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BUSINESS FELICI
55 LEZIONI DA 1 MINUTO
per vivere bene
e lavorare meglio!
di Paolo Borzacchiello
edizioni PB Group
INDICE
Introduzione
Manifesto
Lezioni 1- 55
1. MA TU CE L’ HAI UN BUSINESS FELICE?
2. CHARLES DARWIN E L’ESTINZIONE DEI COMPETITORS
3. GANDHI, LO ZUCCHERO E I VENDITORI DA 2 SOLDI
4. LA SCRIVANIA DEL PAPA’ DI AMAZON
5. VENDITA: WOLF OF WALL STREET VS DOCTOR SPOCK
6. PENSA IN GRANDE, DICE DONALD TRUMP
7. LA SCELTA DI KISSINGER PER VENDERE MEGLIO
8. LIE TO ME, MEHRABIAN E GLI STUDI ( SBAGLIATI ) SULLA
COMUNICAZIONE NON VERBALE
9. FORREST GUMP E IL SEGRETO DEL SUCCESSO
10. HARRY POTTER, I MOLLICCI E I BUSINESS FELICI
11. BATMAN, TRAGEDIE E FORMAZIONE
12. TAFAZZI E IL MODELLO DI BUSINESS MASOCHISTICO
13. SORRIDERE FA GUADAGNARE DI PIÙ ( PAROLA DI JOKER )
14. NIKE, YODA E I VERBI DELLE PERSONE DI SUCCESSO
15. MR. WOLF LE BUFALE DEL COACHING E DELLA FORMAZIONE
16. TERMINATOR, I VENDITORI TUTTOFARE E L’IMMENSA BALLA
DEL MULTITASKING
17. AGASSI, DJOKOVIC E IL SEGRETO DEI BUSINESS FELICI
18. HARVEY MACKAY E LA RICETTA MAGICA PER I BUSINESS
FELICI
19. IL PARADOSSO DEL VENDITORE E LA RICETTA PER DIVENTARE
UN VENDITORE SHIBUMI
20. QUELLI CHE ANCORA ETICHETTANO I CLIENTI
21. 9 SEGRETI DELLA COMUNICAZIONE IN 1 MINUTO E 59 SECONDI
22. 10 FORMATORI CHE POSSONO RENDERE LA TUA VITA
ECCEZIONALE. FORSE
23. COME ROVINARSI EFFICACEMENTE LA VITA IN 10 MOSSE
( E IN MENO DI UN MINUTO )
24. L’ATTEGGIAMENTO DEL VERO VINCENTE
25. SEI UN KAMIKAZE? OVVERO: TI DARANNO QUEL CHE CREDI DI
MERITARE
26. ROCKY BALBOA E I VENDITORI DI SUCCESSO
27. BUDDHA, COACHING E BUSINESS FELICI
28. IL VENDITORE È MORTO
29. GET SHIT DONE!
30. APPLE E LA SFIDA DELLA NOVITÀ
31. VENDITA: QUEL CHE DEVI SAPERE DAVVERO
32. VENDERE DI PIÙ? CAFFÈ CALDO, SCARPE NERE E LE PAROLE
GIUSTE
33. TUTTO QUELLO CHE SAI SULLA CNV È ( PROBABILMENTE )
FALSO
34. I 5 TIPI DI VENDITORE CHE DEVI EVITARE COME LA PESTE
35. A FAR LO SCONTO SON CAPACI TUTTI
36. IL PROBLEMA DEI DETERSIVI, DARWIN E LA FORMAZIONE
AZIENDALE
37. FORMAZIONE AZIENDALE: LA TUA UNICA VIA DI SALVEZZA ( SE
FATTA BENE)
38. STAI ZITTO E VENDI
39. 5 LEZIONI DI BUSINESS CHE NON TI ASPETTI
40. C’È CRISI O SEI IN CRISI?
41. SOLO BUSINESS ( E VITE ) FELICI
42. È DAVVERO POSSIBILE MANIPOLARE I PENSIERI DEL TUO
CLIENTE?
43. 5 IDEE PER VENDERE SPUDORATAMENTE
44. NELLA VITA, A VOLTE VINCI. LE ALTRE VOLTE IMPARI
45. 7 REGOLE PER UN BUSINESS FELICE ( ovvero: come ripensare la
FORMAZIONE AZIENDALE )
46. ESSERE FELICI CONVIENE
47. SUCCESSO E ALTRUISMO
48. I CLIENTI NON SANNO QUELLO CHE VOGLIONO
49. LA REGOLE ESSENZIALE PER IL SUCCESSO
50. WIKIPEDIA, EXPO E LE PECORE
51. ERBA, VENTO E ( FORSE ) UN LEONE: ECCO PERCHÈ CI
ROVINIAMO LA VITA
52. SE PAGHI NOCCIOLINE, LAVORI CON LE SCIMMIE
53. LE TECNICHE NON FUNZIONANO
54. ( ALCUNE ) PAROLE PER I TUOI BUSINESS FELICI
55. QUEL CHE TI SERVE DAVVERO
Ringraziamenti
INTRODUZIONE, 13 novembre 2015
A settembre 2014 ho iniziato la mia avventura di blogger, aprendo il blog
“solobusinessfelici” (tutto attaccato). È stato l’inizio di un percorso bellissimo: il
blog è molto seguito e, mi dicono, ha ispirato e ispira moltissime persone.
Per questo, ho deciso, a distanza di un anno, di fare il punto della situazione e di
rendere ancor più divulgabile il messaggio che amo diffondere, dai social, in
azienda, in aula. Ovvero: il successo (qualsiasi cosa tu intenda per successo) è
sempre e solo il frutto di una potente alchimia fra la crescita personale e
l’apprendimento di nuove tecniche e abilità. Testa, mani e cuore, insomma.
Privilegiare un aspetto sugli altri porta solo disarmonia: troppa testa senza cuore,
non va bene. Troppo cuore senza mani che fanno, idem. Troppo fare senza testa
e senza cuore, è sterile. E così via.
Quindi, che cosa ho fatto?
Ho ripreso i post che hanno riscosso più successo, li ho sistemati per farli
diventare lezioni da un minuto e li ho sistemati dividendoli in aree tematiche.
Puoi leggere questo libro come ti pare: una lezione al giorno o tutte le lezioni
che vuoi, nell’ordine che preferisci, seguendo la numerazione proposta o
spiluccando qua e là in base alla tua ispirazione.
Ricorda solo, quale che sia il tuo approccio alla lettura, che fra il sapere e il saper
fare c’è una bella differenza, così come c’è una bella differenza fra testa e mani.
Le cose, o le fai o guardi gli altri mentre le fanno.
Buona lettura, buona vita e buon business!
Paolo
MANIFESTO DI SBF
Dopo quasi vent’anni trascorsi tra aula e azienda, posso dire che la maggior parte
delle persone che incontro, all’inizio, ha una serie di preconcetti sul mondo del
business e di convinzioni assolutamente limitanti, che impediscono la loro
crescita personale e professionale e il loro benessere, sia come individui sia
come membri della collettività.
Ecco l’elenco delle principali convinzioni limitanti e preconcetti di cui sento
spesso parlare:
1. Per avere successo devi fare una fatica immensa, o svolgere un lavoro
durissimo;
2. Esser bravissimi nella vendita, nella comunicazione o nel business significa
diventare un cinico bastardo senza scrupoli;
3. Il lavoro è lavoro e la vita privata è la vita privata.
Ebbene, si tratta di convinzioni limitanti e, soprattutto, false. Ogni giorno, in
azienda e in aula, promuovo a ogni livello (dai dipendenti ai dirigenti), attraverso
formazione e coaching, una nuova cultura, essenziale all’insegnamento di nuove
abilità. Senza queste convinzioni e senza questa cultura, l’apprendimento di
tecniche, metodi e strategie è praticamente inutile.
Ecco, invece, le convinzioni potenzianti alla base dell’idea di solobusinessfelici:
1. Per avere successo, devi divertirti un sacco. Sennò, non è vero successo. Il
successo pieno è solo quando, oltre ai numeri positivi di bilancio, hai anche il
cuore felice;
2. Puoi essere un mago della vendita, della comunicazione efficace e della
strategia senza diventare una carogna. Anzi: puoi usare le tue abilità per
migliorare la tua vita e quella degli altri.
3. Non c’è soluzione di continuità fra lavoro e vita: se il lavoro va male, andrà
male anche la tua vita privata. E viceversa. La storia dei “problemi fuori dalla
porta non funziona, nel lungo periodo.
Ecco dunque, per me, la necessità, dopo tutti questi anni, di dare una spinta
sull’acceleratore e di promuovere con ancora più vigore queste idee, a mio
avviso essenziali a uno sviluppo pieno e armonico dei business e delle persone
che ne fanno parte. E queste idee riguardano imprenditori, liberi professionisti,
dipendenti, impiegati, studenti, tutti.
Perché, dunque, solobusinessfelici?
1. Perché la vita è breve e il tempo che dedichi al lavoro deve essere di qualità;
2. Perché se non ti diverti, non ne vale la pena;
3. Perché la vita lavorativa non finisce mai e, se non stai bene, tutti ne
pagheranno il prezzo.
Quali idee in solobusinessfelici?
1. Puoi avere un successo straordinario, senza sacrificare la salute;
2. Puoi fare un sacco di soldi senza diventare una cattiva persona;
3. Puoi lavorare tutti i giorni, senza lavorare un solo giorno della tua vita.
Prima di andare avanti, però, come direbbe il mio adorato Steve Jobs, “one more
thing”.Un altro paio di idee, insomma. Anzi, tre (che è il numero perfetto):
1. I soldi fanno la felicità. Rendono la vita migliore. Dipende da come li usi, e
con chi.
2. A parte i figli, tutti gli altri sono estranei trovati per la strada: se il tuo gruppo
dei pari ti va stretto, cambia.
3. Puoi fare qualsiasi cosa, se vuoi. Tutto il resto (la crisi, la sicurezza, il
momento buono, i soldi, il tempo...) sono cazzate. Immense. E lo sai
perfettamente anche tu.
1
COMPETITORS
Se vuoi sapere come andrà il tuo business, pensa a Darwin.
Se vuoi evitare il rischio di estinguerti, pensa a Darwin.
Se vuoi avere sempre #solobusinessfelici, pensa a Darwin.
Viviamo in un mondo frenetico, in cui oggi è già ieri, in cui i prodotti diventano
vecchi dopo un paio di settimane e le idee vengono copiate prima ancora di esser
brevettate. La chiave di volta per il successo, ora più che mai, è data dalla
capacità di adeguare sestessi e il proprio business al mondo che abbiamo intorno.
Molti imprenditori o liberi professionisti, che hanno raggiunto traguardi
importanti o che godono, al momento, di una posizione di prestigio , si siedono
sugli allori e si godono i frutti della meritata fatica. E fanno pure bene, da certi
punti di vista. Ma dovrebbero ricordarsi di Darwin e riflettere su questo fatto,
tanto semplice quanto eclatante: anche se sei il numero uno, sei il numero uno …
oggi . Anche se il tuo prodotto è il migliore, è il migliore … oggi. Anche se
domini il mercato, domini il mercato … oggi.
Pensaa Blockbuster , il colosso delle videocassette che aveva fagocitato i piccoli
distributori. Oggi, dov’è?
E Nokia , leader assoluto nel mondo dei telefoni fino ai primi anni del 2000,
oggi dov’è?
E che mi dici di Kodak , giusto per fare altri esempi di aziende che, assunta una
posizione di leadership, si sono dimenticate di innovare ed evolversi?
Una delle più clamorose falsità che circola nel mondo del business è che vince il
più forte, che l’evoluzione premia il più grande e grosso. Falso. L’evoluzione
premia il più flessibile , altrimenti avremmo per le strade i T-Rex. E invece
abbiamo ancora le farfalle, che si sono sorbite la bellezza di 10.000 anni di
evoluzione stando al passo coi tempi.
Charles Darwin, e ti conviene ricordarlo bene, provvede alla pulizia del sistema:
via il vecchio, avanti il nuovo. Tu devi semplicemente decidere da che parte
della scala evolutiva vuoi stare.
Ecco una breve ricetta per te, per evitare di diventare un’altra vittima della storia
evolutiva e per continuare a trionfare nel mondo che avanza.
1. Studia: leggi più libri che puoi, frequenta più corsi che puoi. Tieni la mente
aperta.
2. Frequenta persone più in gamba di te, c’è sempre da imparare.
3. Poniti quotidianamente questa domanda: “cos’altro posso fare?”
4. Studia: leggi più libri che puoi, frequenta più corsi che puoi. Tieni la mente
aperta.
5. Studia: leggi più libri che puoi, frequenta più corsi che puoi. Tieni la mente
aperta.
(I punti 1, 4 e 5 sono ripetuti volutamente, non si tratta di un refuso. E’ semplice
insistenza mia: sai come si dice, fidarsi è bene …)
3
SOLDI
Si racconta che un giorno una mamma portò suo figlio da Gandhi, per ricevere
aiuto.
