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Relatore:
Prof. Ing. Marco Donato DE TULLIO
Laureando:
Mattia LALA
CAPITOLO 2 ........................................................................................................................................... 21
i
2.14 EFFETTO COANDᾸ ........................................................................................................... 52
CAPITOLO 3 ........................................................................................................................................... 54
CAPITOLO 4 ........................................................................................................................................... 58
CAPITOLO 5 ........................................................................................................................................... 71
CAPITOLO 6 ........................................................................................................................................... 74
DIFFERENZE TRA LE NON EQUILIBRIUM WALL FUNCTION E LE ENHANCED WALL TREATMENT .......... 106
ii
INTRODUZIONE
Con questo lavoro di tesi si vuole verificare quanto importante sia lo studio
aerodinamico sulle vetture di F1, in particolare per valutare le prestazioni delle stesse.
Prima di tutto si illustrerà che cos’è la F1, con brevi cenni storici e illustrazione degli
sviluppi meccanici, tecnologici e aerodinamici.
1
Saranno forniti appunti teorici, indispensabili al lettore per capire a fondo tutti gli studi
effettuati sulla vettura.
Infine si descriverà il lavoro di tesi vero e proprio, partendo dalla realizzazione del
modello solido e le complicazioni principali che ne sono derivate cercando di
semplificarlo al meglio, eliminando tutti quegli elementi che non avrebbero influenzato
in maniera rilevante il flusso d’aria attraverso la vettura, ma avrebbero comportato
certamente delle complicazioni nella generazione della griglia di calcolo.
Sarà illustrata la procedura di realizzazione della griglia di calcolo, parte più complicata
dell’intero lavoro, che ha visto la necessità di realizzare più griglie con numero di celle
sempre crescenti in modo da avere un’adeguata risoluzione, raggiungendo un
compromesso fra accuratezza e costo computazionale. Infine, imposte le condizioni del
flusso nel solutore FLUENT, saranno condotte le simulazioni numeriche e illustrati i
risultati, che saranno comparati per le due diverse configurazioni della vettura,
utilizzando diversi modelli di turbolenza per capire quale di essi meglio approssimi la
condizione del flusso sulla monoposto analizzata.
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CAPITOLO 1
LA FORMULA UNO
Gli sviluppi successivi sono stati tanti e di vario genere; essi hanno caratterizzato i vari
decenni della F1. Negli anni cinquanta a dominare sono state le auto a motore anteriore
caratterizzate dalla loro tipica forma a sigaro; la prima metà di questo decennio ha visto
trionfare piloti e scuderie italiane (Nino Farina e Alberto Ascari con l’Alfa Romeo),
da allora mai più un pilota italiano ha vinto il Mondiale.
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Agli inizi degli anni sessanta si svilupparono auto a motore posteriore, con una
cilindrata limitata a soli 1500 cc, per via dei gravosi incidenti verificatisi negli anni
precedenti (giravano voci sull’abolizione delle gare automobilistiche). Queste vetture
erano completamente prive di alettoni, e i pochi cavalli a disposizione portarono gli
ingegneri a concentrarsi per lo più sulle innovazioni tecnologiche legate al telaio. Si
ricorda in particolare l’ingegnere Colin Chapman (1928-1982, fondatore del Team
Lotus), per lo studio dei telai senza tubi, realizzati con elementi in lamiera di alluminio,
dunque molto leggeri. Chapman caratterizzo anche i decenni a venire con l’introduzione
del concetto di deportanza aerodinamica, l’introduzione di alettoni anteriori e
posteriori, l’utilizzo di minigonne per la generazione dell’effetto suolo e la posizione
centrale-posteriore del motore (ancora oggi utilizzata). Questo decennio fu
caratterizzato dal dominio dei piloti britannici, si ricordano in particolare Jim Clark
(1936-1968) e Graham Hill (1929-1975) rispettivamente alla guida della Lotus e della
BRM. La Ferrari riuscì a vincere solo due mondiali, nel 1961 e nel 1964.
Nel 1966 cambiò nuovamente il regolamento e vennero introdotti propulsori da 3000 cc.
Si presentò nuovamente il problema della sicurezza per via della lunga serie di incidenti
gravi che si susseguirono. Il campione del mondo di quell’anno fu Jack Brabham
(1926-2014) noto per essere stato l’unico pilota a vincere con una scuderia di cui era
anche proprietario, la Brabham Racing Organisation.
Il 1968 fu scosso da un grave incidente ad Hockenheim nel quale morì l’amato pilota
Jim Clark.
A partire dagli anni settanta avvenne una grande rivoluzione tecnologica sulle vetture di
F1. Gli ingegneri cambiarono completamente volto alla competizione, introducendo
innovazioni che fino ad allora erano impensabili; ci fu tra le altre uno spiccato sviluppo
nel campo dell’aerodinamica.
Il motore che dominò il decennio fu il Ford Cosworth DFV, un motore semplice,
pesante e molto robusto, costituito da 8 cilindri a V, 2993 cc, capace di erogare una
potenza di oltre 400 CV a 9000 giri/minuto. Nato dall’inventiva di due ingegneri
britannici (Mike Costin e Keith Duckworth) di unire due motori a 4 cilindri in un unico
motore V8, creando così quello che soprannominarono DFV Double Four Valves
(doppio quattro valvole).
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Nel campo della sicurezza furono introdotte, grazie alle battaglie del pilota scozzese
Jackie Stewart (1939), le tute ignifughe, le cinture di sicurezza e il casco integrale,
dispositivi fino ad allora mai utilizzati. Lo stesso Stewart propose l’introduzione delle
“chicanes” per rallentare i circuiti, e dei guard-rail in metallo (misura discutibile ed oggi
abolita, che provocò anche la morte del compagno di squadra di Stewart, François
Cevert nel GP di USA del 1973). Il pilota che più si contraddistinse in questo decennio
fu l’austriaco Niki Lauda, che vinse due mondiali con la Ferrari nel 1975 e nel 1977
(vinse anche un terzo mondiale nel 1984 con la McLaren).
Viene ricordato per il suo spiccato ingegno nell’elaborare le autovetture nonostante non
avesse condotto nessuno studio professionale a riguardo, e per il terribile incidente del
1976 sul circuito del Nürburgring, che lo ha lasciato sfigurato al volto per le gravi
ustioni riportate.
Nonostante le innovazioni nel campo della tecnologia e della sicurezza, questo decennio
viene ricordato anche per gli innumerevoli incidenti mortali in cui persero la vita oltre
10 piloti. Gli ultimi di quel periodo a morire in pista furono il pilota Canadese della
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Ferrari Gilles Villeneuve e il pilota Italiano del Team Osella Riccardo Paletti,
entrambi nel 1982.
Gli anni ottanta della Formula Uno cominciarono con la sottoscrizione di un contratto di
valenza finanziaria, il cosiddetto Patto della Concordia, esso obbligava le squadre
partecipanti al mondiale a dividersi i proventi sui diritti televisivi. Questo patto consentì
all’imprenditore britannico Bernie Ecclestone di iniziare la scalata ai vertici della
struttura organizzativa della F1.
Questo fu il decennio dei motori Turbo, che sostituirono completamente il motori Ford
Cosworth che avevano caratterizzato un epoca. Sviluppati nel 1977 dalla Renault,
divennero sempre più affidabili (con riduzione dell’effetto turbo lag, “ritardo del turbo”,
legato a una non tempestività dell’erogazione di potenza da parte dei motori
sovralimentati, quando viene repentinamente azionato l’acceleratore), e sempre più
potenti (superavano ampiamente i 1000 CV di potenza).
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Per limitare le elevate potenze, la FIA introdusse alcune limitazioni tecniche: divieto di
refrigerare il carburante, riduzione del serbatoio di benzina a 150 litri, limitazione della
pressione del turbocompressore a 2.5 atmosfere tramite valvola pop-off, abolizione
dell’effetto suolo aerodinamico per questioni di sicurezza.
Nonostante tutto, gli sviluppi sui motori turbo continuarono in maniera esponenziale, e
la FIA decise nel 1989 di eliminarli definitivamente. I piloti più ricordati del periodo
sono Alain Prost e Nelson Piquet.
Gli anni novanta videro l’introduzione dei primi aiuti elettronici sulle vetture, come le
sospensioni attive, il cambio semi automatico e il TCS Traction Control System
(Sistema di controllo trazione). Le scuderie che vinsero più mondiali in questo decennio
furono la McLaren (motorizzata prima Honda e poi Mercedes-Benz) e la Williams,
motorizzata Renault. La rivalità più accesa fu quella tra Alain Prost e il pilota brasiliano
Ayrton Senna, uno dei più conosciuti e più amati della Formula Uno, che morì
tragicamente sul circuito di Imola nel 1994, durante il GP di San Marino, a bordo della
sua Williams FW16. In quello stesso gran premio perse la vita il giovane pilota
austriaco Roland Ratzenberger. Questi sono ad oggi gli ultimi piloti ad aver perso la
vita in Formula Uno.
Dopo la morte di Senna si pensò nuovamente di introdurre nuove regole e tecnologie
per migliorare la sicurezza delle vetture, come le scanalature sugli pneumatici che
diminuivano la velocità media delle vetture stesse in condizioni di pista asciutta.
In questo periodo gli ingegneri hanno cercato di colmare la mancanza di grip
sviluppando al meglio l’aerodinamica al fine di sfruttare la scia delle altre vetture.
Questa pratica riduce certamente la resistenza aerodinamica sulle vetture ma allo stesso
tempo rende i sorpassi più difficoltosi. L’ingegnere che più si contraddistinse fu il
britannico Adrian Newey (oggi sviluppatore del Team Red Bull Racing), che portò la
McLaren a vincere i mondiali del 1998 e 1999. Egli sviluppò un sistema di frenata
indipendente tra le ruote posteriori, che poteva essere regolato direttamente dal pilota, e
migliorava l’aerodinamica in curva della vettura.
I costi esorbitanti legati alle innovazioni tecniche ed elettroniche e la supremazia delle
scuderie Ferrari, McLaren, Williams e Renault (che vinsero tutti i mondiali dal 1984 al
2008), sancì la fine dei costruttori privati in F1.
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La prima metà degli anni 2000 è caratterizzata dal dominio della Ferrari (con sei titoli
costruttori e cinque titoli piloti) e dal record assoluto del pilota tedesco Michael
Schumacher. La Renault riuscì comunque a vincere i mondiali 2005 e 2006 con il
giovane pilota spagnolo Fernando Alonso. Questo è stato il quinquennio dei motori
V10 ad aspirazione naturale, che furono sfruttati al meglio dal Team Ferrari che riuscì a
trovarne la giusta configurazione. Nel 2006 il regolamento cambiò nuovamente e i
motori V10 da 3000 cc furono sostituiti da motori V8 da 2400 cc.
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di recuperare in parte dell’energia cinetica del veicolo in fase di frenata, convertendola
in energia meccanica o elettrica. Questo sistema, molto costoso, fu inizialmente criticato
dalle scuderie, perché oltre ad essere molto complesso nella gestione, era anche fonte di
disparità in pista.
Nel 2011 vi fu l’introduzione del sistema DRS (Drag Reduction System), costituito da
un flap regolabile sull’alettone posteriore (denominato anche alettone posteriore
mobile): quando il sistema DRS è attivo e l’ala aperta, il carico aerodinamico e la
deportanza sulla vettura, diminuiscono significativamente, aumentando la velocità e la
possibilità di effettuare sorpassi; viceversa quando l’alettone mobile posteriore è chiuso,
il carico aerodinamico aumenta e con esso l’aderenza della vettura sull’asfalto. Il
sistema DRS sarà oggetto di analisi numerica nel seguente lavoro di tesi.
I costi eccessivi che derivarono dalle innovazioni tecnologiche, meccaniche ed
elettroniche della F1 portarono a decretare nuove regole, che furono nuovo argomento
di discussione per i team, come per esempio il divieto di effettuare test in pista durante
il mondiale, costringendo i team a progettare le vetture esclusivamente basandosi su
simulazioni numeriche al computer o su test in galleria del vento.
Il dominio assoluto dal 2010 al 2013 lo ebbe la scuderia Red Bull Racing, che vinse
quattro volte il titolo piloti con il giovane tedesco Sebastian Vettel, e il titolo
costruttori.
Il 2014 è stato caratterizzato dal ritorno dei motori turbo. Questi, adeguati ai tempi
moderni, sono dei V6 da 1600 cc, caratterizzati da un sistema ibrido denominato ERS
(Energy Recovery System), costituito da due unità elettriche ausiliarie al motore termico.
Il mondiale 2014 ha visto il dominio assoluto della Mercedes con i suoi due piloti Lewis
Hamilton (campione del mondo) e Nico Rosberg (secondo classificato). La vettura
progettata da Mercedes, la F1 W05 Hybrid, è stata un connubio di prestazioni,
affidabilità, potenza e perfezione aerodinamica, e si è imposta in modo netto su tutte le
altre monoposto in gara. Anche le altre scuderie motorizzate Mercedes (Williams, Force
India e McLaren), hanno ottenuto risultati positivi. Negativa è stata invece la
prestazione delle scuderie motorizzate Ferrari e Renault. Vi è stato anche un grave
incidente durante il GP del Giappone, in cui è stato coinvolto il giovane pilota francese
Jules Bianchi della Marussia, che uscendo fuori pista ha impattato, ad elevata velocità,
contro una gru.
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Si è mostrato dunque come la Formula Uno si sia evoluta con grandi sviluppi
tecnologici nel corso degli anni e quali sono stati i principali protagonisti di questa
competizione.
Figura 6 - Lewis Hamilton e Nico Rosberg alla guida della Mercedes F1 W05 Hybrid
La Formula Uno del futuro punta principalmente alla sicurezza del pilota e al risparmio,
oltre che a innovazioni di impatto ambientale e alla riduzione dei consumi. Nel
prossimo capitoli saranno illustrate in breve quelle che sono state le innovazioni nel
campo della aerodinamica.
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1.1 EVOLUZIONE AERODINAMICA DELLA F1
L’Aerodinamica è la scienza che studia la dinamica dei gas e la loro interazione con i
corpi solidi. Essa è una branca della Fluidodinamica, e si occupa principalmente di
problematiche legate all’aria e ai corpi immersi in essa. L’aria influenza in modo
rilevante il moto di un corpo al suo interno, condizionandone la velocità, la traiettoria, la
stabilità, per via di molti fattori di interazione che si vengono a creare tra fluido e corpo
stesso. Essendo questi problemi caratterizzati da un numero di variabili molto elevato, è
molto vantaggioso utilizzare un approccio numerico e computazionale. Lo studio
aerodinamico è un fattore fondamentale nella progettazione di auto da corsa; soprattutto
in Formula Uno è la componente che nel corso degli anni ha caratterizzato le auto più
prestazionali.
