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Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze

Rosa Alba Gambino

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Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
Rosa Alba Gambino

INDICE DEGLI ARGOMENTI

Introduzione…ovvero
Quando la musica è un abbraccio di Giovanna Nastasi ................ pag. 7

Prefazione di Anselmo Cananzi .....................................................pag. 10

Capitolo I
Pedagogia musicale e musicoterapia: discipline al confine ..... pag. 13
1.1 Un problema di definizione ......................................................pag. 13
1.2 Due professionalità complementari ..........................................pag. 22
1.3 Obiettivi e problematizzazione .................................................pag. 27
1.4 Fenomenologia delle situazioni di svantaggio .........................pag. 35

Capitolo II
La metodologia nelle attività musicali ....................................... pag. 39
2.1 L’indirizzo metodologico e la sintesi metodologica ................pag. 39
2.2 L’ambito pedagogico ................................................................pag. 41
2.3 L’ambito terapeutico .................................................................pag. 58

Capitolo III
La consapevolezza corporea: riflessione e tecniche ................. pag. 66
3.1 Prima la musica o il movimento? .............................................pag. 66
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3.2 Sentirsi – sentire: il sentimento estetico ...................................pag. 67

3.3 I moti del corpo, i moti dell’animo...........................................pag. 70

3.4 La respirazione: tra consapevolezza e rilassamento.................pag. 72

3.5 Il rilassamento frazionato di Oskar Vogt .................................pag. 78

3.6 Il training autogeno di Johannes Heinrich Schultz ..................pag. 83

3.7 Il rilassamento progressivo di Edmund Jacobson ...................pag. 92

3.8 La tecnica di rilassamento e induzione O.B.E. .........................pag. 95

3.9 Il metodo di Moshe Feldenkrais ...............................................pag. 99

3.10 L’E.I.T. di Gerda Alexander .................................................pag. 103

3.11 La tecnica di Frederick Matthias di Alexander ....................pag. 105

3.12 Il canto e la danza: due casi al confine .................................pag. 106

Capitolo IV
ÉMILE JAQUES-DALCROZE........................................................ pag. 109
4.1 Cenni biografici ......................................................................pag. 109
4.2 L’educazione alla sensibilità ..................................................pag. 113
4.3 L’educazione dei sensi: l’ascolto, la voce, il movimento ......pag. 117
4.4 La ritmica ................................................................................ pag. 121
4.5 Il progetto del percorso educativo ..........................................pag. 125
4.6 Il ritmo nelle arti teatrali .........................................................pag. 132

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Capitolo V
Il Corpo Musicale: attività secondo il modello di Émile Jacques-
Dalcroze ..................................................................................... pag. 136
5.1 Il modello di Émile Jaques-Dalcroze .....................................pag. 136
5.2 Trenta attività ..........................................................................pag. 141
1 – Esercizi di riscaldamento ....................................................pag. 141
2 – La pulsazione nei gesti quotidiani: il camminare...............pag. 144
3 – L’imitazione .........................................................................pag. 144
4 – Sonorizzazione dei gesti.......................................................pag. 145
5 – Il gesto si adatta al suono ....................................................pag. 145
6 – Battiti di mani ......................................................................pag. 146
7 – Passeggiata con… sorpresa ................................................pag. 146
8 – Parti del corpo associate .....................................................pag. 147
9 – Gioco di imitazione ..............................................................pag. 148
10 – Passaparola .......................................................................pag. 149
11 – Andature combinate ...........................................................pag. 150
12 – Scenette .............................................................................. pag. 151
13 – La meccanica dell’orologio ...............................................pag. 151
14 – La frase sibilata .................................................................pag. 152
15 – L’oggetto immaginario ......................................................pag. 153
16 – Il corpo plasmato ...............................................................pag. 154
17 – Danza a corpo libero .........................................................pag. 155
18 – Direzione del corpo nello spazio .......................................pag. 156
19 – L’orchestra di strumentini .................................................pag. 157

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20 – Il rombo.............................................................................. pag. 158
21 – Esercizio di contrazione improvvisa .................................pag. 159
22 – Corsa sonorizzata ..............................................................pag. 161
23 – Il percorso sonoro..............................................................pag. 162
24 – Il gruppo-pulsazione ..........................................................pag. 163
25 – L’onda ritmica ...................................................................pag. 164
26 – L’improvvisazione su base musicale .................................pag. 165
27 – Plastique animée ................................................................pag. 166
28 – La palla ritmica .................................................................pag. 167
29 – I tempi nei passi .................................................................pag. 168
30 – Il ritmo nel testo .................................................................pag. 169

Bibliografia ................................................................................ pag. 170

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Pedagogia musicale e musicoterapia


nel modello di Émile Jaques – Dalcroze

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Introduzione… ovvero… quando la musica è un abbraccio

di Giovanna Nastasi

Non poter abbracciare nessuno, è questa la cosa peggiore, non puoi


sapere cosa vuol dire non poter abbracciare nessuno! Ogni giorno mi
vengono in mente tutti quelli che potevo abbracciare, tutti quelli che non
potrò più toccare!
Ogni giorno mi vengono in mente tutti gli odori che non potrò più
sentire, odori che ti ricordano l’infanzia... ti ricordano l’aria di quella
cucina... un vapore continuo fatto di suoni di pentole ribollenti che si
mischiavano a parole, e bucce di patate, arance e mele ammonticchiate, e
foglie di menta, elicriso e rosmarino appese a testa in giù sopra la stufa e
l’odore di peperoni sulla fiamma viva, di salvia nelle mani che ti restava
addosso tutto il giorno. Odori che non potrò più sentire! Non potrò più
sentire per ricordare!
È stato un attimo... senza rumore, neanche un sibilo, niente. Mi è
scivolato il toner. Mi sono chinata, stavo per raccoglierlo quando si è
schiuso, è bastata una fessura, uno spiraglio e si aperto l'inferno... una
stupida fotocopiatrice... quella goccia a far traboccare il mio corpo.
È bastato un ATTIMO! Un attimo senza ritorno. E per colpa di
quell’attimo senza rumore, non avrai mai più la possibilità di ricordare...
di ricordare la tua prima esistenza attraverso l’odore, perché ogni respiro
diventa una fiamma che entrando in bocca e nelle narici ti ustiona.

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Ti ustiona il petto, le vene, la testa, le ossa, lo stomaco, le viscere! E
l'aria è come... non è più una cosa aerea, diviene pesante come la terra.
È stato un attimo... senza rumore, neanche un sibilo, niente.
Ma per me Vivere è tutto ciò che conta e allora inventerò ogni giorno un
modo nuovo per adattarmi alla vita... e conservando i sensi intatti
procederò con la stessa creatività, fierezza e ostinazione con cui vivevo
l’altra mia vita!
L’amore, la musica, i ricordi, il respiro, il silenzio e la natura, la
possibilità, il modo, per realizzare la mia nuova esistenza!
La musica che solo all’amore è seconda e che in esso è contenuta... la
musica quella parentesi temporale, quella sospensione, quell’altrove in
questa mia esistenza… la musica, mi rende forte, salda e stabile pur
diventata tanto fragile che anche un vento leggero potrebbe trascinarmi
via , in qualsiasi momento e senza preavviso!
E quando prendi in mano quel pezzo di legno con l’anima e lo appoggi
tra il mento e lo sterno ci sei solo tu, niente potrebbe distrarti e farti aprire
gli occhi. È come se intorno a te fossero spariti tutti, come se il tempo si
fosse fermato e la terra si fosse presa una pausa. Ci sei solo tu con quel
pezzo di legno con l’anima tra il mento e lo sterno… tu e le tue dita che
premono... Nient’altro, solo un suono, una voce che è come se uscisse da
te, dai tuoi nervi tesi, fusi con quelle quattro corde... E non importa più se
sei alta, piccola, armoniosa, spigolosa... non importa se sei felice o
triste… ti senti perfetta come un albero, un albero in mezzo a un campo di
grano, un’ombra scura immersa nel giallo di un campo d’estate!

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Perfetta... in quel tempo che si è fermato e in quel luogo dove la terra si è
presa una pausa!
Possiate vivere tante parentesi, tante sospensioni, tanti altrove
attraverso un arte meravigliosa chiamata musica.
Saluto i lettori come saluto tutti coloro che vengono a trovarmi... che
posso solo vedere e che non potrò mai più toccare! E che pur di vedermi
restano alla fine del sentiero di pietre appena sotto la veranda... farò con
voi come faccio con loro... ci salutiamo così... io una mano di guanto alla
mia gola, voi una mano nuda sulla vostra... gli occhi fissi negli occhi e i
nostri piedi su pietre lontane. Restiamo così, distanti, a guardarci senza
mani e braccia a trattenerci.
E alla fine, senza toccarci, ci tocchiamo!

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Prefazione

Poter leggere un libro che affronti concretamente le possibilità di


commistione fra Pedagogia Musicale e Musicoterapia genera una
soddisfazione davvero grande, in un’epoca in cui la “iperspecializzazione”,
per citare Morin, spesso scavalca opportune e auspicabili interazioni
disciplinari.
Testi di Pedagogia musicale sono sempre benvenuti perché il nostro
settore ha sempre bisogno di nuova linfa vitale.
Riguardo invece alla Musicoterapia, a fronte di una sconfinata letteratura
in materia dove spesso la mistificazione fa capolino, ci troviamo, in questo
caso, di fronte ad un’opera basata su un pensiero profondo e cosciente sia
dei limiti, ma anche dell’importanza che la Musicoterapia ha acquisito nel
corso dei millenni in ogni civiltà.
La pedagogia musicale e la musicoterapia vengono abitualmente intese
come discipline con finalità piuttosto lontane tra loro, la prima è
solitamente associata alla riflessione sui Metodi e le Metodologie
dell’alfabetizzazione musicale, la seconda come coadiuvante nella cura di
alcune specifiche patologie. Questa visione sbrigativa e riduttiva è
all’origine della riflessione che l’autrice conduce coinvolgendo entrambi i
campi di interesse.
Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques-
Dalcroze si inserisce nel contesto del dibattito sull’integrazione delle due
impostazioni prendendo a riferimento il metodo dalcroziano, nato per

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finalità didattiche ma concepito alla luce della variegata complessità del
linguaggio musicale. Una visione che si presta a ripercorrere gli obiettivi, i
metodi e le attività attraverso cui si sviluppa il lavoro di due tipi di
professionalità, sostanzialmente vicine, dedite entrambe a una fruizione
eterogenea che ne dilata i confini originari.
Ciascuna, sottolinea l’autrice, avverte la necessità di accedere alle
competenze dell’altra per arricchirsi di nuove possibilità d’intervento, più
flessibili, come richiedono oggi i contesti nei quali si opera con la
comunicazione musicale.
È una lettura che scandaglia ciascun ambito con le sue metodologie di
riferimento e ne suggerisce la sintesi funzionale sia alle situazioni
didattico-pedagogiche che a quelle terapeutiche.
La panoramica sulle considerazioni teoriche più importanti del nostro
secolo è accompagnata da esercizi di consapevolezza corporea dettagliati,
che possono essere riproposti nei diversi percorsi, poiché si fondano sul
principio dello sviluppo armonico e integrale della persona, mirano al
benessere e all’equilibrio psicofisico nutrendosi dell’azione della musica,
che è allo stesso tempo mezzo e fine.
Jaques-Dalcroze è un precursore particolarmente precoce di una
concezione che ha potuto svilupparsi pienamente solo dopo alcuni sviluppi
che la ricerca scientifica ha apportato nella Medicina, nella Psicologia e
nella Pedagogia in tutto il secolo scorso.
Egli propose anzitempo un’idea di interazione uomo-musica alla quale
questo lavoro guarda con l’intento di una contestualizzazione moderna,

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finalizzato a desumere dagli illustri riferimenti concreti spunti di lavoro
pedagogico e terapeutico.
L’ultimo capitolo persegue una pluralità di obiettivi attraverso trenta
attività impostate sotto un profilo ludico: la dimensione del gioco assume
qui l’incarico di veicolare contemporaneamente i contenuti dell’area socio-
affettiva e di quella cognitiva.
Le musiche e i supporti sonori suggeriti hanno lo scopo di plasmare il
discorso musicale sulle istanze delle singole attività, conferendovi così
maggiore efficacia. I parametri musicali e le azioni strutturate procedono
parallelamente, come a volere ri-creare un meccanismo di acculturazione
che sostenga i processi educativi generali e musicali. Una concezione che
media gli intenti pedagogici e terapeutici insiti nella natura stessa della
musica rende questo lavoro uno strumento produttivo nella scuola come
negli ambienti di prevenzione e cura attraverso l’arte dei suoni.
In conclusione siamo di fronte ad un lavoro che ben si innesta in quella
produzione che lungi dal voler essere mirata ad un target di specialisti o
esperti del settore può interessare un più largo campo di utenti.

Anselmo Cananzi

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Capitolo I

PEDAGOGIA MUSICALE E MUSICOTERAPIA:


DISCIPLINE AL CONFINE.

1.1 Un problema di definizione.

La pedagogia musicale è una disciplina intorno alla cui definizione


ruotano tutti gli ambiti che considerano l’interazione musicale tra soggetto
esperto e destinatario. Si potrebbe parlare tanto di docente e discente
quanto di terapeuta e paziente.
Un dibattito intorno alla distinzione terminologica investe soprattutto la
pedagogia, la didattica e la metodologia e interessa il concetto di
scientificità delle discipline. La complessità e l’ambiguità di termini come
“educazione” e “istruzione” non aiuta a definire in maniera precisa
l’interpretazione teorica. 1
Tuttavia nella prassi si concorda nell’affidare alla pedagogia il compito
dell’educazione, alla didattica quello dell’istruzione e alla metodologia
quello di individuare strategie e strumenti operativi. Le tre discipline sono
1
Il dibattito intorno alla connotazione scientifica della pedagogia ha prodotto diversi indirizzi di
lettura sull’autonomia della disciplina rispetto alle altre scienze umane. L’epistemologia
contemporanea svincola il concetto di scientificità dal riferimento al un modello dell’osservazione e
dell’induzione di principi universali. Anzi riconduce la scienza da un fondamento induttivo a uno
deduttivo, poiché la sua radice va individuata in una teoria e nel suo carattere ipotetico, purché essa
rispetti i canoni della logica e della coerenza. Per un approfondimento: Renzo Tassi, Itinerari
pedagogici, vol 3B, cap. 4, Zanichelli, Bologna, 1995

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interdipendenti: è impossibile operare nell’una senza coinvolgere anche le
altre, semmai è possibile “sbilanciare” l’attenzione verso obiettivi
pedagogici o verso obiettivi didattici. Significa che una pratica educativa
include sempre i tre aspetti, che in ogni contesto assumono vesti diverse
secondo le peculiarità dell’utenza. La riflessione è di carattere generale e
riguarda oltremodo le discipline musicali, in merito alle quali si suole
utilizzare sinteticamente la definizione di “didattica della musica”.
Se la pedagogia musicale e la musicoterapia nascono alla luce di
obiettivi di natura diversa, questi sono comunque riconducibili
prioritariamente all’area socio-affettiva, ma non escludono la
considerazione dell’area cognitiva, attingendovi in rapporto alle esigenze
dettate dalle situazioni.
Tali situazioni, oggi, non sono più considerate come distanti tra loro dal
momento che i campi di interesse disciplinare sono intesi in maniera
decisamente più ampia ed elastica: i destinatari della musicoterapia non
sono esclusivamente portatori di patologie, i destinatari della didattica
musicale sono anche soggetti in situazione di svantaggio. Ciò suggerisce di
elaborare

un’impostazione di compromesso che consenta di affrontare con proprietà e


padronanza di metodi sia i contesti della musicoterapia che quelli della didattica
musicale. Così si rende necessaria una nuova lettura di ciò che “per definizione”
può essere chiamato musicoterapia e cosa, invece, didattica della musica. A
ragion veduta, la musicoterapia avanza la “pretesa” di essere correttamente
definita, a scanso di un uso improprio del termine.

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Un percorso terapeutico attiva processi di cambiamento se le attività musicali
si accompagnano ad una presa di coscienza di ciò che il soggetto esprime e ad
una capacità di rielaborazione del proprio vissuto, ovvero se il soggetto crea una
relazione cosciente tra gli eventi sonori fruiti/prodotti e la propria vita
emozionale.
Invece le attività didattiche musicali perseguono sia obiettivi dell’area
cognitiva, ossia obiettivi disciplinari specifici, che obiettivi dell’area socio-
affettiva, ossia obiettivi educativi: in questa seconda area possiamo individuarne
numerosi confinanti o coincidenti con quelli della musicoterapia stessa,
soprattutto se facciamo riferimento alle componenti esplorativa, elaborativa,
associativa, relazionale. Ascolto, improvvisazione, esecuzione, giochi
individuali e collettivi innescano meccanismi di interazione che forniscono al
soggetto strumenti privilegiati di espressione e comunicazione della propria
interiorità, divenendo così idonei a costituire anche un supporto di tipo
riabilitativo. […]
La radice su cui entrambe le discipline si fondano è la valenza emotiva del
linguaggio della musica, un linguaggio contraddistinto allo stesso tempo da
immediatezza e complessità, poiché è sua “materia” l’evento sonoro, tanto
quanto la musica propriamente detta.
È evento sonoro qualunque manifestazione sonora anche non organizzata
secondo regole, musica il suono umanamente organizzato [Blacking, 1976]:
entrambi acquistano significato in relazione al soggetto e al contesto.2

2
R. A. Gambino, I fondamenti della musicoterapia nella didattica della musica, in Arti Terapie
e Neuroscienze Online, anno 2 - n. 9. L’osservazione raccoglie le considerazioni emerse nel corso
del convegno “Musicoterapia, Artiterapie Professionalità e Relazioni” (curato da “Centro Thelo” a
Marsala il 5 novembre 2011) riguardo al rapporto tra le discipline musicali e quelle antropologiche,
mediche e psicopedagogiche. Il fulcro dell’interesse è individuato negli attuali contesti e
destinazioni d’uso della musica, con particolare riferimento all’uso terapeutico e a quello didattico.
Viene soprattutto sottolineato il problema delle competenze musicali degli insegnanti nella scuola
primaria, dove è previsto l’insegnamento della musica, ma non ancora la preparazione specifica di
coloro ai quali viene affidato l’insegnamento.
La prevalenza di obiettivi dell’area socio-affettiva spesso “diluisce” la preoccupazione dei
maestri, che attingono a contenuti e attività di carattere ludico musicale non sempre coerenti
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Proprio soggetto e contesto sono i protagonisti dell’azione educativa e


dell’azione terapeutica, e in quanto tali devono essere osservati con
attenzione, al fine di plasmare le suddette azioni sulle loro caratteristiche.
Per questo non può essere programmata alcuna attività con la
presunzione che la sua struttura sia universalmente valida.
La musica, e gli stimoli sonori in genere, esercitano su ogni individuo
un’azione sensoriale/psicologica corrispondente a una risposta emotiva:
non bisogna pensare che possa sempre trattarsi di una emozione
esattamente definibile; infatti si può manifestare uno stato che si compone
sia di una reazione fisica che di una “sensazione” a livello mentale cui non
sapremmo “dare un nome”. D’altra parte essa è, per sua natura,
asemantica, ovvero priva di corrispondenze assolute con alcun contenuto;
ha un legame con la sfera emozionale che prescinde anche dalla
mediazione di simboli, poiché costituisce un vero e proprio linguaggio
preverbale e un canale comunicativo attivo già in epoca prenatale.
Dunque il meccanismo della risposta emotiva alla musica è la risultante
di un processo che implica sia tendenze innate3 che risposte apprese
attraverso il vissuto.4

nell’ambito di un preciso progetto didattico-pedagogico musicale. I punti di contatto tra le attività e


le metodologie idonee alla pedagogia musicale e alla musicoterapia sono consistenti e vanno
consolidati attraverso l’opportuno aggiornamento di insegnanti e operatori.
Inoltre il confronto tra le diverse professionalità può suggerire valide varianti di percorso, che
possono rendere più efficaci le azioni pedagogiche e terapeutiche musicali.
3
J. Sloboda [1985] parla di reazioni emotive universali consistenti, per esempio, nel derivare
benessere e rilassamento da un ritmo cullante e da dinamiche medio-basse, oppure tensione da ritmi
incalzanti ed eccitazione da dinamiche elevate, e così via. Sarebbero risposte innate che si
presentano pressoché nella stessa forma in tutti gli individui, a prescindere dall’area geografica e
dalla cultura di appartenenza.
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La pedagogia musicale e la musicoterapia individuano entrambe in
questo processo il proprio fondamento, laddove le moderne acquisizioni
sottolineano l’importanza del costruire l’interazione docente/discente,
come quella terapeuta/paziente, su una base emotivamente significativa.
Infatti la memoria a lungo termine ritiene più efficacemente le
informazioni ad elevato contenuto simbolico, le quali contribuiscono in
maniera più stabile alla costituzione della personalità dell’individuo. Così
la quantità e la qualità della fruizione musicale imprimono, anch’esse,
nella memoria una corrispondenza fra l’esperienza musicale e quella
emotiva sulle quali, tanto in ambito pedagogico quanto in ambito
terapeutico, si può far leva con sicuro esito. La condizione è che questa
corrispondenza, al momento delle acquisizioni, sia connotata
positivamente, cioè è necessario che la fruizione musicale, a qualunque età
e qualunque sia la sua forma, sia associata ad uno stato di piacevolezza, di
benessere, di appagamento.
Solitamente i bambini vivono le esperienze musicali in maniera giocosa:
canzoncine, giochi d’azione, conte sono accompagnati dal canto, da
filastrocche o dalla scansione ritmica di un testo anche estemporaneo e
prendono spontaneamente posto tra le attività ludiche. Lo scopo apparente,
quello che i bambini riconoscono, sta nel gioco in sé, ma gli scopi
sottostanti, che in fondo sono quelli “veri”, di cui raramente i bambini
sono coscienti, stanno nel desiderio di interagire con gli altri (gli adulti
della propria famiglia per i più piccoli, i coetanei per i bambini in età

4
Gambino, I fondamenti della musicoterapia, cit. Possiamo parlare di risposte apprese a partire
dagli ultimi due mesi di gestazione, quando il feto diventa in grado di associare ad un evento sonoro
ricorrente, come può essere la voce materna, ad uno stato emozionale.
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scolare), di provare a competere, di confrontarsi e collaborare, di mettere
in atto la propria “idea” di rapporto interpersonale. Scopi che vanno intesi
variamente secondo l’età, l’ambiente socio-culturale e le numerose altre
variabili oggetto di interesse della stessa sociologia musicale, ai cui studi
anche la musicoterapia e la pedagogia musicale necessitano di fare
riferimento. Nei diversi contesti si forma il “gusto” musicale e la capacità
di attribuzione di senso alla musica, dipendenti dalla valenza emotiva che
la musica riveste in quelle circostanze. 5
È abbastanza difficile che un’esperienza musicale in sé veicoli stati
emotivi negativi o addirittura traumatici, a meno che non sia
accompagnata da eventi di altro genere (legati a fatti o a persone), che
abbiano conferito ad un momento di fruizione musicale un significato
spiacevole. Nel momento in cui si avvia una interazione musicale
pedagogica o terapeutica questo significato, o i possibili significati,
diventano importanti al fine della progettazione dell’evento educativo o
del percorso terapeutico. L’ascolto e la pratica della musica, nelle forme
possibili, anche associate all’espressione corporea, possono consolidare
l’interpretazione dell’evento sonoro costruitasi nel tempo, oppure possono
destrutturare associazioni negative per costruirne di positive, contrastando
ansie e disagi mentali. Anche la parola, associata al suono, acquisisce una
forza evocativa che favorisce l’empatia, facilitando e migliorando la
relazione educativa o terapeutica.

5
Il concetto di attribuzione di senso è ben illustrato da G. Stefani, i cui studi semiologici
approfondiscono il rapporto fra parametri musicali e risposta emotiva nella cultura musicale
occidentale, illustrando altresì le definizioni qualificative attribuite dall’ascoltatore, a prescindere
dalle competenze musicali specifiche.
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Da queste osservazioni desumiamo che le attività e le metodologie
necessarie alla conduzione di un iter pedagogico musicale o
musicoterapico sono simili o coincidenti; la differenza più consistente è
data invece dalle specifiche professionalità coinvolte, che conferiscono
alla singola interazione il taglio più adeguato al contesto, al destinatario e
all’obiettivo. Ecco perché nella formazione di docenti e terapeuti si insiste
sulla conoscenza di teorie e metodi talora anche contrastanti: una visione
priva di pregiudizio rispetto alle proposte fornisce più strumenti tra i quali
scegliere e maggiori possibilità di personalizzazione del programma.
L’ascolto è il fulcro di una vasta serie di attività, poiché rappresenta il
primo contatto con l’evento sonoro. L’affermazione non è così scontata
perché il grado di consapevolezza di questo contatto oscilla tra gli estremi
opposti; può essere distratto o concentrato; può stimolare o meno il
movimento; può generare immagini mentali e sensazioni; può stimolare o
meno rievocazioni; può indurre stati psichici di vario genere; può
invogliare il soggetto all’associazione con altre attività, a prescindere dalle
previsioni di chi conduce l’attività.
Nella maggior parte delle impostazioni metodologiche serve a mettere il
soggetto in “contatto consapevole” con i contesti sonori nei quali è
immerso, rivelando componenti sonore che abitualmente sfuggono alla
coscienza; cominciando a scardinare eventuali chiusure verso l’esterno;
stimolando la curiosità; inducendo al confronto e all’interazione.
Anche la rappresentazione grafica dell’evento sonoro viene praticata sia
nei contesti della pedagogia musicale che in quelli della musicoterapia,
poiché innesca un meccanismo di scoperta della propria immagine

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interiore, traducendo in forme, colori, tratti differenti le sensazioni provate
all’ascolto di una musica o di un evento sonoro: dunque sollecita
l’espressione del rapporto fra stimolo esterno e rappresentazione interna.
La consapevolezza e l’espressione corporea sono obiettivi di essenziale
importanza. La coscienza del movimento favorisce sia la comprensione del
linguaggio musicale che la produzione vocale e strumentale, la musica
influenza e affina l’espressione gestuale. Il connubio è insito nella natura
umana, come tendenza innata, e comincia a svilupparsi già nel grembo
materno.6 Se la musicoterapia ne riconosce da sempre l’importanza, non
possiamo affermare la stessa cosa per la didattica musicale. A dire il vero,
in termini strettamente pedagogici potremmo dire che non sono mai esistiti
dubbi sul valore dell’educazione corporea “per” e “attraverso” la musica,
nel senso che l’una può mettersi al servizio dell’altra in ragione di un
vicendevole scambio. Ma in termini didattici e metodologici persistono
ancora oggi alcune riserve in merito all’utilità di una disciplina di tipo
coreutico negli insegnamenti musicali. La radice del problema risiede nella
tradizione didattica musicale, concepita in passato come adatta a una rosa
ristretta di individui, per di più disposti, per costituzione, a sacrificio e
duro “addestramento” tecnico per amore del proprio strumento o della
composizione musicale. Non è una verità. Già un secolo fa Émile Jaques-
Dalcroze raccomandava ai didatti della musica di attingere al pensiero che
animava la nascente danza contemporanea, legato a un concetto di
espressività e naturalezza del movimento anche nell’apprendimento
musicale. I suoi suggerimenti avrebbero dato nuova linfa al modo di
6
In Gambino, cit., vengono citati alcuni tra gli studi più autorevoli sull’abituazione sonora a
partire dalla trentesima settimana di gestazione.
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intendere l’interazione attraverso la musica. Oggi questo viene sottolineato
e tenuto ad esempio sia nell’insegnamento musicale che nella
musicoterapia, al fine di abbattere proprio le diffidenze e le resistenze di
alcune impostazioni.
Sono rischi che persistono anche nella programmazione delle attività di
produzione sonora: spesso queste vengono orientate in senso
professionale, ovvero verso obiettivi di carattere performativo; a volte
anche condizionando i tempi naturali e le caratteristiche dell’individuo e
del gruppo.7 Questo snatura il senso di un percorso che include un
complesso di finalità di vario genere e che, condotto all’insegna dell’ansia
per l’esibizione, lo priva della sua efficacia, ove pedagogica, ove didattica,
ove terapeutica. La produzione sonora vocale e strumentale di preferenza
assume una forma ludica, dove l’esplorazione e l’associazione gesto/suono
fungono da filo conduttore essenziale all’incoraggiamento della creatività,
parola chiave nelle nostre discipline.
Nessuno di questi ambiti deve essere scelto come unico indirizzo
metodologico, nel rispetto della natura olistica dell’esperienza musicale.
La pluralità degli obiettivi che ci si può prefiggere deve sempre fungere
da guida per il conduttore, nella cui azione si concentra infatti la

7
In merito ai principi sui quali si fonda una ideale conduzione dei gruppi si
possono desumere utili riferimenti da F. Cino e S. Centonze, 70 giochi di creatività
per la conduzione dei gruppi e dal correlato Manuale di Arti Terapie, di aa.vv. e a
cura dei sopra citati nomi, entrambi Ebook Ed. Circolo Virtuoso, 2011. Il laboratorio
creativo, il cui elemento unificante è la dimensione della corporeità, viene scelto
come momento determinante nel lavoro svolto da medici e psicologi, educatori e
insegnanti, formatori e studenti, arte terapeuti e tecnici della riabilitazione e si pone
come sostanziale strumento di contrasto della demotivazione e della conflittualità.

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responsabilità della sintesi metodologica più adeguata, la quale sarà
concepita con la flessibilità necessaria a muoversi entro discipline dai
contorni così sfumati.

