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I COLORI NELLA FILOSOFIA: ARTHUR SCHOPENHAUER

Arthur Schopenhauer collaborò tra il novembre 1813 e il maggio 1814 con Goethe,
grazie al quale ebbe la possibilità di riflettere sul il fenomeno del colore. In totale
disaccordo con la teoria newtoniana, Schopenhauer appoggiò la teoria di polarità di
Goethe. Successivamente separatosi da quest'ultimo, ebbe modo di sviluppare una
teoria personale esposta nell’opera dal titolo “Uber das Sehn und die Farben” (Sulla
vista e i colori). I suoi studi riguardarono in particolare la retina, ritenendo che il
colore fosse il risultato della sua attività fisiologica. Egli non sconfessò la teoria di
Goethe, ma semplicemente iniziò a studiare il fenomeno del colore in relazione alla
vista, rimproverando al “maestro” di partire dall'oggetto nell'analisi anziché dal
soggetto.

Quindi l’analisi di Schopenhauer dei colori è


strettamente legata alla vista. Nella sua opera “ Sulla
vista e i colori “, la sua prima affermazione è quella
secondo la quale è necessario indagare il colore,
considerato una manifestazione fisiologica, a partire
dall’attività della retina. Egli sostiene che per analizzare un fenomeno la via giusta è
quella che prevede la conoscenza completa dell’effetto e non della causa. Infatti
soltanto tramite lo studio dell’effetto è possibile risalire alla giusta causa.

Fino ad allora tutte le teorie dei colori ,comprese quelle di Newton e Goethe per
determinare il colore, ovvero per produrre nell’occhio quella sensazione specifica che
non può essere descritta , si limitavano a parlare di quale modificazione la superficie
di un corpo colpito dalla luce o la luce la stessa dovevano subire .Questo fenomeno
si traduceva nella scomposizione della luce per Newton e nella legge della polarità
per Goethe.

Secondo Schopenhauer, bisogna basarsi sulla sensazione e non sulle strutture o le


leggi riguardanti il colore. Dopo aver analizzato l’effetto sarà possibile risalire alla
causa , vale a dire lo stimolo esterno che fa nascere la sensazione, cioè il colore.
Schopenhauer considera il colore soltanto in se stesso, cioè come sensazione
specifica nell’occhio e sottolinea che soltanto dopo averlo considerato così è possibile
risalire alle cause esterne.

La sua teoria dei colori come abbiamo già detto, è strettamente legata alla vista e
questo si può vedere in quella che lui definisce attività dell’occhio o della retina.
Facendo riferimento alla fisiologia, sottolinea come ogni sensibilità non sia passiva
ma, al contrario, sia una reazione ad uno stimolo ricevuto, quindi attiva. Questa
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nozione, già affermata da filosofi e studiosi del passato, la applica alla sua teoria dei
colori. In questo caso è la luce lo stimolo e l’occhio la parte attiva.

Successivamente affronta come i corpi agiscano sull’occhio sotto l’influenza della


luce. Li suddivide in corpi rilucenti o specchi e corpi bianchi. I primi si comportano
esattamente come la luce che ricevono , al contrario i secondi reagiscono in maniera
differente, cioè con un senso di attenuazione o di diffusione della luce.

“Nello stesso modo in cui si distingue il calore radiante da quello diffuso, si potrebbe
chiamare il bianco luce diffusa”.

Infine esistono dei corpi che colpiti dalla luce non agiscono sull’occhio, sono detti
corpi neri. L’effetto della luce e del bianco è quasi uguale, perciò Schopenhauer
conclude che sotto l’azione della luce e del bianco la retina è in piena attività, con
l’assenza di entrambe cioè con l’oscurità, si ha l’inattività della retina.

