LO SGUARDO
LUNGIMIRANTE
Il ruolo della fotografia per una
visione partecipata ed inclusiva
nell’era della resilienza
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PREMESSA
Meno è più
RESET è un termine utilizzato nell’ambito informatico per indicare un ripristino delle
condizioni di partenza di un sistema, azzerandone le operazioni svolte.
Il termine nasce come frutto dell’unione tra un re-iterativo (che indica la ripetizione di
un’azione) e il verbo set, quindi collocare, posizionare.
In questo contesto più che azzerare, dobbiamo guardare alle ultime ricerche sul
paesaggio e alle indagini visive sul territorio, alla luce di istanze nuove ed emergenze
inedite.
L’operazione richiesta non è dunque di sottrazione, ma di addizione e di riempimento.
La fotografia riparte da se stessa, da ciò che è stato fatto finora, con la consapevolezza
di dover alimentare connessioni già in corso con le altre discipline, in un dialogo
aperto e reciproco tra interlocutori differenti.
Il paesaggio esploso
versus
l’implosione degli spazi
«Bisogna crescere per implosione e non più per esplosione. Non allargando a macchia
d’olio la città, ma completando il tessuto che già esiste, costruendo sul costruito,
andando a riempire quei buchi neri, come le aree dismesse o aumentando la densità,
ad esempio sviluppando gli edifici in altezza. Ci vuole più abilità e sottigliezza».
Renzo Piano
Per l’autore la fotografia assume la stessa potenza di ciò che ritrae, agendo sulla
realtà per modificarla e attivare processi di conoscenza. Immortalare la dissoluzione
del territorio rende consapevole lo spettatore di un fenomeno che non riguarda
quella fotografia, ma che in essa è contenuto come immaginario più profondo e che
rimanda ad azioni di sfruttamento intensivo del territorio, oramai non più recuperabili
in maniera meno invasiva.
© Andrea Botto, KA-BOOM, #05 Pieve Emanuele, 2011
Reviviscenza è un termine poetico che definisce il ritorno alla vita dopo un trauma.
È interessante a questo proposito, citare il reportage 1988-1992 Vivere sotto una
cupa minaccia realizzato da Michele Guyot Bourg (1930), riscoperto a ridosso della
tragedia. Dalle immagini si evince chiaramente come la struttura impattasse sulla vita
sociale degli abitanti di quel quartiere. Il lavoro, ha fatto il giro del mondo, ma approda
a Genova per la prima volta, solo alla fine del 2018, per tornarvi l’anno dopo.
Esposto a pochi metri dai resti del Ponte, viene riportato alla sua importanza sociale
nel quartiere logorato dal prezzo pagato alla pianificazione urbana del passato,
che oggi è protagonista di un processo di ripensamento “dal basso”, attraverso il
coinvolgimento degli abitanti.
Quelle fotografie sono prese di coscienza: il trauma non è diretta conseguenza del
crollo, ma di un pensiero multidisciplinare che è mancato.
© Michele Guyot Bourg, 1988 - 1992 Vivere sotto una cupa minaccia, Genova
L’esplorazione diviene un modus operandi che gli Urban Reports applicano anche
alle trasformazioni relative alle grandi aree urbane e metropolitane, per confluire
in campagne fotografiche. Tra queste ultime, si ricorda: Viva l’Architettura! 4
architetture – 4 comuni – 4 storie. Un racconto fotografico della porzione Est del
territorio metropolitano di Milano, in cui indagano i territori dei comuni di Paderno
Dugnano, Sesto San Giovanni, San Donato Milanese e Segrate, partendo da quattro
emergenze architettoniche del ‘900. Riposizionandole sulla mappa del territorio
metropolitano, si vuole sollecitare una riflessione sulla geografia urbana in cui sono
inserite, sulla relazione che instaurano coi luoghi e, con uno sguardo più ampio, sulle
ultime trasformazioni che hanno modificato il paesaggio di questi territori.