1.2 Due professionalità complementari.

L’ambiente scolastico è il primo al quale si guarda nel momento in cui ci


si comincia ad occupare dello sviluppo psicofisico dell’individuo; di solito
è il primo luogo deputato al distacco dalla famiglia e alla presa in carico
lucida e oggettiva di ogni soggetto. Pertanto è alla scuola che si guarda per
pianificare la vita relazionale e formativa del bambino che comincia ad
avere “suoi” contesti fuori casa.
Le professioni di cui ci occupiamo compaiono come necessarie proprio
da questo momento, con frequenza e peso diversi da cominciare a valutare,
per la valenza educativa/rieducativa e di supporto dell’elemento musica.
Il tempo che la scuola dedica alla musica è abbastanza ridotto rispetto a
quello che sarebbe necessario. Inoltre, fatta eccezione per i casi più
volenterosi, persiste una concezione superficiale, che ricorda quella di
molti decenni fa, che riconosce alla musica una mera occasione di svago.
Sovente questo tempo si traduce in ora di pausa dalle attività didattiche o
da dedicare ad attività di recupero. Nella scuola primaria si concretizza
prevalentemente nell’apprendimento di semplici brani vocali, specialmente
in corrispondenza di festività ed eventi; nella scuola secondaria di primo
grado si prediligono l’alfabetizzazione tradizionale o i cenni storici su

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 22


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generi e autori; nella scuola secondaria di secondo grado la musica è quasi
del tutto assente.
Pertanto le professionalità musicali vengono impiegate nella scuola solo
con allievi fino all’età preadolescenziale.
La musica gode, rispetto alle altre discipline scolastiche, di vantaggi che
tuttavia possono trasformarsi in svantaggi: intendiamo riferirci al fatto che
i metodi di insegnamento delle varie materie sono abbastanza univoci e
consentono agli insegnanti una certa facilità di adeguamento all’una o
all’altra linea, senza che ciò richieda l’acquisizione di nuove e ulteriori
competenze. Di contro, la complessità della “materia” musicale dipende
dalle numerose sfaccettature di cui si compone l’oggetto stesso
dell’apprendimento; questo può determinare le più diverse scelte in termini
di obiettivi e metodologie, i quali, però, non possono avere carattere di
costanza e uniformità proprio in ragione della marcata soggettività degli
allievi nel modo di sentire e interiorizzare la musica. Pertanto
l’impostazione metodologica da utilizzare richiede in prima istanza una
grande attenzione ai destinatari cui deve essere dedicata e alle loro
specifiche esigenze.
Le stesse affermazioni valgono riguardo alle situazioni d’impiego della
musicoterapia. Qui le specificità delle patologie o delle finalità di
prevenzione impongono una “interpretazione” mirata delle pratiche da
utilizzare, lungi dall’idea di una applicazione uniforme di un “protocollo”
operativo.
Chiamiamo in causa in egual misura tanto le competenze pedagogiche
musicali quanto quelle musicoterapeutiche. Sono competenze confinanti e

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talvolta coincidenti, in merito alle quali vanno contestate alcune
convinzioni. Innanzi tutto il fatto che nei percorsi formativi ci si possa
specializzare in una delle discipline ignorando i contenuti dell’altra, in
secondo luogo l’idea che ci si possa formare nell’una per poi operare
indifferentemente anche nell’altra.
La pedagogia musicale è classicamente intesa come la disciplina nella
quale si formano gli aspiranti insegnanti delle materie musicali; la
definizione sottintende la compresenza della didattica e della metodologia
musicali, che includono gli obiettivi e le pratiche degli insegnamenti
musicali stessi. La musicoterapia invece viene intesa come la disciplina
nella quale si formano operatori8 degli ambiti psicopatologici.
Generalmente chi si accinge a specializzarsi nell’una o nell’altra tende
ad orientare la propria concezione in maniera piuttosto severa, come a
volere ribadire l’identità della propria scelta e motivare le proprie
convinzioni. È un atteggiamento legittimo, che però può generare una
forma di rifiuto di quanto confluisce negli interessi dell’altra disciplina,
causando una incapacità di riconoscere la necessità di addentrarvisi con
pari interesse. Se è vero che nell’interazione musicale tra un esperto e un
destinatario la sfera cognitiva e quella affettiva sono entrambe interessate e

8
Il termine “operatore” solleva dal dubbio sulla definizione di musicoterapeuta o
musicoterapista. In Italia si usa la distinzione terminologica (pressoché assente negli altri paesi) per
indicare con il primo termine il professionista, medico o psicologo, specialmente psichiatra o
neuropsichiatra, iscritto al relativo Ordine Professionale (dei medici, degli psicologi, degli
psicoterapeuti). A lui compete l’onere di eseguire una diagnosi, pianificare una terapia e monitorare
il raggiungimento degli obiettivi. Il musicoterapista è l’operatore che esegue tecnicamente il
percorso delineato dal musicoterapeuta e che vanta una specifica formazione. La divergenza è
alimentata dal fatto che non esista chiara corrispondenza fra ciascuno dei due titoli e un Ordine
appositamente delineato. Così il valore più rilevante è dato dalla formazione negli ambiti sia
terapeutico che pedagogico e dall’esperienza sul campo, congiunte alla conoscenza della musica
come cultura e come strumento di comunicazione.
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 24
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la struttura dei percorsi ne determina di volta in volta il peso, è vero di
conseguenza che le competenze musicali “dialogano” tra loro in tutti i
contesti di interazione musicale. Osservazione che sollecita le diverse
professionalità a riscoprire e pianificare l’impiego di mezzi e strumenti
didattico-pedagogici nella musicoterapia e, viceversa, musicoterapeutici
nell’insegnamento musicale; vale a dire prendere coscienza della
complementarità delle due.
Vale la pena di accennare a un’introspezione nel pensiero di chi pratica
una delle suddette professioni. La maggior parte di coloro che
intraprendono e proseguono gli studi musicali desidera, generalmente,
perfezionarsi nella pratica dello strumento preferito a vari livelli, da quello
amatoriale a quello professionale concertistico. Alcuni maturano
precocemente l’idea di insegnare lo strumento. In pochi prospettano di
dedicarsi all’educazione musicale o alle situazioni di svantaggio, e lo
fanno per lo più nel momento in cui si proiettano nel mondo del lavoro.
Queste ultime due strade vengono però spesso intese come ripiego
perché non se ne ha conoscenza, né coscienza della complessità, se non
quando se ne sono già intrapresi i percorsi formativi. Esiste un problema di
informazione che istituzioni e associazioni preposte contrastano con forza,
per ribaltare ogni modo riduttivo di intendere l’insegnamento della musica
nella scuola e la cura dei disagi attraverso la musica.
Il primo dovere del professionista è quello di osservare se stesso, le
proprie motivazioni e concezioni, i propri sentimenti e valori. L’autoesame
è il primo passo attraverso cui far luce sulle componenti della propria
formazione musicale e culturale nel complesso, sul proprio temperamento

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e sul modo in cui questi aspetti dovrebbero influire (o non influire) sulla
vita dei destinatari. Riflettere, ad esempio, sui propri gusti musicali
potrebbe evidenziare le ragioni delle nostre preferenze nella selezione di
generi e brani da utilizzare nelle attività: potremmo in tal modo scoprire se
e perché non ci occupiamo affatto di certa musica, o trascuriamo alcune
peculiarità del suono, strutturiamo o destrutturiamo l’evento sonoro senza
che ve ne sia il bisogno. Inoltre ricostruire la propria “storia musicale” fa
emergere le relazioni interpersonali da cui trarre spunto per la definizione
del proprio stile relazionale-educativo, cioè degli atteggiamenti
caratterizzanti il proprio modo di interagire nel nostro ambito
professionale.
Per proprio temperamento ogni individuo possiede la tendenza ad un
determinato stile relazionale-educativo, cioè ciascuno presenta un suo
modo di porgersi dipendente dalla propria personalità, a prescindere dalle
conoscenze in ambito pedagogico, pertanto più o meno suscettibile di
obiezioni. Così la formazione professionale interviene sulle condotte
caratteriali, rinforzando quelle positive ai fini applicativi in sede
pedagogica e/o terapeutica: un atteggiamento intelligente e responsabile
mette a frutto le esperienze vissute in ogni ambito.
In ultima analisi l’insegnante, come il musicoterapista, deve trarre le
giuste conclusioni sulle proprie competenze, desumendo dalla propria
cultura teorica la capacità più prettamente applicativa e la capacità di
trasmissione pratica, cioè quelle capacità proprie del sapere che
consentono una realizzazione concreta. La conoscenza teorica, da sola, non
è sufficiente a questo scopo: è indispensabile affiancarvi un’esperienza

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 26


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pratica eterogenea, perché la pluralità delle situazioni che ci si trova a
dover affrontare non può trovare conforto in schemi pedagogici
preconfezionati ma nella sperimentazione.

1.3 Obiettivi e problematizzazione.

La finalità a lungo termine della scuola è rappresentata dalla formazione


dell’individuo nel rispetto della sua personalità e di quella degli altri,
ovvero dell’individualità di ciascuno in rapporto con la società. Il “sé e gli
altri” in relazione è la sintesi degli obiettivi del rapporto educativo.
Aggiungiamo, del rapporto terapeutico. L’educazione incarna in primo
luogo le aspettative della società nei confronti di ogni soggetto, cosicché
quelli che vengono definiti esigenze e bisogni coincidono principalmente
con le aspettative sociali, in stretto relazione con le caratteristiche di una
società. Questo ci spiega perché non esistono obiettivi di carattere
“universale”. Osservando i bambini l’adulto progetta l’iter che può
prendere le mosse dalle loro caratteristiche psicofisiche per pervenire ad
un adulto “accettabile/auspicabile” nella nostra società, iter che risponde a
una precisa pianificazione che comincia dalla prima scolarizzazione. Si
tratta del primo contatto con le figure professionali in grado di riconoscere
se le componenti psicofisiche dell’individuo sono “nella norma” o
presentano anomalie. Non sempre la famiglia dispone degli strumenti per
rilevare eventuali problemi, così la scuola funge da primo supporto per le
azioni necessarie.

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Già a partire dalla scuola dell’infanzia si comincia a concorrere
all’educazione integrale dei bambini attraverso le varie forme del fare, del
sentire del pensare, del relazionarsi, dell’esprimere, del comunicare,
dell’apprezzare, dell’attribuire senso. Azioni che si inseriscono
armonicamente nella vita dei piccoli e che non sono concepite allo scopo
di fare acquisire precocemente gli apprendimenti formali, ma di favorire la
relazione positiva con l’altro e il benessere. I bambini vengono guidati a
distinguere la struttura della relazione con i coetanei da quella con gli
adulti attraverso il gioco, dal gioco senso-motorio a quello simbolico, che
confluiranno più tardi verso quello di regole. 9 Imparano attraverso il
contatto diretto con le cose e con l’ambiente, che canalizza la curiosità
naturale verso l’esplorazione. È uno strumento che conferisce
gradatamente ordine all’azione di ricerca dei bambini, un ordine che
presenta sia caratteristiche comuni agli altri che caratteristiche soggettive,
ed è necessario per la conquista dell’autonomia e la costruzione
dell’identità. Non si tratta di affrancarsi dalle regole adulte e dalla
dipendenza, ma di imparare a orientarsi attraverso scelte personali. Esse
diventano possibili grazie allo sviluppo delle capacità sensoriali/percettive,
motorie, linguistiche, intellettive e relazionali: i bambini imparano
comprendere, cioè a cogliere le informazioni provenienti dall’ambiente
circostante e a interpretarle, a comunicare e interagire con gli altri e con le
cose, a creare i circuiti cognitivi che permettono di “cogliere” il feedback,
“reintegrarlo e rielaborarlo” usando l’intuizione, l’immaginazione e la
“manipolazione” creativa.

9
Vedi Piaget, 1972
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 28
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Il complesso degli obiettivi relativi alla scoperta del sé e dell’altro è il
nucleo fondamentale di ogni pedagogia e di ogni terapia cognitivo-
comportamentale. Il bambino viene guidato: a rilevare le differenze, per
esempio tra bambini e bambine, dalle evidenze fisico-estetiche e
comportamentali; a collaborare in gruppo imparando a mettere in relazione
le intenzioni proprie e quelle degli altri; a confrontare la propria realtà con
quella degli altri all’insegna del rispetto e contro la discriminazione; ad
associare a fatti ed eventi sentimenti positivi e negativi, dalla tristezza alla
gioia, dalla paura allo stupore, dall’ammirazione alla disapprovazione,
dalla diffidenza alla simpatia, e via dicendo.
Immediatamente correlati sono gli obiettivi legati al corpo e al
movimento. I bambini prendono coscienza del proprio corpo attraverso
l’osservazione, l’attività motoria, l’uso di oggetti e strumenti per svolgere
giochi individuali e collettivi, la rappresentazione grafica. Imparano a
rappresentarsi mentalmente la differenza tra il proprio corpo fermo e in
movimento, le direzioni nello spazio circostante, metabolizzano il
coordinamento motorio proprio e del gruppo.
Il piano degli obiettivi della comprensione e della comunicazione insiste
sulle attività di ascolto e comprensione di narrazioni, nonché sul racconto
da parte del bambino, utilizzando la parola, la scrittura, il disegno e la
drammatizzazione (espressione vocale e gestuale, corpo e movimento
nello spazio).
Esplorazione, conoscenza e ideazione vengono perseguiti attraverso
l’esecuzione di compiti che coinvolgono i cinque sensi, azioni con gli altri
e manipolazioni degli oggetti nel tempo e nello spazio (montare e

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smontare, raggruppare secondo ordini di grandezza, forma colore,
classificare) e la “registrazione” dei meccanismi appresi.
Questi obiettivi non hanno una connotazione “disciplinare”, ma sono in
primo luogo correlati tra loro sulla base dei meccanismi
dell’acculturazione e dell’apprendimento spontaneo, su cui si innesta la
guida dell’adulto: strategia che assicura la naturalità dei processi e che
confluisce nel metodo definito euristico-guidato.
Vale la pena di citare a questo proposito l’inadeguatezza del metodo
attivista, che lascia al bambino l’assoluta libertà di scelte e azioni,
privandolo di ogni tipo di guida cognitiva e comportamentale; in opposto,
il metodo trasmissivo-addestrativo prevede un apprendimento severamente
programmato nel dettaglio, impedendo al discente di esplorare, elaborare,
inferire, individuare e utilizzare feedback.
In questa visione dell’evento educativo la musica si pone come supporto
privilegiato, veicolo ideale per la correlazione e l’integrazione di attività e
scopi. L’ascolto, la voce e il canto, la danza sono strumento del
coinvolgimento anche non mediato dal linguaggio, che instaurano un
canale di comunicazione tra i bambini e con l’adulto. Non ne va
sottovalutato l’uso, che infatti non costituisce un “banale” passatempo, ma
va ponderato nelle sue peculiarità per conferirvi validità sul piano
psicofisico.
Con l’ingresso alla scuola primaria, entro i nuclei enunciati vengono
distinti obiettivi specifici di apprendimento nella cosiddetta area cognitiva,
e obiettivi formativi nell’area socio-affettiva. Pur nella considerazione
della globalità dell’esperienza dell’individuo, si comincia a

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problematizzare e a sistemare organicamente attività e acquisizioni, per
favorire la comprensione del rapporto tra le manifestazioni di quanto
conosciuto sia nella globalità dell’esperienza quotidiana che nella
connotazione che le manifestazioni stesse assumono internamente a
specifiche discipline e attraverso specifiche attività. Dunque entro i vari
campi disciplinari vengono individuati gli apprendimenti sia in termini di
nozioni e contenuti che in termini educativi. L’intero quinquennio
costituisce una fase delicata perché l’evento educativo deve essere
concepito contestualmente per il soggetto e per la collettività, con
attenzione alle situazioni particolari, che molto spesso diventano
riconoscibili all’inizio di questo periodo.
Nell’ambito di italiano, storia e geografia, matematica e scienze,
tecnologia e informatica, arte e immagine, educazione motoria e musica, i
bambini consolidano e avviano a più matura interpretazione i meccanismi
e i contenuti già a loro noti in forma più ingenua. La nuova lettura
dell’interazione didattico-pedagogica palesa normalità e anomalie dei
processi di sviluppo, favorendo la predisposizione di una adeguata
situazione educativa per ogni tipo di soggetto. La musica offre una
molteplicità di spunti sia al fine di acquisire competenze specifiche per
l’attribuzione di senso, sia allo scopo di rinforzare l’azione di altri ambiti
disciplinari.
Queste finalità coinvolgono in primo luogo la percezione. È importante
lavorare da subito sull’ascolto concentrato, perché consente all’insegnante
di valutare presto non solo le capacità analitiche di partenza più comuni,
ma anche le eventuali carenze indici di una situazione di svantaggio fisico

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o psichico. Di questo si dirà più avanti. La discriminazione delle
componenti dell’ambiente sonoro e l’associazione tra un evento sonoro e
la situazione ad esso correlata è uno dei primi passi verso l’attribuzione di
senso alla musica. Con il procedere delle abilità linguistiche ed espressive i
bambini vengono guidati all’arricchimento delle capacità percettive, infatti
si può passare alla descrizione, all’analisi e alla classificazione, prima di
suoni ed eventi isolati, più avanti, generalmente intorno al terzo anno, di
semplici strutture musicali in brani di diverso genere, nei quali si
cominciano a riconoscere le funzioni d’uso (musica da ballo, da cerimonia,
da lavoro, da film).
L’affinamento della percezione è supportato dalle attività di produzione
sonora, che non devono mai assumere finalità performative fini a se stesse,
ma mirare ai vari livelli di consapevolezza. Infatti la scuola primaria, nelle
fasi iniziali, ripropone lo stesso tipo di attività svolte nella scuola
dell’infanzia, partendo dall’esplorazione voce/corpo/oggetto per procedere
sia con la riproduzione di esempi che con l’improvvisazione. Si utilizzano
sia materiali propriamente musicali, come brani e sequenze/effetti sonori,
sia testi, ritmici e non, sui quali elaborare giochi di espressione.
Anticipiamo che il sostegno dell’impostazione dalcroziana, soprattutto a
cominciare da questa fase, si rivela una inesauribile fonte polifunzionale,
poiché distingue ma interrelaziona la percezione e la produzione
predisponendosi anche ad obiettivi finalizzabili all’alfabetizzazione.
Il graduale inserimento della conoscenza dei parametri musicali (del
timbro e dell’intensità, della durata e del suo rapporto con il concetto di
ritmo, dell’altezza e del suo rapporto con il concetto di melodia) permette

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di incrementare le attività di invenzione, orientandole verso una più
consapevole capacità di “progettazione secondo regole”: non regole
imposte “immotivatamente”, ma ricavate dalla prassi (dall’ascolto e
dall’uso di musiche preesistenti e dalle improvvisazioni individuali e di
gruppo).10 La produzione ne risulta accresciuta perché dal canto
(monodico e polifonico senza limitazioni di repertorio), alla scrittura
(convenzionale e non) e alla rappresentazione espressiva (disegno e
movimento corporeo), all’esecuzione e composizione (con strumenti e
oggetti sonori e il riferimento ai principi di ripetizione e variazione), i
bambini costruiscono l’idea di globalità dell’esperienza musicale e la
fanno propria come strumento di esteriorizzazione, non la percepiscono
come forzatura del proprio Io, vi si affidano con fiducia per comunicare.
Bisogna ribadire che la condizione affinché questo avvenga risiede nella
possibilità di poter confidare in competenze metodologiche flessibili e in
un ambiente favorevole sotto il profilo della cooperazione fra insegnanti,
famiglie ed esperti. Infatti è palese che la poliedricità della proposta

10
François Delalande analizza l’attività musicale dei bambini soffermandosi sulla distinzione
operata da Piaget sulle forme di gioco, senso-motorio, simbolico e di regole. Queste si susseguono
durante lo sviluppo nell’infanzia, e ciascuna delle forme successive ingloba in qualche modo le
precedenti. Nello studio delle condotte musicali del bambino l’autore individua la compresenza
costante dei tre aspetti, con la chiara predominanza di una sulle altre. La manifestazione è data dalla
realizzazione di giochi sonori spontanei, più significativi nel momento in cui si configurano tra le
esplorazioni sensoriali, che assumono un significato simbolico e maturano un gusto per la
combinazione e per l’organizzazione man mano che il bambino esercita le possibilità di ripetizione
del suono e scopre le modalità di variazione. Tali preferenze sono alternatamente palesi anche
nell’attività del musicista, che talora esercita la corrispondenza gesto-suono per un gusto
strettamente sensoriale, talora opera le sue scelte in base a un significato simbolico, oppure prevale
il gusto per l’esercizio intellettuale della regola, come risulta particolarmente evidente da alcune
impostazioni dell’attività compositiva. L’osservazione di Delalande sintetizza una copiosa quantità
di esperienze laboratoriali condotte su gruppi-classe o su singoli individui in contesti appositamente
predisposti per osservare l’interazione sonora del bambino con l’ambiente, in presenza di
sollecitazioni gestuali/verbali e di dispositivi, ossia strumenti tecnici di amplificazione, riproduzione
o altro che fungano da stimolo.
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formativa musicale si plasma opportunamente sulle occorrenze e sulle
richieste di allievi con bisogni differenti.
Nella scuola secondaria di primo grado, che si installa anch’essa sui
metodi e sulle acquisizioni precedenti, il percorso della musica cambia
veste: l’ingresso al nuovo grado scolastico è caratterizzato dal passaggio
da una concezione “complessiva” dell’esperienza di vita (attraverso la
distinzione di discipline con specifici interessi solo dalla terza classe della
primaria), ad una proprietà strettamente disciplinare (i contenuti di ogni
materia vengono trattati con ben precisi insegnanti e materiali). L’analisi e
la sintesi tra esperienze di natura diversa dovrà passare gradatamente
“dalle mani” dell’insegnante a quelle dell’allievo; nell’ascolto, nell’analisi,
nell’interpretazione, nella pratica vocale e strumentale sarà incrementata la
componente trasmissiva. Ma è essenziale che essa non venga travolta da
ansie nozionistiche, che vanificherebbero il significato del percorso finora
illustrato. Inoltre non va dimenticato che il marcato interesse pedagogico
della scuola primaria ha sottolineato la funzione socioeducativa e
terapeutica della musica: ribaltarne le prerogative può equivalere al
disinteresse di alcuni bambini e al disorientamento di altri. Diventa allora
necessario coltivare la continuità tra gli ambienti educativi istituzionali ed
extraistituzionali.

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1.4 Fenomenologia delle situazioni di svantaggio.

La questione delle situazioni di svantaggio presenta un quadro ampio e


complesso che riguarda le famiglie, la scuola e i servizi sanitari. È oggetto
di osservazione e di studio di interesse medico, sociologico, pedagogico
per le numerose implicazioni in gioco. Vi rientrano definizioni come
“handicap, disabilità, disadattamento, svantaggio”, non sempre usati in
maniera specifica, ma a volte come sinonimi. In realtà i termini coprono
una vasta gamma di casi, o, per essere più precisi, di situazioni e storie
personali molto diversificate. Il tentativo di classificazione non rende
giustizia alla molteplicità di letture possibili per la descrizione di uno
stesso tipo di problema; di contro una classificazione faciliterebbe il
progetto di un’azione produttiva adeguata, associando alle specifiche
caratterizzazioni una serie di interventi di cura, riabilitazione ed
educazione.
La maggior parte degli svantaggi fisici è diagnosticata abbastanza
precocemente proprio per la sua maggiore evidenza; la menomazione
visiva è la meno frequente, seguita da quella uditiva; più numerose sono le
limitazioni motorie dovute a malformazioni congenite, e quelle multiple,
visive-uditive-motorie insieme); non lo stesso si può dire per i problemi
psichici, che, rispetto a quelli fisici, rappresentano una percentuale di quasi
il quadruplo dei casi di svantaggio, ma vengono interpretati con una certa
lentezza per vari motivi.

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Innanzi tutto perché le famiglie possiedono raramente competenze atte a
rilevarne già i primi segnali, specialmente se non dispongono di elementi
di paragone con bambini coetanei; in secondo luogo alcune psicopatologie
si manifestano tardivamente, quando i bambini dovrebbero aver maturato
abilità linguistiche, motorie e cognitive sufficienti all’inserimento nella
scuola primaria. Così sono soprattutto gli insegnanti a riconoscere
eventuali anomalie dello sviluppo e ne sollecitano la corretta diagnosi. Già
Levi 11, muovendo dalla sua indagine sulle percentuali di inserimento
scolastico a partire dai due anni d’età e dividendo in tre periodi la fascia
che precede l’obbligo, suggerisce una chiave di lettura relativa ai ritardi
nella diagnosi dello svantaggio neuropsicologico, con la conseguenza di un
intervento pedagogico tardivo. Il quadro dello svantaggio neuropsicologico
si presenta molto variegato.

«I bambini portatori di handicap coprono una parte limitata del disadattamento


scolastico. Esistono, infatti, molti bambini che presentano disadattamento
scolastico (che rendono male e stanno psicologicamente male a scuola) per
diverse carenze, anche neuropsicologiche o psicopatologiche, senza poter essere
considerati portatori di handicap in senso stretto; ed esistono molti bambini che
presentano una sofferenza psicologia anche seria, senza dimostrare
disadattamento scolastico, in quanto, almeno in apparenza, hanno degli
apprendimenti accettabili e non manifestano difficoltà di comportamento tali da
indurre socialmente ad una segnalazione. Questi fenomeni paralleli vanno

11
G. Levi condusse nel 1989 una accurata ricerca sull’entità dei minori portatori di handicap
nella fascia scolastica e nella fascia prescolastica, pubblicandone i dati nel saggio Handicap e
disadattamento scolastico.
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considerati come un problema epidemiologico, come un problema diagnostico e
come un problema prognostico».12

La considerazione è ancora attuale ed evidenzia il pericolo di voler


interpretare ogni tipo di difficoltà dell’apprendimento da un punto di vista
medico. La pedagogia rifugge da questo rischio, specialmente in virtù del
principio di considerare ogni individuo nella sua globalità e nella sua
individualità; per questo persegue il suo obiettivo di pervenire al migliore
risultato possibile ritenendosi comunque sollevata dalla responsabilità
esclusiva dello sviluppo cognitivo del soggetto. Pur tuttavia necessita del
conforto sia della diagnosi neurobiologica che dell’aiuto a identificare
patologie latenti o mascherate: per esempio, accanto ai conclamati disturbi
specifici dell’apprendimento, come possono essere la dislessia e la
disgrafia, o la disortografia e la discalculia, esistono disturbi depressivi con
inibizione affettiva dell’intelligenza e organizzazioni prepsicotiche della
personalità. Un tempestivo rilevamento dei prodromi di un problema può
consentire una prevenzione, con la possibilità di inibirne lo sviluppo.
Il riconoscimento dei livelli di ritardo viene analizzato principalmente
sotto due profili: quello finalizzato alla facilitazione dell’apprendimento e
quello finalizzato all’equilibrio psicoemotivo: l’eterocronia dello sviluppo
riguarda la differenza tra l’età cronologica e l’evoluzione delle aree
motoria, affettiva, sociale e non solo l’aspetto cognitivo in senso stretto.
Perciò è necessario ricorrere alla pluralità di interventi, che può essere
garantita dall’interazione della famiglia anche con professionalità e
ambienti extrascolastici.
12
Levi, Handicap e disadattamento, cit.
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Negli ambienti terapeutici viene “bilanciata” la presenza di altre persone
oltre al terapeuta, siano essi altri pazienti che i genitori; vengono
“miscelate” le attività secondo un programma individualizzato sulle
esigenze motorie, psichiche ed emotive del caso; vengono monitorati gli
elementi di coinvolgimento in rapporto alle diverse professionalità che
intervengono su un soggetto: tutto ciò avviene in condizioni diverse da
quelle scolastiche, che perciò appaiono ai pazienti come “altro” rispetto
alla scuola.
L’attività con la musicoterapia si configura anch’essa in procedimenti
diversi a scuola e nell’ambiente terapeutico. Così una presenza in ambedue
le realtà, che però sappiamo rara, permetterebbe di affrontare gli obiettivi
sul soggetto in una forma legata sia al contesto sociale frequentato, che
esiste di per sé e ruota intorno alla collettività, sia al contesto
appositamente “creato” intorno al paziente, organizzando ogni aspetto in
sua funzione.
Un altro profilo del disadattamento risiede nello svantaggio culturale,
che nelle situazioni dovute a provenienza particolarmente disagiata
provoca spesso discriminazioni e conseguenti reazioni di chiusura o di
esternazione anche di tipo psicotico. Per tale motivo vi si riserva grande
attenzione, anche se soggetta a critiche e a reazioni da parte delle famiglie,
che spesso stentano a riconoscere l’importanza di un sostegno, ritenendolo
superfluo e offensivo. Specialmente in queste circostante l’attività
musicale può “mascherare” la “connotazione terapeutica” dell’intervento
degli esperti, permettendo di attuare fattive strategie di recupero e
reinserimento.

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Capitolo II

LA METODOLOGIA NELLE ATTIVITÀ MUSICALI

2.1 L’indirizzo metodologico e la sintesi metodologica.

La pedagogia musicale moderna e la musicoterapia, come il complesso


delle scienze umane, pongono le proprie basi su una visione globale
dell’individuo. Si è più volte posto l’accento sugli aspetti psicologici e
sociali che interagiscono nella formazione dell’individuo, sul ruolo attivo
che egli assume nell’apprendimento e sull’influenza che il suo vissuto
esercita sulla sua crescita personale e su quella dei soggetti con i quali si
relaziona.
Queste convinzioni pretendono un’idea di musica intesa come fattore
educativo non secondario rispetto alle altre discipline. Si deve a queste
motivazioni il fiorire di laboratori musicali, lo sviluppo di proposte di
riforme scolastiche e la pressante richiesta di incentivare progetti volti alla
ri-scoperta della dimensione musicale in tutta la sua completezza.
Significa che l’offerta musicale al territorio deve essere sufficientemente
diversificata e professionale per potere assumere ruoli funzionali allo
sviluppo sociale; cioè deve costituirsi in percorsi che, in rapporto agli
obiettivi che si prefiggono, abbiano riferimenti metodologici seri e non
improvvisati.
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L’individualità del fruitore, con la sua situazione personale, con il suo
sostrato culturale e con il suo ambiente, rende relativo il grado di interesse
suscitato dai contenuti musicali o l’efficacia di una impostazione di lavoro
pedagogico o terapeutico; dunque in prima istanza è necessaria
un’indagine finalizzata alla programmazione delle attività.
Generalmente la finalità stessa determina la scelta di un indirizzo
metodologico, ma va anche considerato che l’operatore musicale tende,
per formazione e per temperamento, verso alcuni aspetti operativi piuttosto
che altri: pertanto utilizza di preferenza la tecnica che meglio asseconda la
propria propensione. È sempre auspicabile che questo avvenga, poiché il
lavoro di un educatore o di un terapeuta comporta una grande
responsabilità, e un compito oneroso viene svolto con maggiori passione e
accortezza quando è gratificante, aspetto troppo spesso trascurato e
ritenuto di secondo piano.
L’adesione a un metodo è senz’altro garanzia di coerenza, perché gli
obiettivi e i contenuti, gli strumenti e le azioni sono calibrati a priori
secondo logica, spesso accompagnati da indicazioni molto dettagliate.
Tuttavia sussiste anche il rischio di cristallizzare il lavoro e rendere ogni
programmazione il clone di un’altra, a dispetto delle caratteristiche dei
fruitori come soggetti e come gruppi.
Data l’eterogeneità dei contesti pedagogici e terapeutici nei quali si può
lavorare con la musica, si presenta come ideale la sintesi metodologica.
Essa comporta che si conoscano più metodi, con attenzione ai più
importanti che si sono succeduti da un secolo a questa parte, dal momento
che lo sviluppo e la diffusione delle discipline pedagogica, psicologica,

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antropologica e delle scienze umane in genere hanno permesso di
utilizzare anche le cosiddette metodologie storiche in una forma arricchita
dalle nuove acquisizioni. Accingendosi all’avvio di una relazione
educativa o terapeutica musicale si può scegliere di tenere come linea
guida una metodologia, ma senza pretenderla come esclusiva.
L’andamento dell’iter può produrre risposte che rendono inadeguato il
proseguimento secondo l’impostazione iniziale, perciò bisogna essere
preparati ad attingere ad altra metodologia mantenendo la congruenza.
Ma abitualmente le scelte professionali prevedono a priori una serie di
apporti di varia provenienza, ritenendo valida la presenza di tali
componenti per i propri scopi. D’altra parte una metodologia nasce in un
contesto che può avere caratteristiche omogenee, dipende anch’essa
dall’esperienza e dalle preferenze del suo sperimentatore, senza per questo
dover dubitare della scientificità; può non essere “universalmente”
applicabile.
Tali motivi manifestano l’opportunità di una visione panoramica delle
principali impostazioni metodologiche, abitualmente riferite ad un ambito
ben preciso, di solito quello da cui provengono, ma del cui uso integrato
parliamo con convinzione.

