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Università di Brescia
Facoltà di Economia

DISPENSE DI
ECONOMIA POLITICA

Prof. Giulio PALERMO

Tel 030 29 88 824


Fax 030 29 88 837
palermo@eco.unibs.it
http://www.eco.unibs.it/~palermo

ANNO ACCADEMICO 2008-09


 

PREMESSA

Un insegnante di economia che si rispetti dovrebbe innanzi tutto selezionare con la


massima cura gli argomenti degni di essere insegnati, dando spazio a quelli più utili alla
comprensione (e alla risoluzione) dei problemi economici, senza scendere a compromessi con
quanto insegnano i colleghi (soprattutto quelli per i quali non ha alcun rispetto scientifico). In
questo corso, invece, io scendo a compromessi e, siccome la cosa non mi piace, provo ad
offrire qualche giustificazione.
Ai fini della comprensione delle dinamiche del capitalismo, la microeconomia, ad
esempio, non ha granché da insegnare. Non solo si tratta di una teoria incapace di risolvere le
questioni che essa stessa pone, ma proprio le questioni che pone hanno poco a che fare con
quelli che, secondo me, sono i problemi del mondo economico. In definitiva, questa teoria si
riduce ad un'apologia (peraltro contraddittoria) del capitalismo, nella sua versione
ultraliberista, e poco più. Eppure anch'io, come molti, la insegno.
Il processo di omologazione degli insegnamenti economici, guidato dalle università
americane e dai loro think tank  liberisti ha ormai prodotto un forte conformismo scientifico in
cui l'autonomia scientifica dell'insegnante si riduce alla scelta del manuale più accattivante sul
 piano formale, essendo i contenuti per lo più standardizzati. E anche qui, come fan tutti, io
 pure suggerisco il manuale di turno, scegliendolo tra quelli che vanno per la maggiore e
limitandomi giusto a minimizzare il danno.
Il problema è infatti che, stando così le cose, uno studente che segua un percorso
“troppo” diverso dal cammino omologante ha più problemi che vantaggi. Nella misura in cui i
temi alternativi su cui ha riflettuto siano veramente utili alla comprensione del mondo, si
trova certo in posizione vantaggiosa rispetto ai suoi colleghi ben omologati. Ma, nel suo
 percorso di studi incontrerà ostacoli maggiori, non avendo a disposizione quel corpo di
conoscenze che invece la maggior parte degli altri insegnanti assumeranno per noto.
Se la mia difesa si fermasse qui non avrebbe avuto senso scrivere questa premessa.
Sono infatti ben cosciente del fatto che accettare un simile compromesso significa partecipare

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attivamente al processo di omologazione scientifica. Se dunque ho scelto di insegnare anch'io


molti degli argomenti tipici dei corsi di microeconomia e macroeconomia, è perché mi sono
riservato il diritto di evidenziarne i limiti, le contraddizioni, le falsità, le premesse ideologiche
e le implicazioni perverse, criticando il manuale, come si dovrebbe fare con ogni testo sacro.
La demistificazione della teoria economica aiuta infatti, secondo me, a riflettere, a scoprire
l'essenza che si cela dietro l'apparenza, a ricercare le proprie priorità scientifiche. Questa è la
sola ragione per me valida per insegnare la teoria dominante.
Certo sottraggo spazio e tempo agli argomenti che, secondo me, sono più direttamente
utili a capire quelli che io considero i problemi economici più gravi. Ma, anche per una
questione di umiltà scientifica, non credo che il vero problema sia di far passare i miei
messaggi o quelli degli economisti che, secondo me, meglio centrano il problema. Credo
invece che esista una sola difesa, individuale e collettiva, contro i processi di omologazione e
indottrinamento, quale che ne sia l'ideologia fondante: lo studio critico.
Per questo il programma che ho da offrire, anche se fatico ad ammetterlo, è frutto di
duri compromessi e, ciononostante, ne sono soddisfatto. Ma forse, senza tutte queste
giustificazioni, la verità è più semplice: come molti dei miei colleghi, anch'io non sono un
insegnante degno di rispetto. Sarà lo spirito critico dello studente a giudicare.