Di seguito saranno esposti in breve le principali componenti costruttive aerodinamiche
dei diversi decenni della F1, dagli anni cinquanta ad oggi.
Figura 7 - Tipica forma affusolata delle vetture degli anni ’50 (1955, Juan Manuel Fangio sulla Mercedes-
Benz W196)
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Soprattutto le ruote scoperte della vettura costituivano un freno aerodinamico, per via
delle elevate resistenze che l’aria opponeva su di esse. I progettisti decisero dunque di
concentrarsi sul profilo della vettura, cercando di fargli assumere una forma il più
affusolata possibile e che assomigliasse ad una goccia. Nonostante le limitazioni
tecnologiche dell’epoca, questa soluzione permise di limitare (almeno in parte) la
turbolenza sulla fusoliera, alle spalle del pilota e sulle fiancate (che erano caratterizzate
da “bombature” tipiche delle vetture del periodo).
Figura 8 – Primi alettoni a profilo alare montati su una Lotus 49 (guidata da John Love nel 1969). Si può
notare la tipica forma a sigaro delle vetture del tempo
La forma sottile e allungata ricordava la forma del “sigaro”, soprannome con cui
vengono ricordate le auto del tempo. Incominciarono ad essere montati anche i primi
rudimentali alettoni. Queste appendici alari (che poi si sarebbero evolute negli anni
settanta, e che oggi caratterizzano le monoposto di F1) permisero di aumentare
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notevolmente il carico aerodinamico sulla vettura, con conseguente aumento
dell’aderenza e della velocità di percorrenza in curva. Sul rettilineo rappresentavano
però un fattore di rallentamento, per via della elevata resistenza che l’aria opponeva su
di esse. Questa problematica fu superata attraverso l’utilizzazione di alettoni mobili, che
venivano aperti su rettilineo (diminuendo di conseguenza il carico e la resistenza
aerodinamica) per incrementare la velocità di percorrenza, attraverso una leva
meccanica comandata direttamente dal pilota. Questa è la soluzione tecnica antenata
dell’attuale DRS. Purtroppo, per via dello scarso livello tecnologico dell’epoca, i
malfunzionamenti dovuti alla rottura e al distacco degli alettoni, portarono a gravi e
numerosi incidenti, il che costrinse la FIA a vietare gli alettoni mobili.
Figura 9 – Lotus 79, regina dell’effetto suolo. Si può notare la tipica forma ad ala rovesciata delle vetture del
tempo.
Le vetture erano molto diversificate tra loro, per via della libertà con cui potevano
essere progettate, ma in generale esse apparivano più larghe e più schiacciate al suolo
per via dei Sidepods (prese d’aria dei radiatori) spostati sulle fiancate laterali,
dell’aggiunta dell’Air Scoop (presa d’aria per l’alimentazione del motore, posta sopra il
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casco del pilota) e degli pneumatici molto più larghi, soprattutto sul posteriore. Durante
questo periodo, Colin Chapman, provò a sperimentare l’Effetto Venturi sulle
monoposto: essendo infatti queste molto larghe e schiacciate al suolo, sagomò
opportunamente il fondo vettura al fine di creare un accelerazione del flusso di aria,
sotto di esso, a cui corrispondeva una proporzionale diminuzione di pressione. Il
vantaggio fu un netto aumento di deportanza con un aumento di aderenza e velocità di
percorrenza in curva. La prima auto a sfruttare l’effetto suolo fu la Lotus 78, sulla base
di questa venne poi progettata la blasonata Lotus 79 (figura 9) che vinse il mondiale del
1978 (con alla guida Mario Andretti e Ronnie Peterson). La Lotus 79 venne
soprannominata la regina dell’effetto suolo, infatti il sottoscocca fu sagomato in modo
da ottenere, insieme alle minigonne laterali e al fondo stradale, un condotto convergente
divergente, in modo da sfruttare al meglio l’effetto Venturi.
Figura 10 – In figura si può notare il vistoso ventilatore posteriore della Brabham BT46, che amplificava
l’effetto suolo
Il vantaggio dell’effetto suolo, a differenza dei profili alari, era dovuto alla ridotta
resistenza aerodinamica misurata, in questo modo si potevano ottenere elevate velocità
sia in curva che su rettilineo. Dopo breve tempo i profili alari furono eliminati e
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sostituiti dalle minigonne laterali. L’effetto suolo fu portato all’esasperazione dalla
Brabham, con la Brabham BT46 (figura 10) in cui il fondo sagomato fu
completamente sigillato, e fu posto un ventilatore ad espulsione sul posteriore della
vettura, che andava ad incrementare l’effetto deportante prodotto. Questo effetto suolo
forzato generava delle prestazioni elevatissime, che nessun’altra vettura poteva
eguagliare. Il ventilatore fu spacciato per un sistema di raffreddamento del motore, e la
FIA decise di squalificare dal mondiale la Brabham.
Le monoposto che si svilupparono alla fine degli anni settanta vennero soprannominate
Wing-Cars (vetture-ala), per via della forma delle fiancate ad ala rovesciata.
Figura 11 – Nella Tyrrel P34 le due coppie di ruote anteriori più piccole, garantivano una ridotta carreggiata
con una maggiore impronta a terra, che conferivano migliore stabilità e velocità in ingresso curva.
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ingegneri cercarono nuove soluzioni per migliorare il flusso d’aria sulla vettura: un
esempio, seppur isolato, fu la Tyrrel P34 (figura 11) progettata dal britannico Derek
Gardner. La P34 fu la prima auto di F1 ad avere sei ruote, infatti questa soluzione
permetteva di avere un frontale più basso e affusolato, con un alettone anteriore a
martello, che consentiva una migliore aderenza e una maggiore velocità d’ingresso in
curva. Questa soluzione però fu presto bandita dal regolamento.
Il progettista britannico John Barnard, cercò una nuova tendenza, ovvero quella di
rastremare le fiancate sulle ruote posteriori. Questo poteva permettere al flusso d’aria di
seguire una traiettoria più “naturale”, evitando eccessive zone di turbolenza. La forma
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così ottenuta venne soprannominata a “bottiglia di Coca-Cola”, un esempio di questa
pratica si può vedere nella Ferrari 640 progettata da Barnard nel 1989.
Figura 13 – Ferrari 640 del 1989. La visuale dall’alto mostra chiaramente la tipica forma a “bottiglia di Coca-
Cola”.
La forma a “Coca-Cola” viene utilizzata ancora oggi nelle vetture di F1, permettendo
una migliore penetrazione aerodinamica.
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novità del decennio di fatto furono il muso alto della Benetton B195 (guidata da
Michael Schumacher, vincitrice del mondiale 1995), e il muso semi ribassato della
McLaren MP4/13 progettata da Adrian Newey (guidata nel 1998 da Mika Hakkinen,
e vincitrice del mondiale piloti e costruttori), indice di quanto fosse difficile trovare
soluzioni originali, funzionali e innovative.
Figura 14 – A sinistra la Benetton B195 con il suo muso “alto”. A destra la McLaren MP4/13 con il muso semi
basso.
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modificati richiedono maggiori tempi e costi; inoltre con i nuovi regolamenti i motori
non possono essere modificati durante il mondiale, e ciò porta a sottolineare quanto la
F1 sia di fatto “aerodinamica”. La ricerca maniacale dei dettagli è diventata ai giorni
nostri fondamentale per la competizione, tutte le variabili vengono conteggiate nella
preparazione di una vettura per un gran premio, persino il profilo del casco del pilota
deve essere progettato opportunamente. Il tutto rispettando le norme regolamentari
imposte dalla FIA.
Le gallerie del vento moderne sono in grado di creare condizioni di pressurizzazione
(tecnica dell’aeronautica che permette di mantenere la pressione in un ambiente isolato
diversa da quella esterna) ideali, anche oltre le 2 atmosfere, per poter studiare il
comportamento di una vettura in pista.
Figura 15 – Posteriore di una moderna vettura di F1, si possono notare le complesse sagomature degli scarichi
ed alcuni importanti elementi aerodinamici: 1. Ala mobile posteriore DRS (chiusa), 2. Monkey Seat o Ala Y100
(utile per ottenere un aumento di carico deportante dai gas di scarico della marmitta), 3. Diffusore o estrattore
del fondo vettura.
Gli studi al computer e in galleria, per quanto costosi, non posso dare certezza della
realtà, infatti essi dovrebbero essere accoppiati a test su pista, che la federazione non
permette, se non in determinati periodi imposti dalla stessa. Infatti molte volte è capitato
che gli studi condotti in laboratorio e risultati positivi, abbiano portato effetti negativi in
gara. Ciò conferma la complessità dello studio di un flusso su un corpo in condizioni
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reali. Tuttavia i livelli di deportanza che si raggiungevano ai tempi dell’effetto suolo,
non possono oggi essere eguagliati con lo studio minuzioso di alette e sagomature della
vettura, infatti la FIA, dopo la morte di Senna nel 1994, ha imposto che le vetture
abbiano un’altezza minima da terra di 5 cm, con un fondo sagomato in modo da ospitare
uno scivolo in legno che può consumarsi (a contatto con l’asfalto) di massimo 1 mm per
regolamento. Questo scivolo in legno viene utilizzato ancora oggi ed influenza in modo
rilevante la scia e la deportanza generata sul fondo vettura. Oggi il carico aerodinamico
totale di una vettura può essere imputabile per il 70% agli alettoni (con maggior
incidenza per quello posteriore), e per il restante 30% al fondo vettura, al diffusore
posteriore e al corretto direzionamento delle correnti interne alla vettura e allo scarico.
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CAPITOLO 2
In questo capitolo verranno esposte le principali nozioni teoriche, necessarie per capire
a fondo il seguente lavoro di tesi. Inoltre saranno spiegati in maniera dettagliata
l’effetto Venturi (già citato nei capitoli precedenti) e l’effetto Coandă.
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meno utilizzati in questo campo perché richiedono un costo computazionale troppo
elevato.
∫ ∇ ∙ 𝐚𝑑𝑉 = ∫𝐚 ∙ 𝐧𝑑𝑆
𝑉 𝑆
(2. 1)
(2. 2)
con 𝒊, 𝒋 e 𝒌 versori.
Il teorema del trasporto di Reynolds viene utilizzato nella fluidodinamica per studiare le
variazioni nel tempo di una grandezza fisica associata ad un dominio e permette di
legare le quantità calcolate per un sistema composto sempre dalle stelle particelle
(chiamato volume materiale) a quelle per un volume fisso o mobile nello spazio
(chiamato volume di controllo).
Il teorema espresso in termini matematici è il seguente
𝑑𝐵 𝜕𝜌𝑏
= ∫ 𝑑𝑉 + ∫ 𝜌𝑏𝐮 ∙ 𝐧𝑑𝑆
𝑑𝑡 𝜕𝑡
𝑉0 𝑆0
(2. 3)
22
- B: grandezza estensiva coniugata alla grandezza intensiva b;
- 𝜌: densità del fluido;
- V0: volume di controllo;
- S0: superficie del volume di controllo;
- n: normale alla porzione di superficie 𝑑𝑆 del volume 𝑑𝑉;
- u: velocità nell'elementino 𝑑𝑉.
(2. 4)
23
2.3 EQUAZIONE DI CONSERVAZIONE DELLA MASSA
𝐵 = ∫ 𝜌𝑏𝑑𝑉
𝑉
(2. 5)
(2. 6)
(2. 7)
∫ 𝜌𝐮 ∙ 𝐧𝑑𝑆 = 0
𝑆0
(2. 8)
Quest’ultima formula risulta essere relativamente semplice nel caso in cui il volume di
controllo abbia un numero finito di porzioni (N) attraverso le quali ci sia flusso di massa
e le caratteristiche del flusso (velocità e densità) su ogni N siano considerate costanti.
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Nelle ultime ipotesi la (2.8) diventa
𝑁
∑ 𝜌𝑖 𝐮𝑖 ∙ 𝐧𝑖 𝑆𝑖 = 0
𝑖=1
(2. 9)
che permette di determinare un flusso incognito noti gli altri, attraverso semplici
relazioni algebriche.
(2. 10)
L'unica possibilità affinché l’integrale sia identicamente nullo è che sia nulla la funzione
integranda, data l’arbitrarietà nella scelta del volume di controllo:
𝜕𝜌
+ ∇ ∙ (𝜌𝐮) = 0
𝜕𝑡
(2. 11)
(2. 12)
𝐷𝜌
da cui è evidente che in caso di flusso incomprimibile (ovvero = 0), la (2.12) si
𝐷𝑡
esprime come
∇∙𝐮 =0
(2. 13)
25
Si ricorda inoltre che l’operatore seguente (dove ∎ è una grandezza generica, per
esempio la velocità u)
𝐷∎ 𝜕∎
= + 𝐮 ∙ ∇∎
𝐷𝑡 𝜕𝑡
(3. 14)
𝑑𝐐
=𝐅
𝑑𝑡
(2. 15)
Con F sono state considerate tutte le forze che agiscono sul volume materiale. Esse si
posso suddividere in forze di superficie FS e forze di volume FV.
Tra le forze di superficie vi sono le forze di pressione e quelle viscose, mentre tra le
forze di volume consideriamo la forza peso ed eventualmente la forza centrifuga e la
forza di Coriolis.
Tra le forze di superficie si possono poi distinguere l'azione della pressione da quella
delle altre forze (come per esempio l'attrito) e porre
𝐅𝐒 = − ∫ 𝑝𝐧𝑑𝑆 + 𝐅′𝐒
𝑆0
(2. 16)
26
Per cui dalla definizione di Q precedentemente data, ed il teorema del trasporto di
Reynolds si ottiene
𝜕𝜌𝐮
∫ 𝑑𝑉 + ∫ 𝜌𝐮𝐮 ∙ 𝐧𝑑𝑆 + ∫ 𝑝𝐧𝑑𝑆 = 𝑭′𝑺 + 𝑭𝑽
𝜕𝑡
𝑉0 𝑆0 𝑆0
(2. 17)
Chiamata equazione di bilancio della quantità di moto in forma integrale. Devono però
essere definiti i termini legati alle forze di superficie e di volume.