2.2 L’ambito pedagogico.

L’opera didattica di Carl Orff come rappresenta uno dei capisaldi su cui
si fonda la moderna pedagogia della musica. La sua concezione

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dell’insegnamento ai bambini ha le sue radici nelle idee già attuate da
Jaques-Dalcroze.
Intensificati i suoi studi da didatta, nel 1924 fondò insieme con la moglie
Dorothee Günther una scuola di ginnastica, musica e danza classica. In
realtà non desiderava creare un’altra della tante scuole fondate sul metodo
dalcroziano, bensì prendere spunto dal legame musica-gesto nella sua
forma anteriore alla concezione del gesto come danza e della musica come
espressione d’arte. Intendeva risalire alla forma più spontanea e immediata
dell’espressione sonora-gestuale-vocale, la forma più primitiva, quella che
privilegiava l’espressione collettiva piuttosto che “l’esibizione”
individuale. Questo è ciò che Orff chiamava “musica elementare”.
Lo Schulwerk rappresenta la sintesi della sua esperienza didattica, che si
costruisce su una pratica musicale pre-intellettuale, nella quale non c’è
distinzione netta fra i ruoli di suono, gesto e parola e neppure strutture
musicali complesse. L’estrema semplicità di tutti gli aspetti consente ai
bambini di accostarsi alla musica con l’immediatezza delle scelte
spontanee, attraverso i mezzi elementari di cui l’istinto sonoro di ciascuno
può disporre.
Orff costruisce la sua esperienza metodologica in funzione di un
bambino compositore-fruitore: non si tratta dunque di partire dai grandi
repertori semplificandoli, ma semplici cellule ritmiche o melodiche e
lasciare che i bambini, opportunamente guidati, siano liberi di elaborarle.
L’ambito pentafonico (do re mi sol la) sul quale si muove la prima
musica per l’infanzia costituisce un terreno privo di difficoltà per i

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bambini, che non avranno a che fare con semitoni e armonia funzionale, e
permette un pronto uso.
Nel principio di sperimentazione promosso da Orff non vengono
predisposti dei limiti a priori, proprio per potere trarre tanto spunti quanto
conclusioni (che siano a loro volta punti di partenza) dalle sperimentazioni
stesse. Non ci troviamo davanti a veri e propri metodo e repertorio
preconfezionati, ma “codificati” a posteriori.
Se da un canto l’indirizzo prevalentemente coreutico della
Güntherschule sacrificava la musica elementare integrale e l’uso del canto
e della parola, tuttavia fu riservato ampio spazio all’impiego di una serie di
strumenti di facile approccio e immediatamente accostabili all’esperienza
ritmica corporea, spesso appositamente adattati ai destinatari (lo
strumentario Orff). Metallofoni, xilofoni, percussioni non intonate, la cui
facilità favorisce la pratica dell’improvvisazione, incoraggiano l’allievo
alla produzione autonoma della musica di cui egli stesso è fruitore: come
dire che produce da solo il materiale didattico per la sua stessa formazione.
Alcuni brani registrati a scopo dimostrativo furono diffusi attraverso
trasmissioni radiofoniche indirizzate alla scuola. Diversamente che alla
Güntherschule (distrutta dai bombardamenti durante la seconda guerra
mondiale), la radio permetteva di sviluppare il binomio canto-parola,
prima meno curato a vantaggio del movimento.
Veniva qui privilegiato il linguaggio come esperienza ritmica elementare,
poi più complessa e con una presenza sempre maggiore dello strumentario.

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Il repertorio popolare infantile offrì materiale adatto a tutte le peculiarità
da curare ed elaborare progressivamente, anche se la scelta del sistema
pentafonico risultava limitante nell’individuazione dei canti da usare.
I cinque volumi dello Schulwerk furono completati in collaborazione
con Gunild Keetman per raccogliere il risultato finale di una lunga
esperienza: essi presentano nel dettaglio i procedimenti attraverso cui i
repertori presentati si sono formati, ma non si soffermano su severi
suggerimenti di ordine metodologico. Ecco perché si dice che quello di
Orff non è un vero e proprio metodo e nella sua stessa costituzione cela il
rischio di rendere ancora una volta il bambino esecutore e non creatore di
quei repertori.
Dal 1951 Gunild Keetman introdusse Schulwerk nella scuola, a diretto
contatto con i bambini, restituendo all’opera la sua vera funzione, quella di
educare alla musica integrando movimento, parola, prassi esecutiva vocale
e strumentale nel più totale rispetto della naturalità dei gesti del bambino.
Intanto l’accresciuta esperienza in ambito pedagogico e l’età sempre più
bassa degli allievi alimentarono nuove scelte; bisognava affrontare alcune
difficoltà: la minore capacità di concentrazione e di socializzazione di
bambini in età anche pre-scolare, la ridotta costanza e il bisogno di stimoli
sempre più vivaci adatti a quell’età. Queste furono le basi per una più
puntuale ricerca, che sfociò nella fondazione dell’Istituto Orff, centro
didattico fulcro dell’insegnamento della musica secondo lo Schulwerk, che
nel frattempo era stato tradotto e diffuso in ambito europeo ed
extraeuropeo e, ancor più, sperimentato dalla scienza medica come
psicoterapia. Furono riconosciute le potenzialità che siffatti corsi potevano

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avere al di là dell’intento didattico; vi si respirava una grande forza di
coinvolgimento fisico e psichico e l’assenza di imposizione di alcunché.
Apparve evidente che l’istituzione della scuola (sede distaccata del
Mozarteum di Salisburgo) non venne considerata da Orff nel senso di una
codificazione statica dello Schulwerk, ma come un luogo di
sperimentazione continua, costantemente aperta alle sempre mutevoli
esigenze.
I corsi furono distinti fra quelli destinati ai bambini e quelli destinati alla
specializzazione degli insegnanti (vi si studiava la didattica, la metodica
dell’educazione musicale elementare, strumenti come il pianoforte, le
percussioni, il flauto dolce, la composizione, la musica d’insieme e
l’improvvisazione motoria e strumentale, le tecniche corporee, la
direzione, la musica popolare, la danza, la storia della musica e gli altri
aspetti della pratica musicale funzionali allo sviluppo della loro creatività
dei bambini e della loro espressione naturale. Una parte della formazione
avveniva in forma di tirocinio).
L’insegnamento pose in luce gli usi non codificati della voce, del suono,
dei timbri, delle forme, del movimento e così via, anche in considerazione
del fatto che l’esportazione del metodo in tutto il mondo lo trapiantava in
ambiti culturali tradizionali sempre diversi, determinando risultati sempre
diversi.
Orff concepì dunque una complessa rete di principi applicabili alla
pratica dell’educazione musicale, intesi come logiche di apertura alla
sperimentazione, orientati verso la cultura generale e specificatamente

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musicale e secondo un significato didattico-pedagogico-terapeutico
lontano dall’idea di metodo rigido.

Anche il metodo elaborato da Zoltan Kodály rappresenta una pietra


miliare della pedagogia musicale. Nato in Ungheria e diffuso in tutta
Europa, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque
si occupi di didattica della musica. Ma per la sua precisa collocazione
storico-geografica deve essere opportunamente adattato alle situazioni
nelle quali viene riproposto.
Infatti le fondamenta risiedono nella grande opera di raccolta dei
repertori popolari ungheresi svolta da Kodály e da Bártók a partire dal
primo quinquennio del 1900. Kodály riteneva essenziale il legame con la
musica che ci circonda fin dalla prima infanzia: la naturalezza
dell’approccio infantile con la musica si traduce nell’interiorizzazione
degli elementi caratteristici di quel repertorio, quindi nel significato
simbolico che esso acquista. Ecco perché, per esempio, l’autore insiste
sull’uso del sistema pentafonico, presente in larga parte dei canti popolari
ungheresi.
Al contrario non è così frequente nei repertori popolari del nostro paese,
dove perciò è minore la familiarità; inoltre si deve considerare che oggi il
legame con la musica popolare è in declino, salvo le eccezioni riscontrabili
soprattutto nei centri più piccoli, in cui ancora alcune tradizioni
sopravvivono: pertanto pensare unicamente a un approccio attraverso
questi canti non sempre facilita l’instaurarsi di una “relazione” musicale
proficua.

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Il principio su cui Kodály fonda la sua idea di educazione attraverso il
canto consiste nel far proprio, come “fatto” naturale, non “pensato”,
l’elemento musicale; anche come attività socializzante, con tutto ciò che
questa definizione comporta al livello dell’apprendimento, della capacità
di relazionarsi, dello sviluppo della disposizione a comprendere le
esigenze altrui e adattarvisi.
La formazione musicale attraverso il canto rende possibile accostarsi
alla “grande” musica in maniera più semplice che non attraverso lo studio
di uno strumento, perché la riproduzione vocale può avvenire anche se non
si possiedono particolari abilità tecniche, mentre per suonare la musica
strumentale sono necessari moltissimi anni di “addestramento” tecnico
specifico. Per questa ragione il metodo di Kodály si diffuse con risultati
notevoli nelle scuole dell’obbligo e negli istituti magistrali e poi anche
nelle altre scuole.
Il metodo si fonda su un approccio sistematico con il canto popolare,
graduale secondo l’età e le capacità dei bambini: ad esempio i primi brani
sono composti con due sole note e su semplici modelli ritmici. Via via si
procede verso cellule ritmiche più complesse e melodie pentafoniche. Per
la lettura viene usato il sistema del “Do mobile”: usando il metodo della
solmisazione, i nomi dei suoni, in tutte le tonalità, non corrispondono alle
altezze assolute ma alle funzioni tonali.
È un principio che semplifica la difficoltà di leggere in altre tonalità
fissando visivamente le altezze relative sul pentagramma. Nel solfeggio
tradizionale le note naturali e le note alterate vengono pronunciate col solo
nome della nota, si rischia di smarrire il ruolo dell’alterazione nell’ambito

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della tonalità. Invece riportando la lettura di tutte le tonalità a quella di Do,
si fissano mentalmente le “qualità sonore” delle relazioni intervallari in
tutte le tonalità.
Altra facilitazione è data dalla direzione con gesti chironomici,
corrispondenti ai gradi della scala, che permettono la memorizzazione
visiva/motoria delle altezze.
Il metodo è efficace specialmente se utilizzato fin dal primo approccio
con la musica, viceversa, quando si proviene da una formazione “classica”
la comprensione risulta un po’ più complessa e presenta qualche fragilità,
come per esempio il passaggio alla lettura delle altezze assolute nello
studio di uno strumento a fronte della lettura con il sistema del Do mobile
usata per il canto.
In questo metodo il canto corale rappresenta il momento fondamentale
della formazione musicale, sia per le ragioni anzi dette che per l’esercizio
della relazione sonora con le altre voci: si sviluppa notevolmente il senso
armonico, ancor più in assenza di accompagnamento strumentale, perché
le voci si trovano “costrette” ad ascoltarsi a vicenda e a rafforzare
istintivamente le consonanze.
Gli obiettivi che emergono sono principalmente quelli didattici, ma la
coralità in sé ha una funzione educativa che può essere rinforzata e
assumere una validità terapeutica attraverso un uso appropriato
dell’esercizio uditivo/vocale.

Nato in Belgio nel 1890, Edgar Willems cominciò la sua attività


pedagogica dal 1928, l’anno in cui fu nominato professore di solfeggio

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presso il conservatorio di Ginevra. Willems aveva elaborato una
concezione filosofica e pedagogica che si fondava sulla scoperta delle
affinità psicologiche che accostano la musica alla consapevolezza dell’Io.
Il ritmo come sensorialità, la melodia come affettività, l’armonia come
razionalità sono i tre momenti a partire dai quali viene avviato l’approccio
con la musica: appaiono subito evidenti i ruoli tipicamente affidati alla
musica della tradizione tonale, soprattutto quella romantica. Nel ritmo
viene ricercata la pulsione primaria, le durate che scandiscono il tempo;
nella melodia la discorsività del linguaggio verbale con le sue implicazioni
affettive, nell’armonia le logiche intellettuali costruttive.
L’orecchio musicale, le cui facoltà sono al centro delle attenzioni del
pedagogista, si adatta ai tre aspetti con diversa e sempre maggiore
sensibilità: “udire” rappresenta l’attività più istintiva dell’orecchio
musicale, quella più immediatamente capace di percepire il ritmo e poi,
gradatamente, tutte le altre qualità del suono (altezze, intensità, timbri).
L’insegnante deve ricorrere a mezzi consueti o inventati per progettare
l’esercizio di affinamento delle capacità dell’allievo, cercando le strategie
più efficaci con ciascuno.
Una attenzione particolare viene rivolta alla percezione e al confronto
delle altezze: con l’esercizio continuo, ritiene Willems, si può riuscire a
distinguere intervalli di piccole frazioni di tono.
Il canto è l’attività prediletta per la capacità di coinvolgimento emotivo
dei brani, ovviamente scelti adeguatamente secondo l’età e secondo i
parametri musicali presi ogni volta in considerazione.

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L’autore si sofferma sulle corrispondenze affettive fra intervalli, timbri e
sensazioni: la musica si nutre di “tipizzazioni” e che influenzano le scelte
nella fruizione.
Lo sviluppo della capacità di audizione interiore inizia dunque con la
sperimentazione del suono e con l’ascolto allenato attraverso giochi e
giocattoli musicali, che incuriosiscono i bambini e stimolano la voglia di
far musica. Questa deve essere soddisfatta dal canto, prima dei brani più
amati e pian piano di quelli meno conosciuti, con una continuità e una
assiduità tali da spingere l’immaginazione e l’improvvisazione.
In una fase successiva subentra la necessità di scrivere e leggere,
“concretizzare” la propria esperienza musicale, costruire anche un senso
armonico.
Purtroppo il percorso pedagogico musicale di Willems si concentra
soprattutto sulla conoscenza e sulla coscientizzazione della musica tonale,
restando più strettamente legato alla musica classica. Le esperienze
extraeuropee e in genere quelle non tonali, ugualmente importanti, non
trovano spazio.
Data la complessità della riflessione sulle funzioni della musica nella
vita di ciascuno, anche questa impostazione va preferibilmente integrata
con altre, per raggiungere ogni angolo della personalità di tutti.

Boris Porena figura tra le personalità di maggiore rilievo del nostro


tempo. Allievo di Goffredo Petrassi, lega la sua idea compositiva prima
allo stile neoclassico, poi al quello tardo rinascimentale, per elaborare a
partire da essi un proprio linguaggio personale. Nonostante vent’anni di

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silenzio come compositore, all’incirca dal 1928 al 1968, Porena è autore
prolifico, specialmente per quello che riguarda la sua riflessione filosofica
sulla “metacultura” e il suo pensiero sulla pedagogia e sulla didattica di
base, anche in chiave sociologica. Musica/Società. Inquisizioni musicali,
La musica nella scuola dell'obbligo, Musica Prima. La composizione
musicale: uno strumento della pratica culturale di base nella scuola e nel
territorio, Nuova Didattica della Musica, Ipotesi Metaculturale: un'ipotesi
per la composizione delle diversità ossia per la sopravvivenza sono alcuni
dei suoi scritti più importanti.
L’obiettivo che Porena persegue è la formazione delle capacità musicali
a tutto tondo, in maniera da sapersi muovere consapevolmente tra i vari
aspetti di cui l’attività musicale si compone. Il principio di fondo riguarda
la progettazione operata dall’insegnante per il suo percorso: Porena non
intende tracciarlo rigidamente, sottolinea però la necessità di una costante
aderenza fra le scelte pedagogiche e il sostrato culturale degli allievi; essi
devono sempre essere messi in condizione di capire e sperimentare.
Il primo momento della sperimentazione del suono avviene sul contrasto
fra suono (il parlare in classe, per esempio) e silenzio, rappresentato da
gesti concordati che i ragazzi imparano a comprendere. Da qui nasce la
possibilità di gestire i suoni dinamicamente e timbricamente e di trovare
sfumature del gesto direttoriale che li rappresentino. A qualunque scelta
può poi essere associato il segno grafico che più pare adeguato alla
rappresentazione scritta. Questo momento richiama, a catena, la possibilità
di comporre-improvvisare usando i segni-suoni conosciuti e sperimentati,
cioè analizzati ed eseguiti. Ne consegue lo sviluppo della capacità di

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discernere similitudini e disuguaglianze, forme elementari e altri semplici
processi compositivi.
Il materiale sonoro può comprendere i suoni dell’alfabeto (con le
possibili sfumature della pronuncia), i suoni prodotti con i media somatici
(bocca, mani, etc.), i suoni degli oggetti (considerando varie modalità di
produzione del suono: percuotendo, strisciando, etc.).
È importante è costruire una “relazione di fiducia” fra i bambini e i
suoni, perché la loro formazione culturale non li porti a escludere i suoni
(quelli che abitualmente definiamo rumori e riteniamo sgradevoli) ai quali
sono meno abituati e che non concepiscono come musica. Questo serve a
prevenire la “diffidenza” nei confronti delle musiche e delle culture altre.
La composizione si presenta, pertanto, come frutto e sintesi delle
acquisite capacità di descrivere, analizzare, produrre e inventare, dunque
come esperienza completa, i cui principi sono trasferibili a qualunque
attività finalizzata all’educazione e alla conoscenza.

Un altro musicista progetta l’azione pedagogica musicale attraverso la


composizione: John Paynter.
Intorno agli anni Settanta Paynter pubblicò (anche insieme con Peter
Aston) alcuni libri che espongono la sua concezione pedagogica. Il
principio su cui Paynter costruisce la sua ipotesi metodologica è la
creatività e lo sviluppo di essa attraverso l’esplorazione, la ricerca,
l’invenzione e la composizione.
Si tratta di accostare gli allievi alla musica attraverso l’esperienza attiva:
coinvolti in prima persona i bambini affinano le proprie abilità percettive,

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imparano a comprendere e a utilizzare a loro volta quanto appreso in fase
di esecuzione.
I suoi “progetti sonori”, così li chiama, sono orientati verso la
rappresentazione simbolica della musica: Paynter concede largo spazio alle
sensazioni, pertanto le logiche musicali si caricano di valenze simboliche e
affettive capaci di sollecitare concretamente la composizione. Gli allievi
non ricevono consegne specifiche su quante e quali regole rispettare, ma le
ricavano essi stessi da esperienze sempre più complesse, operando scelte e
desumendo conclusioni coerenti con il tema individuato e assunto come
riferimento. Infatti l’unico elemento prestabilito è un tema intorno al quale
si possa lavorare, coinvolgendo le altre materie, raccogliendo materiali,
proponendo e sperimentando. Lo spirito di aderenza al tema non consiste
nella riproduzione onomatopeica dei suoni; per esempio, scegliendo un
evento naturale come spunto sonoro, non si prevede di riprodurlo, ma di
comunicare attraverso l’invenzione sonora le sensazioni e gli stati d’animo
collegati a quello spunto stesso.
L’insegnante non guida ma stimola, incuriosisce spingendo il desiderio
di acquisire nuovi elementi anche ponendo domande (elemento
particolarmente importante in questa proposta metodologica) che non
necessitano per forza di risposte esatte, ma servono soprattutto a
interiorizzare principi e concetti. In questo modo la composizione diventa
un gioco divertente e imprevedibile.
I “progetti” di Paynter esplorano i più disparati ambiti sonori
(l’ambiente, le varie realtà musicali, le voci degli strumenti, il suono del
linguaggio, etc.) promuovendo una pedagogia musicale lontana da

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impostazioni nozionistiche, da percorsi d’ascolto di sola musica descrittiva
e privi del “fare musica”.
Paynter opera nella ricerca delle strutture comuni ai vari linguaggi, delle
forme e dei significati, non tende verso tentativi di imitazione. Tutto ciò
serve a costruire la base di una educazione alla musica (e con la musica)
completa e non settoriale, raggiungibile attraverso una proposta didattica e
metodologica attenta e attiva in tutte le direzioni. Dunque, pur nella sua
autonomia, il linguaggio musicale entra in relazione con gli altri tipi di
linguaggio e con il loro aspetto semiologico.
Tali sono anche i termini dell’idea pedagogica musicale di Gino Stefani.
Attento alla formazione musicale sia pedagogica che terapeutica,
propone un percorso metodologico che parte dal vissuto dell’allievo, dalla
sua esperienza socio-culturale, dunque dalla sua cultura di base e, più in
particolare, da quella che egli definisce “competenza musicale di base”.
Questa è influenzata non solo dai repertori di canti e filastrocche o
quant’altro appreso nel proprio ambiente fin dalla nascita, ma anche dai
codici interpretativi acquisiti nel tempo e che si evolvono secondo l’età, la
sensibilità e secondo la crescita culturale del bambino.
La scuola lavora su questo “terreno” guidando l’allievo nella
comprensione, l’assimilazione e la capacità di adattamento. Musicalmente
questo va fatto incrementando le competenze analitiche e descrittive,
attraverso un metodo induttivo piuttosto che deduttivo. Partendo
dall’ascolto di musiche non note, i bambini vengono invogliati a “tirar
fuori”, ad esprimere le proprie sensazioni, ipotizzando titoli e individuando
le caratteristiche musicali che hanno determinato le loro ipotesi. Si può

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provare a sostituire alcuni degli elementi caratteristici evidenziati e fare
riflettere gli alunni sulla funzione di questi e sulle sensazioni correlate:
cambiando uno o più parametri (altezza, intensità, velocità, etc.) cambia
anche la nostra attribuzione di senso.
L’esperienza attiva e critica permette l’interiorizzazione della
grammatica musicale a posteriori e non viceversa. Inoltre una lettura di
tipo semiologico permette una più completa interpretazione della musica,
grazie all’associazione con elementi di altro genere.
Per esempio una cellula ritmica può essere associata a un passo di danza,
un modulo melodico a una regione geografica, una sequenza armonica a
uno stato d’animo e così via: sempre però partendo dalle proposte degli
allievi e non da suggerimenti dell’insegnante.
Con questo Stefani conferma l’esistenza di codici generali validi anche
per il linguaggio musicale e strettamente legati ai suoni, ai ritmi (e agli
altri parametri) e alle abitudini di vita del proprio ambiente: è la
“competenza musicale di base”. Interiorizzando questo modo di conoscere
i ragazzi imparano a comprendere le opere nella loro globalità, da vari
punti di vista e in relazione con le altre, non in maniera restrittiva come
singola unità.
Il viaggio di Stefani dentro l’emozione musicale interagisce con le
osservazioni della psicologia musicale e si traduce in suggerimenti
significativi sia per la pedagogia musicale che per la musicoterapia, poiché
insistono sul concetto di fruizione come scambio tra l’uomo e la musica.

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Non sono dissimili le conclusioni cui perviene François Delalande nel
suo lavoro di ricerca sul problema dell’analisi musicale e quello
dell’educazione musicale. Nei suoi saggi, pubblicati a partire dagli anni
Settanta, lo studioso distingue subito il concetto di comportamento da
quello di condotta musicale. Col termine “comportamento” indica un
movimento considerato di per sé, mentre col termine “condotta”
(definizione che si ritrova nella psicologia legata al funzionalismo) mette
in evidenza la relazione fra più comportamenti e la loro finalità.
Il senso è quello di ricercare di ogni atto la funzione e trasferire questi
principi in sede educativa. Così la pedagogia musicale elaborata da
Delalande si rifà a una concezione di ascolto, esecuzione e composizione,
in chiave di ricerca e pratica creativa.
Pertanto le due discipline di cui lo studioso si occupa, cioè la
musicologia e la pedagogia, si integrano contrariamente a come più spesso
avviene: infatti le riflessioni espresse sono comuni alle due discipline.
A partire dal modo in cui la programmazione viene concepita, Delalande
si concentra non su obiettivi scelti a priori entro i vincoli posti dalle
discipline in questione, ma sulle condotte dettate (a posteriori) dalla realtà
del contesto, cioè dalle conoscenze degli allievi, dalle loro motivazioni ed
esigenze e dalle situazioni ed occasioni che possono generarle. Lo scopo
diventa quello di evidenziare se, come e perché certi scopi vengono
raggiunti.
Il gioco riveste un ruolo fondamentale; in esso Delelande individua, più
che un mezzo per catturare l’attenzione dei bambini, il modello stesso cui
la musica si rifà. Esso si presenta nelle forme del gioco senso-motorio,

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finalizzato al solo gusto di realizzarlo, del gioco simbolico o della
finzione, e del gioco di regole, in cui emerge il gusto di inventare entro
regole prefissate.
Delalande ritrova le fasi piagetiane del gioco compresenti in tutte le fasi
della crescita, più o meno riconoscibili secondo che domini l’una o l’altra
delle caratteristiche. E tanto nel bambino quanto nell’adulto musicista
possono essere riscontrati gli stessi bisogni, realizzati diversamente in
ragione della differente età. Pertanto emerge un parallelismo fra le fasi di
ricerca del bambino e quelle dell’artista, il gioco stesso diventa parallelo
alla espressione artistica, non mezzo per comprenderla.
Dunque è fondamentale che gli allievi si dedichino alla sperimentazione
pratica della musica in tutte le sue possibilità espressive e non rigidamente
esecutive, cioè è fondamentale l’attività di invenzione.
L’autore incoraggia a sfruttare dispositivi meccanici/elettronici, come
strumenti di amplificazione e registrazione del suono, che stimolino la
curiosità verso la musica attraverso la ricerca di trovate, cioè di idee (più o
meno casuali) che si trasformino in spunti per creare.
I principi di questa metodologia, estendibili anche alle altre discipline,
conferiscono all’insegnante il ruolo di osservatore più che di direttore,
ampliando le possibilità di scelta nei percorsi educativi. È l’indirizzo che
pone Delalande come esponente tra i più rappresentativi della pedagogia
musicale moderna.

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Rosa Alba Gambino

2.3 L’ambito terapeutico.

La musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono,


ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un
singolo o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la
comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione,
l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici, al fine di soddisfare le sue
necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira
a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che
egli possa meglio realizzare l'integrazione intra e interpersonale e, di
conseguenza, possa migliorare la qualità della propria vita grazie ad un
processo preventivo, riabilitativo o terapeutico.

Così la Federazione Mondiale di Musicoterapia descrive la missione di


questa disciplina, chiarendone inequivocabilmente la finalità dello
sviluppo integrale della persona. In tutte le civiltà e fin dall’antichità
l’uomo ha osservato gli effetti che la musica è in grado di esercitare
sull’individuo e sulla collettività, tanto che il suono e la musica sono stati
da sempre oggetti del pensiero filosofico. Rinviando il lettore alle
numerose letture sull’argomento, ci soffermiamo piuttosto sul bisogno
dell’uomo di scoprire il modo di “impossessarsi” di queste proprietà per
volgerle a proprio beneficio. È l’obiettivo cui approda la musicoterapia
sintetizzando un lungo percorso di ricerca.
Essa “scopre” l’uso appropriato dei canali comunicativi non verbali al
fine di aiutare il paziente ad affrontare problematiche psichiche e

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neurologiche. La condizione affinché ciò sia possibile consiste nel trovare
il modo per esprimere le emozioni, modificarle, intervenire su
atteggiamenti disfunzionali ove sussistano resistenze. La comunicazione
non verbale diventa strumento terapeutico: i codici sonoro, musicale,
motorio, gestuale, mimico, funzionano come strumenti di intermediazione
con le sensazioni, con le percezioni e con le emozioni.
In questa descrizione riconosciamo il senso stesso della pedagogia
musicale, almeno quella modernamente intesa che, si è espresso più volte,
persegue la pluralità degli obiettivi preposti integrando linee guida di
provenienza eterogenea.
Al pari di ogni percorso educativo, anche quello con la musicoterapia si
sviluppa sotto un’ottica preventiva. Si tratta di un sostegno indirizzato
prevalentemente ai soggetti normodotati e ai portatori di deficit cognitivi o
psicofisici lievi.
Tra gli esempi più frequenti che si rivolgono alla musicoterapia
troviamo i soggetti con difficoltà a comprendere la realtà circostante.
Questo provoca ansia e timore di rimproveri e punizioni, specialmente in
età preadolescenziale e adolescenziale. Sono condizioni psicologiche che
impediscono al soggetto di ricorrere alla propria capacità creativa e
affrontare la situazione che genera il disagio, vedendolo ingigantito. Il
ruolo della famiglia gioca a favore o a sfavore secondo la disponibilità ad
accettare i limiti e delinearne contorni costruttivi anziché distruttivi.
L’obiettivo del rinforzo cognitivo, infatti, richiede la consapevolezza sia
dei propri limiti che delle proprie potenzialità, al fine di valorizzare
proprio queste ultime.

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La valenza comunicativa della musica, fondandosi sia sulla asemanticità
che sulla corrispondenza parametro/emozione (di cui si è detto che in parte
è oggettiva e in parte soggettiva), consente di lavorare sull’associazione di
stati emotivi riconosciuti o blocchi inconsci con le qualità del suono
(suono/melodia, ritmo, timbro o impasto timbrico) e col movimento: si
genera quello che spesso viene definito “dialogo sonoro”, ossia una
drammatizzazione del proprio stato interiore. A questa fase di
esteriorizzazione segue un percorso di risalita verso la sfera cognitivo
relazionale, sempre attraverso il codice musicale e motorio in interazione.
Il suono qui interessa in tutte le sue qualità, attraverso l’emissione
vocale e i gesti-suono, che coinvolgono l’interiorità più che la produzione
attraverso altri strumenti e oggetti sonori.
Perché il coinvolgimento sia spontaneo e per contrastare le inibizioni è
importante conferire alle attività una dimensione ludica. Attraverso il
gioco diventa immediato il processo di simbolizzazione; questo procede
verso l’acquisizione di regole grazie all’uso funzionale del rituale. Questo
innesca un rapporto tra l’attività creativa e la regola, o meglio “le regole”,
quelle collettive e quelle individuali che ciascuno impara a riconoscere, e
permette di veicolare verso una connotazione familiare le rappresentazioni
mentali che incutono paure.
La drammatizzazione sonora può evolversi nell’invenzione di storie: il
linguaggio verbale viene qui affiancato a quello sonoro per permettere
l’esteriorizzazione e l’inquadramento di eventi traumatici altrimenti
inespressi. La scelta di sonorità archetipiche e lo svolgimento dei giochi

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entro uno spazio definito e riservato rendono la “situazione” rassicurante e
protettiva, al pari di un positivo spazio interiore.
Alcune tecniche musicoterapiche prediligono l’uso della voce in quanto
strumento di espressione più diretto. Esse cercano di indurre l’individuo ad
esternare spontaneamente le cause di tensioni e blocchi emotivi, anche
quelli di cui non si è consapevoli. La voce si pone come specchio della
propria personalità, del proprio modo di essere, così essa può essere
strumento di concretizzazione del proprio giudizio su se stessi, che a volte
rappresenta l’elemento problematico. Si parla a questo proposito di
espressione vocale del bambino emozionale come ricerca della propria
essenza.
Possono essere impiegate tecniche definite di “catarsi vocale”, che
impostano la fonazione su singoli suoni, scale con diverse disposizioni
intervallari (specialmente cromatiche e pentatoniche), sequenze di vocali e
consonanti, che mettono in vibrazione alcune parti del corpo utilizzando
determinate posture. Queste tecniche, che hanno prevalentemente origine
orientale, portano allo stato di coscienza quanto non più visibile al
soggetto stesso.
Altre tecniche associano l’emissione vocale a sequenze di movimenti,
che hanno lo scopo di generare specifiche frequenze vibratorie a beneficio
dei singoli organi interni, ristabilendo un equilibrio energetico.
Tra le più conosciute è la tecnica del canto armonico, praticato dai
monaci tibetani nella meditazione. Esso comprende impostazioni diverse,
finalizzate nel complesso a generare frequenze in grado di attivare la
corteccia cerebrale e le diverse aree del corpo. Il suono vocale è

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accompagnato dalla produzione di suoni armonici, le diverse frequenze
sono legate a diverse emozioni in ogni soggetto. Così la pratica del canto
armonico rappresenta anche una ricerca della “propria” corrispondenza
suono/stato emotivo, grazie alla quale ciascuno può perseguire uno stato di
quiete interiore e rilassamento attraverso i “propri” suoni. La produzione
degli armonici avviene grazie al canto delle vocali secondo precise
modalità, per esempio modificando la posizione della lingua nel cavo orale
in modo da generare due diverse risonanze, una delle quali può appunto
fungere da pedale armonico e mentre la seconda articola intervalli
melodici. Si tratta di una tecnica molto affascinante, il cui valore
terapeutico e simbolico è riconosciuto fin dall’antichità.
Dopo la voce, gli strumenti più immediati sono quelli a percussione.
Occuparsene è piuttosto complesso perché possono essere presi a
riferimento gli strumenti veri e propri, ai cui timbri possono essere
associate particolari proprietà benefiche (esistono innumerevoli strumenti,
quelli di maggiore interesse sono strumenti tradizionali che provengono
dalle culture orientali e presentano diverse qualità); oppure le posture e le
modalità di esecuzione. Si ottiene un effetto diverso secondo che la
percussione sia diretta o indiretta, cioè che si produca il suono attraverso il
contatto fisico (per esempio il battito con le mani) o attraverso mezzi (per
esempio le bacchette). Il contatto diretto esprime meglio il trasferimento di
energia dal proprio corpo allo strumento, che ne rende “visibile” l’entità
nel suono prodotto.
Suonando i tamburi si scarica l’energia responsabile di stati di stress e di
ansia, col movimento ritmico e vigoroso delle braccia si ritmizzano il

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respiro, il cuore e le funzioni dei due emisferi cerebrali; anche nel caso
delle percussioni esiste una corrispondenza tra precisi strumenti e la
stimolazione di precise parti del corpo. Inoltre l’attenzione necessaria al
sincronismo esecutivo attiva l’attenzione alla corrispondenza tra la propria
azione sullo strumento, l’evento sonoro derivante e la sensazione
complessiva corpo/mente che se ne ricava, consolidando livelli sempre
maggiori di consapevolezza.
Questa viene trasferita agli altri nelle attività di gruppo, dove si impara a
vivere la dimensione della libera espressione soggettiva e a coniugarla con
quella degli altri, nel flusso del gruppo stesso: ciò determina una rinnovata
concezione del Sé e dell’Altro, dove ciascuno impara a liberarsi dal senso
di oppressione da parte dell’altro, interpretandone le potenzialità al pari
delle proprie. Dunque la gratificazione che si ricava dal suonare si coniuga
con le dinamiche di gruppo, agendo sulla motivazione e sulla
socializzazione e favorendo l’interazione.
È evidente l’importanza fondamentale della predisposizione del setting
secondo il tipo di attività da svolgere, considerando che tutto quello che
circonda i partecipanti, l’arredo, le luci, tutti i particolari dell’ambiente
(non solo strettamente gli oggetti che serve usare) gioca un ruolo sulla
psiche e di conseguenza sull’efficacia del trattamento.
Come già detto, gli strumenti usati di preferenza sono quelli a
percussione, ma possono anche essere scelti quelli a fiato o a corda,
insieme con oggetti che possono essere usati come strumenti sonori o con
altre funzioni ludiche.

