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ATTORNO AL DIFFICULT HERITAGE: RIFLESSIONI STORICHE E

PROSPETTIVE ATTUALI A PARTIRE DAL SIRONI DELLA SAPIENZA

Censure, recuperi e riletture critiche dell’arte del Ventennio

Chair: Claudio Zambianchi

Simona Troilo (Università dell’Aquila): Il peso del passato. L'eredità monumentale fascista oggi

Eliana Billi (Sapienza Università di Roma): La censura antifascista nell’arte: note per una rilettura storica

Cecilia Bernardini (Restauratrice, laureata ICR): Dipinti murali del ventennio fascista. Rimozioni e accettazioni

Gabriella Prisco (Archeologa, già funzionaria dell’ICR): Amedeo Maiuri e l’archeologia del Ventennio, tra

agiografia e giudizio critico

Giovanni Ruocco (Sapienza Università di Roma): Muovere, rimuovere: gli usi ‘difficili’ del passato tra memoria e

storia

Monumenti controversi nello spazio pubblico

Chair: Lidia Piccioni (Sapienza Università di Roma)

Ascensión Hernández Martínez (Universidad de Saragoza): Le tracce del franchismo: un’eredità scomoda per gli

spagnoli

Giuliana Tomasella (Università di Padova): Una difficile convivenza: l’eredità del fascismo negli edifici e nelle

decorazioni dell’Università di Padova

Giulia Grechi (Accademia di Belle Arti di Brera): Monumenti al cadere. Ri-mediazioni, contestazioni e

contronarrazioni dello spazio pubblico

Francesca Gallo (Sapienza Università di Roma): Arte contemporanea e difficult heritage: qualche esempio

La mostra inaugurale si è tenuta nel 1985 e si è iniziato a fare un punto sulla situazione, il

restauro allora era una prospettiva possibile ma non certa.

Il peso del passato. L'eredità monumentale fascista oggi

Eredità del ventennio eredità composita, reperti della romanità reimpiegati durante il

Fascismo. Il difficult heritage fa la sua comparsa a tratti nella società contemporanea; varie

iniziative ad esempio “Luoghi della memoria fascista” ha ribadito la necessità di trattare


questo tema. La questione di cui ci occupiamo non può essere scissa da temi come

l’ipertrofia della memoria, la banalizzazione del passato, ecc. necessario avere uno

sguardo largo, consapevole dei molteplici risvolti che l’analisi può avere. Quale eredità i

materiali del Ventennio ci consegnano? Cos’è effettivamente l’heritage? Ha un’accazione

diversa di patrimonio, idea di trasmissione passiva, invece patrimonio trasmissione

consapevole. Il patrimonio ha contaminato l’heritage, il patrimonio crea legame tra oggetto

e chi lo ha in custodia, presuppone la conservazione dei resti del passato, conservare

significa selezionare ciò che è destinato a rimanere e ciò che è lasciato all’oblio, ha a che

fare con il passato e il futuro ma anche con il presente; la tutela è radicata nel presente

perché ne riflette i progetti e le aspettative, il presente fa parlare il patrimonio. La

patrimonializzazione non riguarda solo la materialità ma anche la narratività perché così

si promuovono narrazioni della storia. Materialità e narratività sono gli elementi

costitutivi del patrimonio ma anche, memoria, comunità. Il patrimonio può generare

questioni e polemiche quando genera contestazioni nella comunità che lo ospita e il

patrimonio diventa difficile da gestire. Heritage: patrimonio in cui è difficile identificarsi

ma con cui è necessario fare i conti. Complessità delle istanze che si celano in questi

processi. In che modo le comunità post-traumatiche: reazione al difficult heritage coincide

con il tentativo di neutralizzare i significati resi nel passato, significati depotenziati,

architetture di vario genere, ecc. abbandonati per depotenziarli. Di fianco alle forme di

riuso o conservazione acritica c’è un’altra forma di rapporto con le forme del passato:

cancellazione, gesto iconoclasta che nega la possibilità di redimere l’eredità avuta in sorte.

