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Il storia della Yamaha verso Dakar


8 aprile 2020 / 0 Comments / in MOTO EPICHE / da ferro

Dopo essere stata la pioniera della nuova categoria “trail” con


la DT-1 e essersi poi affermata come leader nel motocross con
le sospensioni Monocross, Yamaha ha iniziato lo sviluppo di
altri due modelli epocali per l’ormai fiorente mercato off-road
degli Stati Uniti: la TT500 enduro, uscita nel 1975, e la XT500
dual-purpose, uscita nel 1976. Entrambi questi big-single a 4
tempi soddisfacevano le esigenze dei fanatici appassionati del
fuoristrada che si divertivano a cavalcare sui selvaggi terreni
aperti e deserti della West Coast americana. I loro motori
altamente resistenti avevano una forte coppia, e il loro telaio
robusto e leggero era in grado di sopportare le vibrazioni di
una tale unità di potenza. Diventarono subito grandi venditori
come moto da diporto, perfette per godersi una guida vivace
nei fine settimana nei selvaggi spazi aperti dell’America. Le
moto divennero anche la macchina dominante in vari tipi di
gare di enduro e vinsero gare in tutto il paese.

Nel frattempo, in Europa la XT500 divenne un successo


inaspettatamente grande per un uso diverso da quello
americano: il suo design elegante le valse una presenza
crescente sulla strada. La combinazione tra il suo motore
torquey e un telaio leggero e sottile la rendeva un tuttofare in
grado di essere utilizzata sia per le commissioni quotidiane
che per i tour, rendendola una scelta popolare.

Ma non è stata l’unica ragione del suo successo. Grazie alla


passione di un francese in particolare, che sarebbe diventato il
“Signor Yamaha” dell’azienda, la XT500 sarebbe stata anche la
punta di diamante per lo sviluppo di un’altra nuova categoria
pioniera della Yamaha.

Olivier è sempre stato appassionato del Rally


Parigi-Dakar.

Il suo nome era Jean-Claude Olivier. All’epoca, era un


dipendente dell’importatore francese di prodotti Yamaha Motor
Sonauto, ma in seguito sarebbe diventato il presidente della
Yamaha Motor France S.A. e avrebbe aiutato il pioniere di
quella che venne chiamata la categoria “Adventure”.
AUTO – RAID 1979 – PARIS ALGER DAKAR – PHOTO : DPPI
MOTO – CYRIL NEVEU (FRA) / YAMAHA 500 XT – ACTION – W
Gli occhi di Olivier brillavano mentre guardava la 500 cc big-
single e pensava alle vaste e sconosciute distese del
continente africano, dicendo: “È giunto il momento che la
moto sia un veicolo per l’avventura”. Ha iniziato gareggiando
nel 1977 al Rallye Côte d’Ivoire (Rally di Abidjan-Nizza) che ha
percorso circa 10.000 km dalla Repubblica della Costa
d’Avorio, capitale di Abidjan, a Nizza nel sud della Francia. In
questo evento ha vissuto le difficoltà e le gioie del rally
d’avventura. (A questo rally ha partecipato anche il successivo
organizzatore del Rally Parigi-Dakar, Thierry Sabine). Poi, nel
1979, Olivier fu affiancato da altri tre piloti per partecipare al
primo Rally Parigi-Dakar (noto anche come Rally Oasis)
come “Sonauto Yamaha Team”, in sella alla XT500.
All’epoca, le altre case automobilistiche e motociclistiche
mostrarono poco interesse per questa nuova competizione, ma
Olivier era diverso. Ha descritto la sua decisione di partecipare
come una scelta naturale basata sul concetto di prodotto della
XT500.

Cyril Neveu alla prima Parigi-Dakar


In questa prima partecipazione alla Parigi-Dakar, le automobili
e le moto non avevano categorie separate e le 2 ruote e le 4
ruote hanno corso per la vittoria assoluta. I piloti Cyril Neveu e
Gilles Comte hanno superato le numerose Range Rover,
Renault e altri fuoristrada, rispettivamente, con un arrivo a 1 o 2
posti sulla Yamaha XT500. Nella seconda Parigi-Dakar
dell’anno successivo, Neveu ha vinto ancora una volta e i piloti
della XT500 hanno conquistato i primi quattro posti della gara.
Inoltre, delle 25 moto che terminarono il Rally quell’anno, 11
erano XT500, più di qualsiasi altra marca.
In questo modo, l’elegante design della XT500 destinata alla
California ha conquistato anche il cuore di molti appassionati in
Francia e in altri paesi europei, suscitando in loro il desiderio
di “Avventura”.