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Le varie componenti, si è detto, vengono combinate secondo i casi. Per
esempio, nella terapia delle afasìe ci si rivolge alle attività di movimento
corporeo ritmico-gestuale e al canto con marcate configurazione ritmica e
mimica facciale, sia per favorire la percezione e l’espressione verbale che
per costruire un senso di fiducia e di identità.
Le attività di imitazione, anche con l’uso della forma responsoriale, nel
canto e nella produzione sonora, sono centrali per contrastare i deficit
mnesici. Possono essere rinforzati da drammatizzazioni attraverso la
rievocazione di gesti/attività significative per il soggetto.
I deficit attentivi ricevono input positivi in tutte le attività
sonore/musicali individuali e collettive rispondenti a strutture schematiche:
imitazione-ripetizione individuale, forma responsoriale in gruppo, con
voce/strumento, allo scopo di esercitare le varie qualità dell’attenzione
(selettiva di un compito fra altri, divisa tra due compiti contemporanei,
alternata tra due compiti alterni oppure sostenuta).
L’alternanza fra attività di gruppo e individuali consente di pianificare la
cura di problemi comportamentali ed affettivi bilanciando l’azione
solo/tutti al fine di ridimensionare la personalità esuberante o aggressiva e,
viceversa, di disinibire le personalità introverse, depresse e con scarsa
autostima.
Nel modello di Jaques-Dalcroze, qui riconosciuto come sintesi ideale, i
principi della musicoterapia vengono costantemente applicati, pur non
essendo apertamente terapeutiche le finalità. La flessibilità degli intenti
della musicoterapia e la flessibilità del progetto del didatta si incontrano

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opportunamente nell’impostazione che si intende oggi prediligere in
entrambi i tipi di percorso.

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Capitolo III

LA CONSAPEVOLEZZA CORPOREA: RIFLESSIONI


ED ESPERIENZE

3.1 Prima la musica o il movimento?

L’ideale educativo che pone la cura del corpo come momento


complementare della formazione musicale affonda le proprie origini già
nell’antica Grecia, dove si consolida quel binomio musica-movimento
destinato a essere oggetto di riflessione fino ai giorni nostri.
Sull’inscindibilità di tale connubio non esiste alcuna perplessità, ma in
merito ai possibili percorsi metodologici si è assistito al continuo fiorire di
posizioni e proposte, talora concordi, talora contrastanti: tanto le discipline
che si occupano dell’educazione del corpo quanto quelle musicali si sono
spesso contese la priorità pedagogica le une sulle altre. D’altra parte la
specifica competenza professionale richiesta da qualunque disciplina che
sia anche un’arte, induce a porre in primo piano gli obiettivi e gli aspetti
tecnici ed estetici di proprio primario interesse ritenendo che quelli inerenti
le altre materie possano scaturire di conseguenza dalla propria.
Se musica e danza si costituiscono come unità artistica nella quale i due
ruoli si fondono e si alimentano vicendevolmente, diversa considerazione è

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riservata alle tecniche di consapevolezza ed espressione corporea, che si
rivolgono alla musica per trarne linfa, ma che per propria natura si
discostano in diversa misura dalla coreutica. Sebbene sia innegabile
l’importanza della cura del corpo e del movimento per la crescita
armoniosa ed equilibrata dell’individuo, tuttavia la cultura musicale
occidentale nutre ancora qualche diffidenza nei confronti del ruolo di
queste tecniche in relazione all’educazione musicale vera e propria. La
responsabilità di simile atteggiamento va ricercata in primo luogo nella
“elevata” concezione della musica come “arte dei suoni”.
Il pensiero filosofico occidentale conferisce alla musica quel significato
straordinariamente profondo che ha generato nel tempo fiumi d’inchiostro,
ponendola sulle più alte sfere della creazione, distaccandola dalla
dimensione terrena, ma anche alimentandone l’inaccessibilità. Ne è
conseguito che la conoscenza della musica è stata legata quasi
esclusivamente alla preparazione professionale del musicista, relegando in
secondo piano gli obiettivi di quella educazione attraverso la musica nella
quale confluiscono più discipline volte alla crescita integrale della persona.
Ma tali obiettivi si discostano veramente da quelli che il musicista si pone
percorrendo altre strade?

3.2 Sentirsi-sentire, ovvero il sentimento estetico.

La musica pone in atto un flusso fisico e intellettuale che definiamo


emozione. La musica trasmette emozioni; l’ascoltatore prova emozioni. In

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questa corrente bidirezionale le emozioni coincidono? Quelle che la
musica intende trasmettere sono le stesse che chi ascolta prova? E, ancor
più, l’esecutore che funge da tramite tra il compositore e l’ascoltatore, cosa
sente? E cosa dà? La comunicazione musicale implica l’attivazione di una
catena nella quale ciascuno degli attori svolge un ruolo ben preciso
interpretando, filtrando cioè attraverso se stesso, attraverso la propria
personalità di uomo e di musicista.
Ripercorriamo la strada. Il compositore concepisce l’opera con il suo
carico emozionale, con il suo senso; la traduce in segni che, in quanto
codificati dalla tradizione e in quanto scritti, impoveriscono la
comunicazione stessa (pur essendo implicita anche in essi una specifica e
significativa gestualità propria dei diversi modi e dei diversi percorsi del
comporre). L’esecutore interpreta la partitura ri-consegnandole un
significato cui presumibilmente si possa risalire leggendo quei “segni” e la
concretizza attraverso il proprio corpo, il proprio gesto musicale, la propria
mimica, il proprio “essere” musicale. Infine l’ascoltatore accoglie il
prodotto musicale attraverso il proprio udito, la propria vista, il proprio
modo si sentire, chiudendo così il cerchio iniziato dal compositore. O forse
no!
Ciascuno di loro ha costruito questo proprio sentire fin dalla nascita (e
ancor prima) attraverso un’esperienza globale, non prettamente musicale.
Vale a dire che ogni intellettualismo analitico non può non fare i conti
con la complessità delle esperienze sensoriali e intellettuali che ogni
individuo vive. Ciascuno impara a sentirsi e sentire in un continuo
rimando fra i due poli, perché l’uno porta all’altro e viceversa, in un

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arricchimento continuo del pensiero musicale. Cosa è allora il sentimento
estetico se non la percezione di sé?
È comune concordare su cosa una certa musica esprime: si “accetta” che
un brano esprima gioia, dolore, malinconia, incertezza, dissidio interiore, o
ancora altro. Perché l’analisi musicale ha concordato un ‘vocabolario’ di
elementi che, variamente combinati fra loro, producono un determinato
senso. Così, un po’ semplicisticamente, un brano è malinconico perché
scritto in un determinato tempo e impiantato in un certo modo, in quanto la
curva melodica procede sfruttando determinate articolazioni intervallari e
così via. Accettiamo questa lettura a patto che se ne ribalti il punto di
partenza, cioè: i suddetti parametri compositivi si sono consolidati nel
comune sentire come specchio di certe emozioni e non di altre.
L’interpretazione ha una forte valenza culturale. Intervengono a questo
proposito l’antropologia culturale e l’etnomusicologia a sottolineare i
linguaggi, le destinazioni d’uso, i contesti relativi a ogni manifestazione
musicale entro le diverse culture. Pertanto il nostro sentire viene
disorientato se posto di fronte ad un linguaggio musicale che non risponda
ai canoni che ci sono noti. Quali emozioni riceviamo da brani provenienti
dalle cosiddette culture altre? Disponiamo di strumenti sufficienti per
farcene una immagine mentale-emotiva o la nostra cultura musicale non ce
li ha forniti? Questi e molti altri sono quesiti che ci rimandano alla nostra
impostazione culturocentrica e alla importanza di una educazione, qui
nello specifico musicale, che ci offra i mezzi per percepire, conoscere,
provare emozione, individuare il senso di una musica meno familiare. È
vero che un livello di conoscenza sempre maggiore schiude un

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caleidoscopio emozionale sempre più articolato, ma non per questo viene
meno la forza della componente fisica del sentire.

3.3 I moti del corpo, i moti dell’animo.

Le variazioni del ritmo cardiaco sono solo la prova più evidente del
coinvolgimento fisico all’attività intellettiva dell’ascolto attento. Tutto il
corpo partecipa dei moti del sentimento con una quantità e varietà di
movimenti non facilmente osservabili.
Ogni soggetto risponde alla percezione musicale con una gamma di gesti
che, se potessero essere attentamente monitorati e catalogati,
restituirebbero il ritratto della personalità musicale (forse anche non
musicale). Ogni individuo possiede una gestualità istintiva che si compone
di un patrimonio innato, una propensione naturale a rappresentare il suono
e il discorso musicale con tensioni e distensioni muscolari proprie e
inimitabili.
La componente culturale interviene su quella naturale modificando il
gesto nell’ampiezza, nella forma, nell’intensità e nella densità: crea cioè
relazioni fra più movimenti degli arti, del capo, del volto, conferendovi
significato. Si codifica così un linguaggio del corpo che è complesso,
soggettivo e culturale. In tutto il mondo si sorride alla stessa maniera e si
piange allo stesso modo; ma si dice molto altro in modi assai diversi e
differenziati.

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La gestualità musicale nasce dall’affinamento del movimento istintivo di
risposta al suono: il gesto del direttore d’orchestra traduce con misura ed
eleganza il movimento che per istinto accompagnerebbe, in altra forma,
simile o dissimile, il discorso musicale. La danza affina questo gesto in
altra direzione. Il gesto stesso dell’esecutore contiene una componente, per
così dire, meccanica necessaria all’esecuzione tecnica ed una emotiva che
si fonde con la prima. Così il movimento diventa la “recitazione” del
suono, la sua forma nello spazio e nel tempo, nonché il “moto” del sentire
dell’interprete.
Lo stesso brano viene “rappresentato” da più musicisti in maniera
diversa: uno si raccoglie sulla tastiera del pianoforte, china il capo, stringe
lo sguardo, protende le labbra; un altro distende la braccia allontanando il
busto dalla tastiera, flette indietro il capo, chiude gli occhi; e così via.
Entrambi leggono la stessa pagina, lo stesso sentimento, ma “sentono”
come vediamo ma non possiamo dire, poiché il loro movimento dice molto
di più di quanto si possa ripetere con le parole. E per di più l’uno avrà
comunicato all’ascoltatore emozioni più intense rispetto all’altro, sia
perché il gesto si traduce in suono (e se cambia la qualità del gesto cambia
quella del suono), sia perché l’Io soggettivo si predispone all’ascolto,
consciamente o inconsciamente, in maniera dipendente dal contesto, dal
proprio stato emotivo attuale, dalle intenzioni che inducono all’ascolto
stesso.13
Dunque i moti dell’animo cambiano anche nello stesso soggetto,
all’ascolto dello stesso brano, alla vista dell’esecuzione. Cioè il senso della

13
Cfr. Sloboda, cit.
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 71
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musica è il senso che essa acquisisce per il soggetto, un senso che solo in
parte è condiviso da altri, perché il significato emotivo più profondo non è
codificabile, né esprimibile, e non può che appartenere alla sfera più
intima di ciascun individuo.
L’esperienza emozionale è il riconoscimento di se stessi nell’opera,
l’individuazione del proprio essere nell’oggetto del proprio sentire.
Quando in una musica fluisce un carico emozionale significativo per il
soggetto, ne muove come per simpatia l’animo: il momento del
riconoscimento è l’emozione, di essa partecipano il corpo e la mente, l’uno
dipende dall’altra e viceversa in una relazione tanto più forte quanto
maggiore diventa il livello di consapevolezza e quanto più intenso si fa lo
scambio fra la sfera del razionale e quella dell’irrazionale.

3.4 La respirazione: tra consapevolezza e rilassamento.

La respirazione è un atto naturale che, in quanto involontario, viviamo


con disattenzione: non ci curiamo del meccanismo che ne determina lo
svolgimento e, inoltre, non ci rendiamo conto delle numerose possibilità di
variazione cui questa è soggetta.
L’ossigeno necessario al corpo per assolvere alle sue funzioni vitali
viene veicolato dall’aria al sangue attraverso l’atto respiratorio. Il processo
di ricambio dell’aria nei polmoni viene assicurato dalla ventilazione,
ovvero dall’alternanza ciclica di inspirazioni ed espirazioni accompagnata
dalle contrazioni ed espansioni della gabbia toracica. Durante

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l’inspirazione i muscoli preposti elevano le coste avanzando lo sterno
mentre il diaframma si abbassa aumentando l’ampiezza della cavità
toracica. I polmoni si dilatano aderendo, con movimento passivo, alle
pareti interne della gabbia toracica e al diaframma. Durante l’espirazione
si invertono questi movimenti e i polmoni tornano alla dimensione iniziale
espellendo l’aria.
La respirazione può seguire tre diversi meccanismi: toracico superiore o
clavicolare, toracico inferiore o costale, addominale o diaframmatico. La
respirazione clavicolare deriva da un atteggiamento difettoso che consiste
nella compressione dell’addome, dilatazione della parte alta della cassa
toracica con innalzamento della clavicola e con conseguente riduzione
della capacità polmonare, aumento della frequenza respiratoria,
irrigidimento del collo e della laringe. La respirazione costale, invece,
coinvolge il torace allargandolo lateralmente ma non innalzando spalle e
clavicole né impegnando l’addome, che resta contratto durante l’atto
respiratorio. La respirazione addominale, infine, consente di sfruttare
pienamente la capacità polmonare garantendo la massima efficienza
dell’atto respiratorio. Nei bambini molto piccoli si osserva un naturale
gonfiarsi della pancia che con la crescita cede spesso il posto ad
atteggiamenti scorretti, che compromettono la bontà della respirazione
addominale. L’espansione dell’addome indica l’abbassamento del
diaframma a vantaggio della capacità dei polmoni.
Nella eupnea, ovvero nella respirazione tranquilla, si succedono dai
sedici ai diciotto atti respiratori nell’adulto e circa venti nei bambini.

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Questo ritmo può cambiare ampiamente, accompagnandosi a relative
variazioni del ritmo cardiaco, sia per motivi fisici che per ragioni emotive.
Nella tosse l’espirazione si realizza attraverso brevi colpi rumorosi a
glottide chiusa; nello sbadiglio a una inspirazione profonda segue una
espirazione breve; nel pianto le inspirazioni sono brevi e spasmodiche e le
espirazioni più lunghe; nella fonazione le inspirazioni sono brevi e le
espirazioni prolungate; nel canto la gestione del fiato è subordinata al
fraseggio.
Gli stati emotivi influenzano profondamente la respirazione, così come
tutti i movimenti del nostro corpo. Prenderne coscienza significa imparare
a padroneggiare il meccanismo a beneficio delle più svariate necessità e
circostanze, soprattutto quelle che richiedono un impegno fisico ed
emotivo superiore alla norma. Dallo sportivo all’artista, la conoscenza e la
capacità di usare la respirazione sono essenziali nell’affrontare la propria
attività. Gli atti respiratori forzati, cui sono sottoposti soprattutto gli
sportivi, sono preparati attraverso consolidate tecniche di allenamento
generale e specifico concepite per ogni diversa pratica sportiva. Anche
nello studio degli strumenti a fiato e del canto si impara a controllare la
respirazione a scopo tecnico-esecutivo. Questo addestramento dovrebbe
partire dall’apprendimento dei dettagli del movimento, delle sensazioni
fisiche relative a ciascun atto al fine di fornire alla nostra memoria
sensoriale informazioni preziose per l’acquisizione di concetti e abilità.
Per esperire una funzione così complessa e varia è preferibile, in primo
luogo, imparare a sentire la propria respirazione assumendo una posizione

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distesa, cercando uno stato generale di rilassamento fisico e mentale
(diremo più avanti delle tecniche fra le più comuni).
Un esempio. La formula che segue permette di prendere coscienza delle
proprie sensazioni; può essere recitata da una guida con voce pacata e
rilassante che scandisca le parole lentamente, oppure può essere pensata
dal soggetto stesso.

Il segno ≈ indica una pausa di almeno cinque secondi.

1. Sono rilassato (Si ripete la frase più volte con intervalli di silenzio fra
le ripetizioni, finché non ci si sente rilassati; ogni altra frase va
ripetuta fin quando non si rinforza la sensazione stessa) ≈
2. Il mio respiro è regolare ≈ lento e regolare ≈
3. Il mio battito cardiaco è regolare ≈ lento e regolare ≈
4. Il respiro ossigena il mio corpo ≈
5. L’aria sfiora le narici ≈
6. Si scalda la punta del naso ≈
7. Le narici si contraggono e dilatano sensibilmente quando inspiro ed
espiro ≈
8. L’aria entra nel naso ≈
9. Nella parte più interna delle narici l’aria arriva più fresca ≈
10. Poi esce tiepida e sfiora la pelle tra il naso e il labbro superiore ≈
11. L’aria entra nel naso ≈
12. Rinfresca il fondo del naso ≈
13. Il fondo del naso è il fondo del palato molle, in alto ≈

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14. Si rinfresca questa zona ≈ l’aria l’asciuga ≈

(A questo punto molto probabile che si senta il bisogno di deglutire per


umidificare nuovamente il fondo del palato molle. Le prime volte
l’esperienza può concludersi qui, le volte successive è opportuno
proseguire).

15. L’aria attraversa la gola ≈ Ne sento internamente i passaggio ≈ (cfr.


varianti 15 a, b e c).
16. L’aria arriva al petto ≈ Rinfresca il petto ≈
17. Si dilata il torace ≈ L’aria gonfia il torace ≈
18. L’aria arriva sotto lo sterno ≈ Gonfia tutta la cassa toracica ≈
19. L’aria giunge all’addome ≈ Gonfia la pancia ≈
20. Il respiro riempie il mio corpo e lo ossigena per intero ≈
21. La respirazione completa mi dà benessere.

Questa esperienza è parziale rispetto ad alcune modificazioni che vanno


esercitate quando si è già preso coscienza della respirazione naturale. Si
presentano qui di seguito delle varianti da inserire separatamente (quindi
da sperimentare solo una alla volta) entro la formula descritta e nel punto
indicato dal numero d’ordine.

15a. Chiudo e riapro la gola, ma senza produrre suono (ripetendo più


volte, ad intervalli di circa tre secondi, sperimentando il colpo di glottide,

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come quando dallo stato di silenzio si vuol passare a produrre un suono a
bocca chiusa, che potremmo immaginare come un “ehm”).

15b. L’aria produce un sibilo in gola (producendo il suono di un forte


soffio in gola, sempre a bocca chiusa, quando si espira; ripetere più volte
mantenendo lento il ritmo del respiro).

15c. L’aria produce un flebile fischio in gola (sempre a bocca chiusa,


quando si espira; ripetere più volte mantenendo lento il ritmo del respiro).

L’intera formula, escluse le varianti 15b e 15c, verrà successivamente


ripetuta espirando attraverso la bocca variando la posizione delle labbra, a
fessura orizzontale o stringendole come per fischiare e modificando
l’apertura come per pronunciare le diverse vocali. A questo punto è
piuttosto complesso recitare per esteso le formule delle possibili varianti,
perché le combinazioni fra l’atteggiamento delle labbra, l’abbassamento
della mandibola, la posizione della lingua, possono essere veramente
numerose. Pertanto va raccomandato di memorizzare senza fretta la
posizione scelta di volta in volta, concentrandosi su tutte le sensazioni.
Quando si sarà in grado di associare a priori ogni atteggiamento
sperimentato con la sensazione che ne deriva, cioè si saprà quali gesti
adottare per ottenere un preciso effetto sensoriale, si potrà passare
all’esercizio in varie posizioni del corpo: seduti a schiena dritta, o con gli
avambracci poggiati sulle ginocchia, eseguendo durante la respirazione
lenti movimenti di torsione e di rotazione del busto. Queste prove sono

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particolarmente utili per cantanti e attori, i quali hanno bisogno di
“studiare” la resa della propria voce nell’arte scenica; infatti proseguono la
presa di coscienza del proprio corpo con gli esercizi per la fonazione e per
il canto, di cui si parlerà più avanti.

3.5 Il rilassamento frazionato di Oskar Vogt.

Oskar Vogt fu un neurologo tedesco vissuto tra il 1870 e il 1959.


Direttore del laboratorio neurologico dell’Università di Berlino, si
dedicò alla ricerca in neurologia e psichiatria, e soprattutto allo studio della
cosiddetta “sindrome di Cécile Vogt” (dal nome della moglie, ricercatrice)
e dei sintomi ad essa correlati, come tremori, spasmi, epilessia. 14 Maestro
J.H. Schultz, elaborò il metodo del rilassamento frazionato. Si tratta di una
tecnica di consapevolezza corporea e di rilassamento che consta di una
parte dedicata alla predisposizione alla calma attraverso la respirazione
diaframmatica, un’ampia parte durante la quale si visualizzano e si
“sentono” tutte le parti del corpo, e un’ultima parte dedicata ad esercizi di
ripresa: infatti il lungo svolgimento attraverso immagini mentali induce un
distaccamento della realtà contingente e la perdita del rapporto sensoriale
tra il soggetto e l’ambiente circostante.
Questa tecnica, che funge da preparazione agli esercizi specifici del
training autogeno, richiede il rispetto di alcune condizioni preliminari
nella preparazione del setting, quali (oltre quella di indossare un

14
Di grande interesse gli studi pubblicati sul Journal fur Psychologie und Neurologie.
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abbigliamento comodo e non costrittivo) l’eliminazione degli stimoli
afferenti al corpo, come la luce e i rumori. Occorre poi assumere una
posizione idonea al rilassamento (supina o seduta) ed eseguire cinque o sei
respirazioni diaframmatiche lente e profonde cercando di prolungare il più
possibile le espirazioni; alla seconda o terza espirazione si chiudono gli
occhi e si recita la formula per la predisposizione alla calma, come ad
esempio: «Lascio che i miei pensieri, quelli della vita quotidiana, scivolino
via come l’acqua che scorre sui tetti quando piove». Una volta che
l’attenzione è stata centrata sul proprio corpo disteso e abbandonato nello
stato di calma e di benessere si ripete mentalmente, e per almeno due
volte, la formula «Io sono calmo e disteso».
A questo punto si entra nel vivo della tecnica del rilassamento frazionato
di cui si riporta una formula tipo.

1. Il mio pensiero ora scivola giù≈ giù fino alla pu nta delle dita dei
miei piedi ≈ mi concentro sui muscoli e nervi delle dita dei piedi, li sto a
percepire, sentire e rilasso i muscoli e i nervi delle dita, dei piedi e da qui
risalgo poi su, lungo le mie caviglie≈ i malleoli ≈ i polpacci ≈ li sto a
sentire, percepire e li rilasso. Mi concentro sulle ginocchia, ne rilasso i
nervi, salgo lungo le cosce, le rilasso ≈

(È molto importante citare le ginocchia perché qui convergono grossi


legamenti e fasci muscolari. Inoltre è altrettanto importante scivolare
molto lentamente lungo le cosce perché sono la parte più lunga del nostro
corpo).

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A questo punto si fa un breve sommario e mentalmente si recita: «I


muscoli dei miei piedi, polpacci, ginocchia, etc si stanno lentamente
rilassando ≈ allungando ≈ distendendo ». Poi, risalendo lungo il corpo si
prosegue.

2. ≈ lo percepisco ≈ lo rilasso ≈ mi
Mi concentro ora sul bacino
concentro ora sugli organi genitali, li sto a sentire, percepire e mi distendo
≈ da qui ora col pensiero salgo verso il ventre che rilasso, distendo, mi
concentro ora sull’addome. Sto a percepire tutti i muscoli addominali che
cerco di rilassare, abbandonare e sciogliere ≈ lascio che questo
rilassamento penetri nel mio addome e si diffonda anche nel mio intestino
che si rilassa e allo stomaco che si distende ≈ si ammorbidisce ≈ diventa
più elastico favorendo e facilitando il processo digestivo ≈ in questo modo
≈ si abbandona e questo rilassamento si
tutto il mio addome si rilassa
≈ si distendono ≈ si
espande su fino ai fianchi che si abbandonano
rilassano ≈ il pensiero continua a salire lungo il torace, il petto, che si
abbandona ≈ si distende ≈ si rilassa.

A questo punto si fa la ricapitolazione: «Bacino, ventre, addome,


fianchi, torace, petto ≈ si abbandonano, si distendono, si rilassano». Quindi
si prosegue.

3. Il pensiero continua a salire lungo il collo, il mento, la bocca, gli


zigomi, il naso≈ che si rilassano ≈ si distendono ≈ le palpebre, le

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sopracciglia, la fronte ≈ che si distende ≈ si abbandona ≈ si rilassa ≈ tutto
il mio volto è disteso e rilassato ≈ nessun muscolo è in tensione.

4. Il pensiero continua a salire lungo il cuoio capelluto≈ la nuca che


si rilassa, si distende≈ anche le spalle si distendono e scivolo lentamente
lungo le braccia≈ gli avambracci ≈ i gomiti ≈ giù fino alle mani ch e si
abbandonano, si rilassano, si distendono≈ tutta la parte superiore del mio
corpo ora è abbandonata, distesa, rilassata.

5. Il pensiero si concentra ora sulla mia spina dorsale, che sento


rilassarsi ≈ allungarsi ≈ distendersi ≈ fino ai fianchi ≈ distendo tutti i miei
muscoli ≈ sento la colonna vertebrale che si allunga, si distende e si rilassa
≈ il pensiero si concentra sui glutei ≈ che si rilassano ≈ si abbandonano ≈
ed il pensiero continua a scivolare lungo la parte posteriore delle cosce che
rilasso fino all’incavo delle ginocchia ≈ scendendo giù fino ai polpacci che
si rilassano ≈ si abbandonano ≈ si distendono ≈ e giù fino alle caviglie ≈
alle piante dei piedi≈ alle piante dei piedi ≈ salendo su fino alla punta
delle dita dei miei piedi. Tutto in me si rilassa ≈ si abbandona e si distende.

A questo punto si è quasi completamente rilassati, non solo nel corpo,


ma anche nella mente; ridiscendendo idealmente lungo il corpo, si
cercherà di raggiungere la distensione completa e quindi si reciterà quanto
segue.

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6. Mi sento rilassato in ogni mio muscolo ed ogni angolo della mia
mente è calmo e sereno≈ immagino un’ onda di benessere, di calma e di
distensione che attraversa il mio corpo rilassandolo≈ il viso ≈ il petto ≈ il
ventre ≈ il bacino ≈ le gambe ≈ fino alla punta delle dita dei miei piedi≈
ogni nervo si rilassa, ogni muscolo si riposa ≈ ogni lavorio mentale cessa ≈
tutto in me si acquieta e si placa≈ io sono piacevolmente calmo, disteso e
rilassato, pervaso da un piacevole senso di benessere.

Quindi si ripete la formula della calma due o tre volte.

7. Io sono calmo e disteso ≈ Io sono calmo e disteso ≈ Io sono calmo


e disteso ≈ ascolto le sensazioni che provengono dal mio corpo ≈ Io sono
calmo e disteso.

Si rimane ad ascoltare il proprio corpo per un minuto circa. Dopo si


procede con la fase di ripresa:

8. Muovo le dita delle mani lentamente, come sulla tastiera di un


pianoforte ≈ muovo le dita dei piedi ≈ ruoto lentamente i polsi ≈ ruoto
lentamente le caviglie≈ piego e distendo le braccia (prima lenta mente e
poi con modesta energia) ≈ piego e distendo le gambe (prima lentamente e
poi con modesta energia) ≈ faccio un respiro profondo ≈ lentamente riapro
gli occhi.

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N.B. La fase di ripresa non viene effettuata se l’esercizio viene fatto
prima di dormire. L’esercizio nella sua interezza deve essere ripetuto due
tre volte al giorno con regolarità, preferibilmente la mattina, dopo pranzo e
prima di dormire.

3.6 Il training autogeno di Johannes Heinrich Schultz.

Il training autogeno è una tecnica di consapevolezza e autogestione


corporea che trae i suoi principi dalle discipline che attingono alle filosofie
orientali. Si tratta di correnti di pensiero volte al riconoscimento e alla
sperimentazione delle connessioni tra la mente e il corpo per apprendere il
controllo della propria persona in relazione all’universo.
Tali pratiche, importate in occidente all’inizio del secolo scorso, furono
elaborate intorno agli anni trenta dallo psichiatra tedesco Schultz (1884-
1970) a fini prevalentemente terapeutici. Studioso di ipnosi, Schultz
espose la sua tecnica di autodistensione psichica e somatica nel 1932.15
Egli osservava che l’esercizio del rilassamento del proprio corpo, sia con
la guida di un medico che, in secondo tempo, senza alcun aiuto esterno,
favoriva il miglioramento di disturbi sia organici che psichici. Il progresso
più significativo era dato proprio dal fatto che questa pratica terapeutica
poteva evolversi in autoterapia, rendendo i pazienti indipendenti
dall’intervento esterno e sempre più padroni della propria individualità,
considerata soprattutto la possibilità di personalizzare le formule utilizzate
15
Il metodo conta decine di edizioni, sia in lingua tedesca che nelle lingue europee ed
extraeuropee. La prima è tedesca del 1932.
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a beneficio delle proprie particolari necessità, con particolare vantaggio
per il tonno muscolare, per la funzionalità cardiovascolare e per
l’equilibrio neurovegetativo. Nel complesso si otteneva un
decondizionamento delle situazioni patologiche e una trasformazione di
quei condizionamenti in termini positivi, a livello profondo.
Oggi questa pratica è molto diffusa in contesti non solo clinici e più
legata al semplice raggiungimento del benessere di qualunque individuo,
per il miglioramento della qualità della vita, soprattutto di coloro che
dispongono di tempi estremamente ridotti per dedicarsi alla cura fisica e
psichica della propria persona. Infatti il training permette di intervenire
anche in momenti di pausa di attività piuttosto ristretti senza bisogno di
ricorrere a centri specializzati ogni qualvolta se ne senta il bisogno.
Il training autogeno è particolarmente vantaggioso a livello
psicosomatico: la respirazione, la circolazione, il metabolismo, l’umore,
ricevono i benefici di questa tecnica oggi usata anche per risolvere
problemi di interesse dermatologico, apparentemente distanti da simili
modalità di intervento. La distensione fisica ed emotiva che ne deriva
rende il training particolarmente idoneo alla preparazione sportiva e
artistica. L’esercizio va praticato di preferenza in un ambiente rilassante:
luce soffusa, pareti dai colori non accesi, pochi arredi o suppellettili e
meno rumore possibile. Quando si acquisterà una maggiore abilità nel
raggiungere la concentrazione si potrà praticare l’esercizio anche in
ambiente meno curato nei dettagli. Anche l’abbigliamento sarà comodo,
senza accessori a contatto della pelle o comunque costrittivi.