Entrambe le modalità esprimono modi di relazionarsi con questa eredità e i tempi che

rappresentano.

L’idea avuta nel 1944 di affrontare il tema della rimozione dei monumenti fascisti si risolse

in un nulla di fatto, si optò per un riuso diffuso, la necessità di non appesantire le casse

dello stato portò ad accantonare l’idea dell’abbattimento; spogliati degli emblemi fascisti

più evidenti. A partire dagli anni ’80 l’eredità architettonica del fascismo venne rivalutata

dal punto di vista estetico, il dato simbolico ed ideologico viene espunto dalla lettura dei
manufatti. Spazi patrimonializzati, accolti nella pratica di conoscenza, valorizzazione e

tutela del patrimonio nazionale.

Relazione con la memoria del Ventennio: il tergiversare e la negligenza con cui viene

accolta l’eredità del fascismo ci dice la difficoltà di rapportarsi con una storia difficile da

metabolizzare.

Il peso del passato ha un risvolto diverso.

La censura antifascista nell’arte: note per una rilettura storica

“La storia dell’arte non è una storia di cose ma una storia di giudizi di valore” (Argan)

La storia della censura è parte di questo assunto, è una storia di negazione di valore.

Intervento che vuole essere un resoconto delle ricerche su questo tema. Si parte dal caso

Sironi della Sapienza. Vicende della pittura murale raccontando casi emblematici di

censura, riflessione alle vicende della città universitaria.

Sironi: nel 1935 realizzato per rappresentare “la glorificazione dell’Italia fascista tra due

gruppi delle arti e delle scienze”, censurato nel 2944 e nel 1950 con la ridipintura che ne

alterò l’immagine originaria. Nel 1985 si tentò una prima strada per riportare l’originale

Mario Penelope si chiedeva perplesso “perché non fu chiamato Sironi a procedere al

restauro dell’affresco?”: rivela le contraddizioni della censura antifascista. Le ricerche sulle

opere censurate di Sironi mettono in evidenza che l’artista non ebbe ruolo nel processo di

censura delle opere se non per un dipinto dell’università Ca’ Foscari di Venezia. L’artista

non intervenne su nessuna opera, meno determinata furono invece altri artisti che

dovettero rivedere le loro opere (ad esempio Alessandro Pandolfi che dipinse un’opera

sulla Casa del Fascio di Gallarate, coperto con una bandiera italiana in attesa che il pittore

elimini simboli politici ed ecc. ma Pandolfi non apportò nessuna modifica e scialbò l’opera,

che ancora oggi è in questo stato). Altri artisti invece apportarono modifiche (A. G.

Santagata nella Casa Littoria Antonio Locatelli di Bergamo, studi grafici per una revisione

dell’opera testimoniano le modifiche). Diversa storia per Antonio Achilli: il fulcro della

composizione della sala del CNR era raffigurato il Duce che parlava al popolo, questa
parete nel 1947 venne ridipinta dallo stesso artista. Ancora un’operazione censoria fu

chiesta a Carlo Sbisà che dipinse nel palazzo delle assicurazioni Generali a Trieste un

affresco “La Legge e l’Industria”: venne chiamato dall’amministratore dello stabile che

chiese di cancellare il fascio dipinto, lui prima si rifiutò ma pressato dalle insistenze

cedette ma raccontava dell’imbarazzo nel cercare un simbolo che sostituisse il fascio e alla

fine lo sostituì con una testa di Giano bifronte, che sottolineava anche il voltafaccia del

committente dell’opera che poi gli chiese di cancellare. Studiare la censura antifascista

significa attraversare più decenni. Distruzione violenta dei simboli del regime, lo

strumento della rabbia fu simbolicamente il piccone che agì solo parzialmente e descrisse

il periodo come l’unico spazio per la damnatio memoriae. Gli strumenti censori divennero

altri: rimozione alla vista, scialbi o strati di intonaco, ritratto del duce di Corridonia ad

esempio e gli esempi potrebbero continuare, anche tende e bandiere divennero strumenti

di censura. Simon Martin ha messo in evidenza come gli alleati convissero con la

simbologia fascista durante la loro permanenza al Foro italico (dipinto di Montanarini,