Dal terzo anno consecutivo, l’anno successivo, nel 1981,


la Parigi-Dakar è diventata una gara omologata dalla FIA e
dalla FIM, e sia i team automobilistici che quelli delle fabbriche
di motociclette hanno rapidamente iniziato a partecipare alla
competizione. Tra i partecipanti più ambiziosi c’erano i team
BMW, e i piloti della XT500 si ritrovarono ora a mangiare la
polvere delle moto BMW alimentate da un “motore piatto”
(motore a pistoni orizzontali). L’anno successivo, Yamaha ha
aggiornato la XT500 rilasciando la XT550. Era equipaggiata
con l’esclusivo dispositivo YDIS (Yamaha Dual Intake System)
della Yamaha, ma poiché le velocità medie della Parigi-Dakar
crescevano più velocemente, era una lotta per mantenere la
moto competitiva.
La yamaha XT550 della Dakar 1982

Questo ha spinto Olivier e Sonauto a chiedere a Yamaha Motor


in Giappone di sviluppare ulteriormente i modelli di produzione
XT per nuovi livelli di prestazioni off-road e di attrezzature
specificamente progettate per le competizioni rally a pieno
titolo. Ispirato dalla passione e dalla determinazione della
Francia, il team di sviluppo della sede centrale Yamaha si è
messo al lavoro. Il risultato dei loro sforzi è stato l’XT600
Ténéré. La moto vantava un motore da 600 cc che conservava
la YDIS, un grande serbatoio da 30 litri, il primo freno a disco
anteriore di sempre su un modello Yamaha off-road, una
sospensione Monocross a campana, un forcellone in alluminio
e altro ancora. La XT600 Ténéré è stata sviluppata in
concomitanza con il modello enduro TT600 per il mercato
nordamericano e aveva un livello di affidabilità molto elevato.
Quando fu presentata per la prima volta al Salone del motociclo
di Parigi nell’autunno del 1982, la XT600 Ténéré scatenò un
nuovo movimento che si sarebbe diffuso in tutto il mondo.

Dopo la sua uscita ufficiale, il Ténéré divenne non solo la scelta


naturale di numerosi piloti della Parigi-Dakar, ma anche la
scelta di molti motociclisti generici che ammiravano l’avventura
che la Parigi-Dakar simboleggiava. Il Ténéré era la macchina
che meglio incarnava i loro sogni e che avrebbe dato il via ad
un boom mondiale di macchine in stile dopo quelle che
gareggiavano nella Parigi-Dakar.

XT 600 Ténéré
Come attento osservatore degli eventi di quei tempi, l’attuale
presidente di Yamaha Motor France, Eric de Seynes, ricorda:
“Quando abbiamo avuto il Ténéré 600, è stato un fantastico
successo sul mercato. Davvero, è stato fantastico; dal punto di
vista delle vendite, è stato un grande successo”. Nei dieci anni
successivi alla sua uscita sul mercato, 61.000 XT600 Ténéré
sono state vendute in Europa e più di 20.000 solo in Francia. In
seguito, il modello si evolverà nel 1991 nella XTZ660 Ténéré,
con un motore monocilindrico a cinque valvole da 660cc, e
adotterà il doppio faro nel 1994.

La Yamaha 600 Ténéré della Dakar 1985

Pur continuando a incarnare i sogni di tanti piloti, il famoso


Ténéré sarebbe arrivato a simboleggiare lo “spirito
d’avventura” del marchio Yamaha. La categoria Adventure,
iniziata con l’arrivo della XT500, raggiunse un nuovo livello di
popolarità con il lancio della Ténéré, e la categoria sarebbe
cresciuta fino a diventare un nuovo tipo di cultura motociclistica.
Con l’istituzione della categoria Adventure, la Yamaha aveva
permesso a molti piloti di partecipare alla Parigi-Dakar, ma per
quanto riguarda i risultati delle gare, la Yamaha non aveva
ottenuto una vittoria dalla seconda edizione del 1980.
Alla fine, è stata la determinazione di Jean-Claude Olivier a
vincere di nuovo la Parigi-Dakar a convincere il reparto di
sviluppo dei modelli di produzione della sede centrale della
Yamaha ad agire. La XT600 Ténéré preparata per la Parigi-
Dakar del 1985 portava lo stesso nome del modello di
produzione, ma in realtà era la prima moto che il reparto
sviluppo modelli di produzione della sede centrale Yamaha
aveva costruito appositamente per la Parigi-Dakar. Il serbatoio
del carburante era un progetto in tre parti, con un serbatoio
principale e serbatoi secondari a sinistra e a destra, per una
capacità totale di 51 litri. Con alcune modifiche apportate da
Sonauto, Olivier lo ha portato ad un impressionante secondo
posto. Oltre a questo, il 3° e 4° posto sono andati anche ai
piloti della XT600 Ténéré. Tuttavia, con la Parigi-Dakar che
diventa ogni anno più veloce, la vittoria continua ad andare alla
rivale della Yamaha e alla sua bicilindrica orizzontale.