“Mio figlio è diabetico ma continua a mangiare zucchero, aiutalo a smettere”,
implorò la mamma.
“Torna tra un mese”, le rispose Gandhi.
La mamma tornò con suo figlio esattamente il mese dopo e ripeté a Gandhi la
sua supplica.
“Smetti di mangiare zucchero”, disse Gandhi al ragazzo, e li congedò.
La mamma tornò a trovare Gandhi dopo un altro mese.
“Mio figlio ha smesso davvero di mangiare zucchero”, lo ringraziò. E poi
aggiunse: “Ma non potevi dirgli di smettere di mangiare zucchero addirittura la
prima volta che siamo venuti da te?”
“No”, rispose Gandhi, “perché la prima volta che siete venuti da me, io ancora
mangiavo zucchero”.
Questo incredibile racconto mi porta a considerare uno dei principali problemi
delle aziende italiane con cui lavoro: i venditori. Ne parlo da venditore, perché lo
sono stato e lo sono. Da venditore con il cuore in mano, innamorato di quel che
vende e profondamente convinto che senza coerenza non si va da nessuna parte.
Quando faccio sales training in azienda, quasi inevitabilmente resto amareggiato
dall’astio e dall’ostilità che alcuni venditori con cui lavoro manifestano verso la
loro azienda, la stessa azienda che, nel bene e nel male, paga loro stipendi e
provvigioni con i quali mangiano e vivono. Ci sono le eccezioni virtuose,
naturalmente: commerciali innamorati del prodotto dell’azienda, professionisti
disposti a sputar sangue e a lottare con i denti per ciò in cui credono. Ma la realtà
è che la figura del venditore, in molti casi, si sta sprofessionalizzando e
soprattuto si sta diluendo in quella del dipendente che timbra il cartellino, seduto
sugli allori del compenso fisso o della base provvigionale.
Quando assisto a questo sfogo di lagnanze, che vanno dalle già citate lamentele
sui cataloghi, passando inevitabilmente per quelle sul prezzo, sulla concorrenza
che ha prodotti migliori, su questo e su quello, resisto poco più di cinque minuti,
poi inizio a menar fendenti, richiamando all’ordine questo esercito di
mezzuomini e stimolando in loro un minimo di senso di responsabilità e
orgoglio.
Come è possibile che i clienti comprino il tuo prodotto o utilizzino il servizio che
offri, se a te non brillano gli occhi, se tu per primo sei ostile all’azienda che
rappresenti?
Come è possibile che tu riesca a fare business se sei corroso dal livore o vittima
della frustrazione?
Con quale dignità accetti il bonifico di fine mese che l’azienda ti gira, dopo
averne parlato così male?
Mi è capitato più di una volta di mettere alle strette commerciali troppo
disfattisti: o aderisci alla filosofia dell’azienda per cui lavori, o vai a lavorare da
qualche altra parte. Punto, senza storie. Io stesso, quando mi rendo conto di non
essere allineato con il mio cliente, passo la palla a qualcuno dei miei
collaboratori o semplicemente declino l’invito.
E’ ora di finirla con le vittime, i critici a oltranza, i mangia pane a tradimento: o
sposi l’idea e la porti avanti con tutto te stesso, o lascia stare.
I venditori che cerco, quelli che mi piace addestrare, sono quelli che si
lamentano poco e che fanno la loro parte, sono quelli che pongono all’azienda
per cui lavorano proposte costruttive e, soprattutto, sono quelli che parlano e
avanzano eventuali lamentele (legittime, in alcuni casi) solo dopo aver portato a
casa budget e fatturato.
Il venditore eccellente, prima ama e poi vende.
Per vendere, serve coerenza, come quella di Gandhi. Prima, ama il tuo prodotto,
poi esci a venderlo.
Sennò, vai a vendere qualcos’altro. O cambia mestiere.
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DOCTOR SPOCK
Sei un venditore alla Jordan Belfort o sei un venditore alla dottor Spock?
Se pensi di vendere numeri, sei sulla cattiva strada. La razionalità non paga. Il
calcolo, quello che Aristotele – parlando delle leggi della retorica – chiamava
“logos”, è utile solo se preceduto dall’emozione, il “pathos”. Jordan Belfort, al di
là della sua condotta poco etica, era un venditore eccezionale e puntava tutto
sulla pancia del cliente e dei suoi collaboratori: qualche numero ma soprattutto
emozioni, desideri, sogni. Il dottor Spock, invece, con la sua razionalità, restava
sempre di sasso di fronte alle manifestazioni emotive dei suoi compagni di
viaggio: sarebbe stato un pessimo venditore.
Per molto tempo ho insistito, durante i corsi di addestramento, affinché i
venditori con cui lavoravo trovassero la loro USP, Unique Selling Proposition,
ovvero l’argomentazione di vendita unica e perfetta. Oggi, pur ribadendo
l’importanza della USP, dedico molto più tempo alla elaborazione della ESP ,
ovvero la Emotional Selling Proposition . Cioè chiedo, e mi chiedo: in che modo
posso vendere il mio prodotto dal punto di vista emotivo?
Se vuoi fare una grande vendita, prima di affrontare il cliente dovresti aver
risposto in modo esauriente a queste domande:
1) Quale vantaggio concreto e pratico il mio prodotto fornirà al mio cliente?
2) Qual è l’aspetto divertente, emozionante, suggestivo legato all’acquisto del
mio prodotto?*
3) In che modo il mio prodotto migliorerà, in concreto, la vita di chi lo acquista?
Se hai pensato: “ma io vendo tubi di ferro, non ci sono aspetti divertenti nel
vendere un tubo di ferro!”, stai guardando dalla parte sbagliata. Forse non è
divertente acquistare tubi di ferro, di certo è divertente passare più tempo con la
propria famiglia, dopo che i tuoi tubi di ferro hanno reso la vita di chi li compra
più semplice e redditizia.
In questo, le ricerche condotte nel campo della PNL e del Neuromarketing,
confortano assai: se vendo un prodotto dicendo che è UTILE E BELLO e se
vendo lo stesso prodotto dicendo che è BELLO E UTILE, oltre l’80% dei
consumatori preferisce la versione “bello e utile”. E, invece, mi trovo
quotidianamente a dover lavorare su presentazioni aziendali e commerciali che
altro non sono se non un elenco lunghissimo di benefici, di plus, di features. Se
basi la tua presentazione commerciale e la tua vendita sull’elenco di features del
tuo prodotto, stai attento: domani potrebbe arrivare un competitor con un plus in
più, cancellandoti dal mercato. Ma se basi, viceversa, la tua presentazione
commerciale e la tua vendita sulle emozioni suscitate nel tuo cliente, allora
nessun numero – e nessun prezzo – ti sconfiggerà.
Ricorda che non ci sono prodotti cari, ma venditori che non riescono a farne
percepire il valore , ossessionati dal prezzo o da altre quisquiglie terrene. Con
questo in testa, farai grandi cose.
Come diceva il guru del marketing, Philip Kotler: “La gente non compra punte
di trapano, ma buchi nel muro per appendere le foto dei figli”.
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MEGLIO
Una delle tecniche di vendita che preferisco è la cosiddetta “scelta di
Kissinger”.
Puoi applicarla quando vendi beni o servizi e quando hai 3 opzioni diverse da
proporre al tuo cliente. Se hai più o meno di 3 opzioni, puoi ridurle a 3, proporne
solo 3 o, semplicemente, applicare altre tecniche. Puoi applicarla non solo in
vendita, ma anche durante riunioni commerciali con i tuoi collaboratori o
colleghi. E, se te lo stai chiedendo, sì: anche a casa, quando devi convincere
figli, mariti, mogli.
Funziona così:
1. Prima, proponi il prodotto o il servizio più costoso e aspetti che il cliente
decida (o l’opzione più impegnativa, in riunione). Se obietta o se inizia a
discutere di dettagli, lascia perdere gli altri due punti e concentrati su questa
opzione. Chi obietta, compra. Vuole solo esser convinto da te o vuol solo
dimostrarti che anche lui è bravo a gestire le cose. Se, invece, la tua prima
proposta è davvero fuori della sua portata, passa ai punti 2 e 3.
2. Proponi, a questo punto, la proposta peggiore, e denigrala. Devi esser tu a
parlarne male. In questo modo, il cliente si sentirà impossibilitato a sceglierla.
Dovrebbe ammettere a te e a se stesso di voler comprare qualcosa di scarso. E’
essenziale che tu ne parli male.
3. Proponi, infine, la via di mezzo: il tuo cliente sceglierà questa.
Esempio 1: voglio vendere una casa.
1. Mostro prima la casa magnifica, che il cliente non può permettersi;
2. Mostro poi la casa degli orrori, dicendo che in effetti è brutta e cade a pezzi;
3. Mostro la via di mezzo e vendo questa.
Esempio 2: voglio vendere un mio servizio di consulenza.
1. “Se vuoi, puoi fare tutti i miei corsi e prenotare due giornate al mese, al costo
di € xxxxxx”;
2. “Certo, volendo puoi anche fare un paio di incontri da mezza giornata… ma ti
dico subito che non ti servono a molto, che sono praticamente inutili…”;
3. “Oppure, fai così: ti prenoti un bel corso e poi ci vediamo una volta al mese
fino a fine anno, così raggiungi i risultati che desideri!”
Esempio 3: voglio vendere una macchina per il pane.
1. “Il modello top di gamma è questo… costa € xxxx”;
2. “Altrimenti c’è questo, ma non è granché… si rompe facilmente…”;
3. “Oppure, abbiamo questa: bellissima, e davvero funzionale!”
Allenati bene con questa tecnica e… buone vendite!
Ps:
per rendere questa tecnica naturale e per riuscire ad applicarla con facilità, ti
suggerisco di scriverti numerosi esempi e di recitarli allo specchio. Hai capito
bene: davanti allo specchio. Le negoziazioni si preparano lontano dal tavolo
negoziale, con carta, penne e specchi.
8
VERBALE
In PNL si parla spesso di 3 livelli di comunicazione . Il primo è il livello
VERBALE (le parole che dici), il secondo è il livello PARAVERBALE (tono di
voce, volume, velocità del parlato, pause) e il terzo è il livello NON VERBALE
(i gesti e il linguaggio del corpo).
A questo proposito, voglio subito sgomberare il campo da un equivoco, legato a
un celebre studio, condotto negli anni ’70 dallo psicologo Albert Mehrabian,
secondo il quale la comunicazione non verbale, durante una comunicazione, ha
un’influenza del 55%, la comunicazione paraverbale del 38% e la
comunicazione verbale del 7%. Molte persone si sono basate (e, purtroppo,
ancora si basano) su queste ricerche proclamando a gran voce che “non conta
quello che dici ma conta come lo dici”. Io stesso, a inizio carriera, ci ero cascato
come un pollo e avevo preso per oro colato tutto quello che leggevo su alcuni
libri, senza ragionarci con il giusto spirito critico.
Si tratta di un grossolano errore.
Primo, perché lo stesso Meharabian aveva specificato che questi risultati delle
sue ricerche erano relativi solo a uno specifico contesto, ovvero l’espressione di
sentimenti e atteggiamenti (puoi trovare on line numerose sue testimonianze
scritte al riguardo). Cioè: se tu dici di essere arrabbiato mentre sorridi, chi ti
ascolta crederà più al sorriso che alle tue parole (ovviamente, del resto).
Secondo, perché la recente ricerca, basata su studi di neuroimaging, ha
dimostrato senza ombra di dubbio come le parole abbiano un potere immenso sul
cervello di chi le riceve. Ci sono parole che hanno il potere di far rilasciare al
cervello dopamina (ad esempio: “saldi”) e ci sono verbi, cosiddetti “di azione”
che accendono nel cervello le stesse aree che si accendono quando la persona
compie realmente l’azione descritta dal verbo. Ad esempio, se io ti dico di
“afferrare” il concetto, nel tuo cervello si accendono le stesse aree cerebrali che
si accendono quando tu, concretamente, afferri un oggetto.
Quindi, così come spesso viene citato, lo studio di Mehrabian è non solo
fuorviante, ma potenzialmente dannoso, perché mette in condizione chi lo
applica alla lettera di trascurare aspetti importantissimi della comunicazione, le
parole in primis. Ogni parola, invece, rappresenta un prezioso tesoro che va
utilizzato al meglio.
Io, che tengo corsi di intelligenza linguistica e di comunicazione non verbale,
promuovo con forza l’idea di abbandonare quelle vecchie e limitanti percentuali,
per abbracciare il principio di coerenza completa, di totale congruenza. Ovvero:
quando comunichi, il tuo obiettivo è quello di essere sempre coerente, al 100%,
sui tre livelli della comunicazione, concentrandoti allo stesso modo su tutti e tre.
