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DIMENSIONAMENTO FUSIBILI

PARTE 1
I fusibili sono dispositivi di protezione con caratteristica d'intervento a tempo inverso. In altre parole, il tempo di
intervento di un fusibile diminuisce se la sovracorrente che si sviluppa in un circuito guasto (o sovraccaricato) aumenta.

Parlando di sovracorrenti è necessario distinguere le stesse in due categorie: cortocircuito e sovraccarico. Il primo si
verifica quando due elementi attivi di un circuito vengono in contatto fra di loro in modo franco, cioè con una connessione
reciproca che presenta una bassissima resistenza. Il sovraccarico si ha quando un'utenza, spesso un motore, è chiamata a
compiere un lavoro straordinario per il quale necessiterebbe di una maggiore energia che in realtà non è in grado di
convertire. In quel

caso l'utenza assorbe più corrente di quella che i suoi componenti interni possono sopportare e generalmente, dopo qualche
tempo, si guasta.

Rispetto alla corrente assorbita nominalmente da un'utenza si parla di cortocircuito quando la corrente di guasto circolante
è pari almeno al doppio/triplo della corrente nominale (nella pratica spesso molto di più). Si intende per sovraccarico una
corrente superiore alla nominale di alcuni punti percentuali (anche decine di punti percentuali). Ad esempio: se in un
circuito con una nominale di 10 A misuro in condizioni di guasto 150 A, si tratta sicuramente di cortocircuito. Se rilevo
11,6 A si tratta di sovraccarico.

Nel caso degli impianti automobilistici, la corrente di guasto circolante in caso di cortocircuito equivale alla corrente che
circolerebbe congiungendo i poli negativo e positivo della batteria (non fatelo!) dedotte le perdite sui cavi e sulle
giunzioni.

La corrente di cortocircuito generata dalla batteria (nell'ordine di parecchie centinaia di ampere, sostanzialmente
equivalente alla corrente di spunto) aumenta in funzione della diminuzione della resistenza interna della batteria stessa.
La resistenza interna della batteria è generalmente tanto più bassa quanto più alta è la sua capacità. In ogni caso dipende
dalle caratteristiche costruttive degli elementi costituenti l'accumulatore. Tanto per capirci, a parità di capacità, una
batteria per avviamento ha generalmente una resistenza interna più bassa di quella di una batteria per l'alimentazione di
servizi in regime di scarica lenta.

Analizzando un qualunque circuito terminale di un impianto automotive e risalendo alla sorgente d'alimentazione, ovvero
la batteria, incontreremo un certo numero di elementi. Per esempio si potrebbe cominciare con la morsettiera del
portalampada di un proiettore, dopo seguirebbe qualche metro di cavo di piccola sezione, dopo incontreremmo un
connettore di servizio (necessario ad esempio per disassemblare gli elementi della carrozzeria), quindi nuovamente cavo
elettrico, dopo lo zoccolo di un relè, il relè stesso, di nuovo cavo, poi un fusibile di basso calibro, ancora cavo ma di
sezione più elevata, un fusibile di elevato calibro e, probabilmente, giungeremo finalmente alla batteria con un cavo di
grande sezione.

Questo insieme di conduttori e giunzioni introduce una resistenza, ovvero si oppone in certa misura al passaggio della
corrente elettrica generando perdite in calore. Attenzione anche al percorso di massa (polo negativo) anch'esso ha la sua
importanza e introduce una resistenza nel circuito.

La corrente di guasto, ovvero per convenzione la corrente che circola nei conduttori in caso di cortocircuito, è molto
elevata in prossimità della batteria ma diminuisce man mano che ci si "allontana" dalla stessa per effetto della resistenza
introdotta dagli elementi di cui sopra. Notare che qualunque elemento elettrico introduce una resistenza, seppur piccola.
Nel dimensionamento di un circuito si presta molta attenzione a mantenere tali resistenze il più basse possibile per evitare
inutili sprechi d'energia e cadute di tensione troppo elevate le quali potrebbero causare il malfunzionamento od il basso
rendimento di un'utenza. Al di là dei problemi di tensione, è anche necessario verificare che la corrente di guasto pres ente
in un circuito in caso di cortocircuito, sia sufficiente a provocare l'intervento dei dispositivi di protezione.

