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BENEDETTA DONATO

LO SGUARDO
LUNGIMIRANTE
Il ruolo della fotografia per una
visione partecipata ed inclusiva
nell’era della resilienza

1
PREMESSA

Meno è più
RESET è un termine utilizzato nell’ambito informatico per indicare un ripristino delle
condizioni di partenza di un sistema, azzerandone le operazioni svolte.
Il termine nasce come frutto dell’unione tra un re-iterativo (che indica la ripetizione di
un’azione) e il verbo set, quindi collocare, posizionare.
In questo contesto più che azzerare, dobbiamo guardare alle ultime ricerche sul
paesaggio e alle indagini visive sul territorio, alla luce di istanze nuove ed emergenze
inedite.
L’operazione richiesta non è dunque di sottrazione, ma di addizione e di riempimento.
La fotografia riparte da se stessa, da ciò che è stato fatto finora, con la consapevolezza
di dover alimentare connessioni già in corso con le altre discipline, in un dialogo
aperto e reciproco tra interlocutori differenti.
Il paesaggio esploso
versus
l’implosione degli spazi

© Andrea Botto, KA-BOOM, 2017

«Bisogna crescere per implosione e non più per esplosione. Non allargando a macchia
d’olio la città, ma completando il tessuto che già esiste, costruendo sul costruito,
andando a riempire quei buchi neri, come le aree dismesse o aumentando la densità,
ad esempio sviluppando gli edifici in altezza. Ci vuole più abilità e sottigliezza».
Renzo Piano

L’esplosione è un tema che si presta a più declinazioni, soprattutto se riferita al


paesaggio.
Nel 2008, dopo aver lavorato su fenomeni di trasformazione del paesaggio, Andrea
Botto (1973) inizia la ricerca intitolata KA-BOOM. The Explosion of Landscape. Un
immaginario manuale di esplosivistica, in cui a materiali d’archivio, si affiancano
immagini messe in scena e fotografie di esplosioni civili in Italia e in Europa.
Queste ultime sono pianificate nei minimi dettagli sia per demolire architetture
dismesse, sia per trasformare strutturalmente il paesaggio per la costruzione di
nuove infrastrutture. Si tratta di operazioni programmate da tempo e nei minimi
dettagli, la cui durata è brevissima e gli effetti irreversibili. Processi che avvengono
pubblicamente, con tanto di spettatori, testimoni di metamorfosi destinate a mutare
lo scenario per sempre.

Per l’autore la fotografia assume la stessa potenza di ciò che ritrae, agendo sulla
realtà per modificarla e attivare processi di conoscenza. Immortalare la dissoluzione
del territorio rende consapevole lo spettatore di un fenomeno che non riguarda
quella fotografia, ma che in essa è contenuto come immaginario più profondo e che
rimanda ad azioni di sfruttamento intensivo del territorio, oramai non più recuperabili
in maniera meno invasiva.
© Andrea Botto, KA-BOOM, #05 Pieve Emanuele, 2011

Rimanendo in tema di esplosioni, Botto ha lavorato a Reviviscenza, il racconto della


realizzazione del nuovo viadotto di Genova, in seguito alla tragedia del parziale crollo
del Ponte Morandi, ricostruito in tempi record.

© Andrea Botto, Reviviscenza, Genova, 2020

Reviviscenza è un termine poetico che definisce il ritorno alla vita dopo un trauma.
È interessante a questo proposito, citare il reportage 1988-1992 Vivere sotto una
cupa minaccia realizzato da Michele Guyot Bourg (1930), riscoperto a ridosso della
tragedia. Dalle immagini si evince chiaramente come la struttura impattasse sulla vita
sociale degli abitanti di quel quartiere. Il lavoro, ha fatto il giro del mondo, ma approda
a Genova per la prima volta, solo alla fine del 2018, per tornarvi l’anno dopo.
Esposto a pochi metri dai resti del Ponte, viene riportato alla sua importanza sociale
nel quartiere logorato dal prezzo pagato alla pianificazione urbana del passato,
che oggi è protagonista di un processo di ripensamento “dal basso”, attraverso il
coinvolgimento degli abitanti.

Quelle fotografie sono prese di coscienza: il trauma non è diretta conseguenza del
crollo, ma di un pensiero multidisciplinare che è mancato.

