Sei sulla pagina 1di 484

Traduzione di Claudio Andrea Klun e Sahaja Mascia Ellero

Revisione editoriale di Sahaja Mascia Ellero

Copyright © 2002 Hansa Trust


Copyright © 2011 Ananda Edizioni
Tutti i diritti riservati

Si ricorda che la scelta e la prescrizione di una giusta terapia spettano esclusivamente al medico
curante, che può anche valutare eventuali rischi collaterali. Notizie, preparazioni, ricette, esercizi,
suggerimenti contenuti in questo volume non hanno alcun valore terapeutico. Pertanto l’Autore e
l’Editore non sono responsabili per eventuali danni o incidenti derivanti dall’utilizzo di queste
informazioni senza il necessario controllo medico (autoterapia, automedicazione, autoprofilassi e così
via).
AUM.
Offro queste lezioni ai piedi
del Signore Infinito,
che nella Sua compassione
si è manifestato sulla terra
nella sacra forma del mio guru,
Paramhansa Yogananda.
SWAMI KRIYANANDA all’inizio degli anni ’70, all’epoca
della prima pubblicazione di questo libro in America.
INDICE

Prefazione di Nayaswami Shivani


Nota dell’Editore
Consigli per lo studio

LEZIONE 1
La storia dello yoga
Filosofia: La storia dello yoga
Posizioni yoga: Istruzioni speciali per la pratica delle posizioni yoga.
Balasana, Bhujangasana, Utkatasana
Respirazione: Che cos’è il respiro. Un esercizio in Savasana
Sequenze: Consigli per la pratica
Guarigione: Insonnia, prima parte
Alimentazione: Insonnia, seconda parte
Meditazione: Che cos’è la meditazione. Un esercizio

LEZIONE 2
I sentieri dello yoga
Filosofia: I sentieri dello yoga
Posizioni yoga: Principi e pratiche di base. Vrikasana,
Ardha Chandrasana, Trikonasana, Paschimotanasana, Halasana
Respirazione: Il prana. Un esercizio per migliorare l’umore
Sequenze: Una sequenza di 30 minuti
Guarigione: Integrazione contro disintegrazione
Alimentazione: I cibi rinfrescanti
Meditazione: Dove, come, quando meditare

LEZIONE 3
L’Ashtanga Yoga di Patanjali
Filosofia: L’Ashtanga Yoga di Patanjali: il sentiero degli otto passi
Posizioni yoga: L’importanza del rilassamento. Savasana, Paschimotanasana
Respirazione: La Respirazione yogica completa
Sequenze: Una sequenza di 30 minuti
Guarigione: Ipertensione e nervosismo
Alimentazione: L’importanza dei cibi naturali
Meditazione: L’uso delle immagini e della visualizzazione

LEZIONE 4
Yama
Filosofia: Yama
Posizioni yoga: La spina dorsale come fiume della vita. Vrikasana,
Padahastasana, il Piegamento all’indietro in piedi, Janushirasana, Dhanurasana
Respirazione: Sitkari Pranayama
Sequenze: Una sequenza di 30 minuti
Guarigione: La stanchezza cronica
Alimentazione: Alimenti armoniosi e stimolanti
Meditazione: Yama e meditazione

LEZIONE 5
Niyama
Filosofia: Niyama
Posizioni yoga: Dalla dualità all’unità. Ardha Dhanurasana, Navasana,
Karnapirasana, Chakrasana, Simhasana
Respirazione: I movimenti fondamentali della respirazione.
Chandra Bedha Pranayama
Sequenze: Una sequenza di 40 minuti
Guarigione: Problemi respiratori
Alimentazione: Il digiuno
Meditazione: La supercoscienza

LEZIONE 6
La vita è un campo di battaglia
Filosofia: La vita è un campo di battaglia
Posizioni yoga: L’importanza dell’atteggiamento mentale.
Pavanamuktasana, Uddiyana Bandha, Ardha Mayurasana, Vajrasana
Respirazione: Il rapporto tra il respiro e gli stati di coscienza
Sequenze: Regole per creare le sequenze. Due sequenze
Guarigione: Disturbi dell’apparato digerente
Alimentazione: Consumo di carne e vegetarianismo
Meditazione: Elevare l’energia interiore
LEZIONE 7
Le affermazioni, prima parte
Filosofia: Le affermazioni, prima parte
Posizioni yoga: Il rapporto tra postura fisica e atteggiamento mentale.
Sasamgasana, Supta-Vajrasana, Viparita Karani
Respirazione: Respirazione e affermazioni. Nadi Shodhanam
Sequenze: Variante alle sequenze della lezione sesta
Guarigione: Problemi di peso
Alimentazione: I germogli
Meditazione: Meditare sugli elementi