Ogni parola, cioè, deve essere scelta con cura. Pronunciata con il tono adeguato
e sottolineata dal gesto perfetto.
Difficile? All’inizio, forse. Ma talmente utile da valere l’impegno.
9
FELICI
In una celebre sequenza del film “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, il
celebre maghetto si trova a dover affrontare i mollicci, creature magiche che
hanno il macabro potere di assumere la forma di ciò che la persona teme di più.
Il professor Lupin suggerisce agli studenti di utilizzare l’incantesimo
“riddiculus”, che funziona a patto che chi lo usa pensi a qualcosa di
sinceramente divertente.
Ed è cosa risaputa, del resto: quando hai un problema e riesci a riderci sopra, hai
già fatto la gran parte del lavoro. Saper prendere alla leggera i problemi che,
quasi inevitabilmente, il business comporta è un’attitudine che alcuni
imprenditori sembrano possedere in modo naturale ma che, in ogni caso, si può
imparare. Saper prendere alla leggera i problemi non significa in alcun modo
sottostimarli o sottovalutarne l’importanza: significa solo affrontarli con uno
spirito orientato alla soluzione e con la convinzione che una soluzione sia
sempre possibile.
C’è un motivo molto pratico (e molto scientifico) per cui questo atteggiamento è
utile: se stai male, il tuo corpo si riempie di sostanza tossiche che, letteralmente,
ottenebrano la tua capacità di giudizio (e che indeboliscono il tuo organismo, ma
questo è un altro capitolo) e ti fanno prendere decisioni sbagliate. Se, invece, stai
bene o in qualche modo riesci a modificare il tuo umore, allora il tuo corpo si
riempie di sostanze decisamente più utili e riesci a vedere, pensare e fare cose
che nemmeno ti aspetti.
La questione dell’umore e della capacità di reagire rapidamente di fronte a
situazioni stressanti o potenzialmente negative è troppo spesso trascurata, sia a
livello aziendale, sia a livello individuale. Ed è, invece, un aspetto determinante.
Quando sei carico, quando l’umore è a mille, affronti situazioni e persone con lo
spirito vincente di chi sa il fatto suo. Quando sei concentrato e convinto di
potercela farle, nessuna cosa sembra impossibile. Ragiona su questo. E ragiona
sul fatto che non ti puoi permettere, se vuoi fare del gran business e, soprattutto,
se vuoi fare solobusinessfelici, di sperare di star bene. Tu hai il preciso obiettivo
e l’ancor più preciso dovere di stare benissimo, punto.
Ci sono persone che sperano di alzarsi con il piede giusto, la mattina. E ci sono
persone che decidono con quale piede alzarsi.
TU che tipo di persona sei?
Per questo motivo, in aula e in azienda, insegno sempre tecniche di PNL utili per
la gestione del proprio stato emotivo. Come dico sempre, è inutile padroneggiare
le più raffinate tecniche di vendita o persuasione, se poi si sta male e non si
riesce ad applicarle!
Ricorda sempre, però: le tecniche che vanno messe in pratica.
Sapere le cose è un conto. Saperle fare, è un altro conto. Se vuoi star bene, star
bene davvero, e se vuoi liberare la tua testa da tutti quei pensieri che possono
rallentarti o farti stare poco bene, devi essere metodico e disciplinato. Devi
dedicare, ogni giorno, alcuni minuti a te e al tuo benessere.
Disciplina quotidiana, nessuna altra via è permessa!
11
MASOCHISTICO
Ti ricordi del grandissimo Tafazzi, storico personaggio di Mai Dire Goal? Era
celebre perché si autoinfliggeva punizioni corporali dolorose ed è diventato
presto il simbolo di tutti quelli che, in un modo o nell’altro, mettono in campo
comportamenti auto lesionisti, nella vita e nel business.
Sarò impopolare, ma la verità è questa: se permetti a chi ti circonda di trattarti
male, oppure se permetti ai tuoi collaboratori di avere comportamenti dannosi
per il tuo business o per la tua azienda, si vede che ti piace. Già. Nel divertente
film “Una notte al museo”, con Ben Stiller, il direttore del Museo in cui
l’imbranato Stiller lavora, dopo che questi ha combinato un gran pasticcio, lo
perdona senza erogare alcuna sanzione disciplinare. Stiller è stupito: si aspettava
una lavata di capo, e invece nulla. Il direttore, a quel punto, gli dice che, tuttavia,
al prossimo sbaglio sarà licenziato: “perché se sbagli una volta”, aggiunge, “è
colpa tua. Se sbagli due volte, è colpa mia”.
La verità è che spesso viviamo la nostra vita e il nostro business con alcune
convinzioni limitanti come “magari le cose cambiano”, oppure “magari se ne
rende conto e cambia comportamento”, oppure “forse un giorno capirà”,
rivolgendo il pensiero a tutte quelle persone che non fanno quel che dovrebbero,
o non lo fanno come dovrebbero.
È il momento di dire basta, è il momento di rendersi conto che le persone che
abbiamo intorno si comportano inevitabilmente come noi permettiamo loro di
comportarsi, entro spazi e confini che noi concediamo. Solo attraverso questa
presa di coscienza possiamo sperare di modificare lo status quo e di provocare
nelle persone in questione i comportamenti e i cambiamenti richiesti. Invece,
troppo spesso siamo vittime di eccessivo buonismo, di eccessiva comprensione,
della paura di prendere una posizione dettata dal sano egoismo.
È il momento in cui ciascuno si deve assumere la responsabilità delle proprie
azioni e dei risultati che porta, nelle vita e in azienda. Basta con le mille
occasioni sprecate, basta con il chiudere un occhio, basta con i vari “vediamo
come va a finire”: il momento storico richiede grinta, responsabilità, azione.
Nessun posto è fisso, nessuna posizione immutabile. Dura lex, sed lex.
Come ripeto sempre alle persone con cui lavoro, durante il coaching in azienda,
quando distribuisco incarichi e compiti: o risultati, o scuse. Non voglio sentir
ragioni: o risultati, o scuse.
E ricorda: una seconda occasione la puoi concedere a chiunque. Ma se concedi
una terza occasione, si vede che – tutto sommato – ti piace.
13
DI JOKER)
Lo sa bene il Joker: stamparsi in faccia un bel sorriso ha il suo perché.
Una ricerca pubblicata di recente su Harvard Business Review conferma,
casomai ce ne fosse bisogno, che stare bene migliora (nettamente) le
performance sul lavoro. Annie McKee, nel suo articolo, dice una cosa che
davvero vale la pena di sottolineare: “è ora di finirla con il mito secondo il quale
le emozioni non funzionano sul lavoro”. “La scienza”, prosegue, “lo conferma”.
Ed è esattamente così: quando stai bene, il tuo corpo ha un’energia differente e,
soprattutto, una composizione chimica differente, grazie alle sostanze rilasciate
dal cervello e che ti permettono di essere più concentrato, di avere più idee, di
reagire meglio agli imprevisti.
Aggiungo che sorridere (sorridere davvero, i sorrisi simulati vengono intercettati
dall’amigdala del nostro interlocutore e catalogati immediatamente come tali)
aiuta anche – e molto – nel processo di vendita.
Ti spiego quel che succede quando sorridi e il motivo per cui puoi, sorridendo,
aumentare il tuo fatturato.
Quando sorridi in modo sincero, la tua espressione facciale innesca nel tuo
cervello una serie di reazioni chimiche grazie alle quali inizi a produrre
dopamina (sì, proprio la sostanza dopante) e serotonina, ormone del benessere.
Questi ormoni, senza che tu ne sia consapevole, influenzano il tuo linguaggio del
corpo e già questo fatto ti aiuta a migliorare la tua performance professionale.
A questo punto, succede un vero e proprio miracolo: quando sorridi per un
tempo sufficientemente lungo (basta qualche minuto), i neuroni specchio del tuo
cliente (sono neuroni che hanno lo scopo di rispecchiare il nostro interlocutore,
come ha scoperto grazie alle sue ricerche lo scienziato italiano Damasio) si
attivano e, dopo poco, lo “costringono” a sorridere: grazie al tuo sorriso, dunque,
influenzi il tuo cliente e lo fai sorridere a sua volta.
Quando il cliente sorride, ecco che anche il suo cervello inizia a produrre le
identiche sostanze prodotte dal tuo: dopamina e serotonina. Che, guarda caso,
sono chiamati gli ormoni dell’acquisto: sono ormoni in presenza dei quali le
persone comprano di più e con minor resistenza. Sono gli ormoni che
produciamo quando guardiamo gli spot con personaggi simpatici o con
dolcissimi cuccioli: sono gli ormoni responsabili dei nostri acquisti d’impulso.
Arrivo a dire che un sorriso di cuore funziona più di molte tecniche di vendita,
perciò ragiona molto bene su queste ricerche e su questi dati e chiediti:
Quando vai dal tuo cliente, sei sempre dell’umore giusto?
Ti prendi il tempo necessario per entrare nello stato d’animo più utile alla
vendita o all’appuntamento d’affari?
Sorridi abbastanza o ti presenti con l’espressione corrucciata?
Hai mai pensato che la tua espressione corrucciata, per lo stesso principio, farà
imbronciare il tuo cliente e ti farà perdere l’affare?
Più sorridi, quindi, e più fatturi. Semplice, sano, divertente.
14
SUCCESSO
Che cosa hanno in comune la celebre azienda americana Nike e
l’indimenticabile maestro Yoda del film Guerre Stellari? Di certo non le scarpe.
Hanno in comune la filosofia del fare. Lo slogan della Nike lo conosci: just do it,
fallo e basta. E il motto di Yoda, pure: “Fare! Non esiste provare!”
Ebbene, questa semplice filosofia è alla base dei comportamenti delle persone di
successo e di coloro che ottengono risultati.
Nella vita così come nel business, ci sono due tipi di persone.
Ci sono le persone “PROVARE” e ci sono le persone “FARE“.
Le persone “provare” sono quelle che parlano in questo modo: “vedremo,
faremo, magari prenderemo in considerazione…”, oppure che si perdono in frasi
come “…e se facessimo? Potremmo fare… e se andassimo…? Proviamo…”.
Chi usa queste parole e queste frasi è destinato a combinare ben poco, perciò
inizia subito a fare un’analisi del tuo linguaggio, scritto e parlato, prendendo in
considerazione sia il tuo usuale modo di esporre i concetti, sia il modo in cui
scrivi documenti e mail. Se scopri di usare troppi condizionali, congiuntivi o
futuri, allora devi immediatamente agire e ristrutturare il tuo linguaggio. E se
scopri di usare troppo spesso il verbo provare, smetti immediatamente: provare =
fallire! Le cose si fanno o non si fanno, punto. Se “provi”, ti stai regalando
(senza saperlo) la possibilità di sbagliare e dai al tuo cervello un comando
confuso, che rischia di allontanarti dal tuo risultato. La stessa cosa vale quando
parli con gli altri: se vuoi essere seguito e se vuoi che le persone seguano più
facilmente le tue indicazioni, dì loro – semplicemente – quel che vuoi che
facciano, senza l’inutile e dannoso verbo “provare”.
Poi ci sono le persone “fare”, quelle che si muovono velocemente e compiono
subito azioni precise in direzione del loro obiettivo. Ascoltale, quando parlano:
“facciamo, andiamo, cominciamo”. Punto.
Riconosci le due diverse tipologie di persone anche in ambiente non
professionale: ci sono quelli che, per decidere dove andare a cena, ci mettono
mezz’ora quando va bene (“e se andassimo…?”, “potremmo andare…”, “e se
provassimo…?”) e ci sono quelli che prendono in mano la situazione e guidano
senza indugi tutti gli altri (“ragazzi, andiamo…!” o, i più sottili e furbi, “ragazzi,
che ne dite? Andiamo là!”, che fanno finta di chiedere e poi decidono prima di
tutti gli altri).
Nel business come nella vita, chi è più deciso e chi prende l’iniziativa prima
degli altri ha molte più probabilità di raggiungere i risultati desiderati e di avere
successo. E tutto passa dal linguaggio, perché le parole sono lo strumento con il
quale tu, letteralmente, programmi il tuo cervello ad agire e a compiere azioni.
Un linguaggio potente, quindi, si traduce in azioni potenti. E un linguaggio
debole, al contrario, si traduce in azioni deboli e di scarso successo. Come ripeto
sempre in aula e in azienda: cambia le tue parole, cambia la tua vita.
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DELLA FORMAZIONE
ATTENZIONE: questo post è solo per gente coraggiosa. Per Coach e Formatori
che si vogliono mettere in gioco e per Clienti che sono disposti a fare cose
diverse.
È finita l’epoca in cui si poteva perdere tempo ed è in corso (iniziata da un bel
pezzo) in cui l’unico metro di misura è il risultato. Nel Coaching e nella
Formazione in azienda, soprattutto, i clienti chiedono concretezza, risultati
tangibili, strategie e strumenti da poter applicare subito.