𝐹𝑆 = ∫ 𝐓 ∙ 𝐧𝑑𝑆
𝑆0
(2. 18)
𝐹𝑉 = ∫ 𝜌𝐟𝑑𝑉
𝑉0
(2. 19)
27
𝜕𝜌𝐮
∫ 𝑑𝑉 + ∫ 𝜌𝐮𝐮 ∙ 𝐧𝑑𝑆 = − ∫ 𝑝𝐈 ∙ 𝐧𝑑𝑆 + ∫ 𝛕 ∙ 𝐧𝑑𝑆 + ∫ 𝜌𝐟𝑑𝑉
𝜕𝑡 𝑆0 𝑉0
𝑉0 𝑆0 𝑆0
(2. 20)
(2. 21)
da cui, dovendo sussistere l'identità dei due membri per qualunque scelta del volume di
controllo V0, devono necessariamente risultare uguali le funzioni integrande
𝜕𝜌𝐮
+ ∇ ∙ (𝜌𝐮𝐮) = −∇𝑝 + ∇ ∙ 𝛕 + 𝜌𝐟
𝜕𝑡
(2. 22)
28
2.5 EQUAZIONI DI NAVIER-STOKES
2
𝜏 = − 𝜇(∇ ∙ 𝐮)𝐈 + 2𝜇𝐄
3
(2. 23)
(2. 24)
(2. 25)
che viene chiamata equazione di Navier-Stokes. Nel caso in cui si assuma che la
viscosità del fluido non è funzione della posizione allora si ottengono le seguenti due
relazioni
(2. 26)
29
𝐷𝐮 𝜇
𝜌 = −∇𝑝 + 𝜌𝐟 + ∇(∇ ∙ 𝐮) + μ∇2 𝐮
𝐷𝑡 3
(2. 27)
(2. 28)
30
stato del fluido considerato, che mette in relazione la densità, la pressione e la
temperatura del fluido considerato, senza introdurre ulteriori incognite al sistema.
(2. 29)
31
FLUSSO LAMINARE
FLUSSO DI
TRANSIZIONE
FLUSSO TURBOLENTO
32
2.7 LO STRATO LIMITE LAMINARE
Lo strato limite (boundary layer) è la zona di flusso in prossimità della parete, dove gli
sforzi viscosi sono dello stesso ordine di grandezza di quelli inerziali. La teoria dello
strato limite fu ideata da Ludwig Prandtl alla fine del novecento. Egli ipotizzò che le
dimensioni della zona di strato limite fossero molto ridotte rispetto all’intero campo di
moto. Al di fuori di questa è possibile considerare un flusso potenziale, ovvero un
flusso irrotazionale in cui gli effetti viscosi possono ritenersi trascurabili.
33
𝜕𝑣 𝜕𝑣 1 𝜕𝑝 𝜕2𝑣 𝜕2𝑣
𝑢 +𝑣 =− + 𝜈( 2 + 2 )
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜌 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝜕𝑦
(2. 30)
termini convettivi, inoltre, il primo fornisce il trasporto di quantità di moto lungo x che
sarà ostacolato dai termini viscosi all'interno dello strato limite.
Di conseguenza a quanto detto
𝜕𝑢 𝜕2𝑢 𝑈2 𝑈
𝑢 ≈𝜈 2 ⇒ ≈𝜈 2
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐿 𝛿
(2. 31)
da cui
1
𝜈𝐿 2 𝐿
𝛿≈( ) =
𝑈 √𝑅𝑒
(2. 32)
(2. 33)
34
da cui di evince che nello strato limite si ha anche una velocità molto più piccola
dell'altra infatti 𝑣<< 𝑢.
(2. 34)
𝑈2 ∗(
𝜕𝑣 ∗ 𝑈2 ∗ 𝜕𝑣 ∗
𝑢 )+ 𝑣 ( ∗)
𝐿√𝑅𝑒 𝜕𝑥 ∗ 𝐿√𝑅𝑒 𝜕𝑦
𝜌𝑈2 √𝑅𝑒 1 𝜕𝑝∗ 𝑈 𝜕 2 𝑣 ∗ 𝑈√𝑅𝑒 𝜕 2 𝑣 ∗
=− +𝜈( + 2 )
𝐿 𝜌 𝜕𝑦 ∗ √𝑅𝑒𝐿2 𝜕𝑥 ∗2 𝐿 𝜕𝑦 ∗2
(2. 35)
35
𝜕𝑢∗ 𝜕𝑢∗ 𝑑𝑝∗ 𝜕 2 𝑢∗
𝑢∗ + 𝑣 ∗
= − +
𝜕𝑥 ∗ 𝜕𝑦 ∗ 𝑑𝑥 ∗ 𝜕𝑦 ∗2
𝑑𝑝∗ 1
∗
= 𝑂( ) → 0
𝑑𝑦 𝑅𝑒
(2. 36)
La terza equazione delle (2.36) ci dice che la pressione non varia con la coordinata y,
ovvero non varia perpendicolarmente alla piastra. Ne consegue che la pressione nello
strato limite viene imposta dal flusso esterno e può dunque essere calcolata con la teoria
del flusso potenziale. In base a quanto detto, la pressione diventa un dato del sistema di
equazioni. La seconda equazione delle (2.36) presenta un solo termine viscoso avendo
perso il termine di derivata seconda nella direzione x. Questo si traduce, da un punto di
vista fisico, nel fatto che il flusso ad una certa coordinata x', nella direzione della
corrente, dipende solo da ciò che succede per x<x'. Un’ultima osservazione rilevante sta
nell’indipendenza delle equazioni di Prandtl dal numero di Reynolds (molto elevato).
Ciò implica che una volta trovata la soluzione questa potrà essere applicata a tutte le
situazioni geometricamente simili, potendo poi trovare i valori dimensionali di velocità
e lunghezze attraverso le relazioni (2.34).
Anche le equazioni di Prandtl presentano elevate difficoltà nella risoluzione analitica, e
un’ulteriore ipotesi semplificativa consiste nel richiedere che l'equazione non sia
soddisfatta puntualmente ma che lo sia una sua media su tutto lo spessore dello strato
limite, si potrà pertanto scrivere (tralasciando la dimostrazione)
𝑑𝜃𝑈2 𝑑𝑈 𝜏𝑤
+ 𝛿 ∗𝑈 =
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝜌
(2. 37)
chiamata equazione integrale dello strato limite o più nota equazione di von Kármán.
Essa mette in relazione le grandezze integrali dello strato limite con lo sforzo di parete
𝜏𝑤
36
𝜕𝑢 𝑈 𝑈 𝜇𝜌𝑈3
𝜏𝑤 = 𝜇 ( ) ≅ 𝜇 = 𝜇 √𝑅𝑒 = √
𝜕𝑦 𝑤 𝛿 𝐿 𝐿
(2. 38)
∞
𝑢 𝑢
𝜃=∫ (1 − ) 𝑑𝑦
0 𝑈 𝑈
(2. 39)
∞
𝑢
𝛿 ∗ = ∫ (1 − ) 𝑑𝑦
0 𝑈
(2. 40)
37
2.9 EQUAZIONI R.A.N.S.
(2. 41)
dove
1 𝐓
𝐔(𝐱) =< 𝐮(𝐱, 𝐭) > lim ∫ 𝐮(𝐱, 𝐭)𝑑𝐭 𝑒 𝐮′(𝐱, 𝐭) = 𝐮(𝐱, 𝐭) − 𝐔(𝐱)
𝐓→∞ 𝐓 0
(2. 42)
Figura 18 –la velocità u somma di due contributi: un valore medio costante e una fluttuazione.
38
Può capitare che la componente media della velocità non sia costante, ma sia anche essa
funzione del tempo, in questo caso l’operazione di media non va effettuata in un tempo
infinito ma su un intervallo finito, adeguatamente grande rispetto alle scale temporali
delle fluttuazioni, ma anche abbastanza breve rispetto alle variazioni nel tempo della
scala media. La seguente immagine chiarisce meglio questo concetto
Figura 19 - Decomposizione del segnale tempo variante con componente media non stazionaria
(2. 43)
Per decomporre in modo analogo le equazioni di Navier-Stokes si osserva che per tutti i
termini, tranne quello non lineare, si può porre
𝜕𝐮 1
+ ∇ ∙ (𝐮𝐮) = − ∇p + ν∇2 𝐮
𝑑𝑡 𝜌
(2. 44)
𝜕𝐮 𝜕𝐔 𝜕𝐮′
= + , ∇p = ∇P + ∇p′ , ∇ 2 𝐮 = ∇2 𝐔 + ∇2 𝐮 ′ .
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡
(2. 45)
39
Per il termine non lineare si ha la seguente decomposizione
(2. 46)
Poiché < 𝐮′(𝐱, 𝐭) >≡ 𝟎, si osserva che < 𝐔𝐮′ > =< 𝐮′𝐔 >≡ 0 (con U valore
costante), mentre < 𝐮′𝐮′ >≠ 0. Sostituendo le relazioni (2.45) e (2.46) nell’equazione
(2.44) si ottiene
𝜕𝐔 1
+ ∇ ∙ (𝐔𝐔) + ∇ ∙ (< 𝐮′𝐮′ >) = − ∇P + ν∇2 𝐔
𝑑𝑡 𝜌
(2. 47)
(2. 48)
L'equazione (2.47) e la seconda relazione delle (2.43) vengono definite equazioni della
dinamica del campo medio.
La differenza tra le equazioni mediate da Reynolds e quelle di Navier-Stokes è che le
prime non rappresentano un sistema chiuso, ovvero rappresentano un sistema di 4
equazioni nelle 10 incognite u, p e < 𝐮′𝐮′ >, dove quest’ultimo termine è un tensore
simmetrico del secondo ordine che presenta 6 incognite (mentre le equazioni di Navier-
Stokes sono un sistema 4 equazioni nelle 4 incognite u e p). Questo problema è noto
come chiusura della turbolenza e si presenta ogni volta che si tenta di derivare
un'equazione per la turbolenza.
La via utilizzata per risolvere il problema, consiste nel troncare il numero di equazioni
ad un fissato ordine e modellare opportunamente le incognite di ordine superiore.
40
Ovviamente maggiore è l'ordine di troncamento e maggiore sarà il numero delle
incognite da modellare, con la restituzione di una soluzione sempre più accurata.
Per ridurre il numero di incognite si possono considerare i termini del tensore < 𝐮′𝐮′ >
come degli sforzi aggiuntivi, chiamati sforzi di Reynolds, che sottraggono energia al
campo medio per trasferirla alle fluttuazioni. Identifichiamo dunque queste fluttuazioni
come la componente turbolenta del moto. Definendo k l'energia cinetica turbolenta
per unità di massa con la seguente espressione
1 1
𝑘 = (< 𝑢𝑥′ 𝑢𝑥′ > +< 𝑢𝑦′ 𝑢𝑦′ > +< 𝑢𝑧′ 𝑢𝑧′ >) = 𝑇𝑟 (< 𝐮′ 𝐮′ >),
2 2
(2. 49)
(2. 50)
(2. 51)
2
dove P ∗ = P + 3 K e ν∗ = ν + νT .
La viscosità turbolenta non è una proprietà intrinseca del fluido (come la viscosità
molecolare) ma dipende dal campo di moto, per cui il suo valore cambia in ogni punto
del campo e nel tempo νT = νT (𝐱, 𝐭). A questo punto si avrà un sistema di 4 equazioni
ma in 5 incognite. Per chiudere il sistema è necessario utilizzare delle leggi particolari
che modellano la turbolenza. Queste leggi chiamate empirico-euristiche (spesso
corrette con opportuni fattori sperimentali) permettono di calcolare νT e chiudere quindi
il sistema. Di fatto queste leggi sono dette Modelli di Turbolenza.
41
2.10 STRATO LIMITE TURBOLENTO
Lo strato limite laminare è una sottile zona ideale del flusso, in cui vi è una maggiore
influenza della parete (generalmente solida) su cui scorre il flusso, piuttosto che del
campo di moto esterno. Questa è di fatto una caratteristica instabile del flusso che scorre
su una superficie, contraddistinto da un valore basso del numero di Reynolds.
Aumentando la distanza percorsa sulla parete o la velocità del flusso, aumenta anche il
numero di Reynolds. Questo incremento di Re porta ad una transizione dello strato
limite da laminare a turbolento. Se in più il gradiente di pressione è avverso a quello del
flusso, si può generare la separazione dello strato limite con zone di ricircolo, come si
può vedere nella figura seguente
Dalla zona di separazione, le variazioni nella direzione y saranno più grandi di quelle in
x e quindi non vale più l'ipotesi fondamentale delle equazioni di Prandtl, ovvero 𝛿 ≪ 𝐿
non sarà più verificato. Non sarà più possibile dunque utilizzare le equazioni (2.36) e
(2.37).
Nello strato limite turbolento non è possibile individuare una sola dimensione
caratteristica (cioè uno spessore, come avveniva nel caso di strato limite laminare).La
problematica nasce dal fatto che la velocità e le sue fluttuazioni sono comunque nulle in
42
prossimità della parete (dove dominano gli effetti viscosi, e vale la condizione di
aderenza a parete, indipendentemente dal numero di Reynolds e quindi dalla turbolenza)
sebbene il moto sia completamente turbolento per una gran parte dello spessore dello
strato limite. In conclusione, negli strati più vicini alla parete, la corrente presenta
caratteristiche fortemente dipendenti da quelle funzioni che vengono chiamate variabili
di parete.
43
2.10.2 SCALE TEMPORALI
In prossimità della parete, la diffusione è affidata alla sola viscosità molecolare e alla
risultante degli sforzi viscosi molecolari
𝜕𝑈
𝜏𝜈 = 𝜌𝜈
𝜕𝑡
(2. 52)
mentre lo sforzo turbolento (che è praticamente nullo) può essere descritto da questa
seconda relazione
𝜕𝑈
𝜏𝑡 = 𝜌𝜈𝑡
𝜕𝑡
(2. 53)
La corrente più lontana dalla parete, al contrario, è dominata dallo sforzo turbolento ed
è praticamente indipendente dallo sforzo viscoso molecolare. Si possono esplicare le
seguenti scale temporali
SCALE DI TEMPORALI
Convezione 𝐿
𝑇𝑡 ≅
𝑈𝑒
Diffusione turbolenta 𝛿2
𝑇𝑡 ∝
𝜈𝑡
44
energia cinetica turbolenta k, la cui relazione è la seguente (come già precedentemente
detto)
1 1
𝑘 = (< 𝑢𝑥′ 𝑢𝑥′ > +< 𝑢𝑦′ 𝑢𝑦′ > +< 𝑢𝑧′ 𝑢𝑧′ >) = 𝑇𝑟 (< 𝐮′ 𝐮′ >),
2 2
(2. 54)
(2. 55)
Diffusione turbolenta u𝑡 ∝ √𝐾
45
lisce, entra in gioco una ulteriore scala di lunghezza dipendente dalla rugosità), sono
caratterizzate da due spessori: il primo rappresenta la diffusione turbolenta, ed è
rappresentato dallo spessore convenzionale dello strato limite δ; il secondo è
rappresentato dalla lunghezza 𝑙𝜈 , caratterizzante lo strato dominato dalla viscosità
molecolare e individuato dalla seguente espressione
𝜈
𝑙𝜈 ∝
𝑢𝜏
(2. 56)
(2. 57)
(2. 58)
(2. 59)
Questo è il numero di Reynolds Reτ basato sullo spessore diffusivo esterno e sulla
velocità caratteristica interna.