LEZIONE 8
Le affermazioni, seconda parte
Filosofia: Le affermazioni, seconda parte
Posizioni yoga: Le posizioni da seduti. Siddhasana, Padmasana,
Ardha Padmasana, Sukhasana
Respirazione: Consigli per la pratica. Nadi Shodhanam
Sequenze: Introdurre nella sequenza le posizioni da seduti
Guarigione: L’importanza dell’allineamento vertebrale
Alimentazione: Il potere della mente
Meditazione: Preghiera, canto, japa e mantra

LEZIONE 9
Energia e ricarica
Filosofia: Energia e ricarica
Posizioni yoga: Applicare i principi della ricarica alle posizioni yoga.
Ustrasana, Ardha Salabhasana, Ardha Matsyendrasana, Akarshana
Dhanurasana, Garudasana
Respirazione: Kapalabhati Pranayama
Sequenze: Varianti
Guarigione: Circolazione sanguigna
Alimentazione: Semplicità in ogni cosa
Meditazione: La concentrazione

LEZIONE 10
Il magnetismo
Filosofia: Il magnetismo
Posizioni yoga: Aumentare il magnetismo con le posizioni yoga.
Parvatasana, Salabhasana, Matsyasana, Yoga Mudra, Dhanurasana
Respirazione: L’equilibrio tra inspirazione ed espirazione
Sequenze: Varianti
Guarigione: Problemi sessuali
Alimentazione: Cibi sattwici, rajasici e tamasici
Meditazione: A. Tempi e modi della pratica di Hong-So
B. Il magnetismo

LEZIONE 11
Il guru
Filosofia: Il guru
Posizioni yoga: Le posizioni capovolte. Sarvangasana, Sirshasana
Respirazione: L’importanza di respirare attraverso le narici. Sitali Pranayama
Sequenze: Introdurre nella sequenza le posizioni capovolte
Guarigione: Il mal di testa
Alimentazione: “Diete” a base di aria e di sole
Meditazione: L’importanza della devozione. Meditazione sul guru

LEZIONE 12
L’anatomia dello yoga, prima parte
Filosofia: L’anatomia dello yoga, prima parte
Posizioni yoga: Posizioni avanzate. Nauli, Mayurasana
Respirazione: Surya Bedha Pranayama
Sequenze: Proporzione tra posizioni yoga e meditazione
Guarigione: Occhi, orecchie e denti
Alimentazione: Vibrazioni e alimentazione
Meditazione: L’atteggiamento (prima parte)

LEZIONE 13
L’anatomia dello yoga, seconda parte
Filosofia: L’anatomia dello yoga, seconda parte
Posizioni yoga: Kechari Mudra, Aswini Mudra, Jalandhara Bandha,
Jivha Bandha
Respirazione: Jalandhara Bandha, Ujjayi Pranayama
Sequenze: Introdurre i bandha nella sequenza
Guarigione: Le gambe e i piedi
Alimentazione: Ayurveda e alimentazione
Meditazione: L’atteggiamento (seconda parte)

LEZIONE 14
Il disegno yogico della vita
Filosofia: Il disegno yogico della vita
Posizioni yoga: Portare gli atteggiamenti yogici nella vita quotidiana
Respirazione: Acquietare il respiro
Sequenze: Personalizzare le sequenze
Guarigione: La pelle
Alimentazione: Alimentazione per la meditazione
Meditazione: Segni di progresso spirituale

