Sei sulla pagina 1di 22

Architettura di Palladio.

Patrimonio Unesco (Video)

Andrea Palladio (Andrea di Pietro della Gondola) padovano di nascita (1508) ma vicentino d'adozione, è il più grande architetto
veneto e uno dei maggiori artisti del Cinquecento.
La sua architettura è originale perchè, nonostante sia rispettosa delle regole degli ordini canonici, inventa criteri e soluzioni per
combinare forme ed elementi dell'architettura classica a moderne esigenze di funzionalità .
Crea edifici articolati, dinamici, ricchi di effetti pittorici, in perfetta sintonia con la tradizione veneta, cercando di utilizzare materiali
locali, poveri e rielaborarli sino ad ottenere soluzioni visive pregiatissime. Il suo insegnamento è pieno di conseguenze, perchè, oltre
a diventare un punto di riferimento per l'architettura del suo tempo, darà l'avvio ad una corrente artistica detta "palladianesimo" che
nascerà molto più tardi e che si diffonderà in tutto il mondo tra Settecento e Ottocento.
Nell'opera di Palladio si colgono valori espressivi che sono collegati alle sue vicende umane. Un lungo e faticoso apprendistato
giovanile (inizierà come tagliapietre) gli ha permesso di sviluppare quell'intelligenza pratica con cui ha saputo affrontare e risolvere
ogni questione tecnica e concreta, ma da quella dura esperienza deriva anche la cura scrupolosa e la coscienza del proprio lavoro.
A partire dal 1537 realizza la prima costruzione importante Villa Godi Malinverni e con questo edificio incomincia a manifestarsi il suo
stile e il suo successo, decretato dalla produzione di nuove soluzione di abitazioni private, eleganti e funzionali, disseminate nella
campagna veneta. Inoltre, tra i suoi interventi più significativi, la sistemazione del Palazzo della Ragione di Vicenza, che
diventerà la Basilica Palladiana e il teatro dell'Accademia sempre nella stessa città; Palladio impone il suo stile anche a Venezia,
dove realizza principalmente edifici religiosi. Tra i più noti, la Chiesa del Redentore (1577), grande tempio dedicato al Redentore
invocato per liberare la città dalla peste, (immagine sotto) e la chiesa di San Giorgio Maggiore. Andrea Palladio muore a Maser il
19 agosto 1580. Lascia un cospicuo patrimonio di opere e un trattato teorico, tra i più importanti dell’intera cultura artistica I quattro
libri dell’architettura .
Il Palazzo della Ragione, conosciuto come Basilica Palladiana, è stato inserito dal 1994 nella lista dei beni Patrimonio
dell’Umanità UNESCO, ed è il simbolo della città di Vicenza. Cuore pulsante dell’attività politica ed economica vicentina, in epoca
medievale il Palazzo si presentava come un edificio gotico, caratterizzato da un enorme salone al piano superiore e al piano terra
un attivo gruppo di botteghe. In seguito al crollo delle logge quattrocentesche, nel XVI secolo il Consiglio della città si trovò a
discutere sulla ristrutturazione dell’edificio: vennero coinvolti i grandi nomi dell’architettura del tempo, da Giulio Romano a
Sebastiano Serlio, da Jacopo Sansovino a Michele Sanmicheli. Nonostante nomi tanto illustri, nel marzo del 1546 il Consiglio
approvò il progetto di Andrea Palladio che propose una struttura “elastica”, in grado di tener conto dei necessari
allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente palazzo quattrocentesco (riprendendo la lezione dell’Alberti). Il
sistema si basava sull’utilizzo della cosiddetta serliana, una struttura composta da un arco affiancato da colonne binate e
aperture di larghezza variabile , in grado di rispettare le differenze di ampiezza delle campate inglobate. Per la carriera di
Palladio il progetto delle logge della Basilica costituì un punto di svolta definitivo, divenne ufficialmente l’architetto della città di
Vicenza, autore di una fabbrica grandiosa senza eguali nel Cinquecento veneto.
Le ville
Strettamente collegate alla trasformazione economica in atto, nel Cinquecento veneto, le ville sono richieste da una patriziato
sempre più incline a consolidare il proprio potere economico con le rendite fondiarie. Si rese quindi necessaria la costruzione, al
centro di tali proprietà, di edifici moderni, che potessero fondere insieme la residenza patrizia e gli ambienti di servizio della
fattoria contadina. La tipologia della villa rinascimentale, fortificata e compatta, non era più rispondente a queste nuove esigenze.
La villa, solitamente destinata agli svaghi e agli studi, doveva svolgere anche una funzione pratica, di controllo dell'attività
agricola. Palladio sperimenta soluzioni nuove proprio partendo da queste esigenze funzionali e inventa un originale tipo di villa
che avrà un successo enorme, perchè rappresenta il modello di riferimento della villa moderna.
Nonostante siano tutte diverse, sono sempre formate da un nucleo centrale di forma semplice, da cui si articolano le altre parti
della costruzione. La zona residenziale, corredata di appartamenti affrescati dai principali pittori dell'epoca, è situata al centro
dell'edificio Gli ambienti destinati alla servitù e quelli di servizio si sviluppano attorno al nucleo, mentre magazzini, ambienti di
lavoro e annessi si aprono nelle barchesse, di solito come "ali" verso la campagna. Anche la disposizione degli ingressi e delle
finestre segue un criterio di funzionalità, le aperture sono orientate in modo da permettere il controllo dei lavori in campagna
anche dalla villa e rendere agevoli entrate e uscite di persone, animali e merci raccolte.
Sempre per motivi pratici Palladio usa materiali semplici e poco costosi: mattoni, legno, stucco, intonaco.