l’apoteosi del fascismo). Le motivazioni della censura “misurata”: volontà di salvare le

opere alla base degli occultamenti ma anche impossibilità economica di far fronte alle

distruzioni e la continuità d’uso di edifici e questo comportò soluzioni differenziate, va

detto che un tentativo di razionalizzazione del processo fu fatto nel 1944. Ma il piano fu

traballante, mancò un piano finanziario di sostegno nazionale e fallì. Esempio di “fai da

te” municipale: Leopoldo Battistini, Madonna del Fascio (1927) asilo e oratorio di Santa

Rosa, Predappio ritoccata da una suora e quindi non venne distrutto dai partigiani.

Città universitaria: il progetto piacentiniano prevedeva la presenza di opere d’arte: dipinto

murale di Giorgio Quaroni realizzato per la Casa dello Studente che aveva ben poco di

fascista venne distrutto quando iniziarono i lavori nell’edificio; dipinto di Giulio Rosso

demolita la parte destra dell’opera. Ognuna delle storie andrebbe ricostruita passo- passo

come presupposto della conservazione del patrimonio, anche quello difficile da digerire.

Dipinti murali del ventennio fascista. Rimozioni e accettazioni

Mi sono persa
Muovere, rimuovere: gli usi ‘difficili’ del passato tra memoria e storia

Il lavoro dello storico è immaginato come fondato sugli eventi di cui si deve fornire una

interpretazione corretta e “scientifica”. Distinguere ciò che è necessario da ciò che è

residuale, la crisi di questa visione ha sancito la fine di quel regime di storicità lineare e

orientato al futuro e ha aperto un campo di materiale sconfinato. Cresciuti in una sorta di

presente permanente, una sorta di interruzione, perduta la linea di continuità col passato

si ricercano dei materiali cui appigliarsi. Questo non dovrebbe essere uno spazio di

giudizio ma uno spazio di approfondimento e di analisi, il mestiere dello storico non è di

giudicare ma di comprendere. Negli ultimi decenni molti storici lo hanno dimenticato,

demistificare le ideologie del passato ha portato a costruirne di nuove, se questo è il

percorso della storia qual è quello che ha compiuto invece la memoria? E cosa possiamo

intendere per memoria e memoria collettiva? Definizione articolata che evidenzia

problemi interpretativi. Memoria collettiva è un concetto per nulla chiaro: se la memoria è

l’atto individuale di ricordare quando riflettiamo sulla memoria come fatto collettivo

restiamo influenzati dalla memoria individuale come se quella collettiva fosse ciò che

collettivamente ricordiamo. La memoria collettiva è un prodotto culturale. Il prodotto

della memoria è sempre sospettabile nella sua affidabilità proprio a causa del processo

della sua formazione. I contenuti della memoria collettiva segnano oggi le identità.

Pomeriggio

Le tracce del franchismo: un’eredità scomoda per gli spagnoli

2 notizie di questa settimana: scoperta di una fossa con più di 150 civili eseguiti nei primi

giorni della guerra civile; notizia sul Valle de los Caidos che verrà definito da un concorso

internazionale. In Spagna non si è ancora risolto il problema dell’eredità della guerra e

della dittatura, ancora oggi i partiti politici soprattutto della destra mettono ancora in

questione la legge 52 del 26 dicembre 2007 (questa legge diceva che tutti i segni della

dittatura dovevano essere tolti dagli spazi pubblici della Spagna, ad esempio rimozione

della statua di Francisco Franco nel 2008 questo succede perché è ancora in una situazione

di revisionismo e lotta politica, ideologica anche nel campo accademico, ancora non sono
stati capaci di costruire una narrativa in cui siano state incluse anche le prospettive di chi

ha perso la guerra e non solo chi l’ha vinta). Non sono stati costruiti luoghi per l’accordo,

dove la Spagna posso riconoscere la storia e anche quella della dittatura, confrontarsi con

fatti controversi e problematici della storia d’Europa. Tuttavia qualche attuazione è stata