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PROGRAMMA DEL CORSO

DESCRIZIONE DEL CORSO 

Le scuole di pensiero economico esistenti adottano definizioni diverse dell’economia


 politica. In senso generale, l’economia politica studia i rapporti di produzione e distribuzione
del reddito e della ricchezza nella società. Secondo l’impostazione dominante, l’economia
 politica si suddivide nella microeconomia e nella macroeconomia. Queste due discipline, in
realtà, hanno origini storiche diverse e sviluppano concezioni teoriche in gran parte
incompatibili tra loro.
La microeconomia ha origine verso la fine del XIX secolo dal contributo di tre
economisti, Léon Walras, Stanley William Jevons e Carl Menger, oggi riconosciuti come i
fondatori della scuola neoclassica. Tale scuola, divenuta ormai egemonica a livello
accademico, sviluppa una concezione liberista dell’economia, secondo la quale lo stato deve
limitare al massimo il proprio intervento nell’economia, lasciando il massimo spazio alle
relazioni di mercato. Dal punto di vista teorico, la microeconomia si occupa del singolo
consumatore e della singola impresa. Attraverso il modello di equilibrio economico generale e
l’economia del benessere, essa offre un quadro normativo per valutare l’efficienza delle
diverse forme di organizzazione dei mercati.
La macroeconomia prende invece ispirazione dall’opera dell’economista inglese John
Maynard Keynes, vissuto nel XX secolo. Essa sviluppa una concezione del sistema capitalista
come sistema instabile e si pone come obiettivo la sua regolazione attraverso interventi diretti
dello stato. Dal punto di vista teorico, la macroeconomia si concentra sulle relazioni tra le
variabili economiche aggregate, come la produzione, i consumi, gli investimenti e il reddito
nazionale. Essa offre un quadro interpretativo direttamente applicabile ai problemi di politica
economica.
La nascita dell’economia politica è tuttavia antecedente sia alla microeconomia, sia
alla macroeconomia. Essa ha origine nel XVII secolo con il contributo degli economisti

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classici e riceve un nuovo impulso critico nel XIX secolo con l’opera di Karl Marx. Per dar
conto di questi diversi approcci, il corso si suddivide in tre parti: l'economia classica e
marxiana, la macroeconomia e la microeconomia.

R EQUISITI INDISPENSABILI 

Il corso non richiede alcuna propedeuticità.

OBIETTIVI 

Il corso si propone di favorire la comprensione degli aspetti economici della società


capitalista e di mettere in luce sia gli interessi comuni, sia quelli contrapposti che si
intrecciano nei processi economici e politici. Particolare importanza è data alla critica teorica
come strumento attivo per sviluppare una propria interpretazione dei problemi economici.

I NDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE 

1.  Giulio Palermo, Dispense di Economia politica (le stai leggendo)


2.  Giulio Palermo, Il Mito del Mercato Globale, Manifestolibri [pp. 9-43, 64-118].
3.  AA.VV., Letture di economia classica e marxiana 

I testi indicati sono scaricabili dal sito http://www.eco.unibs.it/~palermo  oppure possono


essere reperiti presso le librerie “la matricola” e “club”.

La dispensa al punto 1 raccoglie tutto il materiale discusso in aula. Essa sintetizza e


commenta i seguenti testi (cui si rimanda per chiarimenti ed approfondimenti):
1.  John Sloman, Elementi di economia, Il Mulino. [Esclusa la terza parte].
2.  Mario Cassetti, Concorrenza, valore e crescita: modelli di economia classica, Franco
Angeli. [Esclusi i paragrafi contrassegnati con l’asterisco].
3.  Alessandro Roncaglia,  Lineamenti di economia politica, Laterza [Solo i paragrafi 1-
11].

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4.  Olivier Blanchard, Macroeconomia, Il Mulino. [Solo appendici 2 e 3 e glossario].


Il testo al punto 2 è una sorta di contro-manuale critico della microeconomia.
La dispensa al punto 3 raccoglie varie letture, tra cui le parti dei libri di Cassetti e Roncaglia
che utilizziamo nel corso.
Il manuale di riferimento è il libro di Sloman.
Su richiesta saranno date indicazioni alternative in lingua inglese o francese per gli studenti
con problemi linguistici.

METODO DIDATTICO 

•  Lezioni in aula
•  Esercitazioni
•  Seminari
•  Assistenza individuale dopo le lezioni e nell’orario di ricevimento
•   NB: Tutti i servizi didattici sono aperti anche ai non iscritti al corso o alla facoltà.