46
2.10.6 ANALISI STRATO LIMITE TURBOLENTO
E’ possibile suddividere lo strato limite turbolento in sottostrati ai quali corrisponde un
determinato spessore espresso in unità di parete.
Nella seguente immagine è possibile osservare visivamente le principali regioni dello
strato limite turbolento
Figura 22 – Regioni dello strato limite turbolento nel caso di elevato numero di Reynolds
(dell’ordine di 107).
Le scale usate per gli spessori sono logaritmiche e ciascuno strato è misurato, sia in
unità di parete y+ (asse a sinistra), sia in unità esterne η (asse a destra). Le prime
assumono valori compresi tra 1 e 5000, mentre in base alla (2.57) η raggiunge il valore
unitario per y = δ.
La regione interna è compresa tra la parete ed un valore di circa 400 unità di parete, a
questo corrisponde un valore di η dell’ordine di 10-1. La regione esterna è invece
compresa tra circa 30 unità di parete ed η=1. Per via del valore elevato del numero di
47
Reynolds è presente una zona di sovrapposizione (région de recouvrement o overlap
region) tra la zona interna e quella esterna, che si estende per 400 y+ circa. In questa
regione vale la legge di distribuzione della velocità adimensionale di tipo logaritmico
(chiamata loi log o log law) che per via dell’adozione di scale semi-logaritmiche,
assume il seguente andamento rettilineo
1
𝑈+ = ln 𝑦 + + 𝛽
𝛼
(2. 60)
𝑈
dove 𝑈+ = 𝑢 ,α eβ sono delle costanti sperimentali e valgono rispettivamente 0.4 e
𝑤
(2. 61)
Lo strato cuscinetto (zone tampon o buffer layer) risiede tra il substrato viscoso
(dominato dalla viscosità molecolare), e la regione di sovrapposizione (contraddistinta
dal moto turbolento), qui la velocità deve necessariamente raccordare l’andamento
lineare del substrato viscoso con quello logaritmico della regione di sovrapposizione.
All’esterno della regione di sovrapposizione, è presente la regione di scia (région de
sillage o wake region), in cui la distribuzione della velocità è dipendente dal gradiente
di pressione esterno.
Il Metodo dei Volumi Finiti F.V.M. (Finite Volume Method), è un metodo per la
risoluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali, in cui l’integrazione di
quest’ultime avviene su volumi in cui sono state imposte determinate condizioni al
contorno. L’applicazione di tale metodo, prevede la suddivisione dell'intero dominio di
48
calcolo in più piccoli volumi elementari, quindi vengono scritte le relazioni che
intercorrono tra i vari volumetti confinanti attraverso una risoluzione di tipo numerico.
Le formulazioni integrali delle equazioni precedentemente riportate in questo capitolo,
vengono dunque convertite in integrali di superficie attraverso il teorema della
divergenza. Il solutore che è stato adottato in questo lavoro di tesi è ANSYS FLUENT
14, esso è di fatto un solutore che adotta il metodo dei volumi finiti. Il dominio di
calcolo è il volume all'interno del quale scorre il fluido aria che investe la vettura che si
vuole studiare. Esso è suddiviso in un numero molto grande di celle a cui si dà il nome
di volumi finiti. Ogni equazione integrale viene discretizzata in forma algebrica e il
sistema di equazioni che si crea viene risolto in ognuno dei volumetti. Esistono diversi
approcci nei solutori C.F.D. per la memorizzazione delle grandezze scalari da calcolare:
ai vertici di ogni cella (vertex centered), o nel baricentro di ogni cella (cell centered).
Verrà utilizzato per il seguente lavoro un approccio cell centered.
Ovviamente non basta conoscere il valore della grandezza nel baricentro di ogni cella,
infatti sarà necessario conoscere anche il valore sulle superfici di confine, per poter
collegare i risultati tra le varie celle. Il software, per ottenere questi dati, esegue
un'interpolazione del primo ordine (lineare) o del secondo ordine. Nel primo caso il
valore nel baricentro della cella corrisponde alla media di tutti i valori all'interno della
stessa e viene quindi assunto lo stesso valore sulla faccia presa in considerazione. Nel
secondo caso si somma algebricamente il valore del baricentro al prodotto fra il
gradiente della grandezza considerata (calcolato fra i valori dei due baricentri) e il
vettore spostamento, con origine nel baricentro della cella e direzione nel verso della
cella. Come ovvio un interpolazione del secondo ordine restituisce risultati più
49
attendibili ma risulta più difficoltosa nel caso in cui si abbiano repentine variazioni del
flusso, per via della forte natura oscillatoria che la caratterizza. Infatti, in base al
teorema di Godunov, si possono certamente ottenere calcoli più precisi utilizzando
schemi di approssimazione di ordine elevato, ma nel caso in cui si abbiano aree di
mutamento improvviso del flusso (come nel caso di un flusso con una superficie di
discontinuità), la soluzione sarà poco realistica e fortemente instabile. Una soluzione del
primo ordine riesce a mantenere una certa monotonicità, nonostante la soluzione sia
meno accurata. Godunov dimostrò matematicamente che in uno schema è impossibile
ottenere precisione elevata e allo stesso tempo una soluzione monotona. Questo
suggerisce di analizzare inizialmente il problema al primo ordine, ottenendo una certa
monotonia nella soluzione, e conferendo dunque una certa stabilità ai risultati ottenuti,
per poi analizzare il problema (partendo dai risultati del primo ordine) con un grado di
approssimazione al secondo ordine, così da evitare un carattere oscillatorio eccessivo.
50
possiamo osservare nell’ipotesi di flusso incomprimibile (densità costante),
considerando che anche la variazione del dislivello h tra dorso e ventre dell’ala è molto
piccola (pertanto non si hanno grandi e rilevanti variazioni di energia potenziale), che il
contenuto energetico del fluido dipende solo dalla velocità u e dalla pressione p,
pertanto aumentando uno diminuisce l’altro termine e viceversa. In F1 si cerca di
generare una forza che schiaccia la vettura al suolo cercando di mantenerla il più
aderente possibile all’asfalto, questa forza viene chiamata deportanza, ed è l’opposto
della forza che permette agli aerei di decollare e rimanere in quota chiamata portanza.
Risulta chiaro quindi come sia utile il teorema di Bernoulli, al fine di progettare profili
alari di alettoni che permettano di ottenere un incremento di pressione (e quindi un
decremento di velocità) sul dorso superiore, e un decremento di pressione (e quindi un
incremento di velocità) sul ventre inferiore in modo da avere una deportanza e quindi un
carico aerodinamico maggiore. Dall’immagine seguente si può meglio comprendere il
concetto di deportanza
Figura 24 – Elementi geometrici principali di un profilo alare. Le linee di corrente del fluido che impatta da
sinistra secondo l’angolo d’incidenza descritto, compiono un percorso maggiore sul dorso (parte superiore)
dell’ala, quindi con maggiore velocità e minore pressione secondo il teorema di Bernoulli. Sul ventre (parte
inferiore) ci sarà l’effetto contrario. Questo genera portanza; la deportanza è una forza opposta alla portanza
ed è l’effetto che si cerca di generare sui profili alari delle vetture di F1.
51
discapito della sua pressione. Per quanto detto nel paragrafo precedente, l’effetto
Venturi è una diretta conseguenza del teorema di Bernoulli. Venturi studiò questo
fenomeno attraverso dei tubi manometrici a sezione variabile, per il quale la quota ℎ era
nulla, dunque eliminando il terzo termine nell’equazione (2.62), si ottiene la relazione di
Venturi
𝑢2
𝑝+𝜌 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
2
(2.63)
In F1 questo fenomeno può essere utilizzato per generare deportanza, per esempio
sagomando opportunamente il fondo vettura e l’estrattore posteriore, in modo da
ottenere dei condotti convergenti-divergenti, e possibile incrementare la velocità e
diminuire quindi la pressione. Questo fenomeno che genera deportanza sul fondo
vettura è chiamato effetto suolo.
52
tendono a deviare il getto e quindi ad aderire alla superficie. Questa deviazione sarà
presente finché le forze di interazione molecolare non vengono superate, nel momento
in cui ciò avviene si ha la separazione del getto dalla superficie (tanto più la curvatura
della superficie sarà accentuata, tanto più il getto tenderà a separarsi da essa). L’effetto
Coandă viene utilizzato e studiato nell’aerodinamica per diverse applicazioni, come per
esempio nell’aeronautica dove, grazie a questo fenomeno, il fluido rimane aderente alle
ali di un aeroplano ritardando lo stallo (brusca riduzione del coefficiente di portanza
dovuto al superamento di un angolo di incidenza critico). In F1 viene utilizzato per far
aderire il flusso di aria incidente agli scarichi e alla carrozzeria, in modo da guidarli sul
diffusore a incrementare quindi il carico aerodinamico. Un esempio tipico, per capire
come avviene nella pratica di ogni giorno questo fenomeno, è l’esempio del cucchiaio
che si può osservare in figura 26.
53
CAPITOLO 3
Il contenuto dei seguenti capitoli riguarderà il lavoro di tesi vero e proprio. Dopo aver
illustrato su grandi linee la storia della F1, con tutti gli sviluppi aerodinamici che
l’hanno riguardata, ed aver fatto una ricapitolazione delle leggi fisiche che interessano
lo studio condotto, si passerà a descrivere prima di tutto il modello solido della vettura
utilizzata per i calcoli. Essa è stata interamente disegnata da zero utilizzando il
programma CAD CATIA v5, seguendo le quote di massima regolamentari delle vetture
del 2011. Successivamente si spiegherà quali criteri sono stati scelti per generare la
griglia di calcolo, ed infine, dopo essere passati dal settaggio del solutore FLUENT
v14, si passera a commentare i risultati ottenuti e a confrontarli opportunamente.
La parte iniziale del seguente lavoro di tesi, ha riguardato la generazione del modello
solido della vettura di F1, utilizzata poi per i calcoli. Inizialmente si era pensato di
utilizzare delle geometrie preesistenti, e modificarle in modo che potessero soddisfare i
requisiti di approssimazione richiesti. Le geometrie prese in esame però non
soddisfacevano in maniera appropriata i requisiti cercati. Si è deciso allora di disegnare
completamente da zero la vettura. Il programma scelto per la realizzazione del modello
è stato CATIA V5 dell’azienda francese Dassault Systèmes, specializzata nella
produzione di programmi CAD. L’acquisizione della conoscenza del programma ha
richiesto uno studio preliminare, per via dell’ampiezza e della complessità delle
funzioni implementate. Le quote utilizzate per la realizzazione del modello sono quelle
riportate sul sito della FIA (Fèdèration Internationale de l’Automobile). Esse si
riferiscono alle vetture del 2011. Inizialmente, per via della scarsa confidenza con il
programma, la realizzazione del modello ha presentato non poche difficoltà. In seguito
si è acquisita una certa esperienza e si è riusciti a generare una geometria soddisfacente.
Le semplificazioni che sono state adottate per generare la geometria (nel rispetto delle
quote di massima seguite), hanno riguardato quei particolari, che nonostante siano
fondamentali nella progettazione di una vettura di F1 reale, avrebbero complicato in
maniera rilevante la generazione della griglia di calcolo nella fase successiva. Inoltre
molti di questi elementi avrebbero certamente richiesto uno studio più accurato ed
54
individuale, da risultare quasi superflui nel complessivo dello studio semplificato e
comparativo che si è condotto in questo lavoro di tesi. Le semplificazioni geometriche
che sono state adottate alla vettura sono le seguenti: fondo completamente piatto
(l’assenza di una sagomatura opportuna del fondo implica la non generazione di effetto
suolo), alettoni anteriore e posteriore semplificati, semplificazione del casco pilota,
assenza di alette secondarie e feritoie laterali, chiusura dei sidepods (aperture laterali del
radiatore), chiusura dell’air scoop (apertura dell’air box per l’alimentazione del
motore), e chiusura del cockpit (vano pilota), bombature accentuate della carena per
migliorare l’effetto Coandă e l’aderenza del flusso sulla vettura, assenza dell’estrattore
di valle e dell’ala Y100 (Monkey Seat), ruote semplificate, bracci sospensioni
semplificati.
55
pressione, e una minore deportanza nei risultati ottenuti. Inoltre l’ampiezza elevata
dell’alettone anteriore giustificherà il maggior carico deportante anteriore rispetto al
posteriore. Si è cercato di generare una geometria il più lineare possibile, senza
disconnessioni tra le parti costituenti il modello, in modo che il successivo trasferimento
al programma ANSYS ICEM per la generazione della griglia, non portasse problemi. Il
modello è stato organizzato in un file Part Design, come un insieme di diversi Part
Body, ognuno corrispondente ad un componente della vettura, in modo da poter
facilitare la verifica delle forze agenti su ogni parte. I Part Body disegnati, ognuno
contraddistinto da un colore diverso, sono: Corpo Vettura (bianco), Casco (giallo),
Ruote Posteriori (rosso), Ruote Anteriori (blu), Bracci Posteriori (verde), Bracci
Anteriori (ocra), Alettone Anteriore (grigio), Alettone Posteriore (con DRS), Alettone
Posteriore (senza DRS), Dominio (azzurro).
Dall’elenco precedente si può capire come siano stati disegnati due alettoni,
geometricamente identici, ma uno con ala DRS aperta, ed uno con ala DRS chiusa,
questi vengono alternativamente nascosti/visualizzati attraverso una funzionalità del
programma. La generazione di un modello unico (ovvero senza l’organizzazione in Part
Body) non avrebbe permesso tale modifica al solo alettone posteriore, ed avrebbe
richiesto la realizzazione di un secondo modello modificato. Anche il dominio di
calcolo è stato realizzato in CATIA. Esso rappresenta la regione di spazio in cui si vuole
studiare il flusso; non è infatti possibile studiare il flusso in un ambiente reale perché ciò
56
equivarrebbe ad un ambiente infinito che non può essere discretizzato da un calcolatore.