Come accennavo prima, i fusibili hanno una caratteristica di intervento inversa. Analizzando questo concetto da un altro
punto di vista, è lecito affermare che in caso di correnti di guasto molto basse il fusibile potrebbe non intervenire
tempestivamente e mantenere alimentata un'utenza in condizioni di guasto, spesso peggiorando le cose. Ecco perché nella
mia precedente mail affermavo che i fusibili sono poco idonei alla protezione contro i sovraccarichi.
La ragione di questo comportamento è da ricercare nella tecnologia costruttiva dei fusibili. Il fusibile è sostanzialmente
costituito da uno spezzone di conduttore calibrato in grado di sopportare permanentemente il passaggio di una certa
corrente. Se la corrente aumenta il fusibile si scalda poiché la sezione dello spezzone di conduttore calibrato non è in
grado di veicolare un flusso maggiore. Man mano che sale la temperatura si raggiunge il punto di rammollimento o di
fusione del metallo costituente il fusibile e lo stesso si interrompe disalimentando il circuito. L'interruzione può avvenire
per deformazione del metallo, il quale si distacca da uno dei due punti ancoraggio o per vera e propria distruzione dello
stesso.

Considerato che anche i fusibili introducono una resistenza elettrica e quindi generano calore, il costruttore cerca il miglior
compromesso fra bassa dissipazione termica ed un'elevata prestazione d'intervento. Ciò nonostante, è molto difficile
ottenere buone prestazioni per basse sovracorrenti. Una grande sovracorrente, ovvero un cortocircuito, genera un'elevata
sovratemperatura sul fusibile distruggendolo nel giro di qualche millisecondo. Un sovraccarico di bassa entità riscalda il
fusibile molto lentamente provocandone la distruzione anche dopo alcune ore.

Nella pratica mi è capitato di osservare un classico fusibile automotive da 10 A (rosso) attraversato da una corrente di
13,5-14 A. Lo stesso è intervenuto dopo più di un'ora dall'insorgere del sovraccarico. Se quella corrente fosse stata
richiesta da un motore elettrico sovraccaricato, lo stesso sarebbe passato a miglior vita ben prima di un'ora e il fusibile
sarebbe rimasto bello integro, magari un po' deformato ma ancora in grado di funzionare! Aggiungo che nel caso del
sovraccarico influisce molto la temperatura ambiente. Nel caso del cortocircuito è praticamente ininfluente.

Quanto sopra spiega per quale ragione io adotti un fusibile da 125 A per la protezione contro il sovraccarico del mio
WARN XD9000 in grado di assorbirne anche 350!

PARTE 2

La scelta di un fusibile per la protezione di un circuito elettrico deve essere adeguatamente ponderata. Vediamo quali
sono gli aspetti di cui bisogna tenere conto facendo un passo indietro.
Prima di parlare di protezioni ed ancor prima di considerare i conduttori è necessario valutare le caratteristiche del carico
che è necessario alimentare. Tralasciamo la tensione e la natura della corrente; questi parametri, nel caso delle nost re
Land Rover, presentano valori predefiniti: 12 V in corrente continua. È innanzitutto necessario verificare la potenza
dell'utenza da alimentare.

La potenza elettrica in un circuito in corrente continua è definita dalla semplice relazione P = U*I, dove P è la potenza
espressa in watt (W), U la tensione espressa in volt (V) e I la corrente espressa in ampere. In realtà a noi interessa
manipolare valori di corrente, pertanto, conoscendo la potenza assorbita da un'apparecchiatura si ricorre alla relazione I
= P/V.

Attenzione: la potenza di cui stiamo parlando non è la potenza resa da un'apparecchiatura (per esempio un motore od una
lampadina) ma la potenza assorbita dalla linea d'alimentazione. La potenza resa è sempre minore della potenza assorbita
in quanto entra in gioco un altro parametro: il rendimento dell'utenza. Il rendimento può essere espresso come coefficiente
o percentuale. Ai fini di questa minuscola trattazione ci basti sapere che si considera accettabile un rendimento compreso
tra 85 e 95%. La differenza necessaria per giungere il 100% è ovviamente persa in calore.

Una volta conosciuto il valore di corrente assorbita dalla nostra utenza si procede con il dimensionamento della conduttura
d'alimentazione. In altre parole, è necessario scegliere un cavo di sezione sufficiente a trasportare l'energia richiesta con
affidabilità, introducendo un valore di perdite minimo.
Nel caso degli impianti in corrente continua a bassa tensione è sempre meglio iniziare il dimensionamento valutando la
caduta di tensione introdotta dal conduttore (per gli impianti a tensione industriale l'approccio potrebbe essere differente).

