costitutivi che, nella prospettiva
di un’indagine comparativa, possono essere utili strumenti di confronto;
- Il contesto. Le possibili declinazioni dello strumento progetto urbano per i Paesi emergenti sono
state ricondotte ad un contesto di riferimento, che potesse dare luogo ad una lettura comparabile
tra i fenomeni urbani incontrati. Tale contesto è il mar Mediterraneo;
- Le città scelte. Sono stati scelti due casi della costa europea (Barcellona e Marsiglia), ai quali
raffrontare differenti casi delle coste del Sud e dell’Est Mediterraneo.
Questi ultimi presentano caratteristiche tali da renderli nodi di una rete - economica, culturale e
sociale - attraverso la quale acquisiscono attributi di ‘relè’, punti di connessione, ‘antenne di intera-
zione’ con il continente europeo. Tra le città che, con tutta evidenza, hanno - in corso o alle spalle
- una significativa esperienza di progetto urbano, si è operata la scelta di considerare Beirut, Algeri
e, più in profondità, il caso di Tunisi.
La prima ‘chiave di lettura’ cerca di identificare, all’interno dell’analisi svolta, la funzione e la portata
dei soggetti coinvolti nelle operazioni di trasformazione. Tali soggetti si possono distinguere in: pro-
motori, consulenti e progettisti, attori locali.
Lo studio comparato dei promotori dei progetti analizzati per i Paesi emergenti ha fornito un esito
abbastanza chiaro ed omogeneo, in quanto è generalmente ravvisabile, sia nella fase di program-
mazione che in quella di costruzione, la presenza di grandi società immobiliari (nazionali o estere)
in diretto contatto con le più alte rappresentanze politiche e amministrative dei Paesi in questione.
A questa notazione generale è possibile da subito ricollegare due argomentazioni già ‘esplora-
te’ in ambito scientifico internazionale per i Paesi del Maghreb e del Medio Oriente: la “svolta
finanziaria”27 dei progetti urbani nel Sud del Mediterraneo avvenuta negli anni ‘90, e la cosiddetta
“urbanistica del principe”28 che vede il forte coinvolgimento delle più alte cariche dello Stato all’in-
terno della promozione politica e mediatica del progetto in questione.
L’ingresso dei capitali finanziari internazionali all’interno delle società immobiliari è presente in tutti
i tre casi incontrati ma, in primis, il caso di Beirut si può definire come paradigmatico, in quanto
presenta contemporaneamente i due fenomeni sopra descritti: la costituzione della società immo-
biliare privata Solidere nel 1994, vide direttamente coinvolto il primo ministro Rafih Hariri, un uomo
d’affari libanese con stretti legami con l’Arabia Saudita, di cui possedeva la cittadinanza e dove
ha installato una società di demolizioni e costruzioni, la Saudi Oger (ora gestita dai figli29), con
ramificazioni nel settore delle telecomunicazioni e dei media, che ha avuto grandi commesse entro
il progetto della ricostruzione del centro di Beirut. Solidere, pur ‘favorendo’ l’obbligatorio ingresso
nell’azionariato dei numerosi proprietari dei diritti insistenti sull’area (per i 2/3 della società), ha visto
il sostanziale controllo dei più grandi investitori che ne possedevano il rimanente terzo, tra i quali lo
stesso Hariri. Dal 2004 si è assistito all’ingresso di capitali provenienti dall’area del Golfo Persico,
per circa il 15% del valore azionario della società30, tra i quali fondi sovrani di Abu Dhabi, che hanno
dato vita a Beirut Gate, operazione immobiliare sull’area centrale del progetto Solidere. Il 7 giugno
2007 Solidere ha dato vita ad una società affiliata, con sede a Dubai, la SI - Solidere International,
con il deliberato obiettivo di esportare in Medio-Oriente e nel bacino Mediterraneo (descritto come
‘target’) il modello istituito a Beirut31.
27 Barthel P A Verdeil E (2008 a) Experts embarqués dans le “tournant financier . Des grands projets urbain au Sud de la Médi
terranée pubblicato in Annales de la recherche urbaine pg 38 48 n 104/2008
28 Barthel P A (2008 b) Faire du « grand projet » au Maghreb. L’exemple des fronts d’eau (Casablanca et Tunis) pubblicato su
Géocarrefour n°83 1/2008
29 Come già descritto Rafih Hariri è stato assassinato con un attentato dinamitardo il 14 febbraio 2005 nelle aree centrali del
progetto Solidere
30 Barthel P A Verdeil E (2008 a) Op cit
31 Cfr Annual Report S Solidere nternational 2007 Tra le operazioni proposte da Solidere nt (in collaborazione con la francese
Vinci) vi era l espansione ‘off shore della città di Monaco nelle acque antistanti il Principato con il progetto Terra Maris Ad oggi il
progetto sembra accantonato
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 215
Sin dalla sua creazione, il progetto Solidere è stato identificato nella figura del primo ministro Ha-
riri e, reciprocamente, egli ne ha fatto ‘una bandiera’ della ricostruzione dell’intero stato libanese,
incarnando la figura del ‘principe’ che gestisce il progetto per il bene della patria, anche agli occhi
della comunità internazionale32.
Nel caso di Tunisi, invece, i due ruoli sono ben distinti: da una parte il promotore immobiliare Sama
Dubai, dall’altra lo Stato, rappresentato dal presidente Ben Ali.
Tale distinzione non diminuisce l’evidenza del fenomeno e, anzi, ne acuisce i connotati in quanto
il presidente Ben Ali ha dato, sin dalle fasi di programmazione e di bonifica del sito, ampio risalto
al ruolo dello Stato entro il processo di trasformazione e, con la successiva trattativa diretta con la
società di Dubai, ha impresso ancor più enfasi al progetto. Sama Dubai è una società controllata
direttamente da Al Maktoum, sceicco di Dubai, Primo Ministro e Vice-Presidente degli Emirati Arabi
Uniti, in quanto parte della Dubai Holding, impresa che appartiene al governo e legata ai fondi so-
vrani degli EAU.