L’attività della retina viene analizzata in base all’intensità, all’estensione e alla


qualità. Per quanto riguarda l’intensità si osserva che l’azione della luce o del bianco
sulla retina avviene per gradi, si crea così una scala di intensità che per la luce
corrisponde a luce, penombra, oscurità mentre per il bianco si parla di bianco , grigio
e nero. Il concetto di estensione è complesso. L’attività della retina può essere
suddivisa anche secondo l’estensione, essendo inerente ad un organo esteso. Si parte
dall’affermazione che l’occhio può ricevere molteplici impressioni
contemporaneamente, quindi una accanto all’altra. Questo tipo di attività si
comprende attraverso il seguente esperimento:

“una croce nera su fondo bianco contemplata per un certo tempo


quando si alterni a questa impressione quella indifferente di una
superficie grigia o di colore incerto, produce nell’occhio il
fenomeno inverso vale a dire una croce bianca su fondo nero”

L’analisi di questo fenomeno ci permette di comprendere che su quei luoghi della


retina che sono colpiti dal fondo bianco, l’attività della retina stessa è talmente
esaurita da questo stimolo che non è più in grado di venir di nuovo stimolata dalla
superficie grigia, la quale agisce con tutta la sua forza sugli altri luoghi che prima
erano stati inattivi. Il capovolgimento del fenomeno è solo una parvenza, non è frutto
di una vera azione in cui la parte che prima era in riposo si attivi autonomamente.

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Infatti è sufficiente coprire gli occhi con una mano oppure fissare l’oscurità per
qualche istante perché tutto torni alla normalità.

Infine l’attività della retina si può analizzare non più secondo


un concetto quantitativo al quale appartenevano estensione e
intensità, ma in base ad una divisione qualitativa, compiuta
quando all’occhio si presenta un qualsiasi colore. Se in modo
analogo all’esperimento illustrato precedentemente, si fissi un
disco giallo su fondo nero e poi si guardi una superficie grigia,
si vedrà un disco violetto. Appare il colore violetto poiché con
il disco giallo non è stata stimolata la piena attività della retina,
ma solo una parte, lasciando l’altra a riposo. A questo punto
l’attività della retina si è divisa qualitativamente in due parti
una presentata dal disco giallo, e l’altra precedentemente
inattiva dal disco violetto. I due colori sono l’uno il
complemento dell’altro e insieme corrispondono alla piena
attività della retina. Tuttavia queste due metà non sono uguali fra loro, ma dato che il
giallo si avvicina più alla luce risulta essere una parte più grande del violetto.
Questo concetto è evidente osservando la sfera di Runge. Ogni colore ha un punto di
massima purezza che corrisponde all’equatore della sfera,cioè la massima libertà dal
bianco e dal nero. Tutti i colori si mostrano nel pieno della loro energia all’equatore e
la perdono per impallidimento avvicinandosi al polo bianco e per oscuramento verso
quello nero. Dunque ogni colore è diverso da un altro poiché l’uno è più vicino al
bianco e l’altro al nero. Nel nostro caso il violetto è tra tutti i colori quello più oscuro
e inefficace, al contrario del giallo che è limpido e chiaro. Quindi il giallo rappresenta
una parte qualitativa dell’occhio maggiore del suo complemento, il violetto.

Se ora si prende un disco giallo rossastro, il violetto


che si crea si allontanerà dal rosso tanto quanto il
disco vi si è avvicinato. Se ad esempio il disco è
arancione, lo spettro sarà azzurro; anche in questo
caso se pur meno evidente che in precedenza, le metà
sono diverse fra loro. Diventeranno uguali quando il
disco sarà rosso e lo spettro verde. Infatti questi colori
rappresentano l’attività qualitativa della retina divisa
in due metà uguali, rappresentano cioè il fenomeno
della bipartizione dell’attività della retina con estrema

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perfezione. Infine il nostro disco diventa rosso bluastro e lo spettro tornerà giallo. Il
numero dei colori è infinito e ad ogni colore corrisponde il suo completamento nello
spettro. Ciò accade perché la retina è portata ad attivarsi completamente.
Schopenhauer prende in considerazione come colori fondamentali solo tre coppie in
base alla loro semplice ripartizione della attività della retina:

nero violetto azzurro verde rosso arancione giallo bianco

0 1/4 1/3 1/2 1/2 2/3 3/4 1

Il nero e il bianco non sono considerati dal filosofo dei colori in senso proprio, ma li
considera paletti di confine. Infatti non sono rappresentati neanche da frazioni. La
teoria dei colori si basa quindi su coppie di colori e sulla loro purezza derivata
dall’esatta frazione che rappresentano.

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