Un saluto finale allo studente


PREFAZIONE

Nella sua lezione di yoga, l’insegnante aveva parlato approfonditamente


dell’argomento del giorno: la scienza del Raja Yoga. Alla fine del suo
discorso, avendo notato che uno degli studenti era stato particolarmente
attento, gli chiese: «Bene, Pietro, hai domande o commenti?». «Oh, è stata
una lezione fantastica!» rispose l’allievo. «Non ho capito quasi nulla, ma
era tutto così profondo!».
Non c’è bisogno di avvicinarsi alla millenaria scienza dello yoga con
timore reverenziale e trepidazione. Come ci dimostra Swami Kriyananda in
questo libro, lo yoga, per sua natura, è profondamente semplice ed
estremamente pratico. Se ti stai avvicinando allo yoga per la prima volta,
non potresti scegliere una guida migliore per orientarti. Oppure, se nel tuo
viaggio spirituale stai attraversando un momento di stasi e ti senti smarrito
in labirinti filosofici, questo libro ti offre una mappa sicura per raggiungere
la realizzazione del Sé.
Questo libro mi accompagna nel mio viaggio spirituale da più di
quarant’anni. L’ho letto la prima volta quando era ancora un manoscritto e
uso ancora una vecchia edizione, tutta sottolineata e piena delle annotazioni
che ho fatto in questi anni di riflessioni e scoperte. Ho messo in pratica i
suoi precetti e li ho insegnati a migliaia di studenti e a centinaia di aspiranti
insegnanti in molti Paesi e in molti continenti. Non ho mai trovato un altro
libro che insegnasse il Raja Yoga in modo così chiaro ed esaustivo, come
una scienza applicata. Oggi questo libro è usato in scuole e centri di yoga in
tutto il mondo, per introdurre nuove generazioni di persone al loro più alto
Sé.
Paramhansa Yogananda, il maestro indiano che ebbe il compito di
portare e divulgare lo yoga in Occidente, era solito dire ai suoi studenti:
«Non mi aspetto che crediate a una sola cosa di ciò che vi dico. Vi chiedo,
tuttavia, di sperimentare questi insegnamenti. Provateli. Se lo farete con
sincerità, scoprirete le verità che contengono».
«Provateli»: ma come e da dove cominciare? Questa è la peculiarità di
Raja Yoga: non è un manuale di studio, ma un manuale pratico. Presenta
l’essenza dello yoga in un programma articolato in quattordici lezioni, che ti
permette di armonizzare la tua natura fisica, psicologica e spirituale. Le
sezioni sulle posizioni yoga, sugli esercizi di respirazione,
sull’alimentazione e sulle pratiche di guarigione ti insegnano a rilassare,
ricaricare e purificare il corpo e la mente. Le sezioni sulla filosofia e la
meditazione contengono una spiegazione chiara, passo per passo, per
imparare a calmare e focalizzare la mente, e ad usarla come uno strumento
per raggiungere stati di consapevolezza superiori e portare più successo e
felicità nella vita quotidiana. Ognuno dei quattordici capitoli è una lezione
completa, che puoi praticare con i tuoi tempi.
Se sei pronto per provare il Raja Yoga, e non solo per leggere al suo
riguardo, questo libro diventerà una delle tue guide e dei tuoi amici più cari:
un’amicizia che arricchirà la tua vita e approfondirà il rapporto con il tuo
stesso Sé.

NAYASWAMI SHIVANI
Fondatrice della Ananda Raja Yoga School of Europe
Assisi, giugno 2011
NOTA DELL’EDITORE