E’ da sottolineare che già nel caso dei Berges du Lac Nord, lo Stato tunisino è entrato in contatto
con società di investitori arabi (nel caso, Al Baraka), associati nel progetto del nuovo fronte marino,
ma senza proprietà diretta dell’area fondiaria, bensì con una partecipazione nella società di svilup-
po del progetto. Invece nel caso del Lago Sud, Sama Dubai, con un accordo stretto con lo Stato nel
settembre 2008, è divenuta proprietaria dell’intera area per una cifra simbolica, con il compito di svi-
luppare l’intero progetto33. Questo accordo ha definitivamente sancito i differenti ruoli di quello che
viene definito un “progetto presidenziale” ma che, di fatto, ha traslato tutte le competenze per la tra-
sformazione futura della città verso una holding internazionale soggetta alle regole dei mercati34 e
alla capacità attrattiva (di immagine, quantità, offerta turistica) dei propri investimenti. A conferma di
ciò, troviamo nella presentazione ufficiale del progetto (www.portedelamediterranee.com) anzitutto
l’impegno finanziario del gruppo: “The US$25 billion (AED95billion/TND31 billion) Mediterranean
Gate is being developed by Sama Dubai, the international real estate investment and development
arm of Dubai Holding. The project manager is Sama ECH, a subsidiary of Sama Dubai and a joint
venture with one of the top global project management companies, EC Harris”, per poi incontrare,
32 Solidere sin dalla sua nascita ha pubblicato ogni anno quattro rapporti trimestrali sull andamento del progetto Nel terzo rap
porto del 1997 viene descritto che Hariri nel solo trimestre di riferimento ha potuto illustrare il progetto al principe saudita Salman
Ben Abdel Aziz al primo ministro egiziano Kamal Ganzouri al ministro delle acque e dell elettricità degli EAU Hameed Ben Nasser
Al Oueiss al ministro degli esteri algerino Lakhdar brahimi al rappresentante del parlamento brasiliano Miguel Temer al primo mi
nistro dello Stato australiano del New South Wales Bob Carr all ambasciatore degli USA in Libano Richard Jones all ambasciatore
messicano Eduardo Rivas e a rappresentanti internazionali dell industria del commercio e delle istituzioni finanziarie arabe Fonte:
http://www solidere com/solidere html
33 Questo tipo di accordo è previsto dalla legge tunisina al fine di promuovere l ingresso di imprese straniere Si riporta l articolo
(del 1999) del Code d’incitation aux investissements: “Article 52bis: Il Est mis, au profit des investisseurs des terrains nécessaires à
l’implantation des projets importants du point de vue volume d’investissement et création d’emploi, au dinar symbolique. Cet avan
tage Est accordé, après avis de la commission supérieur d’investissement, par décret fixant les conditions d’octroi, de suivi et les
modalités de recouvrement.
E interessante notare un celebre precedente: la stessa operazione la cessione a titolo gratuito avvenne allorquando il Bey di Tunisi
a fine Ottocento consegnò l area dell attuale Petite Sicile a M me Fasciotti al fine di procedere con opere di bonifica e infrastruttu
razione
34 Davis M (2007) Le stade Dubaï du capitalisme Paris Les prairies ordinaires collection Penser/Croiser 2007 Come sottolinea
l autore la riproduzione dell immobiliare è di fondamentale importanza per la piccola città stato in quanto può mantenere lo status
quo dei privilegi fiscali a cui sono sottoposti i propri cittadini solo attraverso nuovi investimenti dal momento che non detiene impor
tanti giacimenti petroliferi (che nell ambito degli EAU sono soprattutto ad Abu Dhabi) e che non può fare affidamento sul supporto
incondizionato degli altri Emiri Tale situazione si è resa particolarmente evidente durante la recente crisi dei titoli di Dubai nel
novembre 2009
216 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
poco più avanti, i concetti ai quali il progetto si ispira: “Sharing the vision of President Zine El Abidine
Bin Ali for an inclusive, all-encompassing city, Mediterranean Gate will open doors for new compa-
nies, services and projects, providing further fillip to Tunisia’s diverse economic sectors.”
Sama Dubai a Tunisi è quindi un progetto che vede due ‘principi’, Ben Ali e Al Maktoum, impegnati
su due differenti fronti: l’uno politico ed interno alla Tunisia, l’altro finanziario e di orizzonte globale.
Il montaggio finanziario dei progetti per Beirut e Tunisi può essere annoverato tra i casi che vedono
“il capitalismo arabo alla conquista delle metropoli del Sud Mediterraneo”35 attraverso partecipazio-
ni in società di capitale nel settore fondiario, immobiliare e turistico, particolarmente presenti in Tu-
nisia e Libano tramite gli IDE (Investimenti Diretti dall’Estero)36. Questa dinamica ha subito un forte
incremento in tutta l’area dei PSEM, dovuto soprattutto al rialzo del prezzo del petrolio ed allo spo-
stamento di grandi capitali provenienti dei Paesi arabi dopo l’11 settembre 2001, ritiratisi dai Paesi
occidentali verso il Sud del Mediterraneo37. Ciò ha causato, seppur con una minor incidenza nei
confronti di Libano e Tunisia, l’apertura di nuovi scenari legati alla presenza di investitori provenienti
dal Golfo anche in Libia (Tameer Holding), Egitto (Emaar Misr) e in Algeria (Emaar Properties), oltre
alla presenza di lunga data in Marocco (dove operano tutte le principali compagnie saudite, ma
sotto l’egida dello Stato e attraverso la redazione di circostanziati quadri economici38).