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Le sedute possono svolgersi assumendo tre diverse posizioni: distesi
supini su una superficie o anche sul pavimento, la testa poggiata su un
cuscino basso o sul pavimento, la schiena dritta, le braccia discostate dal
busto e leggermente piegate, le mani poggiate morbidamente evitando ogni
rigidità delle dita, le gambe distese poco divaricate, le punte dei piedi
appena rivolte verso l’esterno; oppure seduti in poltrona, con la seduta che
consenta di poggiare comodamente i piedi (poco distanti fra loro)
mantenendo un angolo di circa novanta gradi al ginocchio, i braccioli
devono permettere un appoggio rilassato, senza innalzamento delle spalle,
lo schienale deve essere alto tanto da permettere l’appoggio della testa;
oppure ancora seduti su una sedia nella posizione detta “del cocchiere”,
cioè con i piedi poco divaricati ben poggiati sul pavimento, ginocchia a
novanta gradi, gli avambracci sulle cosce, il busto e la testa rilassati in
avanti.
La posizione va scelta in primo luogo assecondando l’agio del proprio
corpo, considerate le differenze di conformazione fra gli individui, in
secondo luogo assecondando il momento in cui si avverte l’esigenza di
ripetere l’esercizio nel luogo in cui ci si trova, che potrebbe non essere
adeguatamente attrezzato. Ogni seduta durerà circa dieci minuti e potrà
contemplare anche solo parte delle formule sperimentate.
La tecnica consta di sei stadi, corrispondenti ciascuno a una sequenza di
formule dirette all’esercizio di precise funzioni. I primi due stadi si
fondano sulle sensazioni di pesantezza e di calore, sono considerati
fondamentali; gli altri quattro stadi, detti del calore, del cuore, del plesso
solare e della fronte fresca sono complementari. Essi vengono sempre

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preceduti da una formula di rilassamento attraverso la respirazione
autogena-diaframmatica di seguito descritta.
Scelta la posizione si eseguono tre o quattro atti respiratori profondi e
lenti, a questi segue un atto nel quale, durante l’espirazione, si chiudono
gli occhi cercando di non condizionare la mente con pensieri attivi e
lasciando che si avvicendino pensieri e immagini casuali.
Ci si predispone alla calma pensando «Sono calmo, molto calmo e
rilassato, sono sereno» ripetendo più volte la formula e immaginando una
voce calda, calma e lenta. Nel frattempo si cerca un respiro profondo,
pieno ma non affannoso, regolare, inspirando per sei secondi, riempiendo
il busto dall’addome in su, sentendo l’aria. Seguono tre secondi di apnea,
sei secondi di espirazione, tre secondi di apnea, prima di riprendere (per
circa sei atti respiratori).
I tempi indicati possono essere progressivamente aumentati, purché non
provochino sforzi fastidiosi. Si può scegliere proficuamente di optare,
dopo i primi atti respiratori, per la formula di “rilassamento frazionato” di
Oskar Vogt come introduzione alle formule del training autogeno.

1. Formula della pesantezza.

Raggiunta la calma ci si comincia a concentrare sulle varie parti del


corpo.

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«Il mio braccio destro poggia (sul pavimento, per esempio) in tutte le
sue parti ≈ sento il contatto ≈ avverto il peso ≈ è pesante ≈ molto pesante ≈
vedo i muscoli pesanti ≈ si rilassano ≈ il braccio è pesante. Io sono calmo e
rilassato, completamente rilassato (pausa più lunga).»

Si ripete la formula rispettivamente con: il braccio sinistro, il piede


destro, il sinistro, l’intera gamba destra, poi la sinistra, il bacino, l’addome,
il petto, le spalle, la schiena. Soprattutto per le ultime parti bisogna curarsi
che la sensazione di peso sia accompagnata da quella di rilassatezza e non
di oppressione, pertanto si conferirà alla formula sempre una espressione
positiva, visualizzando i muscoli. Si concluderà concentrandosi sull’intero
corpo ribadendo:

«Tutto il corpo è pesante ≈ sono calmo e rilassato.»

Seguirà una lunga pausa di percezione piena del proprio corpo; la seduta
si concluderà con gli esercizi di ripresa descritti in coda all’esercizio del
“rilassamento frazionato”.

2. Formula del calore.

Si raggiunge la calma, si visualizza il proprio corpo rilassato nella


posizione in cui si trova, ci si concentra su una parte del corpo alla volta,
secondo la sequenza prima descritta, si recita mentalmente la stessa

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formula della pesantezza, sostituendo all’aggettivo “pesantezza” quello di
“caldo”, sperimentando così la sensazione di calore, concentrandosi sul
flusso sanguigno che riscalda beneficamente le parti via via visualizzate.
Sul finire dell’esercizio si ribadirà alcune volte:

«Il mio corpo è piacevolmente caldo ≈ sono calmo e rilassato»

Seguiranno gli esercizi di ripresa.

3. Formula del cuore.

Si raggiunge la calma, si prosegue come di seguito:

«Vedo il mio torace≈ sono calmo e rilassato ≈ vedo il mio cuore ≈ è


forte e batte calmo ≈ batte calmo e regola re ≈ sono pienamente rilassato ≈
sono calmo e tranquillo.»

Le parti della formula vengono recitate più volte lentamente. Con


l’allenamento si può riuscire a condizionare il ritmo cardiaco
accelerandolo o rallentandolo con apposite formule sperimentate sempre
da Schultz.

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4. Formula del respiro.

Indotta la calma attraverso il modello già illustrato, occorre visualizzare


mentalmente il proprio torace. Poi si comincia ad ascoltare il proprio
respiro. A questo punto si esegue l’esercizio di rilassamento frazionato,
seguito da una sintesi delle sensazioni provate nelle formule precedenti:

«Il mio corpo è pesante (ripetere più volte)≈ sono calmo e rilassato ≈ il
≈ sono calmo e rilassato ≈ il mio
mio corpo è caldo (ripetere più volte)
≈ io sono calmo e rilassato ≈ ascolto il mio
cuore è calmo e regolare
respiro ≈ il mio respiro è calmo e rego lare ≈ il mio respiro diventa più
profondo ≈ sempre più profondo ≈ calmo ≈ regolare ≈ tutto il mio corpo
respira con me, il respiro mi respira (visualizzare il corpo come un grande
polmone o come una spugna che si gonfia e sgonfia al ritmo delle onde
oppure elaborare immagini mentali che rendano questa sensazione) ≈

Seguono gli esercizi di ripresa.

5. Formula del plesso solare.

Anche questa formula viene introdotta dalla fase di induzione alla calma
cui ci si è abituati. Raggiunto uno stato di rilassatezza, si cerca di
visualizzare un piccolo sole, posto nella zona addominale fra lo sterno e
l’ombelico, che emana calore ed energia a tutto il corpo, oppure di

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visualizzare al centro dell’addome la confluenza dei vasi sanguigni
addominali, attraverso i quali scorre un benefico, caldo, energico flusso
sanguigno che scioglie ogni tensione.
Si prosegue con l’autosuggestione:

«Mi sento rilassato in ogni mio muscolo ed ogni angolo della mia mente
≈ immagino un’
è calmo e sereno onda di benessere, di calma e di
distensione che attraversa il mio corpo rilassandolo≈ il viso ≈ il petto ≈ il
ventre ≈ il bacino ≈ le gambe ≈ fino alla punta delle dita dei miei piedi≈
ogni nervo si rilassa, ogni muscolo si riposa ≈ ogni lavorio mentale cessa ≈
tutto in me si acquieta e si placa≈ io sono piacevolmente calmo, disteso e
rilassato, pervaso da un piacevole senso di benessere.»

Si esegue una pausa di circa trenta secondi e si continua visualizzando il


ventre e la regione del plesso solare:

«Vedo il mio plesso solare≈ è caldo ≈ irradia calore al ventre ≈ tutto il


ventre è caldo ≈ piacevolmente caldo ≈ sono calmo e rilassato ≈ ascolto il
mio corpo ≈ il mio corpo è calmo e rilassato.»

Seguono gli esercizi di ripresa.

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6. Formula della fronte fresca.

Raggiunta la calma, visualizzato il corpo come si è fatto prima, ripetuta


la formula dell’onda di benessere, immaginata la sintesi delle sensazioni
precedenti, si procede alla costruzione di un’altra immagine mentale
positiva:

«La mia fronte è fresca e libera da pensieri.»

Si ribadisce più volte questa formula prima di visualizzare l’intero corpo


rilassato e ci si avvia alla ripresa.
Anche in questo caso sono efficaci immagini mentali quali la
visualizzazione del proprio corpo disteso su un prato o su una spiaggia
scaldata dal sole mentre una fresca brezza sfiora la fronte.
L’efficacia dell’autosuggestione permette di elaborare formule
personalizzate, diverse da quelle di base, volte alla soluzione di problemi
di ordine fisico o psichico di vario genere. Per questo motivo la tecnica
trova largo impiego tanto nei corsi di preparazione al parto, di
rieducazione dall’alcolismo o simili quanto in quelli di recitazione o di
danza. Infatti il training autogeno costituisce altresì la base di altre
tecniche, volte più marcatamente alla consapevolezza e all’uso dettagliato
di tutti i muscoli dell’espressione corporea.

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3.7 Il rilassamento progressivo di Edmund Jacobson.

La tecnica di rilassamento progressivo venne elaborata negli anni Trenta


dal medico tedesco Edmund Jacobson con l’intento di ottenere la soluzione
di problemi psicofisici attingendo alle filosofie e alle tecniche di
concentrazione tipicamente orientali, esattamente per come avviene
attraverso il training autogeno.
Attraverso questo metodo si persegue uno stato di rilassamento generale
che consiste nella presa di coscienza di tutte le parti del corpo,
sperimentandone le tensioni e le distensioni muscolari possibili. Infatti,
secondo Jacobson, le tensioni che interessano alcune aree del corpo hanno
una corrispondenza con precisi stati emotivi. Le tensioni dei muscoli della
testa e del collo sono legate ad uno stato di insicurezza e al timore di
assumersi responsabilità decisionali; le tensioni nella regione toracica
rivelano timidezza e paura d’esprimersi nelle relazioni affettive; le tensioni
della zona del bacino sono collegate ad insicurezze e timori nell’esprimere
la propria sessualità; la rigidità degli arti inferiori è legata a un disagio
nell’attesa e nella staticità.
Gli esercizi possono essere svolti nelle stesse posizioni del training
autogeno, ma essendo qui impiegato il movimento reale, i gesti saranno
differenti fra la posizione supina e le due posizioni seduta e “da
cocchiere”.

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1. Posizione supina.

Comprende otto diverse fasi, ognuna relativa a varie


regioni del corpo. Indotto il rilassamento attraverso la
formula preferita fra quelle proposte, si eseguono otto
combinazioni di contrazioni muscolari attraverso otto
movimenti diversi. Il tempo di durata della tensione
muscolare, in ogni in ogni fase, è di tre o quattro atti respiratori. A questa
segue il rilasciamento di qualche secondo, dove si pone attenzione alla
differenza tra contrazione e rilassamento. Ogni singola fase deve essere
ripetuta almeno due volte prima di passare al movimento successivo. Le
otto fasi sono le seguenti:

1. Estendere le punte dei piedi in avanti con forza.


2. Sollevare le gambe tenendole ben tese di circa venti centimetri (coloro
i quali soffrono di dolori lombari possono eseguire l’esercizio sollevando
una gamba alla volta).
3. Sollevare il bacino di qualche centimetro mantenendo ben poggiati
solo i gomiti, i piedi e le spalle.
4. Sollevare il petto mantenendo poggiati il bacino, gli arti inferiori, la
nuca e i gomiti.
5. Flettere il capo fino a premere lo sterno con il mento.
6. Stringere i pugni con forza.
7. Serrare la mascella e portare indietro le guance.
8. Corrugare la fronte portando le sopracciglia verso l’alto.

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La durata di ogni seduta si aggira intorno all’ora.

2. Posizione seduta.

Tale posizione è indicata soprattutto per coloro i quali


avvertono la necessità di un pronto impiego del metodo in
particolari ambienti e situazioni. Si eseguono prima diverse
respirazioni profonde, seguono alcune contrazioni muscolari:

1. Premere a terra col piede sinistro per circa quattro secondi.


2. Rilassare i muscoli e cercare di percepire la differenza fra la tensione
iniziale e il successivo rilassamento (questo esercizio va ripetuto due o
tre volte).
3. Ripetere i precedenti esercizi con il piede destro.

Si passa poi alle braccia poggiate sui braccioli della


poltrona, su un tavolo o sulle cosce.

1. Premere con la mano sinistra verso il basso per circa quattro secondi.
2. Rilasciarla e cercare di percepire, anche in questo caso, la differenza
fra la tensione iniziale e il successivo rilassamento.

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3. Ripetere i precedenti esercizi con la mano destra.

Questa seduta dura circa cinque minuti.

3. Il rilassamento differenziale.

Il rilassamento differenziale consiste nell’applicare il meccanismo di cui


sopra ai movimenti abituali, allo scopo di verificare concretamente e
percepire le possibilità motorie di ogni singolo muscolo.

3.8 La tecnica di rilassamento e induzione O.B.E.

L’O.B.E. (Out of Body Experience) è uno stato di distacco mentale che


può essere raggiunto sottoponendosi ad una fase iniziale di rilassamento ed

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una successiva di training mediante un ampio e accurato impiego di
immagini mentali.
Così come suggerito per altre tecniche, le fasi più avanzate vanno
condotte in presenza di professionisti, poiché il progressivo distacco
mentale-sensoriale può indurre stati di ipnosi, trance e fenomeni simili
difficilmente controllabili da chi non opera nel settore. Il setting per le
sedute deve essere opportunamente predisposto, deve essere assente
qualunque elemento potenzialmente disturbatore, inoltre è opportuna una
condizione di penombra.
Il paziente assume la posizione supina, con gambe e braccia leggermente
divaricate.
La formula di rilassamento è molto lunga e viene recitata con voce
calma e rassicurante, interponendo fra le frasi pause di circa cinque
secondi (simbolo ≈) ; lo scopo è di raggiungere uno stato di “veglia
mentale” nel corpo “dormiente”. È una formula dal forte contenuto
emotivo, poiché si richiama a sentimenti con ricaduta individuale e
universale. Questa la formula:

«Mi preparo mentalmente ad un profondo stato di rilassamento


≈ sono consapevole dell’ambiente in cui mi trovo ≈ sento l’intero
pianeta sotto di me, vedo la sua atmosfera≈ sono piacevolmente

sdraiato e sento crescere in me il desiderio di lasciarmi andare
≈ desidero un
mi abbandono alle percezioni più sottili
rilassamento completo, mi lascio trasportare liberamente dalle
sensazioni ≈ avverto il mio corpo che lascia andare gradualmente

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le tensioni ≈ i muscoli si rilassano progressivamente e si liberano
dalle tensioni nervose ≈ si libe rano, uno strato dopo l’altro, come
≈ avverto
fossero pellicole, tutte le contrazioni muscolari
piacevolmente un sollievo fresco e piacevole via via che queste
tensioni negative si allontanano dal mio corpo ≈ si rilassano tutti i
muscoli quelli dei piedi, dei polpacci e delle cosce≈ sento onde
≈ ondeggiano lentamente,
rilassanti percorrere il mio corpo
≈ anche la colonna
passano per il bacino e arrivano al torace
vertebrale si rilassa adagiandosi piacevolmente per tutta la sua
lunghezza ≈ si rilassano i muscoli delle braccia ≈ poi le spalle ≈ il
collo ≈ anche il viso si rilassa piacevolmente ≈ il volto assume
una espressione beata≈ una sensazione benefica avvolge la mia
mente ≈ sono perfettamente calmo e disteso ≈ avverto la positività
di questo graduale e profondo stato di rilassamento ≈ i miei sensi

percepiscono sempre più chiaramente le vibrazioni più elevate
respiro con calma, ad ogni inspirazione sento l’energia benefica
salire lungo la spina dorsale ≈ l’energia sale come una luce densa
che via via illumina e purifica ≈ arriva al cuore, poi, sempre più
cristallina, arriva alla mente e libera i miei pensieri≈ vedo la mia
energia luminosa fuoriuscire, espandersi all’esterno, all’infinito,
la vedo permeare il cosmo e fondersi in esso ≈ entro sempre più in
armonia con l’universo≈ le benefiche e amorevoli frequenze
≈ sento ancora salire
astrali mi fanno sentire al sicuro e protetto
dal basso verso l’alto le piacevoli ondate di energia, percorrono la

spina dorsale e mi donano intense sensazioni d’amore sento

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 97


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queste onde transitare nella zona del mio cuore e arrivare
piacevolmente alla mente ≈ la mente si espande nell’universo e il
mio essere si fonde nel richiamo universale≈ mi nutro dei raggi
cosmici con cui mi sento in sintonia, percepisco il loro messaggio
d’amore ≈ percepisco alte vibrazioni d’amore che sempre più
chiaramente permeano ogni particella del mio essere≈ sento che
≈ avverto con
le vibrazioni d’amore ne cosmo sono infinite
tenerezza la compassione per l’essere umano≈ amo ogni singolo

individuo, partecipo con lui al suo dolore, gli dono speranza
irradio dal cuore onde d’amore che avvolgono con calore l’intero
pianeta ≈ vedo la terra avvolta nei raggi del mio amore che si
uniscono all’infinita emanazione d’amore universale ≈ ogni essere
sulla terra che ha bisogno d’amore se ne nutre, lo assorbe con
sollievo ≈ una sublime sensazione di vera pace accarezza il mio
essere ≈ la mente è piacevolmente estasiata, sono in contatto con
la mia coscienza superiore ≈ ora la mia percezione diventa ancor a
più sottile ≈ percepisco dolcemente il mio corpo astrale immerso
≈ la
ne corpo fisico, lo sento galleggiare, lo sento leggerissimo
percezione sale piacevolmente, sono in uno stato di beatitudine, in
armonia con l’universo≈ un piacevole, confortante, pro fondo
amore, avvolge il mio essere e si irradia all’esterno illuminando
tutto intorno a me ≈ la mia mente si espande ancora, all’infinito, è
in armonia con il sublime messaggio d’amore che il cosmo irradia
continuamente ≈ le mie intuizioni si proiettano ne ll’universo
all’infinito ≈ il mio corpo fisico è addormentato ≈ la mia

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 98


Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
Rosa Alba Gambino
percezione cosciente passa ora nel corpo astrale (pausa lunga di
circa trenta secondi) ≈ lascio libero il mio corpo astrale di vivere
un’esperienza nella dimensione che più gli aggrada ≈ è al sicuro
nell’energia d’amore che lo protegge ≈ la mente fisica conserverà
perfettamente memoria di questa esperienza anche al risveglio
nello stato fisico cosciente≈ e rimarrà vivo in me questo forte
sentimento d’amore e di unione universale (pausa molto lunga).»

Conclusa la seduta si rimane nello stato raggiunto per alcuni minuti. Poi
lentamente si induce il risveglio con voce calma e dolce, evitando ogni
reazione brusca, oppure si attende che la ripresa avvenga naturalmente.

3.9 Il metodo di Moshe Feldenkrais.

Quando ci si occupa delle tecniche di consapevolezza e delle finalità


terapeutiche della musica, Moshe Feldenkrais è un riferimento
imprescindibile. Nato nel 1904, appena adolescente si trasferì in Palestina
per lavorare come operaio edile e cominciò a praticare tecniche di
autodifesa. Poco più che ventenne si laureò a Parigi in ingegneria
meccanica, divenne ricercatore alla Sorbonne e cintura nera di judo. Con
lo scoppio della guerra nel 1940 si recò in Inghilterra, dove lavorò per il
Ministero della Marina britannica, prima di tornare in Israele, sempre
come dipendente della Marina Militare. Le competenze acquisite nei

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 99


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contesti in cui operò lo indussero (e gli permisero) a concepire una tecnica
di consapevolezza corporea di grande efficacia. 16
Si tratta di un metodo inizialmente volto alla rieducazione motoria,
successivamente impiegato e suggerito anche in contesti non clinici, come
strumento di acquisizione dell’autoconsapevolezza corporea. Si fonda sulla
presa di coscienza che ogni atto del sistema nervoso si esterna nel
movimento, pertanto conoscere e monitorare il movimento rivela l’attività
stessa del sistema nervoso. Tuttavia, dei movimenti che facciamo non
abbiamo consapevolezza, e per di più solo una parte di essi sono funzionali
allo svolgimento di un compito: ogni gesto realmente necessario a fare
qualcosa è sempre accompagnato da numerosi altri movimenti inutili, che
assorbono energia e talvolta inibiscono con tensioni superflue i movimenti
necessari. Così un nostro gesto si carica di una molteplicità di componenti
che non rileviamo e che invece potremmo opportunamente analizzare,
selezionare e scartare.
Feldenkrais parla di consapevolezza attraverso il movimento come
mezzo per raggiungere un ottimale sviluppo del sistema nervoso, con
conseguente miglioramento evolutivo. Egli, infatti, sostiene che

«lo sviluppo straordinario dei lobi frontali (del sistema sopra-limbico in


generale) nell’uomo, prova che il suo funzionamento costituisce un
miglioramento evolutivo e favorisce la sopravvivenza dei meglio adattati.
Questo sviluppo del cervello umano avviene durante la crescita a partire dalla
nascita, in funzione dell’esperienza individuale. Ne deriva una straordinaria

16
Nel 1949 scrisse Il corpo e il comportamento maturo, che rappresenta la sintesi delle sue
esperienze.
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 100
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possibilità, che non esiste negli altri animali, di assimilare un gran numero di
risposte apprese, ma che rende l’uomo per questo stesso fatto vulnerabile,
poiché esistono pericoli legati a un cattivo apprendimento. Gli altri animali
hanno delle risposte appropriate agli stimoli radicati nel loro sistema nervoso,
sotto forma di reazioni istintive che si rivelano raramente cattive.
Noi abbiamo tendenza a sbagliarci più di altre creature e, ciò che è più grave,
abbiamo poca probabilità di prendere coscienza di ciò che abbiamo commesso
come errore, per il fatto che noi siamo al tempo stesso allievo e giudice; il nostro
giudizio dipende da ciò che abbiamo imparato, e di limita alla nostra
conoscenza.
La conclusione oggettiva della nostra analisi è che per progredire, dobbiamo
migliorare il nostro giudizio. Ma questo ci riporta alla casella di partenza, poiché
il giudizio è il risultato dell’apprendimento, che, quando siamo adulti, è già
lontano dietro di noi». 17

La presa di coscienza dei movimenti quotidiani e l’appresa capacità di


scinderli devono permetterci di acquisire l’abilità di discernere tutte le
possibilità motorie, dalle più ampie alle più ridotte, sino al punto di
percepire e realizzare micro-movimenti, e persino solamente di pensarli.
Questa raffinata capacità di differenziazione ci consente di intervenire
sull’espressione corporea sviluppando notevolmente la sensibilità,
svelandoci cosa facciamo realmente quando agiamo e mostrandoci, di
conseguenza, le possibili rettifiche finalizzate al miglioramento della
funzione in questione.

17
M. Feldenkrais, Le basi del Metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori,
Astrolabio, Roma, 1991

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 101


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Le sedute sono in parte collettive (dedicate alla presa di coscienza o
consapevolezza attraverso il movimento) e in parte individuali (di
integrazione funzionale).
Quelle collettive si svolgono in posizione supina o prona, per deviare
dalla percezione gravitazionale della postura adottata nelle azioni durante
la giornata e nella vita sociale. L’insegnante impartisce agli allievi precise
indicazioni di movimento, cercando di sollecitare curiosità e attenzione
verso svariati schemi motori e coordinamento dinamico.
Si esplorano sequenze di movimenti di collegamento fra posture
differenti, dunque non solo le sensazioni in posizione statica, ma anche
quelle di passaggio fra una posizione e l’altra (camminare, correre, ruotare
su se stessi, girarsi, chinarsi, etc.). Nelle sedute di integrazione funzionale
(cioè nelle lezioni individuali) l‘insegnante tocca e muove l’allievo (ma
non si tratta di massaggi o manipolazioni) permettendogli di rendersi
conto, (e di sciogliere) le tensioni muscolari e acquisire fluidità nel
movimento. Il suono accompagna ogni seduta.
Il sistema nervoso non riceverà più quegli specifici stimoli, ma altri: ne
deriva la presa di coscienza delle altre possibilità sensoriali-motorie degli
stessi arti e delle stesse regioni del corpo che solitamente percepiamo in
altra maniera.
La capacità di attenzione a input insoliti matura con la pratica e con
l’esercizio sistematico, grazie al quale l’impegno muscolare necessario alla
realizzazione dei gesti si riduce progressivamente al minimo
indispensabile, senza impiego di forze superflue. Pertanto si acquisisce
equilibrio, tra le parti del corpo e tra le forze muscolari, che si manifesta

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 102


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anche esteriormente: la figura diventa sempre più armoniosa nella postura
e nel gesto. A testimoniare la consistenza dei risultati cui si perviene vanno
citati allievi quali Peter Brook, Yehudi Menuhin e Leonard Bernstein.

3.10 L’E.I.T. di Gerda Alexander.

Gerda Alexander nacque in Germania nel 1908. Insegnante di musica e


ritmica, si era ammalata di una grave insufficienza cardiaca. Questo la
spinse a cercare uno stile di vita capace a trovare benefici in pratiche
psicofisiche.
La relazione inscindibile fra corpo e psiche costituisce il fulcro
dell’E.I.T. (Terapia di Integrazione emotivo-affettivo): anche in questa
tecnica è fondamentale l’attenzione che la medicina riserva alla mente,
dunque ai meccanismi del pensiero, nel considerare cause ed effetti di
numerose patologie.
Gerda Alexander si propone il raggiungimento di uno stato di eutonia18
(buona tensione), come condizione di equilibrio psicofisico dell’individuo
sia in relazione con se stesso che con gli altri, e la ri-scoperta delle proprie
potenzialità espressivo-creative. Le componenti di questa ricerca passano
attraverso la progressiva presa di coscienza del corpo e delle combinazioni
di movimenti attraverso volontarie variazioni di tono: lo sviluppo della
sensibilità al contatto, la percezione dello spazio circostante e della
relazione tra sensazioni fisiche esteriori e interiori.

18
Il termine designa ufficialmente questo metodo nel 1964.
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 103
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Il fulcro dell’attività risiede nella coscienza della postura: soprattutto le
dodici posizioni di controllo dell’eutonia, attraverso le quali si impara a
rilevare le alterazioni del tono muscolare corretto. Ne conseguono la
rappresentazione interiore della propria immagine corporea e la
consapevolezza corporea in situazioni attive e passive, dunque armonia
psicofisica e capacità di adattamento alle situazioni.
Parallelamente l’individuo impara ad analizzare pensieri e sentimenti
individuandone le conseguenti ripercussioni a livello corporeo: le
modificazioni del battito cardiaco, della pressione sanguigna, della
temperatura, della respirazione, delle tensioni muscolari interiori, delle
reazioni viscerali.
La sollecitazione attraverso immagini mentali, largamente usata da altre
tecniche, viene qui vista con diffidenza perché vi si individua il rischio di
cercare punti di riferimento astratti, privandosi dei contatti con la realtà.
Viceversa la lucida attenzione a input-sensazioni-sentimenti pone
l’individuo al centro della propria realtà personale e sociale,
permettendogli una nuova conquista della propria identità-personalità, nel
rispetto di quella altrui e nella piena auto-conferma e non-penalizzazione
in ambito sociale (considerato che timori e timidezze inducono alcuni
soggetti a tirarsi indietro, soffocando la piena espressione di sé in presenza
di personalità più forti).
Pertanto l’E.I.T. punta sulla capacità di riordino delle strutture psico-
mentale, psico-motoria e neuro-motoria, tanto in ambito clinico che in
contesto extraterapeutico.

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 104


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3.11 La tecnica di Frederick Matthias di Alexander.

Frederick Matthias Alexander fu un attore teatrale vissuto fra la seconda


metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La sua fama è legata
all’elaborazione di una tecnica nata dalla sua personale esigenza di
rieducare la propria voce, compromessa da problemi non inerenti gli
organi fonatori. Ciò lo spinse a indagare sui difetti posturali osservando la
propria gestualità allo specchio: ne dedusse la necessità di riassettare i
propri schemi motori intervenendo sulle singole componenti del
movimento. Vissuto a Londra dal 1904, cominciò qui a sperimentare la sua
tecnica formando insegnanti in merito ai principi della sua tecnica. Ebbe
un largo e importante seguito anche fra personaggi di spicco (basti citare
fra gli altri il pedagogista americano John Dewey).
Dopo la sua scomparsa si costituirono numerose associazioni di
insegnanti della tecnica Alexander (prima fra tutte la STAT, Society of
Teachers of the Alexander Technique) che cominciarono a operare in
numerosi paesi: in ambito clinico per la preparazione al parto e a scopo di
prevenzione dei più diffusi problemi di ordine psicofisico; in ambito
didattico nelle accademie di musica, danza e arte drammatica; in ambito
sportivo come tecnica di preparazione agonistica.
La base su cui il metodo si fonda è lo studio della relazione dinamica fra
testa, collo e schiena: dall’equilibrio posturale-motorio fra le parti dipende
buona parte dello stato di benessere del corpo intero. Ogni tensione
inadeguata ai gesti compiuti comporta l’impiego di forze in eccesso, con

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 105


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conseguente affaticamento di alcuni muscoli e delle articolazioni e con
ripercussioni a livello flogistico-traumatico.
L’auto-osservazione e l’analisi delle intenzioni motorie permette di
discernere i movimenti necessari da quelli superflui, modificando le
tensioni e le pressioni interne che possono affliggere alcuni organi.
Secondo Alexander basta concentrarsi sui vizi ed eliminarli perché il
gesto corretto si recuperi automaticamente: infatti, più che imarere nuove
nozioni, l’obiettivo è quello di “disimparare” le cattive abitudini.
Le indagini condotte soprattutto presso le università di Londra, di
Boston, dell’Oregon, di Bristol, per verificare la validità degli effetti di
questa tecnica sulle funzioni muscolo-scheletriche hanno permesso di
rilevare, oltre il recupero della fluidità del gesto e della postura, perfino un
aumento della statura, dell’ampiezza delle spalle, della lunghezza dei
muscoli del collo e altre modificazioni ancora, con conseguenti benefici
nella terapia del dolore e sui malati del morbo di Parkinson.
L’insegnante di tecnica Alexander stimola la sensibilità dell’allievo con
il contatto manuale e con indicazioni verbali variabili in relazione al
problema da risolvere o da prevenire e in relazione ai contesti clinici,
artistici o sportivi nei quali si opera.