La seconda sezione di ogni capitolo di questo libro comprende la


spiegazione delle posizioni yoga, nella tradizione dell’Ananda Yoga.
L’Ananda Yoga è una delle più antiche tradizioni yogiche occidentali. I
suoi inizi risalgono a un tempo, oltre mezzo secolo fa, in cui la nostra
società aveva a malapena sentito la parola yoga. (Le foto di Swami
Kriyananda contenute in questo libro, in effetti, sono foto “storiche”.)
Il modo in cui Swami Kriyananda imparò le posizioni da Yogananda
vale la pena di essere raccontato: accadde infatti un piccolo miracolo.
Kriyananda, che all’epoca era a capo dei monaci nell’organizzazione del
proprio guru (la Self-Realization Fellowship, SRF), racconta:
«Nell’autunno del 1949 il Maestro mi chiese di fare, insieme ad altri
monaci, una dimostrazione delle posizioni yoga davanti a Swami
Premananda, un discepolo in visita dall’India. Anche al meglio delle mie
capacità, ero un hatha yogi mediocre. Non riuscivo a contorcermi in molte
delle posizioni. Quella sera, tuttavia, alla presenza del Maestro, mi ritrovai
all’improvviso capace di assumere con facilità perfino le posture più
difficili. Da quel giorno in poi, fui generalmente accettato come l’“esperto”
di Hatha Yoga della SRF. Posai per molte foto. Se serviva qualcuno per fare
una dimostrazione delle posizioni, ero io a essere chiamato. Il Maestro mi
chiedeva spesso di servire il pranzo per lui quando aveva ospiti e, in
seguito, di dimostrare loro le posizioni yoga. Ah, se la bravura potesse
essere sempre acquisita così facilmente!».
Da questo piccolo miracolo si è sviluppato il sistema dell’Ananda Yoga,
insegnato da allora in tutto il mondo.
Dal 1972 (l’anno in cui questo libro è stato pubblicato per la prima volta
in America) a oggi, l’insegnamento dell’Ananda Yoga si è ulteriormente
evoluto, grazie all’esperienza acquisita in questi quarant’anni. In questa
edizione italiana di Raja Yoga, con la benedizione di Swami Kriyananda, la
descrizione della tecnica degli asana è stata quindi aggiornata dalla
Accademia Europea di Ananda Yoga, anche con l’aggiunta di nuove
fotografie.
La descrizione di ogni posizione comprende specifiche indicazioni sulle
precauzioni e controindicazioni da osservare, ma si ricorda comunque che
la pratica delle posizioni yoga deve sempre essere svolta previa
consultazione di un medico.
CONSIGLI PER LO STUDIO

Caro Amico,
vorremmo offrirti qualche consiglio mentre ti appresti a studiare queste
lezioni.
1) In origine, queste quattordici lezioni venivano spedite ogni due
settimane, per ventotto settimane. Forse troverai che anche per te due
settimane sono la giusta quantità di tempo da dedicare a ogni lezione;
forse, invece, preferirai andare più veloce. In ogni caso, meglio
procedere lentamente, per avere il tempo di assaporare la profondità di
questi insegnamenti e, cosa ancora più importante, per iniziare a
praticarli. In un certo senso, Raja Yoga fornisce materiale di studio per
tutta la vita. Puoi rileggere più volte questo libro o alcune parti di esso,
ogni volta che vuoi trovare nuova ispirazione o approfondire le tue
pratiche di meditazione e di yoga. Puoi anche usarlo come un’opera di
consultazione: a questo scopo, troverai alla fine un dettagliato indice
analitico.
2) A differenza dello studio intellettuale, questo corso può offrirti un
approccio del tutto nuovo alla vita, se ti dedicherai a esso con
concentrazione e metterai in pratica i suoi insegnamenti. Imparerai molto
di più attraverso l’esperienza diretta dello yoga e della meditazione che
non limitandoti a leggere riguardo a questi argomenti.
3) Pratica ogni giorno alcuni degli esercizi e delle tecniche di meditazione.
Ci sono anche diversi materiali audiovisivi che possiamo inviarti per
aiutarti nella pratica. (Per informazioni, puoi consultare il sito
www.anandaedizioni.it nella sezione “corsi e pratiche/tecniche” oppure
telefonare ad Ananda Sangha al numero 0742 813 620). Forse dovrai
iniziare la tua giornata un po’ prima e terminare un po’ più presto le tue
attività serali, per integrare queste pratiche nella tua vita quotidiana. In
ogni caso, non porti mete poco realistiche e non rischiare di scoraggiarti
cercando di fare troppo e troppo in fretta. Anche cinque o dieci minuti al
giorno di meditazione ti aiuteranno molto. Potrai aumentare la durata
della pratica quando comincerai a sentire i suoi effetti benefici nella tua
vita.
4) Chiedi consiglio al tuo medico prima di cominciare a praticare le
posizioni yoga. Fai attenzione specialmente con le posizioni più
avanzate: ce ne sono alcune che farai bene a evitare se ti provocano
dolore o fastidio, se hai problemi fisici gravi di qualunque tipo o se sei in
gravidanza. Ascolta il tuo corpo e assicurati di consultare un insegnante
di yoga qualificato se hai preoccupazioni per la tua sicurezza durante la
pratica.
5) Se puoi dedicare un po’ più di tempo allo yoga e alla meditazione una
volta alla settimana – ad esempio nel fine settimana – la tua pratica
quotidiana ne trarrà grande giovamento.
6) Prova a tenere un diario spirituale con le tue riflessioni sui punti delle
lezioni che sono particolarmente significativi per te, oppure sulle tue
esperienze di crescita spirituale.
7) Facci sapere dove vivi e saremo felici di segnalarti un gruppo Ananda
nelle tue vicinanze o, se possibile, un’altra persona nella tua zona che
segue questi insegnamenti. (Puoi chiamare Ananda allo 0742 813620 o
scrivere a info@ananda.it). Meditare e praticare lo yoga regolarmente
insieme ad altri, in particolare con persone che lo praticano da più tempo
di te, è un’opportunità preziosa!