Il dominio di calcolo deve comunque essere opportunamente dimensionato, in modo
tale che i fenomeni che avvengano al suo interno siano tutti percepiti e visualizzati
correttamente, ovvero non deve essere né troppo piccolo (e quindi troncare le soluzioni
ad un ambiente troppo ristretto), né troppo grande (e quindi contenente un numero
eccessivo di celle di calcolo che andrebbero solo ad appesantire la risoluzione senza
evidenti miglioramenti). Dagli studi in letteratura di casi simili, si è evidenziato che le
dimensioni opportune del dominio di calcolo debbano essere circa 10 volte la vettura in
lunghezza, 3 volte in larghezza (considerando solo metà dominio) e 4 volte in altezza, in
modo da non alterarne il flusso intorno. È stato costruito pertanto un dominio lungo 50
metri, alto 20 metri e largo 15 metri, considerando che la lunghezza della monoposto è
poco più di 5 metri.
Inoltre il modello è posto molto vicino alla parete d’ingresso (inlet) del dominio, ovvero
a 10 m, perché le variazioni significative delle grandezze caratteristiche del flusso,
avvengono a valle della vettura e non a monte. Si è deciso ragionevolmente di studiare
solo metà dominio (quindi metà vettura), per limitare il costo computazionale del
calcolo, essendo la geometria perfettamente simmetrica.
57
CAPITOLO 4
LA GRIGLIA DI CALCOLO
58
Una mesh cartesiana suddivide il dominio di calcolo in celle quadrangolari
nell’ambiente 2D e cubiche nell’ambiente 3D.
Questa presenta il vantaggio di essere semplice da realizzare a livello computazionale,
ma anche lo svantaggio di non seguire in maniera corretta le curvature del modello, e
pertanto di non permettere una precisa descrizione della geometria, necessitando di
opportuni accorgimenti durante il calcolo.
Una mesh strutturata (structured mesh), a differenza della precedente, consente di
seguire la curvatura della superficie e pertanto di restituire dei risultati abbastanza
accurati. Si possono riscontrare difficoltà nella realizzazione di una mesh strutturata nel
caso in cui la curvatura del modello sia molto accentuata, e ciò comporta delle celle
eccessivamente distorte. Una mesh strutturata ben progettata consente di ottenere i
migliori risultati possibili ma allo stesso tempo comporta un costo computazionale
elevato. Un esempio di mesh strutturata si può vedere nella seguente immagine
In una griglia non strutturata (unstructured mesh), gli elementi sono dei triangoli (nel
caso 2D), e delle piramidi e tetraedri (nel caso 3D). In genere non è possibile ottenere la
stessa precisione a parete ottenibile nel caso di una mesh strutturata, ma la generazione
di una griglia non strutturata comporta dei vantaggi dal punto di vista computazionale
(come per esempio la conversione in griglia poliedrica di cui si parlerà dopo).
59
Figura 32 – Mesh non strutturata intorno a un profilo alare 2D.
Infine una mesh ibrida è un tipo di griglia che unisce tutti i vantaggi di una mesh non
strutturata con quelli di una mesh strutturata. La generazione di una mesh di questo tipo
consiste nel costruire in prossimità del modello una mesh strutturata, permettendo così
di ottenere più precisi valori delle grandezze a parete, e di diradare la mesh seguendo lo
schema di una griglia non strutturata, al fine di limitare le celle all’esterno e ridurre il
costo computazionale.
Figura 33 – Esempio di mesh ibrida 2D. Si può notare la griglia strutturata in prossimità del modello, e la
griglia non strutturata all’esterno.
60
4.1 GENERAZIONE DELLA MESH
Nel seguente lavoro di tesi si è deciso di generare una mesh non strutturata, che potesse
comunque permettere di studiare i fenomeni legati alla resistenza dell’aria e alla
deportanza generata da una vettura di Formula 1 con DRS chiuso e con DRS aperto. La
generazione di una mesh ibrida sarebbe stata l’ideale per poter effettivamente osservare
in maniera accurata le variazioni delle grandezze in prossimità della vettura, ma ciò
avrebbe comportato un dispendio eccessivo di tempo, oltre che un costo computazionale
molto elevato (per via dell’impossibilità di convertire una mesh ibrida in poliedrica).
L’idea cardine è stata quella di generare una mesh non strutturata con un elevatissimo
numero di celle (circa 30 milioni di elementi), che fossero concentrate soprattutto in
delle density box sull’ala anteriore, posteriore, sul fondo vettura e sulla superficie della
monoposto, per poi diradare la griglia verso l’esterno, mantenendo comunque un buon
ma non eccessivo addensamento in scia (per poter valutare le grandezze del flusso a
valle). Il programma utilizzato per generare la mesh è stato ANSYS ICEM. Una volta
generata, la griglia è stata trasferita nel solutore ANSYS FLUENT v14, che permette di
semplificarla ulteriormente in modo efficace; infatti esso ha una funzione che consente
di convertire una mesh non strutturata in poliedrica (polyhedra mesh), riducendo
drasticamente il numero di celle. La conversione in celle poliedriche è possibile solo per
mesh 3D non strutturate, che non siano già poliedriche e che non presentino errori nel
check (legati soprattutto alla presenza di hanging nodes, letteralmente “punti appesi”, la
cui presenza è dovuta all’adattamento di una mesh su una già preesistente, infatti la
suddivisione di una cella in celle più piccole, con la non modifica delle celle di confine,
porta alla generazione dei seguenti nodi).
Figura 34 – Generazione di un Hanging Node. La cella di sinistra viene suddivisa in quattro celle più piccole (dai
contorni rossi), mentre la cella di destra non subisce alcuna modifica, per cui il nodo cerchiato di bianco è un
“punto appeso”.
61
La conversione avviene nel seguente modo:
- Ogni cella non esaedrica viene suddivisa in più sottovolumi, che vengono chiamati
Duals.
- Ogni Duals viene associato ad un nodo di origine delle celle preesistenti.
- I Duals infine vengono agglomerati su questi nodi in celle poliedriche.
- I nodi all’interno dei poliedri vengono rimossi perché non più necessari.
Figura 35 – I Duals (in rosso) sono regioni generate all’interno di più celle.
62
La conversione in mesh poliedrica ha consentito di ridurre la mesh a poco più di 4
milioni di celle, senza influenzare in maniera rilevante l’approssimazione dei risultati
che si vuole ottenere.
La prima parte della generazione della griglia, ha visto la scelta del formato del file di
esportazione della geometria nel software di generazione della mesh. Essendo stata, la
geometria, generata ad hoc in CATIA V5, la formattazione dei file non ha prodotto
troppi problemi. La scelta è ricaduta su un file .STEP, che consente di esportare il
dominio e la vettura, suddivisa già in parti (come in CATIA), direttamente in ICEM.
Questa scelta, inizialmente, si è rilevata abbastanza corretta, ma in realtà, in seguito ad
alcune modifiche sulla geometria dell’alettone anteriore e posteriore, si sono riscontrati
dei problemi nella generazione di una mesh 3D sulle parti in questione. Essendo state
molte le mesh generate per il seguente lavoro (si è seguito un approccio di tipo Trial
and Error), con alcune di esse si è notato che il software non vedeva le superfici solide
(nelle parti modificate), è generava delle mesh 2D, sull’alettone posteriore e anteriore.
Questo problema è probabilmente legato alla formattazione del file. Si è deciso allora di
esportare solo le parti in questione (essendo il corpo vettura e tutti gli altri componenti
già modificati e ottimizzati per la mesh) in formato .STL. Questo si è rivelato efficace e
ha risolto tutti i problemi legati alla generazione della griglia.
63
Le linee in una geometria corretta devono essere tutte rosse e blu, come nella geometria
in esame, che non ha richiesto nessuna riparazione topologica.
Figura 37 – Linee di costruzione di metà vettura. Le linee sono tutte rosse e blu, non è pertanto richiesta
nessuna riparazione della geometria.
Il modello, con il suo dominio, esportati da CAD in formato .STEP, hanno presentato
già un organizzazione schematica efficace. Ci si è limitati semplicemente a cambiare
nome alle parti, a definire le superfici del dominio (che era stato formattato come un
64
blocco unico) e a creare due macro assembly, per poter differenziare gli elementi della
vettura da quelli del dominio. Questa organizzazione è necessaria anche per definire in
maniera corretta le condizioni al contorno su ogni parte del modello, e per poter
successivamente analizzare in FLUENT i risultati del calcolo sugli elementi di
interesse. L’intero modello è stato organizzato nel seguente modo:
CAR: DOMAIN:
- ALETTONE_ANTERIORE - BOTTOM
- ALETTONE_POSTERIORE - FLUID
- BRACCI_ANTERIORI - INLET
- BRACCI_POSTERIORI - OUTLET
- CASCO - TOP
- CORPO_VETTURA - SYMMETRY
- RUOTE_ANTERIORI - WALL
- RUOTE_POSTERIORI
Ogni parte è contraddistinta da un colore diverso, come si può vedere nelle immagini
precedenti. Dopo questa fase organizzativa si è passati ad impostare il solutore di uscita
come ANSYS FLUENT, e le condizioni al contorno (Boundary Conditions), che poi
saranno lette dal solutore, come segue: Per tutte le parti dell’assembly CAR si è
impostata la condizione al contorno Wall, essendo tutti gli elementi della vettura solidi;
per l’INLET Velocity_Inlet; per l’OUTLET Pressure_Outlet; per la SYMMETRY
Symmetry; per il BOTTOM Wall; per il WALL (muro laterale del dominio) e il TOP
(muro superiore) si è impostato Wall, di fatto queste sono pareti immaginarie che nella
realtà non esistono. Le soprascritte Boundary Conditions saranno settate correttamente
nel solutore.
65
4.3 SETTAGGIO DELLA SIMULAZIONE
Si è deciso di utilizzare per la risoluzione il modello k-ε con Standard Wall Functions.
Questa scelta richiede necessariamente la realizzazione di una griglia opportuna. Per
capire meglio cosa è il modello k-ε, si passeranno in rassegna alcune nozioni teoriche.
Esso è un modello di turbolenza a due equazioni che può essere accoppiato a diverse
funzioni di parete:
I modelli sopra sono caratterizzati da diverse equazioni complesse (che verranno solo in
parte descritte nel capitolo 7) e valgono nel caso di valori del numero di Reynolds molto
elevati (dell’ordine di 107), cioè per strato limite turbolento completamente sviluppato.
E’ stato mostrato nel paragrafo 2.10, che il sistema di equazioni differenziali da
risolvere contiene 4 equazioni in 5 incognite (le tre componenti scalari della velocità, la
pressione e la viscosità turbolenta).
La viscosità turbolenta può essere calcolata nel modo seguente
𝑘2
𝜇 𝑇 = 𝜌𝐶𝜇
𝜀
(4. 1)
66
Per risolvere la viscosità turbolenta, sono necessarie altre due equazioni, una per
l'energia cinetica turbolenta specifica k e una per l'energia di dissipazione turbolenta
specifica ε, ovvero le seguenti
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕
(𝜌𝑘 ) + (𝜌𝑘𝑢) + (𝜌𝑘𝑣 ) + (𝜌𝑘𝑤)
𝜕𝑡 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝑘 𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝑘 𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝑘
= [(𝜇 + ) ] + [(𝜇 + ) ] + [(𝜇 + ) ] + 𝐺 − 𝜌𝜀
𝜕𝑥 𝜎𝑘 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜎𝑘 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜎𝑘 𝜕𝑧
(4. 2)
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕
(𝜌𝜀) + (𝜌𝜀𝑢) + (𝜌𝜀𝑣 ) + (𝜌𝜀𝑤)
𝜕𝑡 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝜀 𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝜀 𝜕 𝜇 𝑇 𝜕𝜀 𝜀
= [(𝜇 + ) ] + [(𝜇 + ) ] + [(𝜇 + ) ] + 𝐶1 𝐺
𝜕𝑥 𝜎𝜀 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜎𝜀 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜎𝜀 𝜕𝑧 𝑘
𝜀2
+ 𝐶2 𝜌
𝑘
(4. 3)
dove 𝜎𝑘 , 𝜎𝜀 , 𝐶1 , 𝐶2 , 𝐶𝜇 sono delle costanti che valgono rispettivamente 1.0, 1.3, 1.44,
1.92, 0.09, e G è un termine di produzione dell'energia cinetica turbolenta dovuto alle
tensioni tangenziali. A questo punto il sistema non presenta più incognite in eccesso e
può essere risolto, imponendo le adeguate condizioni al contorno.
Come già anticipato, per risolvere le zone di strato limite in prossimità delle pareti
solide è necessario utilizzare un numero elevato di celle in direzione normale alla
parete. In questa regione la velocità è nulla a parete per la condizione di aderenza,
mentre il flusso esterno presenta una velocità asintotica. Per cogliere il comportamento
del flusso nella zona di strato limite è necessaria pertanto una mesh molto raffinata. La
regola generale impone che la prima cella a parete debba essere posizionata nel
substrato viscoso, all'altezza di y+ = 1. Una mesh realizzata seguendo questo criterio
porterà sicuramente a dei risultati molto precisi, ma ciò richiede un costo
computazionale elevato (per via dell’elevato numero di celle), soprattutto se il modello
da studiare è complesso. E’ qui che entrano in gioco le Wall Functions. Infatti le
67
funzioni di parete si basano sulla legge universale (log-law), che come era stato già
detto, rende indipendente la velocità dalla tipologia del flusso, scalandola in maniera
opportuna. Le funzioni di parete più utilizzate (ma non le uniche, come si evince
dall’elenco ad inizio paragrafo) sono le Standard Wall Functions, i passaggi
fondamentali che queste funzioni operano per risolvere il substrato viscoso sono:
- Risolvere l'equazione del momento della quantità di moto considerando uno sforzo
a parete opportunamente modificato.
- Utilizzare un metodo iterativo per trovare la velocità di parete 𝑢𝜏 .
- Imporre i valori di k e di ε trovati, nel primo centro cella.
68
schema ad albero in cui ogni nodo ha otto figli). La mesh generata, composta da poco
più di 30 milioni di celle, non ha presentato nessun errore al checking.
69
Purtroppo entrambi i metodi, nonostante la notevole riduzione delle celle, hanno
generato una griglia di cattiva qualità con un numero elevato di Hanging Nodes
(spiegati precedentemente), errori non tollerati dalla conversione poliedrica. Si è
pertanto deciso di utilizzare la mesh precedentemente generata, ridotta poi su FLUENT
ad una mesh di poco più di 4 milioni di celle poligonali.