La riscoperta del reportage diventa testimonianza, sottolineando l’importanza


fondamentale della conservazione dei beni fotografici, per una memoria documentaria
attiva, che non può prescindere dalle operazioni di rigenerazione di un territorio.

© Michele Guyot Bourg, 1988 - 1992 Vivere sotto una cupa minaccia, Genova

La consapevolezza conquistata dal capoluogo ligure è alla base di un nuovo modo di


guardare la città e di prestare ascolto alle istanze di chi ci vive.
L’attenzione si volge verso le fragilità del territorio - basti pensare ad inziative come
Genova città fragile, i cui esiti sono attualmente in fase di valutazione - intese sia
come difficoltà da risolvere, sia come qualcosa di prezioso da salvaguardare, che
interessa indifferentemente aspetti geologici, urbanistici e sociali.

In generale si tratta di guardare a spazi di passaggio, siti dismessi, rilevanze storiche


e paesaggistiche trascurate, luoghi periferici o rurali malamente collegati, che
rappresentano alcuni di quei buchi neri da riempire di cui parlava Piano.
Non solo in città.
Riscoperte: dall’Italia remota alle
aree marginali

© Urban Reports, Installazione, Padiglione Italia, Biennale di Architettura di Venezia, 2018

Nell’ambito della 16a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia 2018


è stato presentato: Arcipelago Italia. Progetti per il futuro delle aree interne del
paese, il Padiglione Italia curato da Mario Cucinella, che ha affrontato un viaggio al di
fuori delle città, per addentrarsi in territori distanti dalle aree urbane maggiori.
La mostra si articolava in produzioni e analisi del processo partecipativo delle diverse
professionalità coinvolte, insieme a cittadini e stakeholders, per ragionare sul futuro
di questa parte d’Italia.

L’impostazione multidisciplinare, ha visto la partecipazione del collettivo di fotografi


e ricercatori indipendenti Urban Reports, il cui lavoro si basa su un’ottica trasversale,
con riferimento a diversi insegnamenti. Dalla loro esperienza con la Biennale è nato
il libro L’Altra Italia. Racconto per immagini delle aree interne del Paese, che ha
coinvolto: le foreste Casentinesi, Camerino e l’area del cratere, Gibellina e la Valle del
Belice, Ottana in Barbagia e la Valle del Basento in Basilicata.
Emerge come l’Italia dei borghi e dei piccoli centri, lontani dal turismo di massa e
caratterizzati dai fenomeni di spopolamento e impoverimento economico, rappresenti
al contempo spazio di valore inestimabile, quanto a varietà del paesaggio e ricchezza
culturale.
© Isabella Sassi Farìas, Arcipelago Italia, 2018, Courtesy Urban Reports

L’esplorazione diviene un modus operandi che gli Urban Reports applicano anche
alle trasformazioni relative alle grandi aree urbane e metropolitane, per confluire
in campagne fotografiche. Tra queste ultime, si ricorda: Viva l’Architettura! 4
architetture – 4 comuni – 4 storie. Un racconto fotografico della porzione Est del
territorio metropolitano di Milano, in cui indagano i territori dei comuni di Paderno
Dugnano, Sesto San Giovanni, San Donato Milanese e Segrate, partendo da quattro
emergenze architettoniche del ‘900. Riposizionandole sulla mappa del territorio
metropolitano, si vuole sollecitare una riflessione sulla geografia urbana in cui sono
inserite, sulla relazione che instaurano coi luoghi e, con uno sguardo più ampio, sulle
ultime trasformazioni che hanno modificato il paesaggio di questi territori.

© Urban Reports, Viva l’Architettura, Milano, 2020 - 2021

Si tratta di aree periferiche che attualmente sono al centro di operazioni di riattivazione


territoriale, per renderle luoghi vivibili e godibili.

L’aggettivo “periferico”, da sempre associato al degrado, alla tristezza, alla lontananza


deve invece rappresentare un continuum con il senso di appartenenza alla città, con
potenzialità altre rispetto a quest’ultima.
Il centro diffuso

© Alberto Dedè e Bruno Pulici, Giardino pubblico, Adriano Nuova, per Lacittàintorno,
Fondazione Cariplo

Estendere il senso di urbanità, di far parte della città, vuol dire creare spazi negli spazi
in tutto il territorio, senza distinzione tra centro e periferia. Ancora di più, significa
creare centralità in luoghi marginali, andando ad agire sulle connessioni del tessuto
urbano e di quello sociale in egual misura. In particolare, bisogna adottare strategie di
intercettazione delle istanze, assumendo un atteggiamento proattivo e collaborativo,
nei confronti di tutte quelle realtà collettive - pubbliche e private - andatesi formando
nel tempo, da cui spesso muovono operazioni di rinnovamento.