La caduta di tensione si calcola utilizzando la solita legge di Ohm. Per applicare la nota relazione dobbiamo conoscere il
valore di resistenza del conduttore. Ponendo di utilizzare conduttori in rame (c'è qualcuno che si diletta con alluminio,
leghe di nichel o argento?!), il valore di resistività del simpatico metallo alla temperatura di 0°C è pari a 0,016
ohm*mm2/m e si indica con la lettera greca ro seguita da 0 che indica la temperatura di riferimento. Praticamente ro con
0 pedice.

Questo valore serve ancora a poco perché la nostra Land Rover deve essere in grado di operare con temperature ambiente
di almeno 45° e dobbiamo considerare anche il riscaldamento indotto dal motore (magari il cavo passa lì vicino), quindi
è meglio calcolare quale sia la resistività del rame ad una temperatura vicina alla realtà. Ipotizzerei t pari almeno a 60°C,
tanto per essere dalla parte della ragione.
Il coefficiente di temperatura del rame è pari a 0,0042 e si indica con alfa. La resistività ad una certa temperatura (indicata
con ro seguito da t pedice) si calcola con questa relazione: rot = ro0*[1+(alfa*t)]. Nel nostro esempio otteniamo rot =
0,016*[1+(0,0042*60)] = 0,020 ohm*mm2/m.
Ora disponiamo del coefficiente di resistività del rame a 60°C. La relazione per il calcolo della caduta di tensione è
semplice: deltaU = (rot*l*2*I)/s dove deltaU è la caduta di tensione, rot sapete già cos'è, l è la lunghezza espressa in m
della linea, 2 è un moltiplicatore che serve per calcolare l'effettiva lunghezza del circuito (misura di lunghezza del cavo
positivo + misura di lunghezza del cavo negativo, supponendo che seguano lo stesso percorso), I è la corrente assorbita
dall'utenza, s è la sezione espressa in millimetri quadrati del cavo.

Ci viene meglio "ribaltare" la formula per ottenere direttamente la sezione del cavo da utilizzare... in realtà è quello che
stiamo cercando! Quindi si ottiene: s = (rot*l*2*I)/deltaU. Mi chiederete: che valore deve avere deltaU? Se consideriamo
che la tensione di una batteria carica è pari a circa 13,6 V e quella di una batteria scarica è pari a 11,4 V, io riterrei che
sia cautelativo considerare di ottenere una caduta di tensione non superiore a 0,6 V. Si tratta di un 5% della tensione
nominale di batteria, cioè 12 V.

Facciamo un esempio pratico, in modo da ricapitolare quanto fin qui esposto. Devo installare un frigorifero sul mio D90.
Il frighetto assorbe 135 W a 12 V. Calcolo la corrente: I = P/V = 135/12 = 11,25 A. Scelgo il cavo imponendomi una
caduta di tensione di 0,6 V sapendo che la linea bipolare di collegamento fra frigo e batteria è lunga 3 m: s =
(rot*l*2*I)/deltaU = (0,020*3*2*11,25)/0,6 = 2,25 mm2. La sezione di 2,25 mm2 in commercio non esiste, perciò decido
di utilizzare comuni conduttori di sezione pari a 2,5 mm2.

Siccome sono pignolo, voglio vedere di quanto migliora la situazione c.d.t. utilizzando il cavo che sono riuscito a reperire
in commercio: deltaU = (rot*l*2*I)/s = (0,020*3*2*11,25)/2,5 = 0,54 V. Sessanta millivolt guadagnati sono meglio che
niente! Potrei anche decidere che il mio cavo non sarà mai esercito al di sopra dei 45°C e quindi potrei ricalcolare il rot...
lascio che vi divertiate un po' con i numeri!

Piccola parentesi: la relazione per calcolare la caduta di tensione è fondamentale per dimensionare correttamente la linea
di alimentazione di un verricello. Provate a calcolare la c.d.t. della linea originale Warn o Superwinch che è pari a circa
35 mm2 con un rot equivalente a soli 35°C. In realtà i costruttori di Winch usano linee piccole per proteggere i loro
motori:

grande resistenza = enorme caduta di tensione = limitazione dell'energia sul motore = salvezza del verricello in caso di
utilizzo inclemente!