3.12 Il canto e la danza: due casi al confine.

Si è detto che l’espressione musicale vive in simbiosi con quella


corporea e si è passati attraverso le più note tecniche di consapevolezza per

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 106


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individuarvi le motivazioni di questo legame. Il canto e la danza sono due
arti, ma sono assolutamente fondate sulla graduale presa di coscienza delle
possibilità di movimento di precise aree del corpo, pertanto sono allo
stesso tempo vere e proprie tecniche di consapevolezza e di espressione
corporea.
Quanto illustrato a proposito della inspirazione è solo una parte del
lavoro di scoperta e di studio dell’apparato fonatorio e delle sue
potenzialità. Allo stesso modo è da intendersi lo studio della danza. In
entrambi i casi ci si sottopone ad un lento e accurato addestramento che si
compone di fasi tecniche alternate a fasi espressive. Sia nelle prime che
nelle seconde l’individuo apprende per imitazione il gesto da acquisire, poi
lo esercita per imparare a monitorare, a riconoscere il feedback sul piano
sensoriale.
Lo studio del canto inizia generalmente con l’intonazione mediante
appositi esercizi con emissione naturale, quella più spontanea. Con la
guida dell’insegnante l’allievo comincia a prendere coscienza delle
sensazioni che accompagnano la fonazione: dunque impara a percepire le
azioni di tutti i muscoli coinvolti, dal diaframma ai muscoli facciali. Poco
alla volta si acuisce la sensibilità al flusso della colonna d’aria emessa
verso le cavità di risonanza. L’affinamento della tecnica procede di pari
passo con l’affinamento della sensibilità e della padronanza dei gesti.
Sebbene la tecnica sia differente nelle varie scuole, passa attraverso
alcune fasi che prevedono gli esercizi a bocca chiusa, l’esercizio delle
vocali, l’esercizio dei suoni e delle estensioni, per gradi congiunti e per

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gradi disgiunti, ponendo da subito attenzione alle qualità espressive del
suono, dal legato alla dinamica.
Lo studio della danza inizia secondo lo stesso principio, cioè puntando
innanzitutto su una fase preparatoria che consolidi la consapevolezza
corporea, sia dal punto di vista sensoriale che estetico. Infatti gli ambienti
sono sempre dotati di pareti a specchio, di fronte alle quali si svolge la
lezione, che consentono il controllo costante della figura rinforzando con
la vista il feedback proveniente dalle tensioni muscolari proprie di ogni
posizione esercitata.
In questa sede non ci addentriamo in dettagli relativi alle tecniche
specifiche, dal momento che ogni scuola di canto e di danza si caratterizza
per scelte metodologiche peculiari. Ci basta in questo contesto rilevare che
nelle due discipline il concetto di arte e di tecnica di consapevolezza ed
espressione corporea strettamente legate alla musica si identificano,
dimostrando oltremodo come le discipline che si fondano sull’uso del
linguaggio musicale possano trarre utilità dallo sviluppo della percezione
senso-motoria, anche quando non strettamente poste in relazione agli
strumenti musicali.

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Capitolo IV

ÉMILE JAQUES-DALCROZE

4.1 Cenni biografici

Émile Jaques nacque a Vienna nel 1865. Qui frequentò il Liceo classico
e i corsi di pianoforte del Conservatorio di Musica. Dopo il diploma di
Pianoforte si recò a Parigi, dove conobbe Gabriel Fauré e Léo Delibes.
Invitato dal Théâtre des Nouveautés come secondo direttore, si trasferì ad
Algeri, dove si dedicò anche allo studio della musica locale, alla stesura e
alla pubblicazione di sue composizioni, nelle quali comparve il cognome
Dalcroze affinché non venisse confuso con un altro autore omonimo.
Tornato a Vienna nel 1887 studiò con Anton Bruckner, poi a Parigi
ancora con Gabriel Fauré e Léo Delibes e con César Franck. Nel 1892
cominciò a insegnare al Conservatorio di Ginevra, prima armonia e poi
solfeggio. Questa esperienza gli rivelò tutta la difficoltà di porgere la
disciplina musicale nel freddo stile dei conservatori.
Intanto proseguiva la sua attività di compositore e musicologo dedito, in
particolare, alla musica contemporanea. Nel 1899 sposò la cantante Nina
Faliero (Maria Anna Starace), sua apprezzata interprete e ne ebbe un
figlio.

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La sua attenzione era sempre rivolta ai problemi didattico-metodologici
relativi allo studio teorico della musica e alle verifiche “su carta”, che gli
procuravano il disagio di trasmettere in maniera rigida i contenuti
musicali, i quali per loro natura non possono essere concepiti
indipendentemente dall’idea di movimento. Dalcroze osservava che «la
relazione suono-movimento si mostra in tutta la sua fisiologicità
soprattutto nell’età infantile, quando tutto ciò che dal bambino viene
ascoltato si traduce subito in movimento ritmico, con tutte le sfumature
agogiche che la velocità o il timbro dello stimolo sonoro possono
comportare». Questo principio alimentò l’idea di una educazione dei
movimenti del corpo sui ritmi musicali, una ginnastica definita euritmica,
la cui nascita viene ufficialmente collocata nel 1905, quando fu presentata
per la prima volta in pubblico. I consensi riscossi incoraggiarono
l’organizzazione di corsi estivi specialmente a Ginevra, dove la cospicua
partecipazione non solo di dilettanti, ma soprattutto di musicisti, danzatori
e didatti professionisti invogliò Dalcroze a valutare l’opportunità di
fondare vere e proprie scuole stabili di euritmica.
L’incontro con Adolphe Appia l’anno successivo segnò l’inizio di una
amicizia indissolubile e una collaborazione preziosa, incentrata sulla
ricerca di tecniche e metodi alternativi alla ormai inefficace tradizione.
Appia, come attore in continua ricerca, diede un importante contributo alla
definizione del metodo.
Nel 1909 Jaques-Dalcroze iniziò a viaggiare per l’Europa per diffondere
le nuove intuizioni metodologiche e, supportato da Wolf Dohrn, segretario
di una importante organizzazione tedesca a sostegno degli artisti, avviò

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Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
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l’istituzione della prima scuola di euritmica a Hellerau, vicino Dresda.
Perfino il progetto dell’edificio (curato da Heinrich Tessenow) fu
sviluppato con estrema attenzione a tutti i dettagli, dalle forme
all’incidenza della luce sugli elementi delle strutture, affinché ogni
particolare contribuisse all’interiorizzazione del linguaggio delle arti.
I corsi attirarono da subito musicisti, danzatori, attori, scrittori, registi
affascinati da un’impostazione volta allo sviluppo globale della personalità
artistica e impiantata sulla consapevolezza corporea. Tra coloro che
cercarono un contatto con la Scuola vanno annoverati Mary Wigman e
Marie Rambert, danzatrici e future insegnanti dalcroziane, Stanislavskij e
Reinhardt, registi innovativi, Diaghilev e von Laban e altri grandi nomi
convinti dalla concezione dello spettacolo come evento non cristallizzato
ma in divenire, come si dimostrava negli affollati saggi annuali.
Le idee di Jaques-Dalcroze ed Appia produssero anche una
rappresentazione dell’Orfeo di Gluck apprezzata in Europa e negli Stati
Uniti.
Nel frattempo si erano moltiplicate le scuole dalcroziane nel resto della
Germania, in Inghilterra, in Belgio, in Olanda, in Svezia e in Russia. Ma la
scomparsa di Dohrn, lo scoppio della prima guerra mondiale, la firma di
una protesta contro il bombardamento della cattedrale di Reims costrinsero
Dalcroze a tornare in Svizzera, dove nacque l’Istituto di Ginevra, che tornò
ad attrarre nomi celebri (Jean Binet, Arthur Honegger, Edgar Willems). Il
Maestro si occupò tutta la vita della direzione della Scuola, affiancando
agli impegni della sede una corposa attività didattica che lo portò a tenere
corsi molto frequentati nelle maggiori capitali europee. La grande richiesta

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dalla sua presenza lo indusse a coinvolgere un numero sempre maggiore di
collaboratori, i quali tennero lezioni in sua vece ed esportarono l’euritmica
a Londra, Parigi, Barcellona, Stoccolma e in altre città dove sorsero nuovi
Istituti dalcroziani, destinati a sopravvivere con successo alla scomparsa
del suo ideatore, avvenuta a Ginevra nel 1950.

4.2 L’educazione alla sensibilità.

Quando appena ventisettenne comincia ad insegnare, Èmile Jaques-


Dalcroze ha già una formazione e un’esperienza di rilievo come pianista,
direttore d’orchestra e compositore.
Tuttavia il nuovo contesto gli riserva problemi di ordine metodologico,
da valutare riconsiderando il suo stesso punto di vista. Infatti riscontra
frequenti difficoltà, da parte degli allievi, nell’interiorizzare elementi e
parametri musicali solitamente ritenuti di facile comprensione per chi
suona uno strumento. Studiarne le ragioni ed elaborare soluzioni idonee
diviene il suo obiettivo primario, che orienta tutta la sua attività. Fin da
subito Jaques-Dalzcroze individua la radice dei comportamenti musicali
nella formazione musicale di base, non quella specialistica, ma più
precisamente quella che oggi definiamo acculturazione.
Ogni bambino vive la sua infanzia in un ambiente che è caratterizzato
anche sotto il profilo musicale, nei luoghi che frequenta la musica è
presente in quantità e modalità differenti e questo influenza il suo modo di
concepire l’ascolto e la produzione musicale. Per questo motivo l’autore si

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sofferma a lungo sulla concezione che i genitori hanno della musica, su
come la propongono e su come, eventualmente, intervengono sulla
fruizione musicale dei figli. Essi hanno spesso un’idea distorta della
musicalità dei loro figli, finendo a torto per sottovalutarla:

Il fatto che un bambino si disinteressi alla musica, che non gli piaccia cantare,
che non sia in grado di seguire, cantando, il tempo di una marcia militare e che
si rifiuti energicamente di studiare il pianoforte, non significa necessariamente
che manchi di musicalità. Spesso le attitudini musicali sono profondamente
nascoste nell’individuo e non hanno modo, per un motivo o per l’altro, di
manifestarsi. È così che certe sorgenti, che scorrono sotto terra, schizzano in
superficie solo quando una zappa ostinata avrà loro aperto la strada. [1912, p.40]

o sopravvalutarla:

Molti genitori credono che il solo fatto di avere una voce dall’intonazione
giusta e chiara implichi un talento musicale. Non è sempre così. Come tutti
sanno è il ritmo che dà un senso e una forma alla giustapposizione dei suoni. Un
bambino che improvvisa con una bella voce delle successioni di note senza
ordine né tempo non è più musicale di quello che non ha voce, ma che
improvvisa marce ben ritmate sul tamburo. [1912, p. 41]

Il primo atteggiamento dei genitori nei confronti dei figli, già durante
l’infanzia, dovrebbe essere in ogni caso quello di favorire le attività atte a
sviluppare l’orecchio musicale; i comportamenti musicali del bambino in
età prescolare o poco più avanzata non sono predittivi in assoluto della sua

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musicalità, perciò vanno coltivati dalla base prima che si decida
affrettatamente di fare studiare o meno uno strumento musicale.
L’ascolto, il canto, il movimento sono i fondamenti di qualunque
educazione dell’orecchio e sono intimamente legati, l’uno è funzionale
all’altro prima ancora e a prescindere dal posto che possono occupare in
una educazione strutturata. Significa che nella vita quotidiana di ogni
bambino bisognerebbe incoraggiare queste attività senza pretendere
risposte “giuste e immediate” e favorendone innanzi tutto l’esplorazione
spontanea. Tuttavia va considerato che, riguardo al ruolo dei genitori
nell’acculturazione musicale, Jaques-Dalcroze parla di un intervento
consapevole e tutt’altro che sprovveduto:

[…] il bambino piccolo che non è stato iniziato all’accuratezza dell’armonia


convenzionale spesso non è in grado di sentire quando la sua mamma suona
degli accordi sbagliati al pianoforte. Ciò che è importante però è che
quest’ultima lo sensibilizzi alle sfumature della musica, gli faccia capire se
suona delicatamente o con forza, in alto o in basso nella tastiera […], che sia in
grado di mostrargli la differenza tra il crescendo e il diminuendo […]. [1912,
p.41]

E potrebbero essere citati altri esempi. Ma non è affatto frequente che i


genitori possiedano competenze musicali sufficienti a garantire un
approccio adeguato alla grammatica musicale. Così diventa necessario che
sia la scuola ad assumere questo ruolo prima possibile, cominciando a
plasmare correttamente i comportamenti musicali spontanei e
razionalizzando il percorso per l’acquisizione delle abilità musicali.

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A tale proposito l’autore si esprime con molta amarezza poiché, anche
nei contesti scolastici con i quali si confronta, l’educazione musicale è
molto penalizzata: la colpa non va attribuita agli educatori, che pure sono
convinti dell’esigenza di completezza di questo aspetto della formazione,
ma il tempo a disposizione previsto dai programmi ufficiali è
estremamente ridotto rispetto a quello che occorre per perseguire gli
obiettivi prefissati.

Il fatto che nelle nostre scuole si dedichino alla musica una o due ore alla
settimana ci dice che la parola “musica” ha assunto un altro significato: e cioè di
studio meccanico, di produzione, o meglio di riproduzione dei suoni, basato
esclusivamente sull’imitazione e tendente solo a riempire la testa del bambino di
tante melodie sentimentali di tipo convenzionale. […]
Piuttosto sopprimete completamente la musica dal vostro programma! […] Se
considerate la musica una materia secondaria, abolitela del tutto; ma se le
attribuite importanza affrontate l’ostacolo. [1915, p.84]

Il problema reale è che la scuola ha il compito di sviluppare la persona


integralmente; non si può scegliere tra il corpo e la mente perché essi non
sono “parti” dell’individuo; essi “sono” l’individuo. In questi due termini
sono insiti i concetti di personalità, volontà, sensibilità emotiva, ovvero
tutti gli aspetti con i quali la cultura “interagisce”. Il “sapere” di un
individuo non può essere incontestabilmente definito “cultura” se i suoi
contenuti non sono “diventati parte” dell’individuo, se egli non ha
imparato ad analizzarli e sceglierli criticamente, se i suoi comportamenti
non ne sono stati arricchiti e migliorati. E la scuola, che deve sì istruire,

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ma anche educare, non può trascurare le componenti fondamentali della
formazione globale dell’uomo.
Riferendosi alla scuola del suo tempo, Jaques-Dalcroze l’accusa delle
stesse mancanze di cui essa soffre ancora oggi. In apparenza le istituzioni
preposte alle riforme scolastiche sono sempre pienamente consapevoli di
quali azioni si debba intraprendere perché gli allievi possano svilupparsi
come individui e cittadini ideali, capaci di autonomia di pensiero
costruttivo per sé e per la società, emotivamente sensibili per la propria e
l’altrui gratificazione. Ma la coscienza di questi bisogni deve essere
sostenuta da iniziative concrete, per le quali le autorità politiche devono
ascoltare i consigli e i suggerimenti di esperti autorevoli in ambito
educativo e non lasciarsi guidare da logiche economiche poco
lungimiranti.
Quello per la cultura e per la formazione è un investimento
indispensabile e irrinunciabile perché, in assenza di personalità formate
solidamente, un paese non ha futuro.
Così, anche nell’ambito dell’educazione musicale, l’istruzione specifica
deve instaurarsi sull’educazione della sensibilità e della personalità e
volgere all’amore per l’arte; essa deve permettere di sviluppare
l’immaginazione e godere della musica liberi dalle inibizioni procurate da
visioni restrittive e condizionanti. La scuola deve costruire su
un’esperienza pratica ad ampio raggio, perché questa azione conferisce
sicurezza al bambino e ne incoraggia l’autonomia di scelta e la creatività.
Un bambino che possa formarsi alla luce di questi principi conosce la
“gioia” del “vivere” la musica come parte di sé, e la natura del sentimento

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di gioia coincide con il desiderio stesso di comunicarla e condividerla con
gli altri. Dunque un’educazione improntata all’insegna della gioia
persegue il più elevato degli obiettivi educativi, cioè la comunione e la
condivisione sociale.

4.3 L’educazione dei sensi: l’ascolto, la voce, il movimento.

Nei suoi saggi Jaques-Dalcroze ribadisce molte volte che il primo passo
“dentro” il linguaggio musicale dovrebbe essere l’ascolto, ma sottolinea
che la scelta non pare essere ovvia per tutti i didatti.
L’ascolto della musica deve essere coltivato costantemente perché tutti i
bambini, a qualunque livello di competenza musicale, vengono stimolati
dalla musica sia fisicamente che spiritualmente. Il corpo reagisce col
movimento ai parametri del suono e comunica alla mente precise
sensazioni, che con la pratica dell’ascolto definiscono delle corrispondenze
emotive. Queste tornano ad influenzare la risposta corporea alla musica.
Però è sbagliato pensare di riservare ai bambini un ascolto semplificato,
privandoli della musica dei grandi compositori, come pure è importante
proporre loro i repertori popolari. Tra l’altro Jaques-Dalcroze confida in
questa azione pedagogica della scuola, duplice nel momento in cui i
bambini “portano a casa” i canti e le musiche imparate, proseguendo in
direzione della famiglia l’educazione musicale proveniente dalla scuola
stessa.

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La pratica dell’ascolto deve essere affiancata dalla pratica vocale; prima
d’ogni cosa bisogna esercitare il canto attraverso semplici esercizi di
intonazione: suonare al pianoforte qualche nota, chiedere al bambino di
intonarla e magari poi di cercarla con le dita sulla tastiera lo aiuta a fissare
in mente il rapporto tra il suono desiderato e il movimento della laringe
necessario per ottenerlo. Dinamica ed agogica non devono preoccupare fin
dall’inizio perché la capacità di gestirne le sfumature richiede
l’acquisizione di una buona padronanza della respirazione, la quale, nella
formazione musicale di base, non è di importanza prioritaria.
Pare che l’ascolto musicale e gli esercizi vocali frequenti riescano a
produrre in molti soggetti la reazione istintiva del predisporre la laringe
all’intonazione di una melodia conosciuta, nel momento in cui la si
ascolta, come se si dovesse intonarla ad alta voce. È importante non
lasciarsi tentare dal desiderio di addentrarsi nella tecnica di studio se non
dopo un anno di propedeutica musicale che soddisfi il bisogno di
muoversi, giocare e che comprenda una “ginnastica” per le labbra e la
lingua attraverso l’esercizio di vocali e consonanti.
La sensibilità musicale e il movimento sono dunque intimamente legati.
L’orecchio e l’apparato muscolare ricevono lo stimolo del suono e del
ritmo anche attraverso la voce e lo elaborano diversamente, in relazione
all’educazione che il soggetto riceve per lo sviluppo della sensibilità
musicale nel suo complesso. Essere musicali infatti significa ben più
identificare una successione di suoni con il suo ritmo:

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Essere sensibili musicalmente significa saper cogliere le sfumature non solo
dell’altezza dei suoni ma anche quelle dell’energia dinamica e dei vari gradi di
rapidità dei movimenti.
Tali sfumature vengono percepite non solo dall’udito, ma anche dal “senso
muscolare”. [1915, p.44]

Cosicché alla base di una educazione musicale deve essere posta una
“educazione dei sensi” attraverso l’esperienza diretta. La maggior parte dei
giovani studenti di musica non proviene da una simile formazione, ma ha
avuto i propri primi contatti con la musica in un contesto di studio
tradizionale, dove la musica non viene prima di tutto ascoltata e danzata,
come la sua natura richiede. Invece sono stati “accompagnati per mano”
sui libri e sul pianoforte dove, della musica, hanno conosciuto, come
contenuto sul quale concentrarsi, la difficoltà di decifrare quanto scritto e
tradurlo in un atto motorio. Quando manca l’educazione dei sensi gli
allievi non sanno “verso cosa” stanno andando seguendo questo “percorso
ginnico”.

Per essere un musicista completo, un bambino deve possedere un insieme di


risorse e di qualità fisiche e spirituali che sono, da una parte: “l’orecchio”, “la
voce” e “la coscienza del suono”, e dall’altra: “il corpo intero” (ossatura,
muscoli, nervi) e la “coscienza del ritmo corporeo”. [1907, p.30]

Gli aspetti cardine di questa concezione didattica musicale confluiscono


in un concetto di “memoria muscolare” che si costruisce su abitudini e

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automatismi, oltrepassando l’ostacolo del dover pianificare i propri
comportamenti musicali quando richiesto da un compito da svolgere.
Il bambino che studia uno strumento musicale, senza aver ricevuto
l’educazione auspicata da Jaques-Dalcroze, ogni qualvolta dovrà eseguire
una figurazione ritmica complessa, realizzare un diminuendo, eseguire
degli accordi e via dicendo, dovrà affrontare una “pila di scopi” da
superare uno alla volta esercitandoli singolarmente, come peculiarità
tecniche separate e differenti, prima di riuscire a concepire il brano da
eseguire come un “discorso unico” (vedi par.). Invece la competenza
musicale acquisita gradatamente fin dall’infanzia e svincolata da una
tecnica strumentale specifica consente di focalizzare subito l’attenzione sul
senso del “discorso musicale” e generare una risposta psicofisica
spontanea coerente. La memoria muscolare del ritmo consente di
realizzare il discorso musicale senza dover “contare” i valori; consente di
variare la dinamica sfumando d’istinto la forza del gesto esecutivo;
permette di associare velocemente le distanze intervallari alle distanze tra
le dita che devono suonare un accordo. Di contro si rivela inefficace la
prassi di fare ascoltare musica che i bambini non sono in grado di
comprendere operando anche una forma elementare di analisi, se non sono
stati abituati a cogliere gli elementi costitutivi. Lo stesso vale per le attività
di lettura e scrittura musicale, spesso intraprese come esercizio di
decodifica di simboli grafici, non come espressione grafica di musica
ascoltata, conosciuta e interiorizzata.
Ecco perché lo studio musicale non deve essere centrato solo su quello
che un bambino è in grado di eseguire con la voce e con lo strumento in un

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dato momento, ma spaziare nelle attività musicali correlate percorrendo
gradatamente tutti i parametri, intervalli, tonalità e sviluppi armonici,
andamenti e sequenze ritmiche, sfumature dinamiche e agogiche, per
perseguire una completa “educazione dei sensi”.

4.4 La ritmica.

Il fulcro dei principi metodologici dalcroziani è il ritmo:

Il ritmo è alla base di tutte le manifestazioni della vita, della scienza e


dell’arte. Esso è allo stesso tempo un elemento di ordine e misura, nel
movimento e nel modo individuale di eseguirlo. Lo studio del ritmo aiuta a
comportarci in modo personale; ci induce, cioè, a esprimere i sentimenti a
seconda del ritmo individuale, che a sua volta dipende dalla costituzione, dalla
circolazione del sangue e dal sistema nervoso. [1915, p.87]

Il movimento corporeo si fonda essenzialmente sui ritmi, a partire da


quelli fisiologici. A questi si correla il movimento volontario, che nelle sue
espressioni ripetitive assume spontaneamente una forma ritmica, tanto più
precisa quanto più il movimento corporeo stesso viene educato
ritmicamente. È un’educazione che consiste nel conferire
progressivamente ordine alle manifestazioni esteriori del rapporto
corpo/mente, privandole di inutili resistenze inibitorie: un corpo che
impara ad esternare la risposta motoria ed emotiva agli input sensoriali
risolve i conflitti fra sensazioni e sentimenti, tra corpo e spirito, che

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impediscono all’uomo di accedere alla spiritualizzazione della materia. La
musica non “tocca” concretamente i sensi, ma per tramite della capacità di
astrazione della mente, di un processo di tipo metafisico, per usare la
definizione del didatta, di cui può essere capace solo chi vince le resistenze
corporee.
Il fatto di muoverci spontaneamente o rispondendo a indicazioni esterne,
come nel caso degli esercizi ginnici guidati da un’insegnante, non significa
che le connessioni tra il “comando” proveniente dalla mente e le parti del
corpo che si muovono siano ben strutturate. La padronanza, la correttezza
e la precisione della risposta si costruiscono sulla reiterazione di
contrazioni e rilassamenti muscolari dissociati. Il corpo per “impara”
prima cosa a compiere i movimenti e più ampi e globali e poi,
gradatamente, ad analizzarli e scendere in dettagli. Funzionali a questa
natura sono quegli esercizi che velocizzano la risposta motoria a un
comando, rivolto inizialmente al complesso dei muscoli di una parte del
corpo, per esempio di un braccio, alternandone ritmicamente contrazioni e
rilassamenti su tempo inizialmente lento; l’insegnante staccherà la
pulsazione a velocità superiori ogni qualvolta riproporrà quell’esercizio,
assicurandosi prima che gli allievi siano ormai in grado di sostenere un
tempo più celere. Alle successive ripetizioni l’insegnante specificherà
quale parte del braccio interessare, riducendo quindi il numero di muscoli
sui quali concentrarsi, fino ad arrivare al singolo dito, variando anche
l’intensità della contrazione. Lo stesso principio deve essere seguito per
esercitare l’ampiezza del movimento.

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Il movimento, così coltivato, realizza dal punto di vista corporeo il
percorso che la didattica abituale tratta nella disciplina del solfeggio, ma
principalmente dal punto di vista teorico concettuale, studiando solo sul
pentagramma scritto e senza preoccuparsi di imparare a “sentire” il
significato della notazione. Quello concepito da Jaques-Dalcroze è un
solfeggio interiorizzato, perché “vissuto” piuttosto che solo “letto”: la
caratteristica non visibile dall’esterno è che siffatta educazione musicale
sviluppa l’immaginazione.
Intanto perché il soggetto, per lo più inconsciamente, cerca di
visualizzare sia le parti del corpo da muovere, sia il percorso che l’energia
nervosa attraversa per raggiungere i muscoli.
Naturalmente l’immaginazione non è, né deve, essere imbrigliata da
indicazioni troppo dettagliate; l’insegnante deve favorire lo sviluppo
individuale della creatività sorvegliando sulla correttezza del movimento,
ma senza condizionare le associazioni mentali, che altrimenti verrebbero
uniformate tra gli allievi e sull’impronta delle sue.
Immaginazione e creatività sono attitudini che ogni individuo ha il
diritto di mettere al servizio della propria personalità e della propria
volontà. Sebbene siano oggetto di particolare attenzione da parte della
ritmica dalcroziana, esse vanno curate nell’insegnamento di tutte le
discipline con la certezza che possano traslare da un ambito ad un altro e
che rappresentino un obiettivo educativo generale.
Per perseguire la varietà e l’autenticità dell’esperienza corporea si deve
evitare di svolgere sempre le stesse attività, piuttosto si deve preferire
l’introduzione di nuovi stimoli, l’esercizio di nuove associazioni

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muscolari, la creazione di nuove immagini mentali che agiscano
sull’immediatezza della risposta ritmica. Tali stimoli saranno tagliati, poco
alla volta, su tutti i valori musicali e sulle loro combinazioni,
incrementando la competenza ritmica; nel frattempo verrà introdotto il
parametro della dinamica, che imprimerà al gesto ritmico una forza
maggiore o minore, con le possibili sfumature, secondo l’intensità del
suono. L’ampiezza e l’intensità del gesto realizzano il tempo e la dinamica
del discorso musicale “dall’interno del corpo”, in un equilibrio tra
l’“energia” necessaria a realizzare un movimento, lo “spazio” che il
movimento deve coprire, il “tempo” di durata del movimento stesso,
ovvero attraverso una coscienza ritmica.
Questi criteri devono essere applicati anche all’esercitazione pianistica,
che si svolgerà per mezzo di improvvisazioni su elementi semplici,
frammenti, moduli ritmici, melodici e armonici che il bambino conoscerà
poco per volta ed esplorerà gradatamente. L’improvvisazione al
pianoforte, infatti, è concepita come strumento didattico nel quale l’allievo
mette in relazione gli aspetti della grammatica musicale con i suoi mezzi
fisici e mentali per appropriarsene, riportando sulla tastiera il rapporto
energia-spazio-tempo.

[…] desidero anzitutto insistere sulla funzione precisa che la ritmica esplica
nella formazione della personalità musicale e indicare la natura e la forma degli
esercizi fino ad ora inventati. Desidero poi chiarire […] lo sviluppo delle facoltà
uditive “solfeggio” e della capacità di creazione immediata “improvvisazione”.
[1914, p.55]

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4.5 Il progetto del percorso educativo.