Villa Godi Malinverni


situata a Lonedo di Lugo di
Vicenza. è la prima
documentata con sicurezza,
in quanto riportata dallo
stesso architetto nel suo
trattato I quattro libri
dell'architettura (1570). La
progettazione dell'edificio,
commissionato dai fratelli
Gerolamo, Pietro e
Marcantonio Godi, iniziò nel
1537 per concludersi nel
1542, con modifiche
successive sull'ingresso e
sui giardini sul retro.
Villa Barbaro (Villa di Maser), 1554-
1560

La Villa Barbaro, costruita per i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro, due politici veneziani, amici di Palladio, sarebbe dovuta
servire sia da villa che da podere.
Dopo la fine della Repubblica di Venezia, la villa cambiò più volte proprietà ed infine andò in rovina. Solo nel corso del XIX secolo fu
nuovamente restaurata; nel 1934 fu acquisita da Giuseppe Volpi di Misurata, il quale l'affidò alle cure della figlia Marina, che vi si
stabilì e continuò negli anni l'opera di restauro.
Palladio si ispirò alle forme degli antichi templi classici per disegnarne la facciata, aggettante rispetto l'intera struttura; i materiali,
non sono particolarmente pregiati, mattoni calce e intonaco sono lavorati in modo da ottenere però un risultato apparentemente di
tutto pregio. Gli edifici laterali, con lunghi porticati e barchesse, finiscono con delle colombaie e servivano come alloggi per i
dipendenti e come ripostigli per attrezzi agricoli. Il portico, benché progettato seguendo le proporzioni degli antichi monumenti
dell'epoca romana, ha una funzione strettamente legata alla vita quotidiana della Villa: protegge dalle intemperie e permette di
passare rapidamente da un lato all'altro della Villa, ma è soprattutto uno spazio di grande respiro per i lavori di campagna. Le
colombaie ospitavano i piccioni viaggiatori che fungevano da rapido mezzo di comunicazione. Su queste giganteggiano due
meridiane: quella a ovest segna l'ora e l'inizio delle stagioni, quella a est è un calendario zodiacale e indica mensilmente la data
d'ingresso del Sole nel corrispondente segno dello Zodiaco. Dai porticati si accede attraverso due doppie scalinate direttamente al
piano nobile, riservato alla famiglia e agli ospiti. La decorazione scultorea esterna è essenziale e motivata: lungo il viale d'accesso,
statue con divinità dell'Olimpo danno una sensazione di benvenuto. Sul timpano campeggia lo stemma dei Barbaro al centro di
un'allegoria che rappresenta la pace e l'armonia, ispiratrici della costruzione dell'edificio.
All’interno della villa Paolo Veronese (1528-88) realizza quello che è Epoca neroniana esempio di quarto stile, “stile
dell’illusionismo prospettico”, Museo archeologico di Napoli.
considerato uno dei più straordinari e originali cicli di affreschi del
Cinquecento veneto. In questi ambienti l’opera del Veronese dialoga
con l'architettura attraverso una raffigurazione di elementi
architettonici resi a trompe l'oeil . Vengono rappresentate rovine
antiche, figure allegoriche inserite in nicchie e suonatrici di diversi
strumenti musicali. Altro motivo ricorrente è quello delle finte porte
create per armonizzare e "moltiplicare" lo spazio architettonico, da cui
si affacciano personaggi diversi. Questa soluzione decorativa, ha
precedenti illustri nella pittura romana, che Veronese evidentemente
conosce e dal quale prende ispirazione.

