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Era notte quando gli uomini bestia arrivarono.

La foresta aveva cercato di avvertirli, chiudendosi silenziosa attorno al buio, ma non l’avevano ascoltata. Era
trascorso molto tempo dall’ultimo pericolo, e si erano abituati alla pace così bene da considerarla normale. Per questo
su di loro piombò la guerra. Furono grida, sangue, terrore e morte. Neonati e guerrieri ugualmente smembrati, senza
esitazione né pietà. Le poche sentinelle uccise prima di riuscire a scoccare una freccia, prima di riuscire a distinguere
nel folto del bosco gli occhi rossi di brama e di follia. Gli alberi, adornati con i veli rossi e azzurri del Clan, dati alle
fiamme.

Girien si lanciò dal ramo come una furia e il suo urlo di rabbia fece indietreggiare gli assalitori più vicini. Li
guardò con occhi di morte e si preparò all’attacco, sicuro di sé come non mai. Fu allora che sentì quel dolore
lancinante lambirgli il fianco destro, giù fino all’anca, e il putrido lezzo della bestia che aveva alle spalle. Chino
sull’unica gamba che lo reggeva invocò Kurnous nei suoi pensieri, convinto che sarebbe stata l’ultima volta. L’ascia
del nemico si alzò sulla sua testa, il profilo spezzato della lama luccicante alla luce dei fuochi…

Girien si svegliò di soprassalto, e nuovamente la fitta al fianco lo colpì: nonostante le bende e gli unguenti la
ferita era maledettamente dolorosa. Il giovane Lord imprecò sottovoce contro il sogno, sempre lo stesso. Ormai
erano passati quattro giorni, quattro giorni di fuga nel folto di Loren, e ancora quel dannato sogno non voleva
saperne di sparire.

- Tutto bene, mio Signore? - chiese la familiare voce di Armaur dal ramo più alto.
- Sopravviverò, Armaur. La ferita non mi lascia dormire, ma credo di poter camminare oggi. Si è visto
nessuno?
- Nessuno, mio Signore. Hanno troppa paura per seguirci fin qui. Voi riposate ancora qualche minuto,
presto i Danzatori saranno di ritorno e potremo ripartire.

Incredibile. Non c’era altro modo di descrivere Armaur. Sembrava che fosse appollaiato su quel ramo a
godersi il vento del mattino, e non a fare da sentinella contro forze soverchianti. “Senza la sua spada non sarei qui”
pensò Girien chiudendo gli occhi e ricordando il momento in cui aveva sentito cadere a terra l’ascia ancora stretta
dalle due braccia pelose della bestia, recise di netto dal Campione delle Lame. I momenti successivi erano confusi
nella sua mente: Talmadir e Üendil che creavano un passaggio nella foresta, Armaur che lo sorreggeva e i Danzatori
che coprivano la ritirata.
…E l’intero Clan che bruciava rosso nella notte.

Si misero nuovamente in marcia. Era appena l’alba, e avanzavano silenziosi cercando un passaggio
nell’intricato sottobosco. I Cantamagia sceglievano il sentiero, tesi sotto i loro cappucci, poggiando ogni tanto la
mano su un ramo o su una foglia. Un osservatore disattento avrebbe detto che cercavano tracce, ma Girien sapeva:
era il loro modo per chiedere il permesso di passare. Non si erano mai addentrati tanto a Est nella Foresta, ed erano
spaventati.

Verso mezzogiorno guadarono un ruscello e si dissetarono, ma nessuno aveva voglia di parlare. I Danzatori
scomparirono nuovamente alla ricerca di cibo. Armaur affilava la propria lama. Talmadir, il Cantamagia anziano,
aveva il fiato grosso ma studiava con attenzione il terreno circostante. Üendil si avvicinò al Lord e gli medicò la ferita
con un sorriso stanco. Era sveglia da quasi cinque giorni, come tutti tranne lui.

Il giovane si sentì invaso dalla rabbia, ma era impotente. Tutti si prendevano cura di lui, mentre lui non
aveva mosso un dito per impedire il massacro.

- Maledizione! – sbottò d’improvviso. Si alzò ignorando il dolore e si forzò a fare un passo, nonostante le
bende fossero sporche di sangue. – Non posso sopportare tutto questo! Non abbiamo speranza qui, dobbiamo
tornare indietro e fargliela pagare. Dobbiamo ad ogni costo. Non starò un minuto di più nascosto in questa…
questa…
- Questa cosa, giovane elfo? – chiese una voce melodiosa da dietro un ramo (o era ‘nel’ ramo?) – cosa stavi
per aggiungere? Un’imprecazione? – Il ramo si deformò con studiata lentezza, fino ad assumere le sembianze elfiche
di una ragazza, intagliata nel legno. Il legno si deformò ancora e sorrise, scoprendo canini da predatore.

