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Universale Meltemi
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musica
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a cura di
Susanna Pasticci

Parlare di musica

Il volume è stato pubblicato con un contributo


del Dipartimento di Linguistica, Letterature comparate
e Discipline dello Spettacolo dell’Università di Cassino

Copyright © 2008 Meltemi editore srl, Roma

ISBN 978-88-8353-665-6

È vietata la riproduzione, anche parziale,


con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia,
anche a uso interno o didattico, non autorizzata.

Meltemi editore
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www.meltemieditore.it MELTEMI
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Indice

p. 9 Introduzione
Susanna Pasticci

Parte prima
I riflessi della musica negli specchi verbali

19 Musica, musica, che vuoi da me?


Valerio Magrelli

33 Quando la parola diventa un po’ più musica, e la mu-


sica un po’ più parola
Anna Proclemer, Antonio Sardi de Letto

45 Formalismo e formalismo “arricchito”. Appunti per


un “discorso” sulla musica
Giampiero Moretti

Parte seconda
Spiegare la musica

57 Di una e molte divulgazioni


Arrigo Quattrocchi

67 2008. La critica senza i critici


Giordano Montecchi
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77 Le guide all’ascolto 185 Offerte inaudite: inviti all’ascolto della (tele)visione


Massimo Acanfora Torrefranca Luca Marconi

87 L’ipertestualità come strumento per la trasmissione 199 Come la TV ci fa vedere la musica


dei saperi musicali: un’esperienza in corso Susanna Franchi
Talia Pecker Berio, Cecilia Panti

Parte quinta
Parte terza Musicisti che parlano di musica
Raccontare la musica, tra contesti culturali e orizzonti
storici 209 Quando i compositori parlano di musica
Nicola Campogrande
101 Musica e storia: per una profittevole condivisione di
termini e concetti 217 Tutto quello che “una musica può fare”
Franco Piperno Conversazione con Francesco e Max Gazzè
Simone Caputo
115 Continuità e trasformazioni delle musiche di tradi-
zione orale. L’esempio della Campania 227 Cronache di vita musicale: l’esperienza del concertista
Giovanni Giuriati Luca Signorini

129 Come si racconta il teatro musicale? 237 Parlare di musica, per “imparare a vedere abissi là do-
Pierluigi Petrobelli, Antonio Rostagno ve sono luoghi comuni”
Susanna Pasticci
143 Parlare di jazz: vedi alla voce “musica”
Stefano Zenni
255 Bibliografia

Parte quarta
I discorsi sulla musica alla radio, al cinema e in TV

155 Elogio del parlare obliquo: la musica classica alla radio


Stefano Catucci

167 La musica pop raccontata alla radio


Silvia Boschero

175 Raccontare la “musica” di piazza Vittorio.


Conversazione con Agostino Ferrente e Mario Tronco
Renata Scognamiglio
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Introduzione
Susanna Pasticci

Se un uomo canta o suona uno strumento, ecco che su-


bito un altro si leva a parlarne. Parlare di musica ci aiuta a
collocare la nostra attività di ascolto in un orizzonte di sen-
so e a metterla in relazione con l’insieme dei concetti e dei
vissuti che popolano la nostra esperienza del mondo. Si può
parlare di musica per interrogarsi sui suoi significati, sui suoi
meccanismi di funzionamento, sulla sua ragion d’essere, ma
anche per esprimere una valutazione, un giudizio critico. Più
che un’attività riservata agli addetti ai lavori, parlare di mu-
sica è un’urgenza condivisa da qualunque ascoltatore, a pre-
scindere dal suo livello di competenza e dalle sue attitudini
e curiosità personali.
Ciò che ci attrae con prepotenza, nella musica che sce-
gliamo di ascoltare, è la sua capacità di sollecitare risposte
emotive articolate e profonde; un universo di emozioni tal-
mente complesso da innescare, inevitabilmente, una ricerca
di senso. Nell’intraprendere questa ricerca, ci si può misurare
con obiettivi più o meno ambiziosi: sapendo, però, che tut-
to ciò che la musica ci trasmette diventa parte integrante del
nostro vissuto solo nel momento in cui entra in relazione con
altri ambiti della nostra esperienza e che, in gran parte dei ca-
si, questo processo è mediato dall’azione di un pensiero che
si esplicita attraverso una rappresentazione linguistica, una
“traduzione” in parole. Le parole ci aiutano a stabilire nes-
si, a mettere in moto corrispondenze, ad associare un gesto,
un oggetto o un segno ad altri gesti, segni e oggetti, in una
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 SUSANNA PASTICCI INTRODUZIONE 

dialettica della rappresentazione che si alimenta di un baga- spetto alle quali la possibilità di attivare un’interrogazione di
glio indefinito di esperienze personali. È questa la ragione per senso diventa un’operazione di gran lunga più complessa e
cui ogni attività musicale è anche un’esperienza di cui ci si ri- insidiosa: che cosa “dice” una sinfonia? E di che cosa “par-
trova, inevitabilmente, a parlare. la” una sonata?
Nella loro lapidaria evidenza, queste considerazioni ci Nel corso degli ultimi due secoli, questi interrogativi han-
introducono in un orizzonte di riflessione particolarmente no occupato un posto di rilievo nell’ambito della riflessione
spinoso: un orizzonte che questo volume intende esplorare sulla musica. In particolare, la difficoltà di trovare risposta a
nelle sue diverse implicazioni, amplificando alcune contrad- queste domande è stata interpretata dall’estetica romantica
dizioni e facendole decantare in tutta la loro criticità. Se si non tanto come un elemento di debolezza, ma semmai come
considera che la dimensione verbale è il medium universale un autentico punto di forza: è proprio in virtù della sua di-
attraverso cui la riflessione si articola in forma intersoggetti- stanza dal mondo degli oggetti e dei sentimenti terreni, in-
va e comunicabile, diventa difficile mettere in dubbio l’idea fatti, che la musica strumentale può aspirare a cogliere l’“es-
che anche la musica, come qualunque altro fenomeno, entità senza” delle cose, fino a qualificarsi come autentico mezzo di
o espressione artistica, sia destinata a diventare oggetto di un rivelazione dell’“assoluto” (Pasticci 2001). Mentre la parola,
discorrere. Allo stesso tempo, però, non si può negare che la prigioniera dei suoi significati determinati, fallisce nel vano
ricerca di senso in musica sia spesso accompagnata da una tentativo di cogliere l’assoluto per via mediata, la musica di-
forte percezione di impotenza, dovuta alla difficoltà di defi- venta il più eloquente dei linguaggi proprio per la sua capa-
nire con un certo margine di precisione i contenuti dell’e- cità di esprimere senza mediazioni “ciò che le parole non so-
spressione musicale: ciò di cui una musica “parla”, ciò che no neppure in grado di balbettare” (Dahlhaus 1978, p. 72).
una musica “dice” ai propri ascoltatori. Nel caso della mu- Affrancandosi dal dominio della parola, la musica ha po-
sica vocale, si può presumere che le parole cantate veicolino tuto acquisire lo status di un linguaggio autonomo e com-
un significato che possiamo interpretare come un indizio piuto: un dato che oggi ci appare scontato, ma che in realtà
plausibile di ciò che la musica sta cercando di trasmetterci: è il frutto di una trasformazione che si colloca in un orizzonte
anche se, a uno sguardo più attento, il tentativo di confina- storico ben definito. Fino a gran parte del diciottesimo secolo,
re il senso di una musica nell’ambito angusto dei contenuti infatti, la musica non avrebbe potuto ambire a costituirsi co-
veicolati dalla parola cantata si rivela un’ipotesi riduttiva, se me un’entità totalmente autonoma rispetto al linguaggio ver-
non addirittura fuorviante. Non fosse altro perché non ci aiu- bale: poteva imitare i suoni della natura, esprimere senti-
ta a capire, ad esempio, come mai spesso ci ostiniamo ad menti veicolati da un testo cantato o al massimo limitarsi a
ascoltare melodie cantate in lingue che non conosciamo; o stilizzare moti dell’animo o affetti specifici e ben connotati
perché, nel corso della storia, uno stesso testo sia stato mu- (Eggebrecht 1961, p. 57). Solo il progressivo distacco della
sicato da vari autori con esiti sorprendentemente diversi; o musica dalla parola, maturato nel corso del diciannovesimo
perché talvolta un compositore – ma questo è un gioco con secolo, ci ha restituito l’idea che la musica sia un linguaggio
cui forse qualunque ascoltatore si sarà misurato, almeno una dotato di una propria sintassi e di specifiche regole di fun-
volta nella vita – decida di utilizzare una melodia preesi- zionamento interno: “nella musica c’è senso e logica, ma
stente per riadattarla a un nuovo testo verbale. Esiste poi una ‘musicali’: è una lingua che noi parliamo e comprendiamo,
considerevole quantità di musiche affidate all’esecuzione di ma non siamo in grado di tradurre” (Hanslick 1854, p. 121).
soli strumenti, in cui la nostra percezione non è mediata da Nell’atto stesso di restituirci un linguaggio articolato, l’e-
alcun riferimento esplicito a concetti, idee e significati, e ri- stetica romantica ci ha lasciato in eredità una sorta di missione
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 SUSANNA PASTICCI INTRODUZIONE 

impossibile: parlare dell’indicibile, di ciò che non può esse- le nostre categorie di pensiero danno forma a quanto viene
re detto perché, nel momento in cui cerchiamo di esplicitar- percepito: più che tradurre in parole il senso della musica,
lo a parole, si perde nella precisione dei significati verbali, che dunque, i nostri discorsi creano una catena di significati in
lo tradiscono. Con toni forse un po’enfatici, ma non meno in- grado di incidere in modo determinante sulla nostra espe-
cisivi, Adorno ci ricorda che una vera e propria “maledizio- rienza d’ascolto.
ne dell’ambiguità” grava sul più eloquente di tutti i linguag- Un universo di contenuti che non può essere in alcun mo-
gi: mentre “la lingua che esprime significati determinati vor- do ricondotto a un ipotetico “messaggio” che il creatore di
rebbe esprimere l’assoluto per via mediata, ma (…) non rie- musica avrebbe inteso trasmettere al suo uditorio. Se voles-
sce mai a raggiungerlo, la musica lo coglie senza mediazioni simo assimilare la musica a un sistema di comunicazione, sa-
ma allo stesso tempo esso si oscura, così come una luce trop- remmo costretti ad ammettere che ci troviamo di fronte a un
po forte abbaglia e l’occhio non può più vedere quel che è modello comunicativo davvero sui generis, in grado di de-
interamente visibile” (Adorno 1963a, p. 14). terminare una vera e propria inversione del rapporto fra mit-
Piuttosto che inibire i discorsi sulla musica, il topos del- tente e ricevente. Più che come un semplice tentativo di de-
l’ineffabilità ne ha favorito la straordinaria proliferazione, codificare messaggi, infatti, l’atto di interpretare la musica si
con importanti riverberazioni nella storia del pensiero, del- qualifica sempre e comunque come un processo attivo di
la letteratura e dell’arte. Da Nietzsche a Schopenhauer, da costruzione di senso.
Rilke a Mallarmé, da Baudelaire a Valéry, la forza di attra- L’immagine dei suoni riflessa dagli specchi testuali non è
zione esercitata da una lingua di rango superiore, perché in mai neutrale: anche una semplice metafora, che all’apparen-
grado di esprimere l’indicibile, travalica i confini del Ro- za sembra un mezzo abbastanza innocuo per “tradurre” in
manticismo e si protrae implacabile fino ai nostri giorni, ri- parole i significati della musica, di fatto crea dei nuovi signi-
velando una tempra e una capacità di sopravvivenza fuori del ficati, nella misura in cui ci stimola a immaginare referenze
comune. Fino a configurarsi, con l’analisi dei miti di Lévi- che hanno “il potere di ridescrivere la realtà” e di farci vive-
Strauss, come una possibile chiave di comprensione del re l’esperienza musicale in modo diverso (Ricœur 1975, p. 5).
mondo: il fatto che solo la musica, tra tutti i linguaggi, “riu- Pur non essendo in grado di descrivere con precisione i si-
nisce i caratteri contraddittori d’essere a un tempo stesso in- gnificati della musica, dunque, le parole possono incidere in
telligibile e intraducibile” è una qualità che fa del creatore modo sostanziale sul nostro modo di avvicinarci a essa.
di musica “un essere simile agli dei”, e della musica “il su- Non esiste un unico, infallibile modo di parlare di musi-
premo mistero delle scienze dell’uomo, quello nel quale es- ca, ma solo strategie di discorso più o meno efficaci, legate
se inciampano, e che custodisce la chiave del loro progres- in primo luogo alla specificità delle situazioni, dei destinata-
so” (Lévi-Strauss 1964, p. 36). ri e dei diversi contesti mediatici che di volta in volta sono
Queste considerazioni evidenziano un primo importante chiamati a veicolarli. In linea di principio, la musica ha un po-
filo conduttore di questo volume: tutto ciò che si dice e si scri- tenziale di significazione che è molto più ampio di quello che
ve sulla musica non è un semplice riflesso di ciò che avviene può essere realizzato in un contesto specifico. Al di là del con-
nella pratica della composizione, dell’interpretazione e del- tenuto espressivo che si trova “dentro i suoni”, infatti, il si-
la ricezione, ma diventa uno degli elementi costitutivi della gnificato della musica è una potenzialità di carattere perfor-
musica stessa. Anche se il dato acustico è il fondamento del- mativo che ogni volta si esplicita, si attualizza e si rimodella
la musica, l’esperienza musicale non si esaurisce nell’assun- in funzione del contesto particolare in cui si esercita (Cook
zione del dato uditivo, ma si realizza solo nel momento in cui 1998a, p. 83).
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 SUSANNA PASTICCI INTRODUZIONE 

Una ricognizione dei possibili discorsi sulla musica, sulla musica alla radio, al cinema e in TV) affronta il tema de-
com’è quella che si presenta in questo volume, non potreb- gli specchi testuali in rapporto a vari contesti di comunica-
be articolarsi se non in forma polifonica, con il concorso di zione mediatica, evidenziando come in questo caso l’artico-
storie, esperienze e professionalità diverse. È appena il ca- lazione dei discorsi sia fortemente condizionata anche dagli
so di ricordare che la vocazione alla polifonia, che rappre- schemi e dai ritmi percettivi che i diversi media impongono
senta forse una delle aspirazioni più radicali e profonde del- ai loro fruitori. L’ultima parte del libro (Musicisti che parla-
l’arte e del pensiero contemporaneo, nasce in musica e tro- no di musica) presenta infine una raccolta di testimonianze,
va proprio nella musica il suo modello più ispirato e com- cronache di vita musicale e riflessioni sull’atteggiamento tut-
piuto: un modello basato sull’articolazione simultanea di to particolare con cui i musicisti si misurano con la sfida di
più voci che cantano in coro, ma ciascuna dotata di un suo verbalizzare la loro esperienza.
profilo individuale ben delineato e distinto. Ognuna delle vo- L’idea di questo volume è nata nell’ambito del convegno
ci che arricchisce il percorso di riflessione che si snoda at- I discorsi sulla musica: il riflesso dei suoni negli specchi testuali,
traverso le pagine di questo libro porta con sé il suo baga- svoltosi presso l’Università di Cassino il 17 e 18 aprile 2007
glio di esperienze, valutazioni e criticità: tanti modi di in- e organizzato nell’ambito del Progetto di ricerca di rilevan-
terrogare la musica, e tante strategie per farla “parlare”. te interesse nazionale “Storia dei concetti musicali” (PRIN
Una pluralità di punti di vista che discende anche dalla po- 2005). Il progetto, ideato e coordinato da Gianmario Borio
lifonia di professionalità che vengono messe in campo: lo stu- (Università di Pavia), ha coinvolto diversi gruppi di ricerca,
dioso, il critico musicale, i musicisti che scrivono musica e con la responsabilità scientifica di Giampiero Moretti (Uni-
quelli che la interpretano, ma anche gli esperti che parlano versità di Napoli “L’Orientale”), Talia Pecker Berio (Uni-
di musica alla radio o in TV, il poeta, il filosofo, l’attore e il versità di Siena) e Susanna Pasticci (Università di Cassino).
regista. Che, per raccontarci il loro modo di interrogare la I risultati di una precedente fase della ricerca hanno condotto
musica, utilizzano di volta in volta una Stimmung, un regi- alla pubblicazione dei primi due volumi della Storia dei con-
stro e una modalità espositiva di taglio diverso, che spazia cetti musicali (Borio, Gentili 2007); il terzo volume, a cura di
dal saggio critico alla testimonianza diretta, dall’intervista al Gianmario Borio, è in corso di stampa. Il convegno di Cas-
dialogo tra persone che attraverso una pratica di lavoro co- sino ha propiziato un’occasione di riflessione e discussione
mune hanno maturato una visione condivisa. allargata sulle diverse funzioni, modalità e ambiti di appli-
La tensione dialettica che alimenta il rapporto tra musi- cazione dei discorsi sulla musica nella società e nella cultura
ca e parola viene approfondita nella prima parte del libro (I contemporanea. Il presente volume, che nasce sull’onda del-
riflessi della musica negli specchi verbali), mentre la seconda la ricchezza di stimoli e idee emersi in quel contesto, è il ri-
(Spiegare la musica) si concentra sull’esame dei discorsi di ca- sultato di un ulteriore approfondimento della ricerca e rac-
rattere divulgativo rivolti a un pubblico di ascoltatori che vo- coglie, oltre agli scritti di quegli autori che, già presenti al con-
gliano affinare la propria capacità di interpretazione e giu- vegno, hanno generosamente accettato di farsi coinvolgere in
dizio critico. Con la sezione successiva (Raccontare la musi- questa ulteriore avventura, nuove voci e nuovi contributi
ca, tra contesti culturali e orizzonti storici) si entra nel merito che si sono aggiunti strada facendo.
dei repertori specifici per verificare come, quando si vuol par- Questo libro non avrebbe potuto vedere la luce senza il
lare di una musica particolare, sia necessario rimodulare di confronto costante e proficuo con i colleghi del comitato
volta in volta i propri apparati teorici ed ermeneutici in stret- scientifico del convegno di Cassino, Gianmario Borio,
ta relazione all’oggetto in esame. La quarta parte (I discorsi Giampiero Moretti, Talia Pecker Berio e Antonio Rostagno.
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 SUSANNA PASTICCI

Fondamentale è stato anche il continuo scambio di idee con


gli autori dei vari contributi e con esperti e amici che sono
stati prodighi di suggerimenti: Michele Dall’Ongaro, in
particolare, ma anche Emiliano De Mutiis, Alessandra An-
ceschi, Laura Mariani e Maddalena De Carlo. A tutti loro
devo un sentito ringraziamento, oltre che a Luciana Pirè, di-
rettore del Dipartimento di Linguistica, Letterature com-
parate e Discipline dello spettacolo dell’Università di Cas-
sino, che ha fortemente creduto in questo progetto e l’ha so-
stenuto in tutte le sue fasi di attuazione. Ancora un grazie
al direttore della Biblioteca comunale di Cassino Mario
Biondi; e infine a Simone Caputo, che ha collaborato alla
cura redazionale del volume e che, con occhio sempre vi-
gile e attento, mi ha aiutato a tener salda la rotta per con- Parte prima
durre in porto questa impresa. I riflessi della musica
negli specchi verbali
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Musica, musica, che vuoi da me?


Valerio Magrelli

Si può parlare di musica da critici, da storici, da musico-


logi; ma si può farlo anche in maniera più impropria, più per-
sonale, ossia da scrittori. Ciò che vorrei presentare non sarà
una riflessione sulla musica, né una riflessione su come la mu-
sica sia stata presente nella tradizione poetica italiana o fran-
cese; mi limiterò a una semplice testimonianza, attraverso al-
cuni miei testi, per provare a mostrare come la Musa – in
qualsiasi modo la si voglia chiamare (Sanguineti parla ad
esempio di “traspirazione” piuttosto che di “ispirazione”, ma
sempre di Musa si tratta) – come la Musa, dicevo, abbia a che
fare con la musica.
Recentemente ho letto un saggio di Talia Pecker Berio in-
titolato Musa, musica, metamorfosi di un sinonimo (2006).
L’intervento mi ha molto colpito perché, alla fine, rifletten-
do sulla pluralità delle Muse – queste divinità che si mesco-
lano con altre nel Pantheon greco, e costeggiano le Sirene, le
Arpie –, l’autrice fa il verso ad Adorno, e suggerisce la fon-
dazione di una “sociologia delle Muse”, piuttosto che di una
sociologia della musica.
Anche se mi asterrò dall’abbracciare questo suggerimen-
to, voglio comunque ribadire che rispetto agli altri saggi pre-
senti in questo volume il mio intervento sarà caratterizzato
da un cambiamento di Stimmung, di registro, sostituendo a
una parola competente sull’arte dei suoni una semplice con-
fessione imbevuta di esperienza. Seguirò un percorso cro-
nologico, ripercorrendo alcuni testi che hanno come filo con-
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 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

duttore la presenza della musica – direi di più, la sua pres- po, attraverso il fallimento, prende atto di un amore non ri-
sione. La prima tappa di questo percorso è però una pagina cambiato. Da tutte le mie pagine sulla musica trapela sempre,
che risale al 2003, tratta dal mio unico volume in prosa, Nel sia pure di sfuggita, questo sentimento fondamentale di scac-
condominio di carne: co e smacco. Comincerò dalla prima raccolta, del 1980, per
segnalare un unico testo, centrato su un elemento specifico,
Probabilmente scelsi il pianoforte solo perché lo avevamo in ca- tecnico. Dicevo, appunto, che ho suonato il piano: ho co-
sa, un cassone ortopedico con la tastiera cariata da cui saliva una minciato tardi, ma ho proseguito per molto tempo. In quel pe-
musica vedovile e déco. Tant’è. Fu come mettere il dito in un riodo mi interessai a una celebre trascrizione di Bach fatta da
circuito elettrico: ogni nota un voltaggio differente. Così, per do- Busoni: in questa trasposizione, dall’organo al pianoforte, mi
dici anni, mi ritrovai attaccato a quell’impianto, giorno dopo colpiva il gioco degli armonici. La poesia che segue ruota in-
giorno, arpeggio dopo arpeggio. Perché era da lì che veniva la torno a tale spunto. Cerco cioè di utilizzare questo fenome-
corrente. Io ero lo strumento, lui la fonte energetica. E tutti i
pomeriggi, diligente, mi allacciavo alla rete, vale a dire inserivo
no acustico come un’analogia con l’atto del tradurre, pro-
le mie dita-jack nelle apposite prese, connettendomi all’onda vando a definire la traduzione come una trasposizione musi-
musicale. cale di uno stesso pezzo da uno strumento all’altro:
Ridotto a puro tramite, spinotto, procedevo a lunghe sedute
quotidiane con quello spirito di rassegnato fervore che unisce Scrivere come se questo
la preghiera alla fisioterapia. Da cosa, poi, dovessi guarire, non fosse opera di traduzione,
l’ho ancora capito. Del resto, non guarii affatto. Eppure me n’è di qualcosa già scritto in altra lingua.
rimasto, incancellabile, quel senso, appunto, di locomozione La parola si carica ed esita,
acustica: totale passività dell’esecutore, trainato dalla musica, continua ancora a vibrare
portato via aggrappato alla tastiera. Sci nautico. come sulla tastiera le note tenute
Questo però, confesso, soprattutto quando suonavo un mez- sopravvivono allo staccato
zacoda fiammante, rombante come un motoscafo Riva in radi- e lo percorrono fino al suo tacere
ca di noce e cruscotto cromato, con gli alettoni e i duecento ca- (Magrelli 1996, p. 81).
valli di un off-shore. Pistoni e martelletti, trilli e schizzi, e i bas-
si che entrano in coppia, profondi, vibrando per preparare la Questo è il primo testo in cui ho avuto a che fare con il
planata. linguaggio musicale. Sette anni dopo, nella raccolta Nature
Ma il resto… la pena di quell’incespicare, quella zoppìa… Mi e venature, emerge invece un’altra traccia, legata a una noti-
trascinavo per ore, inutilmente. Che invidia per l’amico che in- zia di cronaca: l’esame radiografico di un violino che si sco-
vece sapeva far zampillare scale purissime, perle di note infila- pre tarlato, scavato da un insetto. In qualche modo ciò si so-
te una dietro l’altra su un unico getto argentino, come niente fos- vrappose a un celebre passo di Rimbaud, che dice: “Tanto
se. Quel flusso d’acqua filante, teso e proteso, a me non è mai peggio per il legno che si ritrova violino” (“Tant pis pour le
riuscito. Io espiavo musica (Magrelli 2003, pp. 89-90). bois qui se trouve violon”). L’immagine finale, su cui sono tor-
nato altre volte, è quella della testa abitata, percorsa, colo-
Ho voluto iniziare da questo testo perché sono molto le- nizzata da un’aria, da una melodia:
gato all’uso improprio del verbo “espiare”. Mi interessa l’idea
di un’espiazione della musica, come preghiera e fisioterapia; Quante arie ascoltate una volta
volevo riprodurre gli esercizi quotidiani di chi si scopre to- proseguono il loro cammino,
talmente negato (invece che vocato) alla musica e al contem- stanno nella memoria,
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 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

ne solcano lo spazio. Nel legno funebre?


dei violini l’esame radiografico (p. 213).
mostra l’intrico dei tarli
filiforme, mobile, cava A questo punto mi piace segnalare una poesia che fa da
chioma serpentina irraggiante sottotesto ai versi appena letti; le sono molto affezionato,
di vene che percorrono e minano perché mi venne regalata in fotocopia da Toti Scialoja. È di
l’interno delle fibre.
D’Annunzio e si intitola I cani del nulla; straordinaria, vera-
E tramata di musica la testa
si fa leggera e vuota, di merletto mente tra le sue cose più toccanti, direi quasi deliranti, allu-
(p. 167). cinate. È l’ultima, pare, scritta da D’Annunzio, vergata sul ri-
svolto di un libro. Venne trovata quando il Meridiano Mon-
Qui compare un altro nume tutelare della mia genera- dadori era già in stampa, ragion per cui è stata inserita solo
zione, che in Italia venne scoperto da Pasolini; mi riferisco a nell’introduzione. Venti anni dopo il regalo di Scialoja la re-
Osip Mandel’stam. Mandel’stam, chiuso nel gulag, immagi- galai a un amico, Emanuele Trevi, che ha pubblicato un li-
na di essere perseguitato dalle voci. La moglie Nadezda ha bro intitolato I cani del nulla (2003) proprio a partire da
raccontato che spesso cercava di svuotarsi l’orecchio, come questo testo di D’Annunzio:
un nuotatore che esce dalla piscina. Diceva di continuo: “Io
sento delle voci… delle voci”. Ecco, questa ossessione acu- Qui giacciono i miei cani
gli inutili miei cani,
stica descrive bene cosa accade quando non riusciamo a di-
stupidi ed impudichi,
menticare una melodia. novi sempre et antichi,
Sempre nel 1987, ho scritto un’altra poesia in cui mi ri- fedeli et infedeli
ferisco a uno strumento, questa volta a fiato, parlando in all’Ozio lor signore,
particolare dell’uso, attestato in molti paesi dell’Asia, di usa- non a me uom da nulla.
re lunghe ossa animali (ma anche umane, come ad esempio Rosicchiano sotterra
le tibie) per estrarre musica: nel buio senza fine
rodon gli ossi i lor ossi,
Mi accarezzavo il viso non cessano di rodere i lor ossi
pensando fosse il suo vuotati di medulla
e ne sentivo i tratti, et io potrei farne
e segni, i punti che guardavo la fistola di Pan
ogni momento quando la guardavo. come di sette canne
Per un attimo appena io i’ potrei senza cera e senza lino
ero lei e mi sognavo mentre farne il flauto di Pan
pensavo a me. Dov’ero se Pan è il tutto e
adesso? In Tibet se la morte è il tutto.
i sacerdoti essiccano i cadaveri Ogni uomo nella culla
e con le ossa fabbricano succia e sbava il suo dito
flauti. Ma ora le mie ossa ogni uomo seppellito
erano sue. Con chi è il cane del suo nulla
dovrei suonare la mia nenia (D’Annunzio 1982, pp. XCIII-XCIV).
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 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

Ma arrivo alla terza raccolta, per leggervi un testo che ha lindro metallico. Tuttavia, dopo questa bella pensata, scoprii
in esergo una frase di Mandel’stam destinata a guidarlo, a che senza la cassa armonica la musica non risultava più per-
orientarlo. Per me l’occhiello, la citazione iniziale, vuol essere cepibile. Da qui Lezione di metrica, dove emergono alcuni
davvero un segnavia. L’inserto di Mandel’stam recita: “Solo immediati riferimenti: segnalo soltanto quello celeberrimo
la folle escrescenza”. Ed ecco il mio testo: a Montale. Quanto al film menzionato, non avrete difficoltà
a riconoscerlo:
Il verme solitario, il parassita,
lo scroccone e il saprofita, Un pettine d’acciaio fila
il cancro, nascono da organismi le note, sfila
che covano la propria fine una musica dolce di zucchero
come la musica dell’Occidente. filato. Come un incantatore
Prima la gemmazione di serpenti incantato
di timide dissonanze, poi le metastasi mi ipnotizza la lingua
che invadono il corpo sonoro e lo disgregano, del suono che si srotola
corruzione mirabile e frutteto mentre i denti di ferro,
di morte. È la storia di una catastrofe tonale, il rosario di uncini,
cellule a-ritmiche, superfetazioni, strappano questa carne
ossia il Dirottatore (e il cancro da scortico, e sbranato
dirotta sempre il suo veicolo). sta il cuore di chi ascolta.
Ecco la terra, povero velivolo Qui suonano il mio cuore!
preso in ostaggio da un passeggero armato Vezzo e lezzo. Rotto l’involucro
(Magrelli 1996, p. 233). con la ballerina, il carillon si arresta
perché il cattivo gusto
Qui si assiste al susseguirsi di una serie di immagini a ca- è il suo buon guscio armonico,
tena, a partire dalla “folle escrescenza” di Mandel’stam, che l’astuccio per la perla
matta delle leziosità. Notte.
dà realmente il “la”. Ho provato a giustapporre una serie di Il violino di Frankenstein mi chiama.
figure basate sull’escrescenza, sul dirottamento, leggendo la E io sono quel mostro musicale
storia della musica moderna come quella di una trasforma- condannato alla ruota musicale
zione, di una metamorfosi, di una mirabile malattia. della sua musicale nostalgia
Passo ora a un’altra poesia del 1992, che prende an- (p. 284).
ch’essa di mira il tema della musica. Si intitola Lezione di me-
trica, ma richiede una premessa. Al mio matrimonio mi era Veniamo ora alla mia quarta raccolta di versi. Anche qui
stato donato un orrendo carillon, gigantesco soprattutto; ritorna l’immagine della melodia ossessiva, persecutoria e
era composto da un pianoforte di plastica con una balleri- percussiva a cui facevo prima riferimento. Vorrei soffermar-
na che gli girava sopra, molto ingombrante. Al momento di mi su una poesia che s’intitola Musica leggera, tratta da Di-
traslocare pensai di buttarlo, però la melodia era veramen- dascalie per la lettura di un giornale. È un libro particolare,
te irresistibile, non l’avevo mai sentita e non l’ho mai più ri- che mima le parti di un giornale. Nel caso di Musica leggera
trovata. Allora, sulla base di un ragionamento strettamente (titolo che allude appunto a certe rubriche su quotidiani e ri-
logico, decisi di gettare il carillon e di tenere il piccolo ci- viste), descrivo la strana forma di molestia a cui ci sottopon-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 26

 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

gono alcune melodie. Sullo sfondo agiscono due richiami. La prima racconta del tentativo di far esplodere un’auto
Uno, immediato, rinvia a una scena di Amarcord di Fellini, il la cui sirena suonava ininterrottamente da tre ore. Vi faccio
Fellini potentemente “zanzottiano” che racconta l’esplosio- notare che, dopo tanti anni di tormenti, ora le sirene sono tut-
ne primaverile delle anemofile. Tutte le parole che seguono te a termine: prima non era così, e io passai una notte intera
nel mio testo sono dei sinonimi: polline, manine, soffioni e tormentato da quel barrito. Il secondo testo parla invece di
così via. Ma dietro ancora c’è un passo di Adorno, che par- una specie di miracolo a cui venni chiamato ad assistere:
la della musica popolare come del tessuto dei nostri giorni.
C’è una bellissima frase, che dice più o meno: “Familiare co- Stanotte è andata bene: solo due volte. La prima verso le tre,
me il saluto di qualcuno che passa”. E torna poi di nuovo la la seconda alle quattro. Ma è stato diverso dal solito. Uno
lezione di Mandel’stam, il suo cercare di liberarsi inutilmen- dorme, nel caldo, e mentre sogna, qualcosa come un piede di
te da qualcosa che ha attecchito, suo malgrado, nella testa: porco inizia a scardinargli il cinemino onirico. Lo manda fuo-
ri quadro. Estranei cercano di introdursi negli interstizi, tra fo-
togramma e fotogramma, scassando il meccanismo finché que-
Le canzoni galleggiano nell’aria
sto si blocca, la pellicola fonde, l’ectoplasma invade l’intero
e restano impigliate ai nostri abiti
schermo, la proiezione si arresta, fischi, proteste in sala, sono
– batuffoli, polline, bugie,
sveglio. Una radio. È stata una radio a smurarmi il riposo, con
semi delle anemofile.
lo straziante ripetersi di un motivetto e il battito cardiaco del-
Manine e soffioni, le ariette
le congas. Nell’arco di chilometri e chilometri, non un solo es-
trasportano parole e viceversa sere vivente che ne sia disturbato. Infelice prodotto di un sal-
nel loro dondolio. to evolutivo della specie, unico tra i condomini, sono stato do-
E le spore sonore volando attecchiscono tato di un udito.
per riprodursi dentro chi le ascolta Tutto è immobile in basso, nello slargo da cui sale la musica.
come colonie microcellulari. Così mi attrezzo, e scendo tra i veicoli parcheggiati. Nessun mo-
Si installeranno nella nostra mente, vimento: l’emissione continua, imperturbabile. Finché la tro-
baci e bacilli della nostra voce vo, trovo cioè l’emissione come presenza autonoma, come en-
(Magrelli 1999, p. 77). tità a sé stante. Ci troviamo. Proviene da un’auto vuota. La ra-
dio è spenta, ma la musica sale. Un vascello fantasma che ha
A questo punto dovrei arrivare all’ultima raccolta, la più attraversato le ere per venire a svegliarmi. Forse sarà l’eccessi-
recente, da cui nasce anche il titolo di questo mio interven- va sensibilità del sistema d’allarme, forse un semplice stato di
to. Prima però vorrei segnalare alcune prose tratte da Nel con- grazia elettrostatica, eppure non c’è dubbio: questa macchina
dominio di carne. Ne ho già menzionata una, quella sul pia- canta da sola. Provo lo stesso stupore del selvaggio davanti al
noforte, che era totalmente dedicata alla musica; vorrei ora tronco toccato dalla folgore. Qualcosa, da lontano, ha acceso
soffermarmi su una sezione che ho inserito all’inizio del libro, questo fuoco.
Addenda alle orecchie, che contiene cinque studi di acustica Davanti alle sue fiamme, tuttavia, non riesco a provare alcuna
emozione. Non ho nulla da cuocerci sopra. La musica non fa
idealmente collocati nel segno di San Sebastiano. Io mi ve-
brace. Per questo non mi commuovo, mentre recido di netto
devo, infatti, come trafitto dai rumori, nella casa di cui par- l’antenna. Lo scatto delle tenaglie. Tutto cessa. O almeno, ces-
lavo prima, quella del trasloco, posta al centro di un qua- sa il tempo necessario per tornare a letto e riprendere sonno.
drifoglio – una sorta di snodo stradale. Per vari anni ho vis- Adesso è la sirena. Non la cerco neanche, so qual è, so che l’am-
suto come un martire del rumore, e i cinque studi di acusti- putazione lascia il segno, non subito, magari, ma alla lunga. Ed
ca sono tutte storie vere, purtroppo. eccola barrire.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 28

 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

Via il mistero di prima: nessuna onda melodica o fluttuazione Questa è la prima citazione. La seconda è invece di Kant
cosmica lievemente captata, ma l’Urlo. In un certo senso la cac- e per me, più che una citazione, rappresenta il Graal, la Kaa-
cia è fortunata, perché da uno sportello aperto posso entrare per ba, la mia stella polare del rispetto per il prossimo:
lavorare con calma. Non saprò mai se fu inesperienza o magia
bianca. Tutto, giuro, tagliai tutto quanto potesse avere un vago Alla musica è propria quasi una mancanza di urbanità, a causa
aspetto filiforme. Cavi, cavetti, e l’urlo continuava. Continuai della proprietà che hanno i suoi strumenti di estendere la loro
anch’io, nel cofano spalancato, senza ottenere risultati. Taglio azione sul vicinato, per cui essa si insinua e va a turbare la li-
anche la fettuccia che regge il corno appeso allo specchietto, bertà di quelli che non partecipano all’intrattenimento (…). È
però, come temevo, serve a poco. Taglio il tubo dell’acqua, pressappoco come del piacere che dà un odore che si spande
quello della benzina, e mentre mi allontano dal pantano, rasse- lontano. Colui che tira fuori dalla tasca il suo fazzoletto profu-
gnato, la macchina è un gomitolo disfatto, ma che continua a mato, tratta quelli che gli sono intorno contro la loro volontà
gemere, straziante. (Kant 1790, p. 191).
Quando si dice il bandolo della matassa… Io non seppi trovarlo.
Ci riuscirono i vigili, dopo un’ora di ricerche, mentre albeggia-
va davanti a una catasta informe. Fu un guizzo, un’esecuzione Questo è Vangelo. Ma per concludere con le prose, ecco l’ul-
capitale, la conclusione di un dissanguamento kosher. E anco- timo studio di acustica per intero. Sono appena poche righe:
ra mi domando che cercasse, cosa volesse da me, quell’anima
in pena (Magrelli 2003, pp. 15-17). Anni Sessanta. Durante un pomeriggio d’agosto, in un par-
cheggio, frugando sul pianale del lunotto posteriore, stupore per
Il terzo studio di acustica è analogo al precedente, sebbene il rinvenimento di sei esemplari di 45 giri totalmente alterati dal
calore. Suono piegato dalla luce, modelli topologici di struttu-
l’esecuzione (ovvero la messa a morte del rumore) riguardi
re galattiche. Comunque inutilizzabili. Vinile deformato dalla
un citofono, la fonte-fontana da cui sgorgava una voce mi- luce dell’infanzia (Magrelli 2003, pp. 20-21).
steriosa e incessante. Arrivo agli ultimi due. Il quarto è inte-
ressante: tuttavia non mi soffermerò sul mio testo, ma sulle Passando all’ultimo libro, vorrei segnalare una lirica che
due citazioni che gli fanno da stele. La prima, straordinaria, deriva da una poesia di Carlo Betocchi intitolata Stando con
è di Auden. Proviene da una poesia intitolata Goodbye to the donne che cavano ghiaia da un fiume in Ciociaria. È una poe-
mezzogiorno, in cui si parla del rapporto che noi latini ab- sia bellissima: Betocchi vi illustra la fatica di alcune operaie
biamo con il rumore. Dice Auden: “Figlio di un pallido dio che scendono verso un fiume cantando lentamente per aiu-
di patate e di whisky”, io non riesco a capire da cosa nasca il tarsi a procedere unite. Il loro compito consiste nel riempi-
vostro piacere per ogni rumore. Allora avanza una risposta re di ghiaia grandi ceste che recano sul capo, e risalire l’ar-
squisitamente antropologica: gine. Lo stupefacente fulcro della composizione consiste nel-
l’idea di trasformare in strumento musicale il mezzo adibito
Potrebbe essere questa la ragione
per cui tolgono i silenziatori alle loro Vespe, al controllo del lavoro. Così, la bacchetta d’ontano su cui, ad
alzano al massimo il volume delle radio, ogni turno compiuto, il supervisore segna una tacca nella buc-
e festeggiano con i botti ogni minimo santo – rumore cia, si trasforma in muto flauto, e il temuto sorvegliante di-
come una formula magica, un modo per dire venta una specie di compartecipe musicista ovvero, letteral-
Buu alle Tre Sorelle: “Saremo pure mortali, mente, un accompagnatore:
Ma intanto siamo ancora qua!”
(Auden 1958, s.p.). Stando con donne che cavano ghiaia da un fiume in Ciociaria,
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 VALERIO MAGRELLI MUSICA, MUSICA, CHE VUOI DA ME? 

a Tommaso Santoro Una muta medusa che le onde


sospingono a riva fluttuando,
Dal letto del fiume, risalendo in lunga fila per l’argine con una morta cosa canora, alga di nostalgia.
cofana (grossa secchia) colma di ghiaia sulla testa, le donne ave- Se fisso quel feticcio musicale,
van per cottimo di scaricare ciascuna quaranta cofane di ghiaia nel una spugna essiccata di voci, è per chiedermi
mucchio presso la strada: andavano lentamente, cantando, per aiu- dove può evaporare un suono,
tarsi a procedere unite. Il sorvegliante segnava una tacca nella buc- quale futura nube ne tratterrà le note
cia d’una bacchetta d’ontano ad ogni viaggio. per preparare, domani,
la sua pioggia
Verga d’ontano, i segni (Magrelli 2006, p. 42).
che t’intaccano, da flauto
silenzioso, il dorso, son le quaranta La poesia che segue è invece una specie di dichiarazione
cofane di ghiaia che sull’alto d’amore per Wagner, dove Fafner diventa la bestia rappre-
sentata dal volume dello stereo, che mi investe durante la so-
capo van delle donne lita seduta di ginnastica casalinga:
che le ascesero dal fiume
tentennando in un lume
Continuo a sfiancarmi in cyclette,
di silenzio, e ripercorre
ma dove vado? Vibra l’impiantito
di casa, nel vorticare convulsivo, immobile.
la tua buccia il passo
Ma dove vado? Vado nella musica,
affaticato di costoro,
parto in salita, tiro la volata
come a ritroso il coro
sul Walhalla dei suoni che si schiudono
rattristato che fanno.
davanti a me, mentre lo stereo-Fafner
vomita fuoco e fiamme.
Sei un numero e ti canto;
Legato alla catena di montaggio della salute,
maligna stagna l’acqua
faccio il ventilatore,
sotto il sole: ad ogni tacca
sono il mulo alla macina che produce benessere
la buccia si distacca, essicca un volto
e giro perché giri il sangue mio
(Betocchi 1984, p. 264).
(gira, gira il derviscio, ma da fermo). Ah,
schiavitù di questo sangue infermo!
Il suono, qui, fa tutt’uno con il lavoro, con una sofferen- Non potresti girare da solo?
za straziante, e ne diventa la misura umanissima. A partire da Niente; sta a me, badante di me stesso, portarlo in giro.
tale suggestione, il mio testo si intitola invece Guardando i re- Forse, però, sto andando contromano:
sti di un’audiocassetta nella sosta di un viaggio d’estate: ciò spiegherebbe perché tutta la musica mi viene addosso,
invece di sospingermi. Mi ostacola, l’infame,
Sul ciglio dell’autostrada oscilla quando potrebbe aiutarmi a scavallare
e brilla bruna una capigliatura questo dosso, che non finisce mai.
di nastro magnetico. Pesano, certe raffiche di arpeggi,
Ogni auto passandole accanto l’accarezza e sudo e bestemmio in piedi sui pedali
col vento dei pneumatici lungo il velodromo della mia stanzetta, buio
pettinandola lenta sul guard-rail. come una galleria del vento.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 32

 VALERIO MAGRELLI

Visto da fuori, devo sembrare un alienato. Quando la parola diventa un po’ più musica, e la
Visto da dentro, pure musica un po’ più parola
(p. 41).
Anna Proclemer, Antonio Sardi de Letto
Ed ecco l’ultimo testo, Musica, musica, che vuoi da me?
Questa poesia, molto breve, ha due presenze sullo sfondo. La
prima è shakespeariana: l’uccisione del sovrano in Amleto.
Il re appare spodestato, posseduto e avvelenato attraverso la
pozione di giusquiamo che gli viene versata nell’orecchio dal
perfido Claudio, che ne sposerà la moglie. L’occhiello, inve-
ce (che di nuovo mi fa da autentico “radar”), viene dalle le-
zioni sul Romanticismo di Isaiah Berlin (1999).
Durante il Settecento, spiega Berlin, nasce la musica stru- Le ragioni di un dialogo (introduzione di Susanna Pasticci)
mentale, priva di voce, di vocalità. Il suo saggio ricostruisce
molto bene lo stupore dei primi ascoltatori, tra i quali Fon- Questo intervento si concentra sulla parola detta, decla-
tenelle. Ascoltando per la prima volta una sonata, lo scrit- mata e recitata, che attraverso il suo dispiegarsi nella di-
tore le rivolge una domanda, non si sa se stupita, perplessa mensione dell’oralità cerca un contatto diretto con il suono
o addirittura – credo io – infastidita: “Sonate, que me veux- musicale, senza tuttavia trasformarsi in canto. Una parola,
tu?”. Proprio su questo interrogativo vorrei concludere, dunque, che non si costituisce come strumento interpretati-
non prima però di segnalare una curiosa metamorfosi della vo dell’esperienza musicale, ma che dà vita a un gesto espres-
stessa citazione, che appare in Lolita di Nabokov lievemen- sivo compiuto – una poesia, un racconto, un dramma – che
te alterata: “Souvenir, souvenir, que me veux-tu?”. Ma ecco interagisce con una musica spesso dotata anch’essa di un re-
la mia poesia: lativo margine di autonomia. Un’operazione di questo gene-
re si qualifica come un atto creativo che può realizzarsi pie-
Musica, musica, namente solo nella sfera della produzione artistica: ed è que-
che vuoi da me?
sta la ragione per cui si è pensato di invitare a dialogare su
Quale perfido Claudio
mi versò nell’orecchio il tuo giusquiamo?
questo tema due grandi artisti che da anni si dedicano all’e-
Sovrano spodestato e posseduto, splorazione delle infinite potenzialità di interazione tra mu-
preda di questa febbre auricolare, sica e parola, l’attrice Anna Proclemer e il pianista Antonio
sento il veleno pulsare e mi chiedo: Sardi de Letto.
“Musica, musica, Se la loro testimonianza ci conduce in un territorio lonta-
che vuoi da me?” no da quello della parola intesa come veicolo ermeneutico per
(p. 43). la comprensione della musica, occorre tuttavia sottolineare che
la loro esperienza artistica si distanzia anche dall’universo
della musica vocale, in cui la parola si trasforma in canto. Nel
canto, la parola viene magnificata non tanto come linguaggio,
ma semmai come affermazione di potenza, come esaltazione
dei valori mitici della viva voce, spesso a scapito di un velato
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 34

 ANNA PROCLEMER, ANTONIO SARDI DE LETTO QUANDO LA PAROLA DIVENTA UN PO’ PIÙ MUSICA... 

oscuramento del senso, di una certa opacizzazione del di- Pur collocandosi nell’alveo di una tradizione secolare e il-
scorso (Zumthor 1983, p. 221). La parola recitata, che nel lustre, il lavoro di Anna Proclemer (A. P.) e Antonio Sardi de
mantenere intatta la sua limpidezza non si disarticola nel can- Letto (A. S. d. L.) se ne distanzia in modo profondo e signi-
to, può invece ricercare nel contatto con la musica un reci- ficativo; piuttosto che dedicarsi all’esecuzione di melologhi
proco potenziamento e sostegno, nel segno di una conviven- di repertorio, essi preferiscono infatti esplorare le potenzia-
za pacifica che non implica necessariamente l’assimilazione di lità di incontro tra musica e parola recitata in una dimensio-
un sistema da parte dell’altro. Un equilibrio assai precario, ma ne autenticamente creativa. Procedendo in modo induttivo,
vagheggiato con particolare serietà di intenti da Jean-Jacques come in una vera e propria bottega artigianale, i due artisti
Rousseau, che giunse addirittura a codificare un nuovo genere realizzano audaci e inedite performance musical-recitate,
teatrale, il melologo, che trovò poi concreta realizzazione nel mettendo in campo tutto il bagaglio di esperienze professio-
suo Pygmalion del 1770: “Melologo – dal greco mélos, musi- nali maturate nei loro rispettivi ambiti di azione: l’esperien-
ca, e lógos, discorso – è il genere teatrale inventato da Rous- za di una grande attrice e quella di un raffinato interprete mu-
seau, nel quale l’orchestra dialoga con le parole dell’attore si- sicale, che nel dialogo che segue ci raccontano la storia di que-
tuato sul palcoscenico per esprimere con la musica i sentimenti sta singolare sfida artistica.
che lo commuovono” (Fétis 1830, p. 43).
Nel lavoro di Rousseau la musica non si sovrappone mai
alla parola, e il dialogo recitato si alterna al dialogo orche- Parole e musica, musica e parole
strale. Tuttavia, la funzione della musica è qualcosa che va al
di là di ciò che normalmente si intende per “musica di sce- A. S. d. L. Navigando nel tuo sito internet (http://www.an-
na”, e cioè di una serie di pezzi che si limitano a punteggia- naproclemer.it), in cui ricostruisci la tua autobiografia d’arti-
re la successione delle scene o a svolgere una generica fun- sta attraverso un gran numero di racconti, documenti e testi-
zione di ambientazione. Di fronte all’incapacità della parola monianze delle persone con cui hai lavorato nel corso della
di “dire tutto”, come spiega Rousseau alla voce “Attore” del tua carriera, ho notato una frase che mi ha molto colpito, e al
suo Dictionnaire de musique del 1767, la musica deve affian- tempo stesso gratificato: nella pagina dedicata ad Anna dei pia-
carsi alla parola per spiegare “sentimenti e avvenimenti”: noforti, lo spettacolo per voce recitante e pianoforte che ab-
non in termini generici o allusivi, ma “in modo molto circo- biamo ideato e realizzato insieme, con il contributo di Cesa-
scritto” (Rousseau 1775, pp. 39-40). re Scarton e Mauro Tosti-Croce, scrivi che si è trattato dell’“av-
L’idea di una musica che spiega la parola apre una pro- venimento artistico forse più soddisfacente, certo più ‘totale’
spettiva di grande interesse nella nostra riflessione sui rap- della tua vita”.
porti tra l’universo della musica e quello della parola. Nel cor-
so della storia, il melologo è stato coltivato da numerosi com- A. P. È la verità. Io adoro la musica, però non sopporto
positori, sia in forma di rappresentazione scenica, sia in ve- la musica come “sottofondo” delle parole. Il rapporto musi-
ste di miniatura da concerto: in particolare, il melologo per ca-parola è molto misterioso: trovo intollerabile il sentimen-
voce recitante e pianoforte ebbe particolare fortuna nell’età talismo musicale, e penso di aver cominciato ad apprezzare
romantica, attirando l’interesse di Schubert, Schumann, Li- veramente la musica solo quando ho iniziato ad ascoltare
szt, Wagner e addirittura di Nietzsche, che non disdegnò di Bach, e ho capito che cosa vuol dire “costruzione” musica-
cimentarsi nella composizione di musiche per la poesia Das le. D’altra parte, ho rincorso per tutta la vita la possibilità di
zerbrochene Ringlein di Eichendorff. lavorare a stretto contatto con dei musicisti. Il teatro l’ho sem-
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 ANNA PROCLEMER, ANTONIO SARDI DE LETTO QUANDO LA PAROLA DIVENTA UN PO’ PIÙ MUSICA... 

pre sentito un po’ stretto, e per un certo periodo ho amato bre, Lenore, non è altro che un groviglio di cavalieri, arma-
molto il Living Theatre, un’esperienza più totale che valorizza ture, fanciulle e alabarde, sullo sfondo di un neogotico im-
il corpo, la gestualità, l’espressività corporea. Mi sarebbe perante. In seguito abbiamo valutato la possibilità di dedi-
piaciuto poter usare la musica nel teatro, cantare, ma non ho carci alla Histoire de Babar di Poulenc, un pezzo davvero ric-
mai studiato canto, e penso che la base di tutto sia sempre e co di suggestioni musicali; ma alla fine abbiamo scartato an-
comunque l’artigianato, la bottega e la conoscenza specifica che quello perché, come ricorderai, non ci stimolava l’idea
di una materia. Ho fatto però molte esperienze come voce re- di lavorare su una storia per bambini – carina quanto si vuo-
citante in orchestra: ho iniziato con Pierino e il lupo di le, ma decisamente troppo melensa. E considerando che il re-
Prokof’ev, al Teatro delle Arti di Roma, nel 1945, con la di- pertorio dei melologhi orchestrali è di gran lunga più ricco
rezione di Franco Capuana. Fu un’esperienza sconvolgente: e interessante, mentre quello per voce recitante e pianofor-
la sensazione di stare in mezzo all’orchestra, avvolti dal suo- te non offre molte altre possibilità, ci siamo trovati davanti a
no, è completamente diversa da quella spettatoriale, perché un vero e proprio vicolo cieco; finché, fortunatamente, ci è
anche se stai in prima fila non sei veramente “dentro” il suo- venuto in soccorso Cesare Scarton.
no. Negli anni seguenti ho lavorato come voce recitante nel-
le Trachinie di Sofocle musicate da Pizzetti, in La Sagesse di A. P. Abbiamo coinvolto Scarton perché è l’autore di un
Milhaud, nel Peer Gynt di Grieg e L’Arlésienne di Bizet. Ho pregevole libro sulla tradizione del melologo (Scarton 1998).
sempre pensato, tuttavia, che per affrontare veramente la Dopo averci sottoposto altri melologhi romantici, musical-
sfida del melologo fosse necessario lavorare in modo più ap- mente interessanti ma con i soliti testi vecchi, datati e poco
profondito, attraverso un rapporto di collaborazione conti- convincenti, ci ha proposto un’idea folgorante: La pianessa,
nuativa con dei musicisti raffinati e sensibili come te, dispo- un racconto di Alberto Savinio (1999, pp. 591-606). Cono-
sti a rimettersi continuamente in gioco e a sperimentare fino scevo abbastanza bene il lavoro di questo artista: qualche an-
in fondo le possibilità di incontro tra musica e parola. no fa, in occasione di un convegno dedicato a Savinio orga-
nizzato dal Gabinetto Vieusseux di Firenze, Enzo Siciliano
A. S. d. L. In effetti, prima di iniziare a lavorare con te, mi chiese di preparare una lettura di testi; accettai con entu-
mi ero sempre concentrato sugli aspetti musicali del melolo- siasmo, e non solo per un debito di riconoscenza nei confronti
go, e non avevo mai preso in considerazione il punto di vi- di quest’archivio, che conserva tutta la documentazione re-
sta dell’attore. Ricordo che, nei nostri primi incontri, abbia- lativa alla mia carriera di attrice. Passai in rassegna gran par-
mo valutato innanzitutto la possibilità di dedicarci all’esecu- te degli scritti di Savinio e alla fine scelsi Isadora Duncan
zione dei melologhi di repertorio: la produzione in lingua ita- (1984), un testo che mi sembrava particolarmente adatto ai
liana è praticamente inesistente, ma in compenso ci sono miei registri espressivi. Savinio era nelle mie corde: scrive in
molti pezzi per voce recitante e pianoforte in francese e te- un italiano delizioso, e ho sempre ammirato la sua prosa co-
desco, in alcuni casi musicati anche da compositori impor- sì sapiente, fantasmagorica e surrealista; tuttavia, prima che
tanti come Schumann, Schubert, Wagner o Strauss. Tuttavia, me ne parlasse Scarton, non avevo mai letto La pianessa. Me
al di là della qualità delle musiche, ci siamo ben presto resi ne sono innamorata a prima vista. È la storia di una certa si-
conto di un tratto ricorrente in gran parte di questi pezzi, e gnorina Fufù, che dopo un’esistenza irreprensibile ma soli-
cioè della scarsa qualità dei testi letterari. Così abbiamo pre- taria, alla soglia dei cinquant’anni viene folgorata dall’ascol-
so in esame i melologhi di Liszt, musicalmente di un certo in- to del Don Giovanni di Mozart, che le rivela d’improvviso
teresse, ma con testi decisamente troppo datati: il più cele- “una vita tutta lindore e bellezza, tutta felicità e armonia”; nel-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 38

 ANNA PROCLEMER, ANTONIO SARDI DE LETTO QUANDO LA PAROLA DIVENTA UN PO’ PIÙ MUSICA... 

la speranza di rivivere quelle emozioni decide di acquistare noforti: e anche se la situazione d’insieme è magica, surrea-
un pianoforte, pur non sapendo suonare. Una volta sistema- le, i pianoforti si cimentano nell’esecuzione di pezzi molto
to in casa, il pianoforte si rivela tuttavia essere femmina, del precisi di Chopin, Liszt, Mozart e Pischna. In questo caso,
tipo che i “fabbricanti tengono in fabbrica per la riprodu- dunque, le musiche per realizzare i nostri melologhi ci veni-
zione”: la signorina Fufù è ben felice di trovare il suo salot- vano indicate dall’autore stesso.
to invaso da una nidiata di pianofortini neonati, fino a quan-
do due donne vengono a prelevarla per condurla a forza in A. S. d. L. Era un buon punto di partenza, ma il nostro
un’amena villa con giardino la cui finestra è tuttavia “qua- lavoro era appena all’inizio. Anche perché rimaneva aperto
drettata di solide sbarre”. Una storia incentrata sul pianoforte, il problema delle musiche per La pianessa, dove l’unico pez-
ma densa di umori dissacranti e brividi surrealisti: finalmen- zo menzionato è il duetto “Là ci darem la mano” dal Don Gio-
te, avevamo trovato il nostro testo letterario. vanni di Mozart. E così ci venne l’idea di ricorrere ai suoni
del Savinio compositore. L’archivio del Viesseux conserva una
A. S. d. L. A questo punto ci siamo trovati di fronte a due grande quantità di partiture, abbozzi e manoscritti inediti:
problemi: cercare altri testi da affiancare a La pianessa, dal dunque andai a Firenze, e con il consenso degli eredi potei
momento che la lettura di questo racconto non basta a co- consultare questi materiali e cominciare a trascriverli.
prire il programma di un’intera serata; e, soprattutto, trova-
re delle musiche da abbinare alla lettura del testo. È noto che A. P. Nel frattempo io continuavo a lavorare sui testi, in-
Savinio fu al tempo stesso scrittore, pittore, scenografo, re- sieme a Scarton e a un altro musicologo che avevamo coin-
gista e anche musicista. Tuttavia La pianessa è un racconto, volto in quest’avventura, Mauro Tosti-Croce. I racconti non
un’opera letteraria: per trasformarla in un melologo, dove- potevano essere recitati così com’erano: occorreva adattarli,
vamo essere noi a dargli una veste musicale. ridimensionarli e dare un taglio più teatrale a certi dialoghi.
Quando tutto il materiale fu assemblato, cominciammo a
A. P. Ci mettemmo subito al lavoro. Bisognava trovare al- provare. Da notare che lavoravamo senza alcuna commis-
meno altri due racconti che avessero per protagonista un sione, senza sapere come e quando il nostro lavoro avrebbe
pianoforte, e li trovammo proprio tra i testi di Savinio: Pia- potuto vedere la luce ed essere rappresentato.
nista bianco (1999, pp. 740-743) e Vecchio pianoforte (pp. 120-
124). Nel primo racconto, un raggio di luna illumina un pia- A. S. d. L. Avendo finalmente preparato un buon testo
noforte che all’improvviso si anima, e comincia a suonare da verbale, dovevamo cominciare a cucire addosso al testo – o
solo una carrellata di pezzi di Chopin. Anche il protagonista più esattamente addosso a te Anna, alla tua recitazione – un
del secondo racconto è uno splendido pianoforte da concerto, testo musicale. La musica del nostro melologo non è inin-
ormai logorato dall’uso, che viene venduto a una signorina terrotta, ma comunque c’è molta musica: ci sono momenti in
di buona famiglia: non sopportando il tocco di quelle mani- cui musica e parola vanno insieme, altri in cui la parola rimane
ne inesperte, in un moto di ribellione il pianoforte si alza a da sola. Per scegliere i pezzi e per decidere come collegarli
mezz’aria, rompe la vetrata della finestra e ricade fracassato ci sono volute tante prove. Eravamo capaci di stare ore e ore
sul terrazzo. Non so se l’autore abbia mai pensato a una rea- su due righe di racconto e poche note di musica. Nel caso di
lizzazione scenico-musicale di questi suoi racconti. Il dato in- Pianista bianco e Vecchio pianoforte potevamo utilizzare i
teressante, però, è che Savinio descrive con precisione qua- pezzi di repertorio indicati da Savinio, ma certo non pote-
si maniacale le musiche suonate da questi suoi strani pia- vamo eseguirli per intero: selezionare un frammento musicale
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 40

 ANNA PROCLEMER, ANTONIO SARDI DE LETTO QUANDO LA PAROLA DIVENTA UN PO’ PIÙ MUSICA... 

all’interno di un pezzo compiuto, e coniugare l’intervento merosi teatri in Italia e all’estero. Negli anni successivi ab-
musicale con la declamazione dell’attore senza determinare biamo lavorato spesso assieme anche in occasione dei tuoi re-
fratture o lungaggini all’interno della continuità narrativa, si cital di poesia, in tal caso eseguendo alcuni pezzi di reperto-
è rivelata un’impresa tutt’altro che facile e scontata. Abbia- rio in alternanza alla tua recitazione. Anche se dedichiamo
mo introdotto dei “personaggi” musicali, delle caratterizza- grande cura all’abbinamento di musiche e poesie, evitando
zioni: ad esempio, la signorina Fufù ha un suo tema, secon- qualunque soluzione banale e scontata, è evidente che que-
do un procedimento simile a quello utilizzato da Prokof’ev sto tipo di operazione ci appare meno stimolante dell’espe-
in Pierino e il lupo. Abbiamo sottolineato musicalmente cer- rienza del melologo. Abbiamo vari progetti in cantiere: for-
te particolarità della scrittura di Savinio, che spesso utilizza se, però, vale la pena menzionare almeno un’altra esperien-
dei piccoli jingle, delle interpunzioni: ad esempio, quando la za in questo campo, legata all’inaugurazione del K Festival
signorina Fufù, rivolgendosi alla pianessa dice “Avrà mica la con cui l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha voluto ce-
febbre?”, il pianoforte si produce in una piccola, straniante lebrare nel 2006 il duecentocinquantenario della nascita di
scala discendente. In generale, però, non abbiamo concepi- Mozart.
to gli interventi della musica come una sorta di complemen-
to descrittivo alla narrazione testuale. I frammenti musicali A. P. Il tema della serata era Don Giovanni. Anche in que-
che abbiamo ripreso dagli inediti di Savinio sono materiali so- sto caso, la prima difficoltà è stata quella di trovare un testo
nori di natura astratta, non tematici e non tonali, che pun- stimolante: ne abbiamo esaminati tanti, e alla fine la scelta è
teggiano il testo in modo rapsodico e imprevedibile, ampli- caduta su un racconto di Catulle Mendès, Don Giovanni in
ficando il surrealismo magico della narrazione. E anche la me- Paradiso (1885). È un Don Giovanni a lieto fine, riscattato
lodia di “Là ci darem la mano” di Mozart alla fine del rac- dall’abisso delle voragini infernali, che veniva accolto in Pa-
conto ho preferito armonizzarla in modo politonale spo- radiso dopo un giudizio severo grazie alla testimonianza di
standola nel registro acuto, dove il pianoforte acquista la so- una vecchia che, quasi centenaria, si ricordava di essere sta-
norità di un carillon malato. ta baciata da un giovane Don Giovanni. Egli aveva avuto un
atto di pietà verso questa donna vecchia, cadente, lussurio-
A. P. In generale, la nostra ricerca è stata guidata dall’i- sa, che era stata ricca ma aveva perso tutto per comprarsi sem-
dea che la musica non debba mai dare l’impressione di esse- pre più giovani amanti. Dormiva nelle strade, come una bar-
re un sottofondo. Provando e riprovando, abbiamo stabilito bona; viveva nell’ombra, con questa voglia dell’uomo, cer-
una serie di sincroni molto precisi e molto serrati, legati alla cando di abbrancare tutti quelli che passavano. Un giorno ve-
ritmica della declamazione e al diverso carattere degli inter- de passare un giovane, bellissimo: lui la guarda e la capisce.
venti musicali, che assumono di volta in volta una funzione Si avvicina, la cinge con le braccia, la porta nell’ombra e la
ornamentale, ironicamente descrittiva o totalmente stra- bacia. E allora questo Don Giovanni, che stava per essere
niante. Sono una perfezionista particolarmente pignola, ma condannato dal tribunale celeste, perché erano venute a te-
in questa avventura ho finalmente trovato dei collaboratori stimoniare contro di lui tutte le sue donne scarmigliate, se-
non meno pignoli di me. minude, bellissime, grazie a questo meraviglioso gesto di
pietà viene assolto.
A. S. d. L. I nostri melologhi su testi di Savinio hanno da-
to vita a uno spettacolo dal titolo Anna dei pianoforti, rap- A. S. d. L. Il racconto era molto bello e poi, come i testi
presentato al Teatro Argentina nel 2003 e poi replicato in nu- di Savinio, alternava parti ironiche a momenti di grande com-
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 ANNA PROCLEMER, ANTONIO SARDI DE LETTO QUANDO LA PAROLA DIVENTA UN PO’ PIÙ MUSICA... 

mozione. Per la scelta delle musiche abbiamo attinto esclu- una sua grande valenza retorica, è scultorea, soprattutto la
sivamente a Mozart, il cui repertorio pianistico è talmente va- tua, Anna. Ogni volta che dici qualcosa, puoi variare legger-
rio e vasto che si può veramente trovare di tutto. Abbiamo mente l’inflessione, il respiro, o aggiungere una piccola pau-
utilizzato frammenti tratti dalla Fantasia in do minore (non sa per sottolineare qualcosa di importante. Il musicista, so-
quella famosa, la K 457, ma la K 396, che è la trascrizione di prattutto quello classico ma non solo, è invece condizionato
una Sonata per violino e pianoforte), dalla Fantasia in re mi- dal rigore delle griglie, delle battute. Ciò che colpisce, nel-
nore, dalla Marche funèbre del Signor Maestro Contrappunto l’esecuzione di un grande interprete musicale, è la capacità
e la melodia di Ah, vous dirai-je maman. Quest’ultima è una di stare sempre un po’ prima o un po’ dopo, di non avere un
celebre canzone infantile che, eseguita in tempo lento, assu- down-beat costante e di riuscire quindi a cogliere di sorpre-
me un tono vagamente burocratico, e dunque ci è sembrata sa l’ascoltatore. Chopin suonava le sue mazurche in tempo
molto adatta a punteggiare gli interventi dell’avvocato di- 3/4, ma i critici del tempo si ostinavano a scrivere che le ese-
fensore. Trattandosi di un tema molto noto, il suo “travesti- guiva in 2/4: è incredibile come la percezione possa giocare
mento” parodistico, ottenuto attraverso un’esecuzione esa- scherzi del genere. Avvicinarsi al mondo della parola, per un
geratamente rallentata, veniva ad assumere una grande for- musicista di oggi, può forse voler dire recuperare quella fles-
za ironica. Per sottolineare il momento del bacio di Don sibilità interpretativa che, stando alle cronache dell’epoca, do-
Giovanni alla vecchia centenaria abbiamo utilizzato il se- vevano avere pianisti come Chopin e Liszt. Cominciare a
condo tema della Fantasia in do minore, una melodia parti- immaginare la musica come se fosse una poesia in prosa, con
colarmente struggente che riesce a creare un’atmosfera mol- una certa elasticità, facendola evadere dalla sua tendenziale
to particolare. isocronia.