Il metodo di Jaques-Dalcroze si presenta completo e complesso perché


investe la persona nella sua totalità e configura l’educazione musicale
come esperienza globale di vita piuttosto che strettamente disciplinare.
Negli ambiti ritmico, melodico, armonico e nel solfeggio,
nell’improvvisazione, nella composizione si applicano gli stessi principi,
intersecando tra loro le esperienze. Si perseguono le abilità musicali che
attivano il corpo, l’orecchio e la mente pressoché in contemporanea nei
diversi ambiti, rispettando le necessarie propedeuticità, ma evitando
concezioni a compartimenti separati.
Nel saggio La rythmique, le solfège et l’improvvisation [1914] l’autore
illustra le linee guida del suo percorso di educazione musicale. Ribadite le
motivazioni delle scelte sulle quali si fonda la sua “ginnastica speciale”,
vera innovazione del concetto di educazione musicale, egli compila una
lista di direttive sui principi da sviluppare attraverso la ritmica e struttura il
programma di lavoro da svolgere.
Nel corso del primo anno le attività (elencate in ventidue punti) sono
incentrate sulla consapevolezza corporea generale. Gli esercizi di
contrazione e decontrazione muscolare, eseguiti con costanza, concentrano
il soggetto sulla respirazione e sul rilassamento contrapposti ai cicli di
tensione/distensione di singoli muscoli, poi di coppie. Sono considerati
essenziali, vanno provati in diverse posizioni e riportati nella marcia, dove
si ottengono divisione e accentuazione metrica scandendo coi passi la

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pulsazione ed accentando il primo movimento delle misure con un forte
colpo di piede a terra (in corrispondenza le braccia si contraggono). È
importante concordare variazioni come quella di sospendere
l’accentazione/contrazione nel primo movimento a partire da un comando
improvviso (l’autore sceglie che il maestro pronunci l’esclamazione
“hop”). L’uso del cambiamento a sorpresa, è un punto di forza delle
esercitazioni, poiché costringe a mantenere desta l’attenzione e a rendere
repentina la reazione fisica, mai anticipata né ritardata. Automatizzato il
meccanismo, vengono individuati altri movimenti di risposta al comando
improvviso, che può anche cambiare natura (un simbolo o un suono) e
vengono inventate misure fatte di sequenze di movimenti da memorizzare.
Il grado di tensione muscolare e l’ampiezza del gesto nello spazio
formano il “senso muscolare” e ne fanno lo strumento del riconoscimento
dei ritmi, a condizione che la coordinazione dei movimenti non renda
rigido il movimento anziché naturale.
Così una serie di esercizi mira a rinforzare la continuità e l’equilibrio dei
movimenti a velocità e a intensità differenti, lavorando sulla stabilità e
sulla precisione delle posizioni. Questo determina il formarsi di
rappresentazioni mentali del movimento stesso, e allo stesso tempo ne
dipende: perciò bisogna sempre evitare che l’allievo acquisisca abitudini
errate, che influirebbero negativamente sulla rappresentazione mentale dei
movimenti.
La realizzazione delle durate e la loro suddivisione sono i movimenti
fondamentali, che bisogna imparare con precisione perché da esse
dipendono tutte le altre abilità ritmiche. La semiminima è il valore più

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semplice perché realizzato fin dall’inizio delle attività nel tempo di un
passo di marcia. Per la minima si può avanzare di un passo e scandire, al
suo interno, la sua divisione in due semiminime piegandosi sulle ginocchia
in corrispondenza della seconda semiminima. Per suddividere la
semiminima in due, tre o quattro bisogna eseguire due, tre, quattro passi
più corti, che coprano insieme l’intero spazio occupato abitualmente dal
passo di semiminima.
Le sincopi, anticipate o ritardate, sono più difficili da realizzare perché
richiedono l’esecuzione di passi corti e lunghi in un ordine non abituale
fino ad ora e con valori/passi che si prolungano nella battuta successiva.
Dunque bisogna familiarizzare con movimenti che non si concludono
nella quadratura di una intera battuta. Superate queste difficoltà gli allievi
non sono più condizionati dal pensare al giusto movimento ritmico, già
automatizzato.
Tra l’altro, se durante l’esecuzione corporea di un ritmo ne viene subito
proposto un altro, i bambini sono capaci di preparare mentalmente i
movimenti del ritmo successivo, mentre ancora stanno finendo di eseguire
il precedente, come nel meccanismo della visione anticipata durante la
lettura (mentre pronunciamo una parola letta in un testo, gli occhi si
trovano sempre più avanti della voce).
Una serie di esercizi è dedicata alla poliritmia attraverso la dissociazione
dei movimenti: per esempio, mentre un muscolo di un braccio o di una
mano si contrae, l’analogo dell’altro arto si rilassa; oppure, mentre un arto
suddivide la pulsazione in due, un altro la suddivide in tre. Questo viene
provato con diverse varianti motorie e ritmiche. Nel frattempo si cerca di

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modellare il movimento in maniera espressiva, cioè in modo che
“rappresenti” fisicamente la dinamica, prima uniforme e poi sempre più
ricca di sfumature (polidinamica).
Nel corso delle esercitazioni, all’apprendimento corporeo seguono la
scrittura, l’improvvisazione di misure da due a sei movimenti, l’invenzione
individuale e di gruppo di sequenze di movimenti, con la direzione dei
bambini stessi a turno.
A partire dal secondo anno i bambini accedono al corso di solfeggio, il
cui programma è anch’esso illustrato in ventidue punti, corrispondenti a
quelli dal primo anno di ritmica; qui iniziano ad applicare alla lettura
vocale le competenze ritmiche già acquisite. All’inizio cominciano ad
esercitare i muscoli del collo con contrazioni e rilassamenti e a respirare
ritmicamente; imparano l’attacco del suono similmente agli attacchi
durante la marcia, studiano la realizzazione vocale della dinamica e i
registri vocali, curano l’articolazione di vocali e consonanti.
Con l’accentuazione vocale e labiale si realizzano delle misure e si
trascrivono in simboli, per apprendere subito la corrispondenza fra la
sensazione corporea e l’effetto sonoro.
Da questo momento i bambini sono più preparati alla «percezione dei
suoni cantati attraverso il “senso muscolare”»: vengono guidati a
riconoscere nel proprio corpo le sensazioni prodotte dall’emissione di
suoni di intensità o di altezze diverse, anche poggiando una mano sul
petto, sul collo, sulla mascella, sulla fronte, che fungono da risuonatori, per
percepirne la vibrazione. La pratica va inizialmente condotta su semplici

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intervalli e brevi frammenti melodici, poi su tonalità e scale, in modo da
riconoscerle nella lettura melodica.
Il canto viene diretto dal maestro anche applicando il principio
dell’effetto “sorpresa” sperimentato con i movimenti corporei,
specialmente attraverso improvvise interruzioni e riprese: al comando
concordato i bambini interrompono il canto e lo proseguono mentalmente,
fino al successivo comando di ripresa a voce alta. Si tratta di un passaggio
fondamentale per l’interiorizzazione del linguaggio musicale e va eseguito
sia eseguendo che omettendo i relativi movimenti.
Inoltre le esercitazioni sugli intervalli melodici vengono strutturate in
modo da cantare un determinato intervallo e cambiarlo istantaneamente
all’arrivo del comando a sorpresa dell’insegnante. Altri giochi di
esecuzione motoria e vocale sono incentrati sulla realizzazione di
dinamiche (o di un crescendo contemporaneamente a un diminuendo)
opposte tra due gruppi di allievi oppure tra movimento e voce; altri sulla
contemporanea suddivisione delle misure in due, tre quattro movimenti a
cura di allievi o di gruppi; e ancora ci si esercita a raddoppiare o triplicare
le velocità di melodie cantate, con e senza movimento.
A questo punto si può procedere con canti a canone e sovrapposizione di
melodie poliritmiche, scrittura di melodie, polifonie e successioni
armoniche, improvvisazioni e direzioni da parte degli allievi, come già
previsto nel percorso di consapevolezza corporea del primo anno.
Il terzo ambito formativo è l’improvvisazione al pianoforte. La ritmica e
il solfeggio, da soli, non possono soddisfare le esigenze dell’esecuzione
allo strumento, che richiede comunque una tecnica specifica, ma che può

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trarre vantaggio dall’avere costruito attraverso il metodo i prerequisiti
musicali ideali per la comprensione del linguaggio sonoro. Riguardo al
modo in cui deve essere inteso, Jaques-Dalcroze sottolinea che l’obiettivo
principale non ha a che fare con virtuosismi fini a se stessi:

A questo proposito vorrei far osservare che i pianisti spesso confondono la


“tecnica” con la “velocità”. I ballerini della vecchia scuola posseggono una
velocità straordinaria, ma sono privi del senso di equilibrio nei movimenti
continui, di sensibilità alle giuste sfumature del fraseggio e del senso della
successione di gesti armoniosi; tuttavia vengono considerati virtuosi proprio da
quegli spettatori e critici per i quali la parola virtuosismo è sinonimo, appunto,
di velocità! […] Noi crediamo che la tecnica ideale sia il prodotto di una
collaborazione tra le sensazioni muscolari e i sentimenti. [ 1914, p.67]

L’applicazione degli esercizi di ritmica e di solfeggio allo studio


dell’improvvisazione al pianoforte avviene tramite lo sviluppo dei
ventidue punti in comune con i due percorsi precedenti.
Gli esercizi di contrazione e decontrazione vengono applicati allo studio
della dell’attacco del suono: spalla, braccio, avambraccio, polso, mano e
dita partecipano alla caduta sul tasto in rapporto ai punti della tastiera e
all’intensità del suono; i muscoli sono coinvolti diversamente secondo le
infinite possibilità di sfumatura da realizzare. Così bisogna lavorare sui
movimenti associati e dissociati delle articolazioni necessari alla tecnica
(per esempio accordi, legato, staccato, salti).
Pertanto è previsto lo studio di scale, arpeggi, successioni di accordi, con
accentuazioni regolari e irregolari rispetto al tempo iniziale e con

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l’applicazione di moduli ritmici. Gli esempi possono essere eseguiti anche
per imitazione dell’insegnante, successivamente o contemporaneamente
(in sincope) all’esecuzione del maestro su un altro pianoforte; giocando a
cambiare ottava, o ritmo, o tonalità, o velocità, o intensità all’arrivo di un
comando improvviso, per sveltire i tempi di reazione e favorire
l’interiorizzazione dell’associazione gesto-suono relativa ai vari parametri.
Nell’esecuzione dei corali è interessata anche la voce: l’allievo intona
una delle quattro parti, cambiando di volta in volta, mentre le mani
suonano le altre tre parti. Inoltre si esercita a cantare delle melodie
accompagnandosi con scale o accordi oppure a diversificare i parametri
utilizzati dalla voce (altezza, intensità, timbro) secondo le combinazioni e i
comandi improvvisi del maestro.
Variazioni e giochi di combinazioni di ritmi, dinamiche, tempi, frasi,
tocchi tra le due mani vengono usati anche nella pratica pianistica per
imparare la dissociazione dei movimenti, da applicare anche nello studio
del fraseggio.
Ancora in questo programma, come in quelli dei primi due ambiti, è
previsto esercitarsi a raddoppiare e triplicare le velocità, ad usare le due
mani in contrappunto, in poliritmia e in polidinamica, curando le
sfumature di espressione attraverso i necessari movimenti e associando
alle nuove acquisizioni la pratica della scrittura.
Anche nell’improvvisazione al pianoforte ci si avvale della direzione
estemporanea del maestro e degli allievi e dell’improvvisazione a due
pianoforti: queste attività consolidano la capacità di interazione e intesa
musicali, penalizzati dalle consuete impostazioni metodologiche.

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Lo studio comparativo delle tre serie di esercizi sopra descritti serve a


dimostrare la necessità di uno studio coscienzioso dei rapporti elementari fra i
tre rami principali dell’insegnamento musicale. È significativo che fino a oggi
nessun trattato di armonia o di composizione sia stato in grado di indicare
l’influenza reciproca del ritmo e della dinamica sulla melodia e sull’armonia.
[…] Gli educatori di domani dovranno lavorare per ottenere un’armonizzazione
generale di questi elementi. [1914, p.71]

4.6 Il ritmo nelle arti teatrali.

L’incapacità ritmica è molto più frequente e molto più seria di quanto


non si immagini. Non va pensata semplicemente come incapacità di
mantenere il tempo o di suonare correttamente un ritmo. Nelle arti del
canto lirico e della danza il problema coinvolge più che mai il corpo intero,
il cui ritmo gestuale deve correlarsi a quello della musica e del suo
significato emotivo.
Jaques-Dalcroze illustra il problema attraverso le osservazioni di
Adolphe Appia soffermandosi sull’esigenza di sincronizzare i movimenti
con gli eventi sonori di un preciso momento. Certi gesti devono cadere in
corrispondenza di un accordo, di un forte, di un accelerando, e così via,
compiendo con l’espressione corporea l’espressione musicale, sia della
propria voce che dell’orchestra. Il cantante, che è contestualmente attore,
non deve dar luogo a discordanze fra il discorso musicale e quello
gestuale, perché ciò renderebbe banale l’azione scenica. La maggior parte

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dei cantanti è dotata di buone intenzioni, ma manca della consapevolezza
corporea istintiva, che generalmente deriva da un’adeguata preparazione
ritmica, come quella conseguita da un rythmicien dalcroziano.
Tale preparazione consentirebbe di conferire naturalezza e coerenza al
movimento sia su piani orizzontali che su piani inclinati o su scale o in
altri apparati scenici.
L’azione di molti attori sembra artificiosa perché le componenti
necessarie a recitare in scena sono state studiate separatamente come
elementi a sé stanti. L’andamento, l’equilibrio e la postura sono gli aspetti
che rivelano il grado di competenza ritmica, per questa ragione la ritmica
dalcroziana insiste molto sulla comunicazione fra musica e organismo,
perché concepire questi come un’unità permette all’artista di tradurre le
emozioni interiori prodotte dalla musica in emozioni plastiche da
trasmettere al pubblico. Questi concetti devono essere pensati non solo in
relazione al singolo soggetto in scena, ma all’intero quadro scenico. Se in
un determinato momento sono compresenti più attori, sia solisti che coristi
o comparse, ciascuno di essi deve essere in grado di emergere o di
amalgamarsi al gruppo al momento giusto, secondo le esigenze della scena
e della partitura, con la voce e con il movimento corporeo. Viceversa si
rischia di avere non una scena, ma un’accozzaglia di individui che
interagiscono ciascuno con un proprio ritmo interiore, non nel ritmo della
scena stessa.
E il pubblico percepisce questa disgregazione anche inconsciamente,
esprimendo a volte giudizi di perplessità, anche in presenza di bravi solisti,
senza riuscire a prendere atto del vero motivo.

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Le stesse riflessioni valgono per la danza. A questo proposito Jaques-
Dalcroze cita come esempio la danzatrice Isadora Duncan. Pur lodandone
le intenzioni estetiche e la concezione della danza come espressione delle
emozioni attraverso una gestualità naturale, tuttavia ne sottolinea
l’impreparazione tecnica rispetto alla realizzazione di questo ideale di
coreutica. Ella non possiede quella padronanza di equilibrio necessaria per
tradurre in danza i parametri musicali della dinamica e dell’agogica
secondo la sua stessa idea. I crescendo e i diminuendo, come gli accelerati
e i rallentati e come particolari figurazioni ritmiche possono essere
realizzati se l’equilibrio non fallisce anticipando o posticipando la chiusura
di un movimento in rapporto alla musica. Difetto frequente nelle ballerine
classiche soprattutto nei movimenti lenti, dove lo spostamento del corpo
richiede una consapevolezza ritmica maggiore: basti osservare, dice il
didatta, quei danzatori russi spesso virtuosi nella velocità, ma scialbi nel
lirismo gestuale. Carenza visibile anche in quei musicisti che suonano
come acrobati dello strumento e diventano privi d'interesse
nell’espressione che richiede il gesto lento e misurato. La causa risale ad
impostazioni didattiche poco attente agli aspetti cui Jaques-Dalcroze si
riferisce.
La plastique animée è l’espressione corporea che gestisce
equilibratamente tutti gli elementi che entrano in gioco nell’azione scenica,
compresi la luce e la scenografia.
L’espressione deve creare l’illusione nello spettatore, non ci devono
essere elementi “finti” che ridicolizzino la scena. I movimenti, la loro

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 134


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proporzione e la loro durata devono rendere l’idea delle emozioni nella
realtà.
Amplificare o prolungare i gesti è caricaturale. Anche la luce e la
scenografia devono rendere naturali le ombre e la profondità, altrimenti il
pubblico percepisce l’artificio e la finzione prima che l’emozione o,
peggio, al posto dell’emozione; ovviamente registi coreografi e scenografi
hanno in questo una grande responsabilità.
Tuttavia è lo studio della plastique animée che insegna a plasmare in
modo naturale i movimenti tecnici, stilizzandoli adeguatamente per
rendere in scena un equivalente dell’emozione reale. La plastique animée
insegna a tradurre il “senso muscolare” in emozioni. Nella finzione non si
eseguirà un’azione con le medesime ampiezza e durata che nella realtà, ma
si ridurranno queste caratteristiche ai tempi e agli spazi teatrali in modo
ugualmente naturale e con la giusta continuità, dunque senza spezzature
del gesto e dell’illusione.

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Capitolo V

IL CORPO MUSICALE: ATTIVITÀ SECONDO IL


MODELLO DI

ÉMILE JAQUES-DALCROZE

5.1 Il modello di Émile Jaques-Dalcroze.

Le intuizioni di Émile Jaques-Dalcroze riassumono tutte le osservazioni


e le esigenze che si pongono costantemente all’attenzione di didatti e
terapeuti. La sua visione delle funzioni della musica e dell’influenza che
essa esercita sulla personalità è straordinariamente moderna e completa.
Tutti gli aspetti che possono esserne coinvolti vengono contemplati dal
musicista didatta già un secolo fa, con netto anticipo sugli studi che
intervengono a sostegno degli argomenti di cui ci occupiamo.
La fruizione musicale, per buona parte del Novecento, viene relegata al
ruolo di intermezzo ricreativo tra le attività scolastiche (al massimo come
mezzo di conoscenza dei repertori patriottici o tradizionali, finalizzati
all’identità nazionale): dunque, stenta ad essere riconosciuto il vero valore
formativo di questo linguaggio che è “anche” un’arte.
Meno che mai vi si riserva una valenza terapeutica. O meglio, se ne è
coscienti solo presso gli ambiti specialistici, che sono pochi e nascosti,
Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 136
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come d’altra parte quelli pedagogici musicali. Già Dalcroze al suo tempo
lamenta la grande “incomprensione” istituzionale riguardo alle sue
complesse considerazioni: l’attualità di quei suggerimenti è supportata da
un secolo di conferme, provenienti dalle voci più autorevoli della
pedagogia musicale e della musicoterapia.
Il corpo musicale è il “contenitore” di quelle ragioni che supportano la
validità del modello dalcroziano. In ciascun individuo la musica vive con
una sua caratterizzazione “speciale”, con un suo equilibrio soggettivo che
coinvolge la persona nella sua totalità. In ciascuno la musica interagisce
con il corpo e con la mente in una forma che solo in parte si palesa agli
altri, ma che “c’è” e che dialoga “con” e “nella” personalità. Perciò va
trattata come parte integrante dell’essere, esteriorizzata e interiorizzata a
un tempo, poiché essa “entra” nell’individuo per arricchirlo, “esce”
attraverso la sua espressione per raggiungere gli altri.
Musica come comunicazione e musica come linguaggio significa
scambio a livello profondo, che oltrepassa la superficie sensoriale: cosa
possibile solo grazie a una concezione “osmotica” di essa, che trasla la
propria essenza e penetra i contesti modellandone i filtri.
La prima dimensione musicale è quella soggettiva, sviluppata tra
tendenze innate e risposte apprese, e che per questo trova attraverso il
corpo la sua prima esteriorizzazione. Qui il nostro modello mette le sue
radici, incontra l’individuo a partire da lui stesso, cominciando a guidarlo
nel riconoscimento di sé. Infatti l’attività corporea inizia similmente al
modo in cui vengono avviate le attività di presa di coscienza nella scuola
dell’infanzia: si impara ad associare alle varie parti del corpo la sensazione

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 137


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muscolare che deriva dal muoverle, prima singolarmente, poi anche
insieme.
Nei movimenti quotidiani non si pone attenzione a cosa “fa” il nostro
corpo, i nostri arti, il nostro viso, e come si muovono; nemmeno dietro
sollecitazione sonora. Così è importante imparare ad osservarsi, sia dal di
dentro, cioè a sentire le sensazioni che accompagnano ciò che facciamo,
che dal di fuori, cioè guardando che aspetto assume il nostro corpo quando
eseguiamo dei movimenti (che ci procurano determinate sensazioni
corporee). Il percorso viene accompagnato, da subito, dalla componente
sonora, prima di tutto quella ritmica, che è la prima ad essere riscontrabile
nel movimento. Si impara a ri-conoscerla, poiché è già presente nell’istinto
motorio, specialmente nei movimenti ripetitivi. È una risposta individuale
e collettiva allo stesso tempo: il nostro ritmo si relaziona con quello degli
altri, e questo viene sperimentato nel modello dalcroziano con grande
attenzione. La scansione ritmica che coinvolge il Sé e l’Altro fin
dall’inizio serve a consolidare la dimensione individuale e quella collettiva
come propensioni naturali, che vanno sollecitate al fine di raggiungere
obiettivi socio-affettivi che coinvolgono ciascuno e tutti.
La disposizione nello spazio assume una funzione pedagogica di rilievo.
Laddove viene sperimentato il rapporto solo-tutti tra il conduttore e il
gruppo, la presenza della musica veicola con maggiore naturalezza il
concetto di rispetto del ruolo dell’adulto, soprattutto in quanto riferimento
formativo e affettivo; molte volte è un rapporto vissuto con disagio per
ragioni situazionali soggettive, pertanto va riequilibrato all’insegna di una

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riconquistata fiducia, che l’elemento sonoro-musicale appunto incarna, in
termini preventivi e curativi allo stesso tempo.
Obiettivo che viene bilanciato dalle disposizioni in cerchio, nelle quali
l’intervento sonoro-musicale di ciascuno assume pari importanza rispetto
agli altri, incoraggiando le timidezze e ridimensionando le esuberanze:
l’espressione musicale richiesta dalle varie consegne “obbliga” a una
produzione musicale con caratteristiche ben precise, scartando quelle non
adeguate al contesto del gioco specifico. Così l’equilibrio scaturisce dalla
creazione musicale stessa piuttosto che da precisi ordini verbali, a
vantaggio della serenità e dell’efficacia della comunicazione.
Il rapporto “uno a uno” tra i partecipanti e il rapporto “di gruppo”
vengono vissuti attraverso la creatività motoria, gestuale, musicale. È
sempre la musica a “presentare” esigenze da soddisfare e problemi da
risolvere. I partecipanti sentono unicamente la “pressione” dell’esprimere
l’identità musicale personale, di coppia, di gruppo a seconda delle attività
predisposte dall’insegnante o dal terapeuta. Essi modellano il proprio
“istinto” a ricercare da soli, insieme e in gruppo; a ricercare la “loro”
musica liberando se stessi, interagendo e cooperando, cercando, per lo più
senza saperlo, un equilibrio tra le parti. Non si tratta affatto di imparare a
negare se stessi in funzione della collettività, come erroneamente potrebbe
essere inteso, ma di imparare a valorizzare le molteplici possibilità di
azione e interazione. Attraverso la musica.
Il fatto che essa sia un “mezzo” non esclude che sia anche un “fine”. Il
veicolo musicale acquista efficacia dal suo essere trattato come arte, non
come sfondo. La sua presenza qui non è sostituibile. L’alfabetizzazione,

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l’interpretazione, la composizione sono attività di conoscenza
“specialistica” che arricchiscono ciascun individuo, fornendogli strumenti
sempre più corposi di interazione con la musica.
Dunque la chiave disciplinare non è accessoria, ma strettamente
funzionale. L’entità degli obiettivi varia a seconda dei contesti nei quali il
modello è impiegato. Lo stesso vale per la struttura dei giochi.
Le trenta attività non costituiscono un programma invariabile, ma
devono essere intese come punti nodali, tra i quali possono essere create
tappe intermedie in relazione ai percorsi intrapresi: insegnanti e terapeuti
dovrebbero intendere questi esempi come linea guida, insistendo su quelli
più funzionali al proprio ambito di lavoro, progettandone all’occorrenza
varianti e impiegando le musiche che meglio possono adattarsi ai propri
destinatari, anche al di là di quelle indicate (per le quali ci si è attenuti a
pochi suggerimenti, quelli più noti, che consentono un impiego più
immediato specialmente nella scuola).
Il modello dalcroziano si distingue per la ricchezza di spunti, perciò è
sempre auspicabile che ne venga incoraggiato un uso interdisciplinare,
lontano da tentativi di cristallizzazione, che tenga nella dovuta
considerazione anche gli altri apporti metodologici.

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5.2 Trenta attività.

1-Esercizi di riscaldamento.

Come per qualunque attività fisica, anche nel caso dell’euritmica


dalcroziana è sempre opportuno iniziare con un riscaldamento dei muscoli
e “sciogliendo” le articolazioni attraverso serie di movimenti dolci che
interessino, dissociandole, tutte le parti del corpo. Già dai primi incontri
l’insegnante si preoccupa di scandire il ritmo dei movimenti degli allievi
battendo le mani o usando un tamburello e contando i movimenti a voce
alta, ma solo per i primi esercizi. Poi potrà anche sonorizzare con la voce
(con schiocchi della lingua o altri suoni adeguati a ciascun movimento)
mantenendo il tempo, mantenendo i battiti della pulsazione.
Prima dell’esecuzione di gruppo, l’insegnante illustra la sequenza di
movimenti e avvia qualche prova d’insieme, anche senza scansione
ritmica, per favorire la memorizzazione.
L’attività che proponiamo comincia in piedi, con le gambe divaricate
alla stessa larghezza delle spalle e con le braccia rilassate lungo i fianchi.
Esercizio per la testa. Posizione iniziale: testa dritta, con lo sguardo in
avanti. E ora in otto tempi: 1) mento verso il petto; 2) testa dritta; 3)
piegare a destra, l’orecchio destro in direzione della spalla destra; 4) testa
dritta; 5) testa indietro; 6) testa dritta; 7) piegare a sinistra; 8) testa dritta.
Eseguire per due volte in senso orario e per altre due in senso antiorario.
Variante: 1) mento verso il petto; 2) piegare a destra, l’orecchio destro in

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direzione della spalla destra; 3) testa indietro; 4) piegare a sinistra. Prima
due volte in senso orario, poi due volte in senso antiorario (sul movimento
8 ci si ferma contando anche il movimento 1 della rotazione antioraria).
Esercizio per le spalle. Posizione iniziale: braccia rilassate lungo i
fianchi. E ora per otto pulsazioni: 1) alzare la spalla destra, in direzione
dell’orecchio destro; 2) spalla destra rilassata come nella posizione iniziale
(poi per otto pulsazioni con la spalla sinistra). Ripetere i punti 1 e 2.
Prima variante (da eseguire per due volte consecutive): quattro rotazioni
all’indietro della spalla destra, poi quattro della spalla sinistra (ciascuna
rotazione copre il tempo di una pulsazione).
Seconda variante: stessa cosa ruotando in avanti una spalla alla volta.
Esercizio per le braccia. Posizione iniziale: braccia dritte in alto. Si
distendono alternatamente verso l’alto, come per allungarsi, fino al
compimento di 8 tempi. Seguono 8 tempi a braccia rilassate lungo i
fianchi. (eseguire per due volte). Attenzione a non andare in punta di piedi.
Prima variante: rotazioni complete all’indietro del braccio destro e del
braccio sinistro alternati, per otto tempi; poi otto tempi di rotazione in
avanti, sempre a braccia alternate (eseguire per due volte).
Seconda variante: ruotare insieme le braccia all’indietro per quattro
tempi, poi in avanti per quattro tempi (eseguire per due volte).
Esercizi per il bacino. Posizione iniziale: gambe leggermente divaricate
e braccia aperte, col palmo della mano rivolto verso il basso. 1) Tendere
verso destra, come per toccare con le punte delle dita qualcosa di lontano
(per la durata di due tempi); 2) posizione iniziale (per due tempi); 3)

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tendere a sinistra (per due tempi), posizione iniziale (per due tempi)
(eseguire per due volte).
Variante: il braccio sinistro crea un arco sulla testa mentre il bacino si
piega a destra (contando quattro tempi in questa posizione); poi si torna
alla posizione iniziale (contando quattro tempi in questa posizione). Si
ripete la stessa cosa con l’altro braccio (eseguire per due volte).
Esercizio per le gambe. Posizione iniziale: in piedi con le gambe
divaricate un po’ più larghe delle spalle. 1) Mantenendo dritto il busto
piegare il ginocchio destro, spostando su di esso il peso del corpo
(contando quattro tempi in questa posizione); 2) tornare in posizione
iniziale (contando quattro tempi in questa posizione). Si ripete la stessa
cosa piegando il ginocchio sinistro (eseguire per due volte).
Esercizio per i piedi. Posizione iniziale: dritti con i piedi leggermente
divaricati. 1) Scivolare in avanti il piede destro mantenendo la punta delle
dita a contatto con il pavimento, per quattro pulsazioni. 2) Riportare
indietro il piede con lo stesso scivolamento, per quattro pulsazioni. Stessa
cosa con il piede sinistro (eseguire per due volte). Quando l’esecuzione
delle sequenze di movimenti risulterà più sciolta si potrà utilizzare una
musica come base. Un esempio: S. Prokofiev, da Racconti della vecchia
nonna, primo movimento: moderato.

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2-La pulsazione nei gesti quotidiani: il camminare.

L’insegnante introduce l’attività guidando i bambini a riconoscere la


pulsazione nei gesti quotidiani: il camminare è un movimento piuttosto
regolare che si presta molto a riprodurre la pulsazione. Su una musica,
meglio se suonata dal vivo, oppure sul ritmo eseguito con uno strumento a
percussione dall’insegnante, ciascuno cammina a modo proprio, ma
rispettando la pulsazione.
L’attività si svolge in brevi cicli: ad ogni nuovo inizio l’insegnante
sollecita a trovare vari modi di camminare, usando posture differenti,
anche una mimica differente.

3-L’imitazione.

Partendo dal gioco precedente l’insegnante incoraggia la creatività dei


bambini invitandoli ad osservare ciascuno la camminata degli altri e a
sceglierne una da imitare perché “più interessante, più curiosa, più buffa” e
così via. Il gioco inizia come nell’attività precedente, ma ad un “segnale”
concordato, per esempio un battito di mani che sostituisce o rafforza una
pulsazione della musica in corso, ciascun bambino comincia a seguire il
compagno di cui imitare il gesto. Così si formano piccole file di bambini
che eseguono la stessa camminata. I momenti di cambiamento di direzione
generano una breve confusione che non compromette la riuscita del gioco,

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perché ne fa parte. L’imitazione ha una funzione importante che, in primo
luogo, consiste nell’acquisire la capacità di uscire dai propri schemi e
adattarsi agli altri imparando a scegliere (in questo caso secondo il gusto e
secondo la simpatia nei confronti degli altri). L’esecuzione su brano
musicale rende più divertente la riuscita.
Un suggerimento: P.I. Tchaikovsky, dalla suite Lo schiaccianoci, Danza
degli zufoli.

4-Sonorizzazione dei gesti.

Il gioco precedente viene arricchito da una variante sonora, che consiste


nel sottolineare, con suoni e rumori vocali o con battiti delle mani o dei
piedi, la pulsazione della propria camminata. Questo stimola la creatività
attraverso la ricerca dell’ideale associazione gesto/suono, cioè della
coerenza tra il suono e il movimento che dal suono stesso deve essere
rappresentato. Può essere usato lo stesso brano.

5-Il gesto si adatta al suono.

Su una musica, se possibile improvvisata al pianoforte, i bambini


camminano seguendo la pulsazione e cercando di rappresentare, con
trovate gestuali, la dinamica e il carattere della musica. Dunque il passo

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può essere più veloce o più lento, più rumoroso o silenzioso, strisciato o
battuto, secondo quanto suggerito dal brano. Divertente l’esecuzione su
P.I.Tchaikovsky, dalla suite Lo schiaccianoci, Marcia.

6-Battiti di mani.

Sempre seguendo la pulsazione, chiediamo ai bambini di lasciare spazio


alla fantasia battendo le mani a tempo nelle direzioni che desiderano e
cambiando postura quando e come vogliono. La prima volta non vengono
date altre indicazioni. Alle volte successive si sollecita il rispetto della
dinamica, si suggerisce di seguire con lo sguardo le mani battute in varie
direzioni, si incoraggiano movimenti flessibili di tutto il corpo ed
espressioni del volto in tono col resto dei movimenti. Si può usare il brano
precedente.

7-Passeggiata con… sorpresa.

Ancora sulla scia del gioco precedente, su una musica improvvisata si


cammina a tempo di pulsazione. A sua discrezione e senza preavviso
l’insegnante inserisce un “effetto sorpresa” improvviso (un cluster, un
battito, un urlo o altro), che i bambini devono immediatamente cogliere e
sottolineare con gesti (una strana espressione del volto, un finto starnuto,
un salto accompagnato da una espressione vocale) bloccandosi i quella

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posizione. Quando la musica ricomincia, la camminata riprende. Se non è
possibile l’improvvisazione al pianoforte, si può usare una registrazione e
realizzare l’effetto sorpresa interrompendola di tanto in tanto in sincronia
con la produzione di un rumore scelto. È importante evitare di spiegare o
indicare troppo a priori; viceversa si cerca di porre il gruppo davanti a
situazioni nuove e inaspettate per osservare e sollecitare reazioni
estemporanee. Queste rispecchieranno sempre più lo stato emotivo
determinato dalla sorpresa stessa. Un suggerimento musicale: i temi del
gatto e del nonno in S. Prokofiev, Pierino e il lupo, si prestano all’attività.

8-Parti del corpo associate.

Finora i giochi sono stati incentrati prevalentemente sui battiti di mani.


Su una improvvisazione strumentale, anche con strumenti didattici, che
presenti una chiara scansione ritmica, proviamo adesso a realizzare la
pulsazione battendo entrambe le mani, prima alternate e poi insieme, su
altre parti del corpo (cosce, ginocchia, pancia, fianchi e così via a piacere).
Bisogna sempre invitare i bambini a muoversi plasticamente, evitando di
sentirsi frenati da movimenti rigidi.
Pertanto essi possono scegliere posizioni da seduti o distesi sul
pavimento.
Una variante consiste nel muovere, sempre sulla pulsazione, un’altra
singola parte del corpo (un gomito, il bacino, il mento, una palpebra)
puntando anche sull’ironia generata da movimenti più complessi o più
buffi. Più avanti si scelgono invece coppie di parti del corpo che si

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muovono insieme sulla pulsazione; diventa più divertente e utile associare
parti non facilmente coordinabili. In questo gioco è importante stimolare la
creatività in scelte che, tuttavia, rispettano limiti prefissati: la creazione
senza regole o limiti diventa disordine, mentre stabilire punti fermi
sollecita una costruzione ragionata che ricerchi varietà e originalità
autentiche. Vale la pena di sottolineare che l’ironia non ha una funzione
solo ai fini del divertimento, ma stimola l’analisi e il confronto tra i
movimenti propri e quelli degli altri, e li mette in rapporto con le proprie
intenzioni espressive.

9-Gioco di imitazione.

Per questo gioco si sceglie una base musicale dal ritmo chiaro e lineare.
Si costituiscono delle coppie nelle quali si stabilisca il ruolo di chi propone
e di chi risponde. L’insegnante lascia ascoltare alcune pulsazioni invitando
a stare attenti al momento in cui sta per indicare il primo battito della
sequenza (può contare otto battiti a vuoto o, meglio ancora, solo due prima
dell’attacco). Per i primi otto battiti il primo bambino propone una
semplice sequenza di gesti che l’altro deve imitare negli otto battiti
successivi. L’importanza di questo gioco sta nel creare una relazione
corretta nei confronti del compagno: si dovrà infatti riflettere, ma in fretta,
sui gesti da proporre, che non devono mettere in difficoltà l’altro ma gli si
devono “adattare”.
Questo deve spingere a “conoscere” i compagni e ad andare incontro
alle loro esigenze.