I miei interventi, che una volta erano calibrati in versione annuale, ora sono per
lo più di spin doctoring, alla maniera di Mr. Wolf (il celeberrimo personaggio
creato da Quentin Tarantino in Pulp Fiction che pronuncia la celebre battuta
“sono Mr. Wolf, risolvo problemi”): vengo chiamato in azienda per risolvere
situazioni problematiche e di stallo e l’efficacia del mio lavoro viene misurata di
volta in volta. Duro, ma stimolante e utile (se hai capacità e palle per poterlo
fare. Dicono che io sia dotato di entrambe in generosa misura).
Il Cliente vuole risultati, vuole strumenti che funzionano, vuole un approccio
rivoluzionario e risolutivo. Basta con i cappelli colorati in testa, basta con le gite
nei campi a spararsi addosso, basta con le serate goliardiche: non c’è tempo e
non ci sono soldi per giocare a fare business.
C’è da fare business davvero.
Quando vai, come capita a me quasi quotidianamente, in una mega azienda
blasonata, se solo ti azzardi a parlargli di “outdoor training” o di “brainstorming
creativi” o di “team bulding esperienziale”, sei fuori. L’amministratore delegato
o chi per lui ti guarda con occhi che sprizzano fulmini.
Gli devi parlare di come farai guadagnare di più, subito, la sua azienda.
Di come renderai i suoi uomini più produttivi, a partire dal pomeriggio.
Gli devi dire come gli garantirai prosperi successi, nel giro di trenta minuti.
Questo vogliono, questo gli devi dare.
Ecco quindi un tanto breve quanto efficace elenco di verità scomode e
rivoluzionarie. Non piacerà a tutti, immagino. Ma poco importa. Del resto,
diceva Steve Jobs, “sono pagato non per essere simpatico, ma per far funzionare
le persone”. Pronti?
1. Outdoor training significa, di fatto, fare una scampagnata e spararsi addosso o
costruire ponti di legno. Non migliorerà la produttività aziendale, solo l’ego di
chi organizza queste gite nei prati. A meno che l’azienda abbia come core
business quello di spararsi con pallini di gomma nei corridoi.
2. Il brainstorming creativo è una immensa… ecco. Di solito, si tratta di due ore
in cui ai partecipanti viene concessa la licenza di sparare qualsiasi boiata senza
senso gli passi per la testa. Il tasso di conversione fra idee emerse in queste
riunioni e azioni concrete di successo è vicino allo zero. La scienza ha
ampiamente dimostrato che da soli si pensa molto meglio e si produce molto di
più (lo so che questa è tosta, ma è così: dura lex, sed lex).
3. Team building esperienziale significa: giocare ai soldatini per un giorno e
tornare tutti bambini. #sapevatelo.
4. Gli obiettivi scritti non funzionano come dicono . Non c’è alcuna correlazione
fra lo scrivere un obiettivo e il raggiungimento dello stesso. Aiuta scrivere
qualcosa, ma senza perderci le giornate. La storia che gli studenti che scrivevano
gli obiettivi avevano poi più successo è, semplicemente, opera di fantasia e mai
dimostrata. Potete risparmiare tempo.
5. Visualizzare situazioni positive peggiora il business. Il pensiero positivo
comunemente inteso abbassa i risultati e la produttività, perché porta a
sottostimare la portata delle sfide da superare (e tonnellate di studi pubblicati in
tal senso dimostrano che un po’ di sano pessimismo migliora voti a scuola e
rendite sul lavoro). Oggi la vera sfida è il bi-pensiero, mica il pensiero positivo.
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BUSINESS FELICI
Non sono propriamente quel che si dice uno sportivo, ma quando c’è da
imparare sono sempre pronto ad ascoltare tutte le voci. E così, pur non
praticando né seguendo il tennis, ho divorato due libri molto interessanti:
“Open”, di Andrè Agassi e “Il punto vincente”, di Novak Djokovic. Due libri
molto diversi, due tennisti molto diversi, entrambi campioni indiscussi, entrambi
autori di performance meravigliose che hanno fatto e fanno la storia di questo
sport.
Mi ha colpito, e non me l’aspettavo, la storia di Agassi, questo ragazzino
subissato da un padre violento e maniacale, costretto ad allenarsi in un modo
inumano, portato a vincere tutto quel che c’era da vincere fino a odiare il tennis e
ridursi fisicamente a pezzi. Un uomo ferito, dolorante, piagato dall’esser stato
costretto a fare qualcosa che, racconta, non avrebbe voluto fare. Vincente, ma
distrutto.
Dall’altra parte, invece, ecco un ragazzino che, sotto le bombe della guerra in
Serbia, trova comunque il modo per allenarsi e godersi lo sport che ama più di
ogni altra cosa al mondo. Un uomo allegro, oggi, in perfetta salute, innamorato
del suo tennis come il primo giorno. Vincente e felice.
Ed eccoci al punto. Sia Agassi sia Djokovic sono tennisti vincenti: fama,
successo, soldi. Ma uno dei due ha vissuto un business felice, l’altro no. Nella
vita come nel business, non possiamo misurare la bontà del nostro business solo
dalla quantità di fatture che emettiamo a fine mese, né da quanti clienti abbiamo,
né da quanti prodotti vendiamo. Io stesso ho venduto prodotti di cui non ero
convinto o che non mi sentivo “addosso”: i risultati sono sempre arrivati, perché
quando c’è da fare io faccio. Ma la mattina, ricordo bene, era uno strazio: non
avevo voglia di andare a lavorare. Le ore del giorno non passavano mai. E la
sera, peggio che mai: sospiri e sbuffi pensando al giorno dopo.
Fatturavo, certo. Ma a che prezzo?
Come uomini di business, come venditori o come professionisti, dovremmo
sempre ragionare in termini di prezzo: non solo e non tanto in riferimento a
quello che ci pagherà il cliente, quanto piuttosto in riferimento a quello che
paghiamo noi, giorno dopo giorno, svolgendo il nostro lavoro.
Se il lavoro che portiamo avanti è il nostro lavoro, allora il prezzo pagato sarà
esiguo e a fine mese il nostro bilancio emotivo sarà in attivo. E, in termini
prospettici, ciò significa avere una vita ricca, piena, felice.
Se il lavoro, invece, non ci appartiene o ci costa eccessiva fatica, allora il
bilancio a fine mese sarà negativo e, presto o tardi, pagheremo il conto.
La morale è che non basta fare il budget mensile, per avere un business felice.
Non si vive di soli soldi o di classifiche scalate.
Come dice un detto che circola in rete, le uniche cose che contano sono quelle
che non si possono contare.
18
SHIBUMI
Esiste una differenza profonda tra sapere e saper fare. Nel campo della PNL e
della Vendita, ti accorgi subito di chi sa le cose e di chi le sa fare. Chi le sa e
basta è artefatto, manieristico, fa le domande che trova scritte sul manuale e
muove le mani come gli hanno insegnato a scuola. Quando applica le tecniche,
te ne accorgi mezz’ora prima, perché tutto in lui è fasullo, costruito, falso. Chi le
sa fare, invece, ha un altro stile: pulito, elegante, discreto nei modi. Non usa la
tecnica per farti fare qualcosa, è semplicemente diverso nel modo di comunicare
con te e percepisci il reale desiderio, da parte sua, di perseguire un vantaggio
reciproco.
Per descrivere questo genere di stile, quello di chi le cose le sa fare, esiste una
parola giapponese: Shibumi. Nelle parole di Trevanian, scrittore: “Shibumi
allude a una grande raffinatezza sotto apparenze comuni. È un’affermazione così
precisa che non ha bisogno di essere ardita, così acuta che non dev’essere bella,
così vera che non deve essere reale. Shibumi è comprensione più che
conoscenza. Nel modo di comportarsi, è modestia senza pruderie. Come si
raggiunge questo Shibumi? Non lo si raggiunge, lo si… scopre. E solo pochi
uomini d’infinita raffinatezza arrivano a scoprirlo. Bisogna passare attraverso la
sapienza e arrivare alla semplicità.”
Quando vedo venditori o sedicenti esperti di PNL che applicano in modo
sfacciato le tecniche, inevitabilmente penso a Shibumi e al paradosso del
venditore.
Di che cosa si tratta? Semplice: il paradosso del venditore è legato al fatto che
una delle attività preferite dell’essere umano occidentale è fare acquisti. E una
delle figure professionali che il cittadino occidentale ha più invise è quella del
venditore. Come mai? Come mai le persone adorano comprare e non sopportano
i venditori? Perché troppo spesso i venditori sono solo motivati dal loro interesse
personale e si riducono a una sterile applicazione di tecniche acquisite leggendo
libri (da strapazzo) o frequentando corsi (da strapazzo pure quelli) in cui ti
insegnano la vendita aggressiva, l’atteggiamento da squalo, le tecniche da
fanatico, oltre al fatto che in questi corsi ti parlano male di tutti gli altri (cosa
assai poco Shibumi).
Come fai a diventare un venditore Shibumi? Sono necessari tre ingredienti.
1. Cuore: desiderio sincero di svolgere il tuo lavoro non solo per il tuo profitto
personale ma anche per un onesto vantaggio per chi si rivolge a te;
2. Disponibilità ad imparare: umiltà nell’apprendere da nuovi modelli, umiltà
nell’essere sempre disposto a migliorare te stesso;
3. Pratica: solo attraverso la costante e continua pratica puoi raggiungere quella
finezza dei tratti e dei modi che contraddistingue un venditore (un
professionista) Shibumi.
Sei pronto?
20
CLIENTI
Sei sempre dello stesso umore o, ogni tanto, cambia? La stessa cosa vale per il
tuo cliente.
Decidi sempre nello stesso modo? Beh, nemmeno il tuo cliente.
Tu sei un cliente verde? Rosso? Blu? Fucsia?
Esiste ancora l’idea, nel campo della PNL e nel campo della formazione in
generale, che i clienti possano essere etichettati. In PNL, molti parlando di
clienti “visivi”, “auditivi” e “cinestesici”, applicando dunque una etichetta al
loro interlocutore. In realtà, durante il processo di vendita, quel che conta non è
tanto la preferenza sensoriale del tuo cliente, ma la sua strategia di acquisto in
quel preciso istante, cioè la sequenza di pensieri che il tuo cliente mette in atto
per arrivare alla decisione finale. Le preferenze sensoriali esistono, ma si tratta di
preferenze e vanno calibrate volta per volta. Lo stesso Bandler, nel suo ultimo
libro “Viaggio nella PNL”, scrive: “questa è un’interpretazione fallace di ciò che
abbiamo scoperto in PNL…gli esseri umani adorano attribuire etichette a se
stessi e agli altri… ciascuna di queste etichette confina la nostra mente in uno
spazio ristretto”.
La stessa cosa (anzi, questa è pure peggio) riguarda l’idea retrograda e malsana
di dividere i clienti in categorie di colore a seconda dei loro tratti
comportamentali. Ci sono dunque clienti blu, verdi, rossi e così via. I primi sono
irruenti, i secondi più riflessivi (vado a caso, ho rimosso quel genere di
informazioni limitanti) e via dicendo. L’idea di dividere i clienti a seconda del
colore presenta più di un problema. Anzitutto, il cliente può avere tratti e
manifestare comportamenti diversi a seconda del momento e del contesto. Se tu
lo collochi, nel tuo archivio mentale, come cliente di un certo colore, rischi di
trattarlo sempre nello stesso modo, senza prenderti la briga di osservarlo con
attenzione volta per volta. Poi, e questa riflessione secondo me è ancora più
importante, se si parla di cliente “riflessivo”, a me vien da chiedere: secondo
chi? Io posso essere giudicato riflessivo da qualcuno e poco riflessivo da altri.
Insomma, l’etichetta è negli occhi di chi guarda. Ricordo di aver assistito a un
corso in cui il formatore spiegava questa storiella dei colori e, alla fine della
spiegazione, aveva impersonato un cliente, chiedendo poi ai presenti (oltre una
cinquantina) di che colore fosse il cliente impersonato. Circa un terzo dei
presenti aveva detto un colore, un terzo aveva detto un altro colore, un terzo un
altro colore ancora. Il che significa, a livello empirico, che il formatore ha
fornito uno strumento inutile, uno strumento che ti mette in condizione di
sbagliare due volte su tre.
La verità è che i clienti non sono visivi, gialli, auditivi, verdi o chissà cos’altro:
ogni volta ti offrono uno spaccato del loro stato emotivo e comportamentale, da
contestualizzare in quel preciso istante, e sul quale lavorare, con tutti gli
strumenti a disposizione e con tutta la flessibilità di cui si è capaci.
Basta con le etichette, vanno bene per le marmellate, non per le persone.
E i clienti sono persone, non barattoli.
21
MINUTO E 59 SECONDI
Voglio svelarti alcuni tra i più importanti segreti della comunicazione efficace,
della vendita, della persuasione. Sono 9 principi straordinari, che coprono il
corso dei secoli, da Aristotele a Steve Jobs e sono, ora, anche a tua disposizione.