A. P. Mi sono interrogata spesso, durante questi anni, sul A. P. Da parte mia, questa esperienza mi ha restituito una
senso di questa nostra accanita ricerca di un punto di incontro sorta di esaltazione, di potenziamento della parola. Amo la
tra la mia recitazione e la musica. E alla fine ho cominciato parola, e in particolare amo molto recitare i versi: ho una ve-
a immaginare il nostro lavoro come un matrimonio felice: non ra e propria religione del verso inteso come ritmica, come mi-
due metà che si uniscono, ma due unità che si uniscono. sura e come accenti. Non c’è forza al mondo che mi obbli-
Non perché abbiano bisogno di completarsi reciprocamen- gherà, durante una lettura di poesia, a non fare una cesura
te, ma semplicemente perché desiderano potenziarsi a vi- alla fine del verso, magari brevissima. Non apprezzo gli at-
cenda, come in una sorta di “uno più uno” che diventa due. tori che recitano i versi tutti in fila, come se fossero prosa.
Penso che se il poeta ha scelto di finire il verso in quel pun-
A. S. d. L. Credo che l’aspetto più affascinante e miste- to, l’enjambement con il verso successivo ha sempre un va-
rioso di questa nostra esperienza è che alla fine la parola di- lore espressivo enorme, e lo devi far sentire. Di conseguen-
venta un po’ più musica, e la musica diventa un po’ più pa- za la musica mi aiuta, dà nutrimento a questo mio culto del-
rola. La recitazione si trasforma, ma senza arrivare al punto la parola, ma solo se quest’unione è sostenuta da un lavoro
in cui la parola viene completamente svuotata di significato minuziosissimo; altrimenti si scade nella musica di arreda-
e diventa puro gioco sonoro; mentre allo stesso tempo an- mento che, come quella delle fiction televisive, riesce a evo-
ch’io, come musicista, ho l’impressione di diventare un po’ care solo uno standard di sentimenti, rivelandosi pleonasti-
narratore, e di cominciare a immaginare il mio lavoro di in- ca, inutile e troppo prevedibile.
terprete in chiave retorica, di oratoria musicale. La parola ha
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Formalismo e formalismo “arricchito”.


Appunti per un “discorso” sulla musica
Giampiero Moretti

Le riflessioni che seguono hanno un mero significato in-


terlocutorio, e nessuna pretesa di “scientificità”, special-
mente nel senso che le discipline storiografiche attribuisco-
no a questo termine. Si tratta soltanto, come dice il titolo, di
appunti, offerti per una eventuale discussione futura.
Giunto al penultimo capitolo del suo importante volume
di filosofia della musica, recentemente tradotto anche in ita-
liano, Peter Kivy rammenta a se stesso e ai suoi lettori che,
nel corso della sua disamina, una questione primaria è rima-
sta in sospeso. Tale questione concerne da vicino la “musica
puramente strumentale, che è connessa molto strettamente
alla tradizione musicale occidentale [e che] non è né quella
più comune né quella più popolare” (Kivy 2002, p. 300). In-
fatti, e Kivy lo aveva già sottolineato più volte nelle pagine
precedenti, “la maggior parte della musica del mondo, del
passato e del presente, è musica cantata, musica con un te-
sto che ha un significato” (ib.). La musica puramente stru-
mentale, invece, prosegue Kivy, “ha qualcosa di profonda-
mente enigmatico. È senz’altro un suono, un suono inten-
zionalmente prodotto affinché le persone lo ascoltino, con ra-
pita attenzione. È però un suono che, a differenza del lin-
guaggio scritto o parlato, non veicola alcun messaggio o si-
gnificato facilmente riconoscibile” (ib.).
La questione della “musica puramente strumentale” (spes-
so definita anche “musica assoluta”)1 viene affrontata da
Kivy, lungo tutto il suo studio, all’interno della prospettiva
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 46

 GIAMPIERO MORETTI FORMALISMO E FORMALISMO “ARRICCHITO” 

secondo cui “la musica assoluta è, per così dire, una specie la questione delle emozioni, le quali, ora “suscitate”, ora
di sintassi senza una semantica: è simile al linguaggio, ma non “espresse”, hanno costituito il territorio dell’espressività mu-
è un linguaggio” (p. 77). In tal senso, alla musica assoluta, sicale in quanto tale, quello attorno al quale ha ruotato la di-
mancando la parola, non sarebbe possibile applicare quel scussione sul “formalismo”.
principio narrativo-rappresentazionale che Kivy vede invece Ma procediamo con ordine: Kivy, ragionando attorno al-
potenzialmente attivo nella musica storicamente e tradizio- le diverse forme storicamente determinate di “filosofia del-
nalmente documentata, quella cioè che ha sempre avuto con la musica”, riporta per prime le posizioni di Platone e di
la parola un rapporto significativamente molto stretto, fina- Aristotele, secondo i quali, anche se con modalità diverse, la
lizzato a “dire” (rappresentare) qualcosa. musica, che in generale è considerata una scientia, esecuti-
Partiamo allora da questo semplice “dato”, a metà tra lo vamente rientra del tutto nella sfera dell’abilità tecnico-arti-
storico e il teorico: la questione del formalismo si intreccia gianale (p. 12) ed è, come ogni altra attività, guidata dal pa-
con l’evoluzione della storia della musica, la quale, tra Set- radigma mimetico-rappresentazionale; quest’ultimo, ecco il
tecento e Ottocento, porta alla configurazione sempre più de- punto qualificante per la teoria del formalismo in musica, è
cisiva della cosiddetta “musica assoluta”. Assoluta, ovvero: necessariamente, programmaticamente, inevitabilmente ri-
sciolta, forse persino liberata. Da cosa? Dalle parole? O non volto al piano emotivo della vita dell’uomo (pp. 20-21). In par-
piuttosto dall’orizzonte di un significato e dall’obbligo, dal- ticolare, e benché, com’è noto, le posizioni di Platone e di Ari-
la necessità dell’imposizione di comunicarlo? stotele siano in proposito un po’ differenti, la questione di
Nel suo testo, dal quale abbiamo preso le mosse, e che fondo, comune a entrambi, è se la musica sia “utile” o meno
continuerà a essere un punto di riferimento nel prosieguo di per lo sviluppo virtuoso del carattere del cittadino: entram-
questi nostri appunti, Kivy tratta la “musica assoluta” come bi ammettono infatti l’effetto della musica e del canto sulla
una sorta di eccezione rispetto alla “regola” della musica natura umana, sull’armonia che l’anima, tendenzialmente,
“cantata”, quella che ha cioè un rapporto tanto esplicito “dovrebbe essere”, e che prende forme diverse nel movi-
quanto apparentemente spontaneo con il linguaggio comu- mento emotivo cui la musica, come fenomeno, evento, la
nicativo, espressivo. Questo punto, essenziale nell’imposta- sottopone. Neppure per un attimo dunque, specialmente
zione di Kivy, ne costituisce, se non “la”, almeno un’impor- per Aristotele, entra in crisi lo schema imitativo-rappresen-
tante premessa teorica, e però inespressa. Tale premessa con- tazionale che è peraltro attivo (in maniera esclusiva) dall’età
siste nell’idea che l’opera d’arte, come caso particolare (an- antica fino all’età moderna e oltre.
corché storicamente determinato) del linguaggio, inteso in Utile, piacere, diletto, da un lato, e, dall’altro, il possibi-
senso ampio, debba essere necessariamente comunicativa ed le influsso sulla “virtù” come comportamento retto del cit-
espressiva. tadino, quindi, sul carattere e sull’anima (come un tutto po-
Non è certamente casuale che tale premessa rimanga ine- tenzialmente armonico ma soggetto a essere influenzato dal-
spressa, nel senso che essa venga come data per scontata e, l’impatto emotivo). Secondo Kivy (avviso che egli condivide
in maniera più o meno evidente, costituisca l’orizzonte in- con molti autorevoli studiosi):
terpretativo stesso del modo in cui Kivy ricostruisce lo svi-
luppo della storia della musica occidentale. Né, inoltre, è ca- c’è una continuità speciale tra la storia che comincia con Pla-
suale che comunicatività ed espressività, applicate all’ambi- tone e Aristotele e il revival delle loro teorie delle emozioni in
to musicale nelle varie forme del suo sviluppo storico, risul- musica nel tardo Rinascimento [allorché] un gruppo di nobili
tino a loro volta sempre poste in strettissima connessione con che diedero a se stessi il nome di “Camerata” [sostennero] che
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 GIAMPIERO MORETTI FORMALISMO E FORMALISMO “ARRICCHITO” 

il potere della musica di suscitare le emozioni umane risiede nel- ed emozioni, fin dagli albori del pensiero occidentale, han-
la rappresentazione, mediante la melodia, della voce umana no in effetti sempre rappresentato un vero e proprio enig-
parlante, quando essa esprime le diverse emozioni (pp. 21-22). ma. Da un lato, essendo dinamici e soggetti perciò a muta-
re continuamente, sono immediatamente apparsi come ciò
Nella sua ricostruzione, ermeneuticamente funzionale al- che intelletto e ragione, qualora ambiscano alla verità, nel
la propria tesi (il cosiddetto “formalismo arricchito” – senso di ciò che permane identico a se stesso, immutabile nel
enhanced), Kivy ascrive poi un ruolo essenziale alla specu- divenire, debbono evitare, fuggire. Di particolare significa-
lazione schopenhaueriana sulla musica, la quale, a suo di- to è, in tal senso, l’accostamento che il pensiero greco-occi-
re, ha spostato “le emozioni, di cui la musica è espressiva, dentale ha spesso individuato tra “divenire” e “femminile”,
dall’ascoltatore” collocandole “dentro la musica” (p. 27). In ma su quest’aspetto non è naturalmente possibile qui sof-
tal modo, prosegue Kivy (che naturalmente ritiene di aver fermarsi. D’altro canto, nell’ambito del paradigma dell’imi-
così spogliato la filosofia di Schopenhauer da tutti i suoi “or- tazione, mimetico, rappresentazionale, che è coerente e coe-
pelli” metafisici), alla musica in quanto tale – e alla musica vo a quello che fa della verità un’entità ontologicamente im-
strumentale in senso eminente – verrebbe ascritta, “come modificabile, il sentimento e l’emozione, a causa della loro
una proprietà percettiva, l’emozione di cui la musica risul- essenziale natura metamorfico-trasformativa, appaiono ine-
ta essere espressiva nell’ascolto” (p. 28). Anche da un pun- vitabilmente sfuggenti rispetto ai principi-base del paradig-
to di vista meramente cronologico, con l’accenno a Scho- ma stesso. Ma eccoci al collegamento sentimento-emozioni-
penhauer siamo giunti quasi agli anni della stesura del sag- musica. Cos’è che, in maniera privilegiata, ha “ancorato” la
gio di Hanslick Vom Musikalisch-Schönen, che è del 1854 e musica (ovvero il sentimento-emozione cui essa sembra dar
che costituisce, ovviamente, il retroterra teorico di ogni spazio) all’orizzonte della rappresentazione, di cui l’arte in-
formalismo in musica, anche di quello “arricchito” teoriz- tesa in senso tradizionalmente metafisico ha avuto necessità
zato da Kivy. per affermare il proprio statuto di “verità” (o quanto meno
Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco, di verosimiglianza)? Quasi certamente, la parola. Questa, nel
presente peraltro nella tesi e non di rado nelle stesse argo- corso dei secoli, e soprattutto nella forma della voce umana,
mentazioni di Hanslick: la questione del bello musicale non dotata di senso discorsivo, ha avuto il ruolo essenziale di fa-
è invero legata soltanto né a cosa il cosiddetto “romantici- re da ponte tra l’emozione-sentimento come dimensione
smo musicale” abbia sostenuto in proposito all’epoca, e mutevole e sfuggente, e la “realtà” esterna che, agendo sul-
neppure alla volontà di Hanslick di contestarlo. La que- l’interiorità dell’individuo, viene interpretata come la “cau-
stione va invece ricondotta alla riflessione sul rapporto tra sa”, il “motivo” dell’emozione stessa, quanto cioè la voce “re-
“sentimento”, “emozione”, da un lato, e “struttura dell’opera stituisce” in una – sia pure parziale, imitativa, rappresenta-
d’arte musicale” dall’altro. In tal senso (vale a dire: in un oriz- zionale – “verità”. Con il progressivo affermarsi della musi-
zonte ben più ampio e “attuale”), il libro di Hanslick è un ca assoluta, o strumentale, questo schema ermeneutico, qui
vero e proprio pretesto. La questione del “sentire”, centra- soltanto stilizzato, entra altrettanto progressivamente, ma de-
le in tutta la vicenda, assume l’aspetto ben più essenziale del cisamente, in crisi.
possibile rapporto tra l’essere umano (che “sente”) e il “mon- Prendiamo ora il seguente passaggio da uno degli scritti
do” (che “viene sentito”), un rapporto di cui – forse – l’o- universalmente ritenuti più “romantici” sulla musica, le Phan-
pera d’arte musicale “assoluta”, più che una testimonianza tasien über die Kunst di Wackenroder, pubblicate postume
in senso stretto, potrebbe essere un “indicatore”. Sentimenti da Tieck nel 1799:
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 GIAMPIERO MORETTI FORMALISMO E FORMALISMO “ARRICCHITO” 

Eppure in queste onde scorre propriamente soltanto il puro es- moniare che per Kant non si dà relazione essenziale tra l’uo-
sere [Wesen] senza forma, il moto e il colore e, soprattutto, l’in- mo che sente e il mondo. O meglio: resta il “sospetto” che un
finitamente mutevole passaggio delle sensazioni [Empfindun- qualche legame vi sia, ma è certo che di esso, per Kant, non
gen]: l’arte ideale, pura come un angelo, non conosce nella sua si può dare dimostrazione e che, anche in conseguenza di ciò,
innocenza né l’origine né lo scopo delle sue emozioni [Regun- di esso non si possa “dire” in quel linguaggio e con quel lin-
gen], non conosce il contatto dei suoi sentimenti [Gefühle] con
guaggio che la scienza utilizza.
il mondo reale (Wackenroder 1799, p. 128)2.
Ne deriva il carattere assieme fittivo e funzionale dell’o-
pera d’arte, un carattere se possibile esaltato e reso per così
Non v’è alcun dubbio che il nesso musica-sentimento-
dire esclusivo dall’aspetto “operativo” del sentire riflettente,
emozioni-sensazione sia qui evidenziato in tutta la sua por- un aspetto che storicamente viene infatti a presentarsi come
tata. Tale nesso, tuttavia, non deve oscurare quello che è il funzionalità/applicazione. Operando, il giudizio riflettente
perno essenziale della riflessione romantica, che è tale pro- non solo si attiva ma, in questo suo attivo operare, connette
prio perché non confinabile alla “musica”. il molteplice in un’unità della quale sente la bellezza come se
Individuiamo tale perno appena diciamo: nell’opera d’ar- essa poggiasse su di un tutto, una totalità: tale totalità è però
te – e spesso proprio nella musica – il romantico sente non “se “soltanto” l’animo umano stesso nel suo sentire (disancora-
stesso”, ma il “proprio” essere-nel-mondo. L’importanza – al- to dal mondo). Solo finché è operativo e funziona, tale sen-
meno per noi – di quest’affermazione si comprende appie- tire può perpetuare l’illusione del legame uomo-mondo; ap-
no appena ritorniamo sul terreno da cui, propriamente, sor- pena l’operatività, lo stimolo, potremmo anche dire, si in-
ge il formalismo di Hanslick e in cui il conseguente “forma- terrompe, il carattere fittivo dell’operare, e la sua inautenti-
lismo arricchito” di Kivy non può a sua volta non radicarsi: cità annichilente, emergono inquietanti. Convenzionalità e
Kant. Di più: persino il richiamo a Schopenhauer ne costi- linguisticità vanno a braccetto, e temono massimamente pro-
tuisce una riprova ulteriore, poiché l’eliminazione dal suo prio il silenzio misterioso di un’allusiva assenza di parole. Non
pensiero dei suoi presunti paludamenti metafisici, auspicata senza essersi chiesto in precedenza: “se dunque la musica non
appunto da Kivy, non significa altro che la riconduzione di ha la facoltà di esprimere [darstellen] il contenuto dei senti-
Schopenhauer alla sua stessa provenienza kantiana. Non è qui menti [Gefühlen], cosa può rappresentare [darstellen] di es-
necessario spendere troppe parole per ricordare quello che si?”, ed essersi risposto: “Solo la dinamica [das Dynamische].
è un po’ il vero punto di partenza di tutto questo discorso: La musica può imitare [nachbilden] il moto di un processo
si tratta del cosiddetto giudizio riflettente, da Kant lunga- fisico secondo le sue diverse fasi: presto, adagio, forte, pia-
mente indagato nella sua terza Critica, del 1790, e dagli sto- no, crescendo, diminuendo” (Hanslick 1854, p. 24); Hanslick
rici della filosofia della musica variamente messo in relazio- avrebbe di lì a un cinquantennio trasformato le “onde” di
ne alle riflessioni sulla musica coeve e posteriori. Se la re- Wackenroder nella sue ben note “forme sonore in movi-
flektierende Urteilskraft è certo tesa a risalire dal particolare mento”3, una definizione non soltanto ripresa ma, per sua
a un universale, essa è del pari destinata a “fingere” di rin- stessa ammissione, rafforzata da Kivy.
venire tale universalità nell’unità della natura (come forma: E tuttavia, che si tratti di un’imitazione o di una rappre-
e questa, per i romantici, ha nell’opera d’arte il proprio mo- sentazione, o infine di un’esposizione, o di altro ancora, non
dello più alto); essa sa, infatti, di poter trovare “soltanto” l’a- perde di rilevanza la domanda se la massa sonora in movi-
nimo di colui che sente (e riflette). In altre parole: la struttu- mento, come la musica viene all’incirca chiamata tanto da
ra, e il funzionamento del giudizio riflettente sono lì a testi- Wackenroder quanto da Hanslick e da Kivy, sia in una qual-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 52

 GIAMPIERO MORETTI FORMALISMO E FORMALISMO “ARRICCHITO” 

che relazione essenziale, vale a dire non puramente convenzio- l’autonomo operare del soggetto umano su e con quelle sen-
nale, con il “mondo” esterno al compositore4! Wackenroder, sazioni. Wackenroder e i romantici non compiono mai tale
come si vede dalla conclusione del passaggio che abbiamo passo, benché convengano con i formalisti sul fatto che la mu-
estrapolato, sembrerebbe negarlo; Hanslick e Kivy anche, sica non riproduce mai semplicemente, magari “imitandola
seppure con motivazioni e intenzioni diverse. In particolare, sentimentalmente”, la realtà esterna; a partire da quella ma-
Wackenroder collega la “massa sonora in movimento” a una linconica, costitutiva vicinanza, che è sì un rinvio al mondo,
soggettività sentimentale, quella dell’autore-esecutore-ascol- ma un rinvio in dissolvenza, essi hanno sempre parlato, in
tatore, cui egli attribuisce altresì il potere di alludere musi- massimo grado, di evocazione.
calmente al flusso ininterrotto dell’esistenza, la quale tuttavia Il “formalismo”, arricchito o meno, dà dunque voce al-
altrettanto costitutivamente non può che sfuggire, dissolver- l’ansia dell’uomo che teme che il mondo possa esser “risol-
si come sabbia nel vento (da ciò l’inevitabile accento malin- to” nel proprio sentire poiché al contempo sa di non essere
conico che accompagna per Wackenroder la musica). Han- in grado di sostenere tale “risoluzione”: ben lungi dal risol-
slick e Kivy, invece, riconducono la stessa “massa sonora in vere alcunché, la convenzionalità formalistica di fatto sanci-
movimento” a un’attività del soggetto umano (quella artisti- sce l’annichilimento del mondo (“esterno”), risolto appun-
co-musicale) incapace di “esprimere” o “rappresentare” in al- to nel sentire non più romantico ma ormai nichilistico del-
cun modo il flusso della realtà poiché da esso costituzional- l’uomo occidentale. Ritenere convenzionale, arbitrario, il
mente, volontariamente, separata, eccezion fatta per quella movimento del sentire corrisponde al gesto apollineo di for-
sensazione tramite la quale la realtà “esterna” influirebbe sul malismo e neoclassicismo, i quali, in musica, sembrano vo-
soggetto umano senza naturalmente che le corrisponda alcu- ler reagire all’angoscia muta della visione di un mondo ince-
na facoltà mimetico-rappresentazionale di rimando. nerito dal sentire dell’uomo, al quale appunto si vuole resti-
Cos’hanno in comune le due posizioni? Molto, tanto da tuire comunicativa e “parlante” realtà e verità, benché for-
aver costituito un formidabile intreccio ermeneutico proprio male, astratta, privata del legame essenziale che, pure, man-
nel testo di Hanslick: entrambe presuppongono una distan- tiene l’uomo nel mondo.
za ontologica del soggetto umano dal mondo. “Malinconi-
camente” ontologica è tale distanza per Wackenroder e per
i romantici; “felicemente” ontologica invece per l’asse Han- 1
Normalmente definita tale per il fatto di non trarre il proprio “contenu-
slick-Kivy, soprattutto perché consente loro di trasformare to” da fattori extramusicali in senso stretto, quali anche le parole, appunto, e
gradualmente la “struttura” musicale dell’opera, come di- spesso posta in opposizione, benché di fatto non sempre, con la cosiddetta “mu-
mensione (questa sì) autonomamente espressiva dell’inte- sica a programma”. Cfr. il bel saggio di Alessandro Bertinetto, P. Kivy e il di-
riorità del soggetto, in “convenzione” pura. In tal senso i for- battito sul “formalismo arricchito” (nella trad. it. di Kivy 2002, pp. 323-344).
2
Di cosa parla Wackenroder in questo capitoletto? Della massa sonora mu-
malisti, pur con tutta la prudenza del caso, appaiono forte- sicale come di qualcosa d’ineffabile, indicibile, irriducibile alla parola, sfuggente,
mente debitori della posizione di Hume nei confronti delle ma pure, in qualche modo, vero, reale.
3
discipline matematiche, le quali erano sì viste scaturire da una “Der Inhalt der Musik sind tönend bewegte Formen”, scrive Hanslick nel-
le prime pagine del capitolo terzo del suo testo.
qualche iniziale influenza sensibile operata dal mondo ester- 4
Per non parlare poi dell’esecutore e del suo ruolo; ma non intendiamo qui
no sul soggetto umano, ma che dovevano tuttavia la loro evi- aprire tale problematica.
denza e certezza-esattezza non a un’ipotetica riproduzione al
loro interno di rapporti esistenti nella realtà esterna, bensì
proprio alla loro convenzionalità di fondo, tutta legata al-
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Parte seconda
Spiegare la musica
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 56

Di una e molte divulgazioni


Arrigo Quattrocchi

Divulgazione italiana

“Esposizione di dottrine e nozioni specialistiche diretta a


un pubblico vasto e formulata con un linguaggio largamen-
te comprensibile”; così recita il Grande dizionario italiano del-
l’uso diretto da Tullio De Mauro, a proposito del termine “di-
vulgazione” (2000, p. 711). Se questa definizione è corretta,
e sostanzialmente lo è, si comprende come “divulgazione” sia
un termine tenuto in grande sospetto sia all’interno degli
ambienti dottrinari e specialistici, sia presso il vasto pubbli-
co destinatario della divulgazione stessa. Esso presume, in-
fatti, una concezione gerarchica e forse anche paternalistica
della trasmissione del sapere che, anche al di fuori di un con-
testo strettamente scolastico e di un rapporto docente-di-
scente, avviene ugualmente dall’alto verso il basso, dall’e-
sperto all’ignaro. In molti casi, forse la maggioranza, pre-
suppone anche una concezione della cultura come insieme
di valori predefiniti e scarsamente suscettibili di modifiche,
integrazioni, sviluppi.
Nel nostro paese, a questi legittimi sospetti si aggiunge
poi, da parte di chi si dedica ad attività di ricerca, un’ulteriore
reticenza nei confronti dell’impegno verso un’attività di di-
vulgazione; probabilmente perché questo comporta una con-
suetudine e una familiarità con strumenti come giornali, ra-
dio, televisione e prodotti editoriali da edicola che si collo-
cano nell’area dell’informazione e dell’intrattenimento, ben
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 58

 ARRIGO QUATTROCCHI DI UNA E MOLTE DIVULGAZIONI 

distante dall’accademica purezza della ricerca. Divulgare zioni”, ma anche semplicemente per l’ascolto. Divulgare,
dunque equivarrebbe, per molti, a sporcarsi le mani. dunque, non la storia o la tecnica della musica, ma la musi-
Questo è vero anche in ambito musicale, nonostante ca stessa, con l’obiettivo di ampliare le prospettive musicali
esista in Italia un’importante tradizione di docenti univer- di una fascia di ascoltatori, puntando direttamente sulla sen-
sitari impegnati nel giornalismo, che ha avuto gli esempi più sibilità di chi ascolta, invece che sulla sua preparazione; un
luminosi nelle figure di Massimo Mila e Fedele d’Amico. Il obiettivo che richiede progetti dedicati, e che ha origini piut-
disimpegno, spesso con risvolti snobistici, del mondo del- tosto antiche. Si può ricordare, a questo proposito, come la
la ricerca verso la divulgazione, ha come esito indiretto il fat- divulgazione della musica di Beethoven a Roma sia avvenu-
to che la divulgazione venga spesso affidata, in ambito edi- ta, assai più che nelle sale da concerto, grazie ai concerti del-
toriale, giornalistico e radiotelevisivo, a figure professiona- la banda municipale diretta da Alessandro Vessella che, ne-
li che non possiedono una preparazione specifica in ambi- gli ultimi lustri del XIX secolo, ogni domenica proponeva nei
to musicale e che offrono al pubblico più le proprie capa- suoi appuntamenti all’aperto esecuzioni anche parziali delle
cità di affabulazione che non un’effettiva competenza sugli nove Sinfonie, di fronte a un pubblico di migliaia di perso-
argomenti trattati. ne. Similmente, si può parlare di progetti di divulgazione per
Eppure, nonostante i sospetti legittimi, i rischi concreti e le molte iniziative che promuovono la partecipazione gratuita
gli esiti impropri che la divulgazione comporta – inclusa la o quasi del pubblico giovanile alle prove generali dei concerti
tendenza a identificare la musica da divulgare tout court con sinfonici, o a certe collane editoriali che propongono prima
la cosiddetta “classica” – c’è oggi in Italia un’assoluta neces- di tutto il supporto tecnico con la musica registrata, corre-
sità di divulgazione musicale. Questa necessità nasce da due dato di scarni testi illustrativi che sono solo accessori rispet-
distinti fattori. Da una parte il ruolo sostanzialmente extra- to alla musica stessa.
scolastico che la musica ha avuto e continua ad avere nel no- Un secondo tipo di divulgazione riguarda tutto ciò che
stro sistema formativo, per i motivi antichi e sempre attuali non è direttamente musica, ma piuttosto, seguendo De Mau-
che si possono far risalire alla riforma dell’ordinamento sco- ro, “dottrine e nozioni”; tutto ciò, insomma, che rientra nel-
lastico promossa da Giovanni Gentile e applicata, per la mu- l’ambito non tanto del suono, ma della parola. In questo ca-
sica, nel 1930; una riforma che ha tenuto fuori la musica dal- so ci si riferisce a fenomeni che riguardano principalmente
la scuola generalista, e che ha pensato per il musicista una for- la storia, l’estetica della musica e le discipline correlate, espo-
mazione tecnico-professionale priva di cultura generale. Se- ste “con un linguaggio largamente comprensibile”. La di-
condo fattore è la vastità della richiesta e del consumo mu- vulgazione, in questi casi, ha trovato le strade più disparate,
sicale nel nostro paese, alla quale corrisponde un forte desi- da quelle veicolate quasi istituzionalmente attraverso i cana-
derio di approfondimento dei fenomeni musicali. li più consueti del consumo musicale – guide all’ascolto di so-
cietà concertistiche, prodotti discografici e da edicola – a
quelle ideate ex novo per singoli progetti, supportati dal mer-
Divulgazione in musica cato musicale o discografico. Per non dire dall’emittenza ra-
diotelevisiva, quando questa si proponeva – sia pure secon-
La divulgazione in ambito musicale pone però delle que- do una prospettiva gerarchica degna dei giusti sospetti ai
stioni del tutto specifiche rispetto ad altri campi del sapere. quali sopra si accennava – compiti educativi.
In primo luogo è possibile parlare di divulgazione, in linea Occorre tener presente, tuttavia, che questo secondo am-
di principio, non solo per quanto riguarda “dottrine e no- bito della divulgazione musicale, ovvero il “parlare di musi-
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 ARRIGO QUATTROCCHI DI UNA E MOLTE DIVULGAZIONI 

ca”, può estendersi ben oltre le “dottrine e nozioni” e spin- scuna svolta secondo un progetto specifico che sceglie per
gersi verso un ulteriore obiettivo: la possibilità di oltrepassare ogni circostanza obiettivi e strumenti appropriati o anche, per
la storia, l’estetica musicale e tutto ciò che sta intorno alla mu- meglio dire, si adegua a obiettivi e strumenti predefiniti dal-
sica, per scendere nello specifico del fatto musicale attraver- le regole comunicative disegnate dal mercato.
so l’analisi del testo. È questo un aspetto del tutto particola- Il singolo progetto divulgativo si sviluppa nella maggior
re e problematico della divulgazione musicale. Già in linea parte dei casi intorno alla commercializzazione di un evento
di principio la musica è un sistema di segni che significa se musicale, sia esso un concerto dal vivo o un prodotto disco-
stesso, e cercare di spiegarne i contenuti attraverso un altro grafico; nascono così gli album e i fascicoli illustrativi del con-
sistema di segni, il linguaggio, è operazione legittima ma dal- tenuto dell’evento musicale. Si può trattare di libretti di po-
l’esito ambiguo. Ma la questione più delicata è quale uso si che pagine, come nel caso di un compact disc, o anche di ve-
debba fare, in sede divulgativa, di quel vocabolario elabora- ri e propri volumi contenenti numerosi saggi e corredati di
to nel corso di secoli di teoria, acustica, semiografia musica- una vasta documentazione iconografica, come nel caso dei
le, che costituisce un repertorio terminologico strettamente “programmi di sala” pubblicati da alcune fondazioni liriche.
specialistico e piuttosto criptico per i non edotti. Altra que- La formula più consueta, per un programma concertistico,
stione, ancor più delicata, è l’uso di “esempi musicali”, ov- è quella di un saggio principale che illustri sotto il profilo sto-
vero di frammenti di musica scritta utilizzati come riferi- rico, estetico e analitico i brani musicali proposti, secondo
mento diretto al fatto musicale: un riferimento che però ta- schemi che si ripresentano simili nella maggior parte delle cir-
glia fuori dalla comprensione quanti non abbiano familiarità costanze. Quale che sia il taglio e la qualità dei singoli con-
con la semiografia musicale. tributi realizzati dagli studiosi invitati a collaborare a questi
prodotti editoriali, il contenitore è in linea di massima pre-
definito e confezionato per le esigenze, vere o presunte, di un
Progetti di divulgazione utente-tipo.
Gli utenti, tuttavia, non sono tutti uguali e hanno, pro-
In apparenza un dato sembra incontrovertibile: quanto babilmente, esigenze differenti. Una grande istituzione come
più la divulgazione musicale evita di far riferimento ai fatti l’Accademia di Santa Cecilia, supportata da un pubblico fe-
interni alla musica e alla sua terminologia tecnica, tanto più dele, mediamente piuttosto appassionato e abituato a fre-
essa riesce a raggiungere un pubblico vasto. Di qui la do- quentare molte decine di concerti in un anno, pubblica testi
manda: occorre dunque rinunciare al proposito di usare ter- divulgativi certamente più lunghi e complessi di quelli editi
mini tecnici e di scendere nello specifico del fatto musicale, dall’Ort-Orchestra della Toscana: un’istituzione che, paral-
limitandosi a considerazioni di tipo storico ed estetico? O non lelamente ai concerti nella sede fiorentina, svolge una vasta
è invece questa rinuncia un’effettiva abdicazione agli obiet- attività di “divulgazione” – nel senso, in questo caso, di sem-
tivi propri di una reale divulgazione? La questione è cogen- plice proposta dell’ascolto – in molti piccoli centri della re-
te e non fittizia; tuttavia, porla in termini così netti può di- gione; e si può ipotizzare – sfidando il sempre incombente
mostrarsi sbagliato. L’attività di divulgazione non segue, e non rischio di paternalismo – che l’ascoltatore di Figline Valdar-
può seguire, formule sempre uguali, ma deve adattare i pro- no abbia abitudini e curiosità diverse da quello della capita-
pri contenuti e il proprio linguaggio agli obiettivi che si pre- le. Ma lo stesso ascoltatore della capitale ha un profilo sfug-
figge e ai destinatari che intende raggiungere. Non esiste, in- gente. Il recente trasferimento dell’Accademia di Santa Ce-
somma, una sola divulgazione, ma molte divulgazioni, cia- cilia nella nuova sede del Parco della Musica ha attirato un
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 62

 ARRIGO QUATTROCCHI DI UNA E MOLTE DIVULGAZIONI 

pubblico nuovo, mediamente più giovane e meno abitudi- breve analisi, a partire dalla quale mettere in luce un qualche
nario. Di qui la difficoltà di individuare un utente-tipo e l’e- elemento significativo del brano e del suo autore. La difficoltà
sigenza, non sempre soddisfatta, di creare materiali divulga- di questa rubrica consisteva nel tentare di abbozzare un’a-
tivi polidirezionali. La necessità di molte “divulgazioni” si po- nalisi musicale facendo a meno di esempi musicali scritti e ba-
ne, dunque, anche all’interno di una medesima realtà. sandosi dunque su qualità e dettagli del tutto riconoscibili al-
Definire progetti divulgativi su misura per una determi- l’ascolto: la forma, il ritmo, il timbro, la strumentazione, il rap-
nata utenza è dunque una sfida che richiede al divulgatore la porto testo-musica; non l’armonia, il contrappunto e altre
capacità di guardare con equilibrio a molti opposti fattori: i questioni strettamente tecniche. La seconda rubrica, detta
limiti e gli obiettivi imposti da un modello di comunicazio- “parola chiave”, sceglieva invece un termine tecnico-musicale
ne che segue direttamente o indirettamente le regole del che avesse una qualche attinenza con il programma del con-
mercato; l’individuazione di una fascia d’utenza alla quale ci certo, e ne illustrava il significato. Il numero singolarmente
si vuole rivolgere; la definizione di un codice comunicativo alto di lemmi scritti nel corso dei vari anni durante i quali chi
pensato su misura per l’utenza. Quest’ultimo punto, spesso scrive è stato responsabile di questa rubrica, ha portato in se-
non sufficientemente valutato, è in realtà estremamente rile- guito a un nuovo progetto: una raccolta in volume di tutti i
vante. Esso riguarda, nel caso di un testo scritto, l’imposta- testi e, con l’aggiunta di nuovi lemmi, la pubblicazione di un
zione di un progetto grafico, un’eventuale scelta iconografi- piccolo lessico musicale di cento parole (Quattrocchi 2003).
ca e, soprattutto, l’uso del linguaggio, la scelta di un registro La difficoltà posta da questo lemmario risiedeva essenzial-
stilistico. Nell’esperienza di chi scrive, è proprio l’uso della mente in un paradosso: cercare di spiegare dei termini tec-
lingua l’elemento centrale che ha consentito ad alcuni pro- nici senza fare ricorso ad altri termini tecnici. Il destinatario
getti divulgativi di cogliere obiettivi non disprezzabili. Potrà dell’esperimento era un ipotetico utente dotato di cultura ge-
essere utile fare riferimento ad alcune di queste esperienze. nerale, interesse e passione per la musica, ma non di una pre-
parazione specifica; una tipologia di destinatario, dunque, po-
tenzialmente molto più vasta dell’ascoltatore dell’Accade-
Esperienze di divulgazione mia Filarmonica. Occorreva però individuare un codice di co-
municazione che evitasse programmaticamente i tecnicismi:
All’inizio degli anni Novanta l’Accademia Filarmonica di qui la scelta di facilitare la comprensione di alcuni termi-
Romana, istituzione concertistica della capitale, decise un ni attraverso il parallelo con significati extramusicali e asso-
restyling dei propri programmi di sala che interessò non so- ciazioni logiche con altri campi del sapere; o ancora, la scel-
lo la veste grafica, ma anche i contenuti. L’obiettivo era quel- ta di descrivere solo i procedimenti compositivi evidenti al-
lo di proporre al pubblico delle letture di approfondimento l’ascolto, evitando riferimenti a fenomeni che non possono
che, pur rimanendo per motivi di costi limitate all’interno di essere rilevati a prescindere da un’analisi della partitura mu-
una sola pagina, potessero aiutare il lettore a entrare nello spe- sicale. Altro obiettivo era quello di non far apparire la mate-
cifico della materia musicale. Era un’iniziativa tutto somma- ria musicale come una verità rivelata, ma piuttosto di mostrare
to coraggiosa, perché si muoveva in direzione opposta a una come la terminologia rifletta una classificazione piuttosto ri-
semplificazione dei contenuti che interessava tutto il mondo gida di concetti che hanno invece subito molte oscillazioni nel
della comunicazione musicale. Vennero così create due ru- tempo e nello spazio.
briche fisse; la prima, detta “microscopio”, sceglieva un det- Un’altra recente esperienza compiuta da chi scrive nel
taglio di una delle partiture in programma per compierne una campo della divulgazione si è sviluppata secondo premesse
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 ARRIGO QUATTROCCHI DI UNA E MOLTE DIVULGAZIONI 

radicalmente opposte rispetto a quelle della “parola chiave”. tutt’altro che neutrale, dal momento che lo sviluppo della no-
Nel 2005 la società Musica per Roma, che ha in gestione tazione ha influenzato in modo sostanziale e profondo gli esi-
l’auditorium Parco della Musica, ha promosso un progetto ti della creatività musicale. Al di là del contenuto del volu-
editoriale volto a diffondere la cultura musicale fra i giovani me, particolare cura è stata dedicata alla parte iconografica,
partendo, come fascia d’età, dagli studenti della scuola se- pensata in stretta relazione con il testo; all’impostazione gra-
condaria superiore. Il volume, finanziato dalla Provincia di fica, che prevedeva in ogni pagina una fascia laterale dove col-
Roma, è stato distribuito gratuitamente in alcuni istituti sco- locare degli “ipertesti” di approfondimento; alla scelta del re-
lastici del territorio (Quattrocchi 2006). gistro stilistico, improntata a bandire ogni ostentazione e a
L’aspetto più stimolante di questa proposta era la possi- privilegiare semplicità e chiarezza nella sintassi e nella ter-
bilità di elaborare un progetto nella più totale libertà d’azione. minologia.
La difficoltà maggiore consisteva nell’individuare una for- È curioso che entrambi i volumetti, risultati di due espe-
mula che potesse risultare interessante per un teenager: seb- rienze di divulgazione così dissimili, siano stati impiegati co-
bene rivolto a un’utenza scolastica, infatti, il volume non do- me libri di testo all’interno di alcuni corsi universitari di sto-
veva essere un libro di testo. L’idea di impostarlo come una ria della musica. Un fatto che può essere interpretato come
storia della musica, dunque, era bandita a priori. Occorreva, sintomo di una permanente criticità nella diffusione della
piuttosto, adottare una prospettiva opposta: tenere sempre cultura musicale in Italia. Questa criticità richiederebbe un
presente la musica più familiare per la realtà giovanile, per impegno più specifico e più fantasioso, all’interno e all’e-
spiegare come certi meccanismi e determinate questioni le- sterno dei binari imposti dal mercato, da parte di quanti
gate alla musica di oggi affondino le loro radici in molti se- operano professionalmente nell’ambito della cultura musi-
coli di storia musicale. Emblematico il caso di una canzone cale; uno “sporcarsi le mani” – come si diceva all’inizio – nel-
vincitrice del Festival di Sanremo, a partire dalla quale è sta- la divulgazione, anzi nelle divulgazioni, necessario per tutti
to possibile proporre sia un’analisi della sua logica interna gli uomini di buona volontà.
(basata sull’alternanza strofa-ritornello) sia una riflessione
sul rapporto testo-musica, per poi passare a dimostrare, at-
traverso una serie di esempi, come il rapporto fra parola e mu-
sica sia stato uno dei fenomeni più importanti e complessi del-
la storia musicale. La stessa canzone ha offerto la possibilità
di affrontare il problema del rapporto fra arte e mercato, fra
libera creatività e condizionamenti del sistema produttivo:
una prospettiva che ha consentito di sviluppare una panora-
mica articolata di tutti i principali fenomeni musicali del No-
vecento, legati in modo determinante allo sviluppo dei mez-
zi di riproduzione. Attraverso le tecniche di registrazione, og-
gi siamo in grado di “fissare” la musica su supporti di vario
genere: partendo da questa semplice considerazione, è stata
introdotta una riflessione sulla funzione della notazione mu-
sicale, che per molti secoli ha rappresentato l’unico mezzo uti-
le a “fermare” la musica; un mezzo, anche in questo caso,
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 66

2008. La critica senza i critici


Giordano Montecchi

La critica, etimologicamente inscindibile dalla nozione di


crisi (“crisi” intesa nel suo senso originario e pregnante di de-
cisione, scelta), è facilmente risucchiata nello stereotipo del-
la “perenne decadenza”, che tende a glorificare il passato e
a deprezzare il presente. È significativo che, in tempi recen-
ti, la critica cosiddetta militante (o “gazzettiera” per chi la
spregia) questo esercizio non lo svolga tanto sulle opere o su-
gli interpreti (i quali, anzi, più famosi sono, più ricevono ac-
coglienze trionfali), bensì su se stessa, denunciando il fatto
che sulla stampa, e in particolare sui quotidiani, sarebbe or-
mai in via d’estinzione quel genere letterario e giornalistico
che è (o era) la recensione.
Questa supposta decadenza riguarda sostanzialmente
quella critica “che ha per sede i giornali” e che nel 1936 Lui-
gi Dallapiccola liquidava come “critica di seconda categoria”,
da tenere ben distinta da quella critica viva e illuminante che
in ogni epoca storica rappresenta una “ammirevole attività
spirituale” (Dallapiccola 1936, p. 213).
Le scarse credenziali della “critica gazzettiera” hanno or-
mai una lunga tradizione. I compositori, e più in generale gli
artisti del XX secolo, hanno tutti dedicato pagine all’ottusità
dei critici, categoria con la quale avevano evidentemente uno
scarso feeling e che Schönberg non a caso raffigurava con un
volto orecchiuto e deforme. Dal canto suo, Adorno ha nei
confronti della critica giornalistica parole di fuoco. Ai suoi
occhi i critici mestieranti, che a causa della loro incompetenza
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 68

 GIORDANO MONTECCHI 2008. LA CRITICA SENZA I CRITICI 

abbassano l’approccio conoscitivo al falsificante edonismo pare come il “modello paradigmatico di questo nostro uni-
della music appreciation e si piegano alla politica del proprio verso in moto, dove la realtà è un rapporto”.
giornale, sono complici della sistematica falsificazione che la La frase conclusiva di Mila suona avveniristica per la cul-
società amministrata opera nei confronti dell’arte: “il non ca- tura italiana dell’epoca: affermare che “la realtà è un rap-
pire diventa un giudizio: la falsità del critico si rafforza con porto” significa destabilizzare il realismo idealista, osando
il risentimento di colui che giudica non intendendo” (Ador- un’apertura nominalistica al cui sbocco c’è quella concezio-
no 1962, p. 185). ne relazionale del senso e del valore, quel confronto fra es-
La collezione d’improperi rivolti alla critica si è arricchi- senzialismo e relativismo che è al centro del dibattito esteti-
ta di pari passo con le profonde trasformazioni del proprio co e ideologico della nostra epoca e che, in campo musicale,
oggetto. Un secolo o due fa si approvavano o biasimavano le ha molto da dire proprio in merito alla critica.
creazioni di compositori vivi e vegeti: il nuovo quartetto di In anni più recenti, si deve a Paolo Mieli l’affermazione
Beethoven, la nuova sinfonia di Brahms, la nuova opera di secondo cui “la recensione non è una notizia” (Martino 2003,
Verdi o di Stravinskij. Oggi i giornalisti musicali si guada- p. 54), frase che ha legittimato la Realpolitik della stampa ita-
gnano il pane descrivendo il Brahms di Carlos Kleiber, il Ba- liana, tendente a eliminare dalle pagine di cultura e spetta-
ch di Andras Schiff, l’ennesima Bohème messa in scena da Ti- coli questo genere di articoli, tanto costosi in termini di rim-
zio, diretta da Caio, cantata dal soprano e dal tenore di tur- borsi spese quanto, a giudizio di direttori e capi servizio, di
no. La critica è ormai diventata critica della performance; il scarsa audience.
che, secondo una consolidata tradizione di pensiero, rap- Identificare la critica musicale con quel piccolo genere let-
presenta una missione di serie B rispetto alla sua vocazione terario ricco di storia che è la recensione è tuttavia miope sia
originaria: in una prospettiva epistemologica, sia in una prospettiva sto-
rica. La critica musicale, in effetti, non s’identifica né si risolve
Ma questo interprete, in fin dei conti, cosa fa? Crea o non crea? certo nell’attività di un tizio pagato da un giornale per scri-
La sua opera è pari o no a quella dell’artista creatore?. Oh bel- vere le sue opinioni sulle musiche che ascolta. Esiste, o al-
la, è chiaro che chi interpreta l’op. 111 fa cosa diversa da ciò che meno è esistito, un paradigma illuminista della critica, e nel-
fece Beethoven quando l’inventò. Crea? Mah! (...) Certo che se la fattispecie della critica musicale, per il quale la funzione di
Dio creò gli uomini e questi poi si limitano a riprodursi, è da diffondere conoscenze e opinioni sulla musica in una società
temer forte che l’interprete non crei, ma soltanto riproduca che ne consumava avidamente in misura sempre maggiore era
(Mila 1946, p. 170). fondamentale e forse anche imprescindibile. Nell’epoca del-
la carta stampata, la critica musicale si è dedicata con impe-
Così Massimo Mila nel 1946, svolgendo una tematica for- gno e spesso in modo ammirevole a un compito tutoriale for-
temente radicata in seno al pensiero idealista. Ma appena sei se illusorio: educare all’ascolto, ovvero costruire un tessuto
anni più tardi lo stesso Mila, interrogandosi sul valore del- sociale nel quale la musica trovasse accoglienza adeguata al-
l’interpretazione, trova una risposta ben diversa: laddove “il le aspettative dei suoi creatori. Più verosimilmente, si tratta-
realismo aristotelico e tomistico scorgeva qualcosa di fermo, va del tentativo di costruire un nuovo sistema in grado di sur-
solido, fisso e immutabile”, la moderna filosofia della scien- rogare un ordine preesistente nel quale la musica, in quanto
za vede al contrario “un moto perpetuo d’elettroni, neutro- riservata all’élite aristocratica, si rivolgeva a un pubblico as-
ni e protoni”. In virtù di ciò, conclude Mila (1952, p. 181), sai scelto e competente, che aveva una notevole dimesti-
“la vita dell’opera d’arte musicale nell’interpretazione” ap- chezza con la pratica e il linguaggio musicali.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 70

 GIORDANO MONTECCHI 2008. LA CRITICA SENZA I CRITICI 

Nella musica d’arte occidentale, il rimpianto di questa polverizzate, onnipresenti e anonime (e dunque implicita-
condizione non è mai venuto meno, accentuandosi semmai mente dogmatiche), che accompagnano la divulgazione dei
quando l’avvento dei nuovi mezzi (e dei nuovi modi) di co- prodotti musicali di qualsiasi genere. Dall’edicola alla rete, in
municazione ha inferto un colpo fatale alla speranza illumi- questa miriade di testi generalmente non firmati e totalmen-
nista di pilotare l’educazione degli uomini verso il progres- te di riporto, transita un’informazione che è la negazione stes-
so. Pur con qualche eccezione, i mass-media del XX secolo sa della critica: una divulgazione purgata da ogni dubbio cir-
hanno progressivamente accantonato l’idea di elevare il livello ca l’incontestabile veridicità di narrazioni i cui giudizi di va-
culturale della popolazione (un’idea da sempre sottilmente lore sono smerciati tout court come giudizi di fatto.
sovversiva), adattandosi per lo più a divenire strumenti pro- Dedurre tuttavia da queste circostanze la sparizione della
mozionali al servizio di un’industria culturale bisognosa di un critica sarebbe una conclusione indebita. Il fatto che il gior-
mercato facilmente disponibile alle proprie strategie di ven- nalismo musicale odierno, ivi incluso il giudizio del critico, sia
dita o di mezzi efficaci per il trattamento dell’opinione pub- diventato una componente essenziale del marketing del pro-
blica. Sui giornali, alla radio, in televisione, la critica musicale dotto musicale, non preclude una superstite autonomia. Quan-
è stata così tendenzialmente rimpiazzata da un giornalismo do trova spazio, il critico competente (e coraggioso) ha davanti
musicale che, sotto una residuale parvenza di autonomia, a sé quasi intatto il margine per svolgere la sua tradizionale fun-
opera in modi intrinsecamente propagandistici rispetto al- zione di commento e valutazione. Se non che, ammesso che tro-
l’oggetto di cui si occupa. vi spazio, questa funzione è adesso quasi completamente neu-
La preferenza che i quotidiani accordano (specialmente in tralizzata: com’è noto, in termini di risonanza mediatica, stron-
Italia) alla presentazione dell’evento anziché alla recensione si care o magnificare fa poca differenza, anzi talvolta le stronca-
colloca evidentemente su questa linea di marketing della noti- ture più feroci si rivelano un’ottima forma di réclame. La re-
zia. Di fatto la recensione scompare, vuoi per scelte redazionali, censione peggiore per il teatro o per la casa discografica è una
vuoi per intrinseca debolezza di un settore che, accentuando un sola: quella che non esce; un principio, questo, che personal-
dato comune al giornalismo italiano nel suo insieme, non ha i mente ho sempre tenuto in gran conto.
mezzi e forse neppure l’autorevolezza per tutelare la propria au- Su un altro piano, spesso il tramonto della critica militan-
tonomia e indipendenza: la famosa “schiena dritta”. te viene addebitato al fatto che oggi i giornali preferiscono par-
La sentenza di Adorno sulla musica inesorabilmente tra- lare di rock, di cantautori, di dischi o di festival televisivi, piut-
sformata in merce (tutta la musica, non solo la cosiddetta tosto che della nuova composizione di Sciarrino o dell’ultima
“musica di consumo”) colpisce, prima ancora che la musica registrazione di Gardiner. Ma un’analisi del genere pecca di
stessa, l’indotto che ruota attorno ad essa e, in primis, l’idea superficialità, e in più scambia la causa con l’effetto. Lo spa-
di una critica musicale autonoma, al servizio del bene co- zio dato alla popular music non è la causa dell’emarginazione
mune. Non si tratta tanto di un tradimento dell’originaria mis- della musica “classica” e della “sua” critica, bensì l’effetto di
sione della critica musicale propriamente intesa (forse una un turn-over epocale, imponente quanto disorientante in ma-
missione impossibile), quanto dello svelarsi di una contrad- teria di egemonia culturale nel campo della musica.
dizione presente forse fin dal suo sorgere in una critica bor- Echeggiando implicitamente questo disorientamento, An-
ghese che si credeva autonoma senza esserlo. tonio Serravezza definisce la critica musicale “uno strumen-
Divenuta superflua e anzi d’impaccio al sistema mediati- to per soccorrere l’esperienza musicale nelle sue incertezze,
co, la critica è stata abbondantemente rimpiazzata da un’infor- nel suo difficile accesso alla sfera dei significati”; come gui-
mazione capillare, una catena d’intermediazioni linguistiche da attraverso un’epoca di crisi, in cui la musica va incontro
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 72

