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Gianna Angelini
Non è strano che il bot ChatGpt abbia messo subito in allarme le istituzioni
scolastiche e accademiche impegnate nella ricerca di strumenti di controllo, che,
ovviamente esistono già. Scuole di New York e altre città hanno già bandito l’uso di
questo bot sulla rete scolastica.
Il bot infatti riesce a produrre dei testi coerenti nella loro articolazione – anche se
spesso con errori fattuali – e rispettosi delle regole antiplagio, perché inediti, quindi
facilmente può essere usato per “barare” nei compiti.
Eppure, negli Usa e persino anche in Italia si sta già andando oltre la fase del puro
allarmismo ed entrando in quella della possibile integrazione del bot nelle lezioni,
come suggerito anche dal ministro dell’istruzione Valditara in un recente articolo su
Repubblica.
Come ci dice lo stesso ChatGpt quando interrogato su questo: “Ci sono diversi modi
in cui i testi generati dall’intelligenza artificiale possono essere utilizzati in modo
intelligente a scuola”.
● Creazione di testi su argomenti specifici per gli studenti che hanno difficoltà a
comprendere o a scrivere;
● Utilizzo di testi generati dall’IA per generare domande di esercitazione e
valutazione degli studenti;
● Utilizzo di testi generati dall’IA per generare modelli di scrittura per gli
studenti, per aiutarli a migliorare la loro scrittura;
● Utilizzo di testi generati dall’IA per generare traduzioni automatiche di testi per
studenti non madrelingua;
● Utilizzo di testi generati dall’IA per generare testi narrativi o descrittivi per
studenti di letteratura o di scrittura creativa”.
Alcuni insegnanti di New York fanno usare il chatbot in classe per la prima fase di un
compito, per fargli fare la struttura di base di un saggio o di un riassunto; poi
chiedono allo studente di completare il tutto (facendogli chiudere il computer).
Sin dai primi articoli apparsi in rete sul fenomeno, mi sono tornati in mente gli
insegnamenti del mio docente di semiotica, nonché futuro Maestro di studio e di vita
Jànos S.Petöfi. Egli ripeteva sempre che, tra le altre cose, un bravo studioso non
dovrebbe mai compiere due errori grossolani: 1) usare sistemi semplici per
analizzare oggetti complessi e, viceversa (usare cioè sistemi complessi per
analizzare oggetti semplici) e 2) prendersela con le risposte senza aver prima
valutato la correttezza e la legittimità delle domande. Le risposte, ci diceva durante
le sue lezioni, sono scontate se lo sono le domande, ci aprono, invece, alla
riflessione se sono generate sulla base di una visione precisa e da domande
formulate con delle idee basate su delle competenze specializzate. La scuola
dovrebbe insegnare ai suoi allievi a fare le domande per formare innovatori, diceva
sempre, non a cercare le risposte, perché quelle non sono quasi mai difficili da
prevedere con le giuste informazioni alla base. Era il 1998.
Il problema, quindi, stando a queste parole, alle quali ho sempre creduto fortemente,
non sarebbe tanto quello di riconoscere i testi prodotti dall’intelligenza artificiale, che
a livello di stile spesso presentano uno stile uniforme e privo di errori grammaticale;
in termini di contenuti, spesso presentano contenuti generici e privi di dettagli
specifici; non sono originali e possono essere simili a testi esistenti e possono
essere analizzati usando strumenti specifici, come ad esempio GPT-2 detector. Il
punto sarebbe piuttosto quello di sfruttare la velocità e la capacità dell’IA di creare
connessioni semanticamente coerenti per accelerare il nostro meccanismo di
pensiero costruttivo. E creativo. Cosa che l’IA non può essere, né diventare. Né in
termini verbali che visivi o visivo e verbali assieme.
IA e testologia semiotica
Janos S. Petoefi, scomparso nel 2013, dedicò tutta la sua attività di ricerca alla
costruzione e definizione di un modello che chiamò Testologia Semiotica, sviluppato
nella sua forma più compiuta negli anni ’90 del secolo scorso, pensato proprio per
aiutare lo studioso a farsi indicare le domande giuste dopo aver compiuto un’analisi
del testo. Secondo il paradigma concettuale della Testologia Semiotica, la
costruzione di un testo che sia in grado di attivare una corretta interpretazione,
quindi la costruzione di domande in grado di attivare delle riposte utili, deriva dal
riconoscimento delle sue cosiddette architettoniche (organizzazioni formali e
semantiche)[1], ovvero connessità, coesione e costringenza.
Conclusioni
L’esperienza di questi giorni con ChatGPT ci dimostra che l’IA è in grado di fornirci
indicazioni riconoscendo “connessità” e coesione della domanda, restituendoci un
quadro coerente, ma è privo della capacità di contestualizzazione quindi non è in
grado di fornirci un testo che apra effettivamente delle prospettive che non siano
puramente descrittive.
Tale capacità rimane affidata all’uomo che costruisce una domanda coesa e
coerente sulla base di una visione che vuole mettere in discussione o provare a
costruire da capo, attraverso l’utilizzo anche della costringenza.
Per questo penso che l’IA possa essere un nostro valido assistente che non deve
assolutamente far paura.
Bibliografia