Paolo Veronese, Villa


Barbaro, Bambina
affacciata alla finta
porta , Porta
semiaperta con
paggio, Ritratto di
Paolo Veronese nelle
vesti di un cacciatore
Oltre i personaggi che spuntano da finte porte, Veronese con la stessa tecnica crea una serie di figure ed episodi di vita reale: la
moglie di Marcantonio Barbaro, Giustiniana Giustiniani, vestita con un raffinato abito di broccato bianco ed azzurro impreziosito
d’oro ed argento, si affaccia da una loggia con accanto l’anziana nutrice ed un piccolo cane posto proprio sopra la balaustra dove le
due donne poggiano le mani con un effetto naturalistico impressionante. Questa decorazione, uno scorcio prospettico suggestivo
dal basso della sala principale all'alto, rimanda subito alla Camera degli Sposi di Mantegna.
Dal fondo della succesione di stanze appare un gentiluomo di rientro dalla caccia con i cani. E' l'autoritratto di Paolo Veronese
Villa Almerico Capra, detta La Rotonda. 1570, Vicenza

Tratto dai Quattro libri sull'architettura di Andrea


Forse mai l'arte architettonica ha raggiunto un tal grado di magnificenza” (J. W. Palladio, schema planimetrico (un cerchio iscritto in
Goethe, dopo una visita alla Rotonda nel September del 1786) un quadrato e poi in una croce greca).

Nel 1565 il canonico e conte Paolo Almerico, ritiratosi dalla curia romana, decise di tornare alla sua città natale Vicenza e farsi
realizzare una residenza di campagna. Iniziata nel 1567 da Andrea Palladio, la Rotonda è così chiamata per il suo originale
schema planimetrico, formato da un cerchio iscritto in un quadrato e poi in una croce greca. I quattro bracci della croce
corrispondono a quattro ingressi monumentali. Al centro della villa c'è un grande salone rotondo coperto a cupola. Tutto è
ordinato su una simmetria e con pieno rispetto per le proporzioni classiche, ma il risultato è molto originale. Con libertà
interpretativa, Palladio crea una struttura di grande effetto scenografico, perfettamente inserita nell'ambiente naturale. La
struttura è edificata su di un piccolo promontorio, in posizione panoramica, proprio come un tempio su un'acropoli e si allunga
verso l’esterno grazie ai quattro pronai sorretti da colonne ioniche. Anche gli acroteri sopra il frontone riprendono la tradizione
dei templi greci.
Con l'uso della cupola, applicata per la prima volta a un edificio
ad uso abitativo, Palladio affrontò il tema della pianta centrale,
riservata fino a quel momento all'architettura religiosa. Malgrado
vi fossero già stati alcuni esempi di un edificio residenziale a
pianta centrale (la casa del Mantegna a Mantova o la sua
illusionistica "Camera degli Sposi" in Palazzo Ducale, sino al
progetto di Raffaello per villa Madama) la Rotonda resta un
unicum nell'architettura di ogni tempo. Infatti il luogo più notevole
dello spazio interno è senza dubbio la sala centrale circolare,
dotata di balconate, che si sviluppa a tutt'altezza fino alla cupola.
Il soffitto semisferico è decorato da affreschi di Alessandro
Maganza dove vi sono allegorie legate alla vita religiosa e alle
Virtù teologali.
La Rotonda è stata modello di ispirazione per numerosi edifici soprattutto durante il neoclassicismo. Alcuni tra gli esempi più
importanti sono considerati:

● Villa Pisani detta la Rocca Pisana (Lonigo, Vicenza, 1575-1578), di Vincenzo Scamozzi
● Casa Bianca (Washington, 1792-1800) di James Hoban.
● Chiswick House (Londra, 1725), di Lord Burlington e William Kent; uno dei più celebri esempi di neopalladianesimo
britannico, creazione intensamente eclettica e personale di Lord Burlington.
● Monticello (Charlottesville, Virginia, 1768-1809), di Thomas Jefferson; la sola casa negli Stati Uniti d'America dichiarata
patrimonio dell'umanità dall'UNESCO;
● Mereworth Castle a Mereworth nel Kent, edificato nel 1723 da Colen Campbell su commissione di Lord Westmorland;
● Henbury Hall nel Cheshire, disegnata da Julian Bicknel;
● "House of Palestine", costruita fra il 1998 e il 2000 dal milionario palestinese Munib al-Masri sulla cima del monte Garizim,
presso la città di Nablus

Chiswick House (Londra, 1775) Monticello (Charlottesville, Virginia, 1768-1809), di Thomas


Jefferson
Il Teatro Olimpico di Vicenza

Questa architettura, oltre ad essere il teatro pubblico coperto più antico al mondo, rappresenta il vertice della creatività del Palladio.
La realizzazione, all'interno di un preesistente complesso medievale, è frutto della ristrutturazione di un precedente teatro,
commissionata nel 1580 dall’Accademia Olimpica, un'antica istituzione culturale di Vicenza, fondata nel 1555 da un gruppo di
intellettuali, tra i quali lo stesso architetto. La sua riprogettazione venne iniziata nello stesso anno, ma Palladio non ne vide la
realizzazione perchè morì proprio quell'anno; i lavori vennero diretti da Vincenzo Scamozzi, suo allievo, e l’inaugurazione avvenne
il 3 marzo 1585 con l’Edipo Re di Sofocle. L’interno simula l’ambientazione all’aperto dei teatri classici, come si vede dalla
decorazione del soffitto, e la grandiosa frons scenae, proscenio, d'ordine corinzio è ispirata allo schema degli archi trionfali romani a
tre fornici, dai quali si dipartono le scene lignee prospettiche realizzate dallo Scamozzi, probabilmente su disegno del Palladio;
l'effetto prospettico è sorprendente: le strade realizzate ci propongono una fantastica dicotomia, sembrano allungarsi per almeno un
centinaio di metri, in realtà si risolvono solamente in tre metri di profondità, grazie all’innalzamento del punto di fuga sullo sfondo.
Le scene realizzate in legno e stucco per un uso temporaneo, non furono tuttavia mai rimosse e, malgrado pericoli d'incendio e
bombardamenti bellici, si sono miracolosamente conservate fino ai giorni nostri, uniche della loro epoca. Il proscenio è suddiviso in
tre registri: quello inferiore si apre nell’arco trionfale centrale , la “porta regia”, e in due aperture laterali più piccole gli “hospitalia”,
destinati al passaggio del personale di medio rango, al seguito della corte; il secondo registro presenta nicchie con statue di
accademici della città, mentre quello superiore vanta una serie di metope raffiguranti le imprese di Ercole.
Completa la struttura una cavea semiellittica di tredici gradoni sormontata da un’esedra con colonnato.
Tra le caratteristiche di questo teatro vi è un'acustica eccezionale dovuta all'utilizzo di materiali, come il legno, che permettono un
perfetto ritorno del suono e della voce in platea. Con il teatro Olimpico si avvera il sogno, sino ad allora irrealizzato, di generazioni di
umanisti e architetti rinascimentali: erigere in forma stabile uno degli edifici simbolo della tradizione culturale classica. Il progetto
palladiano ricostruisce il teatro degli antichi con una precisione archeologica fondata sullo studio accurato del testo di Vitruvio e delle
rovine dei complessi teatrali . In ciò costituisce una sorta di testamento spirituale del grande architetto vicentino.
Durante il periodo della Controriforma, le attività del teatro vennero sospese e venne utilizzato come semplice luogo di
rappresentanza. Tuttavia verso la metà dell'Ottocento le rappresentazioni classiche ripresero, seppur in maniera saltuaria.
Bisognerà infatti attendere l’ultimo dopoguerra, per vedere il teatro tornare in piena attività . Nel corso del Novecento sono stati
compiuti alcuni interventi conservativi e di adeguamento impiantistico, per permettere un calendario fitto di eventi teatrali e musicali.
Il Teatro all’Antica o Teatro Olimpico, Sabbioneta