fatta: intervento nel Turò de la Rovira, recuperati e trasformati in una specie di parco

archeologico e dentro si è disegnato un luogo di interpretazione di questi bunker; un

secondo esempio è la situazione del paese Corbera d’ebre dove si è combattuta la batalla

del Ebro nel 1938 ed è stato distrutto e abbandonato, dimenticare anche la storia, ma il

governo li ha riconosciuti poi come BIC, bene di interesse culturale come luogo storico,

dentro questo paese la chiesa di San Pedro è stata restaurata 10 anni fa circa da un gruppo

di giovani architetti ma la situazione di rudere rimane come memento. La chiesa e la

struttura di questo paese si arricchisce con la costruzione di un centro di interpretazione

della battalla d’Ebre denominato 115 dias corbera d’ebre ed ha recuperato una ventina di

spazi storici, per non dimenticare questi spazi storici; in Aragona c’è una attività chiamata

“Amarga storia”. Cosa succede con i grandi monumenti della dittatura? Franco ha usato

tutti i mezzi e soprattutto l’architettura per fare pubblicità ed ingrandire la sua figura,

come dio, comandante della nazione. La situazione sotto la sua dittatura è stata dura, lui è

morto uccidendo, ha firmato condanne di morte e questo dimostra la durezza di questo

periodo. Famoso Valle de los Caidos, esempio maggiore del culto franchista dei caduti

fascisti per Dio e per la Spagna (megalomane, monumentale, mostra nel 1941 dove si

mostravano progetti di architettura tedesca e spagnola). Questo fa parte della

manifestazione della vittoria dei fascisti perché avevano una parte importante nella

costruzione di una nuova nazione sotto il segno della dittatura. In questo monumento

Franco voleva essere sepolto ma prima di questo è stato riempito con 3000 e più corpi di

soldati fascisti ma anche soldati repubblicani (è la più grande fossa comune di Spagna), è

una monumentale costruzione e dentro vi è sepolto il dittatore Franco. Nella legge 52 c’è

un articolo che specificava la necessità di depotenziare questo luogo e per fare ciò sarebbe

stato necessario riesumare i resti del dittatore. Quello che stupisce è che hanno aspettato 44

anni per traslare i resti del suo corpo da un’altra parte ed era un monumento controverso.
Il secondo monumento è l’Arco della Vittoria di Madrid, sorto nel punto dove si è

verificata una delle battaglie più mortifere della guerra, fa parte del paesaggio simbolico

dove si trova anche il ministero degli esteri, costruzione fatta dalla dittatura ed ha una

presenza all’interno della città davvero fortissima. Questo monumento continua con

questo culto al dittatore e si celebra tante volte durante la dittatura. Durante il presente il

monumento è un simbolo contrario ai simboli della democrazia che fanno ora parte della

cultura democratica spagnola e si può considerare un’offesa. È un luogo di polemica, dove

i fascisti attuali vanno e fanno dimostrazioni di potere. Il terzo esempio è sparito ed è il

carcere de Carabanchel, simbolo della dittatura perché era il principale carcere della

nazione dove si portavano i carcerati politici, questo luogo poteva essere conservato come

un luogo di memoria anche per ricostruire una parte della storia contemporanea. Ci sono

stati molti richiami per conservarla ma il comune di destra della città di Madrid ha deciso

in una notte di demolirlo ed è stata conservata solo una piccola parte dove oggi si portano

gli immigrati illegali e dove si sono prodotti incidenti perché è un luogo di pressione

anche per l’attualità. La maggior parte dell’edificio è stata usata per costruire palazzi ed è

una vittima della speculazione immobiliare. Peio Riano (riagno) si chiede perché il carcere

è stato demolito e l’arco rimane in piedi? Perché la scultura di Franco viene tolta e il Valle

de los Caidos rimane in piedi? Un’opera di arte concettuale di Barbara Kruger del 1989:

your body is a battleground si può cambiare anche in il territorio della spagna è un campo

di battaglia.