Questo ha spinto Olivier a tentare di aumentare la velocità


massima della macchina per il Rally del 1986 utilizzando il
motore a 4 cilindri della FZ750 sport bike per la macchina,
creando la FZ750 Ténéré. Ma con lo svantaggio del suo peso
maggiore, il meglio che poté fare fu terminare al 12° posto.
Ciononostante, la sua incrollabile determinazione a vincere il
Rally ha ispirato il reparto di sviluppo delle macchine da corsa
della sede centrale della Yamaha ad agire.
L’anno successivo, nel 1987, il reparto sviluppo macchine da
corsa della Yamaha in Giappone iniziò finalmente a lavorare su
una macchina di fabbrica per il Rally del 1988. Si trattava della
macchina “0W93” o “YZE750 Ténéré” alimentata da un
motore monocilindrico a cinque valvole da 750cc
raffreddato a liquido. Olivier portò anche il 22enne campione
francese di enduro Stéphane Peterhansel nel team della
fabbrica. Peterhansel ha riflettuto sugli eventi dell’epoca:
“Questa gara era il mio sogno. Vincere questa gara non era il
mio sogno, era solo un sogno. E sono stato davvero fortunato,
perché un giorno [a metà del 1987], Jean-Claude Olivier mi
chiamò e mi chiese se ero interessato a fare la Dakar, e io
risposi di sicuro! Questo è il mio sogno! Voglio fare questa
gara!

In sella al monocilindrico a 5 valvole raffreddato a


liquido YZE750 Ténéré (0W93), Franco Picco è
arrivato secondo nel 1988.

Peterhansel era presente alle prove pre-gara dove sono state


effettuate le ultime regolazioni della 0W93 prima che otto
macchine fossero fornite al team Sonauto, al team
Belgardae al team spagnolo Yamaha per la partecipazione
alla Parigi-Dakar del 1988. In gara, però, Peterhansel è andato
fuori pista a un certo punto e ha perso terreno prezioso,
facendogli ottenere il 18° posto assoluto. Nel frattempo, Olivier
è caduto e si è rotto le ossa del braccio una settimana prima
del traguardo, ma ha corso fino al 7° posto. Più tardi,
Peterhansel avrebbe commentato l’enorme forza di volontà e la
determinazione che Olivier aveva dimostrato: “Ricordo quando
ho fatto la mia prima Dakar. Olivier] era un corridore; era l’88.
Ho iniziato con una buona gara, ma a metà gara ho fatto un
grosso errore e non sono mai riuscito ad ottenere un buon
risultato.
La Yamaha OW93, 750 monocilindrica di Franco Picco

E ricordo che Jean-Claude Olivier cadde e si ruppe le ossa del


braccio e cercò di finire. Ma per me non è stato possibile. Ho
detto che con un braccio rotto non è possibile. Ma alla fine, ha
finito la gara. Non è stato facile, ma dopo ho detto, il signor
Olivier è davvero un uomo forte, non solo con la sua velocità in
sella, ma anche [mentalmente] perché finire la Dakar in quel
modo con un braccio rotto, per me non è stato possibile. E’
stato durante la mia prima Dakar, quindi sono rimasto davvero
impressionato dalla sua [capacità]; era davvero forte, non si è
mai [arreso] ed era sempre [spingendo i suoi limiti fisici]”.

Tra i corridori 0W93 in quella Parigi-Dakar del 1988, è


stato Franco Picco del team Belgarda ad avere la gara
migliore. Fino alle ultime tappe del Rally, si trovò in difficoltà
con Edi Orioli su Honda NXR750, ma non riuscì a prendere il
suo rivale e si classificò 2°. Nel Rally dell’anno successivo,
Picco ha corso bene sulla migliorata 0W94, ma ancora una
volta ha dovuto accontentarsi del secondo posto con un
margine di 54 minuti. Anche se non sono stati in grado di
impedire alla squadra di fabbrica Honda di vincere di nuovo, il
know-how acquisito dalla macchina 0W93 che Picco aveva
cavalcato sarebbe stato ricondotto allo sviluppo del prossimo
modello di produzione Ténéré.

Per il nuovo motore, il desiderio di mantenere il buon feeling di


prestazioni del monocilindrico originale Ténéré, pur
consentendo livelli di potenza e velocità più elevati, è stato
scelto un bicilindrico in linea da 750cc a 10 valvole con una
manovella a 360°. Il design del motore era inoltre caratterizzato
da una presa di aspirazione in discesa, da un bilanciere a
doppio albero a ingranaggi integrato e da una lubrificazione a
carter secco. Naturalmente, in qualità di padre del “Mondo
Ténéré”, Jean-Claude Olivier ha partecipato ai test del
prototipo.
Nel 1989 tocca al bicilindrico, debutta la YZE750 Tenere 0W94

Poi, nell’autunno del 1988, la nuova XTZ750 Super Ténéré fu


presentata al Salone del Motociclo di Parigi. Prendendo come
modello base il nuovo modello di produzione XTZ750 Super
Ténéré, gli sforzi si sono accelerati verso l’ingresso in fabbrica
al Rally Parigi-Dakar. Nel 1990, la macchina di fabbrica
802,5cc YZE750T Super Ténéré YZE750T ha portato Carlos
Mas al secondo posto. Poi, nel 1991, otto piloti della Sonauto e
delle squadre italiane hanno partecipato al Rally in una
versione più avanzata.