 GIORDANO MONTECCHI 2008. LA CRITICA SENZA I CRITICI 

a un “offuscamento di significati” (Serravezza 2003, p. 20). zione non corrispondente ai propri giudizi di valore spacciati
La critica, come un’“estetica applicata”, servirebbe dunque come giudizi di fatto.
a eliminare le incertezze, e a riguadagnare la certezza del te- Recentemente, il settore della musica classica ha compiu-
sto e dei suoi significati. to alcune brillanti operazioni di marketing, riuscendo con
Di quest’offuscamento fa parte anche quel processo di Abbado, Pollini e altri a piazzare qualche prodotto nelle clas-
crescente eterogeneizzazione del panorama musicale che ha sifiche dei dischi più venduti e a incrementare la propria quo-
messo e mette tuttora in seria difficoltà sia l’estetica sia la cri- ta di mercato. Ma i cori di giubilo che ne sono seguiti, quasi
tica, attestate sul già solido basamento costituito dal canone si trattasse di una vittoria del bene sul male, della civiltà sul-
della musica d’arte. In Analyse und Werturteil, Carl Dahlhaus la barbarie del pop, hanno più a che fare con un preconcet-
(1970, pp. 16-17) scrive: to ideologico che con la critica. Fra industria del disco e show
business, il margine di autonomia di un critico rock, vezzeg-
Credere che, dal punto di vista estetico, la “norma di gruppo” giato dalle majors o dai press agent delle rockstar, non è in-
per la quale una canzonetta [Schlager] rappresenta la quintes- feriore a quello del critico di classica, al seguito della tournée
senza della musica e una sinfonia di Beethoven un vuoto fra- internazionale di quest’artista o di quell’orchestra nei panni
stuono abbia lo stesso diritto all’esistenza di quella opposta, è
dell’inviato embedded. Inoltre, i giornalisti e i critici musica-
un errore e un’illusione, in quanto i giudizi di fatto che sono al-
la base delle due non sono ugualmente fondati. Un ascoltatore li, di qualsiasi genere si occupino, utilizzano ormai categorie
capace di rendere giustizia a una sinfonia di Beethoven, infat- e metafore in gran parte analoghe nel motivare il perché del-
ti, è generalmente anche in grado di cogliere l’obiettiva realtà le loro opinioni e valutazioni. Tuttavia, mentre la critica del-
di una canzonetta, ma non viceversa. la popular music soffre un problema di legittimazione – aven-
do come principale handicap una stampa fortemente condi-
Un’affermazione del genere, sottolinea Nicholas Cook zionabile dall’industria – la critica della serious music vive so-
(1999, pp. 256-257), suona oggi inaccettabile, in quanto tra- prattutto il problema della propria emarginazione che, con
sforma criteri analitici circoscritti in criteri universali, in base una buona dose di fondamentalismo, viene rappresentata per
ai quali emettere un giudizio estetico anche su linguaggi diversi, l’appunto come il declino generalizzato della critica.
a cui questi criteri non si applicano. Si tratta dello stesso tipo Eppure, mai come oggi, indipendentemente dalla carta
di errore da cui scaturisce il fondamentalismo religioso: l’idea stampata – basti pensare a quel proliferante, affascinante e
che il mio linguaggio contenga e consenta di afferrare tutta la insidioso mondo del fai-da-te della comunicazione (e della cri-
realtà possibile e che, pertanto, ciò che non può essere detto tica) che è oggi la rete – gli strumenti a disposizione dell’a-
con tale linguaggio semplicemente non esista. Giudizi estetici scoltatore per conoscere e farsi una propria opinione sono sta-
formulati su base analitica, come quelli di Schenker, Dahlhaus, ti così numerosi e differenziati: dal gossip, alla critica ideo-
Lerdahl, Narmour, hanno spesso secondo Cook un carattere logica, alla pura propaganda. Mai come oggi l’idea filantro-
di fondamentalismo, che è poi nient’altro che la messa in pra- pica della critica illuminista ha raggiunto il suo scopo, anche
tica di una concezione essenzialista: considerare come univer- se al ribasso: proprio nel momento in cui la comunicazione
sale la realtà descritta dal proprio linguaggio. L’idea diffusa che e la divulgazione sono alla portata di tutti, esse gettano la ma-
la critica si stia dissolvendo muove da un’analoga nozione di schera e svelano la propria natura asservita.
critica onnisciente, fondata sul canone della musica d’arte eu- Ben al di là dell’ignavia dei giornali, dei loro direttori e dei
ropea e sul connesso statuto disciplinare della musicologia loro acquirenti e, non di rado, degli stessi critici, il declino del-
scientifica: una critica che reputa inconsistente ogni altra op- la critica musicale consiste principalmente in un’ampia redi-
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 GIORDANO MONTECCHI 2008. LA CRITICA SENZA I CRITICI 

stribuzione di mansioni e di competenze, ed è strettamente che i paradigmi scientifici della musicologia possano tenere
connesso alla crisi storica avviatasi un secolo fa con l’avvento conto degli input della critica militante anziché viceversa.
della riproduzione sonora e dei mass media. Crisi positiva, in- Questa ipotesi contiene una dose sufficiente di relativismo per
tesa come processo di trasformazione che colpisce in primis le giustificare gli allarmismi circa la fine di un sistema plurise-
forze produttive, palesemente sempre più in difficoltà nel te- colare retto da regole salde e condivise, e per il quale la cri-
nere il passo con i cambiamenti, e in secondo luogo colpisce tica musicale ha ricoperto valorosamente l’ufficio delle pub-
la musicologia stessa, nel suo statuto di disciplina scientifica. bliche relazioni.
Sempre più surrogata ed esautorata sul terreno della di- E tuttavia, tanto nel sistema più strettamente regolamen-
vulgazione, la critica ritrova oggi la sua identità e la sua fun- tato quanto in un contesto più instabile, la critica non viene me-
zione più che mai insostituibile nella sua complessa relazio- no alla sua missione se conserva la sua natura di linguaggio
ne con la musicologia. Kantianamente parlando, la critica mu- creativo, in bilico fra ermeneutica e letteratura, e sensibil-
sicale ha come suo compito ulteriore e forse primario una fun- mente “altro” rispetto ai paradigmi scientifici dell’analisi. Tut-
zione epistemologica: tenere sempre aperta l’istruttoria nei ti possiamo convenire che “le argomentazioni del critico sono
confronti di una musicologia il cui orizzonte disciplinare ap- tanto più persuasive quanto più si nutrono di contenuti scien-
pare sempre più scientificizzante, e che intende fornire alla tifici” (ib.); e tuttavia questa è una condizione né necessaria,
critica stessa i suoi presupposti e regole. né tantomeno sufficiente: “in ultima analisi la vera funzione del
A questo proposito, un’interessante definizione della cri- critico non è quella di enunciare giudizi veri, ma quella di ela-
tica è offerta da Mario Baroni a partire dai concetti di micro- borare e fornire argomentazioni persuasive utili per sostenere
ambiente (ad esempio una comunità scientifica: musicologi- le proprie opinioni e per divulgare i propri gusti” (p. 40).
ca nel nostro caso) e macro-ambiente (la società) formulati Oggi la critica militante che pretenda di esercitarsi uni-
da Abraham Moles nella sua Sociodinamica della cultura (Mo- camente sul testo o sull’interpretazione di esso fallisce la sua
les 1967). La critica musicale opererebbe come “una sorta di missione, e forse per questo non trova più udienza, ormai im-
interfaccia fra l’ambiente specialistico e la società”, ovvero co- possibilitata ad affermare la propria diversità rispetto al-
me una “cinghia di trasmissione” a “doppio percorso: fra la l’informazione promozionale. Di fronte a una grande o pic-
produzione del sapere musicologico e la società nel suo com- cola produzione, si tratti di una nuova composizione, un
plesso, e viceversa fra le esigenze della società e i campi di ri- concerto, un’opera o un’uscita discografica, la valutazione
cerca che esse più o meno implicitamente sollecitano” (Ba- non può limitarsi al piano stilistico o interpretativo. Il signi-
roni 2003, p. 35). ficato di quel prodotto musicale, ovvero la continua rise-
“A chi parla il critico?” ci si chiede spesso. Chiaramente mantizzazione di quel testo e della sua performance, si defi-
al volgo, se la critica è intesa nei tradizionali termini di “di- nisce nel rapporto con un contesto fatto di ricezione e di gu-
vulgazione”. Tuttavia, intendendo la critica come una sorta sto ma anche, a monte di essi, di politiche culturali, logiche
di mediatore culturale, se non il lettore ideale quantomeno commerciali, background ideologici. Oggi, per il bene del-
il lettore più attento del critico diventa proprio il musicolo- l’ascoltatore e della comunità, compito primo della critica non
go, la cui ricerca si farà tanto più viva e interessante quanto è tanto raccontare la regia di Ronconi, lo Strauss di Thiele-
più sarà sensibile e consapevole “delle necessità sociali di cui mann, l’opera nuova di Wolfgang Rihm, le improvvisazioni
la critica è portatrice” (p. 41). estatiche (o forse le estasi improvvisate) di Keith Jarrett. Og-
Se il valore di un oggetto estetico si definisce anche in re- gi la critica è chiamata a una diversa e più complessa opera-
lazione a un contesto, acquista allora un fondamento l’idea zione ermeneutica, individuando come le qualità degli even-
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 GIORDANO MONTECCHI

ti musicali si collocano in un quadro non solo estetico, ma an- Le guide all’ascolto


che culturale e, in ultima analisi, etico. Di fronte all’ennesi- Massimo Acanfora Torrefranca
mo allestimento di un titolo operistico di routine, così come
al recital del grande interprete ormai in disarmo o all’opera
nuova commissionata, l’oggetto del giudizio critico non è
più solo l’astratta qualità artistica o interpretativa del pro-
dotto, ma anche le relazioni fra quell’oggetto estetico, il con-
testo micro o macro e la ricezione che ne deriva. Questo si-
gnifica che la critica non può non entrare nel merito delle scel-
te delle direzioni artistiche, dei criteri di spesa o delle stra-
tegie di comunicazione. In altre parole, proprio in virtù del
peso che la musica riveste nel quadro dell’industria cultura-
le, la critica nell’indagare l’estetico non può ignorarne le im- Guide all’ascolto. Ovvero i libretti che accompagnano
plicazioni di natura politica e culturale. Nel momento in cui CD, DVD, programmi di sala e pubblicazioni in serie destina-
la critica si sottrae, o viene per così dire “sottratta” a que- te alle edicole. È una definizione problematica, quella di
st’obbligo, smarrisce la sua ragion d’essere. “guide all’ascolto”: chi guida chi, e in funzione di cosa? Se-
Ci si può chiedere se valga la pena battersi perché la “cri- condo gli schemi e le convenzioni correnti, la risposta sem-
tica del giorno dopo” recuperi spazio sulle pagine dei gior- bra ovvia: il critico, il musicologo “laureato”, prende per
nali. Difficile fornire una risposta. I massmedia (TV, grande mano l’ascoltatore o meglio il fruitore (di un concerto, di un
stampa, persino la radio) sembrano ormai aver fatto la loro disco, di un’opera lirica in teatro o in DVD, di un prodotto da
scelta, estromettendo come superflua, priva d’interesse o ad- edicola) e lo porta all’interno del giardino incantato del pez-
dirittura indesiderabile una critica editorialmente non alli- zo musicale o musical-teatrale, dell’Opus. Quest’ultimo si
neata. Senza dubbio una critica musicale in grado di pren- dispiega comunque di fronte agli occhi e alle orecchie del frui-
dere posizioni forti, e di mettere in discussione gli stereotipi tore; ma i suoi significati autentici, il suo nocciolo, apparter-
e le falsificazioni quotidiane dello star system, richiede le rebbero alla dimensione di un hortus conclusus, o meglio, di
spalle robuste di un giornalismo e di un sistema dell’infor- un hortus deliciarum, uno spazio semi-inaccessibile di con-
mazione che oggi in Italia semplicemente non esistono. Ri- templazioni e godimenti del quale solo gli illuminati (i criti-
dotto a controinformazione, a blog o quant’altro, oggi l’e- ci, i musicologi) possiedono la chiave di accesso. È da un’im-
sercizio critico ha effettivamente a disposizione contesti nuo- postazione di questo genere che nasce l’equivoco della “di-
vi e diversi – la rete in primis – dove vigono modalità preca- vulgazione”, denunciato per quel che è dall’etimologia stes-
rie, velleitarie e incontrollabili, ma non di rado incisive nel- sa: una serie di verità benignamente rese pubbliche e porta-
la loro superstite funzione di Aufklärung. Certo la partita è te al volgo. Una concessione non richiesta, un atto paterna-
importante. Per la riconquista di uno spazio adeguato sui listico, dall’alto in basso.
mezzi di stampa, decisiva sarebbe la presenza di critici mu- Ci troviamo dunque di fronte a tre idee strettamente cor-
sicali capaci di imporsi in virtù della loro elevata statura in- relate: il sapere musicologico sarebbe indispensabile alla frui-
tellettuale, alta qualità letteraria e inflessibile autonomia di zione, e senza di esso anche l’atto dell’ascolto diverrebbe
giudizio. Come Fedele D’Amico, Massimo Mila e pochissi- inutile; questo sapere andrebbe “tradotto” dall’alto al basso,
mi altri. Purtroppo la categoria sembra in via di estinzione. secondo una linea discendente; tale processo verrebbe a con-
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 MASSIMO ACANFORA TORREFRANCA LE GUIDE ALL’ASCOLTO 

figurare un modello di trasmissione del sapere che si fonda cato come motore sostanziale di ogni operazione; e che, co-
sul trasferimento di concetti mediante meccanismi di ridu- sì facendo, si sottrae la produzione di senso attorno agli even-
zione (tali che anche una materia alta possa toccare un suo- ti musicali all’investigazione critica (in senso adorniano), o an-
lo basso). che semplicemente alla possibilità di svincolarla da una lo-
Questi schemi, adottati in modo più o meno consapevo- gica utilitaristica. Questo è vero, ma è mia ferma convinzio-
le ed esplicito, sono a tutt’oggi molto diffusi: rispondono a ne che in generale, in tutti i campi, nulla si possa fare o in-
una visione della cultura sostanzialmente paternalistica, bea- traprendere – neppure, per assurdo, un semplice atto di-
tamente ignara delle ricerche sui modelli della comunicazio- struttivo, di mero sabotaggio – senza avere prima acquisito
ne e del tutto inconsapevole dei meccanismi di mercato. Ri- una precisa coscienza di come funzionano le cose.
correndo a un’analogia, si potrebbe dire che questi schemi Il primo punto da chiarire è che oggi un evento, un og-
sono tuttora ancorati all’idea di una cattedra, sia pure me- getto, un’opera (musicale o no) che non sia funzionale a un
diatica e non reale, posta su una pedana assai più alta rispetto progetto di comunicazione è come se non esistesse. La co-
ai banchi ove siede il pubblico, e dalla quale discende una ve- municazione, in tutte le sue dimensioni, è il perno centrale
rità. La verità a sua volta è esplicata in guisa di concatenazioni intorno al quale si articola non solo la nostra realtà, ma an-
o accostamenti di concetti (la contestualizzazione storica ed che la nostra percezione della realtà, la nostra possibilità di
estetica) e di parametri analitici (i termini, o meglio, le cate- interagire con essa. Quando parlo di comunicazione, non in-
gorie del discorso musicologico), secondo le modalità proprie tendo meramente i mezzi di comunicazione, ma l’atto stesso
della comunicazione verbale, organizzata a partire dalle re- del comunicare – informare, trasmettere, trasferire idee ed
gole di un’esposizione logica. esperienze, creare contatti, circuiti, reti. La comunicazione è
Si potrebbe partire da qui per interrogarsi sul modo mi- una dimensione talmente centrale della nostra realtà da aver
gliore di trasmettere il sapere, chiedendosi ad esempio se lo ormai ribaltato i tradizionali parametri del rapporto fra pro-
schema logico-esplicativo, che risponde a una visione tas- duzione di merci e informazione. Da diversi anni, la comu-
sonomica della materia (la musica) e del discorso su di es- nicazione e i suoi meccanismi non sono più semplicemente
sa, sia l’unico praticabile, o se non ve ne siano piuttosto di al servizio delle operazioni di mercato, ma sono diventati il
più efficaci; o ancora, se l’adozione di questo o quello sche- perno delle operazioni di produzione e di mercato. Non si sce-
ma non debba essere preceduta da una valutazione delle glie prima un prodotto da imporre – non necessariamente da
competenze e delle abitudini culturali dei destinatari. Co- vendere – e poi si cercano le migliori strategie per farlo co-
sì facendo, però, si eludono le domande più importanti: se noscere e apprezzare. È piuttosto vero il contrario: prima si
si debba necessariamente parlare di una “trasmissione del determina cosa si voglia comunicare e poi si crea un prodotto
sapere” o non, piuttosto, di qualcosa d’altro; se non occorra compatibile con gli obiettivi di comunicazione. Sembra un ro-
prima interrogarsi sui modelli della comunicazione odier- vesciamento paradossale, forse in parte lo è.
ni; o forse, ancor prima, sul funzionamento dei meccanismi Non è più l’apparato pubblicitario e di marketing a do-
del mercato. ver vestire il prodotto di un’immagine accattivante e con-
Questi ultimi due termini – modelli comunicativi, mec- vincente: i creativi di turno non intervengono a posteriori, una
canismi di mercato – sono oggi legati in modo inscindibile, volta che il prodotto è finito, ma devono piuttosto contribuire
e determinano strettamente anche la domanda culturale e i a decidere quale sia l’idea, il progetto, la sensazione da co-
suoi andamenti. Si potrebbe obiettare che in questo modo si municare. Il prodotto finito sarà poi l’espressione concreta
assume l’orizzonte odierno quale limite invalicabile, e il mer- di quell’idea, di quel progetto, di quella sensazione. A quel
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 MASSIMO ACANFORA TORREFRANCA LE GUIDE ALL’ASCOLTO 

punto interverranno gli apparati della comunicazione – ver- ferte all’ascoltatore (amplificazione tale da consentire di co-
bali, visivi, sonori – e i loro canali: pubblicitari, soprattutto, gliere e apprezzare in dimensione macroscopica dettagli an-
ma anche esplicativi. A questo si aggiunga che spesso – lo ve- che piccoli, modifiche sia pure modeste del suono per ac-
dremo nel caso del disco – il supporto tecnico, il medium, non cordarlo al gusto personale, ripetizione ad libitum di ogni ese-
si limita a proporre modalità di consumo e fruizione ben de- cuzione e di ogni suo particolare). Il disco offriva all’artista-
finite, ma assurge anche al ruolo di contenuto della comuni- interprete l’opportunità di dar vita alla sua esecuzione idea-
cazione. Non esattamente secondo la celebre formula di Ma- le, di tradurre il suo approccio alla pagina scritta in una realtà
cLuhan – il mezzo è il messaggio – ma certo secondo moda- trascendente perfino le sue capacità fisico-musicali; l’ascol-
lità che lo rendono co-protagonista, in un intreccio di ruoli tatore non solo era reso partecipe e complice di questo so-
difficile, se non a volte addirittura impossibile da districare. gno avverato, ma aveva la facoltà di adattare questa inter-
Se entriamo in questa logica, possiamo comprendere qua- pretazione ideale ai suoi parametri sonori preferiti, di scom-
le distanza siderale ci separi dalla possibilità di divulgare e gui- porla e ricrearla a suo piacimento grazie alle apparecchiatu-
dare; ma possiamo anche renderci conto di come la visione re stereo allora in circolazione. Comprare un LP era qualco-
tradizionale, che considera la musica d’arte di tradizione sa di più dell’acquisto di un’interpretazione: equivaleva piut-
scritta come un oggetto meraviglioso e ignoto ai più, da far tosto a entrare in possesso d’un feticcio dotato di un’aura in-
conoscere cavalcando le più sofisticate e moderne tecniche commensurabile, quella dell’esecuzione primigenia, del fe-
dei media, rappresenti sostanzialmente un’impostazione fuo- notipo di una lettura della pagina. Si diveniva automatica-
ri bersaglio. Sarebbe invece necessario decidere a priori che mente partecipi di un non-evento eccezionale (l’ecceziona-
cosa si vuol proporre attraverso una stagione d’opera o di lità risiedeva piuttosto nell’oggetto) che paradossalmente,
concerti, una serie particolare di eventi, un singolo avveni- nonostante la sua filiazione dalle tecniche della serialità in-
mento musicale, un disco, un sito internet: quale idea della dustriale, si configurava quale unico e irripetibile. Di fronte
musica, quale esperienza, quale concetto o categoria si vuol a tale unicità assoluta, il concerto dal vivo non poteva che pre-
comunicare. Dopo aver effettuato questa scelta, sarà possi- sentarsi quale pallida approssimazione rispetto all’assoluto
bile determinare in concreto quale pezzo o opera, quali in- dell’interpretazione definitiva – o comunque, come qualco-
terpreti, in quale cornice e formato; e solo a questo punto si sa di molto diverso.
apriranno le opzioni relative ai diversi contesti comunicativi Il disco, insomma, grazie alla tecnologia impiegata per la
e ai rispettivi sistemi. sua produzione comunicava un’idea precisa della musica e
Un esempio particolarmente calzante è legato all’oggetto dell’esecuzione, era il veicolo e il supporto di quell’idea: lo
disco, anche per la sua natura di merce tangibile, prodotta a faceva in virtù di sue caratteristiche intrinseche? Solo in
fini di profitto. Nell’era dell’LP, e segnatamente a partire da- parte, dal momento che in realtà fu l’industria discografica
gli anni Settanta, il disco era divenuto per molti il mezzo che a decidere di sfruttare certi tratti distintivi del supporto di-
proponeva l’esperienza di ascolto più profonda e completa. sco ai fini di un progetto comunicativo e commerciale mol-
Le possibilità tecniche offerte all’artista-interprete in fase di to preciso.
registrazione, montaggio e missaggio finale (dar vita a infinite Fra gli artisti che meglio compresero, assecondarono e
esecuzioni del medesimo pezzo e di ogni suo frammento co- perfino crearono questa tendenza va annoverato certamen-
stitutivo, montaggio di takes da diverse registrazioni, modi- te Herbert von Karajan, pioniere anche nell’esplorare le pos-
fiche del suono attraverso il lavoro dei tecnici alla consolle, sibilità offerte dal mezzo audio-visuale. La sua terza serie
definizione di parametri sonori ideali) erano pari a quelle of- dell’integrale sinfonico beethoveniano con i Berliner Philhar-
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moniker (Deutsche Grammophon, 1982-85) – in questo ca- sto che ciò fosse possibile. Spogliato della sua connotazione
so la scelta del repertorio è perfettamente funzionale, anzi di oggetto “unico” legato a un progetto comunicativo forte,
quasi obbligata, alla luce del senso di tutta l’operazione – fu inscindibilmente legato alla tecnica utilizzata, il supporto CD
registrata in digitale e filmata. La regia del film è centrata sul- si è ridotto a essere un veicolo di musica registrata, inter-
l’idea del direttore-demiurgo che, assorto a occhi chiusi, fa cambiabile con qualunque altro supporto più pratico e ma-
scaturire il suono dal nulla. La macchina da presa con i suoi neggevole. Il riproduttore discman ha preso subito il posto
movimenti gira, come vi fosse imperniata, attorno al direttore. del walkman a cassette; ma era destinato a sparire presto, tra-
Viene privilegiato il particolare, il crine dell’arco su una cor- volto dai riproduttori digitali. I quali hanno inevitabilmente
da, il polpastrello sul pistone o sulla chiave, quasi che l’or- spalancato la porta alla frammentazione della domanda, del-
chestrale non esistesse, le sue appendici corporee ridotte a l’offerta, della proposta in generale. Nello spazio di pochi an-
meri strumenti del demiurgo. Il corposo libretto illustrativo ni, la rivoluzione di internet, del consumo musicale parcel-
contenuto nel cofanetto di LP presenta una disamina musi- lizzato e casuale, ha trovato l’industria impreparata perfino
cologica delle Sinfonie di Beethoven che ben si adatta alle rispetto alle novità precedenti, e ha determinato cambia-
scelte interpretative di von Karajan, un ricco apparato foto- menti ancor più drastici.
grafico e iconografico e un’intervista-conversazione con il La proposta musicale si è frammentata nella dimensione
maestro, che si dilunga su una serie di dettagli tecnici della dei tracks scaricabili: ne è conseguita una frammentazione del-
partitura piuttosto problematici, e sulle conseguenti solu- la comunicazione, una sua parcellizzazione estrema, integra-
zioni esecutive da lui approntate. Si tratta di dettagli diffici- ta strettamente alla parcellizzazione ed alla frammentazione
li da individuare perfino per gli addetti ai lavori: gesto ma- della fruizione dell’opera musicale.
gistrale di un artista che ha indirizzato tutta l’operazione a Parcellizzazione e frammentazione caratterizzano anche
esaltare il suo ruolo di inavvicinabile sacerdote e creatore, in la tipologia dell’offerta radiofonica in buona parte dei paesi
un quadro che ha molto del sacrale e che, con l’aria di ren- industrialmente avanzati, speculare – per necessità e per ca-
dere partecipe il pubblico dei più riposti segreti della sua cu- so – alla tipologia dell’offerta commerciale su internet, non-
cina, in realtà ne nasconde ancor più la natura e gli scopi. Dal ché al modello di ascolto proposto dai nuovi mezzi digitali
quadro che ho descritto, si deduce chiaramente che ci tro- di riproduzione come l’iPod. Ne consegue una forte crisi
viamo di fronte a un preciso, lucido progetto comunicativo, del concetto di unitarietà dell’opera musicale da parte dei
realizzato su supporti e media diversi, accompagnato da ap- fruitori di musica. Ne consegue anche una più radicale dif-
parati iconografici, esplicativi, “divulgativi” perfettamente ficoltà da parte di molti, che pure sarebbero interessati alla
sincronizzati con gli obiettivi dell’operazione. musica d’arte occidentale, ad accettare la sua proposta me-
Il CD, il cui avvento fu decisamente sospinto e caldeggia- diante il solo veicolo del concerto, con tutto il suo inevitabi-
to fra gli altri proprio da von Karajan, ha dato all’industria le corollario di ritualismi formalizzati. Discorso molto ampio,
discografica un periodo di eccezionale boom economico, ma che apre una dimensione problematica enorme e decisiva: qui
è stato presentato soprattutto come il supporto tecnico “eter- mi limito soltanto a indicarla.
no”, venuto a colmare le falle tecniche, di resistenza nel tem- Tornando al nostro particulare, quale ruolo, quale confi-
po e di durata complessiva, tipiche dell’LP. L’industria non gurazione si può progettare per gli apparati esplicativi che sia-
ha saputo, non ha potuto, non ha neanche avuto il tempo di mo soliti accompagnare a qualunque proposta musicale?
configurare il CD quale portatore di un progetto comunica- Occorre garantire, innanzitutto, la loro piena integrazione a
tivo più vasto: non l’ha saputo investire di alcuna aura – po- un progetto comunicativo che deve collocarsi prima, a mon-
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te, dell’offerta e della proposta. Ciò comporta un forte cam- spensabili, scritti in un linguaggio chiaro, facile da com-
biamento nel ruolo professionale di coloro che operano in prendere, veloce da scorrere.
questo settore: passare dalla mera esecuzione, sia pure alta- Con il modello pedagogico della lezione si sottovalutano
mente specialistica e complessa, di compiti limitati – rivesti- le capacità di comprensione e di orientamento del pubblico.
re di parole dotate di senso le molte pubblicazioni, trasmis- Errore paternalistico, ben conosciuto da chi si sia mai impe-
sioni, articoli che si accompagnano a ogni concerto, spetta- gnato in operazioni di primo avvicinamento all’ascolto criti-
colo, disco – alla progettazione globale della comunicazione co, dove i fruitori si rivelano quasi sempre ben più svegli e
di ogni evento-oggetto-proposta, nel senso fin qui spiegato. in gamba di quanto il “docente” supponga. Come se non ba-
Occorre poi intervenire sull’integrazione di tutti gli appara- stasse, con il modello dominante si mortifica la possibilità di
ti esplicativi e propositivi – testi, immagini fotografiche o vi- scegliere fra vari approcci e percorsi ermeneutici, fra diver-
deo, pubblicità, eventi volti alla pubblicizzazione – in modo se chiavi di lettura. Far parlare con intelligenza i documenti
tale che ogni aspetto della comunicazione sia funzionale al storici, la letteratura, l’arte visiva, la saggistica, spesso risul-
progetto globale. ta molto più gradito al pubblico, che ha così l’opportunità di
Rimane una domanda di fondo, pressante, urgente: tut- spaziare di volta in volta fra interpretazioni diverse. Un ap-
to ciò cambia anche ciò che potremo scrivere o dire sulla mu- proccio certo tendenzialmente paratattico, mentre lo schema
sica? La risposta è un deciso sì. A ben guardare, come ac- della lezione è o dovrebbe essere sintattico. Un approccio, so-
cennavo all’inizio di questo contributo, il modello domi- prattutto, che privilegia l’accostamento e l’analogia rispetto
nante negli articoli, nei libretti, nei programmi di sala, nelle alla deduzione. È questa la tendenza che si può notare in non
presentazioni radiofoniche e televisive, rimane sempre quel- pochi programmi di sala e libretti per CD prodotti negli USA
lo della lezione, con il suo apparato discorsivo improntato a e in Germania, dove l’autore si limita a poche informazioni
una successione logica e articolata di argomenti, dove ogni essenziali, a un’analisi precisa e sintetica, lasciando poi par-
passaggio è propedeutico al successivo. Lezione che spesso lare, attraverso citazioni scritte e proposte visive, i contesti
– penso ai programmi di sala delle istituzioni operistiche e culturali e artistici capaci di investire, ciascuno con il proprio
concertistiche italiane – assume le dimensioni imponenti di fascio di luce, l’opera proposta. In coerenza naturalmente con
un piccolo corso universitario monografico. gli obiettivi di comunicazione prescelti. In pieno accordo, so-
Tutto ciò presuppone che chi si appresta a entrare in una prattutto, con il carattere frammentario e multimediale che
sala da concerto o in un teatro, chi sta ascoltando la radio la comunicazione ha assunto; e in piena sintonia con le ca-
in macchina o si accinge a guardare un concerto in televi- pacità di discernimento di intere generazioni, abituate nel mi-
sione, chi sta per indossare le cuffie dell’iPod o per seder- gliore dei casi a una piena equivalenza di diverse grammati-
si di fronte al proprio stereo, abbia il tempo, la voglia e la che e di diversi linguaggi, nel peggiore a una più grande fa-
freschezza mentale necessari a metabolizzare una sorta di miliarità con ciò che è visivo piuttosto che con apparati lo-
piccola dispensa da secondo ciclo di laurea. Presunzione ec- gico-discorsivi.
cessiva, fondamentalmente sbagliata. Al termine o al prin- Tutto ciò non mortifica a mio parere la professionalità e
cipio di una giornata di lavoro, perfino nel corso di un fi- la centralità del musicologo impegnato nelle “guide all’a-
ne settimana, queste condizioni non sussistono. I ben più scolto” (che spero saranno chiamate da noi tutti in modo di-
pratici britannici, olandesi, israeliani, americani, perfino i verso): per far fronte alle sfide odierne della comunicazione
tedeschi, si limitano a proporre – per le sale da concerto e occorre molta più padronanza della materia musicale, una
per i teatri d’opera – poche informazioni e supporti indi- maggiore capacità di analisi delle opere, una cultura assai più
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 86

 MASSIMO ACANFORA TORREFRANCA

vasta e raffinata, e competenze comunicative maggiormente L’ipertestualità come strumento per la trasmissione
estese; infine, si rivelano indispensabili una grande familia- dei saperi musicali: un’esperienza in corso
rità con linguaggi diversi e soprattutto una profonda cono- Talia Pecker Berio, Cecilia Panti
scenza dei meccanismi del mercato. Sarà questione di gusti
e orientamenti personali, ma a me queste paiono sfide piut-
tosto interessanti, se non addirittura eccitanti.

Negli ultimi decenni, le pubblicazioni musicologiche di


qualità si sono moltiplicate nel segno dell’approfondimen-
to e di una crescente specializzazione dei diversi settori e del-
le aree tematiche della disciplina, mentre la manualistica
generale è rimasta invece piuttosto fedele alle categorie tra-
dizionali. Le grandi enciclopedie e i dizionari universali ri-
spondono a esigenze di ricerca di base su singoli argomen-
ti; abbondano eccellenti testi di storia della musica, manua-
li di teoria musicale e miscellanee di estetica della musica.
Scarseggiano invece i testi che potremmo definire di “alta di-
vulgazione” e che permettono l’acquisizione graduale, si-
stematica e sincronica dei fondamenti del pensiero, del lin-
guaggio e della prassi musicale; inoltre non esiste uno stru-
mento di raccordo tra le varie aree che faciliti la costruzio-
ne di percorsi alternativi a quelli prestabiliti dalla manuali-
stica tradizionale.
L’idea di costruire un portale on-line di introduzione al-
la musica è nata da esigenze didattiche legate alla nostra
esperienza di insegnamento alla Facoltà di lettere e filosofia
dell’Università di Siena, in corsi frequentati in prevalenza da
studenti che di musica sanno poco o niente. La nostra ricer-
ca sullo stato dell’arte della didattica on-line ha rilevato che
esistono in rete strumenti per la didattica musicale, ma per
lo più concepiti per le immediate esigenze di specifici corsi
d’insegnamento nei conservatori e istituti musicali. Manca,
ed è appunto ciò che ci siamo proposti di fare, uno strumento
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 88

 TALIA PECKER BERIO, CECILIA PANTI L’IPERTESTUALITÀ COME STRUMENTO PER LA TRASMISSIONE... 

di studio e di ricerca teso all’ampliamento e alla moderniz-


zazione degli approcci a una disciplina che, tra gli estremi di

Glossario

glossario
un’alta competenza tecnica e scientifica da un lato e di una

Voci di
schede
Le risorse
divulgazione di massa dei generi di consumo dall’altro, ha
perso la sua rilevanza come “arte liberale” – un campo di sa-
pere e d’azione fruibile con una pluralità di strumenti di co-
noscenza e di approfondimento.

Links
Da queste osservazioni è nata l’idea di costruire un nucleo
di binari che introducessero la musica da una molteplicità di

*Musica e società
prospettive concettuali e culturali (estetica, antropologica, so-

*Musica, mito
*Intersezioni
ciale), teoretiche (proprietà, parametri e percezione del suo-

*Musica e le
e religione

*Musica e

*Musica e
i

altre arti
no e del tempo musicale, elementi e forme del discorso mu-

filosofia

scienze
sicale) e pratiche (prassi esecutiva, modi e stili dell’interpre-
tazione, psicologia dell’ascolto e della ricezione), con ampia

Etnomusicologia
possibilità di spostamenti, rimandi e associazioni tra una

Prassi esecutiva

musicologiche

organizzative
Le discipline
della musica

Le strutture
prospettiva e l’altra e tra la musica e altre discipline affini.

Il sapere

Tecnologie
Pedagogia

diffusione
I mezzi di
La critica
La prassi
i
Oralità e

musicale
scrittura
Quest’approccio si presta per sua stessa costituzione a un’e-
stensione e articolazione ipertestuale e multimediale.
Il portale Introduzione on-line al pensiero e alle pratiche

giudizio estetico
Fenomenologia

Teoria e analisi
della musica è stato finanziato e realizzato nell’ambito del

della musica
Che cos’è la

Espressione

Le funzioni

storiografia
Il pensiero

Aforismi e
Piano di ateneo per la ricerca 2003 dell’Università di Siena.

linguaggio
riflessioni

del suono
i

Musica e

Valore e

Storia e
scheda
musica
Ideatrice e responsabile scientifico del progetto è Talia
Pecker Berio, con la collaborazione di Andrea Chegai, Mi-
la De Santis e Cecilia Panti, la quale ha curato la progetta-

Tema con variazioni


Il concetto di forma
Musica strumentale
zione tecnica del portale e l’immissione dei testi. I contenu-

Tipologie formali
Principi formali
Forme e generi

Musica vocale/

Musica scenica
ti, oltre che dai suddetti, sono stati redatti anche da colla-

Musica vocale

Sezione aurea
Forma sonata
strumentale

o
i

Madrigale
boratori esterni1.

Ricercare
Concerto

Rapsodia
Fantasia

Frottola

Toccata
schede

Sonata
Rondò
Questo strumento, concepito come supporto alla didat-

Fuga
tica ma anche come stimolo alla ricerca e all’esplorazione del
mondo musicale nella sua complessità, si propone di: 1) of- Il linguaggio

della composizione
Principi e aspetti

sintassi musicale
Armonizzazione
frire molteplici prospettive di accesso alle metodologie di

Contrappunto
compositive

Elementi di
compositivi
studio e d’indagine sulla musica; 2) fornire concetti di base
Invenzione

e polifonia
i

*Monodia

o
*Tecniche
e scrittura

Processi

schede
e delineare percorsi di studio su diversi livelli di approfon-
dimento, tesi a una conoscenza “sincronica” dei linguaggi e
delle pratiche musicali; 3) inserire il sapere musicale in un Altezza/nota

quadro di rimandi ad altre arti e discipline affini; 4) offrire

Strumenti
Intervallo
Elementi

Modalità

Armonia
Melodia

Tonalità
i
Fig. 1.

Timbro
link ragionati e strumenti d’accesso ai principali siti e porta-
Tempo

scheda
Suono

Ritmo

Scala

Voce
li della musica e sulla musica presenti in rete.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 90

 TALIA PECKER BERIO, CECILIA PANTI L’IPERTESTUALITÀ COME STRUMENTO PER LA TRASMISSIONE... 

Il portale è attualmente ospitato presso il sito dell’Univer- Dall’interno di ogni voce e sezione è possibile accedere a
sità di Siena, all’indirizzo: http://www.unisi.it/ricerca/prog/mu- schede di approfondimento, che nello schema delineato nel-
sica/Index.htm la figura n. 1 sono raggruppate in riquadri a doppia cornice.
Il materiale è raggruppato in tre ambiti, IL LINGUAGGIO, La funzione delle schede è quella di consentire un più age-
IL SAPERE e LE RISORSE, che costituiscono tre diversificate vole approfondimento di specifiche tematiche musicali, e la
“aree d’accesso” alla musica. Ogni area è divisa in sezioni e loro caratteristica è di essere accessibili con un semplice click
ogni sezione delle aree IL LINGUAGGIO e IL SAPERE è costituita del mouse su parole chiave opportunamente collegate. Co-
da un determinato numero di sottosezioni, cioè voci temati- me si può osservare dallo schema, la maggior parte delle
che, come esemplificato nella figura n. 12. schede è accessibile dalle voci delle sezioni PRINCIPI E ASPET-
Tutte le sezioni e le voci, indicate nello schema da un’e- TI DELLA COMPOSIZIONE e FORME E GENERI, ma è evidente che
tichetta, sono sempre accessibili in via diretta poiché il por- qualsiasi pagina di sezione e/o sottosezione può consentire
tale, codificato in linguaggio html, comprende anche una l’ingresso a una scheda, ove si manifesti la necessità di un ri-
componente java script, con la quale si è configurato un mando. Per esemplificare: la scheda FUGA costituisce la pa-
menù a tre livelli di finestre. Tale menu, visualizzato nel fra- gina di approfondimento di questa specifica tecnica compo-
me superiore di ogni pagina, consente di esplorare in auto- sitiva che compare, com’è ovvio, sia nel corso della trattazione
nomia e senza gerarchie ogni area, sezione e voce del sito, co- delle TIPOLOGIE FORMALI che dei PROCESSI COMPOSITIVI e
me si può vedere dalla figura n. 2: della MUSICA STRUMENTALE.
Altra funzione è invece assegnata al GLOSSARIO. Questo
strumento, accessibile anch’esso attraverso un click del mou-
se sul lemma specifico, indirizza a una breve definizione del
termine in questione, agevolando in tal modo la compren-
sione del testo al lettore non specialista.
Questa notevole agilità di spostamento e, contestual-
mente, di visualizzazione dei contenuti, ci sembra nell’insie-
me efficace, anche se la soluzione dell’abbinamento html e
javascript è risultata difficile da gestire: sia perché rende dif-
ficoltoso inserire eventuali aggiunte, o procedere a rimozio-
ni o spostamenti di sezioni; sia per le oggettive difficoltà le-
gate alla corretta visualizzazione del javascript stesso nei va-
ri browser; sia, infine, per la difficoltà di poter rendere au-
tonome le due componenti di interfaccia. In particolare, ab-
biamo verificato che sarebbe assai utile mantenere sempre vi-
sualizzato il menu sullo schermo durante lo scorrimento del-
Questa soluzione si profila come ottimale per rendere vi- la pagina, soluzione attualmente impraticabile. Questi pro-
sibili, in contemporanea, la struttura complessiva e le sud- blemi potrebbero essere risolti in via definitiva potendo con-
divisioni tematiche, ovunque si trovi l’utente una volta en- tare su un valido appoggio specialistico di consulenza e pro-
trato in una qualsiasi pagina dei livelli area, sezione e sotto- gettazione web, di cui auspichiamo di poterci avvalere non
sezione (corrispondente a una singola voce). appena il contenuto del portale sarà completato in tutte le sue
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 92

 TALIA PECKER BERIO, CECILIA PANTI L’IPERTESTUALITÀ COME STRUMENTO PER LA TRASMISSIONE... 

parti, e interamente revisionato. A esperti nel web design do- della letteratura musicale senza però possedere un’adeguata
vrebbe poi essere affidato l’assetto grafico del portale, che è competenza tecnica. La comprensione del linguaggio musi-
stato messo a punto in modo essenziale sia nella struttura- cale occidentale implica, infatti, la capacità – almeno parzia-
zione delle pagine, sia negli elementi grafici e nei supporti au- le – di poter interpretare i codici e la scrittura della musica,
dio a illustrazione di specifiche sottosezioni (intervallo, sca- attraverso i quali quest’arte è stata, ed è in larga parte anco-
la ecc.). Un altro importante passo nell’implementazione del ra oggi, composta e trasmessa. Le voci di tale sezione non mi-
portale sarà la versione inglese, che ci auspichiamo possa rano, tuttavia, a insegnare a leggere la musica, ma cercano di
diffondere l’uso di questo strumento al di fuori dei confini illustrare con uno sguardo d’insieme l’alfabeto musicale oc-
universitari e geografici italiani. cidentale, e quale sia stato lo sviluppo storico essenziale che
Una delle lezioni di questa esperienza riguarda l’intera- ha portato alla codifica del moderno linguaggio musicale.
zione tra le costrizioni del contenitore e la concezione dei con- Nelle altre due sezioni sono stati invece raggruppati in po-
tenuti. I problemi e i vincoli tecnici via via incontrati ci han- che categorie gli essenziali concetti, principi e tipologie di or-
no obbligato a rivedere le decisioni e tale obbligo si è rivela- ganizzazione ed elaborazione dell’arte dei suoni nella tradi-
to spesso (ma non sempre) proficuo sul piano della precisa- zione occidentale. La sezione PRINCIPI E ASPETTI DELLA COM-
zione e organizzazione del materiale. POSIZIONE parte dai concetti di invenzione e scrittura per
Sul piano dei contenuti si presentava innanzitutto la do- esporre in seguito le principali modalità, i processi e le tec-
manda: quale musica? Siamo partiti dalla scelta di circoscri- niche della composizione musicale. La sezione FORME E GE-
vere gran parte della trattazione alla musica d’arte in Occi- NERI esplora alcuni fondamentali principi strutturali e le re-
dente, ma con ampie aperture e margini di integrazione suc- lative tipologie formali che si sono cristallizzate nel corso dei
cessiva. Da qui la divisione del portale in due grandi aree: IL secoli. Le grandi categorie della musica d’arte (vocale, stru-
LINGUAGGIO e IL SAPERE. mentale, vocale/strumentale, scenica) sono presentate in sot-
La scelta di chiamare LINGUAGGIO l’area che presenta i tosezioni che illustrano la storia e le caratteristiche dei rela-
materiali della musica e le modalità di elaborarli nella tradi- tivi generi musicali. È stata questa la sezione che ha presen-
zione occidentale implica l’accettazione di un’analogia ge- tato più problemi di definizione e divisione. È in essa che ri-
nerale tra musica e linguaggio in quanto sistemi simbolici do- siede il “corpo” della musica occidentale: corpo dinamico e
tati di codici, regole, convenzioni, facoltà espressive, funzio- storicamente movimentato che si ribella alle griglie troppo
ni sociali e libertà creativa. Tuttavia, entrando nel vivo delle strette o troppo rigide. La soluzione adottata è un compro-
singole tematiche, abbiamo evitato l’uso scontato di termini messo che, limitando le voci (che qui sarebbe più opportu-
linguistici quali grammatica, sintassi ecc., e abbiamo sottoli- no definire “sottosezioni”) a due prospettive sul concetto di
neato la natura metaforica ed esplicativa (piuttosto che nor- forma (principi e tipologie) e a quattro macrocategorie di ge-
mativa) del ricorso a specifiche analogie tra i due sistemi. neri musicali, ha il vantaggio di relegare alle schede la trat-
Il carattere peculiare della sezione ELEMENTI risponde al- tazione specifica di fenomeni che spesso vedono coincidere
la necessità di esporre autonomamente (con un ampio cam- questioni di forma e di genere. È all’interno delle schede che
po di rimandi intertestuali) i materiali e i parametri di base ci promettiamo di arricchire il numero di esempi musicali e
del linguaggio musicale. Le varie voci della sezione hanno ca- di ascolti in diretta dal portale.
rattere propedeutico e intendono venire incontro, nei limiti Gli argomenti trattati nell’area IL SAPERE costituiscono una
e nelle finalità di questa Introduzione on-line, a una richiesta selezione di punti di vista dai quali si può osservare l’immenso
spesso sentita da chi intende approfondire la conoscenza universo del sapere musicale. Si tratta di offrire una prima
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 94

 TALIA PECKER BERIO, CECILIA PANTI L’IPERTESTUALITÀ COME STRUMENTO PER LA TRASMISSIONE... 

chiave d’orientamento per tematiche che necessitano uno logico e storiografia della musica. La voce TEORIA E ANALISI
studio ben più approfondito, e per ciascuna delle quali esi- riassume i criteri di distinzione e di complementarietà tra le
ste una sterminata letteratura critica. diverse metodologie analitiche della musica (analisi struttu-
La sezione IL PENSIERO affronta con estrema sintesi alcu- rali, formali, stilistiche, semiotiche) e le teorie che a partire
ne tematiche dell’estetica e della teoria musicale, mentre tra- dall’analisi (o a monte rispetto a essa) si sono formalizzate nel
lascia altri aspetti che potranno essere integrati in seguito. La corso dell’evoluzione della musicologia sistematica.
domanda “che cos’è la musica?”, posta emblematicamente da Nella scelta degli argomenti affrontati nella sezione LA
Carl Dahlhaus e Hans Heinrich Eggebrecht come titolo di PRASSI abbiamo cercato di mantenere un giusto equilibrio tra
un loro libro (1985), è fondamentale proprio perché, non i diversi aspetti della realtà e della prassi musicale: le moda-
avendo una risposta univoca e assoluta, obbliga a un’artico- lità di trasmissione, di apprendimento e di produzione; l’or-
lazione del campo d’indagine. Tale delimitazione ha deter- ganizzazione del sapere e dell’economia musicale; i tramiti tra
minato la scelta delle voci successive. Emblematica in que- produttori e fruitori; l’evoluzione dei mezzi di produzione e
sto senso la voce FENOMENOLOGIA DEL SUONO la quale, seb- di diffusione. In linea con la premessa di base di circoscrivere
bene affronti aspetti primari e non ancora “acculturati” del la trattazione alla musica d’arte occidentale, la tematica del-
fenomeno sonoro (rumore, silenzio, intonazione), segue le le tradizioni orali è esaminata soltanto sotto alcuni aspetti del
premesse di una tradizione epistemologica che verte su no- suo rapporto con la musica scritta (ORALITÀ E SCRITTURA) e
zioni universali quali tempo, spazio, percezione e intenzione, attraverso la storia e i principi epistemologici delle discipli-
e all’interno della quale i codici costitutivi ed espressivi del- ne etnomusicologiche (ETNOMUSICOLOGIA).
le arti sono spesso studiati in analogia con quelli del pensie- La terza sezione dell’area, INTERSEZIONI, che attualmen-
ro e del linguaggio verbale. Seguono pertanto le riflessioni sul te tace, sarà dedicata all’interazione della musica con altri
rapporto tra MUSICA E LINGUAGGIO e sul concetto musicale campi della vita (i miti, i riti, le religioni e la società), del sa-
di ESPRESSIONE. La voce FUNZIONI DELLA MUSICA apre il di- pere (la filosofia, le scienze sociali e naturali) e con le altre ar-
scorso a una prospettiva multiculturale con attenzione agli ti (poesia, teatro, cinema, danza).
aspetti sociali, educativi e morali dell’esperienza musicale. La Nella redazione delle voci abbiamo seguito di regola un
questione del bello musicale è al centro della voce VALORE E principio sistematico-sincronico con un taglio introduttivo
GIUDIZIO ESTETICO, che esamina le dinamiche valutative del- e sintetico e con brevi accenni storici. Un inquadramento
l’esperienza musicale in rapporto al contesto funzionale (so- nettamente diacronico è stato invece adottato laddove la
ciale, culturale, politico), “assoluto” (qualità espressive e giu- natura storico-evolutiva del materiale trattato lo richiedeva
dizio personale) e storico (lo “spirito del tempo”, i cambia- (la sezione FORMA E GENERI, le voci MUSICA E LINGUAGGIO,
menti dei criteri di giudizio). I due rami della Musikwissen- STORIA E STORIOGRAFIA, e alcune voci della sezione LA PRAS-
schaft (la “disciplina della musica” fondata come scienza au- SI). Un ovvio presupposto è che la fruizione dei materiali del
tonoma da Guido Adler alla fine del XIX secolo) – la musi- portale debba in ogni caso essere accompagnata dalla lettu-
cologia storica e quella sistematica – sono presentati dalle ul- ra di un buon manuale di storia della musica. Le singole vo-
time due voci di questa sezione. In STORIA E STORIOGRAFIA si ci non pretendono di esaurire l’argomento trattato, ma piut-
affrontano i nodi principali della prospettiva storica dell’in- tosto di costituire un punto di partenza per ulteriori ap-
dagine sulla musica: i rapporti tra storia generale e storia profondimenti sia attraverso le schede, in parte già attivate
musicale; tra la storia di eventi, vite e istituzioni musicali e e che via via cresceranno di numero, sia attraverso letture in-
quella delle opere; tra correnti di pensiero filosofico e ideo- dicate nelle note bibliografiche e nella sezione LINKS dell’a-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 96

 TALIA PECKER BERIO, CECILIA PANTI L’IPERTESTUALITÀ COME STRUMENTO PER LA TRASMISSIONE... 

rea RISORSE, la quale consente anche l’accesso diretto al cademici (2006-2007 e 2007-2008) in cui il portale è stato uti-
GLOSSARIO di termini musicali relativi agli aspetti teorici e lizzato nel corso di “Fondamenti del linguaggio musicale” al-
tecnici del linguaggio musicale. la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Siena, pos-
La bibliografia integrativa costituisce un nodo fonda- siamo rilevare un notevole incremento nella consapevolezza
mentale di un progetto di questo genere. La nostra strate- della complessità del fenomeno musicale in generale e della
gia nella selezione dei testi di riferimento è stata minimali- musica d’arte occidentale in particolare. Tale consapevolez-
sta: l’indicazione ai redattori delle voci era di non superare za sembra essere generata dalla possibilità di abbracciare in
i quattro-cinque titoli e di privilegiare nel limite del possi- un colpo d’occhio uno schema costruito a strati paralleli e di
bile a) testi di assoluta validità scientifica; b) titoli reperibi- muoversi al suo interno con agilità e libertà di associazioni.
li in italiano; c) testi di impostazione non esclusivamente tec- La concisione e la concatenazione “a grappolo” delle singo-
nica; d) testi dotati di un buon apparato bibliografico. La- le voci permettono infatti all’utente di affrontare i termini di
vorando ci siamo accorti della relativa scarsità di titoli che base con il proprio ritmo e secondo le proprie competenze,
rispondano a tutte queste esigenze. Il frequente ricorso fat- determinando di volta in volta il percorso da seguire e i pun-
to da tutti gli estensori delle voci del nostro portale a saggi ti da approfondire.
inclusi nell’Enciclopedia della Musica Einaudi, soprattutto nel
secondo volume Il sapere musicale (Nattiez 2002), ma occa-
sionalmente anche nel terzo, quarto e quinto volume, con- 1
Nicola Bizzarro, Guido Burchi, Alessandro Cecchi, Giordano Mastroco-
ferma la carenza che questa impresa enciclopedica ha ten- la, Tommaso Montagnani e Gregorio Moppi. Per la realizzazione tecnica ci sia-
tato di colmare. Con esiti alterni tra i diversi volumi e sag- mo inoltre avvalsi delle competenze di Elisa Lastrucci e della supervisione di
gi, ma con un notevole contributo a un approccio com- Francesco Di Pietro.
2
prensivo che allenta e mescola le categorie tradizionali con Gli asterischi indicano sezioni e voci in fase di elaborazione, non ancora
inseriti nel portale.
consapevolezza dei cambiamenti in atto nelle prospettive sul-
la musica e delle conseguenti esigenze della didattica e del-
la trasmissione dei saperi musicali.
A monte e a valle delle considerazioni contenutistiche e
metodologiche sta la questione fondamentale del profilo del-
l’utente. La necessità di rivolgersi a un’utenza “mista” – cioè
di soddisfare le esigenze dei non addetti ai lavori con una gui-
da efficace, concisa e “modulare” per orientarsi nell’univer-
so Musica, ma al tempo stesso di dare anche al musicista uno
strumento (o almeno uno stimolo) di raccordo tra le varie aree
di quest’universo – impone delle scelte sia nella definizione
dei vari livelli di divisione sia nell’impostazione delle singo-
le voci. Soltanto la sperimentazione concreta e l’interazione
nel tempo con diverse tipologie di fruitori del portale potrà
darci indicazioni plausibili sulla sua efficacia e sulla direzio-
ne da seguire nelle fasi successive di miglioramento e am-
pliamento. Sulla base della limitata esperienza di due anni ac-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 98

Parte terza
Raccontare la musica, tra contesti
culturali e orizzonti storici
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 100

Musica e storia: per una profittevole condivisione di


termini e concetti
Franco Piperno

Parlare di musica – di un testo o un evento musicale – è


difficile. Il necessario ricorso a un frasario tecnico e il riferi-
mento a simboli e segni musicali rendono ostico e respingente
il discorso sulla musica ai “non addetti ai lavori”; né l’ado-
zione di un linguaggio metaforico migliora le cose, laddove
la metafora esprime in forma linguisticamente comprensibi-
le un processo, un concetto, un dato tecnico di per sé non tra-
ducibile. Non meno difficile è parlare di musica in quanto di-
sciplina, attività, bene di consumo o arte presente nella Sto-
ria – cioè rendere conto del ruolo e del significato della mu-
sica nelle varie epoche e nelle diverse culture e società del pas-
sato e del presente – perché un discorso “storico”, una nar-
razione dello svolgimento di eventi nello scorrere del tempo
e in relazione a epoche, comporta necessariamente un ar-
mamentario lessicale e concettuale che non sempre si conci-
lia, nuovamente, con le specificità lessicali e concettuali del-
la musica; né queste specificità vengono mai sottratte a un im-
piego esclusivamente autoreferenziale. Di ciò – nel contesto
di un dibattito sui possibili discorsi sulla musica e sul rap-
porto fra questa e altri saperi – desidero qui brevemente ri-
ferire, scegliendo di focalizzare da un lato il problema del-
l’uso, da parte dello storico della musica, di termini e concetti
mutuati da altre discipline e della loro valenza pericolosa-
mente modellizzante, quando non fuorviante; dall’altro, per
converso, la misconoscenza delle potenzialità ermeneutiche
di specifici concetti storico-musicali che, invece, potrebbe-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 102