PARTE 3
Per proteggere il cavo contro gli effetti delle sovracorrenti è possibile utilizzare un fusibile oppure un interruttore
automatico magnetotermico. Quest'ultimo dispositivo di protezione presenta il grande vantaggio di essere quasi sempre
ripristinabile dopo il suo intervento, senza che sia necessario sostituire alcuna parte. Al contrario, il fusibile si "sacrifica"
per proteggere il nostro impianto e dopo aver svolto il suo nobile lavoro dovrà necessariamente essere sostituito. Dal
momento che ci riferiamo principalmente agli impianti automobilistici, prenderò in considerazione solo il caso del
fusibile.

Aggiungo che i fusibili di cui stiamo parlando (i soliti a lama), oltre ad essere facilmente reperibili, sono anche molto
economici. Il loro costo, comprendendo anche il necessario portafusibili, non è paragonabile a quello di un interruttore
automatico.
Per eseguire il corretto dimensionamento di un fusibile ai fini di ottenere la protezione del cavo contro le sovracorrenti di
debole entità (sovraccarichi - più avanti parleremo anche del caso del cortocircuito) è necessario conoscere almeno due
variabili:

- la corrente d'impiego del circuito indicata con Ib;

- la portata di corrente massima del cavo utilizzato indicata con Iz.

Il valore Ib è già noto in quanto rappresenta la corrente assorbita dall'utenza che dobbiamo alimentare (abbiamo utilizzato
quel valore nel calcolo della caduta di tensione).
Iz corrisponde al valore massimo di corrente che può fluire all'interno di un cavo ad una certa temperatura ambiente ed
in determinate condizioni di posa.

Qualunque conduttore oppone una certa resistenza al passaggio della corrente dissipando una parte dell'energia fluente in
esso in calore (effetto Joule). È importante che la temperatura del conduttore non superi il valore massimo sopportabile
dal rivestimento isolante del conduttore stesso. Anche le condizioni di posa influiscono sulla temperatura di esercizio: un
conduttore teso in aria si raffredderà più efficacemente di un conduttore posato all'interno di un tubo. In un fascio di cavi,
il conduttore centrale si surriscalderà maggiormente rispetto ai conduttori periferici. Non da ultima, come al solito, la
temperatura ambiente influirà notevolmente sulla determinazione della portata Iz di un cavo.

In commercio esistono molti tipi di cavo, differenziati per lo più dalla natura dell'isolante: in PVC, in gomma a base di
neoprene, in gomma butilica, in gomma siliconica, in teflon, con isolamento a base minerale e via discorrendo. Il cavo
normalmente impiegato negli impianti automotive (e anche negli impianti elettrici civili) è quello con isolante in PVC. È
economico e facilmente reperibile. La maggiore pecca è legata al fatto che il suo isolante può sopportare una temperatura
massima di circa 70°C. Oltre tale limite l'isolante rammollisce deformandosi. Il deterioramento è spesso irreversibile e
rende il cavo pericoloso.

Chiarito il concetto di massima temperatura dell'isolante, occorrerebbe ora calcolare la portata di un conduttore
considerando la sovratemperatura raggiunta per effetto della sua resistenza deducendo la quantità di energia termica
ceduta all'ambiente quando lo stesso è attraversato da una certa corrente... interessante ma troppo complesso per questa
trattazione!

Nell'intento di rimanere pratici è meglio affidarsi a qualche tabella e ad una semplice relazione: Iz = Iz0 * k1 * k2 dove
Iz0 è la portata di un cavo alla temperatura ambiente di 30°C (generalmente per posa entro un tubo o guaina), k1 è il
coefficiente di riduzione per temperature maggiori di 30°C, k2 è il coefficiente di riduzione per cavi installati in fascio o
strati multipli.

Fornisco qualche valore utile per eseguire i calcoli (dati validi per cavi in PVC, desunti dalle tabelle CEI/UNEL).