CON GIOIA
i tuoi amici di Ananda Edizioni
Filosofia
La storia dello yoga

Lo yoga è molto probabilmente la scienza più antica che si conosca.


Nella valle dell’Indo sono stati rinvenuti sigilli raffiguranti figure umane in
diverse posizioni yoga, risalenti a più di cinquemila anni fa. Chi può dire da
quanto tempo prima di allora esistesse già lo yoga?
È curioso che informazioni di questo tipo ci siano pervenute da tempi
tanto antichi, dato che i popoli primitivi (è così che vengono considerati
coloro che vissero in quelle epoche) hanno un’immagine del mondo assai
diversa da quella che si sviluppa con la pratica dello yoga. Innanzitutto, la
loro è una visione di clan. L’uomo primitivo, occupato principalmente a
difendere il territorio dai popoli invasori (e come tali considerati
spregevoli), riterrebbe puramente accademica la questione dell’essenziale
unità dell’uomo; anzi, un concetto simile non si affaccerebbe mai neppure
alla sua mente. La sua idea della creazione si basa totalmente sulle
differenze: il dio della Pioggia che combatte contro il potente Sole, il dio
del Fiume che straripa per vendetta contro gli ingrati abitanti del villaggio
che hanno dimenticato di adorarlo. L’uomo primitivo non si consuma
nell’ardente desiderio di conoscere i più profondi misteri della sua identità,
e tanto meno di “realizzare il Sé”. Se gli si chiedesse chi è, senza dubbio
risponderebbe come la maggior parte delle persone della nostra società:
semplicemente presentandosi per nome. Perfino nella nostra epoca
sofisticata, solo le persone più percettive riconoscono che tutte le cose, per
quanto diverse, riflettono un’unità di base. La scienza ci dice che una forma
di pane non è essenzialmente diversa da una pietra, in quanto entrambe
sono manifestazioni di energia. Un concetto del genere, difficile da “mandar
giù” anche per lo scienziato, sembrerebbe completamente assurdo all’uomo
primitivo.
Lo yoga, il cui significato è “unione”, si basa tuttavia proprio su tale
pensiero. Lo scopo dichiarato di questa scienza è di condurre il praticante (o
yogi)* alla consapevolezza non solo dell’unità che sottende tutte le cose, ma
anche dell’identità essenziale che egli stesso possiede con quella realtà più
profonda.
A differenza dell’usuale tradizione primitiva di totem e tabù – e a
differenza della “devozione” rivolta ad astrazioni meravigliose ma non
dimostrate, tipica dei filosofi occidentali – lo yoga ha sempre preteso una
verifica irrefutabile delle sue premesse. Proprio come la scienza moderna,
lo yoga ha sempre mantenuto un approccio pragmatico, anche se nel suo
pragmatismo si è addentrato in regioni assai più sottili di quelle fin qui
esplorate dalle scienze fisiche.
Molto probabilmente, il contrasto più evidente tra la scienza dello yoga e
le fantasticherie dei popoli primitivi sta nella particolare importanza
attribuita dallo yoga all’energia (prana) come realtà fondamentale della
materia. Una persona semplice potrebbe pensare a una sorta di affinità
poetica tra se stessa, le rocce e gli alberi, ma non potrebbe mai immaginare
che tutte le forme della Natura sono semplicemente energia in differenti
manifestazioni illusorie. La scienza stessa ha raggiunto solo di recente
questa comprensione, mentre le antiche tradizioni dello yoga sono sempre
state in tutto e per tutto così specifiche.
Chi si avvicina allo studio dello yoga farebbe bene a tenere a mente
questi fatti. Una tendenza comune nella nostra epoca è quella di apprezzare
le cose in proporzione alla loro novità: a meno che un’asserzione non possa
essere presentata come un “nuovo importante risultato scientifico”, è
improbabile che venga ritenuta degna di attenzione da parte del pubblico
adulto. Di conseguenza, anche se le antiche tradizioni vengono a volte
considerate con un certo accondiscendente stupore («Non dirmi che già