© Alberto Dedè e Bruno Pulici, Giardino pubblico, Adriano Nuova, per Lacittàintorno,
Fondazione Cariplo
Estendere il senso di urbanità, di far parte della città, vuol dire creare spazi negli spazi
in tutto il territorio, senza distinzione tra centro e periferia. Ancora di più, significa
creare centralità in luoghi marginali, andando ad agire sulle connessioni del tessuto
urbano e di quello sociale in egual misura. In particolare, bisogna adottare strategie di
intercettazione delle istanze, assumendo un atteggiamento proattivo e collaborativo,
nei confronti di tutte quelle realtà collettive - pubbliche e private - andatesi formando
nel tempo, da cui spesso muovono operazioni di rinnovamento.
Di seguito alcuni casi realizzati negli ultimi anni, a partire da Milano che, dopo aver
realizzato l’opera di riqualificazione urbana più grande d’Italia sulla spinta di EXPO2015,
non si è fermata ed è andata oltre.
In Periferie del cambiamento, Alberto Dedè (1977) e Bruno Pulici (1981) con i loro
reportage hanno rappresentato le aree di intervento del programma di rigenerazione
urbana Lacittàintorno, sull’attivazione delle comunità locali delle periferie milanesi
di Corvetto-Chiaravalle, via Padova e quartiere Adriano.
Il programma ha scommesso sulla cultura, puntando a rendere l’area attraente per
non residenti e residenti. Attaverso produzioni su scala cittadina come BookCity
Milano e eventi rivolti a pubblici locali diversi, sono scaturite nuove relazioni tra
abitanti e tra questi ultimi e l’amministrazione pubblica. Lo scarso senso di comunità,
che si percepiva poco più di due anni prima dall’inizio dell’intervento, si è trasformato
in connessioni alla base di una rete sociale più viva e presente.
© Alberto Dedè e Bruno Pulici, Veduta del Naviglio Alberto Dedè e Bruno Pulici, Made in Corvetto per
Martesana da Piazza Costantino per Lacittàintorno - Lacittàintorno - Fondazione Cariplo
Fondazione Cariplo
Ci spostiamo verso l’area di di Santa Giulia, che si affianca allo storico quartiere di
Rogoredo, al centro di due lavori fotografici: Qui, 2019 e Human Nature, 2021, ad
opera rispettivamente di Francesco Jodice (1967) e Lucas Foglia (1983).
© Francesco Jodice, Qui, 2019 © Filippo Romano, Lucas Foglia, Human Nature,
2021
Infine arriviamo a Palermo, per raccontare ZEN-B, nato dal laboratorio di advocacy
partecipata, promosso dall’Organizzazione Internazionale Save the Children, in
collaborazione con ZEN Insieme e i fotografi dell’Associazione Église.
Il laboratorio, rivolto a ragazzi e ragazze di età compresa tra i 12 e 14 anni, è stato
realizzato basandosi sul principio della partecipazione, per riconoscere la libertà di
espressione da parte dei giovani, raccogliendone punti di vista, idee, sentimenti e
bisogni come istanze alla base di decisioni loro riguardanti.
Il mondo della cultura visiva non si è fatto attendere e le inziative per accorciare le
distanze e creare momenti di aggregazione - in questo caso virtuali - sono state
molteplici. Si sono svolte attraverso piattaforme che hanno consentito l’accesso,
la consultazione, la condivisione e l’incontro sul web, dimostrando l’urgenza di
comunicazione e di vicinanza. Non solo, sono stati ripensati gli spazi fisici di fruizione,
andando a riattivare superfici con installazioni open air, teche di cinema e teatri chiusi,
mura delle città.
Ora, la sfida amplificata dalla crisi sanitaria in cui siamo tutti coinvolti, riguarda come
ricongiungerci e riconnetterci, come vivere insieme.
Non a caso, l’ultima edizione della Biennale di Architettura, appena inaugurata, ha per
titolo: How will we live together?. Un concept a dir poco profetico, ideato prima della
pandemia, che tocca temi urgenti, quali: la questione dei confini, dei flussi migratori
e del cambiamento climatico, esaltando l’idea di agire collettivo.