 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

ro venir utili anche alla storiografia generale. Nell’un caso vremmo postulare che il Rinascimento ha prodotto una sua
porterò a esempio l’uso del termine “Rinascimento” nella sto- musica (nella plurima accezione sopra rammentata), coe-
riografia musicale – ma la riflessione, va da sé, è estensibile rente con le istanze estetiche e le motivazioni intellettuali
ad altri termini o categorie storico-estetiche di provenienza che hanno caratterizzato altre discipline artistiche; nell’altro
extra-musicale quali Barocco, Classicismo, Romanticismo, che è esistita una musica parallela, coeva ma non necessaria-
Neoclassicismo, Simbolismo, Espressionismo, Futurismo e mente interagente col clima culturale contemporaneo. Anti-
così via; nell’altro rifletterò sulla valenza ermeneutica che cipando le mie conclusioni, ritengo che per la musica abbia
può avere per la storiografia generale della prima età moderna senso seguirne le tracce nel Rinascimento, piuttosto che ten-
il concetto di “suono” quale sintesi delle molteplici attività tare di definirne la compatibilità e consustanzialità con esso.
e manifestazioni musicali di quell’epoca in relazione alla so- Il termine Rinascimento ingloba svariati concetti fra i
cietà che le ha promosse e fruite. quali mi paiono prioritari – relativamente all’uso corrente che
del termine si fa – quello di rinascita (ripresa di attività, di
creatività, di studi), di italianità (nuovi impulsi intellettuali e
Dalla storia alla musica: la pertinenza del concetto di nuove correnti estetiche elaborate in Italia ed “esportate” ol-
“Rinascimento” per la storiografia musicale tralpe) e di classicismo (riscoperta dell’antichità e sua funzione
modellizzante)2; tre concetti con i quali lo svolgimento sto-
Il termine “Rinascimento” ha da tempo cittadinanza nel rico della musica fatica a relazionarsi e a sincronizzarsi. Pren-
lessico musicologico, almeno dall’epoca della pionieristica diamo l’aspetto della rinascita: in periodi vicini ma non coin-
Geschichte der Musik im Zeitalter der Renaissance bis zu Pa- cidenti con quello che denominiamo Rinascimento, la musi-
lestrina (Ambros 1868), agli albori della Musikwissenschaft ca ha conosciuto due espliciti momenti di rinascita, di stac-
e a soli otto anni dall’uscita della fondativa, arcinota mono- co netto e polemico rispetto a un recente passato. Il primo
grafia di Jacob Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Ita- all’inizio del Trecento, quando il teorico Philippe de Vitry
lien (1860); raramente, tuttavia, è stato impiegato nella pie- sancì fin dal titolo del trattato Ars novae musicae (1320 ca.)
na consapevolezza delle sue implicazioni estetiche, cronolo- la superiorità della musica del suo tempo (quella di Guillau-
giche e critiche. Su ciò, in generale, ho già riferito in altra se- me de Machaut, ad esempio, e poi degli italiani non a caso
de, alla quale rinvio per i necessari approfondimenti1; qui ri- in seguito definiti “arsnovisti”, come Giovanni da Cascia, Pie-
prendo, di quell’intervento, la riflessione sulla congruità o le- ro da Firenze, Jacopo da Bologna, Francesco Landini). Tale
gittimità, sui vantaggi o svantaggi dell’uso del concetto di Ri- superiorità era legata, tra l’altro, al fatto che il modo ritmico
nascimento in rapporto alla musica (usi, prodotti, autori, binario veniva affiancato con pari dignità estetica al modo rit-
committenti) e a ciò che essa è stata nel periodo storico così mico ternario, tipico della mentalità e della prassi medieva-
etichettato. le: una vera rivoluzione per il linguaggio musicale, che ha co-
È ineludibile, tuttavia, una considerazione preliminare; me conseguenza palpabile anche l’affermazione di un’auto-
ineludibile anche al fine di stabilire un condiviso codice di noma musica profana d’arte. E la musica del Trecento, fran-
comunicazione con lettori e studiosi di altre discipline che col cese e italiana, fu così vitale e importante da meritare la tra-
termine Rinascimento hanno, forse, maggiore dimestichezza smissione scritta – raramente adottata nel secolo preceden-
e, magari, relazioni meno problematiche: occorre parlare di te, soprattutto in campo profano – e l’antologizzazione tar-
“musica del Rinascimento” (cioè “musica rinascimentale”) diva a scopo collezionistico e monumentale (vedi ad esem-
oppure di “musica nel Rinascimento”? Nell’un caso do- pio il magnifico codice Squarcialupi, 1420 ca., della Biblio-
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 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

teca Laurenziana di Firenze). Il “rinascimento” della musi- borgognoni, fiamminghi, tedeschi, spagnoli) che invasero il
ca precederebbe dunque il Rinascimento di Burckhardt e se- suolo italico e occuparono posti importanti presso le istitu-
guaci; anzi, quando questo si affaccia alla ribalta, quello è già zioni civiche, religiose e cortesi deputate alla produzione
esaurito, defunto e cristallizzato nel precitato codice, come musicale. Mentre il Rinascimento artistico e letterario era
monumento a memoria di un passato ormai estinto. segnato da Masaccio, Alberti, Donatello, Piero, Bruni, Val-
D’altro canto la musica ha conosciuto un’ancor più epo- la, Ficino, Vittorino da Feltre, Flavio Biondo, Brunelleschi,
cale rinascita sul principio del Seicento, quando il Rinasci- Leonardo e infiniti altri, la musica vedeva primeggiare Johan-
mento si era a sua volta esaurito o sfrangiato in molteplici ra- nes Ciconia da Liegi, Guillaume Dufay dallo Hainaut, Johan-
mificazioni, con la trasformazione della prassi del “basso nes Ockeghem “Flandro”, Johannes Martini “de Braban-
continuo” in nuova risorsa stilistica e compositiva e con la tia”, Loyset Compère, Heinrich Isaac, Josquin Desprez for-
conseguente affermazione della “monodia accompagnata” se da Condé-sur-Escaut, Gaspar van Weerbecke da Oude-
che soppianta l’ormai esausta tecnica polifonica e dà vita a naarde e via dicendo: il Rinascimento musicale in Italia non
quel fenomeno artistico di formidabili novità e impatto che è, dunque, italiano. Si manifesta (anche) in Italia, ma grazie
fu l’opera: questo sì un vero “rinascimento” musicale, anche all’importazione di artisti latori di professionismo, tecniche,
perché questa novità italiana dominò e influenzò per alme- stile ed esperienze forgiati altrove5.
no due secoli la produzione musicale di tutta Europa3. È, almeno, nuovo, rifiorente, innovativo lo stile che gli “ol-
Fra questi due specifici “rinascimenti”, come si colloca la tramontani” portano in Italia nel Quattrocento? È possibile
musica in relazione al Rinascimento “vero”? Nel parlare di individuarne peculiarità tali da farcelo apparire consonante
musica nella storia, come ci appaiono la sua natura e le sue con le novità tecniche ed estetiche espresse dal Rinascimen-
funzioni in relazione all’insieme di implicazioni estetiche e so- to in altri campi artistici? Si può affermare che il Rinasci-
ciali, politiche ed economiche, culturali e materiali ricono- mento italiano individuò nell’arte musicale degli “oltramon-
scibili nella cosiddetta “galassia Rinascimento”? Osserviamo tani” il corrispettivo sonoro del gusto, della maniera e della
innanzitutto che, mentre le altre forme culturali rinascono e scienza espressi nelle produzioni dei coevi artisti italiani? In-
si rinnovano, la musica nel corso del Quattrocento non co- dubbiamente il suono della musica del Quattrocento è diverso
nosce un paragonabile impulso, anzi. Quella italiana regre- da quello dell’età degli “arsnovisti”; da Dufay in poi gli “ol-
disce ad attività puramente performativa e improvvisativa, tramontani” diffondono in Europa una nuova sensibilità so-
non destinata alla trasmissione scritta; di qui il problema di nora, probabilmente “importata” dall’Inghilterra (si parla
giustificare come “il segreto del Quattrocento” l’assenza ap- di contenance angloise), nella quale la nostra moderna sensi-
parente della musica dal novero delle arti rifiorenti nel Ri- bilità riconosce una dolcezza, rotondità e pienezza di esiti ar-
nascimento italiano (Torrefranca 1939); o il riconoscimento monici sconosciuta alla musica del Trecento (in concreto, al-
del ritorno della prassi musicale italiana nell’alveo della “tra- la preminenza delle cosiddette consonanze perfette – inter-
dizione non scritta”, usuale e consolidata, che rende tanto più valli di quarta e di quinta – si sostituisce, nell’ordito polifo-
eccezionale il fenomeno dell’Ars Nova e delle sue numerose nico, quella degli imperfetti intervalli di terza e di sesta; è la
attestazioni scritte (Pirrotta 1984)4. riconosciuta dulcedo della musica del Quattrocento euro-
Certamente nel corso del XV secolo si continuò a fare peo). E uno dei primi teorici a descrivere la musica del pro-
musica in Italia, ma – e con questo vengo all’aspetto dell’i- prio tempo, Johannes Tinctoris (un fiammingo attivo a Na-
talianità del Rinascimento – quella d’arte, ufficiale, autore- poli attorno al 1470), sembra avvalorare l’idea di questa ce-
vole e importante fu monopolio di artisti stranieri (francesi, sura nel momento in cui dichiara, senza mezzi termini, che
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 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

non è più degna di considerazione e di apprezzamento la mu- ficentia esatta dei signori del tempo, la musica beneficia del
sica composta più di quarant’anni addietro, l’età appunto di ricorso all’antichità al solo scopo di acquisire dalla mitolo-
Dufay e della contenance angloise; ma la sua affermazione è gia (Apollo, Orfeo, Anfione, Arione) la legittimazione del-
indebolita dal fatto che egli aveva scarsa o nulla nozione del- la propria eccellenza e della propria natura di “arte”; op-
la musica precedente per mancanza di fonti e per la soprav- pure vi si relaziona, su un piano puramente speculativo, per
venuta incapacità, sua e degli esecutori coevi, di decifrazio- questioni di tipo teorico o filosofico. Tramite Boezio, la
ne della semiografia musicale di quel tempo andato. In ogni concezione greca della musica è stata tramandata ai poste-
caso, ritengo che lo “stacco” fra lo stile dei polifonisti fiam- ri, così come la teoria delle scale e degli intervalli; sul pia-
minghi e quello degli arsnovisti italiani del Trecento – sensi- no teorico la musica, in quanto disciplina del quadrivium,
bile sul piano sonoro, meno su quello delle tecniche con- può guardare all’antichità allo stesso titolo di altri settori
trappuntistiche e di organizzazione formale – sia assai meno della conoscenza, ed è sul piano teorico che gli scriptores de
netto ed epocale di quello che siamo soliti ravvisare ad esem- musica del Rinascimento si trovano in sintonia con filosofi,
pio nel passaggio dal Gotico figurativo al plastico realismo umanisti e intellettuali contemporanei. I trattati di musica
della pittura fiorentina del Quattrocento, o nel classicismo e sono perlopiù dissertazioni sulle mitiche o bibliche origini
nella nuova progettualità in funzione di un’imago urbis del- della musica, sulle teorie pitagoriche degli intervalli, sui
l’architettura di Leon Battista Alberti rispetto alla ars aedifi- modi e i ritmi e su altre questioni erudite relative alla mu-
catoria precedente6. sica come ars e come scienza. Sul piano pratico le cose stan-
Quest’ultimo “stacco”, si sa, deriva sia da intuizioni e no diversamente.
contributi di singole forti individualità, sia dalle sollecitazio- Il passato modellizzante degli umanisti è arcaico, distan-
ni culturali degli ambienti degli studia humanitatis con le lo- te e fissato per sempre nell’irripetibile ma emulabile classi-
ro riscoperte della classicità greca e romana; l’antico, di per cità greca e romana; quello dei musicisti è recente e mutevole.
sé perfetto, diviene exemplum ad usum imitationis. L’arte, l’ar- Attorno al 1470, lo si è detto, Tinctoris disconosce (o igno-
chitettura, la letteratura hanno modelli antichi cui rifarsi, la ra) musica più vecchia di quarant’anni: e ciò è soprattutto in-
musica no; la musica greca, men che meno quella romana, dice del fatto che la musica è un’arte dello hic et nunc, vola-
non ha lasciato tracce di sé. Paradossalmente i primi fram- tile, sensibile alle mode, bisognosa sì di trovare nel passato
menti riaffioreranno proprio in coincidenza dell’avvio di ciò modelli da imitare, ma in un passato estremamente recente.
che sopra ho indicato come un secondo “rinascimento” del- Se per Tinctoris il punto di partenza è la musica dell’età di
la musica, alle soglie del Seicento: gli inni di Mesomede, at- Dufay, settant’anni dopo, per Cosimo Bartoli (1540 ca.) è
torno al 1570, verranno additati ad esempio della purezza e Johannes Ockeghem (fl. 1450-1490) il più eccellente degli
monodicità della musica greca e forniranno una classicistica “antichi”, per Heinrich Glareanus (1547) è Josquin Des Prez
legittimazione all’affermazione del nuovo stile fondato sulla (fl. 1480-1520), mentre per Zarlino (1558) è Willaert (fl.
monodia accompagnata; un procedimento intellettuale “ri- 1530-1560). E si noti come il “modello” di perfezione sia pro-
nascimentale” per un esito artistico, la monodia, cronologi- gressivamente sempre più prossimo al suo sostenitore: se è
camente e forse esteticamente pertinente al Barocco7. rinascimentale quell’arte in cui la modernità è sinonimo di ec-
Diversamente dall’architettura del Rinascimento, che cellenza e di superamento del passato, non sembra potersi de-
può concretamente rinnovarsi rifacendosi alla classicità, re- finire rinascimentale la musica del Quattrocento, per i cui teo-
cuperando e ricreando vestigia romane per definire un nuo- rici l’eccellenza dell’attualità è questionabile o non ancora rag-
vo spazio architettonico e urbanistico consono alla magni- giunta, bensì quella del maturo Cinquecento che ravvisò nei
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 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

viventi (Willaert, Rore, poi Marenzio e Monteverdi) gli in- governativi, rituali o devozionali nonché la presenza nella
superabili campioni di perfezione tecnica ed estetica. cultura ed etichetta del signore, del cortigiano, del cittadi-
È evidente, da quanto sin qui discusso, una difficile coin- no: musica come elemento della “grammatica del potere”,
cidenza fra la nozione corrente di Rinascimento – almeno come strumento di propaganda e manipolazione del con-
quella riduttiva e semplificativa che ho scelto di adottare – e senso, come distintivo di condizione sociale e culturale. Ciò
la musica del Rinascimento; questioni cronologiche ed este- comporta uno spostamento di prospettiva dall’area estetico-
tiche, pratiche e sociali rendono problematica la sincroniz- artistica a quella storico-politica e induce a preferire locu-
zazione fra quei due elementi. Forse sarebbe necessario pre- zioni come “musica della prima età moderna” (eventual-
cisare la complessa natura di Rinascimento o isolarne alcu- mente “musica nel Rinascimento”) che paiono più realisti-
ne delle molteplici, talora contraddittorie, componenti per ve- camente rispondenti alle condizioni materiali, sociali e in-
rificare punti di contatto con la coeva esperienza musicale; tellettuali conosciute da musica e musicisti di quel periodo.
ma anche in questo caso capita di incorrere piuttosto in di- Ed entro la cornice storico-politica possono nondimeno tro-
vergenze come quella, ad esempio, fra la centralità della pa- vare spiegazione fenomeni e processi di natura stilistica e tec-
rola (del testo) per la cultura umanistica e il problematico rap- nica (il tipo di linguaggio musicale, di sonorità, di forme af-
porto fra parola e musica fino alla metà del Cinquecento. Cer- fermatisi in quel tempo, l’egemonia di professionisti di pro-
to, la parola è costituzionalmente “centrale” per una musica venienza nord-europea) la cui natura, tuttavia, è difficile e
prevalentemente vocale, ma fino alla data indicata vige una improduttivo etichettare tout court come “rinascimentali”
sorta di reciproca indifferenza, sul piano semantico, espres- per mera contemporaneità cronologica.
sivo o metrico, che produce intellettualistici e, da un punto
di vista umanistico, paradossali casi di simultanea sovrappo-
sizione di testi diversi nella medesima composizione polivo- Dalla musica alla storia: valenze ermeneutiche del concetto
ca, un sostanziale disinteresse per una coerente, realistica re- di “suono” per la storiografia generale
sa musicale dell’accentazione verbale nonché per una corretta
e naturale disposizione del testo sotto le note sia nei mano- Lo spostamento di prospettiva verso la dimensione e il les-
scritti, sia nelle prime stampe musicali; al contrario, profon- sico dell’analisi storica (musica come elemento della società
damente umanistica appare l’affermazione di Claudio Mon- e della politica della prima età moderna) apre un nuovo fron-
teverdi (1607!) che “l’orazione sia padrona de l’armonia, e te relativamente all’aspetto della condivisione di un codice di
non serva”8. comunicazione e di un pertinente armamentario concettua-
In realtà, alla domanda se esista una musica rinascimen- le e lessicale fra discipline limitrofe e interattive (in questo ca-
tale, o quali siano gli elementi di “rinascimentalità” nella mu- so musicologia e storia), un fronte che può utilmente essere
sica, credo sia da preferire quella volta a capire a cosa ser- oltrepassato in entrambe le direzioni. Prospetto qui una si-
visse la musica nel periodo del cosiddetto Rinascimento e co- tuazione in cui sia il versante musicologico a disporre di lem-
me essa venisse recepita, utilizzata, promossa. La musica mi e concetti potenzialmente utili alla storiografia generale.
esiste perché rientra fra le esigenze e le manifestazioni del- “Corte” e “Stato” sono, fra tanti, concetti portanti ed es-
l’uomo, non perché si faccia interprete in qualche modo senziali all’analisi storica della prima età moderna – e come
dello spirito del tempo; pertanto mi pare essenziale inqua- tali sussunti dall’indagine musicologica nella delineazione dei
drarla nel contesto della società politica del periodo che contesti entro cui opera e si manifesta la committenza musi-
chiamiamo Rinascimento e studiarne gli impieghi sociali o cale e si realizza il “prodotto finito” – ed è sostanzialmente
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 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

condivisa la legittimità e la rilevanza della presenza della mu- il nome di “cappella musicale”. Cosa rappresenta la cappel-
sica in quegli ambiti (Piperno 2007); tuttavia, quest’ultima ap- la musicale per una corte? Se la corte è il luogo in cui ha se-
pare perlopiù acquisita alle manifestazioni o produzioni in- de e si “materializza” la sovranità e dove prendono forma
tellettuali attinenti al “decorativo” o all’etichetta di coloro che comportamenti, ideologie e simbolismi che costituiscono
“abitano” la corte o controllano e rappresentano uno Stato. l’essenza del potere (Fantoni 1997, pp. 460, 464), la cappel-
Recentemente un concetto specificamente architettonico co- la è quell’organismo rappresentativo cui il signore affida, in
me lo “spazio” – con quel che vi è implicito in termini di pro- occasione di eventi politici e dinastici, la manifestazione so-
gettualità, ideologia e anche di manualità – è stato acquisito nora del proprio potere, della propria regalità e, con appo-
fra gli strumenti ermeneutici utili all’analisi del politico (Fan- siti repertori, della propria sacralità; si noti che la più im-
toni 2002); ma anche la musica è in grado di offrire col con- portante, in termini di “regalità”, fra le corti italiane del
cetto di “suono” uno strumento parimenti utile all’indagine Quattrocento, quella aragonese di Napoli, fu in Italia la pri-
storiografica della prima età moderna. Naturalmente “suono” ma a dotarsi di una cappella ufficiale di corte con Alfonso I
è termine volutamente generico e va inteso come sinestesia re- attorno al 1460, e presto altre corti si posero a emularla. È il
lativa ad attività, competenze, manifestazioni e produzioni principe in persona che progetta, recluta, controlla e gesti-
specifiche tutte attinenti alla musica e risolventesi in signifi- sce la cappella facendone il simbolo musicale del proprio es-
cativo evento sonoro. Come lo “spazio”, il suono non è sem- sere sovrano e sacerdote: a Milano, Galeazzo Maria Sforza
plice sovrastruttura decorativa di una corte o complemento promuove la costituzione di appositi riti religiosi e musicali,
occasionale alle manifestazioni e all’esercizio di un potere, ben- salvifici e autocelebrativi, che si concretizzano in un ben de-
sì ne è parte integrante e qualificante: il “suono” partecipa con- finito repertorio musicale valido solo lì, i motetti missales; e
cretamente alla costruzione dell’immagine del principe e al- più tardi, attorno al 1560, Guglielmo Gonzaga eresse in Man-
l’esplicitazione del potere di un apparato di governo in quan- tova la basilica di Santa Barbara per la quale progettò un ap-
to condivisa manifestazione del potere stesso. posito, esclusivo rito con musiche appositamente composte
Se siamo concordi sul fatto che la legittimazione delle da Palestrina. Con ciò entrambi i signori riconobbero alla
forme di potere, nonché la manifestazione della sovranità, del- cappella musicale la capacità di contribuire in modo deter-
la sacralità, del prestigio e della “riputazione”, avvengono col minante a veicolare l’aura di sacralità propria del potere si-
concorso sinergico dei prodotti di svariati campi dell’intel- gnorile, di legittimare religiosamente la condizione di su-
letto umano (letteratura encomiastica, storiografia dinastica, premo rettore dello Stato e la vocazione al “buon governo”
spettacoli e cerimoniali, creazioni architettoniche, plastiche del principe e di identificare lo Stato (quello Stato) con una
e figurative), un posto particolare va riconosciuto al corredo specifica “divisa” sonora. In buona sostanza, una cappella
sonoro a ritualità politiche e dinastiche, civiche e religiose, so- musicale va annoverata fra quegli attributi sacri che la com-
ciali e diplomatiche, in quanto il suono è mezzo particolar- munis opinio riteneva imprescindibili prerogative della re-
mente atto a “renforcer d’une dimension émotionelle les galità; essa è idealmente destinata a beneficio della colletti-
liens entre gouvernants e gouvernés” (Blockmans 1993, p. vità dei sudditi non meno che a quello dell’anima del signo-
13), e a svolgere una funzione propagandistica e di creazio- re, e simboleggia il convergere delle esigenze propagandisti-
ne di consenso. Tale corredo sonoro non è né occasionale, né che del principe (la ricerca di “riputazione”) e le preoccu-
estemporaneo, bensì è uno studiato evento protocollare dal- pazioni religiose del governante (la funzione sacerdotale).
la forte valenza simbolica affidato, per la realizzazione pra- Ciò vale anche per quel particolare organismo musicale
tica, all’organismo professionale e istituzionale che va sotto e rituale che fu la cappella pontificia, istituzionalizzata nel ri-
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 FRANCO PIPERNO MUSICA E STORIA 

to e nelle funzioni da Sisto IV proprio nell’ottica di fornire al gli interventi di Jean Delumeau, John Monfasani, Amedeo Quondam e Cesare
Mozzarelli nella sezione Il Rinascimento come problema, pp. 37-118.
pontefice (meglio: al papato in quanto potere duraturo, non 3
Edward J. Dent, nella sua monografia su Alessandro Scarlatti (1905), non
legato alla vicenda terrena del singolo sovrano) un corpo di ha esitazioni nell’identificare il Rinascimento musicale con l’“epoca” della mo-
funzionari – stipendiati dalla Reverenda Camera Apostolica nodia, avviatasi a inizio Seicento; Massimo Mila ravvisava invece nello stile di
– specializzati nel canto e in grado di fornire servizi sia in am- canto ornato e improvvisato dei monodisti fiorentini (Giulio Caccini, Jacopo Pe-
ri, Marco da Gagliano) elementi di consentaneità col Barocco letterario e arti-
bito cortese/politico (musiche per occasioni protocollari e ce- stico (1963). Lo storico Koenigsberger, che ha coniato il concetto di “cluster”
rimoniali diplomatici), sia in ambito sacro e liturgico. La di creatività per illustrare origini e ragioni del Rinascimento italiano, spiega il
cappella pontificia, officiando per il papa, manifesta musi- manifestarsi del Rinascimento in musica solo nel secondo Cinquecento come ef-
fetto del progressivo slittamento delle potenzialità creative degli italiani verso
calmente la sacralità del pontificato; è quell’organismo che questa disciplina favorito dalla natura pubblica e sociale che essa aveva mante-
tramite sonori rituali religiosi per un monarca temporale ne nuto, mentre le coeve “arti belle” l’avevano persa (Koenigsberger 1979, p. 45).
simboleggia la natura di spirituale vicario di Cristo in terra9. 4
Cfr., in particolare, i saggi Ars nova e stil novo, pp. 37-39; Tradizione ora-
le e tradizione scritta della musica, pp. 177-184, Musica e orientamenti culturali
I servizi della cappella pontificia sono elementi essenziali, nell’Italia del Quattrocento, pp. 212-249.
qualificanti del cerimoniale pontificio, ed è ben noto quan- 5
Naturalmente, si sa, non mancano le eccezioni, ad esempio quella del ri-
to il cerimoniale sia determinante nell’esplicitare la valenza cercatissimo liutista Pietrobono dal Chitarrino ferrarese: ma essa, con l’evane-
politica di una prassi liturgica. scenza del mero dato biografico e l’assoluta assenza di reperti musicali scritti,
conferma la nozione di un Quattrocento musicale “colto” e ufficiale monopo-
Dunque le cappelle musicali (le loro funzioni, i loro re- lizzato dagli “oltramontani”.
pertori, il loro “suono”) sono organismi pienamente anno- 6
Accettano l’idea di un “rinascimento” musicale in linea con le cesure ri-
verabili fra le manifestazioni della grammatica del potere spetto al passato conosciute da altri ambiti culturali Lewis Lockwood (1980),
che ha redatto la voce Renaissance del New Grove Dictionary of Music and Mu-
condivise dalle élites dei potentati italiani nella prima età sicians per l’edizione del 1980, e Jessie A. Owens, che ha redatto la medesima
moderna; la fondazione e l’uso di siffatti organismi può es- voce per la nuova edizione del 2002. Owens, inoltre, mostra la consapevolezza
sere, a mio avviso, utilmente posta in relazione al processo di dei teorici musicali circa la “rinascimentalità” della musica del loro tempo (ma
si tratta di adesione dei musici umanisti alla moda culturale corrente, piuttosto
attuazione del “sistema” di relazioni che le corti e gli Stati van- che di critica dimostrazione di un fatto) in Music Historiography and the Defi-
no ponendo in essere nella penisola. Insomma: utilizzare il nition of “Renaissance” (1990).
“suono”, come lo “spazio”, quale chiave di lettura delle stra- 7
Cfr. nota 3.
8
tegie sia politiche sia d’immagine di queste élites significa di- La celebre frase si legge nella Dichiaratione della lettera stampata nel
Quinto libro de suoi [di Claudio Monteverdi] madrigali materialmente redatta
sporre di uno strumento ermeneutico in più per comprendere dal fratello Giulio Cesare Monteverdi e pubblicata in appendice agli Scherzi mu-
quel mondo. Intendendosi sul lessico e condividendo un co- sicali di Claudio (Venezia 1607).
9
dice concettuale, musica e storia possono (debbono) dialo- Delle riflessioni qui sintetizzate sono debitore a Claudio Annibaldi e ai suoi
studi sulla cappella pontificia, attualmente in stampa; cfr. anche Annibaldi 2007.
gare; e il dialogo, come ogni dialogo, è fonte di mutuo arric-
chimento.

1
Vedi il mio Musica e Rinascimento, in corso di stampa nel volume Le pa-
role che noi usiamo, a cura di Marcello Fantoni (Roma, Bulzoni).
2
Impossibile citare la sterminata bibliografia sul concetto di Rinascimen-
to, i suoi contenuti e le sue periodizzazioni. Utili interventi sulla questione ge-
nerale e numerosi rinvii bibliografici si trovano ora in Fantoni 2005: si vedano
in particolare l’introduzione di Marcello Fantoni Storia di un’idea, pp. 3-33, e
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Continuità e trasformazioni delle musiche di tradi-


zione orale. L’esempio della Campania
Giovanni Giuriati

Premessa

Nel preparare uno scritto su un tema come “parlare di


musica”, inevitabilmente mi viene in mente il celebre saggio
di Charles Seeger dal titolo Speech, Music, and Speech about
Music (Seeger 1977). Lo studioso statunitense, particolar-
mente attento a questioni di teoria generale della musicolo-
gia, sostiene che quando parliamo di musica utilizziamo i co-
dici specifici di un sistema di comunicazione umana (il di-
scorso verbale) per produrre un messaggio relativo a un al-
tro sistema di comunicazione umana (la musica e i suoi pro-
cessi compositivi). L’aspetto problematico di questa opera-
zione nasce dalla difficoltà di integrare la comprensione ver-
bale della musica (che è esterna alla musica e ai suoi proces-
si di funzionamento) con la comprensione musicale della
musica (che è invece intrinseca alla musica e ai suoi proces-
si di funzionamento)1.
Nel suo tentativo di costruire una teoria esaustiva (com-
prehensive) della musicologia, Seeger si rendeva conto delle
difficoltà di elaborare un discorso sulla musica, e perorava la
necessità di individuare un modo di parlare di musica che su-
perasse i limiti di una modalità di discorso a suo avviso di-
stinguibile in tre tipologie principali: “affettiva” (basata su va-
lori, che ha prodotto grandi scritti religiosi e mistici, e che
spesso trascende nell’ineffabile), “razionale” (opposta alla
precedente, basata sul principio di causa/effetto, sulla realtà
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 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

descrivibile dell’universo fisico) e “discorsiva” (la modalità nica, pur se non necessariamente “solfeggistica”, della mu-
quotidiana del senso comune). Egli sosteneva la necessità di sica, e a volte anche e soprattutto per una competenza ese-
sviluppare una teoria che, tenendo conto delle distinzioni, ri- cutiva diretta), e invece valutazioni e analisi prettamente ver-
cercasse una complementarietà di linguaggio e musica pro- bali o scritte inerenti al contesto nel quale quella determina-
prio a partire dal loro uso delle risorse di comunicazione ta musica viene eseguita.
uditiva, dal momento che queste due distinte modalità di co- Questa larga accessibilità e circolazione di registrazioni
municazione fanno ricorso a caratteristiche e parametri di- pone la questione di quale sia il modo più adeguato per par-
versi dello spazio acustico. lare di musica – quale sia il ruolo del ricercatore e dello stu-
Mi sembra importante citare ancora oggi questo saggio, an- dioso – in un mondo di comunicazione e divulgazione che,
che se oramai datato in molti suoi aspetti, soprattutto perché soprattutto attraverso gli strumenti multimediali della rete,
ci ricorda che un discorso sulla musica, pur essendo necessa- produce un discorso continuo e incontrollato sulla cosid-
riamente parlato (o scritto), non può prescindere da una co- detta “musica popolare” e sulle tradizioni musicali. Questa
municazione che passi anche attraverso i suoni musicali; un messe di parole e di suoni irrompe nel campo dei discorsi sul-
fatto che l’etnomusicologia, storicamente basata sulla tradi- la musica e della circolazione dei materiali sonori spesso sen-
zione orale, ha sempre rivendicato come elemento fondante za alcuna contestualizzazione e apparato interpretativo che
del proprio discorso sulla musica, dato che le proprie fonti pri- consenta una comprensione e una ricezione critica di ciò che
marie sono gli stessi documenti sonori, e non le partiture o le si ascolta. In questo senso, un contributo di riflessione deri-
trascrizioni. Gli enormi progressi della tecnologia rendono vante da una pluriennale esperienza di ricerca e da un co-
sempre più attuali le questioni poste da Seeger: oggi un di- stante contatto con i processi di creazione, trasmissione e frui-
scorso sulla musica è pressoché inscindibile dalla presenza di zione di una determinata cultura musicale può esser utile a
suoni e immagini, non tanto concepiti come corredo docu- disvelare alcuni stereotipi e banalizzazioni e a meglio com-
mentario di un enunciato scritto o parlato, ma proprio come prendere la natura dei processi culturali oggetto di interes-
parte essenziale di un’argomentazione “multimediale” della se, a volte anche di massa, come avvenuto di recente a pro-
quale essi costituiscono parte integrante ed essenziale. posito della “pizzica” salentina.
Per un etnomusicologo, parlare di musica si intreccia Del resto, negli ultimi decenni l’etnomusicologia ha rivi-
dunque inestricabilmente con le questioni della documenta- sto e affinato le modalità con cui rendere conto della propria
zione che è in larga parte, oggi ancora più di ieri, sonora e au- ricerca. Si può citare, a questo proposito, un saggio redatto
diovisiva. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali so- da Ramon Pelinski per l’Enciclopedia della Musica Einaudi,
no attualmente disponibili strumenti di registrazione larga- in cui lo studioso presenta alcune modalità discorsive del-
mente accessibili anche a chi non disponga di cospicui fon- l’attuale ricerca etnomusicologica che si nutrono anche e so-
di di ricerca, con prestazioni di alto livello e poco invasivi: si prattutto di cambiamenti e rivoluzioni avvenute nella ricer-
pone dunque sempre di più la questione di quanto di regi- ca antropologica degli ultimi decenni (Pelinski 2002)2. Al di
strato e di audiovisivo debba entrare nel discorso sulla mu- là della questione del postmodernismo su cui insiste Pelin-
sica del musicologo e dell’etnomusicologo. E quanto di mu- ski, ritengo che una serie di modalità relative alla presenta-
sicale (sonoro). Di conseguenza, parlare di musica significa zione della propria ricerca sia il risultato di profondi processi
anche interrogarsi su quale sia il giusto equilibrio fra riferi- di cambiamento nell’oggetto di studio dell’etnomusicologia
menti ad aspetti specifici della modalità di comunicazione at- e del modo in cui lo studioso si pone rispetto al proprio ter-
traverso i suoni (che passano anche per una conoscenza tec- reno di indagine. Scrive Pelinski (2002, p. 709):
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 118

 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

In effetti, l’etnomusicologia attuale tende a integrare il suo di- guardo a quanto sostenuto da Seeger, vale a dire sulla neces-
scorso entro i più ampi contesti di altri discorsi, siano questi an- sità di integrare il discorso verbale sulla musica con un di-
tropologici, sociologici, filosofici, storici, ecc. Questa apertura scorso sulla musica basato sui suoni musicali stessi, vorrei af-
interdisciplinare coincide con le pratiche musicali contempo- frontare, attraverso un esempio specifico, la questione di co-
ranee, le quali rappresentano di solito una pletora di stili mu- me determinati fenomeni sonori e musicali siano comprensi-
sicali, un incrocio di codici e di voci differenti. Il discorso del-
l’odierna etnomusicologia è plurale e polifonico.
bili appieno solo se valutati all’interno di processi e dinami-
che culturali – i contesti culturali ai quali si fa riferimento nel
Oltre alla profonda diversità delle “pratiche musicali con- titolo di questa sezione del volume – che si vanno profonda-
temporanee” rispetto a quello che tradizionalmente era con- mente e rapidamente trasformando. L’esempio che ho scelto
siderato l’oggetto di studio dell’etnomusicologia, vale a dire è tratto dalla mia personale e oramai quasi trentennale espe-
la musica contadina di tradizione orale, o la musica di un’et- rienza di ricerca. Si tratta delle modificazioni intervenute ne-
nia extraeuropea, isolate e finite in se stesse, vi è anche una gli organici strumentali, legate alle attuali e profonde trasfor-
riformulazione e riconsiderazione delle pratiche di ricerca sul mazioni del folklore musicale della Campania.
campo, oggi diverse da quelle di un tempo:

Il lavoro sul campo è molto differente da quelle missioni folk- Parlare del folklore musicale in Campania oggi
loriche il cui oggetto principale consisteva nel rintracciare la
maggior quantità possibile di brani per sottoporli in seguito al- Il folklore musicale della Campania è noto per la sua ric-
la classificazione, alla descrizione, all’analisi e all’interpretazio- chezza e vitalità grazie all’intensa attività di musicisti “con-
ne nel laboratorio del ricercatore (pp. 701-702). taminati” che attingono a piene mani al ricco tessuto di mu-
sica contadina e urbana della città di Napoli, e alla riscoper-
Oggi la ricerca si sviluppa in forma molto più dialogica e ta dovuta soprattutto all’attività di ricerca e di riproposta con-
collaborativa con coloro che sono gli esponenti e i protago- dotta per molti anni da Roberto De Simone. Non è questa la
nisti delle musiche che vengono studiate e si intendono de- sede per ripercorrere la storia degli studi sulle tradizioni mu-
scrivere. Si tratta di una nuova forma che assume lo stru- sicali della Campania né per sintetizzare i caratteri peculiari
mento principe della ricerca antropologica – la ricerca sul cam- di queste tradizioni musicali3, se non per ribadire quanto so-
po nella sua prospettiva dell’osservazione partecipante – nel- stiene De Simone: una sostanziale e peculiare continuità tra
la quale l’aspetto partecipativo diventa sempre più rilevante campagna e città di Napoli si riflette nella particolarità dei re-
e implica una forte interazione con i soggetti con cui si entra pertori musicali vivi ancor oggi in questa regione, di enorme
in contatto. Il ricercatore, in altre parole, si deve misurare con varietà e di impatto anche più ampio della sola regione cam-
un terreno di ricerca costituito non solo da repertori musica- pana, dalle tammurriate (simbolo di una civiltà contadina) fi-
li da documentare con registrazioni sonore, ma anche da pen- no alla canzone napoletana (repertorio urbano contaminato
sieri e giudizi attorno alla musica che gli possono consentire anche con la musica “colta”). Scrive De Simone (1983, p. 3):
di comprendere significati, funzioni e valenze di determina- “a Napoli, a differenza di altre città, è stata sempre presen-
te espressioni sonore, in un continuo confronto musicale e ver- te in passato una cultura contadina estremamente vitale, che
bale (ma naturalmente anche non verbale) con i protagonisti. solo da poco tempo sembra avviata alla dissoluzione”. E lo
Se in questa sede, proprio per la natura di un intervento stesso De Simone fa riferimento a diversi livelli presenti nel-
scritto, non mi è possibile sviluppare un’argomentazione ri- la musica napoletana: colto, semi-colto, popolare, popola-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 120

 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

reggiante, che riflettono la complessa articolazione sociale e In questo, rilevo una significativa interazione tra musi-
musicale presente nella città di Napoli in uno stretto rapporto ca e contesto culturale. Si tratta di un processo dinamico,
con le tradizioni musicali delle campagne circostanti. dato che ogni comunità e ogni contesto procede in manie-
Più in generale, bisogna anche osservare che, nel corso re differenti e, appunto, significativo, dato che a volte è pro-
degli ultimi decenni, alla consapevolezza diffusa di una ric- prio la musica a poterci segnalare cambiamenti e trasfor-
chezza e complessità delle tradizioni musicali campane non mazioni di processi sociali, senza alcun meccanicismo de-
ha corrisposto un analogo interesse di studio e di ricerca: terministico.
nonostante la grande notorietà di alcune forme, in realtà del-
la tradizione musicale in Campania si conosce ancora ben
poco. Ad ogni modo, chi intenda parlare (o scrivere) oggi La tarantella di Montemarano: dalla ciaramella al clarinetto
della musica tradizionale in Campania dovrà quasi inevita-
bilmente confrontarsi con i profondi processi di cambia- A Montemarano, un paese dell’Irpinia a circa trenta chi-
mento che si stanno verificando in questi ultimi anni nei re- lometri da Avellino, si festeggia il Carnevale con una celebre
pertori, negli organici strumentali, nelle funzioni della mu- tarantella danzata dagli abitanti del paese che, in forma pro-
sica tradizionale, nel rapporto tra esecutori e fruitori. Chiun- cessionale e disposti su due file, sfilano ballando per le stra-
que oggi si accosti a repertori, feste e cerimonie che erano de accompagnati dal suono di un piccolo complesso stru-
luoghi privilegiati di esecuzioni musicali legate al folklore mentale composto da clarinetto, fisarmonica e tamburello. La
del mondo agro-pastorale, troverà, infatti, delle forme più festa si svolge gli ultimi tre giorni di Carnevale, con una ri-
o meno modificate e “contaminate” dai processi della mo- presa anche la domenica successiva per la celebrazione del-
dernità: sostituzione di strumenti musicali, uso di amplifi- la morte di Carnevale, a cui segue nuovamente una danza pro-
cazione, fenomeni di promozione turistica, di spettacola- cessionale di tarantella per le strade del paese. Sulla tarantella
rizzazione e così via. Si tratta di fenomeni comuni a gran di Montemarano e sulla sua musica sono stati pubblicati di-
parte del nostro folklore, che trovano spazio anche nella mu- versi studi e registrazioni a partire dagli anni Cinquanta,
sica campana. quando Carpitella e Lomax documentarono per la prima
In questo mio intervento vorrei affrontare un solo aspet- volta la tarantella montemaranese inserendola nella loro rac-
to di questo complesso processo di trasformazione, a mio pa- colta sul folklore musicale italiano (Lomax, Carpitella 1957)4.
rere significativo anche della difficoltà del parlare di musica In questa sede vorrei soffermarmi solamente su un aspet-
e della nuova prospettiva della ricerca e della divulgazione: to di questa musica, vale a dire su alcuni processi di trasfor-
alcune trasformazioni intervenute nell’organico strumentale mazione che la tarantella ha subito a partire dal dopoguer-
e il ruolo che questi cambiamenti hanno svolto nella conti- ra. La montemaranese ha infatti conosciuto nuova vita quan-
nuità della tradizione. In genere ci si riferisce alle trasforma- do un maestro di banda locale, Domenico Ambrosini, ha in-
zioni del folklore come a dei depauperamenti e delle riduzioni trodotto nella formazione strumentale il clarinetto (verosi-
a modelli commerciali e di consumo, con un’accezione ne- milmente verso la fine degli anni Quaranta), sostituendolo al-
gativa. In questo mio scritto vorrei provare a raccontare co- la ciaramella suonata in precedenza5. Questo cambiamento,
me, in effetti, i processi di trasformazione possano anche fa- anziché produrre come in tanti altri casi del folklore musicale
vorire lo sviluppo di una tradizione, e come non sempre il italiano un impoverimento del repertorio e una sua “norma-
cambiamento coincida con lo snaturamento, l’omologazione lizzazione” a un codice musicale eurocolto (ad esempio di ti-
e la banalizzazione. po bandistico), ha consentito a questa musica di sviluppar-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 122

 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

si. Esso ha anzi garantito, a mio parere, la sua sopravviven- nità montemaranese (compresa quella degli emigrati) e il
za anche in tempi in cui, nelle zone circostanti, i repertori del Carnevale (e la tarantella), di fronte alle spinte disgreganti
folklore sono soggetti a rapida scomparsa. provenienti dalle trasformate condizioni sociali, dal contra-
L’uso del clarinetto ha comportato, rispetto alla ciara- sto snaturante tra istanze di conservazione della tradizione co-
mella, la possibilità di sviluppare alcuni aspetti della melodia munitaria e di promozione della tradizione a fini turistici e
montemaranese senza venir meno ai suoi caratteri essenzia- di sviluppo, con conseguente spettacolarizzazione della festa
li. Se la ciaramella si “limita” a eseguire melodie su due soli a uso e consumo di partecipanti esterni.
livelli modali (maggiore e “lidio”)6, il clarinetto offre l’op- Parlare della musica del Carnevale di Montemarano, dun-
portunità di eseguire ciascun modello melodico anche nel que, significa dover interpretare fenomeni di trasformazione
modo minore e in ciascuna delle tonalità maggiori e minori allo stesso tempo musicale e socio-culturale, senza i quali la
del sistema temperato; consente una maggiore agilità esecu- musica che oggi si ascolta non potrebbe essere compresa. Il
tiva che si traduce nella possibilità di fiorire ogni melodia in ruolo della descrizione musicale si intreccia strettamente con
maniera più elaborata; facilita la creazione di nuove tarantelle l’interpretazione dei fatti sociali e culturali. E, altro aspetto
che meglio interpretino il gusto musicale più moderno, sem- di novità rispetto al passato, il ricercatore deve confrontarsi
pre più connotato da un linguaggio armonico-tonale e dai le- anche con i protagonisti della festa, essi stessi attivi promo-
gami con il mondo della canzone e del “liscio” (Giuriati tori di uno sviluppo e di una riflessione sulla loro festa e la
2003). Tutto ciò senza venir meno ai principi musicali fon- loro musica. A Montemarano esistono un Museo della ta-
danti della tarantella, vale a dire la continua variazione me- rantella e un sito web creato dalla Pro loco che fornisce no-
lodica e ritmica, la fedeltà ai modelli melodici tradizionali, la tizie sul Carnevale, ma anche spunti di riflessione7. Il Co-
funzione di sostegno del ballo. mune, la Comunità montana e l’APT di Avellino organizzano
Il clarinetto, dunque, lungi dal costituire un impoveri- frequentemente convegni e incontri di studio per ragionare
mento della prassi esecutiva, è divenuto un elemento forte e su potenzialità e pericoli di uno sviluppo che coinvolga an-
sostanziale di continuità, e ha consentito che la tarantella che gli aspetti culturali. Chiunque intenda fare ricerca in
montemaranese giungesse fino a oggi in buona salute e pie- questo contesto, non può oramai prescindere da un con-
namente funzionale alla festa per la quale è nata. Un segna- fronto con queste istanze locali.
le di questa sua attuale vitalità e capacità di adattamento al-
le mutate condizioni sociali e culturali è costituito dal fatto
che i gruppi musicali montemaranesi si vanno professiona- La festa dei Gigli di Nola: dalle bande ai complessi musicali
lizzando. Oggi, a Montemarano, i suonatori eseguono la ta- moderni
rantella non più solamente nell’ambito del Carnevale, ma in
una quantità di altre occasioni, prime fra tutte le serate nei Anche nel caso della musica della festa dei Gigli a Nola
locali o nelle feste che si svolgono in Irpinia soprattutto nel si verificano simili fenomeni di trasformazione, pur se in un
periodo estivo. La musica è divenuta dunque anche un’op- contesto profondamente diverso. Nola è una cittadina situa-
portunità di lavoro: e non credo sia un caso che, durante le ta nella piana dell’agro napoletano, ed esprime codici musi-
sfilate del Carnevale, si possano vedere tanti ragazzi che si mi- cali ormai lontani da quelli del folklore. La festa dei Gigli si
surano con il clarinetto o con la fisarmonica. In questo con- celebra la prima domenica successiva al 22 giugno, festa di
testo in continuo divenire, emerge la questione di come pos- S. Paolino vescovo di Nola, e ricorda il suo ritorno dall’Africa
sa sopravvivere il forte legame ancora esistente tra la comu- assieme ai nolani affrancati dagli infedeli; la festa consiste in
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 124

 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

una processione di otto Gigli e della Barca, macchine di le- sto passaggio dalla tromba al sassofono9. Forino sostiene che
gno e cartapesta alte fino a quindici metri, per le strade del le caratteristiche esecutive della tromba rendevano lo stru-
paese. Ciascun Giglio viene mosso da una “paranza” (squa- mento poco adatto a sostenere i movimenti del Giglio per ore
dra) di portatori composta da un centinaio di persone, i cui e ore. Il labbro a lungo andare si stancava, e la mancanza di
movimenti sono sostenuti e coordinati da una formazione amplificazione richiedeva con il passare degli anni uno sfor-
musicale. La particolarità di questa processione con grandi zo sempre crescente per sovrastare i rumori di fondo della fo-
macchine portate a spalla (se ne trovano molte altre in Italia, nosfera urbana, sempre più forti e intensi (motori, generatori
dai Ceri di Gubbio ai Candelieri di Sassari, alla Macchina di elettrici, altoparlanti e così via). L’introduzione dell’amplifi-
Santa Rosa a Viterbo) è che i musicisti sono collocati sul Gi- cazione ha consentito di utilizzare il sassofono, uno stru-
glio e vengono anch’essi portati in processione dalla paran- mento che presenta maggiori caratteristiche di duttilità, e la
za. In tal modo si stabilisce un legame molto forte, a livello cui tecnica esecutiva risulta essere meno faticosa per il suo-
fisico, tra musicisti e portatori. natore, che può durare più a lungo e accompagnare il Giglio
Anche in questo caso non è possibile entrare nelle com- con maggior efficacia per tutto il suo percorso, che inizia la
plesse caratteristiche antropologiche e musicali della festa, mattina verso le nove per concludersi in piazza Duomo, e che
sulle quali peraltro esiste molto poco di scritto nella lettera- riparte verso le quattro del pomeriggio per concludersi de-
tura antropologica ed etnomusicologica8. Vorrei in questa se- finitivamente a notte fonda o all’alba del giorno seguente.
de soffermarmi brevemente su un aspetto relativo alla tra- L’introduzione di questo strumento, più versato anche in un
sformazione di un organico strumentale che, pur facendo repertorio che spazia dal jazz al liscio, ha profondamente mo-
“storcere il naso” ai puristi della tradizione (Unesco com- dificato l’assetto musicale dei Gigli, rendendo più facile l’in-
presa), ha favorito la vitalità della festa e la partecipazione dei troduzione di repertori più legati a un’attualità musicale
nolani, in una dinamica simile a quella del Carnevale di Mon- commerciale, quali jingles pubblicitari, sigle televisive, can-
temarano. zoni di successo. Il repertorio della musica per il Giglio si
Pur mancando quasi del tutto una ricostruzione storica può, infatti, dividere in due parti: alcune canzoni che ogni
della musica per i Gigli, sappiamo che, almeno dagli inizi del anno vengono composte appositamente per ciascun Giglio,
XX secolo, la musica per questa festa era eseguita da fanfare tra cui la più importante è la “canzone per l’alzata”, che si
nelle quali la tromba era strumento protagonista. A partire esegue per coordinare il movimento dei portatori quando de-
dagli anni Settanta si è verificato un graduale cambiamento vono alzare la pesante macchina; e una serie di musiche trat-
per cui la fanfara (e la tromba) è stata sostituita da un com- te dai repertori più vari, che servono ad accompagnare gli
plesso di musica moderna, con il sassofono baritono come spostamenti del Giglio e a intrattenere portatori e spettato-
strumento leader. Il complesso tipo è costituito da due can- ri nei momenti di riposo. Mentre la canzone per l’alzata de-
tanti, due sassofoni, una tastiera elettronica, tamburo, piatti ve essere immediatamente riconoscibile e rispettare un de-
e grancassa, ai quali si aggiungono sempre più spesso chitarra terminato ritmo, per consentire ai portatori di poter sin-
e/o basso elettrico. Questo cambio d’organico strumentale si cronizzare il proprio sforzo, le altre musiche (denominate ad
deve con tutta probabilità all’introduzione dell’amplifica- esempio “marcetta” o “mezzo passo”) possono essere ispi-
zione, che ha reso il suono del sassofono udibile nel forte ru- rate ai repertori più diversi: un tempo prevalentemente al re-
more di fondo della festa, alla quale partecipano migliaia di pertorio bandistico e a quello della canzone napoletana, og-
persone. Un’intervista a Felice Forino, uno dei musicisti og- gi molto più contaminate anche con musiche provenienti dal
gi più affermati nell’ambito della festa dei Gigli, chiarisce que- circuito dei mass-media, più conosciute da tutti. Secondo i
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 126

 GIOVANNI GIURIATI CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONI DELLE MUSICHE... 

nolani, ricorrere a motivi nuovi ogni anno, e trarli da re- Tornando alle osservazioni tratte dal saggio di Pelinski, per
pertori di successo popolare, consente di “galvanizzare” i un etnomusicologo parlare di musica significa confrontarsi
portatori e di intrattenere coloro che seguono il Giglio, ga- con quei processi di trasformazione dei contesti nei quali un
rantendo così la riuscita della festa. E per attirare e coin- determinato repertorio viene eseguito, e adattare a queste
volgere i partecipanti è richiesta oggi quella musica che è so- trasformazioni le proprie metodologie di indagine. Come so-
cialmente condivisa, vale a dire quella diffusa dai media: di stiene Pelinski, infatti, le mutate condizioni della produzione
nuovo, trasformazioni a livello musicale possono essere pie- e circolazione della musica tradizionale richiedono diverse me-
namente comprese solo in relazione al loro contesto sociale todologie di indagine sul campo e l’uso di una prospettiva di
e culturale. ricerca aperta all’interdisciplinarità. Questo nuovo approccio,
Segnalo brevemente, anche in questo caso, la vasta par- che a mio parere si deve sempre più avvalere, secondo quan-
tecipazione e il coinvolgimento dei protagonisti della festa to sosteneva Seeger, di un parlare di musica che tenga conto
nella riflessione su ciò che avviene nel loro contesto, sia per e utilizzi anche i suoni musicali come elemento distintivo, è
quanto riguarda i musicisti stessi che l’ambito di documen- quello che meglio si adatta al raccontare come oggi la musi-
tazione locale, espresso al suo meglio dal Museo etnomusi- ca sia ancora una componente fondamentale dei sistemi cul-
cale “I Gigli di Nola”10. E sottolineo, infine, che un muta- turali, e per questo in continua e forte trasformazione. In
mento e una trasformazione, che secondo i canoni di un’an- questa prospettiva, lungi dal rimpiangere il bel tempo passa-
tiquata etnomusicologia dovrebbero essere interpretati come to che non c’è più, uno dei compiti dell’etnomusicologia con-
un impoverimento della tradizione, si rivelano invece come siste oggi nell’interpretare il presente e comprenderne le di-
una capacità di adattarsi a mutate condizioni ambientali, so- namiche sonore e musicali in stretta relazione con quelle del
ciali e culturali, garantendo la continuità della festa. contesto culturale delle quali sono espressione.

Osservazioni conclusive
1
Scrive Seeger: “When we talk about music, we produce in the composi-
tional process of one system of human communication, speech, a communica-
Credo appaia evidente, da questi esempi, come il conte- tion ‘about’ another system of human communication, music, and its composi-
sto culturale contribuisca in maniera rilevante a determina- tional process. The core of undertaking is the integration of speech knowledge
re alcuni processi sonori e musicali e a orientarne la com- in general and the speech knowledge of music in particular (which are extrin-
prensione. Studiare la musica “vivente” eseguita nella con- sic to music and its compositional process) with the music knowledge of music
(which is intrinsic to music and its compositional process)” (1977, p. 16).
temporaneità implica la conoscenza dei contesti e delle di- 2
Pelinski cita, a questo proposito, soprattutto le riflessioni di Geertz (1988)
namiche culturali all’interno dei quali si sviluppano le diverse e di Clifford (1988).
forme musicali. Solo valutando le condizioni sociali e cultu- 3
Cfr., a questo proposito, De Simone 1979 e Giuriati 1995.
4
rali in un orizzonte più ampio, e attraverso un confronto con Sul Carnevale di Montemarano e la sua tarantella, cfr. anche Rossi, De Si-
mone 1977; Giuriati 1982.
i protagonisti, si possono comprendere i motivi per cui nel 5
Sull’adozione del clarinetto a Montemarano e sulle caratteristiche sono-
corso degli ultimi cinquant’anni le due feste qui prese in re della tarantella cfr. Tulli 1999-2000.
considerazione hanno mutato l’organico strumentale di rife- 6
Il cosiddetto modo lidio, particolarmente diffuso nella musica contadina
rimento e trasformato le proprie musiche, riuscendo in tal della Campania, è basato su una scala con il quarto grado aumentato, spesso de-
clinato con profilo discendente, del tipo: sol - fa# - mi - re - do. Il nome “lidio”
modo a mantenere partecipazione e funzionalità alle loro ce- deriva dalla corrispondenza con il modo lidio del canto gregoriano, che ha la
lebrazioni collettive. stessa successione di intervalli.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 128

 GIOVANNI GIURIATI

7
http://www.promontemarano.it. Il sito è curato da Beniamino Palmieri, Come si racconta il teatro musicale?
uno dei suonatori più bravi e attivi del Carnevale montemaranese.
8
Sulla musica per la festa dei Gigli e sulla letteratura esistente, cfr. Giuria- Pierluigi Petrobelli, Antonio Rostagno
ti 2007.
9
Intervista da me realizzata nel dicembre 2007, in collaborazione con il Mu-
seo etnomusicale “I Gigli di Nola”.
10
Il sito del Museo è http://www.giglidinola.it; alla festa sono dedicati mol-
ti altri siti, curati dai vari protagonisti, primi fra tutti quelli delle “paranze” (le
squadre dei portatori).

A. R. (Antonio Rostagno) Lo storico della musica si tro-


va a parlare di opera in occasioni molto diverse: nei corsi uni-
versitari, nelle conferenze pubbliche, nei convegni scientifi-
ci. Di fronte a questa pluralità di contesti, si pone il proble-
ma della scelta di prospettiva, del linguaggio da impiegare,
degli obiettivi verso cui indirizzare l’attenzione di chi ascol-
ta: è necessario un adattamento alle diverse situazioni?
P. P. (Pierluigi Petrobelli): Escluderei che in linea di prin-
cipio ci sia una differenza fra il parlare di musica a un pub-
blico di appassionati, di dilettanti, di specialisti o di studen-
ti. Ciò che accomuna questi pubblici è il fatto che vogliono
apprendere qualcosa, e quindi non vedo perché io debba fa-
re distinzioni di contenuto o di linguaggio. Ciò che comuni-
co, in ogni occasione, è ciò che ritengo importante e neces-
sario: propongo il risultato del mio lavoro di studioso, che
consiste nel chiarirmi alcuni problemi. Non a caso, ho defi-
nito il mio libro La musica nel teatro (1998) “la cronaca di una
ricerca”, perché racchiude le tappe attraverso cui ho potuto
chiarire a me stesso le reazioni che l’opera induce all’atto del-
la recezione.

A. R. In generale, l’esperienza della recezione è forte-


mente condizionata dalle nostre abitudini di ascolto: nel ca-
so del teatro musicale, dunque, penso che le nostre reazioni
dipendano in larga misura anche dalle opere su cui ci siamo
formati. Chi ha praticato a lungo il teatro di Verdi, come gran
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 130

 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

parte del pubblico italiano, tende a osservare l’intero reper- della regia moderna, a inizio Novecento, fino ai nostri giorni,
torio dal punto di vista della drammaturgia e del linguaggio la componente visiva ha assunto un grande rilievo, e anche la
musicale verdiani, e a proiettare quest’ottica anche su re- storia dell’opera è disseminata di eventi che documentano la
pertori molto diversi, come il teatro di Wagner. centralità di questo aspetto. La rottura di Verdi con l’impre-
P. P. Non c’è dubbio; d’altra parte, bisogna considerare sario Merelli e con l’ambiente milanese, ad esempio, nasce
che gran parte dei musicisti usciti dai nostri conservatori proprio dall’inadeguatezza della messinscena di Giovanna
proviene dalla musica strumentale, dalla linea Bach-Beetho- d’Arco; ciò dimostra come il compositore, fin dalle sue prime
ven-Brahms, e questo inevitabilmente influenza anche la lo- opere, abbia attribuito una forte rilevanza narrativa alla com-
ro percezione del teatro verdiano. Così è stata, almeno in par- ponente visiva. Di tutto questo, evidentemente, bisogna tener
te, anche la mia esperienza. Fin da bambino ascoltavo ese- conto anche quando ci si interroga sui meccanismi di fruizione
cuzioni operistiche familiari, dilettantesche, soprattutto ope- dell’opera, e sulla possibilità di trasmettere al pubblico gli stru-
re di Puccini; intorno ai diciotto anni ho maturato un radi- menti interpretativi adeguati. Durante una conferenza intro-
cale rifiuto nei confronti di quel mondo e ho scoperto la mu- duttiva a uno spettacolo operistico, in che misura tendi a sol-
sica strumentale: a Padova passavano leggende della musica lecitare l’attenzione e la curiosità dell’uditorio nei confronti
come Alfred Cortot, che suonava Chopin, e Wilhelm della componente visiva? È possibile parlare della funzione,
Backhaus, grande interprete di Beethoven, e ne sono stato fol- dei pregi o dei difetti di una regia, senza per questo distogliere
gorato. Sono tornato a Verdi molto più tardi, solo verso i l’attenzione dalla musica?
trent’anni: ma sempre attraverso il confronto con la musica P. P. Non possiamo certo dimenticare che il pubblico, a
strumentale. teatro, inevitabilmente vede uno spettacolo. La questione
che sollevi è particolarmente delicata e complessa; di recen-
A. R. Un confronto inevitabile, dal momento che l’uni- te, ho sviluppato alcune riflessioni su questo tema in occa-
verso della musica strumentale è spesso fortemente radicato sione di una relazione presentata al congresso del Repertoi-
nell’orizzonte di esperienze del pubblico. Per aiutare questo re Internationale d’Iconographie Musicale a New York, che ho
stesso pubblico ad avvicinarsi al mondo dell’opera, però, oc- intitolato To ear and to see. The function of the staging in mu-
corre attivare strategie di discorso capaci di evidenziare cer- sical theatre. Ciò che il pubblico osserva sulla scena non è sol-
ti tratti specifici e distintivi del teatro musicale. Come affronti, tanto una visione astratta, ideale o mentale; è un coinvolgi-
in generale, la presentazione di un’opera? mento totale con ciò che viene rappresentato. E questo coin-
P. P. Occorre sempre partire dalla vicenda. Cerco anzi- volgimento avviene solo se la realizzazione scenica non con-
tutto di ricostruire la storia, il fatto, mettendomi nei panni del trasta con ciò che “dice” la musica. All’interno della partitura
pubblico a teatro. Perché quando si va a teatro si sente, ma – di qualunque partitura, da Monteverdi a Mozart o Britten
allo stesso tempo si vede: c’è un racconto che si svolge nel – c’è un codice di comunicazione estremamente raffinato, che
tempo e nello spazio, un racconto non verbale ma musicale. si articola mediante la struttura del linguaggio musicale: la
Nell’esporre la vicenda, dunque, cerco soprattutto di sotto- musica dunque veicola un messaggio, ma solo in funzione di
lineare come il musicista ne ha messo a fuoco gli aspetti fon- un processo di comunicazione che si realizza pienamente nel
damentali. momento della rappresentazione scenica.