Una difficile convivenza: l’eredità del fascismo negli edifici e nelle decorazioni

dell’Università di Padova

Il protagonista di questa vicenda è il rettore Carlo Anti, dal 1932 al 1943. Grazie alla sua

iniziativa venne definito il rettore fascistissimo è riuscì ad avere un finanziamento di 35

milioni e fu una grande vittoria. Studio del rettore, all’interno del cantiere del 1933 a

Padova vennero commissionati edifici e decorazioni e venne previsto un rinnovo radicale

del Palazzo Bo (edificio principale dell’Università). Studio arredato da Gio Ponti che si

occupò anceh della decorazione e del design e lo studio si presenta ancora così eccetto i

ritratti del re e del duce. L’uni è una grande università in una città piccola l’ha definita
urbanisticamente (simbiosi tra città ed università). Il bando per la ristrutturazione del Bo è

vinto da Ettore Fagiuoli; nel corso degli anni ci sarà una successiva intrusione da parte di

Gio Ponti che ottenne dal rettore l’incarico di arredare e decorare il primo piano del Bo, a

tal punto sarà forte la sua presente da oscurare la persona di Fagiuoli. Ma è a lui che si

deve il cortile nuovo del Bo, marmoreo e magniloquente. Attilio Selva fu incaricato di

eseguire l’alto rilievo e la statua della Minerva, sull’altorielievo celebra gli studenti

combattenti e le date celebravano il Risorgimento, la grande guerra, la marcia su Roma e la

conquista dell’Etiopia (oggi queste scritte non ci sono più). Nel 1943 Anti diede le

dimissioni e gli subentrò Marchese. Padova dopo l’8 settembre guidò la resistenza nel

Veneto e il centro operativo era dentro l’università. Nel palazzo Bo troviamo 2 discorsi

contrastanti: scalone monumentale decorato da Ponti che porta al rettorato e la statua di

Arturo Martini di Palinuro, dedicata al partigiano Primo Visentin, detto Masaccio,

studente di arte e divenuto comandante della divisione “Monte Grappa” che cadde in

battaglia: discorso quindi contrastante. Al Liviano c’è una statua dedicata a Tito Livio

eseguita da Arturo Martini. Di fronte alla statua del partigiano è difficile rendere la

compresenza in fotografia, ma di fronte a lui c’è una stele che reca 116 nomi e costituisce la

motivazione della medaglia d’oro al valor militare data all’ateneo per meriti nella

resistenza e di questi ben 107 sono studenti. Un secondo intervento di maggiore impatto a

livello di reazioni si ha nel 1995: celebrazione dell’anniversario della Liberazione e in

occasione della celebrazione in cui intervengono le massime autorità si fa un convegno e ci

sono delle iniziative che si legano a questo anniversario. Nel cortile nuovo c’è

l’inaugurazione in ricordo di Concetto Marchesi, Egidio Meneghetti e Ezio Franceschini e

l’opera è di Kounellis. Come avvenne la scelta dell’opera di Kounellis? Venne istituita una

commissione di cui facevano parte numerosi professori e Ballarin propose non Kounellis

ma Cillida ma poiché questo era non disponibile venne sentito Kounellis che disse di sì e

gli venne dato l’incarico: lui successivamente invia una descrizione del progetto (ferro e

legno) e invia anche schizzi e bozzetti. Fa il riferimento alla cattedra di Galileo, che si trova

nella Sala dei Quaranta in Palazzo Bo. In una intervista che K. Rilasciò a Virginia Baradel

che gli chiese che impressione avesse avuto nel visitare il Bo: lui rispose che fu
impressionato dalla potenza evocativa della cattedra di Galileo, che è come un diapason.

Opera realizzata è nel cortile nuovo e le tre bandiere come lui le descrive nel suo progetto,

composizione di legno e ferro. Un testimone ha raccontato che al momento

dell’inaugurazione ci fu una sorta di implosione del corpo accademico, rettore compreso.

Le reazioni furono molto accese, e si può dire che prevalsero i detrattori dell’opera.