Rapido come il lampo Armaur era scattato, e la sua lama ora era poggiata esattamente al punto dove
avrebbe dovuto trovarsi la gola dell’essere. Girien si guardò attorno e capì in un lampo la situazione:
- Abbassa la spada, Armaur. Adesso.

Il tono non ammetteva repliche, e il Campione non avrebbe mai disobbedito al suo Lord. Indietreggiando,
capì il motivo di tanta sicurezza: alle proprie spalle, due alberi dalle vaghe sembianze femminili lo sovrastavano, con i
possenti artigli di corteccia pronti a lacerarlo al primo errore. Sembravano ridere sommessi di lui, una cosa che in
pochi avevano osato fare.

- Sono spiriti della Foresta, mio Signore – spiegò Talmadir a Girien mentre avanzavano sempre più a Est
scortati dalle Driadi – molto pericolosi se presi nel momento sbagliato. Ma a quanto pare nella Foresta si è saputo del
rogo, e vogliono che incontriamo qualcuno prima di andarcene.
- Speriamo sia così, Talmadir – rispose il Lord – odio sentirmi un prigioniero. – Girien era molto a disagio,
ma doveva ammettere che non si sentiva in pericolo. Se metà di ciò che aveva sentito raccontare sugli spiriti selvaggi
di Loren era vero, lo avrebbero potuto uccidere senza una parola al ruscello. Forse il Cantamagia aveva ragione.
Forse volevano davvero qualcosa.

Nella radura l’aria era elettrica e le Driadi, molte più di quante il Lord ne immaginasse in un luogo così
piccolo, si erano poste a semicerchio come piccoli arbusti a cingere un’aiuola. Il prato era inondato dal sole, e gli elfi
furono fatti accomodare al centro. Tutti sembravano spaventati.

“Persino Armaur è nervoso” notò con stupore Girien, ma c’era poco tempo per queste considerazioni.
Ormai aveva deciso che era giunto il suo momento di affrontare il pericolo: gli spiriti della foresta parevano avere
occhi solo per lui, e il Lord aveva la più ferma intenzione di non mostrare paura.

La voce della Driade sferzò il silenzio: - Parla. Racconta la tua storia, poiché cinque giorni fa abbiamo udito
la Foresta gemere e non abbiamo notizie. Se sarai giudicato colpevole, avrai l’onore di nutrire questo prato con le tue
carni per gli anni a venire. Ma non temerci. Gli spiriti sono giusti, anche quando sono adirati. E ora la Foresta ti
ascolta. Parla.

Girien si fermò come paralizzato. Ora che doveva dire tutto, non sapeva da che parte cominciare. Alla
mente gli tornò il grido degli uomini bestia, la loro ferocia, il loro fetore orrendo. La ferita gli si aprì nuovamente, una
nuova macchia di sangue sulle bende, ma non ci fece il minimo caso. Ripensava ai bambini, agli alberi in fiamme, al
simbolo del Clan stracciato e bruciato nella notte. Alle sentinelle che conosceva per nome e che lo avevano sempre
servito con fedeltà. Alla sua inutilità, mentre semi-incosciente veniva trascinato via dalla sua guardia del corpo e da
due Cantamagia preoccupati solo della sua incolumità. Eppure Armaur aveva famiglia, laggiù. E Talmadir una figlia.
E…

Fu troppo. Il Lord cadde in ginocchio, piangendo tutte le sue lacrime. Si strappava le bende con furia, e nei
suoi occhi insieme al pianto ardeva una ferocia come mai si era vista prima. Quella luce di fuoco nelle pupille giurava
morte al Caos per ciò che era successo. Nulla lo avrebbe fermato, né il parere contrario di Armaur né i consigli dei
maghi nè tutto il dolore del mondo. Non disse una sola parola. Pianse soltanto, e urlò fino ad averne la gola stanca, e
poi ancora e ancora. Quando esausto si accasciò a terra, i suoi compagni videro qualcosa di mostruosamente grande
staccarsi dal bosco davanti a loro, e raccogliere con mani immense il corpo del loro Signore svenuto.

L’albero era vecchio. Molto, molto vecchio. Al suo fianco, decine di Driadi dallo sguardo spietato, e dietro
di loro persino un drago, avvolto in spire a gustarsi l’ultimo sole. Quandò l’albero parlò, si sentivano le stagioni uscire
dalla sua voce, ed era come una musica.

- Il tuo dolore somiglia troppo al nostro per restare impunito. Noi ti aiuteremo.

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