Ma è ad Algeri che, in continuità con politiche nazionali tese a favorire lo sviluppo dell’economia in-
terna, gli investitori arabi trovano più ‘resistenze’, per lo più legate a motivazioni politiche: in risposta
all’annunciato sviluppo dell’intera Baia di Algeri da parte della società Emaar, lo Stato - tradizional-
mente presente nelle scelte di sviluppo territoriale - ha dato spazio al progetto Alger Medina di Mo-
hamed Abdelouahab Rahim, imprenditore algerino a capo di una holding che copre svariati settori
(grande distribuzione, IT, assicurazioni, farmaceutica, etc.), il quale nel 2009 ha lanciato un’offerta
obbligazionaria, con l’intento di finanziare il progetto attraverso un azionariato diffuso e ‘popolare’.
Tale impostazione del montaggio finanziario del progetto, differente dalle precedenti, trova evidente
motivazione nel mantenimento, da parte dello Stato, di un certo controllo sulle operazioni di trasfor-
mazione territoriale e di investimento immobiliare e su una certa personalizzazione da parte presi-
denziale del progetto, al cui fianco sorgerà la cosiddetta moschea ‘Bouteflika’ (in nome dell’attuale
presidente dell’Algeria).
Il diretto coinvolgimento dello Stato, nei casi incontrati, serve a “confermare il proprio ruolo di déve-
loppeur urbain”, come sin dal 1985 ha dimostrato il caso di Riadh El Fath ad Algeri, dove già si
illustrava “la predominanza dell’approccio ‘per progetti’, presentato come una politica, mentre nella
realtà si limita ad essere un azione a carattere dimostrativo destinata a veicolare l’immagine dello
Stato-promotore in assenza di una politica dell’habitat che permetta di soddisfare i bisogni della
maggioranza della popolazione”39.
Tali fenomeni - come rimarcato nei precedenti paragrafi 5.1.1, 5.1.2 e 5.1.4 - sono fonte di evidenti
divergenze rispetto alle forme del progetto urbano nei Paesi euro-mediterranei: la presenza degli
investitori privati, a Barcellona come a Marsiglia, è subordinata ad un piano generale gestito dalla
componente pubblica, che raccoglie tutte le azioni previste per i progetti; mentre il preminente ruolo
dello Stato o delle Amministrazioni locali non prevede una diretta ‘personalizzazione’ politica del
progetto, ma una gestione più o meno centralizzata delle fasi (economiche e gestionali) previste
dal programma. Sicuramente non è da sottovalutare, anche sulle coste europee, l’incrementale
presenza di gruppi finanziari agenti a livello globale ma che, ad oggi, non hanno ancora preso in
carico la totalità di un progetto su invito dello Stato, come invece avviene nei PSEM40.
La ‘mappatura’ operata di alcuni tra i principali soggetti promotori degli interventi nei PSEM, ha
evidenziato un fenomeno di vasta portata che ha degli effetti diretti sulle forme di costruzione dei
progetti in questione. Come visto nell’analisi comparata, le strutture gestionali di vasti progetti de-
vono essere sostenute da consulenti e progettisti che possano dare affidabilità e conoscenze di
ampia portata, a livello globale.
Così, nel caso di Solidere, troviamo una struttura gestionale formata dapprima da urbanisti francesi
(Lebas e Dupont), poi da un professionista inglese formatosi a Dubai (Angus Gavin), mentre dal
punto di vista progettuale vediamo la struttura francese APUR e lo spagnolo Ricardo Bofill alternarsi
all’agenzia giordano-libanese Dar al-Handasah per quanto riguarda la pianificazione urbana, con
progetti architettonici di SOM, De Portzamparc, De Carlo, Nouvel e altri. In breve, è possibile anno-
verare, per Solidere, un ampio spettro di studi di progettazione internazionali che hanno partecipato
alla definizione di parti più o meno consistenti del progetto.
Al contrario, ad Algeri e a Tunisi non troviamo, sin dalla ideazione iniziale, un così vasto raggrup-
pamento di professionisti, ma una deliberata scelta verso una definizione univoca del progetto, con
l’affidamento a soggetti esterni: il masterplan di Alger Medina è così affidato, attraverso un concor-
so internazionale, all’architetto americano di origini sudcoreane M. Kim, mentre il masterplan della
Porte de la Méditerranée - sul piano finanziario sviluppato con l’inglese EC Harris - è opera dello
stesso studio Dar al-Handasah (dopo un primo masterplan di Dirasset-Handassia), ‘specializzato’
in operazioni di sviluppo urbanistico nei paesi arabi. In realtà, nel caso tunisino, esiste una pre-
cedente esperienza, le Berges du Lac Nord, nella quale la struttura gestionale (SPLT) e la parte
progettuale (Jellal Abdelkafi e Wassim Ben Mahmoud, tra i più noti architetti tunisini) hanno avuto
origine locale (dopo una prima esperienza ad opera dell’architetto danese Hans Barreth), ma con
risultati distorti da una netta prevaricazione delle spinte speculative rispetto alla qualità progettuale
ricercata dai suddetti progettisti41.
E’ comunque da rilevare una chiara preferenza, da parte dei diversi developers, per consulenti e
progettisti esterni che, più o meno noti in ambito internazionale, assicurino una certa integrazione
40 Con riferimento a ciò che è avvenuto a Beirut con Solidere e come avviene nel caso di Sama Dubai a Tunisi Fonte (per il caso
di Tunisi): intervista del canale indipendente El Hivar all avvocato Abdel Nesser Laawini 24 settembre 2007
41 Cfr Barthel P A (2006) Op cit
218 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
tra standard occidentali di progettazione42 e immagine data al progetto (per gli acquirenti e futu-
ri investitori). Questa dinamica non è necessariamente da inquadrare nell’ottica di trasferimento
‘Nord-Sud’, come invece è stato per tutto il lungo periodo coloniale e post-coloniale del Novecento,
in quanto è talvolta connotata da trasferimenti del tipo ‘Sud-Sud’43, dove studi e progettisti che
hanno acquisito competenze internazionali di alto livello (ad esempio Dar al-Handasah o Angus
Gavin) - ma provenienti da altre realtà del Sud del mondo - competono con gli studi francesi e
anglo-americani nel definire i progetti urbani per i PSEM.