A. R. Un altro aspetto determinante per la fruizione del- A. R. Quindi ogni rappresentazione dovrebbe fare storia
l’opera riguarda il ruolo e la funzione della regia. Dalla nascita a sé; possiamo dimenticare l’utopica idea di “opera assoluta”?
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 132

 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

P. P. Possiamo dimenticarla, anche perché non c’è mai sta- che fa, i suoi gesti e i suoi movimenti, devono essere legati
ta. È un’ossessione moderna, quella di ricostruire il “pensie- a ciò che succede in partitura, e cioè motivati e determina-
ro originale”; in realtà il pensiero originale non è altro che un ti dalla musica.
momento della storia di un’opera, che coincide con una sin-
gola messinscena. Nel suo recente studio Shakespeare all’o- A. R. La possibilità di ambientare la regia di un’opera in
pera (2006), Giorgio Melchiori afferma in modo categorico diverse epoche e contesti mi sembra legata a una concezio-
che i testi shakespeariani, così come ci sono pervenuti, sono ne della rappresentazione come processo mitico: i perso-
la documentazione di una rappresentazione: a ogni ripresa, naggi non sono altro che emblemi di una categoria umana, e
essi venivano modificati con aggiunte, spostamenti ed elimi- la rappresentazione scenica è una concretizzazione contin-
nazioni di battute o di intere scene. Ciò vale esattamente an- gente del contenuto mitico del dramma. In questa prospet-
che nel campo del teatro musicale: è una prospettiva sbagliata tiva, qualunque rappresentazione ha lo scopo di riattualizzare,
quella che va alla ricerca di un’esecuzione “giusta” o “non riattivare, far rivivere il mito ogni volta.
giusta”, perché ci espone al rischio di scivolare verso una for- P. P. Non c’è dubbio che la messinscena possa cambiare
ma maniacale e deviante. infinite volte, perché si ricollega a una situazione fonda-
mentale dell’esistenza spostata sul piano mitico: ed è questo
A. R. In effetti, la messa in scena dei testi shakespearia- che consente l’identificazione del pubblico. Nella storia di
ni ha continuato a subire profonde modifiche nel corso del Violetta, la protagonista della Traviata di Verdi, non vedia-
tempo. Basti pensare ai cambiamenti apportati nel Settecen- mo il ritratto di una prostituta del Secondo Impero, ma la sto-
to dal celebre attore David Garrick, nelle sue interpretazio- ria di un essere umano che subisce una violenta limitazione
ni di Romeo and Juliet, o alla prassi di introdurre nuovi per- delle sue libertà, del volere e del sentire. Questo è l’aspetto
sonaggi, come l’apparizione di Ecate nel Macbeth. E non mitico. Del resto, una delle componenti fondamentali del tea-
mancano esempi analoghi anche nella storia del teatro d’o- tro di Verdi è proprio la condanna della violenza: un elemento
pera. Questo significa dunque che l’unico “testo” è ciò che centrale anche in Aida, il cui terzo atto mette in scena l’e-
vive sulla scena, il testo drammatico? sercizio della violenza più feroce, la violenza che fa leva su-
P. P. Ciò che si realizza attraverso la visione e la presen- gli affetti profondi, quella del padre Amonasro che costrin-
za viva del teatro è un processo di identificazione dello spet- ge la figlia Aida a macchiarsi di tradimento nei confronti
tatore con quello che vede sulla scena. Se in qualche modo dell’amato Radames. Sono questi aspetti, universali e mitici,
quello che si vede sulla scena non corrisponde a ciò che si che la rappresentazione teatrale deve saper sottolineare sen-
ascolta, questo processo subisce un’interruzione. za incertezze; tutto il resto viene dopo, ma non è ugualmen-
te essenziale.
A. R. E allora accade la cosa più terribile: l’incompren-
sione o, più precisamente, la noia. A. R. Torniamo a Traviata; precisamente al finale del II
P. P. Esattamente. Come diceva Voltaire, “Au théâtre atto, con il grande concertato successivo all’umiliazione di
tous les genres sont bon, sauf l’ennuyeux”; trattandosi di Violetta, dopo che Alfredo le ha gettato il denaro vinto al gio-
un’arte che si svolge nel tempo e in diretta, è necessario che co in segno di disprezzo. La vicenda non procede, non ci so-
il teatro sappia sempre tener desta l’attenzione, senza con- no eventi concreti da tradurre in parole, ma il sipario non ca-
traddizioni. E allora mi va bene che Tristan sia vestito con la e la scena si conclude solo dopo diversi minuti. Pur nel-
un manto settecentesco o in costume moderno; ma tutto ciò l’assenza di eventi, accade tuttavia qualcosa di profonda-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 134

 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

mente significativo nella musica: l’azione si sposta dal piano quando i minatori perdonano Minnie e il bandito Johnson,
esteriore alle reazioni interne dei personaggi, facendo ap- Puccini realizza un finale del tutto insolito, di una comples-
pello all’emotività degli ascoltatori. Questa situazione è par- sità inaudita.
ticolarmente problematica per i registi; alcuni si limitano a la-
sciare tutti fermi per l’intero quadro, altri introducono mo- A. R. Questo finale di Puccini è particolarmente con-
vimenti degli attori che spesso risultano fuorvianti. Come do- troverso, perché da un lato segna l’inizio di una nuova vita
vrebbe configurarsi l’intervento registico in situazioni di que- per i due amanti; d’altra parte, il dolore del distacco di
sto genere, che nell’opera non sono affatto rare? Minnie dall’ambiente in cui era vissuta si proietta sul sor-
P. P. Su questo finale di Traviata, Fabrizio Della Seta ha gere del nuovo giorno, e l’effetto scenico-luministico gene-
proposto alcune interessanti riflessioni in un intervento du- ra un contrasto con la situazione emotiva generale e con la
rante una giornata di studi all’Accademia dei Lincei, dal ti- musica che la esprime. È un momento carico di ambiguità:
tolo Fare la musica. Nella pièce teatrale di Dumas, da cui è il finale senza tragedie, uccisioni, morti, risulta apparente-
tratto il soggetto dell’opera verdiana, Armand getta i soldi a mente positivo; tuttavia, la distensione del perdono non at-
Marguerite, dopodiché cala immediatamente il sipario; Ver- tenua la sconsolata prostrazione dei minatori, consapevoli
di invece non chiude la scena, ma inserisce un ampio finale del fatto che stanno perdendo Minnie (“Mai più ritorne-
concertato, diverso dalla convenzione. Soprattutto se lo si pa- rai”). La voluta ambiguità fa sì che ancor oggi le interpre-
ragona a un modello più comune, come quello del primo at- tazioni di questo pezzo siano discordi: da Michele Girardi
to del Macbeth: in quel caso l’acclamazione iniziale (“Schiu- che, indagandone con acutezza i procedimenti musicali,
di, inferno, la bocca ed inghiotti”) è seguita da un Andante parla di “lieto fine” (1995), a Julian Budden, che sostiene
per sole voci a cappella (“O gran Dio, che ne’ cuori penetri”), che questo finale “gronda malinconia” (2002). In un caso
e quindi da un concertato “Grandioso” con regolare stretta di questo genere, più che mai, l’operato del regista (e del-
(“L’ira tua formidabile e pronta”). lo scenografo) ha un’importanza determinante nell’orientare
Nel finale secondo di Traviata non c’è nulla di tutto que- la percezione dell’uditorio; una cosa che i musicisti spesso
sto. Verdi non può calare il sipario con il coup de théâtre del stentano a capire, sempre troppo inclini a giudicare l’ope-
lancio dei soldi a Violetta: deve lasciare spazio alla reazione ra solo in base alle sue qualità musicali.
di Germont padre (“Di sprezzo degno”), alla reazione di Al- P. P. Dal mio punto di vista questo finale non ha proprio
fredo (“Ah sì, che feci”), alla reazione di Violetta (“Alfredo, nulla di positivo e ottimistico, e forse non è neppure possi-
Alfredo”), e infine alla risposta di tutti i convitati presenti al- bile leggerlo come un finale ambiguo; penso, infatti, che il do-
la festa. Senza la presentazione di tutte queste reazioni, che lore del distacco prevalga in modo decisivo sulla fiducia nel-
impongono il tempo musicale al dramma, il coup de théâtre sa- l’avvenire. Direi che proprio su questo tipo di divergenze, co-
rebbe ingiustificato. Il gesto musicale è un’eco, una risonan- sì come emergono dalle due interpretazioni, il lavoro del re-
za necessaria, richiesta dall’azione rappresentata sulla scena. gista trova il suo spazio d’azione, e le sue scelte possono svol-
Se un regista non capisce tutto questo perché legge solo il li- gere una potente funzione orientativa.
bretto, non studia la musica e non si rende conto della fun- D’altra parte, la realizzazione scenica deve nascere da
zione che Verdi attribuisce a quel concertato, ecco allora che un’interpretazione globale dell’opera, e non può diventare un
deve inventare i balletti, le controscene, le incongruenze. pretesto per portare in scena le convinzioni personali – più
Anche il finale dell’ultimo atto della Fanciulla del West di o meno interessanti – del regista. Emblematico il caso del-
Puccini, seppur molto diverso, presenta un caso del genere: l’allestimento di Un ballo in maschera realizzato nel 2001 dal
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 136

 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

teatro Liceu di Barcellona, in cui il regista Calisto Bieito ha spettatore a comprendere che il Ballo in maschera non è sem-
proiettato la propria vicenda biografica su quella realizzata plice spettacolo di finzione (o non solo), ma è il “ballo ma-
da Verdi. Non so come il signor Bieito abbia potuto indivi- scherato” della vita. Se dunque i registi avessero più umiltà!
duare delle analogie fra il soggetto verdiano e la propria bio- Per non parlare delle spaventose responsabilità di sovrin-
grafia: penso tuttavia che una vicenda personale appartenga tendenti e direttori artistici, per i quali “bisogna sempre fa-
più alla sfera della cronaca che non a quella del mito, e dun- re cose nuove”!
que non può diventare una visione emblematica di un mo-
mento della vita e della storia. A. R. Gli apporti innovativi tuttavia sono auspicabili: per
fortuna, il mito non si esaurisce mai e sopporta, anzi direi che
A. R. Con tutto il rispetto per coloro che hanno subito richiede, continue attualizzazioni.
la dittatura franchista, è evidente che una scelta registica di P. P. Questo è vero, in linea di principio, ma poi biso-
questo genere tende ad annullare l’assiologia del mito: la vi- gna valutare le situazioni specifiche, caso per caso. Oggi, pe-
cenda di Amelia e Riccardo diventa una vicenda di individui raltro, il problema delle scelte registiche non riguarda solo
con caratteri e psicologie precise, individuali, collocate in un la messinscena teatrale, ma anche la realizzazione di ripre-
tempo e in un luogo precisi e delimitati, non più emblema- se audiovisive. Qualche tempo fa ho assistito al Tristan und
tiche né mitiche. L’argomento è dei più importanti, e tocca Isolde rappresentato alla Scala, con la direzione di Daniel
uno dei principali elementi della riflessione di György Lukács Barenboim, che mi ha profondamente impressionato. Po-
sulla drammaturgia (1957, pp. 145-161); per usare le sue ce- co tempo dopo ho avuto modo di rivedere una di quelle re-
lebri categorie (singolarità – particolarità – universalità), di- cite in televisione, e la delusione è stata forte: perché il re-
rei che una messinscena tanto invadente impedisce alla rap- gista televisivo, per dare rilievo alle voci dei cantanti, ave-
presentazione del particolare di attingere all’universalità, re- va talmente attenuato la parte orchestrale da renderla qua-
legandola invece alla semplice illustrazione di un caso sin- si inaudibile.
golare, alla dimensione della singolarità irrelata. In tal modo
il mito torna nella realtà, torna sulla terra. A. R. Ho riscontrato spesso questo problema. D’altra
P. P. Collegando senza interruzione il primo atto al se- parte, nel caso del Tristan, la questione è particolarmente
condo, il regista Bieito ha indebolito l’effetto del finale pri- complessa, dato l’enorme e incessante lavoro motivico por-
mo; inoltre, in modo ancor più arbitrario, sulla melodia che tato avanti dalla scrittura orchestrale: non dando un ade-
è connessa con la preghiera di Amelia ha inventato un’azio- guato rilievo a questo aspetto, è come se il regista televisivo
ne scenica crudamente esplicita: ecco un altro esempio di in- abbia annullato l’essenza profonda del dramma. In genera-
congruenza che ostacola, anziché aiutare, la comprensione. le, le riprese televisive hanno anche un’altra controindica-
Eppure anche in questa messinscena c’è stato un mo- zione: spesso, infatti, l’abitudine cinematografica dei primi
mento davvero straordinario, un’intuizione scenica da gran- piani stravolge la normale recezione dell’opera. I grandi ge-
de teatro. Alla fine della prima scena dell’opera, quando Ric- sti che in teatro sono imposti sia dalla distanza sia dalla di-
cardo invita i cortigiani a recarsi con lui nell’antro della ma- latazione della declamazione indotta dal canto vengono re-
ga, alle parole “Dunque, signori aspettovi”, il regista fa por- si eccessivamente plateali dalla ripresa in primo piano, che
tare in scena un enorme appendiabiti, con nuovi costumi talvolta ne compromette il significato. In alcuni casi, come
per tutti i componenti del coro; all’improvviso, i cortigiani in- nelle parti dialoganti del duetto Violetta-Germont o come
dossano a vista gli abiti del travestimento. Questo aiuta lo nella scena del primo dialogo fra Isolde e Tristan, questi pri-
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 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

mi piani permettono di apprezzare in pieno l’arte della re- linguaggio che testimonia lo studio del quartetto d’archi dei
citazione acquisita oggi dai cantanti, che Stanislavskij au- classici viennesi. A Villa Verdi a Sant’Agata, accanto al letto
spicava fin dai tempi in cui fondò la scuola per il Bol’šoj. Ma del Maestro, sono conservate ancor oggi le partiture tascabili
nelle parti liriche, nelle lunghe sequenze in cui una medesi- dei quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven; grazie alla gen-
ma disposizione psicologica dilata il tempo reale nel tempo tilezza di Gabriella Carrara Verdi, che me ne ha permesso la
ideale, il primo piano risulta immotivato e addirittura ne- consultazione, ho potuto trovare all’interno della partitura di
gativo, anti-teatrale. un quartetto di Haydn una busta di telegramma datata feb-
P. P. Questo dimostra, ancora una volta, che per capire l’o- braio 1890, e che dunque risale proprio al periodo in cui Ver-
pera è necessario andare a teatro: l’opera è quella rappresen- di stava scrivendo Falstaff.
tata sul palcoscenico, e l’ascolto dal vivo non può essere ade-
guatamente sostituito da alcun’altra modalità di recezione. A. R. Rimane comunque il problema della comprensio-
ne, da parte di quel pubblico, di opere più “lontane” dal lin-
A. R. La tendenza a valutare un’opera in termini squisi- guaggio della musica strumentale come Il trovatore, in cui
tamente musicali, senza considerare che il significato della Verdi utilizza in prevalenza forme chiuse tradizionali, arie for-
musica può esplicitarsi solo in relazione alla sua realizzazio- malizzate, duetti e concertati. In realtà, a ben guardare, que-
ne scenica, alla sua efficacia teatrale, è forse responsabile di sta schematicità è solo apparente: Il trovatore è un’opera as-
un altro fenomeno a cui abbiamo già accennato. La forma- sai complessa, e quanto più si procede nello studio, tanto più
zione dei musicisti è legata prevalentemente allo studio del- emergono livelli di lettura profondi.
la musica strumentale: molti esecutori, come molti degli P. P. Non dobbiamo fermarci all’aspetto esteriore: come
ascoltatori che frequentano abitualmente i concerti di musi- ha scritto Gabriele Baldini (2001), la trama del Trovatore
ca classica, considerano l’opera italiana ottocentesca un ge- non si può raccontare. Perché? Perché l’azione avviene pri-
nere grossolano, impuro, non dotato di un’adeguata levatu- ma o dopo, o fra un atto e l’altro. All’inizio dell’opera, nella
ra culturale. Alcuni rimangono sorpresi al primo impatto ballata del primo atto, Ferrando racconta gli antefatti, in-
con la musica delle tarde opere verdiane, precisamente Otel- troducendo la dimensione del passato e del racconto: è il per-
lo e Falstaff, ma ciò non cambia il loro pregiudizio negativo sonaggio più vecchio, colui che detiene le chiavi di com-
nei confronti delle opere precedenti, come Ernani, Nabucco prensione degli eventi, quasi che essi scaturiscano dalla sua
o Il trovatore: forse proprio perché la supposta “semplicità” stessa narrazione; svolge, insomma, una funzione simile a
di queste musiche non è bilanciata da una conoscenza diret- quella del corifeo nella tragedia greca. Dopo il suo raccon-
ta della loro funzione ed efficacia teatrale. to, entrano in scena i protagonisti. La chiave di lettura della
P. P. Non c’è dubbio che il linguaggio musicale di Erna- trama, però, non risiede nella vicenda rappresentata, ma in
ni o del Trovatore sia decisamente lontano dall’esperienza co- alcune particolari “sonorità” attorno a cui Verdi costruisce
mune degli studenti di strumento in conservatorio o dei fre- tutta la partitura (Petrobelli 1998, pp. 107-120). La nota si,
quentatori di concerti di musica classica. Del resto, anch’io nelle due interpretazioni tonali del mi minore e del sol mag-
sono arrivato a capire Trovatore solo dopo aver studiato Stra- giore, attraversa l’intera vicenda e rappresenta i due aspetti
vinskij. Bisognerebbe liberarsi dai retaggi tardo-romantici, co- della personalità della zingara Azucena: l’amore filiale per la
minciando a valutare l’opera ottocentesca con un certo di- madre e l’amore materno per Manrico. Leonora, la dama
stacco. Falstaff presenta invece un linguaggio musicale di- amata da Manrico, è l’altro polo della vicenda, e viene asso-
verso, più legato all’esperienza della musica strumentale, un ciata alla tonalità di la bemolle maggiore (come nella cavati-
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 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO COME SI RACCONTA IL TEATRO MUSICALE? 

na “Tacea la notte placida”, o nel Finale secondo). I due P. P. Sono convinto che l’opera sia sempre stata determi-
personaggi femminili non s’incontrano mai, perché la loro nata dal momento storico. La creazione della Clemenza di Ti-
compresenza sulla scena creerebbe un cortocircuito musica- to di Mozart sarebbe impensabile al di fuori della corte di
le e drammaturgico. Leopoldo II d’Asburgo, e prescindendo dalle ripercussioni
degli eventi rivoluzionari francesi. Esempi ancor più chiari di
A. R. Una cosa del genere accade anche in Aida, dove questo legame con la realtà storico-sociale sono le opere di Al-
Ramfis e Aida rappresentano i due poli opposti della vicen- ban Berg, Wozzeck, Lulu, o Lady Macbeth nel distretto di Mcen-
da: il primo incarna la dimensione politica sovraindividuale, sk di Šostakovič.
la ragion di Stato, mentre Aida è l’emblema dei deboli, de-
gli individui destinati a soccombere. Anche loro non si in- A. R. Quest’ultima opera è particolarmente significati-
contrano mai sulla scena, se non nel Finale secondo, dove tut- va, perché nasce non solo da una precisa realtà storica, ma
tavia non dovrebbero rivolgersi neppure uno sguardo: a me- anche dalla pressione di una situazione individuale: basta
no che, ovviamente, una regia poco oculata non introduca leggere la recente traduzione italiana dell’epistolario di
scelte così arbitrarie da vanificare questo sottile equilibrio Šostakovič (2006) per rendersi conto dell’asfissiante op-
drammaturgico. pressione ideologica che l’autore dovette subire da parte del
P. P. In effetti, Verdi scolpisce questa situazione con estre- regime sovietico soprattutto in quel momento. Ma siamo
ma chiarezza fin dal Preludio, che si apre con il tema di Aida sempre nell’ambito di una lettura dell’opera come docu-
seguito, con violento contrasto, dal tema dei sacerdoti: non sa- mento del contesto che l’ha originata: ogni informazione uti-
rebbe stato possibile esplicitare in modo più netto i due poli le a ricostruire questo contesto può certamente agevolare la
della tragedia, la debolezza dell’individuo di fronte al potere. sua interpretazione da parte del pubblico di oggi, ma non
Ed è per questo che, quando provò a sostituire il Preludio con risolve la questione dell’effettiva attualità dell’opera stessa.
una Sinfonia, Verdi si rese immediatamente conto che questa Continuo a pensare che l’opera non sia legata alla realtà con-
scelta poteva rivelarsi “teatralmente” inefficace: la Sinfonia tingente, come può esserlo invece certa produzione cine-
avrebbe forse potuto essere un buon brano di musica, ma matografica, ma che a essa spetti piuttosto il compito di raf-
avrebbe annullato quell’immediata percezione della geome- figurare situazioni eterne, al di fuori del tempo e della con-
tria drammatica che egli realizza invece nel suo Preludio. temporaneità.
P. P. Eppure non possiamo dimenticare che il teatro d’o-
A. R. Questa capacità di Verdi di tematizzare musical- pera è anche oggi una delle manifestazioni più radicate nel
mente i grandi conflitti ideologici del suo tempo dimostra co- tessuto sociale, perché è pur sempre una delle forme di spet-
me l’opera sia sempre stata un fenomeno profondamente ra- tacolo più frequentate, nelle grandi e nelle medie città di
dicato nella realtà sociale. Bisognerebbe dunque domandar- tutto il mondo. Tutto dipende da come avviene la comuni-
si in che modo il suo valore di documento, di testimonianza cazione a teatro perché, non dobbiamo mai stancarci di ri-
rappresentativa della società che l’ha prodotta (dalla Firen- peterlo, l’opera può essere compresa solo come spettacolo
ze medicea alla Vienna di Mozart) possa determinarne il va- globale. Quante volte ho sentito dire: “non voglio vedere nul-
lore artistico al di là del suo contesto storico d’origine. In al- la, io giudico la musica, voglio solo sentire! Io ascolto, non
tre parole, l’opera del passato si può interpretare come fe- guardo!”. Da qualunque punto di vista, quest’affermazione
nomeno sociale nell’oggi? Come fenomeno che ha qualcosa è sempre sbagliata, parziale, discutibile. D’altra parte lo sto-
da dire oggi, alla società attuale? rico della musica, anche il più esclusivo e raffinato, deve af-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 142

 PIERLUIGI PETROBELLI, ANTONIO ROSTAGNO

frontare con grande senso di responsabilità la sfida della di- Parlare di jazz: vedi alla voce “musica”
vulgazione, senza temere di “sporcarsi le mani”. Io ho sem- Stefano Zenni
pre fatto conferenze e ho inteso parlare a qualsiasi tipo di
pubblico: anzi, lo considero un preciso dovere. La ricerca più
specializzata e la divulgazione dovrebbero avvicinarsi: man-
cando questa contiguità, si corre il rischio di abbandonare la
divulgazione a se stessa, con un abbassamento progressivo del
suo livello culturale e quindi della sua vera funzione.

Scrivere di musica è, in generale, un’esperienza frustrante.


Per quanto il potere ermeneutico della parola sia in grado di il-
luminare certe pieghe della comunicazione non verbale, alla fi-
ne il senso musicale “si sposta più in là”, come dice Chico
Buarque nella sua canzone Roda viva. Nelle musiche che na-
scono dall’improvvisazione la parola fa ancora più fatica: oltre
a dover penetrare nella complessità della trama formale, è co-
stretta a inseguire la naturalezza degli atteggiamenti corporei,
l’imprevedibile flusso delle idee, la mobilità dell’interazione
istantanea tra musicisti. Sono problemi che la riflessione sul jazz
solleva indipendentemente dal contesto: che si tratti della pa-
rola radiofonica, della critica musicale, del programma di sala,
del saggio specialistico, della conferenza divulgativa o della
chiacchierata tra amici, la parola non può limitarsi a rendere
conto della struttura musicale, ma deve abbracciare la corpo-
reità e la temporalità come parte integrante di una complessa
rete di relazioni inerenti al significato musicale.
Si pensi alle classiche difficoltà nello spiegare l’improvvisa-
zione jazz: di fatto, il parlante è costretto a entrare nella testa
dell’improvvisatore, a scrutarne i misteriosi processi ideativi e
formali, nell’ardito tentativo di cogliere qualcosa che lega le più
intime spinte espressive radicate nell’altro con l’organizzazio-
ne del discorso, ovvero la forma artistica. In questo senso par-
lare di jazz non è affatto facile, come dimostra l’elusiva defini-
zione dello swing, quella qualità ritmica che mette letteral-
mente in consonanza la corporeità di musicista e ascoltatore at-
traverso la complessità della forma musicale.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 144

 STEFANO ZENNI PARLARE DI JAZZ: VEDI ALLA VOCE “MUSICA” 

In realtà, la difficoltà delle parole potrebbe essere una con- no alla base di una vastissima parte della musica d’oggi, da quel-
seguenza non solo dei limiti intrinseci della comunicazione la di matrice “etnica” al pop, riuscire a raccontare il jazz vuol
verbale, ma anche del riferimento a un apparato teorico ed dire riuscire a definire concetti adeguati a musiche, stili e re-
ermeneutico inadeguato. Nel caso del jazz, infatti, le catego- pertori assai diversi e di larghissima diffusione1.
rie elaborate dalla tradizione accademica risultano improprie: Qualsiasi analisi o discussione del jazz non può che pren-
descrivere la musica distinguendo forma, armonia, melodia, dere le mosse dal suono, la vera chiave di volta per penetrare
ritmo, timbro, magari in un certo ordine gerarchico, non nell’universo di tutte le musiche afroamericane. In una musi-
funziona. Si pensi all’armonia: nel jazz tonale le funzioni ar- ca che non è mediata dalla scrittura o da un testo dato, la per-
moniche sono tutto sommato semplici, ma la combinazione sonalità individuale si manifesta anzitutto nella personalizza-
delle voci, la condotta delle parti, l’uso delle (cosiddette) zione del suono strumentale (o vocale). L’identità di un musi-
dissonanze obbediscono a criteri radicalmente differenti dal- cista di jazz si fonda sul sound quale prodotto del flusso di ener-
la tradizione classica. Ogni singolo suono di un accordo è gia tra il pensiero, la corporeità con le sue microvariazioni psi-
sempre concepito in funzione coloristica: all’ascolto di Art Ta- cofisiche e lo strumento. Lo stesso sax tenore in mano a Le-
tum o Bill Evans ci si chiede come si possa distinguere tra ar- ster Young, Coleman Hawkins, Sonny Rollins, John Coltrane
monia e timbro. Una qualsiasi blue note suonata dalla cornetta produce timbri radicalmente differenti; e questa differenza è
di King Oliver o dal sex tenore di Lester Young mette in cri- meglio valutata quanto più è idiosincratica, personale, rico-
si profonda il concetto occidentale di “nota” o “altezza”. noscibile. Non solo: essa obbedisce al principio estetico afri-
Per non parlare dello swing, dell’improvvisazione o della cano dell’eterogeneità sonora, per cui un suono è tanto più ap-
forma che richiedono, come si è accennato, un armamenta- prezzabile quanto più è arricchito o modificato da qualsiasi ti-
rio concettuale del tutto diverso da quello normalmente usa- po d’intervento (si noti che evitiamo il verbo “sporcare”, che
to per discutere di Beethoven o Messiaen. fa riferimento a parametri europei con connotazioni negative).
Il jazz possiede uno statuto particolare: è una musica di tra- Ecco allora che il timbro dello strumento viene rimodellato at-
dizione orale ma sviluppatasi in ambito urbano; nasce dal ra- traverso diteggiature non ortodosse (si pensi al sax alto di Ro-
dicamento nel contesto esecutivo (il luogo fisico in cui si suo- scoe Mitchell), sordine (tutta la tradizione di ottoni ellingto-
na, il suo pubblico, nella viva interazione tra musicista e ascol- niani, a partire da James “Bubber” Miley e Joe “Tricky Sam”
tatore/ballerino), eppure si è sviluppato e trasformato soprat- Nanton), filtri elettrici (il piano Fender distorto di Joe Zawi-
tutto attraverso i mezzi di riproduzione di massa, in primis la nul nei primi Weather Report). E l’eterogeneità sonora, la per-
radio, quindi il disco e oggi i supporti digitali. È una musica sonalizzazione delle sonorità e la loro distorsione vanno proiet-
in cui prevale l’improvvisazione, che però non è una conditio tati al più ampio livello di gruppo o orchestra, con urti di co-
sine qua non; il processo compositivo risente delle prassi di tra- lori, armonici, risonanze, intonazioni personali che sono l’es-
dizione orale, ma ha anche incorporato le tecniche della tra- senza dell’universo timbrico del jazz.
dizione colta europea: una fusione da cui è scaturita una pa- È da queste considerazioni che il parlare di jazz deve ne-
noplia di forme di straordinaria complessità. Il tutto in un cessariamente partire. Perché nel suono, a saperlo ascoltare,
continuo processo di reinterpretazione in cui pratiche, tecni- si trova l’intera poetica di un musicista, il suo senso di ap-
che, materiali e atteggiamenti di svariata provenienza cultura- partenenza a una certa tradizione anziché a un altra. Non so-
le vengono ri-significati dalla sensibilità afroamericana. Entrare lo: nel colore strumentale, nel modo di modellare il suono, vi
nel mondo del jazz vuol dire ripensare il modo in cui parlia- è anche un personale universo intonativo. Al contrario di ciò
mo di musica: e poiché il jazz e le musiche afroamericane so- che accade nella musica classica, nel jazz l’intonazione non è
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 146

 STEFANO ZENNI PARLARE DI JAZZ: VEDI ALLA VOCE “MUSICA” 

un dato normativo stabilito dalla teoria, ma risulta da un in- creazione ogni singola nota ha un peso, un colore, un volume
sieme di opzioni culturali e personali. Un jazzista può scegliere e soprattutto una microdurata diversi. È il relax a generare le
il sistema d’intonazione occidentale, per cui il suono s’iden- oscillazioni intorno a una pulsazione implicita e costante, ov-
tifica con un’altezza discreta (ad esempio il do sul terzo rigo vero l’equilibrio tra la libertà ideativa dell’improvvisatore e il suo
del pentagramma), ma può anche attingere alle aree d’altezza controllo della forma discorsiva (sintassi armonica, forma, rit-
flessibile, caratteristiche del blues ed ereditate da certi siste- mo), espressi attraverso un superiore controllo psicofisico. Lo
mi intonativi africani. Un suono non s’identifica con un’al- swing così generato, si noti bene, non ha nulla a che fare con
tezza, ma può essere intonato o scivolare dentro un certo am- le sincopi. Ecco una parola abusata che travisa questi complessi
bito: il celebre assolo di King Oliver in Dippermouth Blues fenomeni ritmico-corporei: la vitalità peculiare del jazz è più una
(con la sua Creole Jazz Band, 1923) presenta entrambe le faccenda di ritmi commetrici e contrametrici, e cioè di note e
possibilità2. Il musicista può anche scegliere di riferirsi all’in- accenti che confermano o contraddicono la pulsazione. La pa-
tonazione occidentale per poi essere sempre crescente o sem- rola “sincope” implica una normativa gerarchica nella distri-
pre calante, trasformando questo “difetto” in un personale buzione degli accenti e il loro conseguente ritardo o anticipa-
tratto stilistico, come ha fatto sul sax alto il “crescente” Jackie zione: un procedimento che è ben lontano dal gioco elastico di
McLean o, al sax soprano, il “calante” Wayne Shorter. tensione e distensione psicofisica su cui si fonda il jazz. Qui si
Ma c’è di più: si ascolti una classica ballad come She’s parla di una concezione ritmico-corporea che deriva dalle pra-
Funny That Way di Lester Young (1946); ogni singola nota del tiche ritmiche africane, fondate su cicli di pulsazioni non ge-
sassofono di Young ha un peso, un volume, una consistenza rarchiche, e dunque agli antipodi del concetto di battuta.
differenti. L’aria dei polmoni diventa parte integrante del co- I diversi modi di stare sul tempo, di generare swing, ap-
lore (alcuni suoni spariscono per diventare puro soffio vi- partengono a tradizioni esecutive condivise da varie generazioni
brante), e la variabilità d’intonazione, i diversi approcci alle di musicisti (ad esempio lo “stare indietro” tipico dello stile che
altezze e la distribuzione ritmica delle altezze variabili dise- fa capo a Lester Young) o a scelte stilistiche individuali (la bru-
gnano una trama strutturale in cui non ha senso distinguere ciante spinta in avanti di Sidney Bechet). Peraltro lo swing, co-
tra note strutturali e secondarie. L’assoluta identità corporea me si è detto, non è certo una condizione necessaria del jazz.
tra emissione, timbro e intonazione polverizza la distinzione La dimensione fisico-gestuale si organizza anche in forme più
gerarchica tra note strutturali e abbellimenti, poiché plasma- aperte, in cui non esiste una pulsazione regolare e la fisicità si
re il suono e definirne l’altezza sono un tutt’uno, e l’intona- trasforma in discorso, come nelle velocissime ondate di Albert
zione è perfettamente fusa con la vibrazione timbrica. Ayler, nell’articolata sintassi gestuale di Cecil Taylor, nei mobi-
La focalizzazione sul colore ci apre anche le porte del rit- li addensamenti d’energia dell’ultimo Coltrane.
mo jazz, poiché la modalità di attacco ed emissione è già il pri- Come si vede, spiegare il jazz a partire dal suono, dal cor-
mo atto ritmico. Da essa dipende il piazzamento del suono ri- po che diventa concretezza sonora, consente di entrare nelle
spetto alla pulsazione, e proprio dalla micromobilità dei suoni più diverse dimensioni della musica, compreso l’affascinante
rispetto all’unità di riferimento dipende quel fenomeno che processo dell’improvvisazione, che è forse l’argomento più di-
chiamiamo swing3. Si ascolti una qualsiasi registrazione del battuto e frainteso del jazz. Tutti i tentativi di spiegarne i mec-
bassista Paul Chambers con il quintetto di Miles Davis del canismi, anche i più recenti e articolati, risultano inadeguati:
1956, ad esempio If I Were a Bell, e ci si concentri sul contrab- o non rendono conto di tutte le possibilità, o sono limitati a
basso. Chambers si “limita” a suonare una nota ogni quarto, ep- certi ambiti stilistici. La causa risiede nella mancata distinzio-
pure si percepisce chiaramente che nell’estemporaneità della ne – cruciale sul piano metodologico, ma stranamente ignorata
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 148

 STEFANO ZENNI PARLARE DI JAZZ: VEDI ALLA VOCE “MUSICA” 

dai più – tra materiali usati nell’improvvisazione e organizza- sizione orale. Ma, di fatto, l’improvvisatore organizza i mate-
zione degli stessi materiali. Questa distinzione consente di ela- riali con grande libertà, di cui il modello teorico è in grado di
borare un modello teorico in grado di render conto delle di- rendere conto: un solista come Cecil Taylor, ad esempio, usa
verse fonti utilizzate da un improvvisatore jazz e di descriver- alcuni tratti gestuali in posizioni formulari (ad esempio i clu-
ne le forme di articolazione sintattica. Da questo livello è poi ster col polso, introdotti nei momenti di maggiore concita-
possibile salire a livelli formali e discorsivi superiori, che chia- zione); quegli stessi gesti, se assumono una rilevanza temati-
riscono l’organizzazione di un intero assolo, fino a estendere ca, vengono sottoposti a elaborazione motivica. In qualsiasi
lo sguardo all’idioletto di un solista o a uno stile. discussione sull’improvvisazione jazz, dunque, la distinzione
Lo schema seguente (proposto in Zenni 2008) è un ten- tra materiali e organizzazione ci pare il primo e più importante
tativo di spiegare i meccanismi dell’improvvisazione solisti- passo per un’analisi dei processi creativi.
ca jazz in una chiave sovra-stilistica. Rimane la questione spinosa di come descrivere le forme.
Qui si presenta un doppio problema: da un lato la musicolo-
Materiale Organizzazione
gia e la didattica del jazz esprimono una visione estrema-
mente limitata del repertorio formale, in genere ridotto al
Produzione sonora (controllo Gestuale: schemi psico-motori blues, alla forma canzone e al ragtime. Questa sommaria clas-
microritmico e inflessivo) sificazione è ben lontana dal poter descrivere l’enorme com-
Materiali ipercodificati Formulare: posizione nel discorso plessità del jazz, e sconta un ritardo della ricerca che è con-
– dal sistema (arpeggi, scale, gesti) melodico o armonico seguenza dell’attitudine degli studiosi a concentrare l’atten-
– dallo stile zione esclusivamente sull’improvvisazione e l’armonia. D’al-
– dall’autore (licks) tro canto, la tendenza a ignorare la ricchezza formale è anche
– dal repertorio (citazioni)
– dalla convenzione (segnali)
il frutto di una grave lacuna terminologica: mentre nella mu-
sicologia classica esiste una tassonomia formale a cui corri-
Materiali motivici Motivica: articolazione e variazione sponde una consolidata tradizione terminologica, nulla di
– Motivi tematici dei motivi tutto questo sembra disponibile nel jazz. L’omissione di de-
– Motivi d’invenzione – Elaborazione tematica
– Catena motivica
scrizioni formali che si riscontra nei discorsi sul jazz nasce dun-
que anche da un’oggettiva carenza terminologica.
In tempi recenti questi limiti sono stati in buona parte su-
Non è possibile approfondire in questa sede le implicazioni perati dalle ricerche di Marcello Piras e dal suo modello teori-
di questo modello teorico. Basti dire che, ancora una volta, si co delle forme jazzistiche che tuttavia, nella sua dimensione più
parte dalla produzione sonora, plasmata dagli impulsi psichici completa, è rimasto per lungo tempo sostanzialmente inedito.
e gestuali dell’improvvisatore, per salire verso i materiali iper- Con la pubblicazione del modello di Piras in forma aggiorna-
codificati, consegnati all’improvvisatore da varie tradizioni ta, integrata e corretta (Zenni 2008), è oggi finalmente dispo-
(scale, arpeggi, citazioni, licks ecc.), fino ad arrivare alla vera nibile uno strumento completo per descrivere le forme del
e propria invenzione intervallare. Ognuno di questi livelli jazz: con l’unico limite che tale modello è al momento noto so-
tende a organizzarsi secondo una modalità privilegiata: ad lo in Italia, e non è stato ancora discusso e accettato a livello in-
esempio materiali ipercodificati come le citazioni o i licks – le ternazionale. Si tratta di un problema rilevante, poiché il fatto
“frasi fatte” di un solista – di regola assumono nell’assolo po- di non poter fare riferimento a un sapere condiviso impone di
sizioni formulari secondo i procedimenti tipici della compo- ricostruire ogni volta il contesto adeguato, cosa che rende dif-
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 STEFANO ZENNI PARLARE DI JAZZ: VEDI ALLA VOCE “MUSICA” 

ficile la divulgazione. La carenza di consuetudine lessicale osta- metafora che, a prenderla sul serio, apre abissi vertiginosi nel-
cola il processo di comprensione: se dico che Variety Stomp di la teoria del senso musicale), di “dialogo” o “conversazione” tra
Fletcher Henderson è un brano tritematico con chorus di lun- musicisti, in uno scambio che non è solo di atti musicali ma di
ghezza variabile e transizioni modulanti, nella mente dell’a- sensi, competenze, appartenenze a sfere condivise di senso in
scoltatore non si accende alcun riferimento immediato, come cui il contesto irrompe e determina il contenuto musicale. Chi
invece accadrebbe se dicessi che gli Improvvisi di Schubert han- si è accorto che quell’allusione melodica è rivolta alla donna se-
no una forma tripartita. E poi non basta descrivere la struttu- duta a quel tavolino? Chi ha compreso che il batterista sta met-
ra formale, poiché bisogna fare i conti con quanto di scritto e tendo i bastoni tra le ruote al trombettista? Chi coglie quella dis-
quanto di improvvisato si trova all’interno di queste forme; in sonanza che Monk, quando suona la mielosa Just a Gigolo,
che misura la “narrazione” musicale è determinata dalle scelte piazza lì dove andrebbe la parola “romance”4?
estemporanee; come il compositore, se la sua figura è rilevan- C’è una dimensione di ironia e revisione del senso che pe-
te, controlla le spinte centrifughe dei solisti all’interno di un pro- netra nel profondo della musica e dialoga con l’universo se-
getto prestabilito, e così via. Si provi a descrivere la musica di mantico dei musicisti e degli ascoltatori: è il cosiddetto si-
Charles Mingus e ci si accorgerà che bisogna ricorrere a un ar- gnifying, che Gianfranco Salvatore (2006, p. 15) definisce co-
mamentario concettuale del tutto nuovo, che comprende il les- me “un’idea molto sofisticata del ‘riciclo’ di materiali, del ‘ri-
sico dell’improvvisazione, la composizione orale, le forme del facimento’ e della ‘rifunzionalizzazione’ di strumenti e prassi
jazz, la ridefinizione di concetti classici come composizione, con- esecutive, materiali grezzi e intere opere, attuabile attraverso un
trappunto, variazione e via dicendo. duplice lavoro di contestualizzazione e ricontestualizzazione dei
Un altro fronte di ricerca è quello delle interazioni, che tra codici espressivi disponibili, o meglio ‘osservabili’, sul territo-
i musicisti jazz avvengono in modo estemporaneo e istantaneo rio”5. La celebre My Favorite Things di John Coltrane è un
a livelli multipli di azione e reazione: durante il suo assolo un esempio supremo di signifying: nata in un musical americano
sassofonista suona una certa frase, il batterista reagisce, il pia- di successo (The Sound of Music) come un finto valzerino tiro-
nista aggiunge una piccola idea a commento, il solista la riac- lese, nelle mani di Coltrane My Favorite Things viene rove-
ciuffa e devia dal suo originale piano melodico, per subire a quel sciata in una drammatica melopea modale “cantata” dall’ine-
punto una sollecitazione del bassista. Soprattutto nel jazz del dito sound del sax soprano, quasi uno shenai nordafricano che
dopoguerra, l’intensità dell’interazione tra i musicisti è andata danza sui ritmi dell’Africa nera: l’arrangiamento ne ridisegna
crescendo in modo esponenziale, fino ad abbracciare forme ed espande la drammaturgia originale, trasformandola in un im-
estreme di polifonia improvvisata, come in certi lavori radica- menso rito ipnotico, mentre sullo sfondo vibra la memoria
li della Globe Unity Orchestra. I processi di interazione, inol- condivisa del senso originale della canzone.
tre, vanno al di là della sfera dei musicisti sul palco: si estendono In definitiva, l’uso della parola per entrare tra le pieghe del
al pubblico, alle sue reazioni, al contesto ambientale, per inve- jazz implica un salutare ripensamento delle categorie a cui abi-
stire l’intero processo di generazione del senso musicale. Con tualmente ci riferiamo quando parliamo di musica (classica).
la citazione, ad esempio, – una prassi molto diffusa nel jazz – Grazie ai processi di signifying, ad esempio, il jazz e le musiche
si attivano vettori di senso che investono la forma sintattica del- a esso connesse rappresentano una colossale smentita a Eduard
l’assolo, il rapporto con gli altri musicisti, il coinvolgimento del Hanslick e alle teorie formaliste della musica, che considerano
pubblico. Le parole utilizzate per descrivere questi fenomeni i fenomeni musicali come un puro gioco di forme sonore che
attingono a una dimensione metaforica legata proprio agli atti non hanno alcun rapporto diretto con l’universo di significati
linguistici: si parla di solista che “racconta una storia” (una “esterni” alla musica stessa. Una riflessione sul jazz, in quanto
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 STEFANO ZENNI

genere musicale caratterizzato dalla sovrapposizione dialettica


tra il pensiero creativo e la sua immediata realizzazione, in uno
scambio circolare continuo tra azione e reazione aperto al con-
testo in cui si suona, consente inoltre di studiare con maggior
profitto perfino i processi neurofiosologici legati alla creatività
musicale. Le relazioni tra ciò che sappiamo dei neuroni spec-
chio e le reazioni motorie alla musica – oscillazioni del tronco,
movimento della testa, battito del piede e così via fino alla dan-
za – sono indubbiamente comuni a tutte le musiche, ma è chia-
ro che il jazz, con la sua immediatezza corporea, può dirci qual-
cosa di più anche in relazione al senso musicale. Un fatto di cui
gli studiosi si sono cominciati ad accorgere solo da pochissimo
tempo, con risultati molto interessanti6.
Le nostre considerazioni relative al jazz valgono in realtà Parte quarta
per tutte quelle musiche fondate sul medesimo approccio mu- I discorsi sulla musica alla
sicale “audiotattile”, cioè non mediato dalla scrittura, come radio, al cinema e in TV
il rock, il blues e le tante tradizioni musicali di estrazione
afroamericana7. È chiaro che il jazz possiede una sua speci-
ficità culturale e richiede categorie ermeneutiche specifiche.
Ma è altrettanto vero che esso porta in primo piano certi pro-
cessi universali del fare musica nei quali ci riconosciamo tut-
ti: in questo senso, parlare di jazz può aiutarci a parlare più
chiaramente della musica tutta.

1
Il percorso seguito in questo saggio sintetizza l’intelaiatura concettuale sot-
tintesa a Zenni 2008.
2
Per il concetto di “aree d’altezza flessibile” cfr. Kubik 1999.
3
Lo studio più esteso attualmente disponibile sullo swing è Caporaletti 2000.
4
I diversi livelli di senso musicale nell’ambito dei processi di interazione
del jazz vengono approfonditi in Monson 1996.
5
Il concetto di signifying è stato proposto per le musiche afroamericane da
Floyd (1995) e, in una prospettiva lievemente diversa e più ampia, da Salvato-
re (2006).
6
Per alcuni cenni sull’argomento cfr. ancora Zenni 2008. Cfr. anche il co-
municato dell’agenzia Associated Press del 10 marzo 2008 ripreso da numerosi
giornali americani e reperibile in rete; l’articolo pubblicato dall’«International He-
rald Tribune» è all’indirizzo http://www.iht.com/articles/ap/2008/03/10/ame-
rica/NA-MED-US-Brain-on-Jazz.php
7
Il concetto di musica audiotattile divulgato da Vincenzo Caporaletti (2000)
sviluppa alcuni aspetti della socioantropologia di Marshall McLuhan.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 154

Elogio del parlare obliquo:


la musica classica alla radio
Stefano Catucci

Nell’ultimo ventennio il modo in cui si parla di musica alla


radio si è profondamente trasformato. Poiché tale trasforma-
zione ha riguardato in particolare la musica classica, terreno mi-
noritario ma comunque significativo, proporrò una serie di ri-
flessioni che investono principalmente la mia esperienza di
conduttore radiofonico per i programmi di Rai Radio3.
Fra le ragioni di questa trasformazione vorrei sottolinea-
re: il cambiamento del pubblico di riferimento; il confronto
con le esperienze delle radio commerciali; le esigenze dovu-
te all’aumento dei collegamenti in diretta e, dunque, alla tra-
smissione di esecuzioni dal vivo; il declino degli schemi nar-
rativi e delle estetiche che avevano dominato il campo musi-
cale fino all’inizio degli anni Ottanta; la necessità, per un pre-
sentatore di programmi musicali, di riferirsi anche a generi
e settori che non sono di sua diretta competenza.
L’elenco, ovviamente, non è esaustivo: si potrebbero rin-
tracciare molte altre ragioni del cambiamento che si è verifi-
cato. Inoltre, bisogna considerare che già a partire dalla se-
conda metà degli anni Settanta, con la riforma della Rai e la
direzione di Enzo Forcella, si era già verificata una prima, im-
portantissima cesura con le presentazioni e, dunque, con il
modo di parlare di musica classica che alla radio aveva do-
minato dal dopoguerra. Al posto di uno speaker, chiamato a
leggere in maniera asettica testi scritti da specialisti spesso
eminenti, o anche semplici annunci di quello che si sarebbe
ascoltato, venne inserita la figura del presentatore che intro-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 156

 STEFANO CATUCCI ELOGIO DEL PARLARE OBLIQUO 

duceva la musica con uno stile discorsivo e personale. Si può cella, costituiva una novità rispetto all’epoca precedente, nel-
dire che quello sia stato l’avvio del processo di una nuova for- la quale di solito le presentazioni si limitavano agli asettici an-
ma di comunicazione legata alla musica; d’altra parte, solo ne- nunci di uno speaker, secondo un modello che sopravvive og-
gli ultimi vent’anni quel tipo di comunicazione ha cominciato gi solo nella Filodiffusione, oppure a testi di musicologi scrit-
a porre anche un altro problema: come parlare di musica a ti, ma poi per lo più registrati dalla voce di attori o di uno
chi di musica sa poco o niente, ovvero come avvicinare alla speaker. L’idea di un conduttore competente, che presenta i
musica classica un pubblico colto ma il più delle volte privo brani costruendo da sé i propri testi e, molto spesso, im-
non solo di competenze specifiche, ma anche di un’espe- provvisando a partire da un canovaccio e senza leggere, era
rienza d’ascolto significativa. già un cambiamento di grande portata. Così sensibile, anzi,
Le ragioni del cambiamento che ho indicato sono di or- da aver fatto passare quasi inosservato il mutamento succes-
dine pragmatico e teorico. Entrambi gli aspetti sono stretta- sivo, che pure ha scavato un solco non meno profondo.
mente intrecciati fra loro quando analizziamo le parole che Prendiamo come modello un programma tipico dell’e-
alla radio accompagnano o, per meglio dire, introducono la poca aperta dalla direzione di Forcella: Il concerto del matti-
musica. Bisognerebbe aggiungere altre ragioni di tipo tec- no. Il conduttore presentava in studio una sequenza di ascol-
nologico: l’ascolto in ambienti a “bassa fedeltà”, per esem- ti registrati, alcuni anche molto lunghi, essendo prevista la
pio in automobile o con lettori portatili, ha profondamente messa in onda d’intere sinfonie, a volte con cicli integrali de-
modificato il rapporto fra attenzione e distrazione nella ri- dicati a un autore: memorabile fu la programmazione di tut-
cezione musicale, mentre il fenomeno delle Web Radio appare te le Sinfonie di Haydn trasmesse a coppie nei fine settima-
orientato verso un tipo di ascolto nel quale l’utente può svol- na, nei primi anni Ottanta. La presentazione era puntuale, de-
gere un ruolo attivo nella scelta della scaletta, o playlist. Qui, scrittiva, aveva più o meno il tono di un breve programma di
ad ogni modo, prenderò in considerazione solo problemi di sala; il linguaggio era spesso tecnico, o comunque impiega-
linguaggio e solo l’esperienza di una radio “colta” di tipo tra- va termini tecnici in abbondanza, anche se pur sempre sem-
dizionale, forse legata a un modello in via di dismissione: quel- plificati a uso di una comunicazione orale rivolta a un pub-
lo delle emittenti pubbliche di carattere culturale, conside- blico vasto. Si trattava, né più né meno, di introduzioni al-
rate come un elemento saliente dell’interesse nazionale e del- l’ascolto concepite come una forma di divulgazione di buon
la dimensione del servizio pubblico. livello: particolarmente aderente ai brani da trasmettere nei
casi migliori, di carattere più enciclopedico e biografico in
quelli meno curati, o nel caso in cui la musica da trasmette-
Descrizione e divulgazione re fosse di autori poco o niente affatto conosciuti. Fra le po-
che indicazioni che mi furono impartite – la mia prima espe-
Per comprendere la natura del mutamento più recente, rienza personale risale al 1989 – c’era quella di menzionare
occorre fare un paragone con il modo in cui si parlava di mu- le date di nascita e di morte degli autori “minori”.
sica alla radio fino a circa vent’anni fa, in un’epoca che nel Legato a questa impostazione era il tipo di preparazione
caso di Radio3 si può collocare fra la riforma legata all’im- richiesta ai conduttori: sostanzialmente una buona prepara-
pulso dato da Enzo Forcella nella seconda metà degli anni zione sulla storia musicale così come veniva insegnata nei
Settanta e la fine degli anni Ottanta, in cui direttore della re- Conservatori e nelle Università. La conseguenza era che mol-
te è stato Paolo Gonnelli. In realtà, già il modo in cui si par- ti giovani usciti da quelle scuole, e spesso giovani insegnan-
lava di musica alla radio, nel periodo della direzione di For- ti, si alternavano alla conduzione senza che fosse loro ri-
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 STEFANO CATUCCI ELOGIO DEL PARLARE OBLIQUO 

chiesta una specifica esperienza radiofonica: per parlare di tezza, ha uno sguardo panoramico e non rifugge, se è di li-
musica alla radio era sufficiente conoscere la musica, mentre vello alto, da qualche osservazione tecnica. Fornire un accesso
non era necessario conoscere la radio, considerata semplice- significa invece operare una selezione drastica, tagliare il di-
mente un mezzo per comunicare una forma di sapere le cui scorso, renderlo parziale, ma soprattutto connetterlo alle
modalità erano ben consolidate. Rispetto a questa situazio- esperienze culturali che si suppone possano essere condivi-
ne, i cambiamenti sopraggiunti nell’ultimo ventennio hanno se da chi ascolta. Il problema, in altri termini, è quello di far
prodotto diversi effetti collaterali: “costruire” un condutto- comunicare la musica con un orizzonte di esperienze che
re radiofonico per i programmi di musica classica è diventa- l’ascoltatore può avere compiuto in ambiti diversi da quello
to più problematico, e il ricambio alla guida dei programmi strettamente musicale: letterario, artistico, filosofico, cine-
è oggi meno frequente rispetto al passato. Inoltre, la prepa- matografico, persino politico. Che si tratti effettivamente di
razione storico-musicale si è rivelata, nei fatti, non più suffi- un problema, lo testimonia quanto la musica sia vissuta, non
ciente a produrre nuovi conduttori, mentre molti di coloro solo in Italia, come una specie di corpo separato dal resto del-
che avevano condotto programmi come Il concerto del mat- la cultura.
tino si sono trovati esclusi proprio in forza dei cambiamenti Cito in proposito un’osservazione di Michel Foucault,
richiesti. che estraggo da un suo dialogo con Pierre Boulez dedicato
Una seconda conseguenza la si può vedere, magari in mo- alla produzione contemporanea: “come mai noi sentiamo la
do caricaturale, in una battuta che circolava spesso nell’am- musica come qualcosa di così lontano, di proiettato in una di-
biente, secondo la quale c’erano solo due ambiti dei quali al- stanza quasi incolmabile, quando invece è così vicina e così
la radio si parlava con il rigore e la precisione della termino- consustanziale a tutta la nostra cultura?” (Foucault, Boulez
logia più tecnica: il calcio e la musica classica. Oltre ai pro- 1983, p. 488). Sembra che alla radio il problema sia proprio
grammi del mattino c’erano, in effetti, i cicli del primo po- questo: riaffermare la vicinanza della musica all’insieme del-
meriggio, affidati a musicologi prestigiosi, che rafforzavano le nostre esperienze culturali. Ma poi, per farlo, è necessario
un’impressione di accademismo, quasi che Radio3 rappre- partire da lontano, sconfinare al di là della musica e trovare
sentasse l’hortus conclusus nel quale finalmente si parlava da il punto d’incontro che permetta agli ascoltatori di ricono-
musicisti per i musicisti, o comunque per appassionati com- scersi in ciò che viene trasmesso proprio attraverso l’offerta
petenti. di una chiave da utilizzare, di un riferimento già noto da im-
piegare per un uso diverso.
Naturalmente in quel che dico c’è molto dell’esperienza
L’accesso obliquo personale, e quindi non vale né come un insieme di precet-
ti, né come un manuale del parlar di musica alla radio. Vo-
I cambiamenti che si sono verificati nell’ultimo ventennio lendo fare un esempio recente, non c’è dubbio che parlan-
hanno provocato anzitutto un passaggio dal tono della di- do al pubblico dei Concerti del Quirinale, la domenica mat-
vulgazione – stavo per scrivere dal “tono di lezione” – a un tina, bisogna tenere conto sia di chi è sintonizzato da casa, e
discorso dell’accesso. Al presentatore radiofonico non è più che perciò ha scelto di ascoltare la trasmissione – dedicata,
richiesto di introdurre tecnicamente un brano, di raccontar- peraltro, non esclusivamente al repertorio classico –, sia di chi
lo, di contestualizzarlo, ma di fornire agli ascoltatori una si trova fisicamente nella Cappella Paolina: un pubblico in
possibile chiave di accesso alla musica. La differenza è net- gran parte occasionale, venuto essenzialmente a visitare il Pa-
ta, perché la divulgazione conserva un’esigenza di comple- lazzo, e al quale occorre rivolgersi sapendo che spesso si trat-
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 STEFANO CATUCCI ELOGIO DEL PARLARE OBLIQUO 

ta di persone al loro primo incontro con quel tipo di musica Obliquità e anacronismo
e con la dimensione del concerto tout court. La missione di-
vulgativa del discorso sulla musica alla radio sembra tra- Il parlare obliquo, ad ogni modo, non è esente da rischi per-
montata, ed è come se culturalmente si volesse compiere un versi, cosa che d’altra parte accade a ogni tipo di linguaggio
salto evolutivo che trascina la musica da un ambito di pas- quando irrigidisce le proprie caratteristiche fino a sfiorare ef-
sioni o di conoscenze specialistiche a quello di una sensibi- fetti caricaturali. Possiamo immaginare uno speaker che leg-
lità condivisa: un posto nel quale la musica classica continua ga con serietà solenne un testo carico di sottile ironia, facen-
a non essere di casa. done perdere tutto l’effetto o, al limite, enfatizzandolo al pun-
Per questo mi sono riferito già nel titolo al parlare obliquo, to di farlo scadere nel ridicolo. E possiamo immaginare un
altra cosa dal “parlar franco” di cui proprio Foucault ha tes- conduttore competente che intenda le sue presentazioni co-
suto l’elogio nei suoi ultimi corsi al Collège de France e ne- me un piccolo saggio d’accademia o che le trasformi, nel peg-
gli Stati Uniti (Foucault 1985; 2008). In realtà “parlar fran- giore dei casi, in una voce di dizionario del genere Garzanti-
co” si deve, ma in modo mediato, passando per le cono- na. Sono entrambe forme di perversione possibili – anzi, si so-
scenze che si possono considerare condivise, saltando quin- no entrambe verificate – nelle epoche che hanno preceduto
di un’esigenza tecnica di rigore che deve rimanere, semmai, quel che ho chiamato, qui, discorso dell’accesso. Il parlare
alle spalle del presentatore, a monte del suo lavoro, ma che obliquo scivola nel vuoto ogni volta che i riferimenti presi a
trova sempre meno vie d’uscita nelle sue parole. pretesto siano troppo lontani dalla musica di cui si parla o ser-
Credo che a questo bisogno di obliquità si siano confor- vano solo a colmare vuoti d’immaginazione. Il risultato è sot-
mati in molti, anche fra coloro che dal mondo accademico to gli occhi, anzi le orecchie di tutti con le presentazioni dei
continuano a frequentare i microfoni della radio, magari oc- programmi del Terzo Anello, spesso basate su un livello di pre-
casionalmente, e anche fra i musicologi che continuano a testuosità tale da far pensare che si stia preparando una mu-
proporre cicli di trasmissioni pomeridiane, quando il palin- tazione ulteriore: quella di un’epoca in cui per parlare di mu-
sesto lo consente. Chiaro che la riduzione del tecnicismo sica alla radio non occorra affatto avere competenze musica-
non è paragonabile a quella di altri canali di comunicazione. li. Lo dico come una forma di paradosso, poiché quei pro-
Di recente ho saputo che la redazione della De Agostini ban- grammi somigliano così tanto alla formula del Concerto del
disce dai testi che accompagnano i prodotti musicali da edi- Mattino da far pensare che siano un residuo del passato, piut-
cola persino parole come “armonia”, “dissonanza”, “conso- tosto che una formula innovativa. La novità, se c’è, è tutta nel-
nanza”, per non parlare delle tonalità dei brani, che regolar- la programmazione di brani che abbiano durate brevi – spes-
mente non devono essere citate. Quindici-vent’anni fa, anche so singoli movimenti, più di rado composizioni intere – e che
i prodotti da edicola erano più tecnici, se parole come quel- siano da combinare secondo criteri in parte affidati a un
le possono davvero essere considerate “tecniche”. Alla radio, software, secondo la tecnica della playlist tipica, un tempo, del-
a Radio3 perlomeno, non è così. È certo, però, che gran par- le emittenti commerciali ma ormai divenuta egemone.
te delle lamentele sull’eccesso di “chiacchiera” alla radio, o Al conduttore dei programmi del Terzo Anello viene con-
sulla superficialità di certe presentazioni, è un effetto di que- segnata una scheda relativa alla musica da trasmettere, più o
sta trasformazione che ha infastidito gli ascoltatori più fede- meno telegrafica, con note appena descrittive che il condut-
li e antichi, oltre che i più esperti, mentre d’altra parte non tore integra spesso con libere associazioni tratte da ogni do-
ha soddisfatto interamente i neofiti, per raggiungere i quali ve: di recente ho sentito leggere le parole d’apertura de I Ma-
occorre evidentemente ancora qualche sforzo. lavoglia di Giovanni Verga per introdurre la Rapsodia n. 1 per
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 STEFANO CATUCCI ELOGIO DEL PARLARE OBLIQUO 

pianoforte di Johannes Brahms, con un accostamento che ho l’arte e anacronismo delle immagini (2000). Non solo le im-
rinunciato presto a decifrare. Il tutto in una fascia di pro- magini ma tutte le opere d’arte – Didi-Hubermann si spin-
grammazione, quella che va dalle 9 alle 9.30, che nel sito in- ge sino a una rilettura del metodo storiografico come tale –
ternet di Radio3 viene presentata con queste parole: sono segnate, nei loro effetti di senso, da un fondamentale
anacronismo: non appartengono integralmente al tempo in
Un’ambiziosa “storia della musica” riletta attraverso la lente di cui sono nate, non possono essere ridotte alla coincidenza
ingrandimento del tempo oggettivo. Non una lenta evoluzione cronologica e soprattutto non possono essere interpretate,
cronologica dal canto monodico antico fino alla Nuova Musi- comprese, rivitalizzate se non a partire da un uso deliberato
ca, bensì una serie di lampi, di illuminazioni, di suggestioni che dell’anacronismo, dell’illuminazione di ciò che è più antico
disegneranno un percorso storico zigzagante e non lineare: il a partire da ciò che è più attuale e viceversa. Da questo pun-
senso della storia, se ne esiste uno, si rivelerà soltanto alla fine to di vista, l’obliquità alla quale facevo appello può essere in-
del percorso, quando tutti i pezzi del mosaico saranno final- tesa come un’appropriazione dell’anacronismo. E, soprat-
mente al loro posto (http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm).
tutto, non è una via che declini di necessità verso la sempli-
ficazione e la banalizzazione.
L’espressione “tempo oggettivo” mi mette sulla strada giu-
sta: ora ricordo, il conduttore affermava che tanto la Rapsodia
di Brahms quanto I Malavoglia risalivano al 1880. Quanto ad Costruzione del conduttore musicale
attendere la “fine del percorso” per capire meglio, dubito che
sia una scommessa sulla fedeltà indefessa degli ascoltatori. Ho accennato prima, di passaggio, a un problema di ri-
Ora, è vero che sulle coincidenze delle date di pubblica- cambio generazionale alla guida dei programmi musicali. È
zione si può costruire un sistema: lo storico della letteratura appunto un problema. Vorrei però sottolineare come i con-
Francesco Orlando, per esempio, ha ordinato la sua notevo- duttori radiofonici più giovani siano quelli che meno soffro-
le biblioteca proprio nell’ordine cronologico della pubbli- no il cambiamento avvenuto, anzi spesso lo anticipano pro-
cazione, e ha ricavato dagli accostamenti imprevisti un’ipo- prio grazie a un’esperienza culturale diversa: penso, per esem-
tesi di stampo dichiaratamente freudiano sulle modalità d’e- pio, a un certo modo di parlare di musica per immagini, o per
spressione dell’inconscio di un’epoca. Un’ipotesi del genere associazioni di idee, che fa parte quasi spontaneamente del-
sarebbe persino facilmente comunicabile, potrebbe avere la la formazione di chi oggi ha meno di quarant’anni, e che al-
sua presa. Argomentarla sarebbe un buon esercizio del par- la radio si rivela come una risorsa di freschezza. Così come
lare obliquo, cercando di far emergere qualcosa di comune penso al fatto che i linguaggi più efficaci, più diretti ed estro-
che lega musica, società e letteratura. Ma l’accostamento ca- versi, meno preoccupati della precisione divulgativa, si sen-
suale, il pretesto per il pretesto, il link “cliccato” su Wikipe- tono alla radio da compositori, e in qualche caso da interpreti,
dia per vedere cosa è apparso nell’anno 1880 e scegliere ma non da storici della musica, da questo punto di vista trop-
quello che si ha più facilmente sottomano, senza farsi guidare po legati ancora a un modello espositivo non più adatto alla
da un’idea, è appunto una forma di perversione su cui occorre realtà della radio.
vigilare, quando si prende la parola, sapendo che l’obliquità La figura del conduttore musicale oggi ha bisogno, però,
si trasforma facilmente in una nebbia. di essere costruita attraverso un training che non può più li-
Mi viene in soccorso un libro di Georges Didi-Huber- mitarsi alla sola competenza specialistica ma che, d’altra par-
mann tradotto di recente in italiano con il titolo Storia del- te, non può neppure disinvoltamente ignorarla. Occorre una
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 STEFANO CATUCCI ELOGIO DEL PARLARE OBLIQUO 

forma di eclettismo che in qualche caso può essere dote na- nominare La Barcaccia di Enrico Stinchelli e Michele Suoz-
turale, spontanea, del candidato presentatore, ma più spes- zo da un lato, come pure gli Esercizi di memoria di Arrigo
so dev’essere formata a partire dalle uniche doti di partenza Quattrocchi, per comprendere come in entrambi i casi si
che sono indispensabili: la competenza musicale, meglio se raggiunga una forma di equilibrio comunicativo che solo in
vissuta in proprio e non solo appresa accademicamente; quin- parte attinge ai linguaggi tradizionali della critica musicale,
di la capacità di comunicare; infine la curiosità, l’apertura che e che permette di “far passare” a chi ascolta informazioni im-
permette di considerare come un autentico oggetto di inte- mediatamente decifrabili. Non c’è dubbio che nel primo ca-
resse tutto quel che si muove intorno al mondo della cultu- so il pubblico di riferimento sia composto anzitutto da fa-
ra e dello spettacolo, sia esso da riportare o no, in forme me- natici della musica lirica, e nel secondo da collezionisti del-
diate o immediate, alla musica di cui si deve parlare. le registrazioni d’archivio. Ma al di là delle passioni settoria-
Purtroppo non esistono percorsi di addestramento per un li, è chiaro che parlando dell’aspetto performativo della mu-
lavoro del genere. Poiché si tratta di un’attività praticamen- sica, e non delle opere come tali, si tocca una corda perfet-
te senza mercato – Radio3 è, di fatto, monopolista nel setto- tamente armonica con modalità di comprensione molto più
re – non ci sono scuole, corsi, master che preparino a una si- vaste. Non c’è bisogno di scomodare l’idea, sostenuta per
mile prospettiva professionale. L’esperienza va maturata sul esempio da un sociologo come Alain Ehrenberg, secondo cui
campo. Non essendo però il campo molto ampio, e soprat- la definizione della nostra stessa identità sia, oggi, essenzial-
tutto essendo pochi gli spazi nei quali è possibile puntare su mente performativa, così che tutto il vocabolario della perfor-
figure da formare, la scelta si restringe e le difficoltà del ri- mance ci è diventato talmente familiare, se non addirittura in-
cambio generazionale tendono a cronicizzarsi. timo, da farci entrare subito in sintonia con tutti gli ambiti
ai quali si può applicare (Ehrenberg 1991). Discutere di
un’interpretazione significa comunque declinare al presente
L’interpretazione: un discorso performativo le parole riferite alla musica, e al limite significa riportare nel
presente anche un passato che può essere toccato con mano,
Un’ultima osservazione vorrei dedicarla a un altro tipo di per così dire, grazie all’ascolto delle registrazioni.
comunicazione che non rientra del tutto nell’ambito preso fin L’efficacia di questo tipo di comunicazione deve far ri-
qui in considerazione. Quando l’oggetto della presentazione flettere, una volta di più, sul fatto che parlare di musica alla
musicale non è il brano come tale, ma la sua interpretazione, radio implica sempre una relazione con il presente: una re-
alcune delle difficoltà prima accennate, e anche alcune del- lazione che in qualche caso è data, ma più spesso deve esse-
le mutazioni che ho brevemente descritto, sembrano scom- re trovata o inventata attraverso un percorso obliquo che
parire come d’incanto. Per un verso, infatti, parlare di un’in- tuttavia deve far tornare i conti.
terpretazione è già formulare un discorso di secondo livello, Forse questa può essere una chiave anche per affrontare
che dà per scontato il senso dell’opera alla quale non si de- la vexata quaestio della musica d’oggi alla radio, e che riguarda
dicano se non commenti incidentali. Per un altro, proprio non solo il modo di parlarne, ma anche il modo di farla ascol-
perché salta sia i compiti della divulgazione, sia quelli del- tare. Forse se la si strappasse da ogni autoreferenzialità set-
l’associazione obliqua, il discorso sull’interpretazione ha toriale, se si cercasse di restituirla a un presente comune con
un’immediatezza che consente, spesso, di raggiungere anche quello di chi ascolta evitando di isolarla in un mondo a par-
il pubblico meno esperto, senza scontentare quello più com- te, le si potrebbe rendere un buon servizio. Ma questa è tut-
petente. Si possono fare due esempi, diversissimi fra loro, e ta un’altra storia, un altro discorso.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 166