Quell’anno portò finalmente al successo; i piloti della YZE750T


Super Ténéré conquistarono ogni posto sul podio e portarono
alla Yamaha la sua prima vittoria in dieci anni. Fu il momento in
cui la dedizione e la determinazione di Jean-Claude Olivier e
del team di sviluppo Yamaha a vincere di nuovo il Rally diede
finalmente i suoi frutti.
Finalmente nel 1991 arriva la vittoria con la YZE750T OWC5

Il vincitore della gara di quell’anno, Peterhansel ricorda quel


momento: “Ricordo che sul podio, [Olivier] prese la mia mano
sul podio e si mise a piangere un po’. Fu davvero
emozionante e fu forse la sensazione più bella della mia
carriera [con sei vittorie alla Dakar]. Da quando sono entrato
alla Yamaha, ha riposto in me la sua fiducia e mi ha detto di
prendermi il mio tempo, mi ha dato molto sostegno e ha detto
che era sicuro che avrei vinto la Dakar. Dopo quattro anni, ho
vinto la mia prima Dakar, quindi per lui, [aveva centrato il
bersaglio]. Era una relazione un po’ simile a quella di un figlio
e di un padre”.

La Yamaha 850 della Dakar 1994

Nel 1994, il regolamento della gara è cambiato e la


partecipazione è stata limitata ai modelli di produzione. Questo
costrinse la Yamaha a sospendere la sua partecipazione in
fabbrica, ma non influì sulla passione di Olivier per l’evento. Per
i piloti privati che volevano partecipare al Rally, Yamaha Motor
France rilasciò i propri modelli di produzione costruiti
appositamente per la Dakar. Hanno venduto le 15 unità
necessarie, ciascuna del bicilindrico XTZ850R e del
monocilindrico XT660R, per un totale di 30 unità. All’epoca,
l’XTZ850R fu venduto per circa 140.000 franchi (all’epoca circa
25.000 USD). Queste macchine continuarono ad aiutare i
privati a realizzare il loro sogno di competere nella Parigi-
Dakar.

La Yamaha XTZ 850 della vittoria alla Dakar 1996 con Edi Orioli

L’anno successivo, Peterhansel tornò al Rally Parigi-Dakar


come pilota di fabbrica su una macchina basata sulla XTZ850R
e vinse la sua quarta vittoria nel Rally del 1995. Nel 1996, Edi
Orioli ha vinto il Rally con Yamaha, e nel 1997 e 1998,
Peterhansel ha vinto consecutivamente in sella alla
XTZ850TRX con una manovella a 270° che forniva
un’eccellente trazione nelle sabbie del deserto. Così facendo,
Peterhansel ha ottenuto un record senza precedenti di sei
vittorie nella divisione motociclistica della Parigi-Dakar. Questi
risultati hanno anche contribuito a far sì che Yamaha vincesse 9
dei 19 rally della Parigi-Dakar che si sono svolti fino al 1998, la
maggior parte dei costruttori di motociclette, prima di terminare
la sua partecipazione al Rally.
L’ultima vittoria di Peterhansel alla Dakar 1998

Ndr: la parola “ténéré” nelle lingue tuareg del Nord Africa


significa “deserto” o “solitudine”. La sfida della Yamaha nella
Parigi-Dakar, affrontata insieme ad appassionati avventurieri
determinati a conquistare questo sterile “deserto dei deserti”,
è stata degna del costruttore pioniere del fuoristrada fin
dall’inizio. Nessuna persona simboleggia questa sfida meglio
del defunto Jean-Claude Olivier, l’uomo che in quegli anni fu
la forza unificatrice e trainante della sfida di Dakar. Oggi, i
suoi numerosi successi e il suo indomito Spirito di sfida non
sono solo un modello per Yamaha Motor France, ma anche
per ogni membro della famiglia Yamaha globale da
ammirare con orgoglio.

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1986.jpeg 499 763 ferro http://www.parisdakar.it/wp-
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08 15:54:412020-04-09 07:14:44Il storia della Yamaha verso
Dakar

DAKAR 1998 | YAMAHA domina, ma gli


Austria Korps incalzano
31 marzo 2020 / 0 Comments / in 1998, STORIE / da ferro

E’ stata la gara della vittoria – la numero 6 ed un record –


annunciata e scontata di Stéphane Peterhansel e della sua
Yamaha 850 bicilindrica. Se per il pilota francese c’è la
soddisfazione di avere sorpassato Cyril Neveu, fermo a 5, per
la Casa giapponese è l’affermazione numero 9. E
probabilmente sarà l’ultima poiché la Yamaha ha annunciato il
ritiro dalla “più dura gara al mondo”.

Lascia lo spazio alle monocilindriche, alla KTM e alla BMW e,


probabilmente, al ritorno della Honda. Di fatto la supremazia di
questo fantastico duo è stata evidentissima sin dall’inizio della
gara. Lasciati sfogare gli animi in Europa, nelle tappe in
Francia e in Spagna dove l’avvicinamento all’Africa è stato un
fatto di routine più che una gara vera e propria, “Peter” ha
accumulato subito un
notevole vantaggio, un
distacco che ha saputo
amministrare con la
consueta intelligenza
nella seconda settimana.