Pianezzola scrive che il cortile ha subito una ferita e per questo si chiede di restituire

dignità al cortile e di rimuovere quindi l’opera. Fase ’95: apoliticità, si è recuperata nel

gusto collettivo l’importanza di questa architettura e si è svuotata del significato che

aveva. L’opera di Kounellis va portata fuori dal cortile nuovo del Bo, si schierano

soprattutto i professori di giurisprudenza. Il preside di lettere Milanesi dice che deve

essere messa da un’altra parte. C’è chi auspicò una distruzione dell’opera ad opera dei

tarli, frasi sul fatto che un mucchio di legno fosse costata così tanto (vennero diffuse anche

notizie false sul costo). Tra le tante voci negative ci furono voci di professori, ad esempio

Weber di medicina, che scrissero a favore dell’opera. Fra coloro che difesero l’opera ci

furono commenti suggestivi, si parlò di muro della rimembranza, di un murale di legno

ferro e stoffa. Quello che colpisce di più in questi commenti è il fatto che nessuno tocchi la

questione di cui noi dibattiamo ovvero la funzionalità in una lettura critica del cortile

nuovo dell’opera di Kounellis.

Monumenti al cadere. Ri-mediazioni, contestazioni e contronarrazioni dello spazio

pubblico

Spostare la questione al modo in cui le pratiche di attivismo e di ricerca possano aiutarci a

focalizzare meglio questo argomento: il fatto che necessità che sia in primis l’accademia a

posizionarsi in maniera forte ed esplicita recuperando la funzione politica. Idea

dell’impossibilità di certi monumenti di cadere, questione della scomodità di alcuni

monumenti. I monumenti iniziano a cadere. Memoria traumatica: stragi mafiose,

monumento dedicato alla strage di Capaci, complicato anche vederlo perché essendo in

autostrada non c’è modo di fermarsi ed è un monumento molto invisibile. A Palermo è

nato una sorta di antimonumento che si trova nell’indirizzo dove Falcone viveva, sotto

casa c’è un albero dove le persone hanno iniziato a portare oggetti, foto, ecc. simboli di una
indignazione fortissima: differenza tra la freddezza del monumento tradizionale nel luogo

della morte e il calore e la passione di questo monumento spontaneo nato nel luogo della

vita.

Anche le statue muoiono? Cita il video del 1953 di Resnais, Marker e Cloquet: quando gli

uomini muoiono entrano nella storia; quando le statue muoiono entrano nell’arte. Questa

botanica della morte è quello che chiamiamo cultura. È che il popolo delle statue è

mortale. Un giorno i loro visi di pietra si decomporranno a loro volta. Una civiltà lascia

dietro di sé le sue tracce mutilate, come i sassolini di Pollicino (…).

Di chi è il patrimonio (foto della stele di Axum)? Il patrimonio è di chi appartiene e qui c’è

una ambiguità fondamentale: che sono oggi i cittadini? Oggi siamo all’interno di società

diasporiche e questo patrimonio non è più lo specchio della cittadinanza, si è creato un

patrimonio bugiardo.

La questione riguarda solo il passato? No, torniamo sulla logica del monumento come un

simbolo mnemonico, il monumento non riguarda il passato ma il futuro, la memorabilità,

quello che in futuro dovrà essere ricordato.

Di chi è lo spazio pubblico? Urgenza di una forma di giustizia nei confronti delle

popolazioni che hanno vissuto il colonialismo.

Di chi è la memoria? Avvenimento dell’intitolazione della fermata della metro C che

doveva chiamarsi Ambaradam a Giorgio Marincola, partigiano italo-somalo ucciso dai

nazifascisti nel 1945 in val di fiemme, dopo una petizione popolare lanciata dal giornalista

Massimiliano Coccia. Chiaramente il patrimonio è politico.