La musica pop raccontata alla radio


Silvia Boschero

Alla luce della mia esperienza di autrice e speaker ra-


diofonica, in quelle che un tempo erano chiamate “radio li-
bere” e poi nella radio di Stato, penso che comunicare la mu-
sica attraverso il mezzo radiofonico non sia mai stato entu-
siasmante come oggi. Sono vari i motivi per cui, negli ultimi
anni, la ricettività dell’ascoltatore nei confronti di una pro-
posta alternativa rispetto a quella massificata e diffusa dalla
stragrande maggioranza dei media è diventata altissima. Per
verificarlo basta andare al di là del luogo comune che consi-
dera la musica di qualità, oggetto di consumo di pochi, come
una nicchia fumosa popolata di zombi desiderosi di rimane-
re nascosti nelle proprie cripte. Un’immagine sbagliatissi-
ma, che negli ultimi anni si è affermata anche grazie a un’in-
dustria discografica che, soprattutto in Italia, è tristemente
nota per aver portato la qualità, la varietà, ma anche il fattu-
rato della musica ai minimi storici.
Rai Radio1, l’emittente a cui è legata la mia attuale espe-
rienza lavorativa, è una radio all news che dedica gran parte
del suo palinsesto all’informazione e che si rivolge prevalen-
temente a un pubblico adulto. La mia trasmissione, Village,
è un piccolo spazio che si inserisce tra due importanti gior-
nali radio, quello delle 13,30 e quello delle 14.00. Si occupa
di musica popular, un genere che rappresenta un patrimonio
largamente condiviso e che per antonomasia non necessita di
essere raccontato con un linguaggio particolarmente tecnico.
Nella gran parte dei casi, la principale vocazione della popu-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 168

 SILVIA BOSCHERO LA MUSICA POP RACCONTATA ALLA RADIO 

lar music è l’immediatezza del messaggio e del risultato: spes- mo più i venti milioni di copie vendute da Thriller di Michael
so, tuttavia, l’obiettivo del mio lavoro consiste proprio nel di- Jackson, ma un’infinita varietà di dischi di piccoli artisti che
mostrare che, per conseguire questa immediatezza, un mu- vanno incontro a un gusto atomizzato.
sicista può talvolta percorrere strade estremamente sofisticate Occorre dunque sgombrare il campo dal luogo comune
e complesse. Spiegare questa strana alchimia dovrebbe esse- che considera il pubblico ignorante, pigro e abitudinario.
re uno dei principali compiti di chi, come me, presenta que- L’ascoltatore di oggi è avido, curioso, desidera uscire dagli ste-
ste musiche alla radio. reotipi e confrontarsi con nuove scoperte. Ce ne accorgiamo,
Un compito esaltante, anche se purtroppo il panorama ra- ad esempio, quando a Village dedichiamo uno spazio di ap-
diofonico che oggi ci circonda è desolante, una sorta di vuo- profondimento a esperienze musicali poco note al grande
to pneumatico. Ad eccezione di alcuni network virtuosi co- pubblico – com’è accaduto in occasione della settimana de-
me Rai Radio3, di pochissimi programmi proposti dalle ra- dicata al pianista e compositore americano Uri Caine – rice-
dio commerciali – mosche bianche a far bella mostra di sé, vendo risposte decisamente incoraggianti.
come uno specchietto per le allodole – e di alcune radio lo- Il problema è che al pubblico la musica, e soprattutto la
cali, come la sindacation di Radio Popolare, la radiofonia na- straordinaria varietà della musica, non viene proposta; anzi,
zionale manifesta un totale appiattimento della proposta. Vi- non esiterei a dire che gli viene addirittura negata. La pro-
ve da anni di ripetitività, del modello veloce mutuato dalla grammazione è condizionata dalle “priorità” delle case di-
TV, di personaggi televisivi, di intrattenimento spicciolo. An- scografiche, e cioè dalla necessità di promuovere pochi pez-
che se la musica è uno dei principali ingredienti della ra- zi candidati al ruolo di best seller musicali; e i conduttori si
diofonia, quasi non esistono trasmissioni veramente incen- appiattiscono su questa linea nella convinzione che, andan-
trate sulla musica: trasmissioni, cioè, che provino a propor- do incontro a un gusto che si presume largamente condivi-
re percorsi di ascolto organici e ragionati in cui la musica rap- so, potranno consolidare allo stesso tempo anche la loro per-
presenti qualcosa di più di un semplice elemento di stacco o sonale popolarità. Invece l’ascoltatore radiofonico, e in par-
di sottofondo. ticolar modo quello che interagisce, che esprime il suo giu-
Da anni la radio si è fatta portavoce di un modello co- dizio, sente sempre più spesso l’esigenza di sperimentare la
municativo volutamente superficiale, orizzontale. I motivi straordinaria ricchezza della diversità.
sono tanti, e spesso poco edificanti; hanno a che fare con la Non sono tutte rose e fiori, beninteso. Anche chi, come me,
poca preparazione di alcuni, con la cecità di altri, con accordi tenta di percorrere i piccoli sentieri della musica, anziché le au-
commerciali presi sottobanco, con una non meglio identifi- tostrade delle hit commerciali, si trova a dover fronteggiare di-
cata linea editoriale che impone a una canzone di durare al versi ostacoli. Qualche anno fa, in una radio nazionale, fui rim-
massimo tre minuti. Inserirsi in un panorama radiofonico di proverata dal direttore artistico per la scelta di trasmettere al-
questo genere, con programmi che provino ad approfondi- cune canzoni rock che si pregiavano di lunghi soli di chitarra.
re alcuni fenomeni della musica pop o, più semplicemente, Mi fu detto che le chitarre, peggio ancora se distorte, e so-
a percorrere strade alternative rispetto alla cosiddetta main- prattutto nel caso in cui non avessero accompagnato il canta-
stream, potrebbe sembrare un suicidio; ma non lo è. Anche to del musicista, erano praticamente bandite da quell’emittente,
la discografia multinazionale si sta lentamente rendendo con- dal momento che potevano indurre l’ascoltatore medio a cam-
to del fatto che il futuro del mercato sarà popolato da tanti biare canale! Quella radio per fortuna l’ho lasciata.
titoli che vendono poco e non più, come accadeva in passa- Nella trasmissione che attualmente conduco su Radio1,
to, da pochi titoli che monopolizzano le vendite: non avre- abbiamo recentemente dedicato un’intera settimana a un di-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 170

 SILVIA BOSCHERO LA MUSICA POP RACCONTATA ALLA RADIO 

sco “storico” dei Genesis, Selling England by the pound: una anziani ex musicisti, dimenticati da tutti, li va a pescare nei
musica che un qualunque direttore di un network commer- bar di Cuba, o lì dove lavorano, s’innamora profondamente
ciale definirebbe “difficile”, certo non immediata, non di fa- di loro, con sincerità, li studia e poi comincia a produrre la
cile decifrazione. Abbiamo provato a contestualizzare i Ge- loro musica, creando una confezione dall’appeal capace di
nesis e il periodo storico; abbiamo cercato di evocare la loro stuzzicare molte persone. E così Ry Cooder diffonde il Bue-
estetica, utilizzando descrizioni suggestive per raccontare na Vista Social Club. In realtà Ry Cooder non inventa nien-
una musica visionaria. Dire che la musica dei Genesis è un te, ma si limita solo a rendere fruibili questi musicisti a un va-
po’ come il cinema di…, come la letteratura di…, come la fa- sto pubblico. Utilizza il suo nome, il suo carisma, la sua ri-
vola di… non è un modo fuorviante per accostarsi alla loro spettabilità, per raggiungere questo importante obiettivo.
esperienza musicale, ma rappresenta semmai una chiave vin- Sceglie loro, anziché Britney Spears, perché ama quella mu-
cente per attivare un canale di comunicazione più diretta e sica, perché le riconosce una valenza culturale, artistica e so-
immediata con gli ascoltatori. Mai come in questa occasione, ciale di tutto rispetto.
in tre anni di programma, abbiamo ricevuto così tante mail, Un meccanismo di questo genere dovrebbe essere in qual-
sms e lettere di ascoltatori che volevano scambiare i propri che modo applicato anche alla comunicazione radiofonica.
pareri con noi. Quasi un migliaio. Una comunicazione che dovrebbe insistere nel creare sugge-
Una cosa del genere è accaduta quando abbiamo deciso stioni, raccontare storie, e, dove è possibile, fornire indicazioni
di dedicare una settimana all’opera di Fabrizio De André, at- tecniche e critiche, ma solo nel momento in cui la “magia” co-
traverso le testimonianze di amici e musicisti che avevano la- municativa si è già stabilita. Perché la magia comunicativa non
vorato con lui. Occorre ricordare che sia i Genesis sia Fa- può prescindere dalla professionalità. Un ente istituzionale co-
brizio De André – a parte rarissimi casi – sono stati pratica- me la Rai ha sempre messo in primo piano l’imperativo della
mente ignorati dalla radiofonia nazionale coeva. Come tanti professionalità; per fare radio in Rai, ieri come oggi, occorre
altri: basti pensare, per fare un solo nome, a quanto poco un conoscere la musica e saperla presentare correttamente. Nel-
cantautore come Francesco Guccini sia stato trasmesso dal- le radio locali, le radio libere degli anni Settanta raccontate dal
le radio nazionali; questo non toglie, tuttavia, che Guccini oc- film Radio Freccia di Ligabue, era invece necessario conosce-
cupi un posto privilegiato nella storia della nostra musica po- re la musica, ma non saper “fare la radio”: il dilettantismo ra-
polare, e che le sue canzoni siano penetrate a fondo nel sen- diofonico era non solo tollerato, ma anche ben accetto.
tire comune. Il bilancio positivo di queste esperienze, pur se Oggi non è più così: il dilettantismo tende a sparire an-
condotte nella limitata cornice temporale di una mezz’ora che perché il pubblico, soprattutto quello più giovane, è
scarsa di programma, ci ha spinto a osare sempre di più, molto più preparato, e ha un approccio più diretto alla mu-
giorno dopo giorno. E osare significa semplicemente pro- sica. Si possono trovare in rete un’infinità di programmi di
porre, far ascoltare, senza necessariamente soffermarsi sui editing digitale, grazie ai quali chiunque può “costruirsi” la
dettagli tecnici, ma adottando l’attitudine interpretativa del propria musica in casa. Di conseguenza, chi parla di musica
sociologo, dell’antropologo. in radio può entrare nei dettagli e raccontare dei Beatles di
In cosa consiste, dunque, la comunicazione radiofonica? Sgt. Pepper’s, che nel 2007 ha compiuto 40 anni, per spiega-
Da autodidatta della radiofonia, mi sono spesso sentita dire re come il primo grande disco prodotto attraverso un meti-
che non esistono regole precise per inquadrarla. Cerco di coloso e rivoluzionario lavoro in studio è stato realizzato ta-
spiegarmi attraverso un esempio. Mi piacerebbe lavorare co- gliando e incollando minuscoli frammenti di nastro, dal mo-
me fa il chitarrista blues Ry Cooder: prende un manipolo di mento che all’epoca non esistevano gli editor digitali.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 172

 SILVIA BOSCHERO LA MUSICA POP RACCONTATA ALLA RADIO 

Al ragazzino che ascolta Eminem e che conosce tutti i suoi luzione tecnologica senza precedenti. Nell’iPod di un ven-
testi a memoria, può essere invece interessante spiegare chi è tenne è possibile trovare Mozart come i Sigur Rós. È un
il musicista più campionato da tutti i rapper del mondo, James ascoltatore onnivoro, in grado di accedere a un’enciclopedia
Brown: creando un link tra Eminem e James Brown, l’ascol- musicale virtualmente sterminata attraverso la tecnica del
tatore giovane potrà sviluppare una curiosità anche nei con- fai-da-te. Proprio perché subisce una forte saturazione del-
fronti di quest’ultimo, nonostante la distanza generazionale. La l’informazione, ciò che gli inglesi chiamano information over-
comunicazione può soffermarsi anche sul dettaglio tecnico, ma load, diventa ancor più importante spiegargli chi è Mozart e
in una prima fase deve contribuire a colmare il vuoto di me- chi sono i Sigur Rós, in che contesti hanno operato, e cosa
moria determinato dalla velocità dell’informazione. succedeva intorno a loro.
Non esiste un’unica formula per la comunicazione ra- La radio può oggi contribuire in modo determinante a
diofonica, ma esistono tante formule che di volta in volta de- colmare questi vuoti di memoria culturale: sfruttando pie-
vono essere adattate alle situazioni specifiche. Rai Radio1, co- namente il suo enorme potenziale di suggestione comuni-
me ho già accennato, è una radio all news dedicata all’infor- cativa, ma anche attivando un continuo gioco di rimandi con
mazione, e basata per lo più su giornali radio, fili diretti, ra- le nuove piattaforme di comunicazione e scambio: MySpa-
diocronache sportive; si rivolge dunque a un pubblico vario ce, YouTube e tutto l’universo digitale verso cui tende il fu-
e vasto, ma tendenzialmente adulto. In linea di principio, si turo della musica. La radio non invecchia, e lo dimostrano
potrebbe pensare che un pubblico di questo genere non sia i dati d’ascolto, sempre esaltanti: oggi tuttavia, grazie al-
interessato a sentir parlare di musica rock e pop, ma in realtà l’interazione con le nuove tecnologie, la radio può compiere
non è così. L’ascoltatore medio di Radio1 può definirsi “ma- un ulteriore passo in avanti e diventare il tassello fonda-
turo” non solo in termini anagrafici, ma anche qualitativi, dal mentale di una piattaforma multitasking, amplificando la
momento che ha un vissuto musicale che gli permette di ac- sua vocazione più autentica e profonda, quella della divul-
costarsi alla musica popular in modo più immediato. Il ses- gazione culturale.
santenne di oggi è cresciuto con i Beatles. Nel 1967, l’anno
della rivoluzione del rock, della svolta elettrica di Bob Dy-
lan, dell’uscita di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, dei
primi Velvet Underground, dei primi dischi di Frank Zappa
e dei Rolling Stones, l’ascoltatore “maturo” di oggi aveva
vent’anni. In Italia ascoltava Al Bano, Rocky Roberts, Adria-
no Celentano in coppia con Claudia Mori ma sapeva, nono-
stante l’isolamento culturale del nostro paese negli anni Ses-
santa, che attorno a lui il mondo e la musica stavano cam-
biando. È cresciuto con la consapevolezza di far parte, come
tanti altri, di una nuova categoria, quella dei “giovani”.
Con il ventenne di oggi, invece, la comunicazione è più
agile e immediata: perché, pur se continuamente bombardato
dai modelli di consumo massificato, negli ultimi anni le nuo-
ve tecnologie gli hanno consentito di sperimentare un incre-
dibile grado di libertà e autogestione. Assistiamo a una rivo-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 174

Raccontare la “musica” di piazza Vittorio.


Conversazione con Agostino Ferrente e Mario Tronco
Renata Scognamiglio

L’Orchestra di piazza Vittorio nasce a Roma nel 2002 per


iniziativa di Mario Tronco (tastierista e autore degli Avion Tra-
vel) e Agostino Ferrente (documentarista), entrambi resi-
denti nel quartiere Esquilino, melting pot della capitale. So-
no gli anni della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, del do-
po-11 settembre, della paura del diverso. L’idea di creare
un’orchestra multietnica, che traduca in musica i mille suo-
ni che si sprigionano dalle vie del quartiere, si intreccia con
il tentativo di salvare dalla “riqualificazione” a Bingo l’ulti-
mo cinema rimasto in zona, l’Apollo (ex sala a luci rosse), per
restituirlo agli abitanti quale laboratorio culturale multidi-
sciplinare. Nasce così il collettivo Apollo 11: comincia la ri-
cerca dei musicisti, e cominciano anche le riprese del film-
diario L’Orchestra di piazza Vittorio (regia di A. Ferrente,
2006) che racconta la storia e le musiche di questo originale
ensemble. La scelta di rispondere con la musica a un proble-
ma sociale sottende di per sé un importante discorso sulla mu-
sica, ed è particolarmente rara e preziosa in un momento sto-
rico in cui la cultura – e la musica in particolare – è vista co-
me un’appendice superflua e non come qualcosa che può par-
lare di noi, raccontare chi siamo e chi vorremmo essere. Nel
colloquio che segue Mario Tronco (M. T.) e Agostino Ferrente
(A. F.) riflettono su alcuni nodi di questa esperienza, tanto
coinvolgente sul piano artistico quanto su quello umano.
Soffermandosi sulla vocazione della musica a costituirsi co-
me “specchio del mondo”, grazie alla sua capacità di mette-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 176

 RENATA SCOGNAMIGLIO RACCONTARE LA “MUSICA” DI PIAZZA VITTORIO 

re in gioco vissuti, esperienze, socialità; ma anche sulla pos- Riguardo alle strategie narrative, una cosa che mi ha sem-
sibilità di trasmettere questi valori nella condivisione della ri- pre ossessionato piacevolmente è – per usare una termino-
tualità concertistica, o di raccontarli attraverso una docu- logia accademica – l’uso extradiegetico della musica diegeti-
mentazione filmica in grado di mettere in scena la musicalità ca. In altre parole, è consuetudine nel cinema l’uso del com-
dell’esistenza stessa. mento musicale come sottofondo di alcune scene – due per-
sone che stanno parlando, ad esempio. Lo spettatore ascol-
R. S. Il vostro film-diario, L’Orchestra di piazza Vittorio, ta una musica che nella realtà di quei personaggi non esiste
rappresenta uno specchio fedele e una testimonianza appas- (salvo in alcuni casi volutamente provocatori e surreali come
sionata del lavoro, delle difficoltà e del vostro impegno in que- Bananas di Woody Allen, quando lui apre un armadio e ci tro-
sti anni. Nel raccontare la storia dell’orchestra, il film riesce va dentro la fonte sonora, e cioè un arpista che sta suonan-
anche a trasmettere un messaggio più generale e profondo, do). Spesso, dunque, il regista utilizza la musica per com-
che investe le funzioni e i significati della musica, la sua ca- mentare, per sottolineare un’emozione – anche in maniera un
pacità di intrecciarsi ai vissuti umani e di illuminare i risvol- po’ cinica – e portare lo spettatore in una certa direzione. C’è
ti musicali dell’esistenza. Un risultato importante, se si con- qualcuno che intraprende una strada più coraggiosa, sce-
sidera che raccontare la musica è un’impresa affascinante, ma gliendo delle musiche in aperto contrasto con la scena: però,
quanto mai insidiosa, che presuppone l’attivazione di stra- di fatto, c’è sempre un’aggiunta, una spiegazione, una sotto-
tegie narrative molto particolari e forse tutte da inventare. lineatura. Io invece ho cercato un uso narrativo della musi-
A. F. Partiamo dal presupposto che sono stonato e igno- ca e non semplicemente illustrativo, raccontando la vicenda
rante dal punto di vista musicale: amo la musica, ma la mu- del singolo personaggio attraverso la musica che lui stesso sta-
sica non ama me. Di conseguenza, questo film è una dichia- va pensando o eseguendo, e che di lì a poco avrebbe visto ar-
razione d’amore a un oggetto di desiderio che mi respinge rangiata dall’orchestra. Dunque nel film troverai spesso un
continuamente. Allo stesso tempo è un lavoro collettivo, che pezzo – una composizione originale o una musica tradizio-
non riguarda solo me e Mario Tronco; voglio ricordare an- nale riarrangiata – ripreso dal vivo e poi sincronizzato alla co-
che Pino Pecorelli, contrabbassista e vicedirettore dell’or- lonna sonora: credo che questo rappresenti, in qualche mo-
chestra, che ha montato la colonna sonora. Anche se il film do, la traduzione tecnica di quel senso di “musicalità dell’e-
ha avuto una lavorazione rocambolesca, c’è un’idea di fon- sistenza” cui accennavi prima. Tutto ciò, ripeto, non sareb-
do su cui, fin dall’inizio, non ho mai avuto dubbi: a differenza be stato possibile senza la pazienza e la disponibilità di Pino
di un approccio registico classico, che era quello che tutti si Pecorelli, che con grande maestria ha operato i tagli che gli
aspettavano, secondo cui una realtà musicale va raccontata chiedevo e che sembravano impossibili, trasformando i pez-
filmando le relative performance, io non volevo raccontare zi e riadattandoli in base alle esigenze del montaggio.
l’orchestra che si esibiva – a parte il fatto che quando ho ini-
ziato a girare l’orchestra ancora non esisteva. Volevo rac- R. S. Considerando che le riprese del film sono durate va-
contare piuttosto quello che c’era dietro, incentrando tutto ri anni, immagino che tu abbia accumulato una grande quan-
sulla vicenda di Mario, me e gli altri dell’Apollo 11 che cer- tità di filmati: come sei riuscito a operare una selezione e a
cano di creare dal nulla l’orchestra, e sull’aspetto umano dei trovare un giusto equilibrio tra l’esigenza di documentare il
personaggi che via via incontravamo per strada, raccontan- lavoro dei musicisti e la loro esperienza di vita?
doli come persone ancor prima che come musicisti. Non a ca- A. F. Privilegiando un unico punto di vista: il mio. Ov-
so, uno dei potenziali titoli del film era Prima dell’orchestra. vero quello del testimone/complice narrante: era l’unica so-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 178

 RENATA SCOGNAMIGLIO RACCONTARE LA “MUSICA” DI PIAZZA VITTORIO 

luzione possibile. Molti paragonano il mio film a Buena Vi- dalla pellicola. Tutti (produttori, giornalisti, spettatori) si
sta Social Club, il documentario di Wim Wenders (1999) che aspettavano un film-concerto, anche dal titolo, ma sono ri-
racconta il progetto del chitarrista californiano Ry Cooder di masti sorpresi.
radunare intorno a sé un gruppo di musicisti “storici” della Un altro obiettivo particolarmente importante era quel-
scena cubana. Ma Buena Vista – a prescindere dal suo valo- lo di non realizzare un film datato, che documentasse un’e-
re artistico – racconta la storia della riscoperta di una musi- sperienza conclusa; da qui l’idea di un finale “aperto”, che
ca che già esisteva, con dei personaggi che già esistevano: il racconta l’ingresso di nuovi musicisti nell’organico: mi è sem-
regista è andato a cercare quei personaggi, che sapeva essere brato un mezzo efficace per trasmettere il senso di continua
lì; gran parte del film è basato sulle loro interviste o sulle lo- evoluzione dell’orchestra, come a voler dire to be continued.
ro canzoni. Nel mio caso, invece, si trattava anzitutto di rac- Un film impossibile, insomma. Quando ho fatto leggere del-
contare cos’era un quartiere – perché non tutti sanno cos’è le ipotesi di sceneggiatura ai miei amici, mi dicevano: “lascia
piazza Vittorio, e io ho sempre pensato che questo doveva es- perdere, non esiste, troppi personaggi e troppi elementi nar-
sere un film che potesse vedere anche mia zia in Australia. rativi, sarà impossibile da montare”. Per non parlare dei pro-
Occorreva dunque spiegare che Roma non è solo quel che duttori. Eppure sono stato ostinato e alla fine ho realizzato
si vede nel film – tante facce di diversi colori – ma che que- un film – non è un documentario musicale, ci tengo a preci-
sto succede in un quartiere particolare che si chiama Esqui- sarlo – che ha una struttura più vicina a The Commitments o
lino, che negli ultimi anni è diventato il crocevia di un’im- a The Blues Brothers che non a Buena Vista.
migrazione che per alcuni abitanti è una risorsa, per altri
una minaccia. Bisognava poi presentare il gruppo di perso- R. S. Il film è stato definito, in effetti, anche docu-musi-
ne/personaggi che aveva costituito l’orchestra, ovvero parlare cal: forse perché, di fronte a un esperimento innovativo che
del cinema Apollo e dell’esperienza del collettivo Apollo 11, non può essere ricondotto nell’ambito dei generi tradizionali,
raccontare la realtà romana e il contesto storico: il momen- s’inventano le denominazioni più strane.
to della legge Bossi-Fini, la paura e le reazioni del dopo l’11 A. F. Quella era quasi una scelta di marketing: il termine
settembre, quando essere arabo significava essere terrorista, “documentario” mi spaventava perché in Italia, contraria-
con tutta la campagna speculativa che ne è seguita; al punto mente a quanto avviene nel resto d’Europa, viene immedia-
che, durante le nostre ricerche, spesso venivamo scambiati tamente associato a una formula pedagogica, didascalica e
per poliziotti in borghese che chiedevano il permesso di sog- dunque noiosa. Docu-musical è meglio di documentario, ma
giorno. Cercando degli strumenti, come ama spesso ricordare personalmente preferisco il termine film. La definizione do-
Mario Tronco, abbiamo trovato dei musicisti, delle persone: cu-musical ha incuriosito il pubblico, ma allo stesso tempo ha
dunque non potevo limitarmi all’aspetto musicale, dovevo creato dei fraintendimenti: molti si aspettavano un docu-
non dico raccontare (ci sarebbero voluti venti film), ma al- mentario musicale o addirittura un musical, tutte cose che il
meno evocare anche le loro storie. Se ci fossimo accontenta- film evidentemente non è.
ti di mostrare solo un’orchestra che suona avremmo realiz-
zato un’operazione didascalica, puramente autoreferenziale. R. S. Al di là delle implicazioni sociali che il progetto di
Anche se Benjamin parla di “opera d’arte nell’epoca del- un’orchestra multietnica inevitabilmente porta con sé, non
la sua riproducibilità tecnica”, in realtà un film non potrà mai possiamo dimenticare che il vostro è innanzitutto un progetto
riprodurre l’effetto di una live performance, perché la sua im- artistico, creativo, alimentato da una precisa volontà di spe-
pronta vitale viene sempre mitigata, quasi “incellofanata” rimentazione musicale. Come spiega Mario Tronco all’inizio
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 180

 RENATA SCOGNAMIGLIO RACCONTARE LA “MUSICA” DI PIAZZA VITTORIO 

del film, il progetto nasce dalle suggestioni di un ambiente, quello di cercare di far emergere e portare avanti le doti mi-
dal desiderio di creare una musica capace di restituirci un ri- gliori, o almeno quelle che io ritenevo tali. Se sei il direttore
tratto sonoro di piazza Vittorio, ma allo stesso tempo anche devi fidarti del tuo istinto, e può anche capitare di sbagliare.
dalla ricerca di qualcosa che suonasse “un po’ funky”. Allo stesso tempo però era necessario, soprattutto all’inizio,
M. T. Il suono di piazza Vittorio mi è sempre sembrato non imporre completamente il mio punto di vista. Sarebbe
quello di un’orchestra che accorda, che cerca l’oboe che gli dia stato pericoloso, anche perché avevamo pochissimo tempo.
il la: un suono che andava in qualche maniera armonizzato, Bisogna poi tener conto di un altro problema: io non penso
accordato. Avremmo potuto chiamare il nostro complesso in arabo, non conto in spagnolo. Per quanto possa arrivare
“Band di piazza Vittorio” o “banda di piazza Vittorio”. La ad avere una sensibilità musicale vicina alla loro, non potrò
scelta del nome non è casuale, e non è stata dettata da un vez- mai essere una persona che scrive in arabo o in spagnolo. Fin
zo: è stato proprio il suono della piazza a darmi la sensazio- dalle prime prove ho capito che l’orchestra avrebbe dovuto
ne di un’orchestra che cerca un centro armonico. Volevo essere un’orchestra di solisti, non di esecutori; un’orchestra
creare un’orchestra composta da strumenti di tradizioni “al- in cui i musicisti fossero propositivi e si sentissero realmen-
tre” mescolati a strumenti della tradizione occidentale clas- te protagonisti. Il mio lavoro, dunque, è stato soprattutto
sica, che riflettesse un po’ anche la varietà di generi e stili che quello di organizzare l’anarchia che questa musica ha nel
puoi trovare nella discoteca di casa mia: dove c’è di tutto, da suo DNA, darle una forma e uno stile, sperando di farlo nel
Ravel ai Radiohead. modo più originale possibile.
Cercavo musicisti non solo di diversa provenienza geo-
grafica, ma anche diversi in quanto a background musicale. R. S. Questo spirito di condivisione emerge chiaramen-
Pino Pecorelli – che già conoscevo da tempo – era l’anima un te anche dal film, che documenta in modo molto suggestivo
po’ funk e un po’ rhythm and blues: era a lui che mi riferivo la nascita del vostro repertorio: ogni musicista portava nel
quando nel film alludevo a un “suono funky”. La scelta de- gruppo un canto, un brano della propria tradizione – un po’
gli altri musicisti, invece, è stata il risultato di una lenta, gra- con lo spirito di quelle feste in cui ogni invitato porta qual-
duale scoperta. Sono un ottimo ascoltatore: una qualità fon- cosa – e lo insegnava agli altri. Nel momento in cui questo
damentale in una formazione così strana, dove puoi scrivere canto diventava patrimonio del gruppo, si trasformava però
le parti solo per metà dell’orchestra, perché per gli altri sa- in qualcosa di diverso, perché era diventato di tutti. Mi chie-
rebbe inutile. do, però, se talvolta non abbiate incontrato qualche difficoltà;
nel senso che quando ci si abitua a pensare un brano tradi-
R. S. Dovendo lavorare con musicisti di diversa estra- zionale in un certo modo può risultare difficile vederlo in mo-
zione, e con diversi approcci nei confronti del “far musica”, do diverso, soprattutto se si è lontani da casa e quel canto rap-
immagino che il direttore debba riconfigurare il suo ruolo tra- presenta un profondo legame con la propria terra.
dizionale ed escogitare nuove strategie per poter interagire M. T. Mi rendo conto di avere un atteggiamento molto
in modo dialettico con i suoi orchestrali; soprattutto tenen- disinvolto nei confronti delle tradizioni musicali, e di aver la-
do conto della presenza di musicisti che non leggono il no- vorato in modo estremamente libero con i brani tradiziona-
stro sistema di notazione. li. Non sono un etnomusicologo, e neppure un appassiona-
M. T. Il mio atteggiamento nei confronti di chi non leg- to di musica popolare: gli unici dischi che non ho in casa so-
ge la musica – ma che al contempo rappresenta il cuore pul- no quelli di musica etnica. Dunque mi sono trovato ad af-
sante dell’orchestra, il cuore folk, popolare – è stato sempre frontare una realtà per me del tutto nuova, con la quale ho
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 182

 RENATA SCOGNAMIGLIO RACCONTARE LA “MUSICA” DI PIAZZA VITTORIO 

instaurato una sorta di rapporto infantile, come quello di un los, che viene dall’Ecuador e che all’interno dell’orchestra
bambino che conosce un nuovo giocattolo. La prima cosa che canta e suona vari strumenti andini – non abbia un testo ver-
fanno i bambini di fronte a un giocattolo nuovo è smontar- bale: “ma questa non è una canzone, perché non ha parole!”.
lo per vedere com’è fatto dentro: poi lo rimontano, ma non È una gag molto simpatica, che tuttavia ci fa capire che quan-
esattamente così com’era in origine. do un musicista ragiona sulla musica, e ne ha un’idea diver-
sa dagli altri, tende a mantenere ferma la sua posizione fino
R. S. Col passare del tempo l’orchestra è cambiata, alcu- alla fine. Magari il pezzo non gli dispiace, ma in ogni caso non
ni strumentisti sono venuti meno e altri si sono aggiunti. Di riesce a chiamarlo “canzone”.
conseguenza, anche il ritratto sonoro di partenza si è modi- A. F. Volevo concludere il film con una riflessione autoi-
ficato. Come si è trasformato, con il passare degli anni, il ronica, che in qualche modo introducesse un principio di
sound dell’orchestra di piazza Vittorio? realtà: il nostro progetto artistico testimonia che la ricerca di
M. T. Il suono dell’Orchestra di piazza Vittorio è in con- un’esperienza di dialogo e condivisione è un’utopia possibi-
tinua trasformazione e ricerca. Da qualche tempo, per esem- le – sul piano musicale e umano; tuttavia, il risultato dei no-
pio, stiamo suonando Mozart: un’eventualità a cui non avrei stri sforzi non può farci dimenticare che il progetto di un’au-
mai pensato all’inizio, anche se devo dire che l’orchestra, in tentica integrazione interculturale è un cammino lungo e dif-
pochissimo tempo, si è letteralmente “appropriata” di Mo- ficile, e che non abbiamo ancora trovato la pace nel mondo.
zart. Il progetto nasce da una proposta di Daniele Abbado
per una Notte Bianca a Reggio Emilia: in ogni piazza della
città si rappresentava un quadro de Il flauto magico e a noi è
stata assegnata la prima parte. Quando Daniele Abbado me
ne ha parlato, la mia prima reazione è stata: “Tu sei un paz-
zo!”. In seguito ho ripreso la partitura e ho iniziato a imma-
ginare Il flauto magico come se fosse un’opera tramandata nei
paesi dei vari musicisti, non in forma scritta ma orale. Nella
tradizione orale le storie si trasformano naturalmente, pas-
sando di bocca in bocca. Dunque mi sono domandato: che
cosa succederebbe all’aria di Papageno se venisse racconta-
ta e tramandata dai griot? Il nostro Papageno canta in wolof
e la sua aria si trasforma magicamente in una sonorità reggae.
E questa è la strada che abbiamo scelto per Il flauto magico:
un’opera cantata in varie lingue, e di conseguenza in diversi
stili musicali.

R. S. Oltre a suonare insieme, nel film i musicisti si ri-


trovano anche a parlare di musica, a raccontarsi le loro ri-
spettive musiche. Nella scena finale, ad esempio, il cantante
Houcine – che viene dalla Tunisia – non riesce a farsi una ra-
gione del fatto che Tarareando – la canzone proposta da Car-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 184

Offerte inaudite: inviti all’ascolto della (tele)visione


Luca Marconi

In questo saggio verranno prese in esame alcune relazio-


ni che l’atto di ascolto intrattiene con i programmi televisivi
musicali e con altri testi audiovisivi affini, al fine di indaga-
re come tali relazioni s’inseriscono nell’ambito più generale
dei rapporti tra le attività visive e le esperienze d’ascolto mu-
sicale. Prenderemo come elementi di partenza le poche con-
statazioni indiscutibili a nostra disposizione:
1. Nei confronti dei suoni di un qualsiasi brano musica-
le, sia i vedenti che i non vedenti possono vivere un’esperienza
d’ascolto musicale; di conseguenza, poter compiere attività
visive non è una conditio sine qua non per vivere un’espe-
rienza d’ascolto musicale.
2. Quanto più, di fronte ai suoni di un brano musicale, la
nostra attenzione si concentra su un’attività visiva legata a im-
magini che non si riferiscono a tali suoni – al punto tale che
l’attività uditiva diventa uno sfondo dell’attività visiva – tan-
to più sarà difficile vivere un’esperienza d’ascolto musicale.
Sulla base di questi presupposti, ci concentreremo sulla
seguente domanda: in che modo le attività visive di un sog-
getto umano possono incidere sulle sue esperienze d’ascol-
to musicale?

Conditio sine qua non dell’ascolto adeguato?

Un primo filone di risposte a questa domanda applica una


concezione gerarchica dell’ascolto musicale secondo la qua-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 186

 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

le, nei confronti dell’insieme dei suoni udibili in un certo con- 3. Leggere, durante l’ascolto, la partitura del pezzo o uno
testo, è possibile distinguere un ascolto più “adeguato” da al- schema sinottico del tipo di quelli forniti da un’analisi
tre tipologie di ascolto considerate meno “adeguate”. Que- schenkeriana. Quest’attitudine può essere riscontrata in chi
sto presupposto investe anche l’atto visivo, nell’idea che il gra- attua i seguenti comportamenti:
do di adeguatezza dell’ascolto sia legato anche al particola- - ascoltare le registrazioni musicali e frequentare i concerti
re tipo di esperienza visiva correlata all’atto uditivo. Sono sta- leggendo gli spartiti eseguiti, portando alle estreme conse-
te formulate diverse ipotesi in merito all’atteggiamento e al- guenze l’idea di Adorno secondo cui l’ascolto musicale più
le condizioni visive “ottimali” volte a favorire un ascolto più adeguato sarebbe quello “strutturale”, fondato su una serie
adeguato: di acquisizioni derivate da una lettura “analitico-sintetica”
1. Chiudere gli occhi o fissare lo sguardo in un punto più della partitura (Adorno 1962, pp. 7-8; 1963b, pp. 43-106);
insignificante possibile, per concentrarsi sull’ascolto e sulle - non riuscire però a figurarsi (a differenza dell’ascoltatore
proprie intracezioni e propriocezioni. Come ha notato Ne- “esperto” descritto da Adorno) la partitura eseguita o il gra-
gus, questo tipo di ascolto, assai diffuso tra i fautori roman- fico schenkeriano, se non tenendoli costantemente sotto gli
tici della “musica assoluta” (ma anche oggi spesso in auge tra occhi man mano che procede l’ascolto.
gli appassionati di musica colta, che la considerano un’“arte Nella prospettiva di questi ascoltatori (il cui comporta-
dei suoni” capace di suscitare il sentimento del sublime e del- mento va indubbiamente distinto dalle concezioni di
l’ineffabile), è stato spesso adottato anche dai fan del rock Schenker e Adorno), l’unico genere di audiovisivo musicale
(specie di quello progressive), che pongono al centro della lo- valido sarebbe quello che accosta ogni passaggio del brano
ro esperienza estetica l’ascolto delle registrazioni (Negus al corrispondente punto della partitura, inserendolo in uno
2006, pp. 315-319). In questa prospettiva la musica trasmessa schema sinottico ricavato da un’analisi grafica del tipo di
in televisione, come qualsiasi altro testo audiovisivo, appare quella schenkeriana.
come un tentativo di distogliere l’attenzione dall’ascolto mu-
sicale più “autentico”.
2. Vedere la performance di cantanti, strumentisti e di- Indizi/inviti nella negoziazione comunicativa
rettori d’orchestra. Come ha rilevato, tra gli altri, Thorn-
ton (1995, pp. 53-70), la valorizzazione della performance, L’accostamento di suoni e visioni come costruzione di si-
diffusa tanto nella musica colta quanto nella popular mu- gnificati
sic, è legata a diversi fattori: una concezione della musica La concezione gerarchica dell’ascolto musicale è nata ed
come “voce della natura”, nella quale l’esecutore com- è stata legittimata all’interno di culture musicali “ristrette”,
muove presentando espressioni (di “affetti”, personalità o cioè dotate di grande omogeneità. Nella condizione “allar-
caratteri) e/o imitazioni di tali espressioni; l’idea che l’e- gata”, disomogenea, in cui ormai da tempo ci troviamo, si è
sperienza senso-motoria del performer rappresenti una del- invece sviluppata una concezione alternativa dell’ascolto,
le componenti essenziali dell’esperienza musicale; o, an- pluralista e, secondo alcune definizioni, “postmoderna”
cora, la tendenza a preferire la partecipazione ai concerti (Dell’Antonio 2004). In una prospettiva pluralista, il grado
dal vivo rispetto all’ascolto della musica registrata. In tale di adeguatezza di un ascolto non può essere valutato in ba-
prospettiva, gli audiovisivi musicali vengono valutati posi- se a una gerarchia valida in senso assoluto, ma deve essere
tivamente quanto più “fedelmente” mostrano i comporta- sempre messo in relazione ai processi comunicativi in cui si
menti dei performers. inserisce (Stockfelt 1997): tenendo conto, dunque, delle di-
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 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

verse pratiche d’ascolto che possono essere attuate dal per- dia. Così considerata, la significazione diviene una funzione del
cettore, dei diversi “oggetti” di queste pratiche (Delalande contesto: è, in sintesi, “performativa” (p. 83).
2008), e della loro rispettiva “intentio operis” (Eco 1979). Ad Nella discussione sul significato musicale, mescolare il signifi-
esempio, se prestassi più attenzione ai suoni del CD che stan- cato che si presume risieda “dentro” la musica con quello che
no facendo da sfondo alla stesura di questo saggio, potrei sce- si realizza in una certa situazione è fonte di confusione. Sugge-
rirei che sia più opportuno chiamare “significato” solo il se-
gliere di attuare almeno tre tipi di pratica d’ascolto: l’ascol- condo, in quanto risulta emergente, mentre l’altro potrebbe es-
to dell’opera di un compositore (in questo caso, l’oggetto su sere chiamato “potenziale espressivo” (in linea con Cone), “po-
cui si concentra la mia attività uditiva sarebbe il “Preludio tenzialità semantica” (seguendo Nattiez) o “potenziale per la si-
n. 1 del primo volume dei Preludi di Debussy”); l’ascolto di gnificazione” (p. 96).
un’esecuzione (l’oggetto diventerebbe allora l’“esecuzione di
Arturo Benedetti Michelangeli del Preludio n. 1 del primo Queste premesse offrono molti spunti per affrontare il no-
volume dei Preludi di Debussy”); l’ascolto di una registra- stro problema; bisogna tuttavia notare che lo stesso Cook, al-
zione (l’oggetto sarebbe in questo caso il “CD prodotto dal- l’interno del suo lavoro analitico, le ha utilizzate solo in mo-
la Deutsche Grammophone dell’esecuzione di Arturo Be- do parziale. Pur avendo sottolineato che la significazione
nedetti Michelangeli del Preludio n. 1 del primo volume dei della musica è performativa, e cioè “il prodotto di un’inte-
Preludi di Debussy”). razione tra la struttura sonora e le circostanze della sua rice-
Una concezione pluralista dell’ascolto, dunque, ci por- zione” (p. 23), di fatto le sue analisi di musical multimedia si
ta a giudicare gli accostamenti tra suoni musicali e imma- concentrano sulla potenzialità semantica. Ogni volta che ana-
gini non in rapporto a una presunta conditio sine qua non lizza un testo multimediale, infatti, egli cerca di esplicitarne
dell’ascolto adeguato, ma piuttosto in relazione ai diversi non tanto il significato colto da alcuni fruitori “empirici” in
indizi visivi che il percettore può prendere in considera- una particolare circostanza della sua ricezione, ma piuttosto
zione durante l’esperienza d’ascolto e ai diversi inviti visi- quello che emerge dall’analisi delle relazioni tra i diversi me-
vi che gli possono essere rivolti da parte di altri soggetti. dia in esso presenti: nei termini di Eco (1979), si tratta dun-
Una posizione di questo genere si riscontra in due saggi di que del significato (potenziale) corrispondente all’intentio
Cook (1998a) e Negus (2006) che affrontano le tematiche operis del testo analizzato.
qui esaminate, con i quali questo scritto trova numerose Tenendo conto di tale precisazione, cercheremo ora di ri-
convergenze. leggere alcune indicazioni di Cook rapportandole a una teo-
Il fondamento del metodo proposto da Cook per affron- ria generale dell’ascolto musicale recentemente formulata in
tare lo studio dei musical multimedia è il concetto di “co- Marconi (2008a).
struzione o negoziazione del significato in contesti specifici”
(Cook 1998a, p. 23), sintetizzato nelle frasi seguenti: La percezione di inviti alla relazione e alla trasformazione
Durante l’esperienza di ascolto musicale, il percettore
Vale la pena pensare che la musica – e forse anche qualsiasi al-
mette in relazione il proprio stato (cognitivo, emotivo, cor-
tro medium – abbia un potenziale per la significazione che è
molto più ampio di tutto ciò che può essere realizzato in qual- poreo e valoriale) con:
siasi contesto specifico. Ciò che conta, da questo punto di vi- - alcune relazioni contestuali (che intercorrono tra i suo-
sta, non è tanto la significazione che si trova “dentro” i suoni, ni percepiti e il contesto in cui essi vengono ascoltati);
ma piuttosto il potenziale per la significazione che questi pos- - alcune relazioni intertestuali (che i suoni percepiti in-
sono supportare grazie alle intersezioni specifiche con altri me- trattengono con altri testi noti al fruitore);
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 190

 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

- alcune relazioni oggettali (presenti nella forma com- nella scena che precede l’inizio della battaglia sul lago ghiac-
plessiva del brano ascoltato e/o tra alcune sue componenti ciato, si vede un movimento ascendente delle braccia dei sol-
sonore). dati mentre si ascolta la successione sonora re3-la3 che con-
Tali “relazioni percepite” invitano l’ascoltatore ad avere clude il motivo di richiamo realizzato da un’arpa, successio-
certe e non altre “relazioni estesiche” nei loro confronti; in ne che è ascendente solo metaforicamente.
alcuni casi l’ascoltatore accetta questo invito, in altri cerca di Due media come i suoni e le immagini sono invece con-
vivere relazioni estesiche alternative, alle quali non è stato trastanti quando alcune qualità amodali dell’uno, considerate
esplicitamente “invitato”. Applicando la relazione estesica da “letteralmente” o metaforicamente, risultano opposte ad al-
lui scelta a ciò che percepisce, l’ascoltatore trasforma il pro- cune qualità amodali dell’altro: è il caso di un aumento di in-
prio stato, manifestando tale trasformazione con comporta- tensità sonora in corrispondenza di una diminuzione del-
menti verbali e non verbali e con manifestazioni fisiologiche. l’intensità dei colori visti simultaneamente, o, nel caso di ap-
In questo processo, le immagini degli audiovisivi posso- procci metaforici, di un movimento ascendente visto simul-
no incidere su diversi aspetti: è innanzitutto evidente che, nel- taneamente a una melodia discendente.
la fruizione di un audiovisivo, la relazione tra i suoni musi- Infine, due media sono complementari quando le loro
cali udibili e le immagini simultaneamente visibili corri- qualità monomodali, pur essendo diverse, si integrano: nel ca-
sponde a un’ampia porzione delle relazioni contestuali che so dei suoni e delle immagini è ciò che avviene, ad esempio,
possono essere percepite ascoltando tali suoni. Su questo quando si sentono i suoni prodotti dal performer attraverso
aspetto, assai utili sono i discorsi di Cook, e in particolare la una certa trasformazione del proprio stato corporeo, e si-
sua definizione dei tre tipi di relazioni che possono inter- multaneamente lo si vede nell’atto di produrre tali suoni.
correre tra i diversi media: la conformità (conformance), il con- Ai tre tipi di relazioni tra media definiti da Cook possia-
trasto (contest) e la complementarità (complementation). In mo aggiungerne un altro: i suoni e le immagini a essi simul-
questa sede utilizzeremo queste definizioni alla luce della di- tanee possono avere qualità amodali che non sono né uguali
stinzione, sviluppata tra gli altri da Daniel Stern, tra due ca- né contrastanti, e qualità monomodali non complementari.
ratteristiche che possono essere rilevate in tutto ciò che è og- Chiameremo questa relazione “indifferenza reciproca”.
getto degli organi sensoriali: le “qualità amodali”, rinvenibi- Un altro aspetto del lavoro di Cook che offre interessan-
li in oggetti che possono essere percepiti attraverso diversi or- ti spunti di riflessione per la nostra indagine è legato alla se-
gani sensoriali; e le “qualità monomodali”, rinvenibili in og- guente affermazione: “L’allineamento di altri media con i
getti che vengono percepiti solo attraverso un unico senso suoni musicali (…) induce una particolare selezione percet-
(Stern 1985, p. 67). tiva delle loro caratteristiche disponibili” (Cook 1998a, p. 83).
Due media come i suoni e le immagini sono conformi Questo significa che, in alcuni casi, gli audiovisivi invitano il
quando hanno alcune qualità amodali in comune: ad esempio, fruitore a focalizzare la propria attenzione su certe e non al-
quando a un aumento di intensità dei suoni corrisponde un tre relazioni oggettali e/o intertestuali dei suoni uditi. Più pre-
aumento, con la stessa velocità di incremento, dell’intensità cisamente, nei casi in cui tra le immagini e i suoni musicali vi
dei colori visti simultaneamente. Come ha rilevato Cook sia almeno uno dei tre tipi di relazione indicati da Cook, ta-
(1998a, pp. 98-106), spesso tale conformità è il risultato di un li immagini invitano a considerare quelle relazioni oggettali
approccio metaforico del fruitore nei confronti di uno o di en- presenti in tali suoni che sono uguali (nel caso della relazio-
trambi i media (Johnson, Lakoff 1980): è ciò che avviene nel ne di conformità), contrastanti (in caso di contrasto) o com-
film Aleksandr Nevskij (diretto da Sergej Ejzenštejn) quando, plementari (in caso di complementarità) a quelle in esse pre-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 192

 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

senti. Quando invece si accostano ai suoni immagini comu- un contesto (quale può essere una sala da concerto) e/o un
nemente associate dal loro fruitore a brani diversi da quello evento (ad esempio, i festeggiamenti del primo maggio in
udito (come avviene, ad esempio, nell’episodio “Elephant Lo- piazza San Giovanni a Roma) che possono essere conside-
ve Medley” del film Moulin Rouge!, analizzato in Pasticci rati dal fruitore come un toto la cui pars è rappresentata dai
2008), lo si invita a considerare le relazioni intertestuali con suoni percepiti in relazione metonimica. Le stesse immagi-
tali brani dei suoni ascoltati. ni invitano invece a compiere un riconoscimento di impronte
sonore quando mostrano il corpo di soggetti che possono es-
Relazioni estesiche e inviti visivi sere considerati dal fruitore come possibili produttori dei
Oltre che a percepire certe relazioni oggettali e/o inter- suoni uditi.
testuali, le immagini di un audiovisivo possono invitare il Quando il fruitore accoglie tali inviti, si possono verificare
fruitore ad assumere un certo atteggiamento estesico nei con- due situazioni: se le caratteristiche (del contesto, dell’even-
fronti dei suoni ascoltati. La tabella 1 propone un elenco del- to e dei performers) inferite attraverso l’ascolto risultano coin-
le diverse relazioni estesiche che possono essere adottate nel cidenti e/o compatibili con il contesto, l’evento e i performers
corso di un ascolto: oltre a presentarne delle brevi definizio- mostrati dalle immagini, si ha un effetto di “realismo” (Ne-
ni, la tabella indica i diversi tipi di immagini che possono fun- gus 2006, pp. 319-323) che fa ricondurre l’audiovisivo frui-
zionare come invito ad assumere un certo atteggiamento to al genere del “documentario” (sia esso, ad esempio, la
estesico piuttosto che un altro, e propone qualche esempio trasmissione televisiva del Concerto di Capodanno o quella
di testi in cui compaiono le varie tipologie di “inviti visivi”. del Live 8). In questo caso, il fruitore è invitato a ritenere che
le attività e i soggetti che gli vengono mostrati dai suoni e dal-
Suoni musicali, contesti e corpi dei performers le immagini presenti nel contenitore multimediale coincida-
Durante l’ascolto musicale, una delle relazioni estesiche no con quelli che si trovano in un altro “contenitore” che cor-
più ricorrenti è quella che tende a riconoscere nei suoni risponde al “mondo reale” (anche se quest’ultima opinione
uditi degli indizi e delle impronte (Eco 1975, pp. 285-294): può a volte risultare errata). In particolare, questa dimensione
questo tipo di operazione si compie ogni volta che i suoni del “documentario” viene percorsa soprattutto dagli audio-
musicali vengono sentiti come “documenti” dai quali è pos- visivi prodotti con esplicite finalità divulgative e didattiche.
sibile trarre informazioni sul contesto e/o sull’evento, con i Nel caso in cui invece le caratteristiche del contesto, del-
quali hanno una relazione metonimica di pars pro toto. Per l’evento e dei performers dei suoni inferite attraverso l’ascol-
“impronta” bisogna intendere non solo ciò che un soggetto to non sono coincidenti e/o compatibili con il contesto, l’e-
imprime su un oggetto, ma più in generale tutti quegli aspet- vento e i performers musicali mostrati dalle immagini, si ha
ti determinati dalle caratteristiche fisiche e/o psichiche del un effetto di “irreale” che fa ricondurre l’audiovisivo (sia es-
produttore, che il fruitore può individuare e riconoscere a so Fantasia o The Muppet Show) al genere della “finzione”
prescindere dall’effettiva intenzione del produttore di con- (Negus 2006, p. 328). Lo spettatore viene invitato a ritenere
ferirgli un qualsivoglia significato: ad esempio, la grana del- che, tra tutte le attività e i soggetti presenti nel contenitore
la voce e il sound strumentale di un noto performer sono multimediale, solo ciò che viene suggerito dagli indizi sono-
spesso sentite come sue “impronte” dai suoi fan (Marconi, ri corrisponde al “mondo reale” (anche se questa opinione
Spaziante 2007). può a volte risultare errata), mentre le immagini accostate a
Le immagini di un audiovisivo musicale invitano a com- quei suoni rappresentano un esplicito invito a immaginare un
piere un riconoscimento di indizi sonori quando mostrano mondo virtuale.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 194