Solo piccole incertezze


in un percorso trionfale:
qualche caduta, lievi
problemi tecnici alla
velocissima
bicilindrica Yamaha XTZ
850 TRX; insomma,
niente che davvero
potesse preoccupare
questo grande campione che potrebbe, però, non schierarsi
più alla Dakar con una moto: «Se la Yamaha lascia – così ha
detto all’arrivo – abbandono anch’io. Sono troppo legato a
questa Casa per accettare un’altra offerta. Potrei tornare in
Africa solo guidando un’auto».
Ci ha provato a insidiare questo strapotere lo squadrone KTM:
una specie di armata motorizzata diretta dall’ex pilota Heinz
Kinigadner, composta da dieci piloti ufficiali e da una
numerosa schiera di privati. Le KTM LC4 660 non hanno potuto
reggere la stessa andatura della bicilindrica giapponese ma si
sono difese benissimo vincendo la maggior parte delle prove
speciali (12 su 19). Su 55 piloti arrivati sulle spiagge di Dakar
ben 31 erano in sella a una KTM.

Nonostante Peterhansel fosse inavvicinabile – lo dicono gli


stessi uomini della Casa austriaca – l’avere piazzato Fabrizio
Meoni alle sue spalle, con un distacco non proprio impossibile
su 18 giorni di gara, è stata un’ottima performance. Il pilota
italiano è stato il vero avversario del francese: attento nella
navigazione nonostante i continui malfunzionamenti del suo
GPS, un vero duro nel sopportare prima di tutto i suoi 40 anni e
poi l’infortunio alla spalla sinistra, capace di trovare la giusta
via in una tempesta di sabbia e di riuscire da privatissimo ad
arrivare al terzo e al quarto posto nelle Dakar del ’94 e del ’95.

E anche lui potrebbe non essere più al via il prossimo anno


poiché, pur essendo un “ufficiale” a tutti gli effetti, non ha un
contratto con la KTM che lo tuteli per il futuro. Rientrando in
Italia ha ritrovato la vita di tutti i giorni e una concessionaria di
moto da mandare avanti. Alle sue spalle, sempre con la KTM
660, Andy Haydon un pilota australiano sicuramente abituato
ai grandi spazi e già a suo agio alla prima Parigi-Dakar. E poi
un sudafricano, Alfie Cox, già pilota di valore nell’enduro.
Questi due piloti, al di là della loro ottima classifica, dimostrano
come anche dei novizi della maratona africana possano far
valere le loro capacità nella guida fuoristrada.

La mancanza di veri trabocchetti nella navigazione ha quindi


fatto emergere chi va davvero forte al di fuori dell’asfalto,
ovvero i piloti da enduro. Non dimentichiamo che lo stesso
Peterhansel è un protagonista dell’enduro Mondiale. Anche il
nostro “Giò” Sala, più volte iridato della categoria, è andato
fortissimo, trasformando la gara in una lunghissima mulattiera.
Si è piazzato al 17esimo posto per qualche errore di lettura del
road-book e per qualche problema di accensione della sua
KTM. Ha rischiato anche di non finire la gara a soli 2 km
dall’arrivo a Dakar per una caduta che lo ha lasciato senza
conoscenza per pochi attimi e con la moto quasi distrutta.
GLI ALTRI ITALIANI Onore anche agli altri italiani che hanno
terminato la durissima gara: 24esimo Guido Maletti (ben 11
partecipazioni) con
la sua Kawasaki KLX 650R, ma
poteva arrivare più in alto nella
classifica se non avesse preso la
penalità forfettaria di nove ore
per il malfunzionamento
dell’accensione elettronica. Non
si è perso d’animo e ha
continuato a risalire nelle
posizioni. Gian Paolo
Quaglino e la sua Honda
XR400R si sono classificati al
29esimo posto. Quaglino è alla
Dakar numero 5 ed è la terza che
finisce. Subito dietro, Aldo
Winkler con la KTM 660. E’ uno
dei veterani con le sue otto partecipazioni. Il torinese vince il
premio fair-play perché, come un gregario d’altri tempi, ha
generosamente dato a Giò Sala, bloccato da guai elettrici e
“ufficiale” KTM, la centralina elettronica di scorta della sua
Kappa.

E poi viene Roberto Boano (38esimo ma con 47 anni alle


spalle), una volta crossista di buona fama e ora conosciuto
come il padre di Jarno e Ivan, molto più che giovani speranze
dell’enduro. Ha fatto la Dakar con la fida Honda Africa Twin,
che è pur sempre una bicilindrica ma è lontana anni luce dalle
prestazioni della Yamaha che ha vinto; non fosse altro che per il
maggiore peso, la minore potenza e le diverse, e meno
sofisticate, sospensioni. Al cinquantesimo posto Lorenzo
Lorenzelli con la sua Suzuki DR 350. Ha fatto tutto da solo,
senza un meccani-co ad aiutarlo, arrivando qualche volta
tardissimo ai bivacchi, ma sempre spin-to dalla solidarietà
degli altri piloti.