Dacci dentro e… Enjoy :-)
1. Esprimi le informazioni a pezzi di 3 , numero magico e davvero accattivante
per il cervello inconscio. Lo dice Aristotele (la sua retorica, composta da Ethos,
Pathos e Logos), lo dice la Bibbia (Padre, Figlio e Spirito Santo) e lo dice
Obama: yes, you can. Lo dicono anche molti altri, ma tre è il numero perfetto,
quindi mi fermo qui.
2. Evita le domande “attira no” : sono domande chiuse che possono far dire “no”
a chi ti parla. Ad esempio: “le piace”? Molto meglio un più suggestivo: “che ne
pensa?”. Sei d’accordo? Anzi… che ne pensi? :-)
3. Usa le domande “attira sì” : quando dici qualcosa di piuttosto ovvio, chiudi
con una domanda che faccia dire o pensare “sì” al cliente. Ad esempio: è molto
utile imparare questi segreti, giusto? Saper comunicare in modo efficace è
importante, non è vero?
4. Ricorda che chi ti parla è egoista e gli interessa solo quel che porta vantaggio
a lui. Perciò, usa il meno possibile il pronome “io” e traduci sempre quel che dici
in qualcosa di concreto per il cliente. Questo TI aiuterà a sviluppare una
comunicazione efficace e TI permetterà di avere successo con i TUOI
interlocutori. Chiaro?
5. Prediligi, con gentilezza, imperativi e indicativi al tempo presente. Nike, lo
fa. Amazon, lo fa. Apple, lo fa. Che dici, vale la pena pensarci, giusto? Riflettici,
e poi applica questo principio al tuo business (sorridendo mentre lo fai).
6. Evita di scusarti se non serve. Ogni volta che dici “scusa”, ti esponi a
disparità psicologica. Se vuoi esser gentile, va bene. Ma senza tirarti la zappa sui
piedi. Puoi dire “per favore”, invece di “scusa”. Fallo, per favore.
7. Prima di iniziare a parlare, di qualsiasi cosa, chiedi. Fai domande . Ascolta.
Perché, come dice Beau Toskich, fare domande ti evita di vendere vitello ai
vegetariani.
8. Prima di rispondere a una domanda, chiedi . Si chiama tecnica del rimbalzo e,
usata con intelligenza, fa miracoli. Se il cliente ti chiede: “voi vi occupate anche
di questo?”, prima di rispondere chiedi: “per lei è importante?”. Se il cliente ti
chiede: “mi può fare questo tipo di trattamento?”, prima di rispondere chiedi: “è
questa l’unica cosa che le interessa?”. E così via. Se uno ti chiede un consiglio
su un libro da leggere, prima chiedigli: “di che genere?”. E via dicendo.
9. Ultimo, e più importante: stai zitto . Taci. Respira. Fai qualsiasi cosa, ma parla
il meno possibile. Le persone detestano i vuoti e i silenzi, quindi se tu impari a
star zitto, il tuo interlocutore parlerà, ti darà informazioni preziose, risolverà da
solo tutti i suoi dubbi. Zitto, zitto, zitto.
Finito: ora studia bene questi principi, fai pratica, divertiti. La tua vita, privata e
professionale, ne trarrà incredibili vantaggi.
22
IN 10 MOSSE
(E IN MENO DI UN MINUTO)
Per rovinarsi la vita, ci vuole metodo. Per rovinare una relazione professionale o
per pregiudicare in modo quasi irrimediabile il rapporto con il cliente, ci vuole
altrettanta disciplina. Mica la disintegri così, come se niente fosse, la tua
possibilità di avere successo: devi fare un sacco di cose, e devi farle bene.
Vediamo insieme, in sintesi, quali sono le principali 10 strategie che puoi
utilizzare per rovinare la tua figura professionale, perdere vendite e clienti,
ottenere un centesimo rispetto all’impegno che ci metti.
Più di queste cose fai, più le tue possibilità di successo calano in modo rovinoso,
quindi: attento!
Andare a un primo appuntamento ed esordire con “grazie per avermi concesso il
suo tempo” o “grazie per avermi ricevuto”. È un cliente, non è il Papa .
Dedicare i primi 12 minuti alla presentazione della tua azienda : quando è nata,
chi è il fondatore, come si è sviluppata, quanti prodotti vendete e bla e bla. La
soglia di attenzione del tuo cliente è di circa 7 minuti (se è uno scienziato e/o un
genio). Altrimenti, dopo circa 30 secondi, lui è già in trance e tu starai parlando
da solo.
Usare uno o più di queste frasi : “io al suo posto farei”, “io farei”, “se fossi in
lei”. Non sei al suo posto. Non sei lui. Lascia perdere.
Arrivare mezz’ora prima agli appuntamenti : le persone, nel caso tu non lo
sapessi, hanno anche altre cose da fare nella vita. E poi, venire prima non è mai
una buona idea.
Usare i diminutivi : una cosina, un regalino, un pensierino. Ricorda che i
pensierini si fanno nei cervellini.
Chiudere le mail (o le conversazioni) con la formula : resto in attesa di un suo
cortese riscontro. È il peggior modo che puoi usare. Se mandi una mail, lui ti
deve rispondere. E tu nel frattempo hai altro da fare.
Contestare il cliente : qualsiasi cosa dica, ha ragione, anche se non ha ragione.
Fatti furbo e usa le parole giuste: con le parole giuste, puoi fare qualsiasi cosa.
Applicare le tecniche di vendita, comunicazione o PNL senza garbo e senza
stile: hai presente quei venditori che ti stringono la mano, sguardo fisso negli
occhi, voce alta? Quelli che ti chiedi di che cosa si sono fatti, e quante sostanze
hanno assunte? Ecco.
Usare la frase: come lei ben sa . Ti svelo un segreto: la gente lo odia. Sa di presa
per i fondelli (perché, di solito, lo è).
Come vedi, è facile. E tu, volendo, puoi fare le cose in modo diverso.
24
IL VENDITORE È MORTO
Qualche tempo fa ho pubblicato un post in cui parlavo del “paradosso della
vendita”, che è questo: fra le attività preferite degli esseri umani c’è lo shopping
e fra le figure professionali più detestate c’è il venditore. Un paradosso, appunto:
le persone amano comprare, eppure odiano i venditori.
Le ricerche in campo psicologico e sociologico, nonché da ultime le ricerche in
campo linguistico, sono molto chiaro: alla parole “venditore” le persone
associano concetti per lo più negativi come “stress”, “fastidio”, “costringere”,
“fregatura”, “disturbo”, “sbruffone”, “arroganza” (che sono poi i concetti che
pure io associo ad alcuni profili di Facebook o Linkdln, quando leggo alcuni
post).
La responsabilità di questo scempio è sicuramente di certi formatori
sbruffoncelli che, con fastidiosa arroganza, sono abbarbicati su posizioni ormai
(per fortuna) superate, che strabuzzano gli occhi, agitano le mani e fanno, come
si dice a Roma, i “draghi”. Dei piccoli Fonzie, insomma, tutti impettiti con il
loro seguito di pecorelle senza spina dorsale, bisognose di carica motivazionale e
di iniezioni testosteroniche. I tipi che spaccano tutto a prescindere, insomma, e
che con la vendita c’entrano come i cavoli a merenda. Non insegnano vendita,
ma avanspettacolo da pochi spiccioli.
La responsabilità è sicuramente anche di certi libri che ancora popolano gli
scaffali: un autore da alcuni celebrato, Joe Girard, che un secolo fa è entrato nel
Guiness per aver venduto un numero esorbitante di auto (la sua società ha chiuso
da decenni, ma lui ancora professa i suoi metodi, per la cronaca), esorta
esplicitamente i suoi lettori a mentire al cliente e racconta di tecniche di
approccio basate su raggiro, menzogna, truffa. Ad esempio: “perché ovunque
quel tizio sia andato, ci sono andato anch’io, anche se non ho mai sentito parlare
di quel posto. Migliaia di individui hanno comprato da me, perché pensano che
io sia stato in quel parco, o in quel posto”. In pratica, Girard esorta a mentire, a
dire qualsiasi cosa pur di vendere, a fare telefonate a freddo ingannando chi
risponde. Osceno, ed è ancora in libreria. Roba da galera, per mio conto.
La responsabilità, infine, è di tutti coloro che vogliono diventare venditori solo
per guadagnare soldi (presunti) facili, per essere liberi di fare quello che
vogliono o perché, tristemente, non riescono a fare altro e sperano che per
vendere basti andare in giro a parlar di prodotti.
D’altro canto, se pur il venditore è morto, la vendita è viva e vegeta, anzi non è
mai stata così in salute: chiunque vende e chiunque deve sapersi vendere,
compresi quei professionisti che fanno certamente altro (penso ai coach, ai
consulenti, ai liberi professionisti in genere) ma che, per farlo, devono pur
vendersi. Un coach, per quanto bravo, senza la capacità di vendersi, resterà un
bravo coach con l’agenda vuota.
La vendita, per come la intendo io, è un processo raffinato attraverso il quale due
parti si incontrano, entrambe con esigenze ed entrambe con la possibilità di
soddisfarle. Il cliente vuole qualcosa, ha bisogni da compensare e desideri da
soddisfare. Il venditore (chiamiamolo ancora così, per ora) ha budget da
raggiungere, fatture da fare, soddisfazioni da prendersi. Solo quando il
professionista della vendita inizia a pensare alla vendita come a un processo
bilaterale, nel quale entrambe le parti devono trovare soddisfazione, solo allora
tutto funziona a meraviglia, per tutti. Nelle parole di Spencer Johnson,
professionista di grande levatura nel campo della vendita: “mi diverto di più e ho
un maggior successo quando smetto di cercare di ottenere quel che voglio io e
comincio ad aiutare gli altri a ottenere quel che vogliono loro”. Se c’è una
speranza che la percezione nel cliente della figura del venditore cambi, è solo
attraverso questa strada: meno arroganza, meno fuffa, meno vendite a tutti i
costi.
È ora di affermare con orgoglio il senso di una professione stupenda, studiano le
persone prima che le tecniche, perché le tecniche applicate senza profonda
comprensione dell’essere umano altro non sono se non sterile manifestazione
esteriore di una pochezza d’animo che non la lascia scampo.
È ora di smetterla con i fuochi di artificio e le sbruffonate, perché le persone –
per fortuna – ne sanno sempre di più, e sempre di più prendono le distanze da
queste esasperazioni prive di senso (tanto che questi venditori “gasati”, di solito,
se la suonano e se la cantano fra di loro, senza far molto altro).
E’ ora di superare persino lo storico (paleolitico) ABC, ovvero “Always Be
Closing”, “chiudere sempre”, perché non funziona più: io propendo per la
comprensione di se stessi e degli altri, per lo studio dell’intelligenza emotiva, per
un lavoro di crescita personale che permetta, solo dopo la conquistata coerenza
interna, l’applicazione di preziosi strumenti utili per migliorare la vita di chi li
sua e di chi ne entra in contatto. Perché se per chiudere io devo violare i miei
principi o “riflare” qualcosa che non serve a chi non lo vuole, allora io non
chiuderò. Potrei farlo? Sì. Voglio farlo? No.
Il venditore, è morto.
Il professionista della vendita, invece, è vivo, vegeto, e con prospettive
straordinarie.
Tu, di che genere sei?
29
NERE
E LE PAROLE GIUSTE
Il cervello umano è davvero bizzarro: basta poco per guidarlo verso direzioni che
nemmeno si aspetta. E basta davvero poco per suggestionarlo e per fargli
“vedere” e “sentire” proprio quel che vuoi. Basta pochissimo, poi, per
influenzarlo. Per questo, da sempre sostengo che le vere tecniche di vendita si
studiano sui libri di antropologia e di neuroscienze: oggi, per nostra fortuna, la
scienza ci fornisce risposte certe e precise che spiegano comportamenti che fino
a poco tempo fa erano misteriosi.
Ecco alcuni esempi per te, che puoi studiare e utilizzare nel tuo business. Si
tratta di strategie potentissime, che funzionano sempre e a prescindere da quel
che tu credi sia vero o meno. Altro che tecniche di vendita dell’anteguerra: qui
parliamo di come influenzare il tuo interlocutore in modo radicale e profondo,
senza che ne abbia la minima consapevolezza.
1. COGNIZIONE INCARNATA: UN CAFFÈ AUMENTA LE VENDITE.
La cognizione incarnata è la branca della psicologia cognitiva che studia come
gli eventi esterni influenzino il nostro modo di pensare e percepire. Risulta dalle
ricerche, ad esempio, che quando una persona tiene in mano una tazza di
bevanda calda, tende a migliorare il suo umore, a valutare più positivamente il
suo interlocutore, a usare addirittura aggettivi diversi rispetto al prodotto che gli
viene presentato. Al contrario, le bevande fredde sortiscono l’effetto opposto.