Ciò nondimeno, il ricorso a tali realtà professionali, come confermato in un’intervista dall’urbanista
tunisino Morched Chabbi44, provoca spesso l’esclusione dei consulenti e dei progettisti locali dalla
possibilità di intervenire in quanto, sovente, non vengono informati sui dati generali delle previsioni
e, di conseguenza, non possono partecipare in modo attivo al dibattito su progetti che, nei fatti, de-
cidono la sorte di parti molto estese del territorio urbanizzato. Come definito dallo stesso Chabbi45
con riferimento alla rilevanza degli studi in urbanistica nella costruzione della città maghrebina: ”Gli
studi e le ricerche di urbanistica sono richiesti dalle politiche allo scopo di definire progetti urbani,
quando l’esigenza di tali realizzazioni è richiesta per necessità politiche” e ciò si compone con una
tendenziale incapacità, da parte delle strutture burocratiche, di collegare gli strumenti generali di
pianificazione (in genere dotati di poca capacità operativa) a piani di fattibilità che possano dare
seguito alle previsioni.
Questo punto, apparentemente meno significante, segna un chiaro disallineamento tra le aspira-
zioni dello Stato centrale, promotore dei grandi progetti urbani, e la formazione culturale dei tecnici
‘esperti’ locali, i quali, con un più sobrio spirito realista, durante gli ultimi 20-30 anni hanno messo in
campo studi (SDAU - PAU - POS - Piani di recupero) e proposte di grande interesse per lo sviluppo
urbano46 e che non hanno generalmente avuto spazio entro programmi di architetture urbane di
così ampia portata.
In ultima analisi, la motivazione di questo disallineamento è da riferirsi alla “coesistenza di due tipi
di intervento, l’uno con poca capacità operativa (il piano, ndr) e l’altro che invece porta alle realiz-
zazioni (il progetto urbano, ndr), motivo per il quale le città maghrebine spesso si presentano come
città-mosaico”47.
Ulteriori soggetti coinvolti all’interno dei casi studiati sono gli attori locali, soggetti di diversa estra-
zione e condizione socio-economica che, di buon o malgrado, si trovano a considerare la loro po-
sizione rispetto ai progetti urbani in questione.
42 Eric Verdeil Expertises nomades au Sud. Eclairages sur la circulation des modèles urbains su Géocarrefour vol 80/3 2005
[ n linea] messo in rete il 13 marzo 2008 URL : http://geocarrefour revues org/index1143 htmllang=fr Consultato il 29 novembre
2009
43 bidem
44 Già presidente dell ATU Associazione Tunisina degli Urbanisti ntervista rilasciata a Giorgio Ciarallo presso lo studio URBA
CONSULT il 21 11 2008
45 Cfr Chabbi M (2006 a) Fonctions et usages de études d’urbanisme dans la production de la ville au Maghreb in Boumaza N
et al (2006) Villes réelles, villes projetées. Fabrication de la ville au Maghreb Maisonneuve et Larose Parigi
46 Tra le quali si ricordano per il caso di Tunisi il progetto urbano El Hafsia di Jellal Abdelkafi lo SDAU della Grand Tunis di Urba
consult (et altri) ed il recupero delle gourbivilles di Tunisi di Morched Chabbi
47 Cfr Chabbi M (2006 a) Op cit
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 219
A tal proposito è anzitutto da ricordare che, anche al fine di evitare problemi legati ai diritti dei
residenti ed alla proprietà dei diritti edificatori48, molti grandi progetti urbani dei PSEM - in genere
sviluppati dagli investitori dei Paesi del Golfo - sono concepiti ai margini delle città, in zone peri-
feriche con scarsa relazione con la città ‘abitata’. Questo permette di minimizzare le procedure di
indennizzo e di spostamento della popolazione, spesso fonti di prolungamento dei tempi.
Ed è soprattutto questo il motivo per il quale, ad Algeri e a Tunisi, non è possibile rintracciare il coin-
volgimento di attori terzi rispetto allo Stato ed ai finanziatori, pur se i progetti in questione potranno
avere forti ricadute sul ‘funzionamento’ urbano. Le situazioni politiche dei due Paesi, non favorisco-
no la presenza di voci ‘altre’ rispetto a quelle ufficiali e, per tale motivo, non è nota la presenza di
gruppi o associazioni che pongano opposizione (o, al limite, dibattito) sui progetti49.
Nel caso di Solidere, invece, la situazione è differente. Nel centro di Beirut i proprietari sono stati
obbligatoriamente coinvolti (tramite una legge dello Stato, la n.117/1991) a cedere i propri beni
immobili (per la maggior parte da demolire) in cambio di quote della società, e ciò ha causato nu-
merose proteste, che hanno avuto effetto soprattutto sul versante del mantenimento e successivo
recupero di alcuni edifici storici. Il grande frazionamento delle proprietà (circa 4750) ha permesso
agli investitori di avere quote di maggioranza della società e, quindi, di controllare lo sviluppo del
programma. Il successo della prima parte del progetto (il recupero del quartiere coloniale francese e
delle maggiori vie centrali) ha poi smorzato le voci non concordi ed ha soprattutto favorito l’ingresso
di nuovi attori (anzitutto le boutiques internazionali di alta moda) che hanno dato l’impulso decisivo
ai processi di gentrification che hanno mutato il volto del centro città50.