SEZIONE [mm2] Iz0 [A]


1,5 17.5
2,5 24
4 32
6 41
10 57
16 76
25 101
35 125
50 151
70 192
95 232
120 269
150 309

TEMPARATURA [°C] Coefficiente K1


35 0.94
40 0.87
45 0.79
50 0.71
55 0.61
60 0.50
NUMERO CAVI Coefficiente K2
2 0.80
3 0.70
4 0.65
5 0.60
6 0.57
7 0.54
8 0.52
9 0.50

La verifica procede controllando innanzitutto che la portata massima del conduttore Iz sia maggiore o almeno uguale alla
corrente Ib assorbita dell'utenza. Quindi Iz > Ib.

Quindi si sceglie il fusibile adottando questa relazione: Ib < In < 0,9*Iz dove In è la corrente nominale del fusibile e 0,9
è un coefficiente che tiene conto della caratteristica d'intervento del fusibile che, come già detto, è mediocre nel caso delle
sovracorrenti di bassa entità e ottima nel caso delle sovracorrenti di elevata entità (cortocircuiti).

A questo punto è d'obbligo il solito esempio pratico che vale più di mille parole. Proviamo a dimensionare la linea
d'alimentazione ed il fusibile di protezione di un compressore d'aria che presenta le seguenti caratteristiche:

- tensione 12 V;

- potenza resa 650 W;

- rendimento 0,82 (si indica con la lettera greca eta).

Le condizioni di installazione sono le seguenti:

- lunghezza linea 2,3 m;

- temperatura ambiente 35°C.

Ci si impone di non superare una caduta di tensione pari al 2% della tensione nominale d'alimentazione ovvero 0,24 V.

Calcoliamo innanzitutto la corrente Ib assorbita dal compressore:

Ib = (P/eta)/Un = (650/0,82)/12 = 66 A

Ora calcoliamo il valore della resistività del nostro cavo di rame alla temperatura di 35 °C:

rot = 0,016*[1+(0,0042*35)] = 0,018 ohm*mm2/m.

Quindi dimensioniamo la linea di alimentazione con il metodo della verifica della caduta di tensione:

s = (rot*l*2*I)/deltaU = (0,018*2,3*2*66)/0,24 = 22,8 mm2

Il valore ottenuto viene arrotondato a 25 mm2, prima sezione commerciale disponibile.

Verifichiamo la portata Iz del cavo considerando che lo stesso è posato all'interno di una guaina dedicata e quindi, non
essendoci altri circuiti adiacenti, non è necessario includere il coefficiente k2 nel calcolo:

Iz = Iz0*k1 = 101*0,94 = 94,9 A

Osservate come la portata di corrente nominale del cavo subisca un declassamento del 10% per un aumento della
temperatura ambiente di 5°C.

A questo punto scegliamo un fusibile di protezione di corrente nominale In pari a 80 A. Si tratta del primo valore
commercialmente disponibile che presenti una corrente superiore a quella del nostro compressore (66 A). Vediamo se il
fusibile scelto protegge il cavo:

In < 0,9*Iz = 80 < (0,9*94,9) = 80 < 85,4 A

Il cavo sopporta 85,4 A a 35°C, quindi risulta protetto da un fusibile di In pari a 80 A.


E' appena il caso di farvi notare che se la temperatura ambiente fosse stata un poco più elevata si sarebbe dovuto adottare
un cavo da 35 mm2.

Il metodo di calcolo sopra indicato è quello "scolastico", semplificato e ridondante. In altre parole, un cavo dimensionato
e protetto in quel modo con buona probabilità sopravviverà alla stessa Land Rover! Sono i calcoli che si fanno quando si
dimensiona un cavo destinato ad un impianto che deve lavorare a pieno carico per 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno,
per almeno 25 anni (per il funzionamento intermittente si fanno altri ragionamenti). Insomma, se adottate questo metodo
avrete la certezza di essere dalla parte della ragione. In ogni caso l'irrisorio costo del cavo elettrico isolato in PVC non
giustifica la scelta di sezioni nominali insufficienti.

Un approccio tecnicamente corretto al problema della riduzione delle sezioni dei cavi - con vantaggi in termini di peso,
ingombro e migliore lavorabilità dei cavi stessi - è la scelta di conduttori isolati con materiali pregiati. Un cavo isolato in
gomma butilica sopporta temperature di esercizio quasi doppie rispetto al PVC. Un cavo isolato in gomma siliconica va
anche oltre. Se al silicone si aggiunge la fibra di vetro otteniamo cavi in grado di operare oltre i 200 °C. Attenzione però:
siamo sicuri che ciò che si trova intorno ai cavi sopporta tali temperature?!

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