Caldo = buono, insomma. Stai già pensando di sistemare un thermos di caffè
caldo in ufficio, per i clienti? Fai benissimo: puoi vendere fino al 30% in più, a
parità di altre condizioni!
2. L’ABITO FA IL MONACO: SOLO SCARPE NERE PER FAR SOLDI
Che piaccia o meno, l’abito fa il monaco. Le ricerche dimostrano che le persone
in abito scuro e cravatta sono percepite più importanti, più potenti… e persino
più alte (guadagnano, nella stima dei soggetti dell’esperimento, fino a 2 cm di
altezza rispetto a quando sono vestite casual). E il dress code non sempre va
d’accordo con la persuasione: se vuoi vendere e guadagnare più credibilità, un
solo colore per le tue scarpe: il nero. Poco importa se l’etichetta dice che la
mattina è meglio il marrone e che il nero va bene per la sera. Se vuoi vendere,
scarpe nere, con laccio. Niente moda. Scarpe nere. Chiaro? E sei donna, lascia
perdere le orripilanti Hogan: oltre a sembrare la cugina di Frankestein, venderai
di meno. Ci vuole il tacco. Punto.
3. LE PAROLE GIUSTE, COME SEMRPE
Sempre insisto sulle parole, che sono le tue etichette. Il cervello, quando ascolta
o legge, presuppone un sacco di cose. Ad esempio, se sull’etichetta di una
bottiglia di acqua tu scrivi che contiene “solo” lo 0,2% di sodio, chi legge
crederà che questo sia un valore basso. Non lo è. Decine di altre acque ne hanno
di meno, e costano meno. Se su un the freddo scrivi che “contiene polifenoli”,
chi legge pensa che ne contenga abbastanza e che ciò sia cosa buona. Ne
contiene talmente pochi che la quantità è risibile. Eppure. Se scrivi “nessuno
lava più bianco”, chi legge pensa che quel detersivo sia il top. Non lo è: lava
come tutti gli altri, ma le parole ti hanno fatto credere il contrario. E così tu:
basta che dici “fortunatamente” per far pensare al tuo cliente che tutto quel che
segue è cosa buona e giusta.
33
(PROBABILMENTE) FALSO
Anzitutto: CNV sta per comunicazione non verbale (linguaggio del corpo) ed è
salita alla ribalta grazie all’ottima serie televisiva “Lie to me”, interpretata da un
fantastico Tom Roth. Di CNV se ne fa un gran parlare. Il che non sarebbe male
se quel che si dice fosse vero. Ecco a te, quindi, una serie di informazioni a
proposito di diffusi (ed errati) luoghi comuni che ti saranno senza dubbio molto
utili nel tuo business.
1. L’impatto della tua comunicazione non verbale “pesa” il 93% (compreso il
paraverbale), contro un misero 7% delle parole: FALSO. Ci ho già scritto un
post, puoi andare a recuperarlo (anche in questo libro!) e approfondire
l’argomento. Chi ti dice il contrario, non sa di che parla.
2. Le braccia incrociate al petto sono una posizione di chiusura: FALSO. Le
braccia incrociate al petto possono anche esprimere una posizione di chiusura
nei confronti dell’interlocutore, in particolari contesti e dopo una attenta
calibrazione. La maggior parte delle volte sono comodità, freddo, gioia. Sì,
gioia: le persone che in PNL definiamo prevalentemente cinestesiche, quando
sperimentano forti emozioni, anche positive, tendono a chiudere le braccia o ad
abbracciarsi. Vero è che sempre meglio parlare con un cliente con postura
aperta, ma è bene sapere queste cose per evitare di farsi inutili paturnie mentali.
3. Occhi bassi indicano menzogna o timidezza: FALSO. Occhi bassi o non
direttamente sull’interlocutore possono esprimere qualsiasi cosa: il modo di fare
di una persona cinestesica o auditiva, un’immagina sfocata comparsa nella testa
di chi ti parla, un modo di fare. Anche in questo caso, evita di trarre conclusioni
affrettate e calibra.
4. Se una donna si massaggia il collo in tua presenza, ti sta dando il “via libera”:
FALSO. E farei arrestare i cialtroni che vanno in giro dicendo il contrario, o che
ti insegnano a sedurre una “femmina” (cito) alzando il sopracciglio (cito). Può
essere certamente un segnale di apprezzamento ma potrebbe essere anche
cervicale infiammata. E se anche fosse apprezzamento, non implica il “via
libera”: puoi piacerle per come parli, per quel che dici o per come ti vesti.
Nessuna autorizzazione, dunque, a farti avanti.
5. Puoi controllare la tua comunicazione non verbale per ingannare il tuo
interlocutore: FALSO. Puoi esercitare un controllo razionale per potenziare
l’impatto della tua comunicazione, ad esempio usando gesti appropriati per
sottolineare i concetti importanti o evitando gesti per te abituali o innocui (come
grattarti il naso o sistemarti il colletto della camicia) che, a livello inconscio,
trasmettono tuttavia un cattivo messaggio al tuo interlocutore. Ma non puoi
fingere. Puoi tenere ferme le mani e fissare il tuo cliente con occhi da pesce
lesso, ma la sua amigdala è più furba di te e se non stai bene e se sei nervoso, lei
lo capirà: micro oscillazioni (incontrollabili), micro espressioni automatiche
(incontrollabili), sudorazione (che se anche non la senti a livello logico, a livello
di recettori nasali la senti eccome!). Quindi, ti conviene dedicare più tempo a
gestire il tuo stato, che a controllare i gesti. Se stai bene, il corpo seguirà.
34
COME LA PESTE
Sai come la penso: il venditore è morto. Il mondo della formazione aziendale,
con particolare riferimento alla formazione per venditori è ancora intriso di quel
vecchio approccio fatto di sterili tecniche, di sorrisi ad ogni costo, del
complimento stucchevole fatto tanto per fare, perché ti insegnano che prima di
iniziare a vendere devi fare almeno 2 minuti (due minuti misurati) di “small
talk”.
Beh.
Dopo 20 anni di esperienza nel campo della formazione aziendale e della
formazione per venditori, ho identificato alcune tipologie di venditore che
1. se sei cliente, devi evitare come la peste e
2. se sei un venditore e vuoi diventare un professionista della vendita, devi star
molto attento a non diventare.
Ecco dunque alcuni tipi di venditore che puoi incontrare sulla tua strada.
1. IL PDF PARLANTE: è fantastico. Si siede davanti a te, ti saluta e il gioco è
fatto. Inizia a dirti in che anno è nata la sua azienda, quello che produce, quanto
sono fighi e quanto sono bravi. Possono passare anche 20 minuti prima che tu
riesca a dirgli qualcosa.
2. IL MENTALISTA: questo è micidiale. Lo riconosci subito, perché ti dice
frasi come “lei si vede che è uno che se ne intende”, “lei ha la faccia di uno
esperto”, “sono certo che si sta chiedendo” e così via. Probabilmente, si è anche
iscritto a qualche corso per venditori, ma deve aver trovato chiuso. Da buttare
direttamente dalla finestra.
3. IL POSSEDUTO: lo amo. È quello dalla mentalità vincente. Quello che
frequenta i corsi per diventare vincente. Quello vincente e punto. Stringe forte la
mano, ti fissa negli occhi e … niente, tu ignoralo. Tornerà a casa, si riguarderà
un video corso e domani andrà a esprimersi altrove.
4. IL DEMOTIVATO: eh, poverino. Questo proprio non ci crede. Tu vuoi
anche acquistare, ma lui inizia a inondarti di obiezioni (che, in linea di principio,
dovresti fare tu) come: “se però è troppo caro troviamo altre soluzioni”, oppure
“se non le piace può sempre cambiarlo” o, la mia preferita, “non so, veda lei,
magari ci vuole pensare ancora un po?”.
5. L’IDIOTA: a questo non c’è speranza. Tu parli, e lui risponde altro. Usa il
linguaggio più tecnico che puoi immaginare, non ascolta e va avanti a recitare la
poesia, qualsiasi cosa accada. Tu gli dici che non è questione di prezzo e lui ti
propone un nuovo sconto. Tu gli dici (è successo a me!) che non vedi i colori
perché sei daltonico e lui ti invita a scegliere il colore. Tu gli dici che il prodotto
che ti ha venduto non funziona e lui ti risponde, in ordine: “strano”, “è sicuro” e
… “si vede che è toccato a lei il nostro unico prodotto difettoso”. Se non fosse
da estinguere, quasi quasi sarebbe persino divertente.
35
E LA FORMAZIONE AZIENDALE
Io mi occupo di formazione aziendale, formazione ai venditori e coaching. Come
ti ho già raccontato (leggi qui), io ho un commerciale davvero in gamba: mi fa
avere un sacco di clienti, annichilisce i miei competitor e, soprattutto, non
pretende provvigioni: si chiama Charles Darwin e si occupa dell’evoluzione
della specie. Lascia in vita solo le aziende e i professionisti che sanno adattarsi
all’ambiente. Si è già occupato efficacemente di aziende come Blockbuster,
Kodak e Nokia, hai presente? Ecco: per evitare la fine di queste aziende e per
guadagnare ogni giorno punti di vantaggio sulla concorrenza, l’unica risposta
possibile è nella formazione aziendale, quella seria, quella fatta bene, mica
quella degli adrenalici salterini sui carboni ardenti.
Perché insisto?
Perché una volta il marketing si faceva in eleganti uffici, oggi si fa in ospedale,
con apparecchiature mediche che misurano le reazioni del cervello. E perché se
ci si fida dello status quo si rischia l’ecatombe.
Ti faccio un esempio: quando c’è stato (io ero piccolo) il boom dei detersivi, le
migliori agenzie di marketing hanno organizzato focus group e hanno chiesto ai
clienti quali fossero le cose che chiedevano a un detersivo. Le risposte sono
state: capi bianchi, capi puliti, colori accesi. E così, per un ventennio, le agenzie
di marketing si sono concentrate su “più bianco non si può”, “colori vivaci”,
“pulito splendente”. Ma nessuno ha mai veramente trionfato sui competitor:
perciò, la guerra si è combattuta su strategie di manipolazione sul prezzo. Due al
prezzo di uno, super offerta, e così via. La questione è che se ti metti a far la
guerra dei prezzi, prima o poi perderai, perché troverai una soglia oltre la quale
non puoi andare.
Un bel giorno, qualcuno si è deciso a scoprire che cosa facesse davvero la
differenza: e ha scoperto che la prima cosa che fa una donna quando finisce una
lavatrice è… annusare i capi. Già. Mica li guarda, li annusa. E ha scoperto,
creando di fatto un nuovo modo di far marketing (e garantendo ai primi che si
sono mossi in questa direzione), profitti altissimi. Quel che conta, dunque, non è
“il pulito”, ma “la sensazione del pulito”. Prima, nessuno lo sapeva.
La domanda è: hai anche tu il problema dei detersivi? Segui anche tu le regole
del mercato o ti stai preoccupando di fare le cose in modo diverso? Ricordati di
Darwin, e inizia a pensare in modo diverso.
Quando faccio formazione aziendale e formazione ai venditori, lotto quasi ogni
giorno con leggi di marketing e stereotipi che andavano bene, a esser generosi,
dieci anni fa. Ora, le regole sono cambiate. Ora, se vuoi vendere, devi sapere
come funziona una risonanza magnetica. E devi sapere come funzionano gli
ormoni. E un sacco di altre cose. Altrimenti, rischi di entrare in quello che
chiamo il paradosso del venditore (ovvero: la gente vuole comprare il tuo
prodotto, ma non vuole te: leggi qui l’articolo dedicato).
Esempi di formazione vecchio stampo che rischiano di farti estinguere?
La strategia della penalizzazione, ad esempio: penalizza il cliente, fagli venire
mal di pancia e lui comprerà! Sbagliato. Comprerà una volta, spinto dalla paura,
e poi comprerà da qualcun altro. Ricorda che a vendere son buoni tutti. A creare
relazioni durature con il cliente, molti meno.
La strategia dell’arcobaleno, ad esempio: passi il tuo tempo a stabilire di che
colore è il tuo cliente? Nel frattempo, qualcun altro sta vendendo. Ricorda che la
bellezza è negli occhi di chi guarda. E mentre a te un cliente sembra irruento
(colore rosso!), a un tuo collega sembra tranquillo (colore verde!). E a me,
invece, sembra un essere umano da conoscere, volta per volta.
La strategia dell’adrenalina, ad esempio: i clienti si sono stufati dei venditori
adrenalici ed esaltati, aggressivi e ipertrofici. Vogliono persone vere, con cui
parlare un linguaggio vero, con cui avere la sensazione di essere a casa. Ecco, tu
puoi continuare a frequentare i corsi che motivano venditori vincenti. Oppure,
puoi ricordarti che l’unico metodo che funziona è studiare la teoria e poi metterci
il cuore.