A Sabbioneta, tra il 1588 e il


1590, l’'architetto Vincenzo
Scamozzi, realizza questo
piccolo teatro (100 posti), su
commissione di Vespasiano
Gonzaga. Scamozzi si stabilì
nella cittadina mantovana, dopo
aver completato il Teatro
Olimpico del Palladio. Il teatro
scamozziano può considerarsi
uno tra i primi esempi di edifici
teatrali dell'età moderna, il primo
europeo di teatro stabile inserito
in un edificio appositamente
costruito.
La sua struttura elegante
richiama inevitabilmente quella
palladiana: la cavea è
sormontata da un peristilio
corinzio, decorato con statue di
divinità mitologiche. La sala
oggi è priva delle due importanti
strutture che la caratterizzavano
fortemente nel Cinquecento: la
copertura a finto cielo e
l’originale scena. Al posto
dell’odierno soffitto a cassettoni,
che incombe pesantemente
sull’aula, Scamozzi aveva ideato
infatti un tetto a carena di nave
rovesciata e una contro
soffittatura a botte ricoperta di
stucco, dipinta d’azzurro per
simulare il cielo.
La scena fissa rappresentava una piazza con una via in prospettiva lungo la quale si affacciavano palazzi nobili e borghesi ed
era realizzata in legno, in stucco ed in tele dipinte in finto marmo e finta pietra.
La scenografia, andata distrutta, è illustrata, in pianta e in sezione longitudinale, dall'originale schizzo dello Scamozzi,
conservato al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi . L'attuale scena è stata posta in opera nel 1996 ed è stata costruita a
partire dal punto di vista della scena scamozziana, rappresenta la città ideale di Sabbioneta, i suoi palazzi, le porte, il mausoleo
dei Gonzaga e il teatro stesso.

Progetto per il teatro di Sabbioneta di Scamozzi La scena


Il manierismo di Giulio Romano nel Palazzo Te

Giulio di Piero Pippi, detto Giulio Romano, allievo


di Raffaello, dopo la morte del maestro nel 1520,
rimase a Roma portando avanti la sua bottega,
ma già alla fine del 1521 Federico II Gonzaga
volle portarlo a Mantova e l' 8 dicembre 1521,
ad una settimana dalla morte di Leone X, scrisse
a Baldassarre Castiglione, suo ambasciatore
presso la corte pontificia, dandogli delle precise
direttive: “desideravamo haver ad star con noi
quelli dui garzoni di Raphael da Urbino (Pippi e
Raffaellino del Colle) che lavoravano così bene
… et vedeti di accordarvi seco che li trattaremo
bene”.
A Mantova mancava un pittore che potesse
sostenere il prestigio e la magnificenza della
corte; Andrea Mantegna era morto nel 1506 e
nessuno era riuscito a rimpiazzarlo degnamente.
Qualche anno dopo, a seguito di una lunga
negoziazione, il risultato fu ottenuto: Il 6 ottobre
1524 Baldassarre Castiglione intraprese il
cammino per Mantova e Giulio Romano era al
suo seguito.