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content/uploads/2020/03/Arrivo_1998.jpg 1467 2181 ferrohttp://www.parisdakar.it/wp-
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31 16:35:092020-04-03 17:09:55DAKAR 1998 | YAMAHA
domina, ma gli Austria Korps incalzano
Yamaha XTZ 850 R, la fine (quasi) dei
prototipi
2 marzo 2018 / 0 Comments / in 1994, MOTO EPICHE / da ferro

Nel 1994 Yamaha decise di non partecipare con la squadra


ufficiale in contrasto con la modifica al regolamento che
sanciva la fine della categoria prototipi e non avendo tempo di
preparare una moto per vincere decise di non partecipare,
prima volta da quando iniziò la Parigi-Dakar. La Yamaha nel
1994 presenta la nuova moto la XTZ 850 R.

Con i costi di produzione limitati a 140.000 Franchi


per almeno quindici moto prodotte in modo
identico.

Ed unitamente alla XTZ 850 R fu presentata anche la XTZ 660


Super Production. Il prezzo imposto voleva favorire i piloti e le
squadre private che potevano acquistare ufficialmente moto
performanti già pronte al prezzo prestabilito.
Tuttavia, gli esperti hanno segretamente valutato il prezzo di
produzione della XTZ 850 R molto più alto! Il patron Yamaha
Motor France non smentì questa affermazione, anzi confermò
che la moto era una moto da gara a tutti gli effetti e che valeva
ben più del suo prezzo. Un vero affare per l’acquirente privato.
Peterhansel aveva preparato perfettamente la sua moto e ne
avevano fatto una serie identica ed era quasi imbattibile.

Delle 15 moto preparate una decina furono vendute ai privati,


come il Tais Sport e il team Les Copains, le moto furono
presentate e vendute in livrea bianca e serbatoi anteriori
alluminio. Le XTZ 850 R erano moto molto performanti e pochi
piloti poterono sfruttarle a pieno, nel 1996 Orioli vinse con la
dama bianca, mentre nel 1995, 1997 e 1998 Peterhansel vinse
con la XTZ 850 R che da derivazione TDM passò a al motore
TRX, infatti le moto furono omologate per la circolazione su
strada con la sigla 3VD, come i TDM.
Jean Claude Oliveir, patron di Yamaha Motor France con Stephan

Una particolarità, le moto clienti furono vendute ai clienti con il


telaio bianco, mentre le moto del team interno avevano il telaio
blu come la moto. La moto oltre a quelle a casa di Perterhansel
(Dakar 1998) una è esposta al museo Yamaha in Giappone
che non è la 1997 (è una clienti travestita) un paio alla Yamaha
Motor France, una o due in Italia le altre sono una in Spagna e
un paio tra Francia e Germania.
Quasi tutte le XTZ 850 R sono ancora in ottima forma e
perfettamente funzionanti.

Testo Giovanni Tazzone Fantazzini

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(quasi) dei prototipi
Yamaha YZE OW08 850 Dakar 1993
24 gennaio 2017 / 0 Comments / in 1993, MOTO EPICHE / da ferro

Nel 1993 si correva la 15a edizione della Parigi-Dakar,


competizione durissima attraverso il deserto africano, con
partenza da Parigi e con arrivo nella capitale del Senegal.
Edizione strana con solo 46 moto che si presentarono alla
partenza e fra tutte si è distingueva la Yamaha YZE
OWD8 di Sephane Peterhansel, vincitore delle due
precedenti edizioni.

Un pezzo davvero unico, ancor più che raro questa Yamaha che
è stato in vendita sul sito www.classic-motorbikes.com.
La moto in vendita era l’ufficialissima versione da 850 cc, nata
sulla base della 750 stradale ma completamente rivoluzionata
da Yamaha Motor France in collaborazione con il reparto
corse giapponese. Il motore era un bicilindrico parallelo,
come tradizione vuole, e il frontale con il serbatoio maggiorato
il caratteristico cupolino con lente faro ovale, la rendono senza
dubbio una delle più belle dakariane degli anni ’90.

Questa moto è appartenuta alla collezione di Yamaha


Motor France per 20 anni e non è stata minimamente toccata
dopo aver tagliato il traguardo di Dakar ’93. In sostanza, si
trattava di una moto conservata e ben lavata.
I graffi, la verniciatura scrostata il alcuni punti, il cupolino e il
codino rotti, il carter rovinato dalle protezioni dello stivale, sono
tutte “ferite di battaglia” che raccontano la storia.