allora conoscevano queste cose!»), gli sforzi per “aggiornarle” non si
contano. In quest’ottica, gli insegnamenti dello yoga non sono stati certo
risparmiati: sembra che molti di coloro che li divulgano in Occidente – e a
volte anche in India – si siano sentiti chiamati a “migliorarli”, non solo nel
modo di presentarli (il che sarebbe ammissibile), ma anche in alcuni
principi fondamentali.
Solo uno yogi che ha raggiunto la perfezione si è conquistato il diritto di
sfrondare l’albero della tradizione o di apportarvi le aggiunte che ritiene più
opportune. Quando è un principiante a farlo, è come se si lasciasse libero un
cavallo nel salotto di casa. In ogni caso, è interessante notare che gli yogi
che hanno raggiunto la perfezione si sono preoccupati più di chiunque altro
di preservare le tradizioni essenziali dello yoga.
Perché cercare le origini di questa scienza nei cosiddetti albori della
civiltà? Fino a quando lo studente non comprenderà questo punto, potrà
sentirsi tentato di “dare un’aggiustatina” agli insegnamenti dello yoga, per
adattarli ai suoi capricci, ogni volta che se ne presenti l’occasione. Le
ragioni sono fondamentalmente due: la prima ci aiuta a comprendere perché
una cultura così antica si sia posta delle domande sulla vita che vanno ben
oltre la portata di una presunta società primitiva; la seconda mette in luce
una verità fondamentale per la corretta comprensione dello yoga.
La prima ragione è controversa, anche se avvalorata da molti più fatti di
quanto si pensi comunemente. Una solida tradizione, presentata in numerosi
documenti antichi e difesa con grande serietà fino ai giorni nostri da tutti i
grandi maestri dell’India, afferma che civiltà evolute esistevano in diverse
epoche passate e che l’umanità ha più volte raggiunto – e poi perduto –
livelli di conoscenza ben più elevati di quelli che la nostra civiltà ha finora
conquistato. Si ritiene che la scienza dello yoga sia stata tramandata a
partire da una di queste epoche elevate; sembra infatti che un insegnamento
così avanzato da rivelare una familiarità con realtà alle quali perfino i nostri
scienziati stanno ancora cercando di adeguarsi, debba sicuramente essere
nato in un’epoca caratterizzata da una certa illuminazione.
Prove affascinanti rafforzano continuamente l’ipotesi che in epoche
passate l’umanità abbia posseduto una conoscenza avanzata. Si è scoperto
di recente, in modo apparentemente indiscutibile, che Stonehenge era una
sorta di computer fisso che forniva l’esatta posizione di vari eventi
astronomici, alcuni dei quali accadevano a intervalli di cinquant’anni o più.
Periodi di tempo così lunghi avrebbero reso impossibile la registrazione di
tali eventi, se quella società non fosse stata evoluta e non avesse saputo
come conservare accuratamente quel tipo di annotazioni. Lungo la costa
occidentale del Nord e Sud America si trova un gran numero di giganteschi
massi dalla forma rotonda, disposti secondo schemi geometrici visibili solo
da aerei in volo ad alta quota. Ci si chiede se siano stati posti in quei luoghi
in tempi antichi come segnali per un qualche tipo di velivolo. Nel Punjab, in
città abbandonate da cinquemila anni, sono stati ritrovati i segni di una
sapiente urbanizzazione, che comprendeva un sofisticato sistema fognario e
impianti di riscaldamento. Per non parlare degli enormi scalini,
apparentemente scolpiti a mano nella roccia, che scendono a grandi
profondità nell’Oceano Atlantico a nord di Portorico. I cereali selezionati
che sono stati sviluppati in tempi remoti rivelano conoscenze agricole forse
più avanzate delle nostre. Esistono antichi racconti, ritenuti mitologici, di
veicoli volanti e perfino di viaggi interplanetari. È possibile che alcuni di
questi non fossero solo mitologici? Esiste un antico manoscritto in India,