Il Foro italico, ex Foro Mussolini: “la struttura architettonica non rifletteva l’ordine sociale

ma lo formava” (da Marcello Barbanera, il corpo fascista, 2016). Luogo focalizzato sulla

questione dell’educazione del nuovo fascista e questo per il fascismo era un elemento

determinante. Lo spazio era de-sensualizzato e non favoriva l’intimità. Spazi inondati

dalla luce naturale, per creare lo stampo della virilità, enfasi sul corpo nudo per creare

l’educatore tipo che accettasse anche il compito come una missione di fede. Questo spazio

nel suo interno e nel suo esterno (i dormitori senza coperture per la luce) non era solo una
educazione nel senso di spiegare come doveva nascere l’uomo nuovo ma una

incorporazione del modello fascista. Questione fondamentale sulla quale si deve riflettere,

frontalità degli spazi in cui si fa didattica continua a perpetrare queste caratteristiche.

L’immobilità era una caratteristica, autorità disciplinante e sorvegliante del docente, la

statuaria del corpo immobile. Qui siamo nel momento della costruzione della

incorporazione: i corpi reagiscono il rituale collettivo; Paul Connerton racconta come si

costruisce il legame tra l’incorporazione fascista e la memoria collettiva. Sono i nostri corpi

che continuano a replicare dei modelli che sarebbero da contestare. L’amnesia culturale è

dimenticarsi di tutto questo portato.

Progetto per la casa del mutilato di Palermo, edificio di matrice fascista e coloniale oggetto

di una riscrittura da parte di un corso dell’università di Stoccolma. Ri-semantizzazione di

questo monumento, avviene attraverso una serie di progettualità che vanno ad agire sul

design.

Francesca Gallo (Sapienza Università di Roma): Arte contemporanea e difficult heritage:

qualche esempio

L’intervento di Kounellis nel Bo: dice la sua molto chiaramente, formalmente e

visivamente il suo intervento è molto efficace.

Da qualche tempo gli artisti si confrontano con tali emergenze in diverso modo; lavoro di

Bridget Baker, da tali documenti parte la videoproiezione che pone al centro le giovani

generazioni di eritree in Eritrea e in Italia (?). in generale intervenire nello spazio pubblico

sulla consistenza fisica del monumento è complesso: uno dei primi episodi riguarda Imola,

e l’infelice monumento ai caduti ad opera dell’architetto Milani e dello scultore Zanelli,

inaugurato nel 1928. I fasci littori vengono rimossi nel 1943 ma le prime richieste id

rimozione del monumento risalgono agli anni ’60 e ’70. La soprintendenza impone un

vincolo nel 2002, e l’obelisco viene rimontato nei pressi del cimitero nel 2011.

Risistemazione di piazza Matteotti dove emerge l’esigenza di mantenere una memoria di

tutti i caduti di tutte le guerre. Alfredo JAr, Studio Azzurro, ecc. sono convocati a

presentare dei progetti e ne vengono selezionati due ma l’ultima parola spetta ai cittadini e
la scelta è caduta su “Il segno della memoria” di Studio Azzurro, portato a compimento

nel 2013. Emersi racconti intorno alla Grande Guerra, testimoniati da cartoline, foto,

lettere, ecc. tali testimonianze sono valorizzate da Studio Azzurro in modalità attuate

soprattutto negli allestimenti museali. Ad Imola questi materiali sono raccolti nella

proiezione video sul pavimento in piazza, inoltre il segno della memoria era destinato alla

implementazione dei documenti aprendosi ad una autogestione della popolazione. Punti

di debolezza è che non si trova traccia di questa opera in piazza, benchè abbia sicuramente

delle svolte positive come la partecipazione della popolazione e una soluzione estetico-

formale lontana dalla monumentalità, a favore di una via anti-monumentale.

Arnold Holzknecht e Michele Bernardi, senza titolo, 2017, Bolzano. Intervento antitetico

rispetto al bassorilievo marmoreo. Si tratta di un esempio di come la conservazione critica

possa operare in contesti diversi e su progetti diversi. Accostarsi al monumento oggi

significa anche accostarsi alle sue esclusioni o inclusioni indesiderate. Anche Rodari nel

1959 suggerisce di perfezionare l’opera senza modificare una virgola (scritte al Foro

Italico), aggiornamento delle scritte al foro. Neppure per noi oggi può bastare una

didascalia, trovare il modo di confrontarsi con il simbolismo proprie del monumento e

della monumentalità.

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