Yamaha YZE OW08 8


Yamaha YZE OW08 8

Yamaha YZE OW08 8


Yamaha YZE OW08 8

Yamaha YZE OW08 8


Yamaha YZE OW08 8

Yamaha YZE OW08 8


Yamaha YZE OW08 8

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YZE-0WD8-Dakar-1993-FD95-
15.jpg 768 1024 ferrohttp://www.parisdakar.it/wp-
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24 17:58:312017-01-24 18:03:11Yamaha YZE OW08 850 Dakar
1993
Dakar 1991 – Speravamo in un successo
azzurro…invece è stato blu.
8 luglio 2015 / 1 Comment / in 1991, PILOTI / da ferro

Blu come i colori del francesissimo Team Sonauto che ha


piazzato due uomini nei primi tre posti. Tanto di cappello,
soprattutto a Stephane Peterhansel che ha conquistato un
successo meritato e difficile, con distacchi all’arrivo
ridottissimi. Nessuno se l’aspettava così terribile. Che fosse
uno dei migliori non si discute, ma pesava sulle sue spalle un
passato fatto soprattutto di prestazioni folgoranti e ritiri.
Quello che si è presentato al via della Parigi-Dakar ’91 è un
pilota molto diverso, capace anche di andare piano, oltre che
forte, e di soffrire se necessario. L’arrivo di Gao è stato
qualcosa di epico: in una tappa piena di erba «a chameaux»,
con grossi ciuffi tra la sabbia che mettono a dura prova le
sospensioni, è rimasto completamente senza
ammortizzatore, sollecitato al punto da «scoppiare»
staccando il serbatoio di recupero, che nella caduta ha
tranciato anche il tubo del freno posteriore. Ha continuato in
queste condizioni ed ha rotto pure l’attacco
dell’ammortizzatore, che fortunatamente si è andato ad
incastrare dentro una piastrina del telaio.

Quindi è stata la volta della mousse prima e del copertone poi:


quando è arrivato a Gao non era rimasto che il cerchio, nudo.
Anche in queste condizioni Peterhansel è riuscito a contenere il
suo svantaggio dal primo di tappa in 37’51” conservando la
testa della classifica. Solo uno dei tanti episodi di cui è fatta la
Dakar, ma esemplificativo della determinazione del francese,
deciso come non mai.
«È il giorno più felice della mia vita ha commentato
commosso all’arrivo lo inseguivo da diversi anni, e mi era
sempre andata male. Nell’89, dopo cinque giorni, ero in testa,
ma ruppi la moto. L’anno scorso al sesto giorno ero ancora
primo ma sbagliai la rotta, rimasi senza benzina fuori pista e
fui costretto ad accendere la balise e ritirarmi. Questa volta ce
l’ho fatta»!

Non è un caso e non è fortuna. Per arrivare al


successo Peterhansel ha dovuto rivedere tutto il
suo modo di correre, tutta la sua tattica di gara.

«È cambiato il mio modo di correre. Ho capito che forzare


non conviene, non serve che a guadagnare pochi minuti
correndo invece grossi rischi, magari ritirandosi. È molto più
produttivo marciare con regolarità, senza andare oltre il limite:
nel ’90 ho vinto il Rally di Tunisia e l’Atlas, eppure non sono
arrivato primo in nessuna speciale. Non è viaggiando
fortissimo che si arriva primi».

Sembra un paradosso, ma è vero. Del resto è una cosa che ha


dovuto imparare sulla sua pelle, per questo è categorico sulle
sfortune altrui.

«So che alcuni ritiri hanno tolto di gara avversari pericolosi,


sono stati sfortunati, ma neanch ‘io ho avuto molto fortuna. Ho
rotto una mousse a Dirkou ed ho avuto tutti quei guai a Gao.
Del resto solo Orioli ha perso la gara per problemi meccanici:
De Petri ha sbagliato ed è caduto, e così pure Arcarons. Io dal
canto mio ho avuto problemi con la mano: me l’ero fratturata
nel Rally dei Faraoni ’89, ed una seconda volta qualche mese
fa, al Guidon d’Or Nelle prime tappe, piene di sassi e molto
dure fisicamente, mi ha fatto soffrire parecchio. Poi per
fortuna il percorso è diventato più difficile per la navigazione,
ma meno per il mio scafoide».

Peterhansel a denti stretti insomma, ma non poteva cedere.


Non quest’anno in cui si è presentato concentratissimo e
determinato, pronto a centrare l’obiettivo finale. Anche una volta
raggiunta la leadership della gara non ha mai voluto
pronunciare la parola «vittoria».

«In una gara non si pensa alla vittoria fino alla fine, tutto può
sempre succedere. Solo a cinque minuti dall’arrivo di Dakar
ho cominciato a crederci davvero, perché i distacchi sono
stati ridottissimi per tutto il rally. Fino all’ultimo non puoi dire di
aver vinto; puoi dire solo di avere perso, al massimo. Per due
volte ho temuto mi fosse successo davvero: ho già raccontato
di Gao, ero sicuro che fosse proprio finita ed invece sono
riuscito a rimanere primo per quattro minuti. Ma anche tra
Agadez e Tillia ho avuto paura, ero senza strumentazione e
non sapevo dove andare. Quando sono riuscito a trovare la
pista con le indicazioni degli indigeni ho visto a terra le tracce
di un’altra moto. Ho temuto che Arcarons ce l’avesse fatta.
Invece si trattava di De Petri, ed io ho concluso secondo».