Nel 1525 iniziano i lavori di Palazzo Te,


esempio superbo di “manierismo” in architettura.
Una villa suburbana, a ridosso della città,
dedicata all’ozio del marchese Federico II ed ai
fastosi ricevimenti degli ospiti più illustri. Il
sostantivo Te è toponimo, attestato sin dall’epoca
medioevale, nella forma latinizzata Teietum o in
quella troncata attualmente in uso. Teieto o Te
era una località di rustiche abitazioni posta a
meridione della città, allora situata su un’isola
collegata a Mantova dal ponte di Pusterla e
dunque poco lontana dalle mura.
Nell’immagine si vede Palazzo Te
separato da un canale dalla città (sulla
dx), da cui era collegato grazie al ponte
della Pusterla.
La mappa mostra nella parte sud
della città la presenza di due isole,
quella lunga e stretta, dove viene
costruito il Palazzo Te, e un’altra dietro
molto più estesa dove nella parte alta si
nota un grande labirinto di forma
quadrata che misurava circa 240 metri
per lato. L’area complessiva era di circa
60.000 metri quadrati, quasi due volte
la superficie di Palazzo Ducale. Si
trattava di un Irrgarten (labirinto di
siepi) ovvero un gioco cortigiano che, a
differenza del labirinto regolare,
presentava più vie d’uscita. Eseguito
dall’ing. mantovano Gabriele Bertazzolo
per Vincenzo I, il labirinto non compare
nei resoconti dei viaggiatori in visita alla
città nel Seicento e probabilmente fu
vittima dell’incuria e della decadenza
già dopo il sacco del 1630 (ad opera
delle truppe dei lanzichenecchi).

Gabriele Bertazzolo, Urbis Mantua Descriptio, incisione, 1626, Biblioteca


Teresiana di Mantova.
Pianta del palazzo Te
I) Vestibolo di Ingresso
II) Cortile d'onore
III) Pescherie
IV) Giardino dell'Esedra
V) Esedra
VI) Orangerie

1)Camera di Ovidio
2)Camera delle Imprese
3)Camera del Sole
4)Loggia delle Muse
5)Sala dei Cavalli
6)Sala di Psiche
7)Camera dei Venti
8)Camera delle Aquile
9)Loggia di Davide (immagine sotto con pescherie)
10)Sala degli Stucchi
11)Sala di Cesare
12)Sala dei Giganti
13)Camerini a Grottesche
14)Camere dell'ala meridionale
15)Appartamento della Grotta
La struttura del Palazzo Te, che ingloba una
preesistente scuderia dei Gonzaga, venne in realtà
conclusa in poco più di un anno, mentre molto più
tempo (ca. 10 anni) occupò la decorazione, ad opera di
Giulio Romano con ausilio di altri collaboratori. Giulio
Romano progetta le nuove strutture architettoniche,
disegna molti dettagli dell’apparato decorativo, ha
inoltre il compito di organizzare e sovrintendere il lavoro
di tutti coloro che operano nel cantiere, muratori,
tagliapietre, falegnami, pittori, stuccatori, doratori, ma
anche fornitori di mattoni, pietre e legnami.

Per il progetto sceglie un impianto spaziale ispirato a


quello delle antiche domus romane, da cui riprende il
disegno a pianta quadrata, con gli ambienti disposti
attorno ad un ampio cortile con logge che si aprono al
centro di ogni lato della costruzione (immagine in alto la
Loggia di Davide) a creare un diaframma, un elemento
di separazione leggero, tra la villa e l’ambiente naturale
che la circonda; un’idea che già era stata di Raffaello,
per il progetto, solo in parte realizzato, di Villa Madama
a Roma (immagine in basso) dove, del resto, Giulio
aveva collaborato come architetto; a Mantova però
sottolinea la natura suburbana della villa, con la scelta
di porre al pianterreno gli ambienti nobili e al piano
superiore le stanze di servizio, l’opposto, esattamente,
di quanto si usava per i palazzi di città.
Il giardino dell'esedra, costruita nel Settecento come
limite del parco, era un tempo abbellito da fiori e giochi
d'acqua. Tale legame tra arte e natura è sottolineato
dalla decorazione vegetale che caratterizza la Loggia di
Davide con motivi in stucco a girali e racemi, fregi
ricamati ad ovuli, palmette e perline. Decorazione che
richiama le tipiche grottesche delle domus romane.