In breve, appaiono evidenti due differenti situazioni: da una parte la ricerca, da parte degli investitori
esteri, di superfici non interessate da diritti di proprietà differenti da quelli esercitabili dall’operatore
stesso, dall’altra - laddove il progetto insiste su aree già pienamente urbane - ad una oggettiva
difficoltà nello stabilire relazioni tra i portatori di diritti, gli investitori e le amministrazioni centrali
dello Stato. Due situazioni che, presentandosi all’unisono, definiscono un sempre maggior rischio
di consumo di suolo e di segregazione urbana e sociale.
La seconda chiave di lettura riguarda il ‘come’, cioè la modalità - programmatica e progettuale - con
la quale è stato elaborato e realizzato il progetto urbano nei PSEM.
Dal punto di vista programmatico, lo studio compiuto permette di segnalare anzitutto l’influenza che
la componente politica esercita sull’individuazione di progetti che possano rispondere alle esigenze
di investimenti - sovente di capitali esteri - sul proprio suolo. Sono infatti i governi centrali - libanese,
algerino e tunisino - a trattare direttamente le modalità con le quali si potrà sviluppare la trasforma-
zione, attraverso programmi definiti con gli operatori privati.
Tali programmi godono di un alto livello di autonomia e rispondono a linee guida generali concorda-
te con lo Stato: si ha così la costruzione di un centro residenziale e direzionale su superfici acquisite
tramite demolizioni - avvenute sostanzialmente per via coattiva - a Beirut; la definizione di un polo
terziario e alberghiero - laddove insistono altre proprietà dell’operatore - slegato dal proprio conte-
sto immediato ad Algeri; l’esportazione del modello urbanistico coniato a Dubai51 per la fondazione
di una città dei servizi, della tecnologia e dei divertimenti, giustapposto all’attuale Tunisi.
Il fatto che questi progetti si inseriscano entro differenti quanto generiche strategie urbane (di ri-
conquista del centro direzionale a Beirut, di governo dell’intera Baia ad Algeri, di composizione di
un rapporto tra città e acqua a Tunisi) non significa che rispondano a programmi ben strutturati che
posizionino compiutamente l’intervento nel quadro urbano. Con questo, non ci si riferisce necessa-
riamente ad un piano generale o di suolo, quanto ad una struttura di riferimento che possa far ‘stare
in piedi’ il progetto entro un più vasto programma di governo urbano.
I piani sui quali, a Barcellona e a Marsiglia, si è potuto ragionare per costruire scenari o strutture di
riferimento, si fondano sul controllo di fenomeni noti (la deindustrializzazione, la dispersione urba-
na, le spinte speculative) e, quindi, le strategie costituite ‘sopra di essi’ hanno potuto avvalersi di
una buona conoscenza e di un discreto controllo delle dinamiche in atto.
Nei PSEM, invece, ad una buona - ma non sempre approfondita - conoscenza dei problemi52 non
corrisponde il controllo delle dinamiche in atto, in quanto i piani generali sui quali si sono volute
impostare strategie di sviluppo e progetti urbani (e di investimento, se si segue il filo degli IDE) non
riescono - sin dalle loro prime definizioni - a definire nuovi equilibri rispetto a pressanti dissesti do-
vuti a poco lungimiranti politiche urbane e redistributive53.
I programmi di sviluppo urbano costituiti ‘per eccezioni’ hanno così preso forma su piani poco
rispondenti alle reali trasformazioni in atto, perché privi di mezzi e di tempi sufficienti rispetto alle
necessità54; piani che, in gran parte ereditati da modelli francesi, hanno visto grandi difficoltà nel
ripercorrere il rispetto di norme e regolamenti non sempre rispondenti alle esigenze delle città ma-
ghrebine e levantine.
A dimostrazione di questo problema, inserito nella realtà maghrebina, ancora Chabbi aiuta ad ap-
profondire, allorquando afferma che “la pianificazione urbana, sia come sistema regolativo che di
gestione dello spazio urbano, appare essere inadatta ai bisogni della popolazione” anche se, ad
uno sguardo più approfondito, si può comprendere come le cose realmente ‘funzionino’: “la pervasi-
vità della gestione normativa della città (...) corrisponde ad una gestione clientelare dell’organizza-
zione dello spazio”, dove “il ricorso a strumenti apparentemente inadatti procura multipli vantaggi,
perché permette di massimizzare la regolazione sociale dando soddisfazione agli abitanti, minimiz-
zando le spese”. Così facendo, lo Stato ha favorito una “economia dell’indennizzo” basata sulle
deroghe clientelari rispetto alle azioni previste dal piano e, per estensione, sulla “gestione privata
dello spazio pubblico”. Visto sotto questo punto di vista, il Plan d’Aménagement Urbain - strumento
largamente utilizzato nei Paesi del Maghreb - diventa occasione, purché clientelare, di regolazione
economica e sociale55, lasciando comunque segni evidenti sul piano urbanistico.
Dal punto di vista progettuale, si può anzitutto annoverare tra le differenze la localizzazione del
progetto nei confronti della città e quindi il rapporto intessuto con essa: come approfondito nel par.
5.2.4, nei Paesi emergenti mediterranei è frequente l’individuazione di aree di trasformazione collo-
cate ai margini della città, piuttosto che il recupero di aree in disuso nel corpo denso della fabbrica
urbana come invece avviene in area europea. Ciò determina una discrasia tematica tra le due po-
sizioni: da una parte siamo nel campo dell’espansione urbana (con consumo di suolo), dall’altra in
quello della trasformazione dell’esistente o al limite della densificazione (senza ulteriore consumo
di suolo).
La definizione di un unico masterplan di progetto è sicuramente un tratto comune tra le due spon-
de del bacino, anche se i diversi piani di massima intrattengono un diverso rapporto con le città in
cui sono inseriti o per le quali sono pensati. Si tratta quindi di un diversa relazione tra progetto e
governo della forma urbana, nel quale i noti casi di Barcellona e Marsiglia rappresentano due vie
completamente opposte, ma egualmente rappresentative per il contesto europeo: da una parte
l’individuazione di differenti punti strategici, dall’altra quella di un perimetro unico e continuo. Diffe-
renze che provengono da letture analitiche delle città in questione e dei piani storici che le hanno
così determinate, sino a definire modalità considerate ‘adeguate’ di intervento.