Ricorda: la formazione aziendale è molto più che un optional. È l’unica strada
che ti permette di evitare l’estinzione e di sviluppare un magnifico e virtuoso
business felice!
37
DI SALVEZZA
( SE FATTA BENE )
La formazione aziendale può essere la tua miglior strategia, o il modo per
rovinare la tua vita e quella di chi lavora con te.
Molti imprenditori che ho conosciuto sono avversi alla formazione aziendale e la
ritengono un inutile costo da tagliare ogni volta che si debbano prendere
decisioni mirate al risparmio. Da formatore, quando percepisco questo
atteggiamento ostile, ovviamente mi sento punto sul vivo. D’altro canto, se mi
immedesimo nei panni di quegli imprenditori e ragiono per un attimo adottando
il loro punto di vista, devo ammettere che, in fondo, hanno ragione.
Ho già preso posizione, a proposito della formazione aziendale, sulla figura del
formatore e su tutte le sue declinazioni: qui ripeto che uno dei motivi che
allontanano gli imprenditori dalla formazione aziendale è proprio il gap che
spesso si crea tra chi vuole assumere una risorsa (l’imprenditore) e la risorsa
stessa (il formatore), troppo spesso abbarbicata ai suoi due corsi e priva di reale
comprensione per un mondo complesso, che ha bisogno di risposte pratiche, che
ha bisogno di risultati tangibili.
Come formatore e come coach, non posso prendermela con l’imprenditore, se è
diffidente e se ha una serie di pregiudizi, perché guardandomi intorno vedo molti
colleghi che si improvvisano, leggo ancora articoli che mi fanno venire la pelle
d’oca, sento ancora di persone che portano in aziende idee e teorie superate e,
anche, false (ad esempio: leggi “le bufale della formazione).
Ecco, in sintesi, le legittime perplessità che l’imprenditore vive di solito quando
gli si parla di formazione aziendale:
1. Fare corsi è un costo e non mi cambierà la vita;
2. Le cose che insegnano durante i corsi sono una cosa, la vita vera è un’altra;
3. Nessuna formazione: i miei sono pagati per lavorare e ci manca anche che gli
pago i corsi!
Queste perplessità sono legittime. Perché è vero:
1. la maggior parte dei corsi che ho frequentato quando ero in azienda o a cui ho
assistito non mi hanno cambiato la vita;
2. la maggior parte dei formatori mi ha spiegato cose astratte che non tenevano
conto della vita vera;
3. le persone dovrebbero produrre risultato a prescindere dalla formazione, sono
pagate per questo.
D’altro canto, è vero anche che:
1. alcuni corsi cui ho assistito hanno profondamente rivoluzionato la mia
esistenza e la mia carriera;
2. alcuni colleghi mi hanno fornito strumenti pratici di concretezza estrema;
3. le persone magari fanno del loro meglio, ma questo meglio non è abbastanza
rispetto al contesto.
Pensiamo ai corsi di formazione aziendale per venditori: molti di coloro che li
tengono non hanno venduto nulla, in vita loro. Oppure, insegnano metodi definiti
(da loro) vincenti che poi si traducono in comportamenti stucchevoli e
manieristici che fanno sembrare alieni posseduti dal demonio quelli che li
applicano. Quando inizio in azienda un percorso di formazione aziendale per
venditori, mi assicuro di fornire a queste persone strumenti pratici che cambino
il loro approccio alla vita e al business, prima delle tecniche da applicare.
Quando dico che il venditore è morto (leggi qui), è questo che intendo: la
formazione aziendale dovrebbe servire non tanto per imparare la tecnica
presunta segreta, ma per imparare qualcosa in più su se stessi e sul mondo che ci
circonda.
Ecco alcuni consigli pratici che, da formatore, mi sento perciò di rivolgere a tutti
quegli imprenditori che ancora sono titubanti o hanno perplessità circa la
formazione aziendale:
1. Chiedi al tuo possibile fornitore che tipo di materie vuole insegnare e in che
modo (chiediglielo bene: “in che modo”) potranno determinare cambiamenti in
chi frequenterà i corsi;
2. Verifica che il tuo possibile fornitore abbia, di persona, applicato e svolto
quello di cui parla;
3. Analizza la figura del tuo possibile fornitore e, se rientra in uno degli
stereotipi di cui parlavo prima, passa oltre;
4. Chiedigli sempre un esempio pratico di qualcosa che insegna: digli che vuoi
vedere come funziona;
5. Lavora sull’idea che i tuoi preconcetti sono legittimi, ma potrebbero essere
limitanti per te e il tuo business.
Perché la formazione è davvero l’unica via di salvezza, se fatta bene. Perché
quello che andava bene l’anno scorso non andrà necessariamente bene anche
quest’anno. Perché quelli che una volta erano i numeri uno, ora non lo sono più
(pensa a Blockuster, Nokia, Kodak). Perché le persone fanno del loro meglio,
con gli strumenti che hanno.
E perché, se vuoi davvero stare al passo con i tempi, devi differenziarti
concretamente dagli altri.
38
VOLTE IMPARI
C’è questo modo di dire che mi fa impazzire: “nella vita, a volte vinci. Le altre
volte impari”.
Kathy Ireland, modella e imprenditrice, afferma anche: “se non hai mai fallito,
significa che non ci hai mai provato abbastanza intensamente”.
Ed è esattamente così: al business felice ci arrivi a suon di porte in faccia, cadute
e tentativi andati a vuoto. Su questo concetto sono state scritte migliaia di
pagine, tutte ispirate alla celebre battuta di Thomas Edison che, al giornalista che
lo aveva punzecchiato sui suoi 10.000 tentativi andati a vuoto, aveva risposto:
“Ho solo scoperto 10.000 modi in cui la lampadina non funziona”.
Voglio, perciò, affrontare la cosa da un punto di vista diverso: il gruppo dei pari,
ovvero il gruppo delle persone che più ti sono vicine, con le quali hai più spesso
occasione di confrontarti, per scelta (vita) o per obbligo (lavoro).
Da queste persone sei più influenzato di quanto ti piacerebbe (o vorresti)
credere.
Le tue reazioni agli eventi sono strettamente correlate al tipo di feedback che,
giorno dopo giorno, ricevi da queste persone.
La conclusione è semplice: il tuo successo (qualsiasi cosa tu intenda per
successo) è legato anche alla visione condivisa dal tuo gruppo dei pari. Perché,
lo sai, la caduta è inevitabile: nella vita inciampi, cadi, a volte ti fermi. E la vita,
più spesso di quanto ci piacerebbe, fa il possibile per metterti i bastoni fra le
ruote. Mi piace credere che tutto quel che accade sia utile per imparare qualcosa
di nuovo ma ciò non toglie che la vita faccia davvero il possibile per testare la
nostra resistenza.
Per questo, stai attento.
Scegli con cura il tuo gruppo dei pari, sul lavoro e nella vita.
Mi rendo conto che è complesso, perciò ecco a te un piccolo vademecum per
affrontare la situazione con gli strumenti giusti.
1. Evita chi si lamenta del fatto che le cose non cambiano. E, se non puoi
evitarlo, ascolta in silenzio e poi rispondi come faccio io: “ah ah”, con tono
abbastanza scazzato, in modo da fargli capire che non sei interessato al discorso.
2. Evita chi, quando parli di crescita e cambiamento, si inasprisce e inizia a
sbraitare che il suo caso è diverso. Rispondi che ha ragione, che il suo caso è
diverso.
3. Evita chi, quando intraprendi un nuovo percorso di formazione aziendale o
formazione personale, ti esprime il suo dissenso senza aver prima fatto di
persona la stessa cosa. Ringrazia per l’interessamento. E poi chiudi con “ah ah”.
4. Circondati di chi ci crede. A prescindere. Gli inguaribili ottimisti sono quelli
che, quando scivolerai, ti aiuteranno a riprendere in fretta la strada.
5. Scegli di stare con persone felici.
6. Frequenta persone che ottengono risultati, che cambiano quando serve, che
affrontano le difficoltà facendo cose. Moltissime persone si lamentano del fatto
che le cose non vanno. E poi vanno avanti a far sempre le stesse cose. Ecco, tu
frequenta quelli che fanno cose diverse.
7. Decidi da che parte stare. Se vuoi un business felice, devi vivere una vita in
cui quello che fai è coerente con quello che ti fa battere il cuore. Tutto qui.
45
AZIENDALE
Nel campo della FORMAZIONE AZIENDALE e nel campo della
FORMAZIONE VENDITORI se ne vedono e se ne sentono di tutti i colori. Al
di là dell’approccio scelto dal singolo formatore e dal suo stile personale, quel
che noto è che, da un lato, spesso e volentieri si insegnano in aula materie e
concetti da epoca mesozoica (hai presente lo schema dei quattro colori di cui
sempre parlo? Ecco). D’altro lato, si trascurano materie di basilare importanza,
destinate alla crescita e alla evoluzione dell’Uomo, prima che del professionista.
Ecco dunque un breve vademecum, 7 regole semplici semplici che vanno
studiate, approfondite, applicate. E la cui pratica, a mio modestissimo parere,
andrebbe inserita in qualsiasi programma di formazione aziendale, declinato a
qualsiasi livello. Non solo, dunque, durante la formazione ai venditori ma, per
l’appunto, durante la formazione di tutti coloro che animano la vita d’azienda.
1. PARLA BENE. Le parole sono tutto. Al di là della bufala sul 7% che,
auspico, prima o poi scomparirà, le parole sono davvero tutto. Parlare bene
significa scegliere con cura le parole che usi, sia per comunicare a te stesso sia
per comunicare a chi ti ascolta. Parlare bene significa avere piena
consapevolezza del fatto che la parola detta o pensate produce sempre e
inevitabilmente una reazione (conscia o meno) nel tuo cervello o in quello di chi
ascolta. E ricordare il fatto che questa reazione si traduce in chimica, in stati
d’animo, in pensieri che diventano comportamenti. Così, una parola dopo l’altra,
tu hai il potere di creare la realtà che preferisci, le emozioni che vuoi, i risultati
che desideri.
2. COMPORTATI BENE. Con i clienti, con i collaboratori, con i colleghi, con
chiunque. Sii gentile, comunque. Parlar male di chi è assente, screditare il lavoro
altrui o malignare alle spalle di chi non si può difendere sono azioni da deboli,
da persone prive di spina dorsale. Le azioni virtuose, invece, dichiarano potenza
d’animo e grande integrità. E alla fine, l’integrità premia. Lo sai come la penso:
alla fine, i buoni vincono sempre.
3. USA LA COMUNICAZIONE NON VERBALE. Non tanto e non solo per
interpretare i pensieri di chi ti parla (cosa, peraltro, assai utile e dilettevole) ma,
soprattutto, per migliorare il tuo livello energetico e il tuo stato emotivo. La
postura è fondamentale… e se vuoi saperne di più, cerca su internet o sui miei
profili social la famosa vignetta di Charlie Brown dedicata a questo tema!
4. SFRUTTA LA POTENZA DEL RESPIRO. Quando, durante i corsi di
vendita, insegno pratiche di respirazione consapevole, le persone spesso mi
guardano in modo strano. Che c’entra? si chiedono. C’entra, c’entra. C’entra
perché se sai respirare sei sempre rilassato e concentrato (sul pezzo, come si
dice) e perché se sai respirare sai gestire le situazioni con serenità ed efficacia.
Parlo di “saper respirare”, mica di tirar dentro aria: quello, sono capaci tutti.
5. MANGIA BENE. Hai presente “mens sana in corpore sano”? Ecco, parlo di
questo. Alcool, grassi, zuccheri, carne in eccesso, carboidrati raffinati, sigarette:
ogni volta che inserisci queste cose nel tuo corpo, riduci le tue possibilità di
successo (attento: se per “successo” riduci tutto a “fatturato”, hai un problema di
convinzioni limitanti, oltre che di alimentazione!). Un corpo in salute, grazie
anche a un’alimentazione consapevole e sana, è il miglior strumento per
raggiungere i tuoi business felici! Dovrebbero dunque inserire corsi anche di
questo, nei programmi di formazione aziendale? Io lo faccio. Dunque, perché
no?
6. PRENDITI CURA DI TE. Hai bisogno di spazio, di tempo, di aria. Ci sono
mille modi per prenderti cura di te, e mille risposte alle mille scuse che di solito
mi vengono a raccontare. “Non ho tempo”, mi dicono. Appunto per questo
dovresti prenderlo. Scegli le coccole che preferisci (stando attento a evitare il
contrasto con il punto numero 5) e goditi la vita, senza sensi di colpa. Se non
riesci, inserisci questo tema nei tuoi prossimi obiettivi. Ricorda: le persone non
comprano prodotti, comprano persone felici che vendono prodotti.
7. STUDIA. Questo riguarda te, in primis. Senza aspettare che l’azienda ti
organizzi il corso, tu fai quel che devi: aggiornati, leggi, impara più che puoi.