Raffaello , Villa Madama a Roma, oggi sede di rappresentanza del Presidente


del Consiglio e del Ministero degli Esteri
Sebbene, come detto, la Villa-Palazzo dovesse essere
realizzata come luogo di svago e ozi per Federico , in
realtà fu soprattutto villa di rappresentanza, da esibire agli
ospiti illustri, come Carlo V d'Asburgo (che diede
l'onorificenza di Duca a Federico). Giulio Romano in pochi
anni, riuscì a costruire per il signore di Mantova un
giocattolo magnifico anche dal punto di vista
dell’architettura, perchè si concede delle licenze
costruttive, decisamente manieriste, contro il rigoroso
canone vitruviano; come ad esempio i quattro prospetti, che
solo apparentemente sembrano rispettare le rigide
imposizioni modulari, ma che in realtà risultano essere tutte
differenti
Per questo lo storico dell'arte Peter Murray lo considera un
perfetto esempio di “manierismo”:
“l’edificio nel suo complesso presenta numerosissime
sorprese e contraddizioni, chiaramente intenzionali,
destinate a far presa su un gusto estremamente
raffinato, poiché gran parte delle regole architettoniche
vengono deliberatamente infrante”.
L'abilità di Giulio Romano è stata anche quella di saper
combinare insieme in modo eccentrico, provocatorio e
inaspettato materiali poveri e preziose dorature,
elementi architettonici classici con soluzioni compositive
volutamente dissonanti, utilizzando in modo trasgressivo il
repertorio di soluzioni tecniche e formali della tradizione
classica per creare qualcosa di nuovo che l'Aretino definì
significativamente come "modernamente antico e
anticamente moderno".
Con poche eccezioni, utilizza materiali facilmente
reperibili nel territorio mantovano, serviti a fingere materie
più nobili e preziose.

I quattro prospetti interni di Palazzo Te


Cortile interno entrata principale

Così il palazzo, che appare interamente costruito con conci di pietra, ed elementi marmorei, in realtà è edificato in mattoni
intonacati a fingere un bugnato; le stesse colonne giganti doriche, apparentemente in marmo, sono realizzate con mattoni e
poi smussate e intonacate. Nel cortile interno propone, al centro di ogni intercolumnio, dei triglifi scivolati in basso al fine di
creare un forte effetto dinamico e sicuramente mirati a suscitare stupore; stimolare un effetto di movimento, di instabilità e
fragilità, come se l’edificio stesse per crollare: questi effetti giocosi, divertenti e terrorizzanti allo stesso tempo, percorrono tutta
la concezione del palazzo e si ritrovano anche in una delle sale affrescate più importanti (sicuramente la più celebre), quella
dei Giganti.
Per l'entrata principale ( ispirata architettonicamente all'atrium della domus romana descritta da Vitruvio), nelle colonne
dell'atrio e per le lesene esterne, viene utilizzata la tecnica di creare vera e finta pietra; una soluzione che fa da specchio al
rimando tra natura e artificio costantemente presente nella decorazione manierista, nelle ville come nei parchi e giardini.
Il complesso del palazzo comprende anche
un edificio con un giardino interno,
conosciuto come Appartamento del
Giardino Segreto o della grotta, che il
Marchese usava come piccola residenza
intima e privata con l'amante Isabella
Boschetti. L’appartamento venne edificato
verso il 1530 nell’angolo est vicino all’esedra
che conclude lo spazio della villa. Venne in
parte modificato da Vincenzo I alla fine del
Cinquecento. Si tratta di un appartamento
perfettamente affrescato e dal giardino si
accede alla Grotta, stanza insolita utilizzata
come bagno: l’apertura è realizzata come a
dare l’idea si tratti di un ambiente naturale, di
una caverna e gli interni erano decorati di
conchiglie (oggi scomparse) e giochi d’acqua,
scherzi d’acqua che dovevano sorprendere
il visitatore anche con inaspettati automatismi
nascosti. Infatti sono stati ritrovati resti di
tubature e valvole.
Una suggestione in perfetto stile manierista
che richiamava i ninfei delle ville romane.
Camera dei Giganti