70
CAPITOLO 5
Il solutore utilizzato per il seguente lavoro di tesi è ANSYS FLUENT v14. Una volta
completata la mesh essa viene convertita su ICEM in un file .MSH, e aperta in
FLUENT. Qui il programma deve essere opportunamente settato per poter leggere il
problema nel suo contesto fisico, ovvero bisogna trasportare in modo corretto i
fenomeni reali nel software. La vettura che si vuole analizzare viaggia a 250 km/h
(ovvero 69.4 m/s), in queste circostanze il flusso è ancora subsonico, infatti il numero di
Mach che è il rapporto tra la velocità assoluta del fluido e la velocità del suono nel
fluido nelle condizioni in esame e viene calcolato con la seguente formula
𝑢
𝑀=
√𝑘𝑅𝑇
(5.1)
dove 𝑢 è la velocità della vettura (con vettura ferma è la velocità dell’aria che investe la
vettura), 𝑘 è il rapporto fra i calori specifici a pressione e volume costante (per l’aria
𝐽
vale 1.4), 𝑅 la costante elastica del gas considerato (per l’aria 287.05 ) e T la
𝑘𝑔 𝐾
temperatura assoluta (298.15 K), vale 0.2 che è inferiore a 0.3. In queste condizioni il
flusso è incomprimibile e tra i modelli non ha senso attivare l’equazione dell’energia.
Viene attivato ovviamente come modello di turbolenza il k-𝜀 a due equazioni,
inizialmente con Standard Wall Functions (entrambi spiegati precedentemente). La
simulazione è stata condotta inoltre in regine di flusso stazionario. Dopo i modelli è
necessario impostare le opportune condizioni al contorno.
Le impostazioni adottate solo le seguenti:
71
- INLET: Equivale alla sezione d’ingresso del dominio, sono stati impostati i
seguenti valori: Type Velocity Inlet, Velocity Magnitude 69.4 m/s, Initial Gauge
Pressure 0 pascal, Specification Method Intensity and Length Scale (Turbolence
Intensity 10%; Turbolent Lenght Scale 0.1 m).
- TOP: Essa è la superficie superiore del dominio, questa nella realtà non esiste (di
fatto rappresenta solo un confine), pertanto non è necessario (e neanche possibile)
risolvere lo strato limite su di essa, per cui sono state assegnate le seguenti
condizioni al contorno: Type Wall, Stationary Wall, Specified Shear, Shear Stress
x-y-z component 0 pascal (gli sforzi viscosi sono tutti nulli).
- CAR: Questo assembly rappresenta tutte le superfici della vettura, a cui sono state
assegnate le seguenti condizioni: Type Wall, Stationary Wall, No Slip.
72
flusso, è stato scelto il metodo iterativo segregated solver, per cui si ha: prima un
aggiornamento delle proprietà del fluido; poi vengono risolte in sequenza le equazioni
di bilancio della quantità di moto usando i valori aggiornati di pressione e flusso di
massa attraverso il volume di controllo; viene risolta l’equazione di correzione della
pressione (utilizzando il campo di velocità precedentemente ottenuto); ancora viene
corretto il flusso di massa, la pressione e il campo di velocità attraverso le pareti del
dominio; avviene la risoluzione di altre variabili scalari (come le variabili di
turbolenza); si verifica la convergenza delle equazioni; infine si ricomincia l’iter fin
quando non si raggiunge la convergenza desiderata.
L’algoritmo utilizzato è il SIMPLE (Semi-Implicit Method for Pressure Linked
Equations), i cui punti chiave sono descritti di seguito:
73
CAPITOLO 6
COEFFICIENTI AERODINAMICI
In questo capitolo verranno confrontati i risultati ottenuti nel caso di una vettura con
DRS chiuso, e della stessa con DRS aperto. In particolare verranno comparate le forze
resistenti con quelle deportanti, generate nei due casi. Inizialmente verranno valutati i
dati delle Standard Wall Functions, poi questi saranno messi a confronto con i valori
ottenuti per le Non-Equilibrium Wall Treatment ed Enhanced Wall Functions.
Figura 43 – Particolare dell’alettone posteriore: a sinistra DRS chiuso, a destra DRS aperto.
Il termine di paragone utilizzato per le forze sarà l’Efficienza Aerodinamica Eff. Essa
è il rapporto tra il Drag Coefficient o Coefficiente di Resistenza (in genere indicato
con CD, Cx o Cw), ed il Lift Coefficient o Coefficiente di Deportanza (indicato con
CL). Il primo rappresenta un fattore di valutazione della resistenza aerodinamica al
moto, esso è dato dalla seguente formula
𝐹𝐷
𝐶𝐷 = 1
𝜌𝑈2 𝐴
2
(6. 1)
dove 𝐹𝐷 [N] rappresenta la resistenza aerodinamica (ovvero la forza agente sul corpo
nella direzione parallela a quella del flusso), 𝜌 [kg/m3] è la densità dell’aria, 𝑈 [m/s] è la
velocità relativa tra vettura e flusso indisturbato, 𝐴 [m2] è l’area di riferimento. Il
coefficiente di deportanza invece è un coefficiente adimensionale che quantifica la forza
di sollevamento (portanza) o di abbassamento (deportanza) agente sulla vettura. La
formula, simile a quella del CD, è la seguente
74
𝐹𝐿
𝐶𝐿 = 1
𝜌𝑈2 𝐴
2
(6. 2)
L’unica differenza con la (6.1) è il termine 𝐹𝐿 che rappresenta la forza con direzione
ortogonale alla direzione del flusso. L’efficienza aerodinamica è il rapporto tra i due
coefficienti ovvero il rapporto tra FL e FD
𝐹𝐿
1
−𝐶𝐿 2
𝜌𝑈 2 𝐴 𝐹𝐿
𝐸𝑓𝑓 = = 𝐹𝐷 =
𝐶𝐷 1
𝐹𝐷
𝜌𝑈 2 𝐴
2
(6.3)
Bisogna distinguere però due casi, dipendenti dall’area di riferimento, infatti in genere,
per una vettura di F1, si calcola il Lift Coefficient e il Drag Coefficient, prendendo in
considerazione i soli alettoni. In questo caso la FL e la FD sono le forze agenti
rispettivamente ortogonalmente e frontalmente i profili alari degli alettoni anteriore e
posteriore, e il termine A (area di riferimento) presente nella (6.3), è la superficie alare
della vettura. Andando a calcolare il valore dell’efficienza aerodinamica nel suddetto
caso, non verranno certamente considerate tutte le altre resistenze che l’aria esercita
sulla vettura, né gli effetti deportanti derivati dall’effetto suolo e dal diffusore di valle.
In genere il valore dell’efficienza aerodinamica degli alettoni è compreso tra 2.5 e 3.5
per le vetture moderne di F1. Per la nostra vettura la superficie alare totale calcolata da
CATIA equivale a 0.9 m2. Nel secondo caso invece si considera l’efficienza
aerodinamica totale della vettura, conteggiando tutte le forze (FL ed FD) agenti sul
corpo, e non solo quelle alari. In quest’ultimo caso saranno considerati gli effetti
deportanti del fondo vettura e di altri elementi della monoposto, ma si incrementano
anche le resistenze prodotte, inoltre l’area di riferimento A diventa l’area frontale di
incidenza del flusso, che è rappresentata in figura 44. La superficie frontale equivale a
circa 1.294 m2. Per distinguere i due casi la prima efficienza aerodinamica riferita alle
sole superfici alari sarà denominata Eff mentre la seconda riferita a tutta la vettura sarà
denominata EffTOT (questo secondo valore deve essere il più vicino possibile all’unità,
per una vettura di F1 varia tra 0.7 e 1.2).
75
Figura 44 – Area frontale della vettura.
76
Figura 45 – Residui relativi al calcolo condotto sulla vettura con DRS chiuso, per le Standard Wall Functions.
I valori delle forze che saranno diagrammati sono relativi alle componenti di pressione e
alle componenti viscose che agiscono sull’intera vettura. Pertanto saranno considerate le
forze agenti singolarmente su ogni parte della vettura (secondo la suddivisione esposta
precedentemente) ed esse verranno moltiplicate per due (perché si è studiata solo metà
vettura essendo il dominio simmetrico).
800,000
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
77
Da questo primo grafico si evince la forza totale FD-TOT =2930.935 N, che agisce su tutta
la vettura, e la forza resistente agente sulle sole superfici alari FD=1018.515 N. Le
componenti maggiori di resistenza sono dovute come ci si aspettava al corpo vettura,
che è anche la superficie più ampia di impatto, inoltre questo componente è privo sia
delle prese d’aria del radiatore (sidepods) sia della presa d’aria del motore (air scoop), il
che implica una sovrastima delle forze di pressione, poi alle ruote scoperte, che sono
uno dei principali fattori di rallentamento in una monoposto di F1, e infine agli alettoni,
che come spiegato nella parte introduttiva, sono una delle componenti di resistenza più
rilevanti, tant’è vero che in passato venivano talvolta evitati, per ottenere qualche
chilometro orario in più di velocità. C’è da puntualizzare che anche nel caso degli
alettoni vi è una sovrastima delle forze di pressione, perché questi non sono stati
sagomati in maniera minuziosa per poter valutare nel dettaglio le variazioni di forza, ma
sono stati realizzati in maniera semplificata per il seguente lavoro di tesi, che vuole
essere una valutazione comparativa. La mancanza di alette secondarie, feritoie laterali e
a la maggior superficie alare, saranno ancor più rilevanti nella valutazione della forza FL
come vedremo a breve. Per quanto riguarda la validità delle funzioni di parete utilizzate
(le k-𝜀 Standard Wall Functions), si era detto che esse possono considerarsi valide entro
valori della y+ compresi tra 30 e 300. Si è pertanto verificato che la vettura (almeno nei
punti di interesse) ricadesse in questi valori. Si può osservare dall’immagine 47 che il
90% della vettura viene visualizzato nei contours della y+ quando questa viene limitata
tra valori compresi nel range prestabilito. Questo ci dà una validità della corretta
funzionalità delle funzioni utilizzate.
78
Ovviamente nelle parti non visualizzate nell’immagine le funzioni di parete non saranno
accurate (anche per questo motivo verranno utilizzate le funzioni Non Equilibrium ed
Enhanced). Per quanto riguarda invece le forze deportanti FL, ovvero quelle forze con
direzione ortogonale alla direzione del flusso (sul nostro sistema di riferimento hanno
direzione z), esse sono conteggiate nel seguente istogramma:
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
La forza totale deportante vale FL-TOT = -2072.577 N mentre quella generata dai soli
alettoni vale FL = -3255.180 N. Come si può vedere il maggior contributo deportante
viene dato dall’alettone anteriore (che in realtà dovrebbe fornire il 25% del carico
totale) con una forza pari a -1718.186 N, mentre l’alettone posteriore (a cui viene
attribuito in letterature 1/3 del carico totale, e comunque dovrebbe fornire una
deportanza maggiore dell’anteriore) genera una forza pari a -1536.994 N. Questo valore
è imputabile alla sagomatura dell’anteriore, che è stato semplificato aumentando la
superficie alare ed eliminando le feritoie laterali e i deviatori di flusso. In generale
anche l’inclinazione dell’ala è stata accentuata il che genera un maggiore quantitativo
d’aria spostato verso l’alto (l’aria deviata dall’anteriore serve anche per inviare
maggiore portata alle prese d’aria del radiatore, in modo da garantire un migliore
raffreddamento, e a deviare il più possibile il flusso dagli pneumatici che risultano
essere una delle maggiori cause di resistenza). In generale però, considerando l’assenza
di un fondo sagomato opportunamente per garantire effetto suolo, e del diffusore di
79
valle (il che spiega anche come mai il corpo vettura non generi carico), l’elevato valore
della deportanza generata dai soli due alettoni compensa la mancanza del contributo dei
dispositivi sopra citati, il che restituirà un valore dell’efficienza aerodinamica totale
(chiamata anche Efficienza di Penetrazione Aerodinamica EffTOT) più attendibile.
Nell’immagine 49 si possono osservare le differenze principali tra un alettone reale di
una monoposto di F1 del 2011 e quello generato per il seguente lavoro di tesi.
Figura 49 – Differenza tra un alettone anteriore reale e l’alettone disegnato per il seguente lavoro di tesi. Le
caratteristiche geometriche giustificano il maggior carico aerodinamico generato dall’anteriore rispetto il
posteriore.
Come ultimo appunto, un eccesivo carico frontale in una monoposto di F1 (che monta
motore centrale/posteriore, quindi con maggior peso sulla parte posteriore della vettura,
ed è a trazione posteriore) potrebbe incidere eccessivamente sul sovrasterzo della stessa,
e sulla controllabilità in fase di frenata, il che è sconsigliabile.
80
Conoscendo dunque i valori delle forze e l’aria di riferimento e possibile calcolare i
coefficienti aerodinamici e l’efficienza aerodinamica come segue:
Per gli alettoni si ha CD=0.384, CL=-1.226 da cui si ottiene un efficienza aerodinamica
del valore di
1.226
𝐸𝑓𝑓 = = 3.193
0.384
(6.4)
che rientra nel range di valori che ci si aspettava di ottenere (2.5÷3.5). Nel caso di DRS
aperto, diminuisce la resistenza aerodinamica (quindi diminuisce anche il valore di CD)
ma allo stesso tempo diminuisce anche la deportanza generata, pertanto nel prossimo
capitolo valuteremo se ci sarà un aumento di efficienza o una diminuzione (in teoria il
valore di 𝐸𝑓𝑓 dovrebbe rimanere molto simile a quello ottenuto in questo caso).
Per l’intera vettura si ha invece CD-TOT=0.768 e CL-TOT=-0.543 da cui si ottiene
un’efficienza di penetrazione aerodinamica totale pari a
0.543
𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 = = 0.707
0.768
(6.5)
Anche quest’ultimo rientra nel range (0.7÷1.1). Con il DRS attivato questo valore
dovrebbe teoricamente diminuire, ma valgono ancora le considerazioni precedenti.
Osserviamo adesso alcune immagini relative al campo di pressione, di velocità e
dell’intensità turbolenta valutate sul piano di simmetria della vettura, per farne alcune
considerazioni. Nelle seguenti due immagini possiamo vedere il campo delle pressioni
81
Figura 51 – Campo elle pressioni sul piano di simmetria.
82
Figura 54 – Campo di velocità in simmetria.