 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

Va inoltre tenuto presente che quando un programma mu- Tipo di rela- Definizione Tipo di Esempio
sicale televisivo o un audiovisivo inizia a mostrare una perfor- zione estesica invito visivo audiovisivo
mance musicale, l’immagine invita lo spettatore a credere di piti delle infor- re informazioni visivo Prima del-
trovarsi nella posizione in cui potrebbe vederla se si trovas- mazioni che in- complementari la prima e del
se davvero in quel determinato punto del contesto rappre- crementino la rispetto a quelle film Beastie Boys
sentato: quanto più è grande l’immagine dell’esecutore in- propria compe- ricavabili dai Starring in
quadrato, tanto più lo spettatore penserà di trovarsi in un tenza suoni percepiti Awesome, I Shot
punto a lui vicino. That!
Se non intervengono cambi di inquadratura, montaggi o sincronizza- l’ascoltatore sin- immagini sin- videoclip di All
altri interventi dell’enunciatore visivo (il regista), l’esperien- zione senso- cronizza (e/o cronizzate con night long (di
za risultante, nella sua dimensione visiva, sarà simile a quel- motoria immagina di sin- la pulsazione Lionel Ritchie) e
la vissuta da uno spettatore che nel corso dell’esecuzione cronizzare) i (che traducono Born Slippy (di
non si sposti dalla sua posizione e non faccia uso di “prote- propri movi- visualmente i Underworld),
si” (Eco 1985, p. 16), così come avviene di solito nei concerti menti con una suoi battiti) e/o analizzati da Spa-
di musica classica. Quando invece subentrano interventi del- pulsazione iso- che mostrano ziante (2008); la
crona da lui in- movimenti sin- Radetzkymarsch
l’enunciatore visivo sulle immagini, l’esperienza del fruitore dividuata nei cronizzati con i di Strauss nelle
si allontana da quella tipica di un concerto di musica classi- suoni percepiti suoni trasmissioni tele-
ca (Negus 2006, p. 320): se, infatti, la macchina da presa visive del Concer-
“imita” uno spettatore che compie movimenti rilevanti o che to di Capodanno
cambia posizione rispetto al palco, il fruitore si troverà a vi-
vere un’esperienza “audiovisiva” (Chion 1994) in grado di sintonizzazio- l’ascoltatore immagini di una episodi del vi-
ne melodica canta (e/o im- o più persone deoclip di Hands
esplorare dimensioni inedite e alternative rispetto a quelle del
magina di canta- che cantano la clean di Moris-
concerto tradizionale. re) una linea linea melodica sette dove la si
melodica da lui con la quale si è vede cantare nei
Tabella 1 individuata nei invitati a sinto- panni di se stessa
Tipo di rela- Definizione Tipo di Esempio suoni percepiti nizzarsi (posso- e in quelli di una
zione estesica invito visivo audiovisivo no essere sia sua fan; qualsiasi
esecutori del episodio cantato
relazione ana- l’ascoltatore si li- immagini episodio “Gould pezzo che altre di un film-opera
lista/contem- mita a cercare di astratte confor- meets McLaren persone)
platore-analiz- capire quali rela- mi, contrastanti (animation by
zato/contem- zioni formali di o complemen- Norman Mc La- immedesima- l’ascoltatore cer- immagini che episodio del film
plato successione e di tari rispetto ai ren)” in 32 Little zione col pro- ca di vivere le mostrano una Amadeus dove si
simultaneità so- suoni percepiti Films about duttore del- esperienze (e di persona nell’at- presenta Mozart
no presenti nei Glenn Gould l’oggetto “pensare” le “lo- to di scrivere che compone il
suoni percepiti giche” corri- una partitura suo Requiem;
spondenti) che e/o di elaborare episodi del vi-
relazione l’ascoltatore cer- immagini in sequenze più questi inferisce delle idee com- deoclip di Hands
informativa ca di ricavare grado di far ac- informative del siano state vissu- positive; imma- clean di Moris-
dai suoni perce- quisire al fruito- programma tele- te dal produtto- gini che mostra- sette dove la si
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 196

 LUCA MARCONI OFFERTE INAUDITE: INVITI ALL’ASCOLTO DELLA (TELE)VISIONE 

Tipo di rela- Definizione Tipo di Esempio Tipo di rela- Definizione Tipo di Esempio
zione estesica invito visivo audiovisivo zione estesica invito visivo audiovisivo
re empirico (il no in azione ese- vede comporre proiezioni l’ascoltatore immagini che episodio “L’uc-
compositore e/o cutori del tipo di la canzone e poi metaforiche proietta metafori- esemplificano cello di fuoco”
l’esecutore) dei quelli inferibili eseguirla sull’oggetto camente sui suoni delle metafore in Allegro non
suoni percepiti ascoltando i suo- percepiti delle suggerite dai troppo
ni uditi e/o per- esperienze extra- suoni uditi
sone che imita- musicali analoghe
no tali esecutori (ad esempio, sente
come “focoso” l’i-
riconosci- l’ascoltatore trova immagini asso- episodio nizio della “Danza
mento di re- nel brano perce- ciate ad altri “Elephant Love infernale del Re
pliche sonore pito unità già brani precedenti Medley” del film Katscei” dell’Uc-
nell’oggetto comparse in altri nei quali è com- Moulin Rouge! cello di fuoco di
brani precedenti parsa la stessa (analizzato in Stravinskij)
unità musicale Pasticci 2008)
narrativizza- l’ascoltatore sente immagini con episodio “L’ap-
riconoscimen- l’ascoltatore sente immagini che episodio “Danza zione dell’og- che i suoni uditi una struttura prendista strego-
to di ostensio- alcune caratteristi- esemplificano il slava” in Allegro getto implicano una narrativa con- ne” in Fantasia; vi-
ni sonore nel- che del brano udi- tipo osteso dai non troppo (regia tensione tra l’a- frontabile con deoclip di Mi fido
l’oggetto to come esemplifi- suoni uditi di B. Bozzetto) zione di un sog- quella rinvenibi- di te di Jovanotti,
cazioni del tipo al getto e un’azione le narrativizzan- analizzato da
quale appartengo- ad essa opposta do i suoni uditi Marconi (2008b)
no (ad esempio,
sente la Danza Sla- antropomor- l’ascoltatore immagini che episodio “Prélu-
va n. 7 di Dvořák fizzazione proietta sui suoni esemplificano de à l’après-midi
come ostensione dell’oggetto uditi vicende di delle antropo- d’un faune” in
di una successione soggetti umani morfizzazioni Allegro non trop-
di ripetizioni con realizzabili nei po
amplificazione di confronti dei
ciò che viene ripe- suoni uditi
tuto)
condivisione l’ascoltatore vive immagini di episodio “Valzer
relazione si- l’ascoltatore rea- immagini che video di Treize partecipatoria le emozioni che espressioni triste” in Allegro
nestesizzante- lizza delle sineste- esemplificano couleurs du soleil emotiva inferisce senten- emotive confor- non troppo; vi-
sinestesizzato sie nei confronti una sinestesia couchant di Tri- do alcuni aspetti mi, contrastanti deoclip di One
di alcuni aspetti suggerita dai stan Murail, rea- dell’oggetto per- o complementa- degli U2
dei suoni perce- suoni uditi lizzato da Hervé cepito come ri a quelle infe-
piti Bailly-Basin, e di espressioni di tali ribili sentendo i
Second Bad Vibel emozioni e/o co- suoni percepiti
di Autechre, rea- me imitazioni di come espressio-
lizzato da Chris tali espressioni ni emotive e/o
Cunningham loro imitazioni
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 198

 LUCA MARCONI

Tipo di rela- Definizione Tipo di Esempio Come la TV ci fa vedere la musica


zione estesica invito visivo audiovisivo Susanna Franchi
accordatura l’ascoltatore vive immagini di episodio “Valzer
affettiva delle emozioni espressioni triste” in Allegro
complementari a emotive confor- non troppo; vi-
(che si ‘accorda- mi, contrastanti deoclip di One
no con’) quelle o complementa- degli U2
che egli inferisce ri a quelle infe-
sentendo alcuni ribili sentendo i
aspetti dell’ogget- suoni percepiti
to percepito co- come espressio-
me espressioni di ni emotive e/o
tali emozioni e/o loro imitazioni
come imitazioni Il volto di Herbert von Karajan mentre dirige la “morte
di tali espressioni
di Isotta” in un concerto a Salisburgo, Carlos Kleiber che pro-
va Il pipistrello di Strauss e dialoga con gli orchestrali: due im-
magini che, se non ci fosse stata una telecamera a riprender-
le, resterebbero solo nella memoria degli orchestrali presen-
ti a quel concerto e a quella prova. Prima che una telecame-
ra inquadrasse il volto di un direttore d’orchestra che dirige,
vedere quelle espressioni era un privilegio riservato a chi
suonava in orchestra; gli ascoltatori potevano vederlo solo al-
l’inizio e alla fine del concerto, durante gli applausi, mentre
nel corso dell’esecuzione potevano al massimo sbirciarne il
profilo da un palco laterale. Se il premio Nobel Elias Canet-
ti avesse visto Karajan in TV, avrebbe forse modificato il suo
giudizio sul direttore d’orchestra: “se durante l’esecuzione di
un pezzo egli si voltasse, anche una volta sola, l’incantesimo
sarebbe spezzato” (Canetti 1960, p. 480). Basterebbe questo
esempio per spiegare quanto la televisione abbia modificato
il nostro rapporto con la musica classica.

Documentare

Milioni di persone non hanno mai messo piede in una sa-


la da concerto, non distinguono Beethoven da Wagner, ma
il primo di gennaio non si perdono mai la diretta del Con-
certo di Capodanno dal Musikverein di Vienna, per farsi au-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 200

 SUSANNA FRANCHI COME LA TV CI FA VEDERE LA MUSICA 

gurare buon anno dai Wiener Philharmoniker e dalla Mar- re il volto del soprano che sta cantando, magari con l’ausilio
cia di Radetzky. La musica classica trasmessa in televisione di un binocolo; oppure si può decidere di concentrare l’at-
non viene recepita allo stesso modo da tutti gli spettatori: c’è tenzione sulla controscena del tenore che sta ascoltando il so-
una netta differenza tra chi quella musica la ama e la cono- prano. In televisione no, si è costretti a vedere quello che il
sce, e chi invece non la conosce e non l’apprezza. Un tele- regista ha scelto per noi: se le telecamere inquadrano Isotta
giornale che si collega con la Scala per la prima di Sant’Am- che canta, non possiamo vedere il volto di Tristano che la
brogio – il 7 dicembre di ogni anno, data in cui tradizional- guarda, sorridendo.
mente il teatro milanese inaugura la sua stagione operistica Lo stesso si verifica nella ripresa televisiva di un concer-
– fa entrare nelle case di tutti gli italiani la mondanità di to: anche se la telecamera ci rivela dettagli che non potrem-
quella serata e un frammento di musica del Tristan und Isol- mo vedere in un’esecuzione dal vivo, come il volto del di-
de diretto da Daniel Barenboim; il pubblico generalista guar- rettore, la visione dello spettatore è pesantemente condizio-
da curioso e stupito quel mondo misterioso e passa al servi- nata dalle scelte del regista, che ci costringerà a seguire l’at-
zio successivo, mentre il pubblico degli appassionati si sin- tacco del flauto, mentre magari noi vorremmo vedere tutta
tonizza sul canale satellitare Classica (in onda sulla piat- la fila dei violini che esegue un pizzicato, oppure ci proporrà
taforma Sky) che trasmette l’opera in diretta, e la segue co- un’inquadratura dell’intera orchestra, nel momento in cui noi
me se fosse a teatro, ma con qualche vantaggio in più. preferiremmo invece concentrarci sulle mani dell’arpista.
Ecco il primo punto a favore della televisione: la diretta, Nelle dirette di Formula Uno è possibile scegliere l’auto
e cioè la possibilità di trasmettere un’opera o un concerto li- da inquadrare durante la corsa; allo stesso modo, esistono
ve e di dare al pubblico la sensazione di “essere” in teatro. DVD di concerti che ci consentono di selezionare diverse op-
Non c’è bisogno di sottolineare che seguire un’opera o un zioni di regia e dunque, in qualche modo, di scegliere la re-
concerto in teatro, dal vivo, è tutta un’altra cosa: tuttavia la gia che vogliamo. Nel caso dei concerti trasmessi in diretta
diretta televisiva consente allo spettatore di stare comoda- dalla TV, invece, non possiamo fare altro che adeguarci alle
mente a casa propria, senza spendere i soldi del biglietto, del scelte del regista.
viaggio, dell’albergo. In più, rispetto all’immagine “lonta- Discorso a parte meriterebbe la qualità dell’ascolto audio,
na” da teatro, grazie a una sapiente regia possiamo vedere in che un tempo lasciava molto a desiderare, e che oggi invece
TV il primo piano del tenore che agonizza, il volto sudato del ha raggiunto livelli molto buoni, anche grazie alla diffusione
direttore, l’assolo del corno inglese; e nell’intervallo le inter- di apparecchi televisivi sempre più sofisticati. Da alcuni an-
viste agli interpreti, il cambio delle scene sul palcoscenico, gli ni, inoltre, si può assistere alla trasmissione di opere in diretta
ospiti che sfilano nel foyer. Negli anni Sessanta l’opera veni- anche in alcune sale cinematografiche: grazie a un collega-
va spesso registrata in studio, con costi di produzione altis- mento satellitare, dal cinema della propria città si può seguire
simi; successivamente, l’avvento delle dirette ha praticamente in diretta un’opera dal Teatro Regio di Parma, dalla Scala di
eliminato la registrazione in studio: perché ricostruire un Milano, dal Teatro Comunale di Bologna; questa iniziativa
teatro in uno studio, quando si può andare a riprendere l’o- raggiunge un pubblico vastissimo, che un teatro potrebbe
pera direttamente in teatro? ospitare solo dopo migliaia di repliche.
Non c’è dubbio che, quando si vede un’opera in TV, lo Il 7 dicembre 1976, alle ore 21, la RAI trasmetteva il trion-
sguardo dello spettatore diviene inevitabilmente lo sguardo fale Otello di Verdi che inaugurava la stagione della Scala, con
che il regista televisivo vuole imporgli. A teatro si può sce- la direzione di Carlos Kleiber, la regia di Franco Zeffirelli, le
gliere: si può guardare tutta la scena a occhio nudo, o fissa- voci di Placido Domingo, Mirella Freni e Piero Cappuccilli.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 202

 SUSANNA FRANCHI COME LA TV CI FA VEDERE LA MUSICA 

All’epoca l’audience non dettava ancora legge; ma quando gramma di sala. Una telecamera può aiutarci a comprende-
ventuno anni dopo, nel 1997, sempre dalla Scala andava in re la genesi di un’interpretazione, può farci capire le scelte
onda in prima serata il Macbeth di Verdi diretto da Riccardo di tempi e di colori di un direttore o di un solista. Rarissimi
Muti, con la regia di Graham Vick (facendo addirittura spo- filmati di Richard Strauss che dirige il suo Cavaliere della ro-
stare il Telegiornale!), i pubblicitari tremarono di fronte ai ri- sa, o di Toscanini che dirige l’Aida di Verdi, diventano una
sultati dell’audience, che furono di gran lunga inferiori a vera lezione di storia della musica. Così come le prove di un’o-
quelli di un qualsiasi, banalissimo telefilm serale. Oggi sono pera, dov’è possibile vedere come si costruisce veramente uno
soprattutto i canali satellitari specializzati a trasmettere ope- spettacolo, dalla lettura in sala prove con il regista alle pri-
re e concerti ripresi da tutto il mondo: prima che approdas- me prove di scena, dal direttore che istruisce il soprano al pia-
se alla Scala nel giugno 2007, il Candide di Bernstein con la noforte alla prova generale. Trasmissioni come Prima della pri-
regia di Robert Carsen, che divertiva i francesi e scandaliz- ma, in onda su Raitre, danno voce ai cantanti, ai registi, ai di-
zava gli italiani (con Berlusconi e Chirac in mutande dei co- rettori e ci svelano, documentandolo, tutto il lavoro prepa-
lori delle rispettive bandiere), era già stato visto da milioni di ratorio che conduce alla nascita di uno spettacolo. Dopo
telespettatori nel dicembre del 2006, in diretta dal Théâtre aver visto uno di questi programmi, andare a sentire quel-
du Châtelet di Parigi, grazie al canale satellitare franco-te- l’opera o quel concerto sarà un’esperienza completamente di-
desco Arte. versa, grazie a tutto ciò che la visione delle prove ci ha po-
tuto svelare.

Svelare
Insegnare
Cavaradossi in jeans, Carmen con il telefonino, Rigoletto
in giacca e cravatta: non sono i personaggi di un regista che Non è questione di ideare una sorta di “Non è mai trop-
ha deciso di attualizzare l’opera, ma semplicemente i cantanti po tardi” in versione musicale: non si chiede alla televisione
che provano, in teatro o in sala, nella loro quotidianità di la- di insegnare a solfeggiare o a leggere una partitura. Tuttavia,
voro, nelle prove che precedono la prima. Il backstage, il die- un programma televisivo può rivelare al pubblico certi mec-
tro le quinte, il macchinista che manovra un cambio scena, canismi di funzionamento della comunicazione musicale,
il regista che si precipita sul palco per correggere il gesto di può far conoscere i diversi generi, evidenziare i legami tra la
una corista, ce li può raccontare solo la televisione: perché è musica e altri aspetti della cultura, dell’arte, della storia, o an-
difficile poter presenziare alle prove se non sei un addetto ai che semplicemente limitarsi a spiegare cos’è un’orchestra. Dal
lavori, o una scolaresca in visita a teatro grazie a uno dei tan- 1958 al 1973, un grande divulgatore come il direttore d’or-
ti progetti di educazione alla musica. Solo grazie a una tele- chestra e compositore Leonard Bernstein ha realizzato il ci-
camera possiamo vedere Carlos Kleiber che prova Il Pipi- clo televisivo Young People’s Concerts: ogni puntata affron-
strello nella sua interpretazione del 1970, con la Südfunk- tava un tema specifico, sintetizzato dal titolo della trasmis-
Symphonieorchester; grazie a essa possiamo scoprire cosa di- sione – come What is Classical Music?, What is Orchestration?
ce al primo violino o al flauto, e imparare qualcosa sulla sua o What is a Melody?. Alla guida della New York Philhar-
interpretazione, su ciò che il direttore pensa di quel pezzo e monic, Bernstein intercalava l’esecuzione musicale con com-
di quel compositore: tutte cose che non potremmo sapere, se menti e spiegazioni dettagliate, soffermandosi sulle diverse se-
non leggendo una sua intervista o un suo scritto nel pro- zioni di un pezzo e sulle funzioni dei vari strumenti. Il pro-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 204

 SUSANNA FRANCHI COME LA TV CI FA VEDERE LA MUSICA 

gramma, in onda sulla rete televisiva americana CBS, vinse nu- riguarda un cartone animato che fa entrare, in maniera di-
merosi Emmy Awards (il più importante riconoscimento as- vertente e leggera, la musica classica nel mondo dei bambini.
segnato alla produzione televisiva, equivalente agli Oscar ci- La serie, prodotta dalla Disney, si intitola Little Einsteins,
nematografici). Con la sua grande carica comunicativa Lenny, e in Italia va in onda su Rai Due e su Disney Channel. I pro-
dal podio della sua grande orchestra, spiegava, chiedeva agli tagonisti sono quattro bambini, Leo, June, Quincy e Annie,
orchestrali di eseguire un passaggio, raccontava e analizzava, e una sorta di navicella volante “tuttofare” che si chiama
svelando al suo pubblico (vastissimo, ben al di là degli young Rocket. Ogni bambino ha una particolare attitudine musicale:
people menzionati nel titolo della trasmissione) i segreti più una canta, uno dirige con una piccola bacchetta, una danza,
reconditi della classical music. Per la Rai fu il compositore Lu- e un altro suona diversi strumenti. Il ritmo e la musica sono
ciano Berio, con una trasmissione del 1972 dal titolo C’è mu- fondamentali per guidare i movimenti di Rocket: per farla de-
sica & musica, a lanciare un sasso nello stagno televisivo, rac- collare bisogna battere le mani sempre più velocemente, e i
contando con precisione e ironia un mondo assai lontano da- bambini “animati” chiedono l’aiuto dei bambini a casa, che
gli orizzonti del grande pubblico, quello della musica con- devono battere le mani a tempo. In ogni episodio Leo, June,
temporanea: con interviste ai suoi principali protagonisti, Quincy e Annie hanno una missione da compiere: riportare
compositori e interpreti, riprese di concerti e prove, incur- un cucciolo di canguro dalla sua mamma o liberare un cava-
sioni negli studi di registrazione. Anche Sir Simon Rattle, pri- liere prigioniero di un malvagio. L’articolazione dell’intrec-
ma di diventare il direttore principale dei Berliner Philhar- cio rispecchia i canoni della Morfologia della fiaba codificati
moniker, ha realizzato nel 1997 una trasmissione televisiva in da Propp (1928): all’inizio della storia c’è qualcuno che si tro-
sette puntate dal titolo Leaving home, con la City of Birmin- va in difficoltà, e per aiutarlo entrano in gioco i quattro bam-
gham Symphony Orchestra e la regia di Barrie Levine. Al pia- bini che, dopo aver superato una serie di prove, lo trarran-
noforte o sul podio, Rattle raccontava la musica del Nove- no in salvo. La novità è che questi cartoni, rivolti a un pub-
cento, a partire dal Tristan und Isolde wagneriano, mettendo blico prescolare, nello svolgimento del racconto chiamano in
in relazione la musica con l’arte, la storia, la politica: si può causa brani musicali famosi e opere d’arte, facendo scoprire
parlare di Mahler e non far vedere un quadro di Klimt? Si a un bambino chi è Mozart o chi è van Gogh. Non c’è nien-
può ascoltare Šostakovič senza accennare al problema della te di didattico o di pedante, nessuna lezioncina: musica e ar-
censura politica in Unione Sovietica? In ogni puntata, di ca- te fanno parte della quotidianità di Leo e dei suoi amici, co-
rattere tematico, Rattle conduceva quella che dovrebbe es- sì come dovrebbero entrare a far parte della vita di ogni
sere la battaglia principale di chiunque voglia cimentarsi nel- bambino. In ogni episodio, il personaggio da salvare è iden-
la divulgazione musicale: dimostrare che la musica è un’arte tificato da un tema musicale: il canguretto che non trova più
che fa parte della nostra vita, e non un mondo separato. Per- la sua mamma, ad esempio, è associato al tema dell’Habanera
ché in fondo, continuare a tenerla fuori dalla televisione non dalla Carmen di Bizet intonato dagli archi. I bambini lo per-
è altro che un modo per ghettizzarla. dono di vista, e sono incerti su quale delle tre strade del bo-
sco devono percorrere per raggiungerlo; per capire qual è la
direzione giusta, devono ascoltare il motivo musicale che
Divertire proviene da ciascuna delle strade. Dalla prima si sentono le
trombe che intonano Toreador, un altro celebre tema musi-
L’ultimo capitolo di questa nostra breve, e necessaria- cale dell’opera; i protagonisti si girano verso lo schermo e
mente incompleta, ricognizione del rapporto tra musica e TV chiedono: “È questa la musica del canguro?”; lasciano una
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 206

 SUSANNA FRANCHI

piccola pausa affinché il piccolo pubblico da casa possa ri-


spondere, e poi lo rassicurano: “No, non è questa”. Dalla se-
conda strada proviene il tema dell’Habanera, affidato però
al flauto: stessa domanda, stessa risposta. Solo alla terza stra-
da, quando il tema viene declinato correttamente dagli archi,
la risposta è affermativa, e dunque i personaggi potranno per-
correrla per procedere nella loro opera di salvataggio. Il te-
ma musicale scelto per ogni episodio viene suonato più vol-
te, per consentire ai bambini di memorizzarlo; spesso com-
paiono anche immagini di strumenti (un violino, una trom-
ba, gruppi di percussioni), affinché i bambini possano fami-
liarizzare con questi oggetti. I quattro protagonisti usano an-
che termini musicali come “crescendo” o “diminuendo”:
per far decollare Rocket ci vuole un crescendo – “batti, bat- Parte quinta
ti, batti” – e per farlo planare un diminuendo; in tal modo, Musicisti che parlano di musica
anche questi termini tecnici diventano parte del loro lin-
guaggio comune.
Lo sfondo delle avventure è sempre un quadro famoso: i
bambini “animati” volano tra i fasci di stelle di van Gogh, ma
c’è anche molta attenzione per la geografia, con immagini di
monumenti o luoghi famosi, dalla Tour Eiffel al Taj Mahal. Al-
la fine, quando la missione è giunta a termine, tutti i perso-
naggi salgono su un piccolo palcoscenico per ringraziare il
pubblico; dal soffitto calano dei pentagrammi che si illumi-
nano a tempo e Leo dice: “Grazie all’Habanera, dalla Carmen
di Georges Bizet”, mentre sullo schermo appare un ritratto
di Bizet. Lo stesso trattamento viene riservato al quadro: “ec-
co Notte stellata di van Gogh, e grazie al signor van Gogh!”.
Attraverso un semplice e divertente episodio di pochi minu-
ti, si può dunque far ascoltare della bella musica, inoculare un
piccolo seme di scoperta e di conoscenza e, in definitiva, in-
segnare divertendo. Se è vero che “esiste” solo ciò che appa-
re in televisione, il fatto che Bizet o Mozart siano presenti in
un piccolo cartone animato può diventare un “grimaldello”
utile a far sì che la televisione (quel mezzo così vituperato per-
ché non fa cultura o trasmette le opere solo a notte fonda) pos-
sa liberare la musica classica – o “musica d’arte”, come pre-
ferisce chiamarla Pollini – da vetuste e polverose etichette.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 208

Quando i compositori parlano di musica


Nicola Campogrande

I compositori compongono

Sono un compositore. Per nove mesi all’anno ogni gior-


no esco di casa, vado nel mio studio, accendo il computer e
mi metto a scrivere musica. Lo faccio per tutta la giornata,
fermandomi ogni tanto per rispondere al telefono o per da-
re un’occhiata alla posta elettronica. La sera, spento il com-
puter, chiudo la porta e torno a casa. Di solito contento.
Per tre mesi l’anno smetto di comporre e mi dedico al me-
stiere di conduttore radiofonico per il programma Radio3 Sui-
te. È un lavoro che occupa le mie sere e una parte dei po-
meriggi; di mattina, in teoria, potrei scrivere musica, ma la ra-
dio è un lavoro impegnativo, inspiegabilmente faticoso, e
negli anni ho ormai imparato che quando sono al microfono
devo smettere di comporre.
A questi due mestieri, nel corso dell’anno se ne aggiun-
gono altri che posso gestire con una certa libertà, e sovrap-
porre alle mie attività principali. Sono direttore della rivista
«Sistema Musica», un mensile stampato a Torino e dedicato
alle attività musicali che si svolgono nella città; scrivo testi per
programmi di sala; sono direttore artistico dell’Orchestra
Filarmonica di Torino; tengo qualche conferenza. Non inse-
gno in conservatorio, non ho allievi privati.
Racconto tutto questo per spiegare cosa significhi, per me,
essere un “musicista che parla di musica”, e quanto que-
st’attività faccia realmente parte della mia vita. Una precisa-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 210

 NICOLA CAMPOGRANDE QUANDO I COMPOSITORI PARLANO DI MUSICA 

zione necessaria proprio per la natura stessa del mestiere di Il compositore che parla di musica riesce, con un solo ge-
compositore: che è un musicista, in fin dei conti, “invisibi- sto, a raggiungere due obiettivi: spezzando l’incantesimo del-
le”. Se non decide di suonare o dirigere i suoi pezzi, e se non la propria invisibilità, sale su un palcoscenico (il mio preferi-
gli chiedono di presentare e spiegare al pubblico i suoi lavo- to è quello radiofonico, ma sono splendidi palcoscenici anche
ri, il compositore se ne sta nel proprio studio, solo soletto. La- le pagine dei giornali o i tavoli da conferenza); e poi, su quel
vora dietro le quinte, e uno dei motivi di fascino della sua pro- palcoscenico, mette in scena il proprio mestiere e, pur se in
fessione sta proprio in quel suo comunicare idee ed emozio- modo traslato, non fa altro che continuare a “comporre”.
ni attraverso fogli pentagrammati, piuttosto che con il suo
corpo, la sua voce, le sue facce. Quella del compositore è una
sorta di presunzione schiva: vuol dire la propria, nonostan- Terzo grado
te la vastità del repertorio già esistente, ma lo fa senza salire
sul palcoscenico, senza esporsi. Sembra avere la certezza (o Chiunque svolga un mestiere creativo sa che il gioco non
quanto meno la speranza) che le settimane, i mesi e gli anni consiste tanto nel dare risposte, quanto piuttosto nel formu-
dedicati a scrivere una partitura gli diano la possibilità di co- lare domande. E il compositore, normalmente, è un musici-
municare qualcosa ai suoi interpreti e al suo pubblico. E sta che s’interroga. Moltissimo.
può considerare finito il suo compito. A dare una veste so- Prima di scrivere una frase, un ritmo, un contrappunto,
nora e un senso alla sua musica penseranno poi esecutori, il compositore consapevole dell’eredità della storia non può
giornalisti, critici, scrittori e registi. evitare di chiedersi che cosa ci sia dietro quel pugno di no-
Eppure il compositore, il musicista “invisibile”, è spesso te, quale tradizione vi risuoni, come avrebbero gestito quel
considerato la persona più adatta a relazionarsi con gli aspet- passaggio Monteverdi o Stravinskij.
ti più complessi del mondo musicale: tradizionalmente, ai Il suo stile può essere estremamente personale, rifiutare
compositori viene affidata la direzione dei conservatori e, so- ogni contatto col passato, sgorgare inaudito dalla sua mente
prattutto in passato, la direzione artistica di teatri e orchestre; geniale: ma, in ogni caso, egli non potrà fare a meno di do-
spesso i compositori sono invitati a tenere conferenze, a scri- mandarsi che effetto farà il suo nuovo pezzo sugli interpreti,
vere articoli di critica musicale, o a condurre trasmissioni de- che cosa ne penserà il pubblico, o magari che ne diranno i po-
dicate alla musica. Perché? steri. Certo esistono anche compositori solitari e ostinati, che
Una prima risposta è abbastanza ovvia: i compositori han- non si preoccupano minimamente di esecutori e ascoltatori (ce
no una visione più ampia delle questioni musicali, proprio ne sono stati, e ce ne sono ancora); ma, se conservano un bri-
perché non passano la vita a concentrarsi su un violino, un ciolo di coscienza, non potranno evitare di interrogarsi sul sen-
fagotto, un movimento della bacchetta. E dunque, in linea di so del loro lavoro, magari semplicemente chiedendosi: “Mi
principio, dovrebbero essere abituati a spingere lo sguardo piace? È veramente quello che volevo scrivere?”.
un po’ più in là di quanto non facciano normalmente gli ese- La mia pratica quotidiana è dunque fatta di domande,
cutori. La seconda risposta, dettata dalla mia esperienza, è che continue domande.
i compositori compongono. Sempre. Non solo quando scri- La mattina riguardo i fogli scritti il giorno prima e, per ca-
vono musica, ma anche quando mettono a punto il cartello- pire se c’è qualcosa di buono, li sottopongo a un interroga-
ne di una stagione concertistica o il palinsesto di un pro- torio. Torturo il pentagramma fino a quando non giunge a
gramma radiofonico. Il loro è un modo di fare “musicale” e, confessarmi se e come potrà svilupparsi il discorso. Ogni
secondo l’opinione di molti, un vantaggio collettivo. giorno rileggo, studio, confronto, cerco un senso, mi pongo
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 212

 NICOLA CAMPOGRANDE QUANDO I COMPOSITORI PARLANO DI MUSICA 

domande, a volte intelligenti, altre volte sciocche: alla fine tazioni e riprese, di fronte alla quale è assai difficile rimane-
giungo al risultato, la mia musica. re impassibili. È una sorta di stregoneria, la sua: una volta
Così, quando devo raccontare la musica degli altri, applico ascoltato l’inizio non è più possibile distogliere le orecchie,
istintivamente un procedimento molto simile, e brutalizzo le viene voglia di scoprire il seguito ipnotizzati da nuovi temi,
partiture dei colleghi (normalmente defunti) con domande nuovi ritmi, nuovi intrecci senza i quali, a distrarsi un attimo,
sempre più indiscrete, fino a chiedere tout court: perché esi- ci si ritrova in crisi di astinenza.
sti? Che cos’hai di così speciale da chiedermi di ascoltarti? Se dovessi raccontare agli ascoltatori quello che ho trovato
Perché sei fatta così, perché hai quei suoni, quella forma, quel scritto nella bottiglia del Concerto per violino in re di Stravin-
modo di incrociare le voci? skij, direi che fin dalle prime note si percepisce qualcosa di stra-
A volte le risposte sono deludenti; altre volte no: il brano no. Nulla di spiacevole, anzi, però ci si accorge che il Maestro
risponde. Si lascia ascoltare, più e più volte, fino a confessa- si è inventato qualcosa di diverso maneggiando la struttura ar-
re la sua verità, il perché della sua esistenza, il senso della sua monica. Spiegherei che Stravinskij non usa l’armonia tonale,
“rilettura” a ogni esecuzione, a ogni ascolto; fino a permet- quella classica dei Monteverdi e dei Beethoven, e neppure l’ar-
tere a un narratore di spiegare al suo pubblico che vale la pe- monia timbrica, quella dei Debussy: il suo è un uso dell’armo-
na di ascoltare quella pagina, perché al suo interno essa con- nia che potrebbe chiamarsi polare. Dato un suono, lascia che
tiene la sua specifica ragion d’essere. intorno a quel suono, per lunghi tratti, accadano e ruotino tan-
Un pezzo come la Terza Sinfonia di Beethoven contiene te cose diverse. Poi sceglie un altro suono, e intorno a questa
probabilmente molti messaggi in bottiglia, non uno soltanto. nuova polarità costruisce un altro segmento di partitura. Non
Se la interrogo per carpire il suo segreto più intimo, il senso vi è anarchia, sono semplicemente cambiate le regole.
della sua esistenza, taglio, sfrondo, trascuro, dimentico; quin- Ora, questa tendenza a raccontare la musica focalizzan-
di provo a raccontarla concentrando l’attenzione sulla sua do l’attenzione su una sola informazione determinante, può
natura cinematografica, sul montaggio nuovo e sbalorditivo rendere ragione della complessità di un pezzo? Non ci tro-
del primo movimento, sul secondo sviluppo che sembra qua- viamo di fronte, piuttosto, a un eccesso di semplificazione?
si porre Beethoven fuori da se stesso, a osservarsi mentre Credo di poter rispondere di no. I musicisti che raccon-
compone, ad ascoltare la sinfonia che accade. Così, se devo tano la musica tentano di svelare il mistero che sta dietro i
preparare il pubblico di Radio3 Suite all’ascolto della Terza, suoni, perché solo così potranno provare un’emozione e cer-
cerco di raccontare tutto questo, di far visualizzare un Beetho- care di trasmetterla. I musicisti, quali che siano le loro com-
ven che s’inganna e si stupisce da solo, e di ricordare agli ascol- petenze storiche o musicologiche, sono chiamati a emozio-
tatori che quella partitura è venuta a giocare al cinema un bel narsi, a far vibrare il corpo e la mente, e a cercare di raccon-
po’ prima di quanto avrebbero poi fatto i fratelli Lumière. tare perché tutto ciò accade. Con serietà, con competenza,
Se provo invece a interrogare con insistenza la Sonata ma sapendo che la loro visione – il loro ascolto – sarà sem-
per pianoforte op. 5 di Brahms, mi confesserà che il suo se- pre parziale, personale, magari persino fazioso.
greto sta semplicemente nell’essere una musica trascinante.
Perché in quella pagina Brahms, abilissimo nell’inventarsi me-
lodie che penetrano dritte nell’anima, fa esplodere una straor- Prostituzione
dinaria trama di intrecci tematici, un gioco di rimandi che tie-
ne in continua tensione, che trasporta da una frase all’altra, Ora, che succede quando un brano ci regala un’emozio-
da un movimento all’altro, attraverso una tecnica di rinvii, ci- ne forte, ma negativa? Quando un pezzo proprio non ci pia-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 214

 NICOLA CAMPOGRANDE QUANDO I COMPOSITORI PARLANO DI MUSICA 

ce? Non si tratta di un falso problema: un musicologo che va dei suoi ascoltatori. Il secondo è che la musica, per lui, non
parla di musica può fare ricorso a dati esteriori, anagrafici, è fatta di intervalli, di modulazioni o di cadenze.
asettici, ma un musicista, abituato a trasmettere le proprie Questi elementi si possono rintracciare a posteriori, at-
emozioni, riesce con difficoltà a mantenere il distacco; e poi, traverso un’analisi grammaticale della partitura; un procedi-
in fondo, non è nemmeno corretto che lo faccia. mento che però non utilizzo quando compongo le mie par-
Che cosa si fa in questi casi? Non volendo ricorrere alla titure, e che raramente trovo utile quando interrogo le par-
menzogna, non resta altro che andare alla ricerca affannosa titure altrui.
e disperata di qualcosa di buono nell’opera in questione. Può capitare di dover parlare di contrappunto, e in quel
Una ricerca che assomiglia a quella della Cenerentola di- caso cerco di spiegare di che cosa si tratta. Può capitare di
sneyana quando la poveretta, buonista a oltranza, vuole sco- dover parlare di oboe d’amore, e in quel caso penso sia op-
vare un lato positivo in quel fetente di gattaccio che gira per portuno fornire agli ascoltatori le relative informazioni or-
la cucina facendo dispetti al cane e poi, quando nulla le vie- ganologiche. Ma se mi sembra necessario spiegare agli ascol-
ne alla mente, finisce con lo sbottare: “Eppure ci deve esse- tatori che tre note sono significative per capire lo sviluppo di
re qualcosa di buono in lui!”. un’intera partitura, anziché dire che si tratta di “tre sol e un
Spesso questa ricerca conduce a dei risultati, che in gran mi bemolle” o, ancor peggio, di “una nota ribattuta tre vol-
parte dei casi vengono conseguiti grazie a un processo di im- te seguita da un’altra posta una terza maggiore sotto” prefe-
medesimazione con l’autore di cui si è chiamati a parlare: pen- risco canticchiarle, così che tutti, immediatamente, possano
sando ai tempi difficili in cui si è trovato a vivere, all’organi- capire ciò di cui sto parlando.
co infelice che aveva a disposizione, alla trivialità del gusto Ancora una volta, mi rendo conto che questo modo di fa-
dominante nella sua epoca. re potrebbe sembrare poco ortodosso. Che, così facendo, ci
Per parlare di un pezzo di musica, insomma, ho bisogno si sporca le mani. Che si rischia di semplificare troppo il di-
di crederci, di aver fiducia nell’oggetto sonoro che sto pre- scorso (anche se, onestamente, credo si tratti soltanto di pa-
sentando a chi mi ascolta; e per farlo, talvolta – non spesso, rafrasarlo in altro modo). Ma parlare di musica, per me, si-
per fortuna – devo aiutare il mio cuore a mettersi in movi- gnifica farla vivere: solo trattandola come un’amica di fami-
mento, a trovare una strada per arrivare ad amare, anche so- glia, e non come un vetrino da laboratorio, io ho l’impres-
lo per un giorno, una pagina che non avrei mai pensato di do- sione, forte, di sentirla palpitare.
ver frequentare.

Le parole per dirlo

In generale, il compositore che parla di musica non fa ri-


corso al linguaggio tecnico-analitico: non cita intervalli di ter-
za minore o modulazioni ai toni lontani, per almeno due mo-
tivi. Il primo è che il suo compito è quello di comunicare, di
trovare delle metafore verbali per trasmettere un messaggio:
se utilizzasse espressioni tecniche o specialistiche, si trove-
rebbe a tagliare immediatamente fuori una parte significati-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 216

Tutto quello che “una musica può fare”.


Conversazione con Francesco e Max Gazzè
Simone Caputo

Da più di un decennio il cantautore romano Max Gazzè


percorre le strade della musica italiana d’autore: era il gen-
naio del 1996 quando pubblicava il suo primo disco, Con-
tro un’onda del mare. La sua produzione attraversa con di-
sinvoltura gli orizzonti del pop, esplorando sonorità inedi-
te e mai banali, sempre sul filo di un’elegante leggerezza. Da
Cara Valentina a Il timido ubriaco, fino ai recenti incontri
con Stephan Eicher, Gazzè ha saputo venare la sua musica
di una forte carica di ironia anche grazie alla complicità del
fratello Francesco, autore dei testi delle sue canzoni. Testi
capaci di cogliere umori e sollecitazioni del presente, at-
traverso una sperimentazione linguistica che si insinua nel-
le pieghe più riposte dei luoghi comuni con un’attitudine
lessicale irriverente e straniante, ma al tempo stesso parti-
colarmente attenta ai contenuti e ai contesti comunicativi.
Testi per una musica che esplora l’universo della canzone
d’autore con autentico spirito di ricerca, e che riesce a dar
vita a un sound unico e inconfondibile proprio grazie alla
capacità di rivisitare criticamente stimoli musicali di diver-
sa provenienza stilistica. Nella conversazione che segue,
Francesco (F. G.) e Max Gazzè (M. G.) ci parlano della lo-
ro esperienza creativa e comunicativa, del loro immagina-
rio musicale, del rapporto con gli ascoltatori in relazione ai
diversi contesti di fruizione, e di tutto ciò che la musica può
fare, trasmettere e raccontare.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 218

 SIMONE CAPUTO TUTTO QUELLO CHE “UNA MUSICA PUÒ FARE” 

S. C. Una musica può fare è il titolo di una vostra canzo- sica”, purtroppo e per fortuna, è un po’ come rispondere a
ne di qualche anno fa (1998) che parla di musica, di quello interrogativi del tipo “cos’è l’uomo” o “chi è Dio”.
che la musica può fare: “salvarti sull’orlo del precipizio, quel-
lo che la musica può fare”. Vorrei prendere spunto da que- S. C. Ci sono state altre occasioni in cui, attraverso le vo-
sta canzone così particolare, in cui la musica è al tempo stes- stre canzoni, avete provato a raccontare la musica?
so mezzo espressivo e oggetto di riflessione, per farvi la do- F. G. Una musica può fare non è l’unica canzone che te-
manda più ovvia, e al contempo più difficile: che cos’è per matizza la nostra esperienza musicale. Penso a Preferisco co-
voi la musica? sì, un pezzo a difesa delle arti, della musica, della poesia, del-
M. G. La musica è qualcosa che descrive un universo tal- la pittura, del teatro. Le quattro strofe iniziano con le paro-
mente vasto che non basta una parola per esprimerlo. La mu- le “povere / povera / poveri / povero”: volevamo sottolinea-
sica è suono, è tutto ciò che vibra, tutto ciò che è azione e rea- re il disagio crescente che stava consumando l’attività crea-
zione. Una lente, come amavano definirla i filosofi antichi, ca- tiva, in un mondo fagocitato da tecnologie ingorde, prag-
pace di osservare gli aspetti più misteriosi della realtà, fi- matismo imperante e speculazioni ad ogni costo. Un’altra
nanche la formazione stessa dell’universo. Il suono è conna- canzone che riflette sulla musica è Chanson idiomatique. Il te-
turato al tempo: se non ci fosse il suono non ci sarebbe il tem- sto è scritto in francese, e si appoggia quasi interamente su
po, e se non ci fosse il tempo non ci sarebbe il suono. La mu- un continuo e pedante snocciolare di luoghi comuni, frasi
sica è come un libretto d’istruzioni della realtà in cui vivia- idiomatiche (da cui il titolo della canzone) e proverbi: un lun-
mo, un’occasione di scoperta e di riscoperta della realtà. Si go elenco che si snoda musicalmente attraverso accordi, me-
potrebbero scomodare la mistica, la filosofia, la psicologia, lodia e ritmica dance, al punto tale che chi ascolta tende a sor-
per spiegare quanto la musica sia intimamente connaturata volare sulla totale assenza di significato complessivo, di coe-
alla vita dell’uomo, una fonte irrinunciabile per la compren- renza del messaggio. Un tentativo ironico, dunque, di dimo-
sione e la conoscenza delle cose. Chi è vicino alla musica, chi strare che in fondo per molte persone nella forma canzone il
riesce a coglierne gli aspetti nascosti, quelli sublimi e quelli testo rappresenta solo un riempitivo.
metafisici, riesce a interpretare la realtà come se avesse oc-
chi diversi da quelli degli altri. La musica può fare: può crea- S. C. Nel caso delle vostre canzoni, tuttavia, mi sembra
re stati d’animo, può modificare le alchimie che sono in noi, difficile che un ascoltatore possa separare la veste musicale
può curare; la musica può fare tutto. dai contenuti del testo; mi sembra anzi che queste due com-
F. G. Una musica può fare è nata d’istinto: senza doman- ponenti siano sempre fortemente intrecciate.
de, senza risposte. Il testo s’è inchinato agli accordi e alla me- F. G. Questo è un aspetto a cui teniamo in modo parti-
lodia, e ha dato vita a una partitura musicale in cui le paro- colare, e che è stato sin dall’inizio oggetto di intenso dialogo
le non erano altro che le note di una tastiera lunghissima. Il e confronto. Il peso delle parole, delle immagini, degli espe-
concetto che abbiamo voluto trasmettere nasce dalla mera rimenti stilistici, ha sempre avuto per me una grande rile-
constatazione delle enormi potenzialità emotive ed evocati- vanza, e non ho faticato a convincere mio fratello Max, il mu-
ve che l’universo della musica racchiude in sé: la forza deva- sicista, a rispettare la parte letteraria di ogni brano. Lui stes-
stante dei suoni che, abbinata allo spettro variegato degli so, sin dall’inizio della nostra collaborazione, mi ha spesso fat-
umori umani, è capace di proiettare l’anima verso il cielo o to notare che la musica, per amplificare il suo potenziale
di respingerla all’inferno. Un cosa fa la musica, dunque, più emotivo, deve saper cogliere ogni minima sfumatura del te-
che un cos’è la musica. Rispondere alla domanda “cos’è la mu- sto; perché il matrimonio parole-musica deve basarsi sulla pa-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 220

 SIMONE CAPUTO TUTTO QUELLO CHE “UNA MUSICA PUÒ FARE” 

rità, sul coinvolgimento reciproco, sullo scambio disinteres- S. C. Ci sono tuttavia delle occasioni in cui un musici-
sato delle emozioni, proprio come accade in un matrimonio sta può ritrovarsi a parlare della sua musica con i suoi ascol-
ben riuscito. tatori. Penso in particolare all’esperienza del concerto dal
vivo in cui spesso, almeno nell’ambito del rock e del pop, i
S. C. Mi sembra che la riflessione sulla musica e i suoi pro- musicisti dialogano con il pubblico, raccontando qualcosa
cessi comunicativi rappresenti un filo conduttore importan- di sé o presentando i vari pezzi prima dell’esecuzione. Nei
te all’interno della vostra ricerca artistica. Al di là della di- tuoi concerti, Max, in che modo parli della tua musica agli
mensione creativa, e cioè di come voi, facendo musica, pro- ascoltatori?
vate a raccontare nelle vostre canzoni tutto ciò che la musi- M. G. Il legame che unisce il musicista al suo ascoltato-
ca può fare, c’è però un altro aspetto di rilievo, che riguarda re è qualcosa di molto profondo, da valutare con estrema at-
soprattutto la sfera della ricezione. È vero che il pubblico vi- tenzione. La musica non potrebbe esistere se non ci fosse
ve l’esperienza musicale soprattutto in termini di esperienza qualcuno ad ascoltarla: e questo non dipende dalla numero-
di ascolto: tuttavia non possiamo dimenticare che la musica sità del pubblico, perché anche chi suona solo per sé, in una
non è solo qualcosa che si ascolta, ma anche qualcosa di cui dimensione privata, è al tempo stesso autore e ascoltatore del-
non si può fare a meno di parlare. Non mi riferisco solo ai la propria musica. La musica genera trasferimenti, passaggi:
discorsi della critica, degli esperti, ma anche a quelli dell’a- uno dei momenti privilegiati in cui si verifica questo proces-
scoltatore comune, che nella sua quotidianità sente l’esigen- so è quello del concerto. Il concerto unisce musicista e ascol-
za di descrivere i contenuti della sua esperienza musicale. In tatore, quasi fossero un unico attore dello stesso spettacolo:
che modo, secondo voi, il commento verbale è in grado di co- la distanza tra loro si annulla, seppur in parte, seppur per un
gliere i significati della musica? breve momento.
M. G. Oltre le inquadrature euclidee, la musica si ma- Nel momento in cui sono sul palco, in concerto, e faccio
nifesta in forme d’onda. Da qui la difficoltà, che a volte musica, in qualche modo la sto già spiegando. In quegli istan-
sconfina nell’impossibilità, di in-quadrarla. La musica sfug- ti ho come l’impressione di trovarmi a indagare, col pubbli-
ge; si sente il bisogno di catturarla, come per tutte le cose co stesso, ciò che sta accadendo in quel frangente, come in
che sfuggono, di collocarla in un contesto analitico. Eppure una sorta di indagine metafisica. Non sento, dunque, la ne-
le parole e l’analisi non possono e non devono rappresen- cessità di spiegare la mia musica, di guidare la percezione di
tare un punto d’arrivo. Il punto d’arrivo resta sempre e co- chi la sta ascoltando. È difficile far vivere le canzoni sul pia-
munque il suono, l’ascolto. La musica non può essere in- no analitico durante il concerto; sono altri i momenti in cui
gabbiata: necessita di essere percepita e intuita, quindi ciò avviene e deve avvenire. Il luogo in cui vive la musica è
convertita e tradotta; infine nuovamente percepita, nuo- un luogo morfogenetico, un luogo dell’istinto.
vamente intuita. Ripeto: il punto d’arrivo resta il suono, non
la parola. S. C. Un altro importante mezzo di diffusione della mu-
F. G. La musica la si ascolta, sì. La si assorbe, la si assa- sica è oggi rappresentato dalla televisione. Rispetto all’a-
pora, la si accoglie nel metabolismo, la si chiude nella men- scolto del disco o della radio, in TV la musica si trasforma in
te, la si ricorda. Poi della musica se ne discute, ma ormai è immagine visibile. Ma forse è proprio l’immagine, intesa co-
passato tutto. Come dopo una tempesta: si può fare solo il me elemento più commerciale ed esteriore, che prende il so-
conto dei danni. Qualcuno c’era e prova a raccontare, altri pravvento sul valore artistico, sulla funzione comunicativa e
l’hanno sentita arrivare. Ma lei, la tempesta, è un’altra cosa. divulgativa.
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 222

 SIMONE CAPUTO TUTTO QUELLO CHE “UNA MUSICA PUÒ FARE” 

M. G. Da sempre la musica, così come viene proposta dal- cazione dei forum di discussione. Che ne pensate dei fiumi
la televisione, attraverso il video, è una manifestazione per di parole sulla musica che invadono la rete?
certi versi superficiale, esteriore. La televisione ci offre sì un M. G. Partiamo da un punto fermo: non si può fare a me-
sonoro, ma soprattutto oggetti, immagini, e dunque non si no di pensare che internet sia uno strumento meraviglioso,
può pretendere che diventi un luogo privilegiato per la dif- uno strumento che accresce la nostra curiosità, la nostra li-
fusione della musica. La TV è cambiata, e molto, in questi an- bertà. Internet ha aperto grandi possibilità al dialogo, alla dif-
ni, e con essa il suo modo di diffondere musica. Non è il cam- fusione e alla comunicazione sull’arte. Chiunque oggi può ap-
biamento in sé a rappresentare un problema: è diventata profittare della rete per far conoscere la sua musica: internet
problematica soprattutto la crescente discrepanza che oggi ha permesso di abbassare i costi di produzione e distribuzione
si riscontra, guardando la TV, tra il vendere e il divulgare. Lo così come ha spezzato, almeno in parte, il legame che vinco-
spazio dedicato alla musica è sempre più esiguo. La si ven- la il successo alla visibilità. Ma, come tutto ciò che attiene al-
de come prodotto, dimenticando che la musica fondamen- la libertà, deve essere utilizzato con saggezza.
talmente è un qualcosa che ha a che fare con lo scambio di Alcuni accusano internet di rappresentare una forma in-
energie emotive, e assai meno con immagine e vendita. quietante di realtà virtuale: spesso però, a ben guardare, si
F. G. Bisogna poi tener conto del fatto che la progressi- scopre che la realtà non-virtuale, quella reale, è più illusoria
va “ritirata” della musica dagli schermi televisivi è un feno- e inquietante di quella virtuale. Il problema dunque non è in-
meno riscontrabile solo in parte: se è vero che le reti nazio- ternet in sé. Internet diviene una cosa ancor più meraviglio-
nali hanno gradualmente limitato l’accesso ai programmi de- sa nel momento in cui ci aiuta a non perdere il gusto per tut-
dicati alla musica, d’altra parte non si può fare a meno di ri- ti quegli aspetti che ci permettono di vivere l’esperienza mu-
levare la continua fioritura di canali tematici satellitari che co- sicale in una dimensione più fattiva, più materica: il gusto di
prono la totalità dei generi, per l’intero corso della giornata. andare a un concerto, di entrare in un negozio di dischi per
La riflessione sulla presenza della musica negli schermi tele- comprare un disco, di imparare a suonare uno strumento. Ciò
visivi non può dunque limitarsi ad analizzare solo quanto av- detto, i problemi che internet porta con sé sono numerosi, e
viene nei palinsesti delle TV nazionali terrestri. Bisognereb- numerosi sono anche gli interrogativi che dovremmo porci:
be chiedersi, in particolare, se le scelte impopolari compiu- una tale sovrapproduzione di proposte musicali, ad esempio,
te dai responsabili della maggior parte delle reti terrestri non non potrebbe alla lunga impedire di emergere a chi vale ve-
siano dovute anche al pullulare incontrollato di questi neo- ramente? E poi, come affrontare i problemi che nascono
nati contenitori satellitari, con i quali in precedenza nessuno dalla moltiplicazione dei giudizi critici che vengono formu-
s’era trovato a fare i conti. Sarebbe poi interessante interro- lati in rete?
garsi anche sul diabolico Broadcast yourself, gettato in pasto F. G. Non si può negare l’evidenza: in internet la musica
agli adolescenti di oggi dai geniali inventori di YouTube e dei si diffonde, di musica si parla, e molto. Ma ciò che dovrem-
suoi cloni: cosa sono questi fenomeni, se non impreviste e in- mo chiederci è: in che modo si ascolta la musica, e come se
controllabili filiazioni della televisione? ne parla? La rete ha abolito qualunque tipo di selezione, e
propina ai suoi navigatori una straordinaria molteplicità di
S. C. Oltre a essere diventati uno dei principali mezzi di perle e orrori: il problema è che questa diversità ci viene of-
diffusione della musica in rete, oggi YouTube e il Broadcast ferta come se si trattasse di tanti pacchetti identici di cara-
yourself rappresentano anche i luoghi virtuali in cui più spes- melle assortite. Le caramelle stimolano la nostra golosità, e
so (e più che altrove) si parla di musica, grazie alla moltipli- noi le accettiamo tutte, ne mangiamo tante, di buone e di cat-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 224

 SIMONE CAPUTO TUTTO QUELLO CHE “UNA MUSICA PUÒ FARE” 

tive: ma quello che alla fine ci rimane in bocca è un unico gu- sulle opere musicali e sulle performance dei protagonisti:
sto dolciastro e indistinto. Verrebbe quasi da pensare che era per fortuna esistono parecchie riviste specializzate che spo-
meglio prima, quando l’accesso al molteplice non era così fa- stano i riflettori dall’immagine patinata delle star al catalogo
cile, e quella voglia di musica te la tenevi dentro per giorni, di emozioni autentiche che gli artisti sanno, quando riesco-
e il pensiero dello scarto, dell’attesa, era già un sapore. Dire no a farlo davvero, dispensare.
che internet sia troppo facile, troppo veloce, significa porre
l’attenzione sull’altra faccia del fenomeno. L’uomo ha biso- S. C. Nel corso della nostra conversazione è emersa, a più
gno dei suoi tempi. È un uomo, semplicemente un uomo. riprese, l’idea che raccontare il mondo della musica di oggi
A questo punto mi chiederei, provocatoriamente: non è sia un’impresa difficile, complessa; allo stesso modo, mi sem-
forse giunto il momento di guardare negli occhi quest’altra bra di capire che anche il lavoro del musicista sia diventato
faccia di internet? Non si tratta, forse, di un vero e proprio sempre più problematico.
diluvio di informazioni superficiali, di input passeggeri che M. G. Sono convinto che la musica sia scomoda. La mu-
soddisfano l’utenza media, ma che allo stesso tempo fru- sica ha a che fare con la libertà, e tutto ciò che riguarda la li-
strano il lavoro di approfondimento di chi, come i critici, gli bertà è scomodo, dà fastidio. Da qui il tentativo di trasfor-
studiosi, i veri appassionati, si ostina a non ridurre la propria marla, di renderla un qualcosa d’altro, un mero prodotto, per
vita a un lungo via-vai per le vie del centro tra due ali di ve- eliminare tutta la carica dirompente ed esplosiva che essa por-
trine illuminate a giorno? ta con sé; il tentativo di “inscatolarla” per servirla indistin-
tamente, con lo stesso gusto, a tutti.
S. C. Un efficace antidoto nei confronti della rapidità del- La vera musica, tuttavia, è sempre un atto di libertà, di
l’informazione diffusa da internet, o comunque una buona scelte. Le più grandi costruzioni della musica classica, le più
occasione di approfondimento, potrebbe essere rappresen- rigorose, sono tra gli esempi più importanti dell’espressione
tato dalle riviste e dai libri che parlano di musica. Mi sembra della libertà umana; e anche alcune canzoni, con tutta la ca-
tuttavia che, soprattutto nell’ambito della letteratura sul pop rica di misteri e di significati che esse portano con sé. È ab-
e sul rock, l’attenzione di gran parte dei testi si concentri sul- bastanza facile comprendere le ragioni di una diffusa avver-
la vita dei musicisti, sulla loro immagine, insomma su tutto sione nei confronti della musica da parte di chi ci governa,
ciò che ruota intorno alla figura della star. Al di là di questa di chi gestisce l’arte e la comunicazione: si ostacola la musi-
prospettiva biografica (o, per meglio dire, aneddotica), è ca lontana dalle logiche di superficie, si riduce al minimo la
possibile, è necessario, dire qualcos’altro sulla musica e sul- presenza della musica nelle scuole, si favorisce la sparizione
le opere musicali? di occasioni di dialogo e di confronto sulla musica. Che co-
F. G. Verrebbe da pensare che la morbosità voyeuristica sa è diventata oggi la canzone? Non sbaglierei se rispondes-
del pubblico, di cui si è cominciato a parlare soprattutto do- si che è diventata solo commercio e immagine. In una società
po le prime edizioni del Grande Fratello, non sia esplosa al- in cui tendiamo a definire le persone e le cose per come ap-
l’improvviso, grazie all’invenzione del famigerato reality show, paiono, e non per come sono, si può aver successo nel pro-
ma covasse negli animi da sempre. La mania del gossip, la bra- prio mestiere solo quando si è uguali a qualcos’altro. Tutto
ma di sapere tutto sulla vita artistica e privata del cantante, ciò può sembrare banale, ma in realtà ciò che mi sembra più
è un aspetto della natura umana che al momento mi sembra preoccupante è che non si faccia nulla per invertire questa
difficilmente estirpabile. Tutto ciò, però, non ha nulla a che tendenza. E chi fa musica, come chi la spiega e la racconta,
vedere con il dibattito costruttivo sulla produzione artistica, ha la propria parte di colpe. Penso che per far musica biso-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 226