VALUTAZIONE 

La valutazione si basa su una prova finale scritta. L’eventuale uso di libri o appunti
durante l’esame sarà deciso all’inizio del corso di comune accordo con gli studenti. È
comunque facoltà di ogni studente richiedere una prova integrativa orale.

SERVIZI IN LINGUA STRANIERA 

•  Attività di assistenza studenti anche in lingua inglese e francese


•  Possibilità di sostenere l’esame in lingua inglese o francese.

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INDICE

INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO


1. Cenni di storia del pensiero economico
2. Dal feudalesimo al capitalismo
3. L’impostazione moderna allo studio dell’economia

I. ECONOMIA CLASSICA E MARXIANA


1.  La concorrenza
2.  La concorrenza come meccanismo di armonia sociale in Adam Smith
3.  La concorrenza e il conflitto tra capitalisti e proprietari terrieri in David Ricardo
4.  Concorrenza, sfruttamento e alienazione in Karl Marx

II. MACROECONOMIA
1.  Problematiche macroeconomiche
2. La determinazione del reddito nazionale e la politica fiscale
3. Moneta e politica monetaria
4. Il modello IS-LM

III. MICROECONOMIA
1. Introduzione
2. Domanda individuale e domanda di mercato
3. Elasticità e aggiustamento dei mercati
4. Offerta dell’impresa e offerta di mercato
5. Forme di mercato

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INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO STORICO

1. Cenni di storia del pensiero economico

[Bibliografia di riferimento: Roncaglia, paragrafi 1-7]

LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA CLASSICA 


•  Il termine “economia politica” viene dal greco: oîkos = casa, nómos = legge,  pólis sono le
città stato dell’antica Grecia.
•  La nascita dell’economia politica come scienza autonoma si deve, secondo alcuni storici
del pensiero economico, a William Petty, nel XVII secolo: il suo obiettivo è di descrivere,
non di giudicare, il funzionamento della società, misurando i fenomeni economici e
individuando “leggi economiche”, cioè relazioni sistematiche tra i diversi aspetti della
realtà economica che operano indipendentemente dalla volontà dei soggetti economici.
Petty usa i termini di aritmetica politica o anatomia politica.
•  Molti storici individuano nello scozzese Adam Smith (XVIII secolo), più che in Petty, la
nascita dell’economia politica classica. Nella rappresentazione di Smith, la società è
divisa in tre classi sociali: capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori. Il reddito nazionale,
cioè il valore di quello che viene prodotto in un anno nell’economia, si distribuisce tra le
tre classi sociali sotto forma di profitti, rendite e salari. Secondo Smith, i rapporti tra classi
sociali non sono conflittuali, ma armonici. Il mercato è lo strumento che permette di
conciliare il perseguimento dell’interesse personale con la desiderabilità sociale.
•  Secondo l’economista inglese David Ricardo (tra il XVIII e il XIX secolo) il compito
 principale dell’economia politica è lo studio delle leggi che regolano la distribuzione del
reddito tra le classi sociali. A differenza di Smith, Ricardo considera i rapporti tra classi
sociali come necessariamente conflittuali e, nello scontro capitalisti – proprietari terrieri,
 prende posizione in difesa dei capitalisti.

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•  Marx (XIX secolo) sviluppa la visione conflittuale della società, schierandosi apertamente
dal lato dei lavoratori. La sua critica riguarda non solo il capitalismo, ma anche la
rappresentazione che ne fornisce l’economia politica borghese. Oltre a cercare di spiegare
i meccanismi di funzionamento del sistema economico, Marx cerca di spiegare anche le
ragioni per cui gli economisti tendono a rappresentarlo sposando il punto di vista delle
classi dominanti.
•  In generale, secondo la definizione degli economisti classici, l’economia politica è una
scienza sociale che studia le caratteristiche di un sistema sociale dal punto di vista della
 produzione, distribuzione e impiego del reddito.