I casi dei PSEM, invece, evitano accuratamente di considerare tutta una serie di problemi urbani59
che affliggono le città: dal rapporto con il contesto fisico immediato (superato dall’imposizione di
una nuova immagine urbana) a quello con il contesto economico e sociale, dalla congestione del
traffico sino alle problematiche legate alle rendite fondiarie. Ciò garantisce la possibilità di operare
una autonoma definizione del progetto, sotto gli auspici di differenti indicatori: la possibilità di creare
nuovi posti di lavoro, di attirare turisti, di impiantare sedi di multinazionali60 attraverso il meccani-
smo degli investimenti diretti provenienti dall’estero (IDE), svincolati dai piani e dalle briglie dell’au-
torità (zone franche, assenza o diminuzione pro tempore delle tasse, etc.).
Le scelte progettuali, infine, riflettono direttamente l’impostazione generale sopra descritta, dal pun-
to di vista morfologico e funzionale. Troviamo così, nei progetti analizzati per i PSEM, molteplici
elementi che concorrono all’alterazione della nozione di progetto urbano così come nota in ambito
europeo:
- anzitutto la mancata integrazione morfologica tra progetto e contesto, evidente soprattutto nei
casi di espansione urbana, laddove non vengono riconosciute qualità al tessuto e alle relazioni
urbane esistenti, preferendo una totale distinzione, attraverso la separazione tra parti poco o per
nulla comunicanti;
- conseguentemente, viene istituita una zonizzazione interna al recinto di progetto, che stabilisce
relazioni interiori e completamente differenti da quelle già esperite dalla città: è così accordato mag-
gior valore a luoghi di “alta rappresentatività”61, quali il waterfront punteggiato da porticcioli turistici
e spiagge, centri direzionali costituiti da torri vetrate, luoghi per il divertimento quali campi da golf
e grandi centri sportivi, evidenziando così i reali destinatari dei progetti, cioè dotati di “un elevato
livello di solvibilità, (e quindi si tratta di progetti) non rivolti alla popolazione locale e con un impatto
diretto sui valori immobiliari e dei terreni”62;
- per dare forma a questa configurazione vengono utilizzati impianti urbani genericamente riferibili
ai modelli anglo-americani63, con riferimento ad un immaginario completamente dissociato dalle
forme a dai modi di vita locali;
- le infrastrutture della mobilità si fondano sulla primaria definizione di strade a scorrimento veloce
che collegano le aree di progetto al centro delle città ed ai principali aeroporti esterni ad esse. Ra-
ramente vengono menzionati nei masterplans incontrati (solo a Beirut), sistemi di trasporto collettivi
che servano le aree di nuova progettazione;
- il valore degli spazi pubblici è conformato alla “eccezionalità” dei progetti, fondandosi cioè sulla
59 Cfr Chabbi M (2009) Les grands projets urbains à Tunis. Fonctions et impacts. Comunicazione tenuta al Seminario interna
zionale Rigenerazioni urbane in area mediterranea 25 marzo 2009 organizzato all interno del corso di dottorato in Pianificazione
Urbana Territoriale e Ambientale del Politecnico di Milano organizzazione: Giorgio Ciarallo
60 Con particolare riferimento alla presentazione del progetto Sama Dubai a Tunisi
61 Davis M (2007) Le stade Dubaï du capitalisme, Paris, Les prairies ordinaires, collection Penser/Croiser, 2007.
62 Cfr Chabbi M (2009) Op cit
63 Cfr Chabbi M (2009) Op cit
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 223
generica rappresentazione di luoghi accoglienti prelevati dal catalogo storico della città pubblica
occidentale, senza essere definiti su una struttura urbana di carattere pubblico (ciò avviene solo nel
caso di Beirut) o su elementi legati alla sociabilità nei contesti di riferimento.
Terzo ed ultimo ‘sguardo’, chiave di lettura del fenomeno, riguarda la localizzazione dei progetti
rispetto alle strutture urbane delle diverse città. Come già accennato, si tratta di un tema dirimente
rispetto alle condizioni riscontrate, in quanto definisce profonde divergenze tra i casi euromediterra-
nei e quelli dei PSEM. Questo approfondimento potrà dar luogo ad un ragionamento più ampio sulla
relazione tra i progetti e le dimensioni previsionali definite per le metropoli mediterranee analizzate,
alla luce di trasformazioni considerate come opportunità strategiche o addizioni speculative dovute
alla rendita differenziale generata dal progetto stesso.
I due elementi con i quali considerare il tema sono: il waterfront (o meglio il rapporto tra il progetto
urbano e l’acqua) e la collocazione del progetto urbano rispetto ai limiti della città.
Il primo elemento, riscontrato in tutti i principali casi affrontati, si riferisce ad una ormai consolidata
tradizione progettuale64 che vede nel recupero dei fronti marittimi un tema di importanza cruciale
al fine di rigenerare economie urbane, anche nella loro totalità, depresse dal sottoutilizzo delle aree
portuali.
Un’impostazione ‘classica’ come quella appena esposta è riscontrabile, tra i progetti analizzati, solo
a Marsiglia, pur essendo comune a molte altre realtà urbane dell’arco latino del Mediterraneo (si
pensi, tra i tanti, ai noti casi di Valencia o Genova). Non è invece da annoverare tra questi il caso
della Vila Olimpica di Barcellona, in quanto ha preso forma su aree precedentemente occupate da
elementi industriali in disuso e non da infrastrutture portuali. A parte queste distinzioni, si intende
sottolineare il ruolo del fronte-mare in questi due progetti, in quanto si propone quale elemento di
compimento delle azioni progettuali di connessione urbana operate sulla città esistente, conferendo
al limite tra città ed acqua una funzione di legame tra le diverse operazioni considerate dai proget-
ti.