 SIMONE CAPUTO

gna essere eretici, laddove per eresia si intenda la capacità di Cronache di vita musicale: l’esperienza del concertista
fare una scelta, una scelta profonda. Solo quando si è ereti- Luca Signorini
ci si può comunicare un’esperienza artistica e, allo stesso
modo, la si può raccontare.
F. G. Rispetto a queste difficoltà dell’attuale situazione
musicale, vorrei sottolineare un aspetto che ci sta partico-
larmente a cuore, e che riguarda la sostanziale estromissio-
ne della musica dalle nostre scuole. Nella provincia in cui vi-
vo (Pesaro-Urbino) ho potuto riscontrare una discreta sen-
sibilità da parte di assessori, sindaci, presidi e insegnanti nei
confronti della musica, che ci ha permesso di avviare un
progetto sperimentale che verrà realizzato, a partire dal
2009, in diverse scuole medie e superiori. Il progetto prevede Ecco l’inizio, la prima esibizione1
un corso di quattro mesi sulla storia della canzone italiana
durante il quale, con il supporto di un volume che verrà pub- Alt. – il mio maestro – sembrava contento. Lo sentii pre-
blicato appositamente, verranno ascoltate e analizzate mol- sente, e umano. Era un uomo che di solito non voleva esse-
tissime canzoni. Questa iniziativa nasce dalla convinzione che re contraddetto. Salii le scalette e mi ritrovai sul palco, con
la commercializzazione e la divulgazione della musica non il mio violoncello.
dovrebbero procedere l’una a scapito dell’altra, ma do- Applausi.
vrebbero cercare piuttosto di camminare con lo stesso pas- Mi sedetti e suonai la Suite in sol maggiore di Johann Se-
so e nella stessa direzione. Favorire la crescita della cultura bastian Bach tutta d’un fiato, facendo a menadito tutto ciò
musicale attraverso un percorso di apprendimento scolasti- che Alt. mi aveva detto di fare. Sei movimenti. Un paio di
co, fin dalla tenera età, può contribuire in modo decisivo al- cambiamenti di posizione difficili nel primo, le quartine del
la formazione di un pubblico di ascoltatori onesti e dotati di terzo, i respiri della Sarabanda, le terzine della Giga. Ma sta-
spirito critico: non a caso, una parte del corso sarà riserva- vo veramente suonando? O stavo svolgendo un compito im-
ta a una riflessione sulle regole etiche che sostengono l’in- portante, che andava oltre la mia comprensione? Chi era
dustria musicale. Sarebbe forse sufficiente moltiplicare que- Johann Sebastian Bach? Era colui che aveva scritto quella Sui-
sta nostra piccola iniziativa in altre regioni italiane per co- te. Non era necessario sapere altro. Quel saggio era un pun-
minciare a riempire una lacuna culturale così evidente: a fa- to di partenza o un punto d’arrivo? Forse un punto d’arri-
vore dei ragazzi, a favore della musica, e di tutto ciò che la vo, dato che la Suite era stata preparata all’inizio e per tutto
musica può fare. il corso dell’anno; però era la prima volta che suonavo in pub-
blico, quindi un punto di partenza.
Non fu né l’uno né l’altro, fu un evento a sé stante, senza
una direzione, immobile. Una prova da superare e basta. Chi
stavo soddisfacendo, con quel saggio? Me stesso? No. Il mio
maestro? Nemmeno, sembrava una prova al cardiopalma an-
che per lui, anzi, ancor più per lui che per me; una prova che
doveva, lui come me, affrontare a viso aperto, con coraggio. I
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 228

 LUCA SIGNORINI CRONACHE DI VITA MUSICALE 

miei genitori? In realtà, io ero un tutt’uno con i miei genitori. Alt. mi faceva scrivere tutto. Vibra qui, qui arco leggero,
Tutte quelle storie sull’emancipazione dalla famiglia che sa- qui scalda il suono, qui muovi il tempo. E io facevo tutto, di-
rebbero arrivate dopo per me ancora non esistevano, assolu- ligentemente. Mi voleva bene, Alt. E io a lui, naturalmente.
tamente. Eravamo arrivati a quel saggio dopo un lungo cam- In realtà, il modo migliore di avergli voluto bene è stato l’e-
mino fatto insieme, dalle lezioni di chitarra classica all’iscrizione manciparmi da lui, e capire che non esistono due uguali, in
al corso di violoncello in conservatorio, a quel momento. musica. Mille persone trasformano la medesima pagina in mil-
Il percorso era iniziato tempo prima: dall’aver notato il gu- le modi diversi. Tutti veri, tutti giusti. E quando la suoneranno
sto che provavo nel giocare con pianole, fisarmoniche e chi- la seconda volta, sarà ancora diversa.
tarre, all’avermi portato alle prime lezioni di musica.
Anzi, ancora da prima. Iniziava dalla carica emotiva che “Vai, vai! Merde – dicono i francesi – Vai!”. Così mi ave-
investe un padre e una madre di fronte all’avventura dell’a- va detto Alt., la sera del mio primo saggio. Ma questo studio
vere un figlio, nella consapevolezza che potrà contare quasi totalizzante, estenuante, soffocante e delirante non mi fa in-
solamente sulle proprie capacità. In tutto quello che ho fat- travedere nulla del mio futuro. Imparerò a suonare, imparerò
to sul palco in quei quindici minuti di Suite in sol maggiore a esibirmi e a non aver paura dei passaggi difficili, ma non so
di Johann Sebastian Bach, in quello che ho espresso a chi mi se imparerò a capire il senso di tutto questo. Dove esibirmi,
ascoltava, c’erano mia madre e mio padre. C’era la vita che a quale scopo, per quale progetto? Questo non me lo hanno
avevamo vissuto insieme fino a quel momento. C’era ogni mo- insegnato.
mento, di quella vita. Vedo autobus che corrono, gente che corre, stadi pieni di
gente che urla, negozi pieni di ogni cosa, televisione a profu-
Colpisce. Alt. colpisce al cuore, se la nota non è intona- sione, e non riesco a sintonizzare la radio senza essere invaso
ta. E la fa ripetere, e ripetere, e ripetere. La sua voce ta- dal ritmo percussivo di una batteria. Vedo l’anonimato di
gliente, i suoi lineamenti tirati, i suoi gesti secchi, fanno ca- una grande città dalla quale non traspare nulla di una vita pen-
pire che non c’è spazio per l’approssimazione. Mi sta tra- sante, ma solo vita che agisce, si muove, corre e compra. La
sformando, come il martello di un fabbro che implacabil- musica è un bene di consumo e io sono merce. Sto studian-
mente forgia il metallo. In cosa mi sta trasformando? In un do per diventare merce. Mi sto dannando l’anima su questo
professionista. Io questo ancora non lo so, però percepisco capriccio di Servais e comincio a intuire che mi trovo sul ta-
la mia trasformazione. So che sto mutando, lo sento. pis roulant di una macchina che mi sta impacchettando per
Ora suonare non è più un gioco. È agonismo. La varia- spedirmi là dove c’è bisogno di me. Diventerò un maestro di
zione di Čajkovskij prende vita, sotto le mie dita. Prende vi- conservatorio e creerò altri come me, e li farò studiare, facendo
ta, in cambio della mia vita. Non devo pensare. Il passaggio loro ignorare il caos che li circonda, senza chiarire loro lo sco-
deve risultare intonato! Non devo pensare. Devo ripetere e po, il progetto. E li trasformerò a mia volta in merce, sì che
ripetere e ripetere. È una sfida alla morte, tra me e le quar- possano essere spediti là dove c’è bisogno di loro.
tine di Čajkovskij. La sfida che si ripeterà in eterno, tra me e
le terzine di Hindemith, le scale di Šostakovič, i bicordi di Ho passato un decennio insieme ad Alt. Come potrei di-
Dvořák, tra me e tutto quello che è alta acrobazia. È un tun- re che non mi ha trasformato? Avevo undici anni e suonavo
nel. Senza via d’uscita. Se non ripeti e ripeti e ripeti, il passo la chitarra classica: Sagreras, Sor, Carcassi, Villa-Lobos. Ave-
non viene, e se il passo non viene in pubblico, poi si sta ma- vo undici anni, e il conservatorio mi sembrava un ospedale,
le. In un loop senza fine. con le sue pareti bianche. Io venivo dalle scuole di Tor Ma-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 230

 LUCA SIGNORINI CRONACHE DI VITA MUSICALE 

rancio, tutte imbrattate. Viaggiava troppo Alt., lui e i suoi Mu- to le note, marcati ed evidenziati fin quasi a bucare la carta.
sici, e il suo quartetto Beethoven, e i suoi Virtuosi di Roma. Chissà quanti violoncellisti si saranno trovati di fronte a quel
In classe ci metteva l’anima. L’anima e la rabbia, quando le passaggio per violoncello solo, reso ancor più solo dalla tem-
cose non andavano come voleva. pestosità iniziale della Walkiria.
E il saggio del settimo anno… Respighi, Bach. Fu un even- Suonare Wagner in orchestra è spesso scomodo e fatico-
to. Noi della classe oramai eravamo cresciuti, eravamo bravi. Io so. Anche irritante. Le prime prove sono un disastro, si sba-
suonai la seconda Suite. Dai miei vent’anni, non l’ho più visto. glia facilmente, non si finisce mai di suonare, di cambiare to-
nalità. Arpeggi di settima diminuita, scale continue e sempre
Quando ci si riavvicina a brani musicali dopo anni, tor- diverse, ascendenti in un modo e discendenti in un altro, pas-
nano in mente accadimenti, luoghi, persone, emozioni che saggi interminabili di terzine veloci che sembrano scritti con
hanno fatto parte della propria vita, per sempre associati a lo scopo preciso di rendere odioso il lavoro di orchestrale. È
quella musica; accade a tutti. una scrittura densa, opulenta, celebrativa, dimostrativa, spie-
Eccoli i pomeriggi romani passati a provare i trii per pre- tata nei confronti dell’umile operaio della musica che nella
parare la tournée americana con i miei compagni di viaggio buca arranca facendo del proprio meglio, senza mai riuscire
dell’epoca. E quelle quattro note iniziali dell’Andante dell’op. a ottenere un voto più alto della sufficienza. Noi orchestrali
3 in mi bemolle maggiore, un po’ sonnolente, ripetitive come siamo lì, a capo chino e schiena piegata, pronti a ricevere le
una ninna nanna. Il giro armonico iniziale è semplice, il truc- frustate del bravo direttore d’orchestra, zelante e compreso
co sta nel non scaldarsi quando l’armonia sembra richieder- nel suo ruolo: egli ricorda a tutti noi che di Wagner vanno ri-
lo, ma nell’esprimere la commozione a bassa voce. Dentro di spettate note, dinamiche, spirito. Siamo lì, nella buca ombrosa
noi possiamo anche piangere, anzi dovremmo, perché c’è do- detta “golfo mistico”, per tradurre in suoni le emozioni sem-
lore in questa musica che si addormenta con quei pizzicati fi- pre mutevoli della scena, dei suoi grandiosi protagonisti.
nali. Sembra lo sguardo di un anziano che ci ascolta, noi più “Offro conforto all’arido palato: acqua, come hai voluto!”.
giovani, e nel suo sorriso c’è tutta la sua vita. Così Sieglinde, un momento prima che Siegmund beva, in
Anche l’Adagio è così. Mi piaceva suonare la parte fina- Walkiria. Siegmund e Sieglinde si guardano, fratello e sorel-
le con poco vibrato durante l’insistenza del tema al violon- la inconsapevoli e già innamorati. È il violoncello solo che an-
cello, e poi nel pedale finale, dove scopri che l’accompagna- nuncia quell’amore, quella complicità, con tre frasi che cre-
mento-pedale è più importante di tutto il resto. Sì, la melo- scono, si interrompono, riprendono fino al manifestarsi pie-
dia, certo; ma quel movimento incessante, all’inizio inavver- no del sentimento d’amore su un lungo si bemolle e sull’ar-
tito, lo scopri alla fine, quando sta per scomparire, quando monia che lo sostiene. L’accordo dell’orchestra che avvolge il
sta per morire. E muore. Questi brevi silenzi di Beethoven violoncello, solo fino a quel momento, è la morbidezza e l’i-
riempiono l’anima come una sinfonia. nesorabilità del sentimento d’amore. E l’inevitabilità delle
sue conseguenze. L’amore colpisce tutti, in un modo o nel-
l’altro. Leggevo negli occhi di Bertini, ottantenne quando di-
Wagner, Mahler resse il Tristano, l’amore per ciò a cui stava dando vita, il le-
vare dei violoncelli che apre il Preludio. E quel fa che con un
Ein Violoncelle ellein. Così leggevo sulla consumata par- lungo crescendo, come una solitaria supplica, si piega sul-
te poggiata sul leggio. Era una parte piena di cancellature, ar- l’accordo irrisolto. La magia di quell’attacco Bertini la viveva
cate sovrapposte, dinamiche scritte a penna, segni sopra e sot- dentro di sé, ancor prima di ascoltarla. E, naturalmente, la tra-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 232

 LUCA SIGNORINI CRONACHE DI VITA MUSICALE 

smetteva a noi tutti, inducendoci a respirare con lui prima di richieda ciò che è richiesto nella vita per comunicare in mo-
emettere il primo suono dell’opera. Sarebbe stato l’ultimo do soddisfacente col prossimo. Sembra che sia più facile con
Tristano, per Bertini. Io non lo sapevo, lui forse sì. “La di- la violenza. Ma la conversazione intelligente è proprio quella
sgrazia mi segue ovunque io fugga”, dice Siegmund. che si produce nella musica da camera. Lo scriveva anche Zel-
ter, il consulente musicale di Goethe. Paragonava il trio, il
Lo Scherzo della Sinfonia in do diesis minore n. 5 di quartetto, nei loro movimenti musicali, a persone che si in-
Mahler è un brano che non decolla. Fa finta di essere qual- tendono e comunicano al pubblico emozioni e contenuti.
cosa, si traveste da qualcosa che è ciò che ci si aspetta che sia.
Poi si toglie i panni, li rimette, li toglie di nuovo. Come se di- Il concertista è un individuo necessariamente errante.
cesse: “ecco, ciò che voglio dire è... ma avete già capito. E ag- Va qua e là a dire: “Beethoven ha detto questo! Schubert
giungerei... ma che lo dico a fare, lo sapete già!”. ha detto così!”, quasi fosse l’inviato di un re, un re lontano,
Si accende il motore, e Mahler pensa bene di spegnerlo. che legge alla comunità locale l’ultima ordinanza.
Qualcosa si muove, Mahler tira subito il freno. Poi ricomin-
cia il discorso ma con più enfasi, e di nuovo finisce prematu- Arriviamo a Varanasi, per un concerto con il Trio d’archi
ramente, contro le attese dell’ascoltatore medio che suppone di Roma. Come al solito ero impreparato sul luogo dove mi
che a una premessa debba far seguito una tesi, argomentata recavo a suonare. Se pure avevo letto qualcosa su una guida,
e sviluppata. Mahler no, lascia monca la premessa e poi la ri- era come se non avessi letto niente. Forse fu meglio così, per-
pete, lasciandola ancora monca. Poi si comincia a capire qual- ché l’ignoranza produsse un impatto emotivo con Varanasi
cosa. Non è lui che lascia monca la premessa, siamo noi ascol- molto forte. Poche ore prima ero all’aeroporto di Fiumicino,
tatori che muoviamo continuamente gli occhi senza mai fer- e ora mi trovavo in un’automobile (un modello Fiat che non
marci su qualcosa, come bimbi eccitati. Si torna bambini, al si produceva più in Italia da almeno trent’anni) che si face-
luna park, per guardare cose belle, luci, colori, suoni, cam- va largo in un traffico popolato da vacche, risciò, biciclette,
panelli, zuccheri filati, altri bimbi con i loro genitori, e tanti gente a piedi, tutti in mezzo alla strada, anzi in mezzo a un
palloncini. Ma alla percezione dei bimbi c’è qualcosa che largo sentiero di terra con pozze di fango ovunque. Un gran
sfugge, qualcosa che ha a che fare con i grandi ma che pure i caldo, un gran caos.
grandi spaventa; né la mamma né il papà sanno spiegarsi quel Ciò che mi proiettò indietro nel tempo, più che la Mille-
clima strano nel quale si sentono improvvisamente avvolti, e cento Fiat, fu la visione delle persone ammassate sui ghat, le
fanno orribilmente e sinistramente finta di niente, conti- gradinate poste lungo la riva sinistra del Gange, e di una bar-
nuando a camminare tenendo per mano i piccini. ca di legno che lentamente la percorreva. Dai Gath si scen-
Tutto questo è nello Scherzo della Quinta di Mahler. In de nel fiume, e le sue acque purificano dai peccati, tutti i pec-
partitura non è scritto, inutile cercarlo. cati, anche i più gravi. Morire a Varanasi garantisce la sal-
vezza. Quella visione è stata l’esperienza poetica più impor-
tante di tutto il viaggio, più di Delhi, di Calcutta, di Goa. In
Varanasi quel momento mi accorsi che ero tanto, tanto lontano da ca-
sa e dai varietà del sabato sera.
La comunicazione tra persone è complicata. Le intese tra
umani si stabiliscono raramente. L’amicizia, la complicità, i ri- Navigando su internet, ho trovato il sito di un musicista
ferimenti comuni. Sembra che suonare in trio, in quartetto, indiano, ritratto col suo sitar. Prima, al violoncello, mi sem-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 234

 LUCA SIGNORINI CRONACHE DI VITA MUSICALE 

brava di essere io quello che suonava il sitar, eseguendo il mio ci dice in un inglese rudimentale: “Ma la musica occidenta-
Beethoven-raga. Quando studiamo per un concerto non sap- le è sempre così aggressiva?”.
piamo mai esattamente il motivo per cui stiamo studiando, se Eravamo degli alieni. Comunicazione errata.
quello studio serva a qualcosa o no, se grazie a quella mezz’o- Cosa ci facevamo a Varanasi? Pensavamo che Beethoven
ra in più l’esecuzione sarà migliore. È più un lavoro su noi stes- fosse sempre lo stesso. Che comunicasse le stesse emozioni
si che su Bach; una specie di preghiera, un rito. In certi mo- a qualunque popolo. A chi ci ascolta qui, ora, come a quel-
menti mi sembra d’essere un islamico che cinque volte al l’anziano signore indiano barbuto. Che la sua poetica fosse
giorno cessa di pensare, parlare, criticare, per pregare. Que- sempre ugualmente leggibile. I codici comunicativi sono si-
sto studio è un rito sacrificale: l’oggetto del sacrificio sono i stemi strutturati che producono segni? Stride il nostro
miei pensieri, i miei desideri, le mie curiosità, tutto affinché Ludwig van Beethoven, dopo i canti indiani. Stride per me
quel concerto non si trasformi in una catastrofe, cioè in un im- che lo sto suonando, stride per il gentile e composto pubblico
mutabile brutto ricordo. Ne vale la pena? Difficile a dirsi. di Varanasi. Leggiamo un messaggio a questo gentile pubblico
che improvvisamente, come per magia, cambia il suo signi-
A Varanasi i manifesti recitano “Concert of Western Mu- ficato d’origine. Quel segno, quello sforzando che esprime-
sic”. Prima dell’esecuzione assistiamo scalzi, nel tempio del- va forza, è diventato un segno che esprime ira. E quello che
la scuola di musica dove si terrà il concerto, a una funzione esprimeva ansia è diventato un segno che esprime solo una
sacra. Un uomo sul palco intona delle melodie cui fanno eco qualche grave forma di psicosi.
i presenti, come in un responsorio. Melodie dolcissime, che
ci immergono in una dimensione di pace e soavità. Poi toc-
ca a noi, il Trio d’archi di Roma. Eseguiamo il Trio in do mi- 1
Questo scritto rielabora i testi di tre spettacoli musicali dal titolo Comu-
nore op. 9 n. 3 di Ludwig van Beethoven. Prima di suonare nicazione errata, da me composti e rappresentati nella stagione concertista 2006-
ho come un presentimento: intuisco che vivrò un’esperien- 2007 dell’Associazione “Centro di musica antica Pietà dei Turchini” di Napo-
za nuova, la musica di Beethoven non mi piacerà. Il grande li. Un ulteriore approfondimento di questi temi narrativi si ritrova anche nel mio
compositore di esotica western-music apparirà, forse non romanzo autobiografico Per violoncello solo, di recente pubblicazione (Roma,
Aracne 2008).
solo a me, un erogatore di rabbia.
Così fu. Sforzandi, crescendi, concitazioni improvvise: sem-
bra quasi il frutto di una mente alienata, disturbata, preda di
moti violenti. Nessuna riflessività, nessuna saggezza. Mi sen-
to a disagio. Avverto l’imbarazzo del pubblico, composto, se-
duto a terra. Sembrava ci guardasse dall’alto, con la paziente
cortesia che si riserva a chi chiede attenzione per dire cose pie-
ne di livore contro qualcuno, contro qualcosa. Noi tre vestiti
in smoking e senza scarpe, musicisti del lontano western, stia-
mo approfittando dell’educazione della gente di Varanasi.

Al termine dell’esecuzione, dopo gli applausi, ci si avvi-


cina un uomo alto, barbuto, anziano, seguito da giovanotti
ossequiosi (aveva l’aria di essere una persona importante) e
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 236

Parlare di musica, per “imparare a vedere abissi là


dove sono luoghi comuni”
Susanna Pasticci

“Quanto sono quasi sempre fuorvianti le descrizioni ver-


bali della forma musicale!”, tuonava nel 1969 Igor Stravin-
skij (2002, p. 354). Gli scritti di questo compositore sono per-
corsi da un’idea fissa che nel corso degli anni emerge a più
riprese, come un refrain: “nulla è più difficile che parlare di
musica, se non ponendosi su un terreno strettamente tecni-
co e professionale”. Non solo della musica degli altri, ma an-
che della propria: “mi è più difficile parlare della mia musi-
ca che scriverla”; non essendo un “intellettuale”, “i proble-
mi esplicativi non mi sono di grande interesse” (1960, p.
179). Affermazioni che ci appaiono singolari, alla luce del-
l’enorme quantità di riflessioni sulla musica che ci vengono
consegnate dai suoi scritti; e che tuttavia evidenziano un di-
sagio, un’inquietudine di fondo nei confronti del parlar di
musica che, al di là del caso Stravinskij, possiamo riscontra-
re in gran parte dei compositori del passato recente e di
quello più remoto.
Forse nessuno ha maturato un rapporto così ambivalen-
te e ambiguo nei confronti dei discorsi sulla musica quanto
i compositori: sia quelli che, per scelta personale o necessità
storica, hanno deciso di non farne, sia quelli che ci hanno par-
lato delle loro opere e della loro poetica creativa con una si-
stematicità tale da darci l’impressione di voler sommergere
la propria musica in un fiume di parole. In questo saggio pro-
veremo a esplorare le ragioni di questa inquietudine, nella
convinzione che i discorsi degli autori di musica possano of-
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 238

 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

frire spunti preziosi per mettere in luce alcuni aspetti più ge- struttivi rappresenti una via d’accesso privilegiata alla com-
nerali del rapporto tra l’esperienza musicale e la parola che prensione della musica è un’opinione ampiamente condivi-
cerca di descriverla e interpretarla; o che comunque possa- sa da gran parte dei compositori del ventesimo secolo; un’o-
no aiutarci, come suggerisce la frase del compositore Anton pinione, e dunque non una norma valida in senso assoluto,
Webern citata nel titolo, a districarci in una selva particolar- che si sviluppa in un determinato orizzonte storico, e che tro-
mente fitta di luoghi comuni. va la sua esposizione più significativa nel trattato Von Mu-
sikalisch-Schönen pubblicato nel 1854 dal critico musicale
Eduard Hanslick. In opposizione all’estetica del sentimento
Come ascoltare la musica dominante nel diciannovesimo secolo, Hanslick (1854, p.
21) sostiene che “l’espressione di un determinato sentimen-
Se è vero che ogni parola è dotata di un suo peso specifi- to o emozione non è assolutamente in potere della musica”;
co, quella del compositore ci appare spesso circondata da di conseguenza, “il contenuto del pezzo non è altro se non
un’aura di autorevolezza che nessun altra potrebbe rivendi- le forme sonore udite, perché i suoni non solo sono ciò con
care. Chi meglio del compositore, principale artefice del da- cui la musica si esprime, ma sono anche l’unica cosa che vie-
to sonoro, può illuminarci e guidarci nella comprensione ne espressa” (p. 126).
della musica – della sua, in primo luogo, ma anche di quella Nel primo capitolo del suo libro, Copland (1957, p. 15)
di altri autori? Eppure non sono molti quelli che abbiano ac- si affretta a prendere le distanze da una posizione così estre-
cettato di misurarsi con la sfida della divulgazione: tra quei ma: “il cielo soltanto sa quanto sia difficile dire con precisione
pochi possiamo annoverare Aaron Copland, autore di un li- che cosa un brano di musica significhi”, ma ciò “non deve
bro dal titolo What to Listen for in Music. Un volume che non condurre all’altro estremo di negare alla musica il diritto di
si rivolge agli addetti ai lavori, ma alla massa di appassiona- essere espressiva”. Il problema nasce dal fatto che questo si-
ti privi di cognizioni tecniche: scopo principale del libro, co- gnificato non si può “tradurre in parole”: di conseguenza,
me si legge nella prefazione, è quello di dare una “chiara in- ogni discorso sulla musica dovrà necessariamente concen-
dicazione dei principi fondamentali indispensabili per ascol- trarsi sul piano musicale, e cioè sulla descrizione dei mate-
tare con intelligenza un’esecuzione musicale” (Copland 1957, riali sonori, del loro divenire e della loro articolazione for-
p. 5). Un manuale di ascolto, dunque, uno dei tanti “ABC del- male. Un ascoltatore dilettante, nell’ansia di “aggrapparsi a
la musica” che nel corso dell’ultimo secolo hanno comincia- una spiegazione qualsiasi che gli dia l’illusione di avvicinar-
to a proliferare come funghi, sulla scia di un sano pragmati- si maggiormente al significato musicale”, non potrà mai far-
smo dominante soprattutto in area anglosassone. si una ragione di questa dura realtà: tuttavia, se vorrà tra-
Il profilo dell’ascoltatore modello delineato da Copland sformarsi in un ascoltatore consapevole e attivo, dovrà ac-
è quello di un fruitore che ascolta in modo più attivo e con- cettare l’idea che la musica vive anche e soprattutto su “un
sapevole la musica perché ne conosce i principali meccani- piano esclusivamente musicale”, e che una vera comprensione
smi di funzionamento. “Comprendere” la musica significa sa- della musica non può prescindere da una conoscenza delle
pere com’è fatta, com’è stata costruita: ovvero – stando ai sue tecniche costruttive (p. 17).
principali contenuti del libro – sapere cosa sono la melodia Nella sua emblematica chiarezza, la posizione di Copland
e l’armonia, le forme del repertorio strumentale e del dram- ci appare decisamente confortante. L’ascoltatore è libero di
ma musicale, le formule di variazioni e gli schemi contrap- far risuonare dentro di sé le qualità espressive della musica
puntistici. L’idea che la conoscenza degli aspetti formali e co- e anche di attribuirgli un significato: ben sapendo, però, che
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 240

 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

tale significato sarà per forza di cose un concetto molto ge- re a interrogarci davvero su come ci fa sentire la musica che
nerale, e che in molti casi non saremo in grado di trovare pa- decidiamo di ascoltare.
role adeguate per descriverlo; che tale significato appartiene
alla sfera della soggettività individuale, e dunque non sarà ne-
cessariamente condiviso da altri ascoltatori; e che infine noi Capire la musica: la parola degli studiosi
stessi, riascoltando un pezzo in momenti e situazioni diffe-
renti, potremmo attribuirgli significati completamente di- Leggendo un libro come quelli di Copland o Bernstein,
versi. Questa impostazione, che si ritrova in gran parte del- si può davvero imparare a “capire” la musica? Secondo il mu-
le guide all’ascolto oggi disponibili nel panorama editoriale, sicologo Massimo Mila, la lettura di un libro non può inse-
è condivisa da un altro compositore e direttore d’orchestra gnarci a comprendere la musica più di quanto non possa “in-
americano che si è impegnato in prima linea sul fronte della segnarci a nuotare o a vincere alla roulette”. Spesso ci capi-
divulgazione musicale, Leonard Bernstein. Alla fine degli ta di sentire frasi del tipo “io non capisco la musica” o “il ta-
anni Cinquanta, il compositore realizzò la fortunata serie di le capisce la musica”, come se capire o non capire la musica
trasmissioni televisive Young People’s Concerts, in cui spiegava fossero due condizioni ben distinte: in realtà la capacità di ca-
in modo semplice e accattivante gli aspetti più complessi del pire la musica può essere più o meno sviluppata, ma non è
linguaggio musicale; i testi di queste guide all’ascolto venne- possibile ipotizzare che esistano delle persone che ne siano
ro in seguito rielaborati e pubblicati in volume (1962). totalmente sprovviste (Mila 1956, p. 49).
La prima cosa che Bernstein insegna al suo uditorio è che Uno dei punti di riferimento più importanti per lo studio
il significato della musica non è altro che “il modo in cui vi dei processi che regolano la comprensione musicale rimane
fa sentire quando la ascoltate”; e siccome ciò che accade ancora oggi un volume pubblicato nel 1956 dal teorico Leo-
dentro di noi dipende dal “modo in cui la musica si muove”, nard B. Meyer dal titolo Emotion and Meaning in Music.
il significato della musica non va ricercato in storie, immagi- Meyer definisce il significato musicale come il “prodotto di
ni o altri elementi esterni alla musica, ma semplicemente un’attesa”: un evento musicale acquista significato quando ne
“nella musica, nelle sue melodie, nelle sue armonie, nei suoi annuncia un altro che accende la nostra attenzione nei suoi
ritmi, nel suo colore orchestrale, e soprattutto nel modo in confronti. L’attesa è il prodotto di consuetudini di risposta
cui si sviluppa” (Bernstein 1962, pp. 49-53). Pur collocandosi sviluppate in relazione a uno specifico stile, e l’emozione
sulla scia del formalismo di Hanslick, Bernstein vuole tra- musicale nasce dall’inibizione di una tendenza a risolvere
smetterci un’immagine della musica più umana, più vicina al che determina uno stato di ambiguità, dubbio e incertezza.
quotidiano della gente: in questa prospettiva, il riferimento Oltre a dar luogo a una risposta affettiva, le tensioni musicali
al vissuto emotivo degli ascoltatori diventa un espediente che nascono dall’inibizione di un’attesa possono sollecitare
particolarmente efficace per convincere il suo uditorio che la una risposta intellettuale, chiamando in causa razionalità e
conoscenza delle tecniche compositive non è un affare riser- giudizio. Il fatto che un brano musicale produca un’espe-
vato agli addetti ai lavori, ma qualcosa che riguarda da vici- rienza affettiva o intellettuale dipende soprattutto dalla di-
no anche la nostra esperienza d’ascolto. Se le nostre risposte sposizione e dall’educazione dell’ascoltatore, e cioè dal suo
emotive dipendono da “come si muove” la musica, è evidente “corredo preparatorio” (Meyer 1956, pp. 27-74).
che conoscere gli aspetti tecnici della musica non significa ac- Il corredo preparatorio condiziona in modo determinan-
cumulare un insieme di nozioni aride e astratte, ma diventa te la nostra percezione: se è fuor di dubbio che la conoscen-
piuttosto l’unica strada da percorrere se vogliamo comincia- za di uno stile, acquisita attraverso ripetute esperienze d’a-
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

scolto, possa accrescere la chiarezza e l’acutezza della per- simbolico, e cioè a interpretare gli stimoli sonori come “se-
cezione, più controversa è invece la funzione di tutte quelle gni” che rinviano a oggetti o concetti di natura extramusica-
informazioni e spiegazioni verbali che possiamo acquisire in le. Secondo Theodor W. Adorno, “in forza di ciò che ram-
merito all’opera che ci apprestiamo ad ascoltare. L’idea di menta, da cui si stacca, mediante cui desta aspettativa, ogni
Meyer è che queste informazioni non possano realmente fenomeno musicale indica qualcosa che va al di là di esso”:
condizionare la percezione dell’ascoltatore o influenzarne il eppure, se durante il nostro ascolto continuiamo a concen-
giudizio, ma semplicemente accrescere o indebolire la sua fi- trarci sulla ricerca affannosa di questo ipotetico “qualcosa
ducia: “gran parte delle informazioni fornite nei programmi d’altro” che la musica vorrebbe simbolicamente esprimere,
di un concerto (…) non ci aiutano ad apprezzare (a com- corriamo il serio rischio di sostituire la realtà oggettiva con
prendere) l’opera direttamente; solo il nostro personale abi- significati transitori e fittizi (1963a, p. 16).
to di risposte può farlo. È più esatto affermare che predi- La possibilità di operare una netta distinzione tra signi-
spongono a un giudizio positivo accrescendo la fiducia e fa- ficati interni e puramente musicali (o “inclusivi”) e signifi-
vorendo un atteggiamento di disponibilità” (pp. 113-115). cati esterni (o “referenziali”) è stata approfondita soprattutto
Nessun discorso esplicativo può dunque automaticamente nell’ambito degli studi di impostazione semiologica (Nattiez
tradursi in una comprensione diretta dell’opera musicale. In 1987). Non tutti gli studiosi, però, sono concordi nell’attri-
tutte le culture, l’ascolto funziona per semplice esposizione buire particolare rilievo a questa distinzione; Hans Heinri-
al flusso sonoro: chi è esposto a flussi sonori costanti e vive ch Eggebrecht, ad esempio, liquida la questione con un
in un ambiente abituato a dar senso a essi, inevitabilmente si semplice interrogativo: “esiste musica che non sia musica-
accultura alla propria musica e impara a capirla. L’accultu- le”? Per quanto possa sembrare futile questa domanda, è evi-
razione non riguarda solo il riconoscimento delle sonorità e dente che se una cosa sta al di fuori della musica le sarà to-
delle strutture tipiche di una determinata musica, ma anche talmente indifferente; ma se la tal cosa, qualunque essa sia,
i modi di interpretarle: nella comunità degli ascoltatori, in- perviene alla musica, si manifesterà in essa, e in quanto mu-
fatti, si creano delle convenzioni interpretative che vengono sica sarà inevitabilmente musicale (Dahlhaus, Eggebrecht
tacitamente riconosciute e condivise (Baroni 2004). La “com- 1985, p. 49).
petenza musicale” è una sfera d’azione stratificata e complessa La discussione sui significati referenziali della musica di-
che non riguarda solo la conoscenza delle tecniche, degli sti- venta particolarmente spinosa nel momento in cui si comin-
li e dei testi musicali, ma investe codici generali comuni ad cia a ipotizzare che tali significati non appartengano alla sfe-
altri campi di esperienze e pratiche sociali. I comportamen- ra soggettiva dell’ascolto individuale (come sostiene ad esem-
ti degli ascoltatori saranno diversi da quelli degli addetti ai pio Copland), ma siano piuttosto il riflesso di un’attitudine
lavori, ma mai totalmente discontinui, dal momento che ogni interpretativa condivisa e radicata nel comune sentire. Re-
attività di produzione di senso utilizza porzioni diverse del- centemente, alcuni studiosi hanno cercato di approfondire la
le medesime competenze di base (Stefani 1982). questione attraverso ricerche sperimentali in cui si stimola-
Quando un compositore parla di musica, o cerca di spie- vano particolari soggetti a verbalizzare le loro esperienze d’a-
garla agli ascoltatori, sa bene che il suo discorso va a innestarsi scolto. I risultati di questi test hanno evidenziato l’esistenza
in un orizzonte di competenze diverse e stratificate. C’è un di corrispondenze statisticamente significative fra alcuni ele-
aspetto, però, che come abbiamo visto sia Bernstein che Co- menti della sintassi musicale e le risposte degli ascoltatori:
pland stigmatizzano con una certa intransigenza: la tenden- questo dimostrerebbe che l’attività ermeneutica dei sogget-
za degli ascoltatori a considerare la musica come un sistema ti interpellati non è legata solo a scelte arbitrariamente indi-
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

viduali, ma segue percorsi che possono essere considerati dall’effetto, dalle intenzioni dell’autore o dai pensieri del-
collettivamente condivisi (Imberty 1986). l’osservatore. Ciò che è espresso è posseduto, e la natura di
Se proviamo a chiedere a un ascoltatore di descrivere un questo possesso è metaforica: “ciò che è espresso è metafo-
pezzo di musica, la sua risposta più immediata sarà quasi si- ricamente esemplificato”. Il possesso metaforico è cosa ben
curamente una frase del tipo “questa musica è…” comple- diversa da un possesso letterale; tuttavia, tanto il possesso me-
tata con nomi di emozioni, come ad esempio “questa mu- taforico quanto quello letterale sono forme di possesso rea-
sica è triste”. Come ha notato il filosofo Peter Kivy, in una le. Per essere efficace, una metafora deve saper combinare l’i-
descrizione di questo genere la musica non viene interpre- naspettato con l’ovvio, la novità con l’appropriatezza: la buo-
tata come “espressione di” una determinata emozione (ex- na metafora dà appagamento nel momento stesso in cui ci
pression of ), ma piuttosto come “espressiva di” quell’emo- sorprende. Dal momento che la pratica artistica è soggetta a
zione (expressive of ). Non si tratta di una distinzione di po- mutamento storico, né il possesso né l’esemplificazione pos-
co conto: quando si dice che il muso del San Bernardo è tri- sono essere considerati assoluti (pp. 80-88).
ste, ad esempio, non si vuol intendere che il cane in que- Stabilire che l’espressione è una proprietà che appartiene
stione sia effettivamente triste, ma semplicemente che il al testo non significa affermare che tutto ciò che possiamo
suo muso è espressivo della tristezza perché alcuni dei suoi dire di un’opera d’arte sia del tutto irrilevante nei confronti
tratti assomigliano a quelli delle espressioni umane della tri- di ciò che essa esprime. Un’opera ha innumerevoli pro-
stezza (Kivy 1989, p. 51). Allo stesso modo, dire che una prietà, molte delle quali di solito rimangono ignorate, ma
musica è triste non significa ipotizzare che l’autore di quel ciò che essa effettivamente esprime sono solo quelle pro-
pezzo abbia voluto esprimere la sua tristezza, ma sempli- prietà metaforiche a cui ci si riferisce (p. 82). In altre paro-
cemente affermare che ciò che si percepisce ascoltandolo è le, mentre è il testo che possiede le proprietà che possiede,
qualcosa di molto simile a ciò che di solito si percepisce di siamo noi che facciamo riferimento a esse. L’atteggiamen-
fronte a una persona che esprime la sua tristezza (Marconi to estetico che Goodmann vuole suggerirci non è dunque
2001, pp. 21-23). una disposizione ad accogliere passivamente l’impronta in-
Forse, come suggerisce il filosofo Nelson Goodman, per trinseca delle cose, ma piuttosto un’azione di ricerca, di
orientarsi in questa giungla di riferimenti incrociati bisogne- esplorazione. La metafora non si limita a formulare una so-
rebbe cominciare a mettere in discussione l’idea che la fun- miglianza già esistente ma crea la somiglianza, configuran-
zione primaria dell’arte sia quella di suscitare emozioni. Un dosi come una forma di “costruzione del mondo” (La Ma-
compositore non è obbligato a provare le emozioni che espri- tina 2007, pp. 114-115).
me nella sua opera; e, ovviamente, le opere d’arte non sen- L’utilizzo della metafora come strumento interpretativo
tono ciò che esprimono. Alcuni pensano che quanto viene della musica vanta una tradizione antica e illustre: come scri-
espresso sia, piuttosto, il sentimento o l’emozione che viene ve il musicologo Nicholas Cook, è quasi impossibile parlare
suscitata nell’osservatore; ma anche questo non è sostenibi- di musica “senza incappare in una metafora”. Allo stesso
le. Raramente, infatti, l’emozione suscitata da una cosa coin- tempo, però, Cook non può celare il suo disappunto nei con-
cide con l’emozione espressa: un volto che esprime strazio po- fronti di un approccio ermeneutico “biblicamente ispirato”
trà ispirarci più facilmente pietà che non tormento (Good- che cerca di descrivere un pezzo di musica attraverso una
man 1968, pp. 47-79). “metafora illuminante” (1998b, p. 83). Questo disappunto,
L’espressione, secondo Goodman, è una proprietà che ap- ampiamente diffuso tra gli addetti ai lavori, è alimentato da
partiene al simbolo stesso, indipendentemente dalla causa, una concezione della metafora come dominio dell’ambiguità;
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

nella prospettiva di Goodmann, invece, l’esemplificazione compositore sarebbe mai venuto in mente di “spiegare” al
metaforica non ha nulla a che vedere con l’ambiguità, e il pos- pubblico i criteri costruttivi della musica. Di musica si par-
sesso metaforico è una proprietà reale almeno quanto quel- lava moltissimo, e non solo in campo filosofico e letterario:
lo letterale. Non è forse un caso che gli studi più recenti nel la critica musicale aveva un ambito di diffusione di tutto ri-
campo della concettualizzazione musicale – intesi, cioè, a spetto, ma raramente il discorso assumeva i toni prosaici di
definire i processi cognitivi grazie ai quali le impressioni al- una descrizione di carattere tecnico, dal momento che le ri-
l’ascolto assumono la configurazione di strutture che rendo- sorse del linguaggio metaforico-allusivo apparivano come un
no possibile la comprensione della musica – utilizzino la me- mezzo di gran lunga più efficace per interpretare il “senso”
tafora come punto di partenza per l’indagine del pensiero mu- della musica ed esprimere una valutazione estetica (Dal-
sicale e dei meccanismi di costruzione del significato monte 2002, p. 668).
(Zbikowski 2002; Spitzer 2004). Anche i compositori che nel corso dell’Ottocento si sono
Come la metafora, la musica non si riferisce a qualcosa di cimentati nell’esercizio della critica, come Hector Berlioz, Ro-
indefinito, ma esemplifica piuttosto qualcosa di molto defi- bert Schumann o Hugo Wolf, nello scrivere una recensione
nito. Di tutto questo si mostrava perfettamente consapevole facevano di tutto per nascondere il proprio abito professio-
il compositore Felix Mendelssohn, che scriveva in una lette- nale. Quasi fosse indelicato parlare del proprio métier, il
ra del 1842: compositore vestiva i panni di un dilettante che disdegna l’a-
nalisi e considera la metafora e la parafrasi poetizzante come
Spesso le persone si lamentano del fatto che la musica è trop- il modo più eloquente per parlar di musica.
po ambigua, che ciò che ascoltano è poco chiaro, mentre d’al- Schumann – capostipite e modello indiscusso dei critici-
tra parte chiunque è in grado di capire perfettamente le paro- compositori ottocenteschi – condivide con scrittori e filosofi
le. Per me è esattamente il contrario. Io amo ciò che mi espri- come E. T. A. Hoffmann, Jean Paul e Friedrich Schlegel l’i-
me la musica, i pensieri per me non sono così indeterminati d’a- dea che la distinzione tra “poetico” e “prosaico” sia l’ele-
ver bisogno delle parole, ma anzi sono fin troppo determinati mento che differenzia l’arte dalla non-arte. Questa distin-
(Barassi 1895, p. 276). zione non ha nulla a che fare con gli aspetti tecnico-forma-
li della musica: un pezzo “prosaico” non è necessariamente
un pezzo mal composto, ma solo un pezzo che non appar-
“Poetico” versus “meccanico” tiene alla categoria dell’arte perché non riesce a trasportare
l’ascoltatore in un’atmosfera poetica (Rostagno 2007, pp. 45-
L’idea che gli aspetti formali e costruttivi della materia so- 75). Poiché forma e tecnica rappresentano per Schumann l’e-
nora rappresentino l’ambito d’elezione dei discorsi sulla lemento “meccanico”, l’aspetto esteriore della musica, il di-
musica comincia ad affermarsi gradualmente nella seconda scorso critico non deve mai metterle in risalto, ma lasciarle
metà dell’Ottocento, ma acquista una forte valenza para- sempre in ombra: per quanto raffinata, l’analisi tecnico-for-
digmatica solo nel corso del ventesimo secolo. Nelle epoche male non può giungere all’essenza della musica che, in quan-
precedenti, la teoria musicale era un ambito riservato agli ad- to contenuto poetico, si rivela esclusivamente al sentimen-
detti ai lavori, e solo chi aspirava alla carriera professionale to (Dahlhaus 1970, pp. 27-28). La “poesia”, quintessenza
poteva trovare un qualche motivo d’interesse nella cono- dell’artisticità della musica, poteva dunque essere tradotta
scenza delle tecniche compositive. L’ascolto musicale era in parole solo attraverso una parafrasi poetizzante carica di
concepito come un’attività naturale e spontanea, e a nessun sentimento:
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

Noi (…) consideriamo come la migliore quella critica che lascia sono persino ovvi per chi è musicista? Appunto questo: impa-
dietro di sé un’impressione uguale a quella dataci dall’origina- rare a vedere abissi là dove sono luoghi comuni… E questo sa-
le che l’ha provocata. In questo senso Jean Paul potrebbe ser- rebbe il riscatto, l’impegno spirituale (…). Una vostra parteci-
vire a comprendere una Sinfonia o una Fantasia beethovenia- pazione a tali problemi potrà avere un senso solo nella misura
na con un testo poetico di riscontro (anche senza parlare di- in cui riceverete un’idea di che cosa sia la musica, e dunque di
rettamente della Fantasia o della Sinfonia) molto meglio che non che cosa sia l’arte (Webern 1960, pp. 15-16).
quegli ignobili critici d’arte che appoggiano le scale al colosso
per misurarlo a braccia (Schumann 1914, p. 177). Quando ci si accosta alle opere d’arte, dice Webern, ci
si deve porre di fronte a esse con “il necessario e profondo
Le idee di Schumann trovano un interessante riscontro ne- rispetto per il segreto che è il loro fondamento”. Senza di-
gli scritti pubblicati nei primi decenni del ventesimo secolo menticare, però, che alla base di ogni arte ci sono delle leg-
da un altro compositore, Claude Debussy, che espone le sue gi costruttive e che pertanto, come suggerisce Goethe nel-
opinioni sulla musica dialogando con un inquietante perso- l’introduzione del suo Farbenlehre, la comprensione del-
naggio immaginario di nome Monsieur Croche (signor Cro- l’arte non può prescindere dal tentativo di rintracciare que-
ma). Come Schumann, il signor Croma si scaglia contro la ste leggi e imparare a conoscerle. Il pensiero è la categoria
tendenza ad analizzare la musica e a smontare le opere come fondamentale dell’esprimibile; è stupefacente, tuttavia, co-
se fossero degli “strani orologi”: non ci era forse proibito, da me non solo la grande massa, ma anche uno spirito elevato
bambini, “sventrare i bambolotti?”. Perché dovremmo im-
come Karl Kraus – autore del celebre aforisma “Musica,
porre un simile trattamento alla musica? Spiegare un pezzo
che lambisce le sfere del pensiero!” – sia totalmente incapace
può servire solo a “uccidere il mistero” e a perdere di vista
di accettare l’idea che la musica non sia solo un “ozioso sca-
l’obiettivo più importante: cercare di “vedere, attraverso le
rabocchio di fronte al pensiero”, ma che nella musica si na-
opere, i molteplici movimenti che le hanno fatte nascere e la
sconda effettivamente un pensiero. Per un artista, l’esigen-
vita interiore che esse contengono” (Debussy 1921, p. 6).
Questa visione si riflette, ovviamente, anche sul suo modo di za di scrivere musica nasce dalla necessità di esprimere un
parlare di musica: il signor Croma, infatti, “parlava di una par- pensiero che non poteva essere espresso altrimenti se non in
titura d’orchestra come di un quadro, senza usare quasi mai suoni. Artista è colui che non solo possiede un pensiero mu-
termini tecnici, ma ricorrendo a parole inconsuete, di una ele- sicale, ma che è anche capace di esprimerlo nella forma più
ganza spenta e un poco logora che sembrava avere il suono perfetta: questa componente del fatto artistico – la tecnica
delle vecchie medaglie” (p. 4). di esposizione delle idee musicali – è altrettanto necessaria
Di tutt’altro avviso era invece il compositore Anton We- di un contenuto che non sia ancora stato espresso ed esiga
bern, che tra il 1932 e il 1933 tenne una serie di conferenze di venire alla luce. Le tecniche materiali non hanno un si-
sulla musica in una casa privata di Vienna. Nel parlare a un gnificato in sé, ma lo acquistano nel momento in cui diven-
pubblico composto in prevalenza da dilettanti, Webern sol- tano lo strumento più chiaro, semplice e comprensibile per
lecita i suoi interlocutori ad adottare un atteggiamento se- esprimere un pensiero musicale in modo coerente e artico-
rio e responsabile nei confronti dei dettagli tecnici del fatto lato, in base ai principi della logica musicale. Di conse-
artistico: guenza, un ascoltatore che voglia avvicinarsi alla compren-
sione del pensiero musicale non potrà fare a meno di “ten-
Che senso può avere per gente che non si occupa di musica per tare di impadronirsi delle leggi fondamentali della musica”
professione, ossia per i profani, affrontare questi problemi che (pp. 17-28).
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

Mentre Schumann o Debussy pensavano che parlare al Se un compositore non può rivendicare uno sguardo og-
grande pubblico degli aspetti tecnici della musica fosse un gettivo sulla musica di cui parla è semplicemente perché
modo per “uccidere il mistero”, Webern ci invita ad ac- nessuno, al pari di lui, ha potuto maturare un conflitto di in-
cettare l’idea che l’unica via di accesso agli abissi più teressi così profondo nei confronti delle cose che più gli
profondi del pensiero musicale passa attraverso il tentati- stanno a cuore. Per un compositore, studiare e analizzare la
vo di interpretare gli aspetti costruttivi del dato sonoro. musica dei suoi colleghi è una pratica quotidiana, un’esi-
Mettendoci in guardia, però, anche da un altro equivoco genza irrinunciabile: non solo perché gli consente di mette-
sempre in agguato: l’idea, cioè, che i nostri discorsi sulle re a punto le tecniche, i ferri del mestiere, ma anche perché
tecniche musicali possano avere un esito risolutivo sull’in- il processo di definizione della sua identità e della sua poe-
terpretazione del senso della musica. Nell’esortare gli ascol- tica individuale è mediato da un continuo confronto dialet-
tatori ad avvicinarsi alle opere musicali con un “profondo tico con i suoi predecessori. Un compositore come Luciano
rispetto per il segreto che è il loro fondamento”, Webern Berio non ha alcuna difficoltà a riconoscere che l’analisi
ci ricorda che la nostra interpretazione non potrà mai con- “può costituire un contributo concreto e profondo al pro-
durci a una conoscenza oggettiva, lineare, definitiva: per- cesso creativo” (Berio 2006, p. 107). Allo stesso tempo,
ché comprendere la musica non significa scioglierne i mi- però, Berio ci mette in guardia rispetto ai contenuti dell’a-
steri, ma semplicemente imparare a vederli in tutto il loro nalisi di un compositore: perché ogni volta che parla di mu-
splendore. sica, in realtà egli non fa altro che parlarci di se stesso, e cioè
della sua personale visione della musica. Quando Schumann
scriveva di Chopin, completava e immaginava se stesso;
L’oggettività dei discorsi autoriali quando Berlioz scriveva di Beethoven proiettava se stesso;
quando Debussy scriveva di Musorgskij descriveva se stes-
La parola del compositore, come abbiamo ricordato più so, e così via (Berio 1981, p. 4). In definitiva, quando un com-
volte, gode di un’autorevolezza che nessun’altra parola è in positore fa un’analisi “si tratterà in ogni caso di autoanalisi:
grado di rivendicare. L’autorevolezza, tuttavia, è cosa ben di- egli proietterà inevitabilmente se stesso e la propria poetica
versa dall’obiettività. Una distinzione che Copland, con gran- nell’analisi dell’opera. Si confessa sul divano dell’opera al-
de onestà intellettuale, nell’introduzione al suo libro What to trui” (Berio 2006, p. 100).
Listen for in Music non manca di segnalare ai suoi lettori: Non c’è niente di aberrante in tutto questo: i discorsi dei
compositori, come qualunque altro discorso sulla musica,
Ascoltare la musica è per il compositore una cosa semplice e na- non sono altro che un documento della storia della ricezio-
turale. Così dovrebbe essere per tutti. E se è necessaria una spie- ne di un’opera. Per quanto la visione di un compositore pos-
gazione il compositore, per la sua conoscenza del processo crea- sa essere parziale, interessata, poco oggettiva, essa tuttavia
tivo, pensa di poter dire meglio di ogni altro quello che dalla mu-
non si limita a fornirci informazioni solo sul soggetto analiz-
sica si deve trarre.
Forse a torto. Forse l’artista creatore, perché più interessato, è zante, sulla sua prospettiva e sulla sua scala di valori. Questa
meno oggettivo dell’insegnante. Ma lo scopo è degno del rischio. lettura ci dice sempre e comunque qualcosa di importante an-
La posta in gioco è vitale per lui. L’aiuto che può dare agli altri che sull’opera esaminata, che certo vive di una sua materia-
per una migliore conoscenza della musica, estendendo la cul- lità oggettiva, ma anche e soprattutto delle infinite stratifi-
tura musicale, influenza la comprensione delle composizioni sue cazioni e proiezioni di senso che si sono accumulate nel cor-
proprie (Copland 1957, p. 5). so della sua storia interpretativa.
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 SUSANNA PASTICCI PARLARE DI MUSICA... 

Fin qui ci siamo occupati dei compositori che indossano e che la parola non può vantare alcun potere taumaturgico
i panni del divulgatore o del critico musicale per parlarci del- nei confronti di un dato sonoro che non solletica le nostre
le opere di altri artisti. Nel corso del Novecento, tuttavia, si corde emotive. Se decide di parlare della sua musica, dun-
assiste a una significativa proliferazione di discorsi autoriali: que, non è tanto perché pensa che le parole possano di-
oltre a scrivere musica, molti compositori sentono sempre più ventare un mezzo di persuasione più efficace dei suoni, ma
l’esigenza di corredare il dato sonoro di una spiegazione ver- semplicemente perché sente l’esigenza di condividere con
bale che possa fornire agli ascoltatori una chiave interpreta- i suoi ascoltatori alcune questioni a cui egli ha attribuito par-
tiva delle proprie opere. Questo atteggiamento, che non ha ticolare rilievo in sede creativa.
precedenti significativi nella storia musicale, evidenzia un La scelta di accogliere l’invito ad avventurarsi nei terri-
nodo problematico, o comunque una situazione di criticità. tori più impervi della creatività musicale non dà all’ascolta-
Che può essere solo in parte spiegata alla luce del progressi- tore alcuna garanzia in merito all’effettiva possibilità di per-
vo moltiplicarsi delle occasioni in cui, nel corso del ventesi- venire a una più profonda comprensione del dato sonoro:
mo secolo, è diventato sempre più possibile e necessario par- non fosse altro perché la poetica esplicita di un autore (ciò
lare di musica: nei programmi di sala dei concerti, nei li- che ci viene spiegato a parole) e la sua poetica effettiva (ciò
bretti illustrativi che accompagnano le incisioni discografiche, che si concretizza nella veste sonora dell’opera) rimangono
nei dibattiti pubblici, nelle trasmissioni radiofoniche e tele- sempre due sfere distinte, o comunque non totalmente as-
visive. Anche perché la proliferazione dei discorsi autoriali similabili (Pasticci 2006). Questo non significa, però, che tut-
non investe in egual misura tutte le musiche del Novecento, to ciò che un compositore può dirci sulla sua musica sia del
ma riguarda in particolar modo quelle di carattere più spe- tutto irrilevante; neppure in quei casi in cui diventa davve-
rimentale, che volutamente si allontanano da un’idea di arte ro difficile conciliare le sue parole con l’immagine sonora che
familiare e conciliante: è soprattutto in questi casi, infatti, che ci viene restituita dall’esperienza uditiva. Anche quando i di-
l’opera musicale sembra voler essere rassicurata da un di- scorsi autoriali non sono immediatamente traducibili in un
scorso verbale che faccia da tramite fra la sua apparenza sen- agile vademecum di guida all’ascolto, essi rappresentano
sibile e la sua possibile essenza. Compositori come Schön- sempre e comunque un contributo importante alla rico-
berg, Boulez o Stockhausen parlano così tanto della propria struzione di senso.
musica perché sono profondamente consapevoli del fatto Certo non è facile accettare l’idea che la parola del com-
che, senza un’adeguata giustificazione verbale, certe scelte positore possa rivelarsi, alla resa dei conti, così parziale, sog-
poetiche che si discostano dalla prassi convenzionale corro- gettiva, e in certi casi addirittura inefficace. In fondo, se ab-
no il rischio di andare incontro a una vera e propria incom- biamo deciso di concentrare la nostra attenzione sui discor-
prensione da parte del pubblico (Borio 2003, p. 3). si dei compositori, è perché dalla loro autorevolezza ci aspet-
Nessuna spiegazione logica, per quanto articolata e con- tavamo risposte più chiare, efficaci, risolutive. Eppure, a ben
vincente, potrà mai convincere un ascoltatore ad avvici- guardare, c’è almeno un contenuto di verità che questi di-
narsi a una musica che non lo stimoli, non lo incuriosisca o scorsi sono in grado di indicarci con un relativo margine di
non lo coinvolga innanzitutto sul piano sensoriale ed emo- certezza: l’idea che la ricostruzione di senso, in musica, non
tivo. Nessuna parola ha il potere di far decantare una mu- avviene solo ed esclusivamente per tramite dell’ascolto. Noi
sica che risuona muta alle nostre orecchie. Ogni composi- ascoltiamo attraverso il nostro udito, e non con esso. Se ascol-
tore di buon senso sa bene tutto questo: sa che nessun di- tassimo solo con le orecchie, non comprenderemmo nulla. La
scorso sulla musica può sostituirsi all’esperienza di ascolto, musica è suono che continuamente si fa senso: e la ricerca del
i discorsi della musica 4-09-2008 12:09 Pagina 254

 SUSANNA PASTICCI

senso avviene, inevitabilmente, per il tramite della parola. Bibliografia


Proprio per questo, tutto quello che diciamo o che ci sen-
tiamo dire sulla musica può incidere in modo determinante
sulla nostra esperienza d’ascolto.
Secondo il compositore Wolfgang Rihm, se fossimo dav-
vero decisi a origliare il “dire” della musica, esso potrebbe
suonare pressappoco così: “La musica dice: Io sono. Affin-
ché io possa essere: Ascolta! Affinché tu ascolti: Parla! Af-
finché tu parli: io sono!” (Rihm 1991, pp. 56-57). Parola di
Nel testo, l’anno che accompagna i rinvii bibliografici secondo il sistema auto-
compositore. re-data è sempre quello dell’edizione in lingua originale, mentre i rimandi ai nu-
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 SUSANNA PASTICCI

Stampato per conto della casa editrice Meltemi


nel mese di settembre 2008
presso Arti Grafiche La Moderna, Roma
Impaginazione: www.studiograficoagostini.com

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