Dalla figura 53 è possibile osservare come tutta la vettura sia blu, il che conferma la
condizione di aderenza per cui la velocità a parete è nulla. Dall’immagine in simmetria
invece possiamo vedere come il flusso segua perfettamente la deviazione imposta
dall’alettone posteriore, in particolare sul ventre dell’ala vi è un accelerazione di flusso
(tendente al rosso, in accordo con un decremento di pressione), mentre sul dorso una
decelerazione (anche essa in accordo con un incremento di pressione). La parte
posteriore dell’auto ci permette di osservare un’ampia zona in cui il campo di velocità è
blu, e a mano a mano che ci si allontana, tende al verde (ovvero condizione di flusso
indisturbato alla velocità di 250 km/h); questa è la zona sfruttata dalle auto in coda per
diminuire la resistenza dell’aria e incrementare la velocità in fase di sorpasso (effetto
scia), e può estendersi anche oltre i 15 metri. È possibile osservare la separazione del
flusso in corrispondenza della parte superiore del corpo vettura (zona azzurra prima
dell’alettone posteriore), e sulla parte terminale del corpo vettura, dove il flusso
proveniente dal fondo vettura, e quello proveniente dalla parte superiore della
monoposto, si congiungono con gradienti di velocità diversi. Possiamo infine osservare
le immagini relative al campo dell’intensità turbolenta. La stessa aumenta in
corrispondenza della scia, del flusso a valle dell’alettone anteriore, del flusso a valle
degli pneumatici, all’ingresso del fondo vettura e in corrispondenza della parte
superiore del corpo della monoposto, lì dove si era fatta notare la separazione nel campo
di velocità. Tutti questi dati confermano la validità dei calcoli condotti e la coerenza dei
risultati ottenuti. Nei prossimi paragrafi saranno valutati i risultati ottenuti con le altre
funzioni di parete, e saranno confrontati (attraverso immagini equivalenti a quelle già
83
mostrate) con i valori sopracitati.
84
analizzato (in cui saranno esposti i risultati delle Enhanced Wall Treatment) pertanto
non verranno ripetute.
Gli istogrammi delle forze lungo x e lungo z per il caso in esame sono i seguenti:
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
1000,000
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
Confrontando i grafici sopra con quelli precedente trovati per le Standard Wall
Functions, si può chiaramente vedere come le differenze tra le forze calcolate siano
85
minime. La forza resistente totale vale FD-TOT =2742.823 N (contro FD-TOT =2930.935 N
del caso precedente), mentre la resistenza sui soli alettoni vale FD =962.474 N (contro
FD=1018.515 N del caso precedente). Per la forza deportante avremo FL-TOT=-
21941.029 N (nel caso precedente si aveva un valore di FL-TOT = -2072.577 N) mentre
quella generata dai soli alettoni vale FL = -3191.878 N (contro il valore di FL = -
3255.180 N ottenuto nella precedente simulazione). I coefficienti aerodinamici totali e
la rispettiva efficienza di penetrazione aerodinamica valgono CD-TOT=0.719, CL-TOT=-
0.508
0.508 e𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 = 0.719 = 0.707. Per i soli alettoni invece avremo CD=0.363, CL=-1.202
1.202
da cui si ottiene un efficienza aerodinamica del valore di 𝐸𝑓𝑓 = 0.363 = 3.311. Si può
osservare come, in generale, tutte le forze siano lievemente diminuite rispetto al caso
precedente e come anche i coefficienti aerodinamici siano diminuiti (l’efficienza
aerodinamica totale è rimasta pressoché identica a differenza di quella dei soli alettoni
che invece è lievemente aumentata). Questo è imputabile alla natura delle Non
Equilibrium Wall Functions che a differenza delle Standard Wall Functions
contemplano il caso di flusso separato a parete, dunque avremo che inevitabilmente le
forze a parete in alcuni punti saranno minori per via della separazione stessa. Ci si
aspetta un risultato simile alle Standard per la prossima simulazione con le funzioni
Enhanced Wall Treatment.
Andiamo adesso a visionare il campo della pressione, della velocità e dell’intensità
turbolenta sulla vettura.
86
Figura 60 – Campo di pressione sulla simmetria.
87
Come è possibile valutare dalle immagini, non si riscontrano grandi variazioni dei
campi di velocità e di pressione, se non un più evidenziato decremento della pressione
all’imbocco del fondo vettura, comunque di scarsa importanza (in base ai coefficienti di
Equivalentemente alle due esposizioni precedenti, vediamo gli istogrammi delle forze
per le funzioni di parete Enhanced Wall Treatment. In questo caso si ottiene un valore
delle forze molto simile a quello delle Standard Wall Functions, e solo in alcuni punti
88
più basso. Questi valori sono del tutto simili a quelli ottenuti con le Standard Wall
Functions per via della natura delle stesse funzioni Enhanced, che verrà spiegata nel
800,000
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
Figura 64 – Istogramma delle forze lungo x per la simulazione con Enhanced Wall Treatment.
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
capitolo successivo.
La forza totale in direzione x risulta essere FD-TOT =2938.888 N, quella resistente sui
soli alettoni FD = 1020.231 N, mentre la forza totale deportante equivale a FL-TOT = -
89
2067.564 N e quella deportante sulle sole superfici alari FL = -3246.749 N. Dai dati
appena riportati si possono calcolare i coefficienti di resistenza e di deportanza e
l’efficienza aerodinamica, che hanno i seguenti valori: CD-TOT=0.770, CL-TOT= -0.542,
0.542 1.223
𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 = 0.770 = 0.704 per l’intera vettura; CD=0.384, CL= -1.223, 𝐸𝑓𝑓 = 0.384 =
3.185 per i soli alettoni. Anche in questo caso vediamo i campi di pressione, velocità e
di intensità turbolenta.
90
Figura 68 – Campo di velocità sulla vettura, in cui si può notare in simmetria l’effetto scia prolungato per
quasi 15 metri.
Come si può vedere dal confronto con le immagini precedenti, anche in questo caso le
differenze sono minime.
91
6.4 FORZE AERODINAMICHE CON DRS ATTIVO E STANDARD
WALL FUNCTIONS
Esattamente come la trattazione fatta nel caso precedente, qui verranno analizzate le
forze resistenti e deportanti sulla monoposto finora analizzata, ma nel caso di DRS
attivo. Anche qui verranno utilizzate le funzioni di parete Standard, Non Equilibrium ed
Enhanced. Ovviamente ci si aspetta una riduzione della resistenza sulla vettura, potendo
l’aria fluire attraverso il vano alare ottenuto aprendo l’alettone mobile posteriore, ma
equivalentemente ci sarà una riduzione del forza deportante, non essendo più l’alettone
posteriore configurato per generare massimo carico aerodinamico. Vedremo dunque in
dettaglio quali sono le differenze più accentuate rispetto al caso precedente e quali sono
gli effetti sui coefficienti aerodinamici e sull’efficienza aerodinamica. La simulazione è
stata anche in questo caso condotta su una mesh (inizialmente composta da poco più di
32 milioni di celle tetraedriche, poi convertita in mesh poliedrica su FLUENT) di
4416316 celle poligonali, 29664064 facce e 25588553 nodi. Anche in questo caso si è
verificata la validità delle Standard Wall Functions basandosi sui valori della y+ (che si
ricorda devono essere compresi tra 30 e 300), e si è ugualmente raggiunta una buona
tolleranza per la maggior parte della vettura, come è possibile osservare dall’immagine
seguente.
A differenza della simulazione con DRS disattivato, sono state necessarie molte più
iterazioni (circa 15 mila per ogni caso), affinché si raggiungesse un valore dei residui
accettabile (ovvero compresi tra 10-4 e 10-7).
92
L’istogrammi delle forze lungo x e lungo z, rispettivamente resistenti e deportanti, sono
i seguenti:
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
Dagli istogrammi è evidente una netta diminuzione della resistenza totale e della
deportanza totale rispetto al caso standard della vettura con DRS disattivato. Infatti in
questo caso si ha un valore di resistenza agente sui soli alettoni di FD = 826.720 N
93
contro il valore di FD = 1018.515 N della configurazione con DRS disattivato, quindi un
recupero di 191.795 N tutti imputabili all’alettone posteriore mobile. Mentre prima la
resistenza dell’aria sull’ala posteriore risultava essere pari a FD = 493.82 N, adesso la
stessa risulta essere pari a FD = 291.18 N. Ovviamente questo influenzerà anche la
resistenza totale della vettura (FD-TOT = 2660.636 N), e avremo i seguenti valori dei
coefficienti aerodinamici: CD-TOT=0.697, CD=0.311. Sui Drag Coefficient c’è stato un
abbassamento dei valori, come atteso, ma non molto rilevante.
Anche la deportanza generata subisce delle variazioni nella nuova configurazione con
DRS attivo, infatti essa risulterà minore di quella calcolata precedentemente. Possiamo
leggere dai grafici per i soli alettoni che FL = -2565.730 N mentre prima risultava FL = -
3255.18 N, vi è dunque una differenza di 689.45 N. I Lift Coefficient per l’intera vettura
e per i soli alettoni sono rispettivamente CL-TOT= -0.374 e CL= -0.966. In questo caso la
differenza è molto più rilevante, infatti la perdita di carico è percentualmente maggiore
della perdita di resistenza, questo è uno dei principali motivi per cui il DRS si sfrutta
solo su rettilinei, infatti la monoposto non avrebbe sufficiente aderenza (per via dello
scarso livello di deportanza) per poter affrontare una curva ad elevate velocità con
l’alettone mobile posteriore aperto. Infine possiamo calcolare l’efficienza aerodinamica
(sulla sola superficie alare) e l’efficienza di penetrazione aerodinamica (su tutta la
vettura):
0.966 0.374
𝐸𝑓𝑓 = 0.311 = 3.106 e 𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 = 0.697 = 0.537
(6.6)
94
fenomeno è conosciuto in ambito aerodinamico come stallo. In realtà nella F1 è
improprio parlare di stallo, il fenomeno verrà chiarito meglio nell’ultimo capitolo.
Il campo delle pressioni è mostrato nelle seguenti due immagini:
Per il 90% della vettura la pressione statica è rimasta la stessa, è interessante invece
vedere come ci sia stata una netta diminuzione della zona verde sull’alettone posteriore
(maggiore zona verde corrisponde a maggiore deportanza) dovuta alla nuova
configurazione che esso ha assunto, e una comunque rilevante zona rossa (zona di alta
pressione), tipica di un lieve stallo aerodinamico (lieve perché si è appurato dai calcoli
che, seppur di poco, la resistenza aerodinamica è diminuita). Nel campo delle velocità è
invece possibile osservare gli effetti sulla scia, e sulla decelerazione e accelerazione del
flusso in prossimità dell’alettone mobile posteriore.
95
La zona che gode dell’effetto scia si è visibilmente abbassata (il maggior efflusso d’aria
che penetra attraverso la vettura, avvantaggia in maniera minore le monoposto che
seguono in questa configurazione)
Infine il campo dell’intensità turbolenta mette in evidenza tutte quelle zone vorticose
dovute a punti di stallo e di ristagno della velocità, che sono aumentati rispetto alla
configurazione con DRS disattivato.
96
6.5 FORZE AERODINAMICHE CON DRS ATTIVO E NON
EQUILIBRIUM WALL FUNCTIONS
I valori delle forze resistenti e delle forze deportanti nella simulazione condotta
utilizzando le funzioni di parete Non Equilibrium sono raccolte nei seguenti istogrammi:
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
97
Come ci si aspettava, c’è stato un decremento delle forze agenti, proprio come accadeva
nel caso Non Equilibrium con DRS disattivato. I coefficienti aerodinamici calcolati
sono: CD=0.297, CD-TOT=0.667, CL= -0.976, CL-TOT = -0.367. Da questi ultimi
otteniamo le seguenti efficienze aerodinamiche delle superfici alari e dell’intera vettura:
0.976 0.367
𝐸𝑓𝑓 = 0.297 = 3.286 e 𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 = 0.667 = 0.550
(6.7)
98
Figura 82 – Velocità in simmetria.
99
6.6 FORZE AERODINAMICHE CON DRS ATTIVO E ENHANCED
WALL TREATMENT
In questo caso i valori delle forze ottenute si avvicinano molto ai valori ottenuti con le
Standard Wall Functions esattamente per gli stessi motivi spiegati in precedenza e che
saranno chiariti nel prossimo capitolo. Esse sono diagrammate nei seguenti istogrammi.
700,000
600,000
500,000
400,000
300,000
200,000
100,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
500,000
0,000
Alettone Alettone Bracci Bracci Casco Corpo Ruote Ruote
Anteriore Posteriore Anteriori Posteriori Vettura Anteriori Posteriori
-500,000
-1000,000
-1500,000
-2000,000
100
La resistenza totale che viene fuori dalla seguente simulazione è pari a FD-TOT=2661.403
N (di cui 827.599 N sulle sole superfici alari). Nella configurazione con DRS disattivato
si avevano 2938.888 N di resistenza totale, quindi una differenza di 277.485 N (tutti
recuperati dall’alettone mobile posteriore). I coefficienti di resistenza totale e delle
superfici alari valgono rispettivamente CD-TOT=0.697 e CD=0.312. La deportanza totale
generata sarà ovviamente minore e vale FL-TOT = -1426.212 (quella generata dalle
superfici alari anteriore e posteriore vale -2560.489 N). Dunque la perdita totale di
carico aerodinamico rispetto alla configurazione con alettone mobile posteriore chiuso,
confrontato nel caso Enhanced (in cui FL-TOT = -2067.564 N), è di -641.352 N. Da questi
valori si ottengono CL-TOT= -0.374, CL= -0.964 e le efficienze aerodinamiche 𝐸𝑓𝑓𝑇𝑂𝑇 =
0.374 0.964
= 0.537 e 𝐸𝑓𝑓 = = 3.090.
0.697 0.312
La forza totale in direzione x risulta essere FD-TOT =2938.888 N, quella resistente sui
soli alettoni FD = 1020.231 N, mentre la forza totale deportante equivale a FL-TOT = -
2067.564 N e quella deportante sulle sole superfici alari FL = -3246.749 N. Dai dati
appena riportati si possono calcolare i coefficienti di resistenza e di deportanza e
101
Figura 80 – Campo delle velocità sulla simmetria.
102
6.7 TABELLE RIASSUNTIVE DELLE FORZE E DEI COEFFICIENTI
AERODINAMICI
Nel seguente paragrafo saranno raggruppate in tabelle tutte le forze e i diversi
coefficienti ed efficienze aerodinamiche ottenuti nei precedenti casi confrontati, per
ogni parte della vettura. Le forze indicate sono già somma della componente di
pressione e della componente viscosa.