Tra i progetti dei PSEM, il caso di Beirut è quello che ricorda più da vicino l’impostazione sopra
descritta, in quanto prende le mosse dal recupero del centro urbano, ridisegnando la linea di costa
tramite una corniche che ‘tiene assieme’ differenti episodi del progetto. Questa nuova linea di costa
è il limite di una estensione del centro che si protende verso il mare, una penisola sulla quale è
prevista la costruzione della nuova city direzionale. In questo modo il rapporto tra città consolidata e
acqua, a differenza da Marsiglia e Barcellona, è fortemente mediato da una successione di cinque
isolati, che si pongono come nuova interfaccia tra centro città e mare.
64 Hoyle B S Pinder D A Husain M S (1994) Aree portuali e trasformazioni urbane. Le dimensioni internazionali della ristrut
turazione del waterfront Mursia Milano
224 Forme del progetto urbano nel contesto mediterraneo
I due casi di Algeri e Tunisi definiscono, invece, un rapporto opposto tra la città ed il mare, in quanto
non rispondono a nessun tipo di relazione tra il corpo urbano esistente e l’acqua, definendo invece
un legame completamente autonomo entro le funzioni da inserire sul fronte marittimo. Esempio
eloquente di questa impostazione è il campo da golf previsto a Tunisi, che divide il tessuto esistente
di Meqrin dal fronte acqueo.
In breve, appare chiara l’esistenza di una diversa impostazione nel rapporto tra progetto urbano e
fronte-mare: da una parte l’opportunità offerta dalla relazione tra città e acqua è inserita entro una
dimensione di connessione - strategica nei confronti degli obiettivi di progetto - tra diversi brani del-
la città (esistenti e progettati), dall’altra la stessa opportunità viene ricondotta ad un più autonomo
legame tra il progetto e la costa, distinguendolo nettamente dal resto del tessuto urbano.
Il secondo elemento rilevante, rispetto al ‘dove’ dei progetti urbani incontrati, è la collocazione
di questi rispetto alla città che, nei fatti, definisce i progetti quali azioni di riqualificazione e rinno-
vamento del tessuto urbano (su suolo già densamente urbanizzato) differentemente da azioni di
espansione urbana (con addizionale consumo di suolo).
Nel caso di Barcellona il progetto è collocato, all’interno della già richiamata visione strategica delle
12 Nuove Centralità, in una zona precedentemente occupata da un cimitero, da edifici industriali e
da una linea ferroviaria, ad Est del porto e della Ciutad Vella, laddove il Plan Cerdà non definì una
relazione compiuta con il fronte marittimo; a Marsiglia, Euroméditerranée si definisce attraverso l’in-
sieme di più azioni progettuali determinate entro un perimetro continuo a Nord del quartiere centrale
del Panier, seguendo la linea di costa del porto ottocentesco della Joliette.
Trattasi quindi di zone pienamente urbane che, per via delle loro condizioni di marginalità rispetto
alla loro posizione centrale, sono state individuate quali ambiti di ri-progettazione complessiva, at-
traverso differenti azioni: dalla ‘ricucitura’ del tessuto urbano esistente alla definizione di un nuovo
impianto planimetrico, dal recupero di elementi di valore testimoniale alla costruzione di nuovi edifici
per attività di tipo terziario.
A Beirut il progetto Solidere ebbe inizio come progetto di ricostruzione del distretto centrale della
città a seguito degli avvenimenti bellici e quindi, nell’accezione sopra descritta, sarebbe da ascri-
vere pienamente alla prima modalità. Il valore della ‘opportunità urbanistica’ del progetto è però
da attribuire, in questo caso, a due elementi che ne cambiano radicalmente il senso, in direzione
dell’espansione urbana: la costituzione, sul versante marino, del vasto terrapieno che ha confor-
mato un nuovo disegno della linea di costa - ora leggibile come una penisola - e l’abbattimento di
circa l’80% degli edifici che precedentemente costituivano il tessuto urbano del centro città. Queste
due condizioni hanno permesso l’organizzazione di interi nuovi isolati, dando forma ad un moderno
centro direzionale prospiciente il mare, a ridosso delle rimanenze del centro storico.