LA RIVOLUZIONE MARGINALISTA E LA MICROECONOMIA 


[Bibliografia di riferimento: Cassetti, capitolo 5]
•   Nel 1870, compaiono tre testi di autori di diverse nazionalità, Léon Walras, Stanley
William Jevons (fondatori della scuola neoclassica) e Carl Menger (fondatore della scuola
austriaca) che diventano rapidamente i nuovi riferimenti teorici in materia economica,
soppiantando gli approcci ricardiano e marxiano, allora assai diffusi.
•  Il cambiamento radicale a livello teorico e metodologico rispetto all’approccio classico e
marxiano porta a definire questa svolta teorica come una rivoluzione scientifica: la
“rivoluzione marginalista”.
•  Il termine “marginalista” fa riferimento all’uso del calcolo differenziale come metodo
universale di analisi delle questioni economiche. Secondo un importante economista e
storico del pensiero economico, Joseph Schumpeter, ciò che accomuna la scuola
neoclassica e quella austriaca è il rifiuto dell’approccio classico e marxiano basato sulla
teoria oggettiva del valore e la proposta di una teoria del valore di tipo soggettivo. L’uso
del calcolo differenziale è invece sviluppato unicamente dalla scuola neoclassica, dato che
la scuola austriaca mantiene una posizione critica nei confronti del formalismo
matematico. Da questo punto di vista sarebbe più corretto parlare di “rivoluzione
soggettivista”, piuttosto che “marginalista”.
•  L’approccio marginalista-soggettivista si basa su due aspetti fondamentali: (1) l’utilità
soggettiva come fondamento della teoria del valore; (2) l’ipotesi che i soli soggetti
economici rilevanti siano gli individui, il che significa che tutte le proposizioni
economiche devono essere costruite a partire da postulati riguardanti le regole di

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comportamento individuali (non c’è posto per soggetti aggregati quali le classi sociali,
centrali nell’impostazione classica).
•  Rispetto all’impostazione classica, basata sul concetto di classi sociali (e, in particolare
nelle teorie di Ricardo e di Marx in cui tale rapporto è di natura conflittuale), la scuola
marginalista implica un cambiamento radicale di prospettiva in cui apparentemente non
esiste alcun conflitto di interessi, ma un comune interesse allo scambio da parte di tutti gli
individui. L’obiettivo economico per eccellenza diventa la soddisfazione del consumatore
(dato il suo potere d’acquisto). L’individuo conta quindi innanzi tutto in quanto
consumatore e non, come ad esempio nella teoria marxista, in quanto lavoratore. Secondo
questa impostazione, un sistema economico che funziona bene  è un sistema in cui gli
individui che hanno soldi per comprare trovano sul mercato i beni che essi desiderano. Il
fatto che altri individui possono non avere mezzi per esprimere sul mercato i propri
 bisogni non incide sulla valutazione del buon funzionamento del sistema.
•  Le ragioni dell’affermazione dell’approccio marginalista-soggettivista possono essere
ricondotte, da una parte, ai problemi interni incontrati dalle teorie ricardiana e marxiana e,
dall’altra, alle implicazioni politiche di queste teorie (in particolare di quella di Marx), le
quali evidenziano gli aspetti conflittuali dei rapporti economici e politici del capitalismo
con importanti implicazioni rivoluzionarie. Di fatto nel decennio 1870-80 diversi paesi
europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia) e gli Stati Uniti sono attraversati da
moti rivoluzionari, seguiti da violente repressioni. In questo clima, gli ambienti
accademici e borghesi accettano con favore la nuova impostazione basata su un rifiuto
netto della teoria oggettiva del valore e i concetti ad essa legati di sfruttamento, e lotta di
classe. Come nota Maurice Dobb, dei tre economisti protagonisti della “rivoluzione
soggettivista”, solo Jevons è pienamente cosciente della portata politica del nuovo
approccio.
•  Secondo una celebre definizione della scuola marginalista, l’economia è la scienza che
studia la condotta umana come relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili ad usi
alternativi (Lionel Robbins). Mentre i desideri umani sono illimitati, le risorse disponibili
 per soddisfare tali desideri sono limitate. Tutti i problemi economici sono problemi di
scarsità. L’economia si occupa di stabilire il modo migliore per ottenere un certo scopo
utilizzando le risorse scarse a disposizione.
•  Con questa definizione, l’economia perde il suo carattere di scienza essenzialmente storica
(nel senso che le diverse forme di organizzazione economica nei diversi contesti storici

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