Di seguito alcuni casi realizzati negli ultimi anni, a partire da Milano che, dopo aver
realizzato l’opera di riqualificazione urbana più grande d’Italia sulla spinta di EXPO2015,
non si è fermata ed è andata oltre.

In Periferie del cambiamento, Alberto Dedè (1977) e Bruno Pulici (1981) con i loro
reportage hanno rappresentato le aree di intervento del programma di rigenerazione
urbana Lacittàintorno, sull’attivazione delle comunità locali delle periferie milanesi
di Corvetto-Chiaravalle, via Padova e quartiere Adriano.
Il programma ha scommesso sulla cultura, puntando a rendere l’area attraente per
non residenti e residenti. Attaverso produzioni su scala cittadina come BookCity
Milano e eventi rivolti a pubblici locali diversi, sono scaturite nuove relazioni tra
abitanti e tra questi ultimi e l’amministrazione pubblica. Lo scarso senso di comunità,
che si percepiva poco più di due anni prima dall’inizio dell’intervento, si è trasformato
in connessioni alla base di una rete sociale più viva e presente.
© Alberto Dedè e Bruno Pulici, Veduta del Naviglio Alberto Dedè e Bruno Pulici, Made in Corvetto per
Martesana da Piazza Costantino per Lacittàintorno - Lacittàintorno - Fondazione Cariplo
Fondazione Cariplo

Ci spostiamo verso l’area di di Santa Giulia, che si affianca allo storico quartiere di
Rogoredo, al centro di due lavori fotografici: Qui, 2019 e Human Nature, 2021, ad
opera rispettivamente di Francesco Jodice (1967) e Lucas Foglia (1983).

© Francesco Jodice, Qui, 2019 © Filippo Romano, Lucas Foglia, Human Nature,
2021

© Francesco Jodice, Qui, 2019 © Lucas Foglia, Human Nature, 2020

Il cantiere come rivelatore di storie, volti e relazioni quotidiane all’interno di un


paesaggio umano e urbano in mutamento.

Le recinzioni di un quartiere in grande trasformazione, da barriera diventano al


contempo: specchio che accompagna abitanti e visitatori lungo una narrazione
visiva, in cui la storia di una comunità è protagonista e i suoi componenti, agenti attivi
del cambiamento; e un invito a dialogare con le sfide ambientali e sociali del pianeta.
Architettura, fotografia e grafica sono state protagoniste di Riscatti di Città. La
rigenerazione Urbana a Roma, forse la più grande riflessione sul tema mai compiuta
nella Capitale. Partendo da una mappatura e dalle fotografie di edifici in disuso e
architetture che hanno perso la loro funzione originaria, l’iniziativa ha puntato ad
esaltare esempi realizzati con successo, sottolineando la necessità del recupero e
della riqualificazione del patrimonio esistente, per creare nuove dinamiche in tessuti
urbani che hanno perso i tratti di città.

© Riscatti di città, Roma, 2020

Infine arriviamo a Palermo, per raccontare ZEN-B, nato dal laboratorio di advocacy
partecipata, promosso dall’Organizzazione Internazionale Save the Children, in
collaborazione con ZEN Insieme e i fotografi dell’Associazione Église.
Il laboratorio, rivolto a ragazzi e ragazze di età compresa tra i 12 e 14 anni, è stato
realizzato basandosi sul principio della partecipazione, per riconoscere la libertà di
espressione da parte dei giovani, raccogliendone punti di vista, idee, sentimenti e
bisogni come istanze alla base di decisioni loro riguardanti.