Il caso di Alger Medina non presenta invece correlazioni con il tema del rinnovamento di parti della
città, in quanto il progetto è previsto in un’area periferica, ma in posizione centrale rispetto all’intera
Baia, entro una fascia costiera stretta tra l’autostrada N11 ed il mare. L’area di progetto è debol-
mente urbanizzata (ma molto infrastrutturata, per via del passaggio dell’autostrada e della ferrovia)
in quanto presenta piccoli episodi di tipo industriale. Si tratta quindi di un progetto urbano di espan-
sione della città che, attraverso il masterplan proposto per un distretto ricettivo e terziario, compone
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 225
Le conclusioni a cui ci porta l’analisi delle modalità di programmazione e progettazione dei progetti
65 Cfr Carriere J P Demaziere C (2000) Projet urbain et grand projets emblematiques: reflexions a partir de l’exemple d’Expo 98
a Lisbonne in AAVV (2000) Quin projecte urbà a la conca Mediterrania? pubblicazione degli Atti del convegno tenuto l 11 maggio
2000 presso l nstitut Català de la Mediterrania d Estudis i Cooperaciò Generalitat de Catalunya Barcellona
Si veda anche Chaline C (1999) La regeneration urbaine Presses Universitaires de France Parigi
66 Cfr De Carlo G (1999) Gli spiriti dell’architettura ( edizione) a cura di L Sicchirollo Ed Riuniti Roma
67 Palermo P C (2009) I limiti del possibile pg 99 Donzelli Ed Roma
68 bidem pg 99 nel seguito Palermo individua tre potenzialità: la ripresa dei temi dell architettura e della forma urbana l esplora
zione degli obiettivi dell azione integrata i tentativi di introdurre i principi e le tecniche dell azione e interazione strategica Anche se
sino ad ora sempre secondo l autore hanno “portato ad esiti paradossali
69 Cfr. Roncayolo M in ngallina P (2004) Il progetto urbano. Dall’esperienza francese alla realtà italiana Franco Angeli Milano
70 ntervista del 30 novembre 2006 a J Abdelkafi realizzata da P A Barthel citata in Barthel P A (2006 b) Op cit
capitolo 5 - Nelle città del Mediterraneo: i differenti caratteri del progetto urbano 227
urbani nei PSEM sono legate ad una evidente distinzione dai modelli operativi sviluppati nei casi
euro-mediterranei. Pur convergendo - dal punto di vista strumentale - nella proposizione di master-
plan che (attraverso un’unica azione progettuale) intervengano sulle destinazioni di piano dando
forma a parti relativamente autonome dal resto della città, dal punto di vista programmatico i pro-
getti urbani vengono impostati su precedenti alterazioni71 dei modelli provenienti dalle esperienze
urbanistiche europee, configurando così una concatenazione di ‘ambiguità procedurali’, dove le
occasioni progettuali si inseriscono come corpi a sé stanti, estranei ad una realtà frammentata e
probabilmente bisognosa di programmi caratterizzati da una maggiore integrazione interna72.
In conclusione, è plausibile fare una breve riflessione rispetto ai problemi riscontrati nei PSEM e
sulle occasioni mancate: alcune esperienze positive incontrate attraverso il presente lavoro - siano
esse di provenienza europea (il piano Quaroni-De Carlo di Tunisi, il piano dell’APUR per Beirut o le
esperienze di Kopp e Chazanoff nella rigenerazione urbana delle bidonvilles di Algeri) o cresciute
localmente (le prime forme di progetto urbano per El Hafsia e per il recupero delle gourbivilles di
Tunisi, con J. Abdelkafi e M. Chabbi) - non hanno probabilmente avuto ‘il peso’, culturale e tecnico,
che esse meritavano, alla luce delle scelte compiute dai governi dopo le grandi aperture fatte da
questi ultimi verso i mercati internazionali (anni ‘80 e ancor di più anni ‘90).
I tentativi messi in atto ad Algeri (GPU 1997-2001) e a Tunisi (SDAU del District de Tunis) per il
governo delle Grandi aree metropolitane, ponevano in essere questioni quali il rapporto tra la città
coloniale, le periferie ed i nuovi poli di sviluppo, ma anche essi sono stati accantonati.
Si è invece preferito dare spazio a progetti urbani perlopiù privi di collegamento con la realtà urbana
locale.
Pare quindi che il tema, urbanistico-progettuale, sia da porre più in termini politici che tecnici: lo
‘sfruttamento’ delle occasioni fornite dai progetti urbani potrebbe essere così preceduto da una più
attenta ricognizione delle capacità tecniche locali (un dibattito aperto con la componente esperta),
quindi dalla lettura delle dinamiche urbane proprie (studi di fattibilità e di impatto) e, operativamen-
te, da una maggiore attenzione verso scelte che, se portatrici di effetti sulla struttura urbana e sugli
abitanti, dovrebbero essere tra le più condivise.
Penso che questo valga anche per molte altre città mediterranee, italiane ed europee, per non
‘abdicare all’interesse pubblico’.
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Visionabile al sito:
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um=10&so=0&type=search&plindex=2#
pg. 35 Imm.8 - Tratta da von Rauch Y., Visscher J. (a cura di ), (2000), Op. Cit.
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Carta 6 - Plan Bleu, dati 1999; Troin F., 1997, Op. cit. (Elab. Ciarallo G.).
pg. 78-79 Imm. 15-20 - Tratte da Google Earth il 15 dic. 2009 - Elab. Ciarallo G.
Grafico 1 - Elab. Ciarallo G. su dati tratti da Delbene G., 2007.b, Op. cit.
pg. 105 Imm. 23 - Marseille, ville et nature. Materiali didattici del Prof. Tamisier
Christian, Lab. Lames - MMSH - Aix en Provence.
pg. 105 Imm. 24 - Marseille, ville et nature. Materiali didattici del Prof. Tamisier
Christian, Lab. Lames - MMSH - Aix en Provence.
pg. 109 Grafico 2 - Elab. Ciarallo G. su dati tratti da Donzel A., 2001, Op. cit.
Planim. 8 - Al Mashriq.
pg. 131 Grafico 3 - Elab. Ciarallo G. su dati tratti da Verdeil E., 2001, Op. cit.
pg. 149 Carta 8 - Tratta da: E.B. Azzag, 2006, Op. cit. Fonte: Urbanis 2004.
pg. 155 Carta 9 - Tratta da Doc. presentazione dello studio incaricato Arte
Charpentier, 2009.
pg. 172 Imm. 51 - Tratta da Chabbi M., 2009, Op. cit. - Fonte: Urbaconsult.
pg. 173 Tabella 2. Fonte: Ist. Nazionale per il Commercio Estero Italiano, 2009.
pg. 177 Planim. 14 - Tratta da: Jatta A., 1985, Op. Cit.
Grafico 5 - Elab. G. Ciarallo su dati tratti da Chabbi M., 2004, Op. cit.
pg. 181 Imm. 52 - Tratta da Google Earth il 12 lug. 2009 - Elab. Ciarallo G.
pg. 185 Imm. 56 - Tratta da: Documento di presentazione del progetto - Sama
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pg. 204 Imm. 60 - Tunisi. Fotosequenza Tratta dal video della TV ufficiale di Sama
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