Uno degli avversari più pericolosi Peterhansel se l’è trovato


proprio in casa: il Compagno di squadra Magnaldi.

«Con Thierry non ci sono stati problemi, il rapporto tra di noi è


ottimo, siamo amici. Meglio avere lui alle spalle che Orioli o
chiunque altro: casomai mi fosse successo qualcosa il primo
posto sarebbe rimasto alla Sonauto. Mi dispiace che abbia
perso il secondo per un pelo».

Ora l’avventura è finita, e bene. Peterhansel, sempre molto


gentile ed educato, ma provato dalla tensione, può finalmente
sciogliersi un po’ Rilassarsi. Pensare al futuro.

«Futuro? Una bella vacanza sugli sci. Ne ho bisogno, di moto


e deserto non ne posso proprio più»!
Fonte: motosprint

Quella del 1991 è la


prima Dakar per
Stèphane
La festa per il vincitore
qui con Gilbert Sabine
http://www.parisdakar.it/wp-content/uploads/2015/07/Peterhansel-
1991-1.jpg 1412 2000 ferro http://www.parisdakar.it/wp-
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08 16:47:002016-01-05 18:21:20Dakar 1991 - Speravamo in un
successo azzurro...invece è stato blu.
La Dakar 1995 e “il martello proibito”
23 maggio 2015 / 3 Comments / in 1995, PILOTI, STORIE / da ferro

La Dakar del 1995 passa alla storia come quella del “martello
preso in prestito” da Stèphane Peterhansel dall’organizzazione
per raddrizzare una pedana durante la neutralizzazione di un
rifornimento. All’atto pratico non c’è nessuna intenzione di
violare il regolamento, ma l’atmosfera all’arrivo di tappa è,
come sempre impregnata di fatica e di animazione.

I piloti cercano di recuperare, in quel quarto d’ora di “stop”, il


massimo delle energie, e di riparare ai piccoli danni
eventualmente sofferti durante la prima parte della
Speciale. “Peter” ha una pedana storta, testimonianza di una
caduta pesante. Come è arrivato fin lì potrebbe continuare,
non certo nel massimo confort, ma per un “duro “ come il
francese il problema non è grave. La moto è accanto al camion
del rifornimento, e Stèphane si fa prestare un mazzuolo per
raddrizzare la pedana e riportarla nella posizione originaria.

Cinque colpi di martello. Alle conseguenze, al


momento, non pensa nessuno.

Poi qualcuno suggerisce la “stortura” e, alla sera, Jordi


Arcarons accusa l’avversario di aver usufruito di una forma di
assistenza irregolare. Al termine di una lunga discussione, il
giudice iberico infligge a Peterhansel una penalità di 15
minuti, tre minuti per ogni colpo. La situazione è rovesciata,
Stephane passa da inseguito a inseguitore. Gli animi sono
caldi, “Peter” sorride ironico inchinandosi alla decisione che lo
penalizza. Non poco.

La 17ma Granada-Dakar si decide tra Bakel e Labé, con una


tappa da far accapponare la pelle. Peterhansel parte a testa
bassa, frusta la sua Yamaha bicilindrica, un “bestione”
potentissimo ma anche pesantissimo, e usa la motocicletta
costruita espressamente per la Dakar come una agile moto da
enduro, sfruttando al massimo tutto il proprio potenziale
agonistico e di talento, ma anche della meccanica.

Vola letteralmente sugli ostacoli incurante, per una volta, dei


rischi cui va incontro, e mantiene la prestazione sempre,
costantemente al massimo. Peterhansel arriva solo al
traguardo, si volta, non c’è nessuno.

Orologio alla mano inizia il conto che stabilisce l’efficacia di


quell’attacco fuori dall’ordinario, insolito per il “temperato”
campione francese. “Ogni minuto che passa è buono, posso
aspettare!” Finalmente arriva anche Arcarons, e a quel punto si
può stabilire che Peterhansel ha vinto con venti minuti di
vantaggio. Ha massacrato, avvilito l’avversario, e ristabilito
l’ordine naturale delle cose. Sulle rive del Lago Rosa,
Peterhansel vincerà la sua quarta Dakar.

Nella memoria di Peterhansel non c’è traccia di sete di


vendetta, ma il ricordo semplice ed esaltante di una tappa nella
quale ha attaccato come mai nella sua carriera. Nella nostra
memoria il ricordo di un’indimenticabile, esaltante impresa
agonistica.

Fonte moto.it
Un grande pilota nella
storia della Dakar

Peterhansel ha la vitto
in pugno!

Stéphane arriva solo a


traguardo
La partenza della 17°
tappa sarà decisiva...

Con questa sono 4 le


Dakar vinte per "Peter
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23 09:32:372016-01-05 14:29:47La Dakar 1995 e "il martello
proibito"

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