Leggi tutto quel che riesci, di qualsiasi genere. Amo ricordare, su questo tema,
l’immenso Jim Rohn: tu sei la somma dei libri che hai letto e dei corsi che hai
fatto. E quando credi di saperne abbastanza, è proprio quello il momento in cui
fare ancora un passo avanti.
46
SUCCESSO E ALTRUISMO
… e non parlo necessariamente di dedicarti a una Onlus o di fare beneficenza
(anche se, a onor del vero, gli uomini di successo più grandi sono quelli che
dedicano parte del loro tempo e delle loro risorse a promuovere il benessere
altrui, da Bill Gates a Richard Branson, giusto per fare un paio di esempi).
Parlo del fatto che se vuoi avere successo devi pensare agli altri.
Se vuoi vendere di più, devi metterti nei panni del cliente, vivere empaticamente
la sua situazione e chiederti: di che cosa potrei aver bisogno? Quali potrebbero
essere i miei dubbi sull’acquisto di questo prodotto? Perché dovrei volerlo
comprare proprio da lui? Quali sono i vantaggi che otterrò? Cosa me ne verrà in
tasca, davvero?
Se vuoi che la tua azienda proliferi, devi porti le stesse domande riguardo a
colleghi e collaboratori, evitando di cadere nella trappola del “dovrebbero
arrivarci” o “dovrebbero pensarla come me”. Mettiti nei panni di un tuo
collaboratore e chiediti: quali sono le mie necessità e le mie aspirazioni? Come
mi piacerebbe essere trattato? Perché dovrei fare le cose che mi chiedono, oltre
al fatto che vengo pagato?
Per altruismo intendo mettersi nei panni degli altri e ragionare con la prospettiva
di chi ti parla.
Quando un cliente mi dice che diffida dei corsi di vendita, gli dico che fa bene e
che ha ragione: mi metto nei panni di una persona che naviga in internet o che
cerca in Facebook e che trova qualsiasi genere di cosa. Fossi in lui, sarei
diffidente pure io. Voglio dire: ci sono colleghi che ancora propongono in aula lo
schema dei 4 colori, non so se mi spiego!
Quando un cliente mi dice che non crede nell’efficacia della formazione, gli dico
che fa bene: ci sono ancora formatori che passano il loro tempo a ballare, battere
cinque e menar gran pacche sulle spalle, manco fossimo al Cocoricò (ops). Fossi
in lui, avrei più di una diffidenza.
La verità è che quando le persone, i clienti, sentono che tu sei sinceramente
interessato a loro e ti sei messo, almeno per un minuto, nei loro panni, le cose
sono molto più facili.
Il 90% dei venditori che conosco propongono il loro prodotto secondo il loro
punto di vista: chiedono poco, ascoltano pochissimo, fanno scarso o nullo lavoro
di empatia con chi si trovano di fronte.
Un semplice esercizio per te:
La prossima volta, prima di parlare con un collaboratore o cliente, chiediti: W I I
F Y?
Ovvero: che cosa c’è di buono, qui, per te?
E poi rispondi, almeno 3 risposte sensate.
E parti da quelle.
Lascia stare chi sei, da dove vieni, quante stelline hai sul tuo curriculum.
Parti da quelle 3 risposte. E vedrai che differenza!
48
VOGLIONO
Lo sapeva benissimo Steve Jobs che, grazie a questo principio, ha potuto creare i
meravigliosi oggetti che tutti noi conosciamo e che hanno cambiato il mondo.
“Non puoi solo chiedere ai clienti che cosa vogliono e poi provare a darglielo.
Per quando l’avrai costruito, vorranno qualcosa di nuovo”, diceva.
E lo sapeva benissimo Henry Ford: “Se avessi chiesto ai miei clienti che cosa
desiderassero, mi avrebbero chiesto carrozze con più cavalli”.
Moltissimi investimenti sono stati fatti (e sono fatti) dalle aziende sui cosiddetti
Focus Group, ovvero gruppi di persone che dovrebbero – sottolineo dovrebbero
– dare alle aziende indicazioni sul miglior prodotto da produrre. L’evidenza
scientifica è che questi Focus Group non funzionano. Lo sa benissimo Howard
Moskowitz, responsabile, grazie alle sue intuizioni, di alcuni dei più clamorosi
successi commerciali di tutti i tempi, dalla Pepsi con aspartame alla famosa salsa
a pezzettoni della Heinz. Il concetto su cui Moskowitz ha basato la sua ricerca è
che è impossibile accontentare tutti, prima di tutto perché le persone si dividono
in categorie con gusti simili e poi, soprattutto, perché le persone non sanno quel
che vogliono finché non glielo fai assaggiare.
Perché questo discorso? Perché durante i corsi di formazione aziendale e
formazione ai venditori, sento spesso ripetere la lamentela legata al fatto che “il
cliente vuole questo e vuole quello” o che l’azienda “non dà ai clienti quello che
vogliono”. A volte, concedo il beneficio del dubbio, questo può essere vero. Ma
la maggior parte delle volte si tratta di scuse belle e buone fornite da chi, per
mestiere, invece di lamentarsi dovrebbe trovare soluzioni.
È proprio il Professionista della Vendita che deve valorizzare il proprio prodotto
e metterlo in una luce tale per cui il cliente possa scoprire di volere qualcosa di
cui prima nemmeno era consapevole. Altrimenti, mi chiedo e chiedo alle persone
che frequentano i corsi, i Professionisti che ci stanno a fare? Se fosse solo una
questione di prezzo e vantaggi, basterebbe un pdf.
Se speri di poter accontentare tutti, difficilmente avrai un business felice.
Lavora, piuttosto, su quel che ancora non c’è. Chiediti in che altro modo puoi
offrire i tuoi prodotti o i tuoi servizi.
E, soprattutto e come sempre, ascolta il tuo cuore invece delle voci di mercato.
Perché se ascolti il cuore, ci credi abbastanza e possiedi un minimo di
perseveranza, allora davvero sei sulla strada buona per i tuoi business felici.
Buona vita!
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SCIMMIE
Se paghi noccioline, lavori con le scimmie.
La recentissima indagine (oggi è 11/11/2015) su alcune aziende italiane
sospettate di aver venduto olio extravergine senza che fosse poi così
extravergine (fra i nomi illustri, Bertolli e Carapelli: ecco il link) mi porta a far -
di nuovo - alcune considerazioni, visto che mi occupo anche di vendita e di corsi
di formazione aziendale dedicata ai venditori.
Chi porta la questione sul prezzo, non ha capito nulla. Cioè: che il cliente chieda
condizioni di favore o chieda uno sconto, ci sta. Lo faccio anche io. Anche a me
piace avere un po' di sconto. Ma so che, se voglio un certo tipo di prodotto o di
servizio, oltre una certa soglia non posso andare. Cioè: se voglio lavorare
sull'ultimo modello di MacBook Pro, so che una certa cifra la dovrò investire. Se
voglio vestirmi con tessuti di un certo tipo e indossare un abito disegnato per me,
so che il mio sarto una determinata cifra me la chiederà. Se voglio una
consulenza che produca un risultato determinante, so che dovrò - anche in questo
caso - investire una somma particolare. Tutto qui, punto.
Certo, capisco che spesso la concorrenza è motivata e che, altrettanto spesso,
sembra che la battaglia quotidiana si combatta sul campo del prezzo. Non è così,
e lo sai. Vai a mangiare sempre e solo nel ristorante in cui spendi di meno? Usi
solo scarpe da ginnastica che costano pochissimo? Hai ancora il vecchio e
indistruttibile Nokia o possiedi uno Smartphone? Guardi Sky? Cambi operatore
telefonico ogni due giorni? La camicia che indossi oggi è proprio la meno
costosa al mondo? Dai, siamo seri.
Io dico, a costo di attirarmi le antipatie di qualcuno (ma il Dottor House dice: "se
nessuno ti odia, vuol dire che stai facendo qualcosa di sbagliato", quindi...), che i
venditori che si lagnano del problema del prezzo sono, semplicemente, incapaci
a far bene il loro mestiere.
Primo: se tu per primo non sei innamorato di quello che fai e di quello che vendi,
difficilmente riuscirai a emozionare e ispirare il tuo cliente.
Secondo: se il tuo prodotto è davvero più caro, sposta l'attenzione del cliente su
qualche cosa d'altro. Valore, risparmio futuro, servizi accessori, tua personale
disponibilità... insomma, qualsiasi altra cosa.
Terzo: se non trovi il "qualsiasi altra cosa" di cui al punto precedente, cambia
mestiere. Ci sono moltissime opportunità nel settore impiegatizio. Anche perché,
altrimenti, non vedo proprio a cosa servi: se il tuo compito è solo quello di
elencare quantità e prezzi, basta spedire un pdf per mail.
La questione non è quanto costi. La questione è: li vali?
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FELICI
Il filosofo Ludwing Wittgenstein diceva: "i limiti del mio linguaggio sono i
limiti del mio mondo". E ho sempre trovato questa considerazione
semplicemente sublime.
Così, quando faccio formazione o coaching, sto particolarmente attento non solo
al linguaggio dei miei clienti ma anche e soprattutto agli effetti che alcune parole
suscitano in chi le pronuncia.
E, oggi, voglio coinvolgerti in alcune considerazioni emerse di recente durante
una sessione di coaching aziendale che ho svolto con alcuni consulenti
finanziari. Ecco, dunque, tre parole che possiedono strani poteri.
PROCRASTINARE
Rimandare. Molte persone, quando sentono anche solo il suono di questo verbo,
si sentono accapponare la pelle, come se "rimandare" fosse il peggiore di tutti i
mali. È un vero spauracchio, lo spettro agitato da tutti coloro che si occupano di
formazione e di motivazione! Procrastinare? Guai a te! Io credo che questo
verbo meriti almeno un briciolo di attenzione in più, visto che - se ben ci pensi -
alcune cose le rimandi e altre no. Procrastinare, nella vita, lo fai di solito solo
sulle cose che non hai voglia di fare. Mica sempre! Quando qualcosa ti piace, ti
eccita o ti diverte, tendi a rimandarla o a farla ogni volta che puoi, appena puoi?
Rimandi solo le cose che non hai voglia di fare, quelle che ti tolgono energia o
che vivi come una seccatura. Quindi, prima di demonizzare questo verbo,
dovresti far due conti: se le cose che tendi a rimandare sono troppe, significa che
l'impianto stesso del tuo business è difettoso o, almeno, da riconsiderare. Quel
che credi essere un difetto, in realtà, potrebbe essere la tua naturale (e sana)
tendenza a evitarti rotture di scatole. Forse sei sano, dopo tutto.
PERFETTO
Ecco una parola molto pericolosa, soprattutto per coloro che la usano su loro
stessi in continuazione: quelli che vogliono essere perfetti, quelli che pretendono
che il loro lavoro sia perfetto, quelli che "perfetto o niente". In realtà, lungi
dall'essere uno sprone verso incredibili risultati, la parola "perfetto"è un
incantesimo che ti condanna all’immobilità o alla perenne frustrazione, visto che
a questa parole possono essere attribuiti così tanti significati che potrei scriverci
due libri.
"Perfetto" secondo chi? Secondo quali criteri e in quale momento storico? E poi:
"perfetto" da quale punto di vista? E in attesa della perfezione, che succede?
Per essere perfetto, ti privi della libertà di pensiero, di agire come ritieni giusto
per te in un particolare momento e in precise circostanze.
È una parola che incatena, che t’impedisce la libertà, anche quando le cose
vanno benissimo. Perché potrebbero andar meglio. Allora, io suggerisco "fatto".
Molto meglio una cosa fatta, passibile di feedback e di essere migliorata, di una
cosa perfetta che resta nel cassetto.
VENDITA
Se ne parla spesso, di questa parola, tanto che voglio aggiungere solo un paio di
considerazioni alla mole di inchiostro già versata sull'argomento. È una parola
strana, perché rimanda a concetti a volte fuorvianti. La maggior parte delle
persone pensa alla vendita come a un processo in cui un prodotto o un servizio
passa da una mano all'altra mentre del denaro compie il viaggio inverso. Ed in
effetti, questa è l'etimologia della parola: "dare merce in cambio di soldi
(venum)". Peccato che questo concetto sia connotato di sensazioni a volte poco
positive. A me piace parlare di vendita in tutti i contesti, anche quando un
manager vuole convincere i suoi collaboratori a compiere determinate azioni. Se
ci riesce, "ha venduto", altrimenti no. Oppure, parlo di vendita quando un
imprenditore descrive la sua azienda a possibili clienti o investitori: non sta
fisicamente vendendo nulla, eppure "vende". Si tratta di un processo che
chiunque mette in pratica almeno una volta al giorno, quando tenta di ottenere
qualcosa da qualcuno. Ed è un processo che può essere piacevole, divertente e
utile per tutti. Le connotazioni negative sono a carico di chi ce le mette, su
questa beata parola.
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