Dal progetto Zen-B, 2020


Il progetto ZEN-B ha l’intento di raccontare il quartiere ZEN 2, ponendo al centro il
paesaggio urbano e i volti di chi lo vive, in relazione alle geometrie delle strutture
architettoniche del quartiere, storicamente raccontato sulla base di opinioni rigide,
precostituite e generalizzate. Attraverso le immagini realizzate - caratterizzate da un
fortissimo contrasto tra luce e ombra - i ragazzi hanno maturato una consapevolezza
diversa rispetto alla percezione del proprio spazio. Da sempre associato a qualcosa di
brutto, invivibile e distante, in realtà come tutti gli altri luoghi, è composto di ombre,
ma anche di luce. Proseguito, nonostante il lockdown, il progetto è diventato una
pubblicazione consultabile on line.

Dal progetto Zen-B, ZEN 2, 2020

Palermo è stata investita da un clima nuovo, grazie al maxi-intervento di


riqualificazione del centro storico, dov’è nato KAD – Kalsa Art District.
La giusta distanza.
Ripensare gli spazi
Dalla breve trattazione appena esposta, è emerso come la qualità di un luogo - sia
esso centrale o periferico, metropolitano o rurale - si misura su parametri specifici,
funzionali e sostenibili, che non possono prescindere dalla distanza.
Quest’ultima diviene un parametro per rilevare il grado di inclusione delle persone
all’interno di uno spazio; può riferirsi alla percezione di sentirsi vicini o lontani dagli
altri, alla possibilità di partecipazione, ad uno strumento di protezione o ad una
barriera invalicabile.
Basti pensare alla crisi sanitaria mondiale che stiamo vivendo, a causa dell’epidemia
da Covid-19. Il confinamento sociale è stato strumento attuativo del distanziamento,
imposto come unica strategia al contenimento della pandemia.

Il mondo della cultura visiva non si è fatto attendere e le inziative per accorciare le
distanze e creare momenti di aggregazione - in questo caso virtuali - sono state
molteplici. Si sono svolte attraverso piattaforme che hanno consentito l’accesso,
la consultazione, la condivisione e l’incontro sul web, dimostrando l’urgenza di
comunicazione e di vicinanza. Non solo, sono stati ripensati gli spazi fisici di fruizione,
andando a riattivare superfici con installazioni open air, teche di cinema e teatri chiusi,
mura delle città.

© JR Artist, La Ferita, Palazzo Strozzi, Firenze, Marzo 2021


Inoltre, progettualità partecipative iniziate prima della pandemia, hanno avuto
l’opportunità di proseguire, attraverso l’ausilio delle narrazioni fotografiche
realizzate, come documento e strumento di allerta visiva sempre attiva.

Ma per loro natura, le operazioni di intervento architettonico e fotografico sul


territorio, non possono essere immaginate lontano da chi vive in un luogo, perché
devono aderire ad aspettative di vita e bisogni, devono corrispondere a volti,
atmosfere, a storie e identità del tessuto urbano e umano.
All’abitudine dell’uomo che è animale sociale e si nutre di relazioni autentiche.
CONCLUSIONI

Ora, la sfida amplificata dalla crisi sanitaria in cui siamo tutti coinvolti, riguarda come
ricongiungerci e riconnetterci, come vivere insieme.
Non a caso, l’ultima edizione della Biennale di Architettura, appena inaugurata, ha per
titolo: How will we live together?. Un concept a dir poco profetico, ideato prima della
pandemia, che tocca temi urgenti, quali: la questione dei confini, dei flussi migratori
e del cambiamento climatico, esaltando l’idea di agire collettivo.

In quest’ottica multidisciplinare, la fotografia ha un ruolo fondamentale, che non si


ferma alla rivelazione dell’invisibile, pur se costantemente davanti ai nostri occhi;
bensì va oltre, instaurando un dialogo sensibile, di reciprocità e partecipazione con
la realtà indagata, che è complessa. Ciò vuol dire che la fotografia ascolta, registra,
metabolizza e interpreta, quello che un determinato luogo profonde, per restituirlo
attraverso un linguaggio e un immaginario sottesi, che va a riattivare.

Si tratta di un approccio che necessita di lungimiranza, per consentire al fotografo,


come ha dichiarato Gabriele Basilico: «di prendere le misure, di trovare un qui e
un là, di riordinare lo spazio, di cercare infine un senso possibile del luogo», in cui
riconoscersi e riadattarsi nel tempo, nelle evoluzioni del cambiamento.

Guardando lontano, verso l’altra estremità del ponte.

© Andrea Botto, Reviviscenza, Genova, 2020

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