"Erano i Giganti grandi di statura, che da' lampi de' fólgori percossi ruinavano a terra... "[G. Vasari]

L’ambiente, eseguito tra il 1532 e il 1535, narra la vicenda della Caduta dei Giganti, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. La
camera è la più famosa e spettacolare del palazzo, sia per il dinamismo e la potenza espressiva delle enormi e tumultuose
immagini, sia per l’audace ideazione pittorica, volta a negare i limiti architettonici dell’ambiente, in maniera tale che la pittura non
abbia vincoli spaziali. Giulio Romano infatti interviene per nascondere gli stacchi tra i piani orizzontale e verticali: smussa gli
angoli tra le pareti e realizza un pavimento, oggi perduto, costituito da un mosaico di ciottoli di fiume che prosegue, affrescato,
alla base delle pareti. Con questo artificio illusionistico, l’artista intende catapultare lo spettatore nel vivo dell’evento, per
produrre stupore e sensazione di straniamento.
La scena è fissata nel momento in cui dal cielo si scatena la vendetta divina nei confronti degli sciagurati giganti che, dalla piana
greca di Flegra, tentano l' assalto all’Olimpo, sovrapponendo al massiccio dell’Ossa il monte Pelio. Giove, rappresentato sulla
volta con in pugno i fulmini, abbandonato il trono, scende sulle nuvole sottostanti, chiama a sé l’assemblea degli immortali e,
assistito da Giunone, punisce i ribelli: alcuni dei giganti vengono travolti dal precipitare della montagna, altri sono investiti da
impetuosi corsi d’acqua, altri ancora vengono abbattutti dal crollo di un edificio. La scena, in origine, era resa ancora più
drammatica dal bagliore delle fiamme prodotte da un camino realizzato sulla parete tra le finestre.
Secondo alcuni storici la scelta di questo episodio evocherebbe la vittoria di Carlo V contro i protestanti o, in generale, Zeus
potrebbe rappresentare l’imperatore che governa su tutto e che non teme alcun nemico, i Giganti sarebbero gli avversari di
Carlo che non hanno alcuna possibilità di sconfiggerlo. Tutt’intorno, ad altezza uomo, corrono lungo la camera scritte graffite,
non eliminate nel corso dei restauri negli anni ottanta perché considerate documento storico; le prime iscrizioni dovrebbero
essere del XVI secolo, ma la maggior parte risalirebbero al Settecento, quando Palazzzo Te fu usato come caserma austriaca.
Sala dei Cavalli Destinato all'accoglienza degli ospiti e alle più
importanti cerimonie, l'ambiente, eseguito
probabilmente tra il 1526 e il 1528, prende il nome
dai ritratti dei destrieri dipinti con nobile
portamento a grandezza naturale nella parte
inferiore delle pareti affrescate.
Federico, come il padre Francesco II e i suoi avi, li
allevava nelle scuderie gonzaghesche e li curava
con massima cura, considerandoli l'omaggio più
alto che si potesse fare ad un amico o ad un
ospite illustre.
Due dei sei cavalli recano ancora in basso il
proprio nome: Morel Favorito, il cavallo grigio e
Dario, il destriero più chiaro della parete nord.
I cavalli, che spiccano sullo sfondo di paesaggi,
dominano una grandiosa architettura dipinta alle
pareti, ritmata da lesene corinzie e nicchie che
ospitano statue di divinità o, sopra le finestre, busti
di personaggi. La parte superiore della campata è
caratterizzata invece da finti bassorilievi di bronzo
che raccontano le fatiche di Ercole. Il fregio che
corre alla sommità delle pareti, all'angolo delle
quali sono ritratte quattro aquile gonzaghesche, è
popolato da puttini che si muovono tra girali
variopinti e mascheroni. Il soffitto, in legno dorato
su fondo blu, nei cassettoni racchiude rosoni ed
elementi iconografici più ricorrenti del palazzo: il
Ramarro, tanto da diventare un simbolo della
casata e il Monte Olimpo

Potrebbero piacerti anche