103
FORZE DEPORTANTI LUNGO LA DIREZIONE Z (N)
104
COEFFIECIENTI ED EFFICIENZE AERODINAMICHE
Tabella 5 – Drag Coefficient, Lift Coefficient e Aerodinamic Efficiency per tutti i casi analizzati.
105
CAPITOLO 7
Terminati i confronti tra le due configurazioni della vettura, con DRS disattivato e DRS
attivo, è bene definire le caratteristiche tra le funzioni di parete utilizzate, per capire
meglio le differenze tra i diversi campi di pressione, velocità e intensità turbolenta
mostrati. Il modello delle Standard Wall Functions è stato ampiamente trattato nei
precedenti capitoli, pertanto in questo si tratteranno in modo particolare il Non
Equilibrium Wall Functions e l’Enhanced Wall Treatment. Vengono utilizzate diverse
funzioni di parete perché, quando il flusso in prossimità della parete si presenta separato
(per via di forti gradienti di pressione), le funzioni standard di parete non restituiscono
risultati attendibili, pertanto si utilizzano le Non Equlibrium Wall Functions. Esse si
basano sulle seguenti leggi: Legge logaritmica di Launder e Spalding’s; Concetto a
due strati per il calcolo dell’energia cinetica turbolenta nelle celle in prossimità della
parete. Dunque lo strato limite viene diviso in due strati (uno dominato dagli effetti
viscosi e l’altro in regine completamente turbolento) ed il calcolo delle grandezze
turbolente avviene attraverso il seguente sistema di equazioni
2𝜈𝑘
, 𝑦 < 𝑦𝑣
𝑦 2 𝑦2
0, 𝑦 < 𝑦𝑣 ( ) 𝑘𝑃 , 𝑦 < 𝑦𝑣 3
𝜏𝑇 = { 𝑘 = { 𝑦𝑣 𝜀= 𝑘2
𝜏𝑤 , 𝑦 > 𝑦𝑣
𝑘𝑝 , 𝑦 > 𝑦𝑣 3 , 𝑦 > 𝑦𝑣
−
{𝑘𝐶𝜇 𝑦
4
(7. 1)
(7. 2)
Le Enhanced Wall Treatment sono invece una combinazione tra il metodo near wall
modeling e il modello a due strati del Non Equilibrium. Per poter essere utilizzato, è
necessario che la mesh in prossimità della parete sia molto fitta con un valore di y +=1
106
per la prima cella a parete. Il limite di separazione tra la zona viscosa e la zona
completamente turbolenta è definito da un valore del numero di Reynolds Turbolento
pari a Rey=Rey*=200, dove il numero di Reynolds Turbolento è dato dalla seguente
espressione
𝜌𝑦√𝑘
𝑅𝑒𝑦 =
𝜇
(7. 3)
𝑦 è la distanza presa ortogonalmente alla parete fino al centro cella. Nello strato
viscoso, per Re y<Rey*, cioè quello più vicino alla parete, viene utilizzato un modello di
turbolenza ad un’equazione chiamato Modello di Wolfstein, mentre nello strato
completamente turbolento, per Rey>Rey*, viene utilizzato il modello k-ε standard.
In base a quanto detto nel precedente capitolo, e alla funzionalità delle varie Wall
Functions appena spiegato, viene più chiara la lettura e la comprensione delle immagini
precedenti per quanto riguarda i campi delle proprietà analizzati. Si può vedere in
generale come i punti di ristagno e le zone turbolente nel caso di Enhanced Wall
Functions siano leggermente maggiori e più accentuate nelle zone più lontane da parete,
per via della particolare natura di queste funzioni. Le Non Equilibrium Wall Functions
permettono invece di descrivere meglio i flussi turbolenti, in questo caso la separazione
dello strato limite avviene prima delle Standard Wall Functions, e questo distacco da
parete diminuisce le forze resistenti agenti sulla vettura (motivo per cui in tutte le
simulazioni condotte con le Non Equilibrium Wall Functions le forze sono minori).
Ultima considerazione importante da fare è sul valore delle forze ottenute con le
Enhanced Wall Functions, infatti queste sono simili (quasi identiche) a quelle ottenute
con le Standard Wall Functions. Il motivo è anche esso semplice, infatti come detto le
Enhanced richiedono che la prima cella a parete abbia un valore di y+=1, e in questo
lavoro di tesi non si è utilizzata una mesh che soddisfi questi valori per motivazioni
precedentemente esplicate, pertanto le prime celle a parete ricadono già nello strato
turbolento e vengono risolte con le equazioni k-ε standard, il che rende queste
simulazioni del tutto simili a quelle condotte con le Standard Wall Functions (per via
dell’impossibilita di utilizzare il modello di Wolfstein nello strato viscoso). Per
maggiore chiarezza di quanto espresso in questo capitolo, si riportano i campi di
107
pressione e intensità turbolenta delle simulazioni condotte con i tre diversi tipi di
funzioni di parete, nella configurazione con DRS disattivato e DRS attivo.
Figura 83 – Campo di pressione Standard Wall Functions della vettura con DRS disattivato.
Figura 84 – Campo di pressione Non Equilibrium Wall Functions della vettura con DRS disattivato.
Figura 85 – Campo di pressione Enhanced Wall Treatment della vettura con DRS disattivato.
108
Figura 86 – Campo dell’intensità turbolenta Standard Wall Functions della vettura con DRS disattivato.
Figura 87 – Campo dell’intensità turbolenta Non Equilibrium Wall Functions della vettura con DRS
disattivato.
Figura 88 – Campo dell’intensità turbolenta Enhanced Wall Treatment della vettura con DRS disattivato.
109
Figura 89 – Campo di pressione Standard Wall Functions della vettura con DRS attivo.
Figura 90 – Campo di pressione Non Equilibrium Wall Functions della vettura con DRS attivo.
Figura 91 – Campo di pressione Enhanced Wall Treatment della vettura con DRS attivo.
110
Figura 92 – Campo dell’intensità turbolenta Standard Wall Functions della vettura con DRS attivo.
Figura 93 – Campo dell’intensità turbolenta Non Equilibrium Wall Functions della vettura con DRS attivo.
Figura 94 – Campo dell’intensità turbolenta Enhanced Wall Treatment della vettura con DRS attivo.
111
successivi. In condizioni di flusso stazionario coincidono con le streaklines, ovvero il
luogo dei punti occupato in un certo istante da tutte le particelle fluide che in un istante
precedente siano transitate per una certa posizione. La rappresentazione delle pathlines
è utile per visualizzare l’andamento tridimensionale dei flussi sul modello.
Risulta essere chiara la natura vorticosa del flusso a valle della monoposto nelle due
configurazioni.
112
CAPITOLO 8
CONCLUSIONI
Le analisi condotte in questo lavoro di tesi hanno mostrato l’importanza dello studio del
flusso intorno ad una vettura di F1. Esso si è prestato come un lavoro comparativo che
definisse in maniera computazionale le differenze tra una vettura con configurazione
normale (quindi con sistema DRS Drag Reduction System disattivato) e una
configurazione a carico ridotto che però presentasse minor resistenza aerodinamica
(ovvero con DRS completamente aperto). I risultati attesi sono stati soddisfatti dalle
varie simulazioni condotte, infatti si sono ottenuti dei coefficienti aerodinamici
compresi nei range riportati in letteratura (riferendosi alle tabelle di capitolo 6, è
possibile vedere come con DRS attivo i coefficienti e l’efficienza diminuiscano
sensibilmente). Inoltre si è condotto il confronto utilizzando 3 diverse funzioni di parete
che hanno permesso di osservare come le equazioni che governano le stesse,
restituiscano dei risultati differenti. Le simulazioni condotte lasciano pensare, vista la
struttura della mesh utilizzata e la natura del flusso impattante, che le Non Equilibrium
Wall Functions restituiscano i valori più accurati. Per quanto questo lavoro di tesi abbia
soddisfatto tutti i risultati attesi, è chiaro che questo corrisponda a un lavoro
semplificato e comparativo. Infatti i fenomeni descritti (per quanto corretti nel loro
grado di approssimazione) sono influenzati da molti altri parametri che non sono stati
presi in considerazione. La stessa semplificazione geometrica del modello risulta essere,
in un ramo progettuale complesso e spinto come la Formula 1, un fattore non da
sottovalutare. I flussi d’aria sulle superfici, infatti, vengono studiati nel dettaglio e
sfruttando non solo simulazioni computazionali (che per quanto articolate, possono dare
solo un idea del comportamento della vettura, ma come ogni simulazione digitale
devono essere attestate da prove sperimentali). Inoltre bisogna considerare che le
superfici alari che impattano con il flusso d’aria non sono rigide ma tendono a flettersi e
ad assumere configurazioni che variano la forza agente sulle stesse, la deportanza
generata e pertanto anche il CD, il CL e l’Aerodynamic Efficiency. Lo studio del flusso
attraverso una vettura di F1 non si ferma qui, infatti bisogna considerare anche le forze
laterali, il rollio e il beccheggio che intervengono sulla vettura, quando essa percorre ad
elevata velocità una curva. Dunque è chiaro come la progettazione aerodinamica di una
113
monoposto sia tutt’altro che banale. Si vuole concludere questo lavoro di tesi
approfondendo soltanto uno dei fenomeni che può influire significativamente sulle
prestazioni aerodinamiche della vettura, e che è in parte possibile osservare nelle
simulazioni condotte, ovvero lo Stallo Aerodinamico. Lo Stallo è un fenomeno che si
presenta con una riduzione repentina del coefficiente di portanza (nel nostro caso di
deportanza) per via di un aumento eccessivo dell’angolo d’attacco dell’ala o per via
dell’incontro di due flussi con gradienti di pressione molto differenti su un profilo alare.
In pratica il flusso che passa nella parte inferiore dell’ala (ventre o estradosso, cioè con
curvatura verso l’esterno) subisce un’accelerazione e una diminuzione di pressione
(come sappiamo dal teorema di Bernoulli), il contrario accade con il flusso presente nel
dorso dell’ala (chiamato anche intradosso, cioè con curvatura verso l’interno). In realtà
quest’accelerazione e decelerazione del flusso avviene soltanto in prossimità del bordo
d’attacco (zona in cui il fluido impatta, chiamata anche Leading Edge), mentre nel
bordo di uscita (Trailing Edge) il flusso si deve uniformare nuovamente per adattarsi
alla maggiore pressione generatasi sul dorso dell’ala. L’incontro tra due gradienti di
pressione molto differenti genera un distacco dello strato limite con zone turbolente che
riducono drasticamente la deportanza generata e aumentano la resistenza
all’avanzamento. Il fenomeno è tanto più accentuato quanto più lo strato limite
dell’estradosso è inspessito per via del gradiente di pressione negativo, che si ottiene
cercando di aumentare la deportanza accelerando eccessivamente il flusso sotto
l’alettone. In pratica cercando di eccedere con l’angolo di attacco, per ottenere un
profilo che generi elevata deportanza, si giunge ad un punto critico (angolo di attacco
critico) che genera stallo aerodinamico, con conseguente decadimento della deportanza
e aumento della resistenza. In realtà nella F1 è improprio parlare di stallo aerodinamico
(questo è un problema per lo più aeronautico), perché i profili aerodinamici sono fissi e
con angoli d’attacco ben lontani da quello critico. Però è possibile sfruttare il fenomeno
dello stallo andando a generare lo stesso solo nella parte finale del profilo alare. Nella
F1 vengono utilizzati alettoni con 2 profili, così da ottenere efficienze aerodinamiche
maggiori. Il profilo principale è a bassa incidenza, mentre il profilo secondario (che
corrisponde all’alettone mobile DRS) ha un incidenza elevata. Nel profilo principale la
componente di deportanza (Lift che per definizione è la componente ortogonale alla
retta congiungente il bordo d’attacco e il bordo di uscita) è quasi allineata alla direzione
114
del Downforce (che è la forza ortogonale al piano vettura), mentre nel profilo
secondario la deportanza generata ha una direzione tale che se scomposta nelle direzioni
ortogonale e parallela al profilo alare, in parte genera drag (resistenza all’avanzamento,
con direzione parallela al piano vettura, nella figura è parallela al profilo alare
secondario), e in parte downforce che però contribuisce alla resistenza all’avanzamento
e viene chiamata resistenza indotta (dalla deportanza). Risulta utile dunque portare in
stallo il profilo secondario, in modo da diminuire la portanza ma anche la resistenza
indotta, questo perché la componente del drag (che aumenterebbe per definizione di
stallo), contribuirebbe solo in parte alla resistenza totale all’avanzamento. Questo
fenomeno che viene utilizzato per migliorare complessivamente la resistenza
all’avanzamento viene chiamato Stallo Parziale.
Figura 97 – Componenti dello stallo parziale su un alettone a doppio profilo. Le componenti viola sul secondo
profilo sono quelle del lift prima dello stallo, le componenti bianche sono quelle del lift dopo lo stallo. Il
downforce (resistenza indotta) dopo lo stallo è quasi la metà di quello prima dello stallo.
115
Nelle nostre simulazione si può osservare in parte il fenomeno dello stallo parziale,
nella configurazione con DRS disattivato. Infatti, nonostante si sia utilizzato un alettone
a singolo profilo, la coda dell’ala presenta una curvatura tale da permettere il distacco
del flusso sull’estradosso e la formazione di vortici che annullano la velocità (punti di
ristagno) e riducono la deportanza.
Lo stallo parziale permette di ottenere dei un efficienza aerodinamica dei profili alari di
valori superiori a 𝐸𝑓𝑓 = 5 (nella nostra analisi il range atteso era di 2.5÷3.5). L’utilizzo
di sistemi complessi di deviazione del flusso (come i sistemi F-duct o Doppio DRS) che
permettono di prelevare aria a pressioni elevate, e trasportarle in condotti nel corpo
vettura, in zone di estradosso delle superfici alari (anche anteriori), dove regna una
pressione minore, permette di generare stallo parziale che aumenta l’efficienza
aerodinamica totale. Queste ultime considerazioni con cui chiudo il seguente lavoro di
tesi, fanno capire come l’analisi fatta, per quanto precisa nel contesto analizzato, è ben
lontana dalla descrizione effettiva delle resistenze e delle forze agenti su una vettura di
F1, che oltre ad analisi numeriche richiede necessariamente analisi di tipo sperimentale.
116
BIBLIOGRAFIA
2: L. Dal Monte – Umberto Zapelloni, “La Rossa e le Altre - Storia dei campionati del
mondo di F1 dal 1950 al 2000”, Baldini & Castoldi, 2000.
4: ANSYS ICEM CFD Manual. Release 14.5, ANSYS, Inc. October, 2012.
117