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Quando la sequenza di sedici battiti si conclude, l’insegnante dà un
segnale con un evento sonoro prestabilito (un suono, un fischio, un battito)
e i bambini iniziano una corsetta disordinata. Ad un altro segnale si
costituiscono subito nuove coppie il gioco ricomincia dai battiti d’attesa.
L’intesa deve essere immediata perché il tempo di decidere chi propone
e chi risponde è solo di pochi secondi. Quando i bambini raggiungono una
buona intesa si può provare a trasformare l’esercizio in coreografia: un
brano come La danza della fata confetto, dalla suite Lo schiaccianoci di
P.I. Tchaikovsky si adatta bene al gioco, considerando tuttavia che i
momenti di passaggio tra le sezioni interrompono temporaneamente la
regolarità ritmica (che non è più severa). Questo permette di abituare i
bambini a interpretare i brani con flessibilità, non come uno specchio
assoluto degli esercizi appresi.

10-Passaparola.

Si formano file di quattro bambini, si stabilisce l’ordine dal primo al


quarto partecipante.
L’insegnante batte la pulsazione con uno strumento a percussione
creando un tempo quaternario, accentando il primo battito. A partire dal
primo della fila inizia il “passaparola” di gesti e suoni: il secondo, il terzo
e il quarto della fila si inseriscono rispettivamente al secondo, terzo e
quarto battito. La fantasia suggerisce i movimenti più strani. Una variante

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assai divertente consiste nell’accompagnare il gesto con la sua
sonorizzazione.

11-Andature combinate.

L’insegnante mostra quattro andature e la relativa realizzazione grafica


con grandi cartelli: il passo (sul cartello corrispondente è segnata una
semiminima), la corsetta (realizzata graficamente con una coppia di
crome), il passo lento (la minima), il saltello (semiminima puntata più
croma).
Improvvisando con il pianoforte o con lo strumentario su queste cellule
ritmiche, l’insegnante fa realizzare separatamente le varie andature finché
non siano chiare le differenze. A questo punti l’improvvisazione può
alternarle. Il gruppo cambia i passi quando viene “sorpreso” dalla
variazione ritmica: qui si deve acquisire l’abilità di riconoscere e realizzare
le cellule ritmiche con sufficiente celerità.
Per consolidare la conoscenza si può realizzare la seguente variante: si
dispongono sul pavimento i cartelli con i disegni delle singole cellule
ritmiche in ordine sparso. L’insegnante suona seguendo una cellula per un
tempo non troppo breve, tutti girano intorno al cartello corrispondente con
la giusta andatura (passo, saltello, etc.). All’improvviso la musica cambia
ritmo e tutti corrono intorno al cartello che lo raffigura. I cambiamenti
diventano più frequenti quando gli allievi sono più sicuri. Le fasi iniziali
del gioco non vanno affrettate, allo scopo di consentire la corretta

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acquisizione del ritmo; inoltre non bisogna concettualizzare “spiegando” i
valori musicali, ma lasciare ampio spazio all’esperienza pratica.

12-Scenette.

Si formano gruppi di quattro persone. Si fa ascoltare una musica dalla


struttura e dal ritmo semplice. Ciascun gruppo sceglie di drammatizzare
una situazione a piacere.
Qui è molto importante la discussione sulla scelta: ognuno deve
esprimere la proprie motivazioni poiché alcuni movimenti sembreranno
più o meno adatti alla musica proposta. È bene lasciare al gruppo il tempo
necessario per scegliere la situazione e inventare la scenetta ritmando i
gesti. Da queste realizzazioni emergono molti aspetti riguardo al ruolo
sociale e al livello di coscientizzazione degli elementi musicali relativi a
ciascun allievo, la capacità di relazionarsi e coordinarsi all’interno del
gruppo. Qui si può suggerire l’uso del secondo brano da Pierino e il lupo,
di S. Prokofiev. Ma è un’attività che può acquistare caratterizzazione da
moltissime altre musiche descrittive.

13-La meccanica dell’orologio.

Si formano tre gruppi. Ciascun allievo è invitato ad immaginare se


stesso come una parte della meccanica dell’orologio. Ogni gruppo decide

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di muoversi realizzando una diversa cellula ritmica tra quelle illustrate con
i cartelli nei giochi precedenti; si sceglie un capogruppo che rappresenti
“sonoramente” il proprio gruppo scandendo la “propria” cellula ritmica
con uno strumento a percussione (legnetti, triangolo, scatole sonore; uno
diverso per ogni gruppo), mentre l’insegnante può aiutare a scandire la
pulsazione. Dopo che i gruppi avranno provato uno alla volta i loro
movimenti seguendo la propria cellula ritmica, i bambini “assembleranno”
le parti della meccanica dell’orologio avvicinandosi tra loro, anche
intrecciando le loro braccia o le gambe, in piedi o da seduti. L’insegnante
avvierà una esecuzione a gruppi uniti e al suo attacco inizieranno sia i
movimenti che le percussioni degli strumenti dei capigruppo, simili a
ticchettii d’orologio.

14-La frase sibilata.

Per realizzare questo gioco occorre un foulard. Ci si dispone in piedi in


cerchio.
L’allievo che tiene in mano il foulard prende fiato e comincia ad
eseguire una frase sibilata (soffiando l’aria pronunciando una “esse”
prolungata); può variare l’espressione del suo sibilato (per esempio
l’intensità) cercando di rappresentarlo visivamente coi volteggi del
foulard. Sul finire del fiato egli consegna il foulard a un compagno: si
scambiano i posti e si continua con l’altro bambino.

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Questo gioco attiva l’attenzione e la capacità di concentrazione
individuale e di gruppo perché ciascuno pensa a come esprimersi al
proprio turno e a come meglio sonorizzare un volteggio del fazzoletto. Può
anche di pensare prima al gesto che vuole realizzare e poi al suono sibilato
da adattarvi. Questi meccanismi sollecitano la creatività, il desiderio di
comunicazione espressivo-emotiva attraverso i gesti-suono. Una variante
può essere realizzata eseguendo il gioco con un sottofondo di brani di
diverso genere dal fraseggio lineare. Dopo aver ascoltato un brano o parte
di esso una o due volte, i bambini devono provare a realizzare il proprio
movimento nell’arco di una frase musicale prima di consegnare. Può
essere funzionale C. Saint-Saëns, da Il carnevale degli animali, Il cigno.

15-L’oggetto immaginario.

L’attività precedente può essere svolta fingendo di utilizzare un foulard


oppure un altro oggetto: al proprio turno ogni bambino può immaginare di
far volteggiare o muovere un oggetto qualsiasi, suggerito alla fantasia dal
carattere del brano. Il gioco è più divertente se condotto all’insegna
dell’ironia degli opposti. Per esempio: se una danza allegra può
sicuramente suggerire l’idea di una palla che rimbalza o di un grillo che
salta tra le mani, invece per ironia dell’opposto può essere rappresentata
con l’ideale trasporto di un macigno o dal traino di un autoarticolato.
Qui l’intero corpo viene coinvolto; l’espressione motoria che si realizza
sulla musica deve far capire agli altri l’oggetto immaginario trasportato.

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Appena “consegnato” ad un compagno in cerchio, l’oggetto si trasforma
subito in un altro, quello pensato dall’altro partecipante.
Divertente l’esecuzione sulla Danza russa, dalla suite Lo schiaccianoci
di P.I. Tchaikovsky, oppure su Fossili, da Il carnevale degli animali di C.
Saint-Saëns.

16-Il corpo plasmato.

Occorre formare delle coppie e stabilire quale dei due partecipanti


assume per primo il ruolo di guida (in seguito i ruoli si invertiranno). Si
sceglie un sottofondo musicale dal carattere dolce, che infonda serenità. Il
bambino che per primo si lascerà “plasmare” chiude gli occhi, la “guida”
comincia a muovere parti del corpo dell’altro, una alla volta (una mano, un
braccio, la testa, etc.) facendo durare il movimento quanto un’intera frase
musicale. Bisogna tenere presente l’idea di modellare il corpo dell’altro in
maniera armoniosa, con l’intenzione di procurare benessere. Pertanto i
gesti sono misurati, dolci, non devono mai compromettere l’equilibrio,
devono essere condotti in modo tale da suscitare nel soggetto “plasmato”
un senso di fiducia assoluta in colui che lo “modella”.
Dopo aver invertito i ruoli il gioco può essere svolto secondo questa
variante: i due soggetti mettono in contatto una parte del proprio corpo,
non necessariamente la stessa (tempia contro tempia, testa contro spalle,
etc.) La guida deve muoversi lentamente e l’altro deve seguirne le
direzioni e le intenzioni intuendole solo dal movimento del compagno.

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Questo gioco può essere svolto sulla

17-Danza a corpo libero.

Il gioco precedente viene ora reso libero attraverso un più ampio


movimento nello spazio. Si formano ancora delle coppie; questa volta chi
assume il ruolo di guida può muovere il proprio compagno nello spazio
creando con il proprio movimento e con quello dell’altro una vera
coreografia. Il bambino guidato, ovviamente non può più essere plasmato
in tutti i gesti che può eseguire poiché viene anche spostato nello spazio:
pertanto può cogliere l’input dato dalla propria guida per continuare e
completare armoniosamente il gesto avviato, senza interrompere
bruscamente il movimento quando cessa il contatto con la guida. Per
esempio la guida può prendere per mano il compagno, guidarlo a girargli
intorno e poi lasciargli la mano: a questo punto il secondo prosegue quel
movimento ancora per poco, come se volesse impiegare l’energia non
ancora esaurita. Oppure ancora la guida può dare un impulso ad un braccio
dell’altro come per lanciarlo lievemente verso l’alto e il compagno
proseguire con una rotazione ampia. È importante suggerire ai bambini di
ascoltare attentamente la musica, poiché essa stessa suggerisce il
movimento. Un suggerimento: Valzer dei fiori, dalla suite Lo
schiaccianoci di P.I. Tchaikovsky.

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18-Direzione del corpo nello spazio.

In questo gioco si partecipa uno alla volta come direttori del gruppo.
Come un direttore dirige l’orchestra con i gesti, allo stesso modo qui dirige
gli spostamenti dell’intero gruppo con la propria mimica. Bisogna essere
molto attenti nelle scelta dei brani: quelli vivaci non si prestano molto a
questa attività, sono preferibili quelli lenti o moderati chiari nel fraseggio.
Anche qui si possono scegliere brani viversi per ottenere diverse rese
espressive.
L’allievo scelto come direttore sarà invitato a riflettere prima
dell’attività sulla serie di gesti da usare per farsi intendere dal gruppo. Per
esempio può simulare con le mani una spinta lontano da sé per indicare al
gruppo di indietreggiare, viceversa può eseguire con le mani il gesto di
accogliere verso di sé per indicare di avvicinarsi.
I movimenti del direttore sono più belli e comunicativi se sono plastici
piuttosto che rigidi e schematici e se interessano tutto il corpo rispettando
sempre il fraseggio.
Una variante più interessante anche dal punto di vista estetico è data
dalla divisione estemporanea del gruppo in due sottogruppi. Inizialmente
l’attività inizia a gruppo intero, poi il direttore indica con le mani di
dividersi in due gruppi (per esempio mettendo i dorsi delle mani a contatto
e allontanando le mani rispettivamente verso destra e verso sinistra:
ciascuno dei partecipanti si sposta verso destra o sinistra in relazione alla
sua posizione nel gruppo al momenti di quella indicazione.) A questo

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punto le due mani possono dirigere ciascuna gli spostamenti di un gruppo.
Con un po’ di abilità e fantasia si possono ottenere coreografie
estemporanee di bell’effetto.

19-L’orchestra di strumentini.

Ci si dispone in cerchio, ciascuno tiene uno strumento didattico. Questo


gioco può essere eseguito a diversi livelli di difficoltà poiché ad ogni
ripetizione diventano evidenti le abilità acquisite dagli allievi.
Un direttore, con gesti chiari rivolti ad uno o a più strumenti desiderati,
ordina estemporaneamente l’esecuzione di un ritmo esemplificandolo con
il battito delle mani. Quando vuole indica ad un altro strumento di
aggiungersi e procede anche con sostituzioni di strumenti, badando sempre
alla chiarezza dei gesti d’attacco e di chiusa. Gli strumenti possono essere
preventivamente divisi in sottogruppi secondo il timbro. Si possono anche
scrivere su una lavagna dei riquadri contenenti cellule ritmiche differenti:
il direttore può indicare la prima e dare l’attacco a uno strumento, nel
frattempo indicarne un’altra, che dovrà essere eseguita dal prossimo
strumento indicato al prossimo attacco, sollecitando così in tutti prontezza
e concentrazione.
Spesso queste improvvisazioni sembrano riprodurre danze, ritmi di brani
noti, atmosfere particolari anche applicando forme semplici, come una
forma ternaria (ABA), un rondò (ABACADA) e così via.

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20-Il rombo.

Si tratta di un’attività tra quelle più efficaci nel rafforzare l’intesa del
gruppo. Quattro allievi si dispongono come vertici di un rombo; torna
ancora la figura della guida, ma la particolarità del gioco consiste nel
creare una coreografia estemporanea nella quale non sia “riconoscibile”
agli spettatori colui che occupa questo ruolo.
I quattro bambini si dispongono in modo che un vertice sia più vicino
agli spettatori. Iniziata la musica chi occupa il vertice anteriore comincia a
realizzare movimenti coerenti con la durata e il carattere del fraseggio
musicale, come in una danza. I movimenti sono lenti affinché gli altri
vertici possano eseguirli quasi simultaneamente, senza che il pubblico
possa accorgersi che non si tratta di una coreografia preparata. Quando il
vertice-guida ha completato la propria o le proprie frasi, volge lo sguardo e
il corpo in direzione del vertice destro. Questo è il segnale del passaggio
del ruolo di guida al compagno di destra: il gesto è sempre lento e misurato
allo scopo di dare vita a una figura di gruppo che sia uniforme, omogenea.
Il gioco continua allo stesso modo finché tutti non abbiano ricoperto il
ruolo di vertice-guida.
È un gioco di grande effetto nel quale vengono impiegati
armoniosamente tutti gli elementi e le competenze corporee e musicali
acquisite fino a questo momento, e soprattutto emerge lo spirito di unione,
il desiderio di uniformità espressivo-emotiva cui i bambini tendono fin
dall’inizio.

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Brani consigliati: andantino (secondo movimento), da Racconti della
vecchia nonna, di S. Prokofiev, oppure Acquario, da Il carnevale degli
animali di C. Saint-Saëns.

21-Esercizio di contrazione improvvisa.

Questo esercizio ha anch’esso una funzione di riscaldamento muscolare


preparatoria alle attività, ma in più insiste sulla presa di coscienza del tono
e del movimento dei singoli muscoli, aspetto fondamentale delle tecniche
di consapevolezza ed espressione corporea e delle tecniche corporee
funzionali. Va condotto con molta calma, con voce serena, le parole vanno
articolate lentamente e in maniera chiara, ma non ad alta voce. Tutto il
contesto deve contribuire a comunicare benessere e relax.
L’insegnante fa distendere gli allievi su tappetini gommati, sceglie come
sottofondo una musica che favorisca l’atmosfera rilassata che desideriamo,
magari contenente suoni archetipici: a questo scopo infatti è opportuno
evitare brani con struttura e fraseggio immediatamente evidenti, che
potrebbero catturare l’attenzione verso i contenuti musicali, e preferire
atmosfere sonore piuttosto statiche.
Si chiede agli allievi di chiudere gli occhi e rilassarsi. Le formule che
seguono sono simili a quelle usate nel training autogeno e nelle varie
forme di rilassamento frazionato. Il punto fermo indica una pausa della
voce lunga dai cinque ai dieci secondi. La pausa è più lunga quando
cambia il contesto da immaginare.

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Mi rilasso. Il mio corpo aderisce al pavimento. Sento il peso


dei piedi. Delle gambe. Delle cosce. Del bacino. (Si continua
elencando molto lentamente le altre parti del corpo).
Vedo un punto luminoso in alto. Dal punto luminoso scende un
raggio caldo. Mi illumina il piede destro. Avverto un calore
piacevole. Ora si sposta verso la gamba. Sento il calore del punto
luminoso che sale lentamente verso la gamba. Ora sale ancora. Si
ferma sul ginocchio destro. Sento il calore. ( Si continua facendo
immaginare il passaggio del punto luminoso e del suo calore per
tutto il corpo).
Ora vedo un paesaggio di campagna. Una collina: sono disteso
su un prato verde chiaro. Ci sono molti piccoli fiori di campo.
C’è un bel sole tiepido. (Si può insistere sull’atmosfera) Ora mi
concentro sul mio corpo. Il sole illumina me disteso sul prato e mi
scalda. I miei piedi sono rilassati. Le mie gambe sono rilassate.
(Si prosegue con il resto del corpo)
Sento il mio viso. Muovo leggermente la bocca. Ho ancora gli
occhi chiusi ma comincio a muoverli. Piano piano riapro gli
occhi. Muovo leggermente le mani. Le braccia. Le gambe. La
testa.

Questo modello è molto importante soprattutto perché mira al benessere


psicofisico e prepara alla seconda fase, che può essere eseguita dopo alcuni
minuti dalla prima o in altro incontro.

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In una successiva esperienza l’insegnante fa distendere nuovamente gli
allievi e ripete la prima esperienza fino al completamento della parte
sull’immaginazione del punto luminoso.
Ribadita più volte l’idea di rilassamento, l’insegnante “a sorpresa”
produce un forte battito di mani: questo provoca una reazione fisica
improvvisa, una contrazione muscolare a diversi livelli, secondo il
soggetto. L’insegnante ripristina lo stato di relax, con voce calma, invita a
contrarre il piede destro non appena si sentirà un forte battito di mani.
Da ora si susseguono molte brevi esperienze incentrate sulla contrazione
degli muscoli, indicati di volta in volta dall’insegnante, il quale dopo ogni
“effetto sorpresa” riconduce alla calma attraverso frasi generiche come
«mi rilasso, il mio corpo è lieve, sono tranquillo».
La contrazione può essere provata anche con coppie di muscoli (per
esempio mano e piede destri o sinistri). Si preferisce non complicare
troppo le associazioni e includere anche i muscoli del viso, per poi arrivare
a contrarre tutto il corpo. Questo esercizio abitua a concentrare le energie
convogliandole secondo volontà.

22-Corsa sonorizzata.

Lo scopo di questa attività è di alternare fasi di accumulo di energia a


momenti di sfogo.
L’insegnante, con un braccio in alto o salendo su uno scalino, tiene un
tamburello con la pelle rivolta verso il gruppo. Gli allievi si dispongono in

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fila, uno dietro l’altro, di fronte al tamburello, ma distanti. Uno alla volta
prendono una rincorsa, che termina con un salto e con un colpo della mano
contro il tamburello. La rincorsa viene sonorizzata dalle voci compagni
(con un coro in crescendo), e così pure il colpo di mano (con un’esplosione
vocale). La funzione è quella di rafforzare col suono l’accumulo e lo
scaricamento di energia motoria.

23-Il percorso sonoro.

Per creare un percorso sonoro occorre liberare uno spazio


sufficientemente ampio. Sono necessari dei cerchi (modello hula hop),
corde per saltare, materassini di gomma, tamburelli e strumenti didattici
vari, oggetti sonori e non sonori.
Si formano delle coppie di bambini. Ciascuna coppia annota su un foglio
grande l’inventario dei materiali a disposizione. L’insegnante farà in modo
da fornire un numero di oggetti che consenta di usarli in gruppi di due, tre
o quattro per realizzare il relativo numero di pulsazioni in tempi binari,
ternari e quaternari. Ciascuna coppia disegna sul foglio un percorso,
disponendo (secondo un ordine a piacere) i simboli degli oggetti.
Accanto ai simboli, oppure scrivendo una legenda a parte, sarà indicato
cosa bisogna fare con gli oggetti (saltarci dentro, percuoterli, lanciarli, etc).
Un esempio: l’insegnante chiede di realizzare un percorso in tempo
ternario. I bambini possono disporre in fila: tre cerchi, tre palloni, tre

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campanelli sospesi, tre tamburelli (gli strumenti possono essere tenuti dagli
altri compagni, posizionati lungo il percorso).
Al proprio turno ciascuna coppia inizia il proprio percorso; l’insegnante
batte il tempo o avvia un brano adatto, i bambini concordano un cenno per
iniziare insieme: eseguono tre salti nei tre cerchi, danno tre calci ai tre
palloni, tre battiti ai campanelli e tre ai tamburelli, etc. I gesti possono
essere accompagnati da suoni vocali concordati, battiti di mani, espressioni
del volto.
È un gioco che attiva l’attenzione in modo particolare, perché i bambini
devono calibrare la velocità dei movimenti in base al tempo della musica
che sarà usata o in base al tempo che sceglieranno liberamente. Quindi la
relazione gesto-suono-musica riceve una forte sollecitazione creativa.
L’insegnante può volgere in coreografia gli interventi inventati dalle
varie coppie e metterli in successione per dare luogo ad un momento di
carattere ludico-performativo.

24-Il gruppo-pulsazione.

Si formano quattro gruppi che rispettivamente assumono il ruolo di


primo, secondo, terzo e quarto movimento di un tempo quaternario.
L’insegnante scandisce di continuo la pulsazione su uno strumento a
piacere, accentando il primo dei quattro battiti e fa esercitare ciascun
gruppo, da solo, a battere le mani sul movimento che gli spetta (il primo

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gruppo batterà sempre sul primo movimento, il secondo batterà sempre sul
secondo movimento, etc.).
Il gioco comincia con l’insegnante che avvia una pulsazione regolare;
quando desidera pronuncia “uno” per chiamare il primo gruppo a battere il
“suo” colpo nel movimento che gli spetta, e va avanti per alcune battute,
ossia insiemi di quattro battiti. Con altro cenno del capo o pronunciando
“stop“ indica di smettere. Prosegue così con gli altri gruppi, prima a turno,
poi in ordine sparso. Quando i gruppi diventano più ricettivi, l’insegnante
può chiamare i numeri di due gruppi contemporaneamente (“uno e due” ;
“uno e tre”; etc.), poi tre, poi tutti.
Successivamente il gioco può essere realizzato usando espressioni
vocali, gesti, rumori, strumentini concordati prima entro ogni gruppo. Ne
nascono composizioni estemporanee simpatiche e interessanti dalle quali
emerge già una consapevolezza ritmico-melodica, un certo “gusto
compositivo e improvvisativo” che va formandosi procedendo con il
percorso.

25-L’onda ritmica.

Il gruppo si dispone in piedi su due o tre file. L’insegnante scandisce un


tempo quaternario: ad un suo cenno i bambini, sul primo movimento,
battono a terra il piede sinistro lontano dal destro e lo strisciano verso
l’interno per la durata degli altri tre movimenti. Al primo movimento
successivo battono a terra il piede destro lontano dal sinistro e lo strisciano

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verso l’interno per la durata degli altri tre movimenti. A questo punto si
può aggiungere un battito di mani (o un suono con strumenti a
percussione), facendolo cadere su un movimento concordato a priori, ma
che non sia il primo. L’effetto coreografico di questi giochi deve offrire
spunto per nuove elaborazioni suggerite dai bambini, al fine di
incoraggiare la loro creatività nel percorso di acquisizione di abilità
motorie-musicali.

26-L’improvvisazione su base musicale.

Quest’attività va proposta di frequente in quanto vera e propria


produzione musicale di sintesi tra l’improvvisazione pura e l’esercizio
delle competenze attuali.
Si sceglie una base musicale che ben si presti ad un accompagnamento
con lo strumentario didattico, come per esempio le danze latino-americane.
Si formano dei gruppi, ciascuno dei quali sceglie strumenti simili per
timbro. L’insegnante scrive per ogni gruppo una breve frase ritmica
formata dalla combinazione di cellule ritmiche già sperimentate, cercando
di evitare sovrapposizioni monotone. Avviata la base musicale, i gruppi
cercano di individuare il movimento in battere su cui cominciare a
suonare. I questa esecuzione essi acquisiscono molta autonomia, che
consente di inserire qualche variazione estemporanea.

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27-Plastique animée.

Si formano dei gruppi e si fa loro ascoltare un brano che abbia


caratteristiche marcate sia a livello della struttura che degli elementi
espressivi. L’insegnante sollecita un ascolto analitico e invita ciascun
gruppo a inventare una scenetta/coreografia nella quale i gesti e le
sequenze di movimenti rappresentino gli elementi musicali più marcati.
Gli allievi sono liberi di fantasticare sulle situazioni che l’ascolto di un
brano potrebbe suggerire e su come realizzare praticamente, spostandosi
nello spazio, le frasi musicali.
Per esempio una struttura ABA potrebbe essere resa eseguendo nelle
sezioni uguali le stesse sequenze di movimenti; i suoni staccati e il
carattere brillante possono suggerire la scena di una partita a pallacanestro
oppure la preparazione di un dolce in cucina; dunque situazioni molto
diverse fra loro, nelle quali le caratteristiche della composizione danno ai
partecipanti l’idea su come diversificare i compiti, cioè su come
intervenire entro la struttura musicale. Ciascuno agisce rappresentando una
frase musicale e allo stesso tempo interagendo con i compagni. Si può
realizzare il gioco più volte con musiche diverse. Ancora qui si possono
ricavare molti spunti da Il carnevale degli animali di C. Saint-Saëns.

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28-La palla ritmica.

La relazione tempo-spazio-energia è protagonista anche di questi


esercizi ludici.
L’obiettivo è la coscientizzazione del rapporto fra il tempo della
pulsazione, lo spazio percorso per la realizzazione motoria della battuta
musicale e l’intensità del gesto risultante. Un gioco preparatorio consiste
nel camminare sulla pulsazione di una musica in tempo quaternario (poi
ternario) battendo le mani in basso (sul battere) e ruotando le braccia
dall’interno verso l’alto, poi verso l’esterno e il basso, fino a battere
nuovamente le mani in basso (sul battere successivo). Se si lavora su
improvvisazione pianistica l’insegnante può alternare sezioni in tempi
diversi.
L’ampiezza e la velocità del gesto si modificano in rapporto alla velocità
della musica.
L’attività che chiamiamo della “palla ritmica” funziona sullo stesso
principio, ma con l’uso di un oggetto, appunto una pallina.
Si forma un cerchio. Su una musica improvvisata un bambino lancia la
pallina contro il pavimento, in direzione di un compagno, in
corrispondenza dell’accento forte della misura: la pallina deve rimbalzare
ed essere presa dall’altro rispettando il tempo della pulsazione. La forza e
l’ampiezza del gesto del lancio devono essere adeguate al tempo di
esecuzione del brano, considerato che il secondo bambino dovrà lanciare a
terra sull’accento forte della misura successiva. Anche dal punto di vista

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coreografico si deve cercare di “rappresentare” gli elementi strutturali ed
espressivi della musica, evitando di pensare solo a mantenere il tempo
senza curarsi dell’espressione corporea. Quando gli allievi raggiungono un
livello di competenza che lo consenta, si può provare a lavorare anche su
tempi quinari.

29-I tempi nei passi.

Per interiorizzare i tempi binari, ternari e quaternari, già esercitati


attraverso molti giochi, fissiamo “coreograficamente” i tempi.
L’insegnante improvvisa o sceglie alcune basi nei tempi che interessano,
associandoli a sequenze di due, tre, quattro passi come negli esempi che
seguono.
Tempo binario. Si parte da uno stato di posa sul piede sinistro.
Sull’accento forte del tempo binario (primo movimento), si “cade” avanti
sul piede destro; sull’accento debole (secondo movimento) si cade indietro
sulla pianta del piede sinistro. La rappresentazione del tempo binario
realizza un ondeggiamento in avanti e indietro.
Tempo ternario. Piede destro avanti al centro (primo movimento), piede
sinistro indietro a sinistra (secondo movimento), piede destro a destra
(terzo movimento): descrivendo con i piedi un triangolo per ogni misura.
Alla misura successiva: piede sinistro avanti al centro (primo movimento),
piede destro indietro a destra (secondo movimento), piede sinistro a
sinistra (terzo movimento).

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Tempo quaternario. Piede destro avanti (primo movimento), piede
sinistro avanti (secondo movimento), piede destro indietro (terzo
movimento), piede sinistro indietro (quarto movimento): descrivendo con i
piedi un quadrato.
Per eseguire queste “danze” ci si può disporre in schieramento o in
cerchio e accompagnarsi con battiti di mani o percussioni o espressioni
vocali, sviluppando formule in cui l’accento forte di una misura è scandito
da una persona sola e l’accento forte della misura successiva è scandito da
tutti. Divertente l’esecuzione rispettivamente su Asini, Elefante, Finale da
Il carnevale degli animali di C. Saint-Saëns.

30-Il ritmo nel testo.

Quando gli allievi avranno già condotto numerose esperienze e


metabolizzato una buona quantità di elementi della grammatica e
dell’espressione musicali, si potrà proporre loro la ricerca o l’invenzione di
testi in tempi binari, ternari e quaternari.
Questi testi possono essere impiegati come cori parlati, nei quali giocare
con l’intonazione e le varianti espressive, associati a giochi come quello
della “palla ritmica”, eseguiti in coppie o in gruppo.
L’insegnante si preoccuperà sempre di accogliere le idee dei partecipanti
verificando il rispetto delle scelte metriche e incoraggerà l’invenzione di
varianti che prevedano l’impiego, anche simultaneo, delle componenti
coreutica, musicale e verbale.

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Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 173


Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
Rosa Alba Gambino
1978 trad. it. La nascita dell’intelligenza nel
fanciullo, Giunti-Barbera, Firenze
1945 La formation du Symbole chez l’enfant,
Delachaux et Niestlé, Neuchâtel, Paris
1972 trad. it. La formazione del simbolo nel
bambino, La Nuova Italia, Firenze
1947 La psychologie de l’intelligence, Colin, Paris
1952 trad. it. Psicologia dell’intelligenza, Giunti-
Barbera, Firenze

Piazza G.
1979 Orff-Schulwerk, musica per bambini, manuale,
Edizioni Suvini-Zerboni, Milano
1983 Orff-Schulwerk, musica per bambini,
esercitazioni pratiche, Edizioni Suvini-Zerboni,
Milano

Pontecorvo C.
1983 (a cura di) Concetti e conoscenza, Loescher,
Torino

Porena B.
1981 Nuova didattica della musica, Ricordi

Schaeffer P.
1966 Traité des Objectes Musicaux, Seuil, Paris

Schultz J.H.
1978 Il Training Autogeno, metodo di auto
distensione e concentrazione psichica,
Feltrinelli, Milano

Shahidullah S.B., Hepper P.G.


1994 Frequency discrimination by the fetus, Early
Human Development

Sloboda J.

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 174


Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
Rosa Alba Gambino
1985 The Musical Mind. The Cognitive Psychology
of Music. Oxford University Press, Oxford
1988 trad. it. La mente musicale, Il Mulino, Bologna

Stefani G.
1998 Musica: dall’esperienza alla teoria, Ricordi,
Milano

Vygotskij L.S.
1934 Thinking and speech, Plenum, New York
1990 trad. it. Pensiero e linguaggio, Laterza, Roma-
Bari
1978 Mind in society, Cambridge University Press,
Cambridge
1987 trad. it. Il processo cognitivo, Bollati
Boringhieri, Torino

Willems E.
1966 Il ritmo musicale, SEI, Torino
1975 L’orecchio intelligente, vol I, Zanibon, Milano
1977 L’orecchio intelligente, vol I, Zanibon, Milano

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 175


Pedagogia musicale e musicoterapia nel modello di Émile Jaques Dalcroze
Rosa Alba Gambino

Pedagogia musicale e musicoterapia


nel modello di Émile Jaques – Dalcroze

Rosa Alba Gambino

Edizioni Circolo Virtuoso

ISBN: 978 – 88 – 97521 – 10 – 5


Prezzo: € 15,90

Edizioni E-book Circolo Virtuoso 2011 Pagina 176

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