giunto fino ai giorni nostri, in cui sono registrate in dettaglio le vite di
parecchie migliaia, forse milioni di persone: un fatto che assume
proporzioni stupefacenti, quando si apprende che la maggior parte di quegli
individui all’epoca non era ancora nata; molti, infatti, sarebbero vissuti sulla
terra solo dopo migliaia di anni. Io stesso ho trovato in quel libro
un’accurata descrizione della mia vita – perfino il mio nome corretto e il
mio luogo di nascita – con la predizione di eventi futuri che da allora si
sono effettivamente verificati. È possibile che in quel libro compaia anche
la tua vita, così come quella di un infinito numero di persone oggi viventi.
(Ho parlato di questa scoperta in un libretto intitolato L’antico libro di
profezie dell’India, che include un’esposizione dettagliata di altri argomenti
ai quali ho solo accennato in questa sede.) Viene naturalmente da chiedersi:
«Quale conoscenza possedevano quegli antichi, da rendere possibili
profezie così incredibili?». Ovviamente, siamo ben lontani dall’aver
raggiunto una scienza che sia paragonabile a quella.
Molto tempo fa, i grandi yogi dell’India affermarono che l’illuminazione
dell’uomo dipende solo in parte dai meccanismi cerebrali e dalla qualità
delle informazioni introdotte. Più importante di tutto, asserirono, è l’energia
che fluisce attraverso il complesso circuito dei nervi cerebrali. Se il flusso
di energia è debole, neppure la più grande quantità di informazioni
immagazzinate nel cervello potrà mai produrre idee grandi e originali.
Attraverso i nostri sforzi possiamo rinvigorire in due modi questo flusso
di energia: eliminando i blocchi nei nervi e aumentando il flusso stesso
dell’energia. Entrambi i risultati sono raggiungibili attraverso un’assidua
pratica dello yoga. È forse per questo motivo, sopra ogni altro, che lo yoga
viene definito una scienza e non solo un’arte.
I saggi, tuttavia, hanno insegnato che la forza di questo flusso di energia
dipende anche da alcuni fattori esterni. L’aiuto che ci viene dall’ambiente e
dalle compagnie che frequentiamo è evidente; è per questo che i grandi
santi hanno sempre sottolineato l’importanza del satsanga (la buona
compagnia) e del vivere in ambienti spirituali. Gli antichi, comunque,
hanno anche affermato che il nostro pianeta riceve grandi quantità di
energia dall’universo circostante, e che una sintonizzazione con questa
energia a livello sottile può condurci a una rapida illuminazione interiore.
Essi hanno insegnato che i raggi di energia sono più forti al centro della
nostra galassia. Il nostro sole, hanno affermato, non solo si muove in
un’orbita fissa nella galassia, ma compie anche una rivoluzione interna
attorno a una sua stella compagna, trovandosi di conseguenza a momenti
più vicino e a momenti più lontano rispetto al nostro centro galattico.
Durante l’avvicinamento, l’umanità nel suo complesso diviene più
illuminata; quando invece il sole si allontana, solo coloro che sviluppano
coscientemente le proprie energie interiori e che, rendendo se stessi più
sensibili, utilizzano pienamente ogni energia proveniente dall’esterno, sono
in grado di trascendere la generale caduta dell’umanità nelle tenebre.
Swami Sri Yukteswar, guru del mio guru, profondo astrologo e uno dei
più grandi maestri dello yoga dell’India moderna, ha spiegato che il nostro
sole compie una rivoluzione completa attorno alla sua stella compagna ogni
24.000 anni. Egli ha affermato che abbiamo raggiunto il punto più lontano
dal nostro centro galattico nel 499 dopo Cristo; ora ci troviamo nuovamente
in un ciclo ascendente e siamo entrati nella seconda delle quattro epoche –
il Dwapara Yuga, l’era delle scoperte atomiche che durerà per un totale di
2400 anni – la quale, disse, è iniziata nel 1699. (Dal punto di vista
astrologico, dunque, l’anno 2000 dovrebbe essere chiamato il 302
Dwapara, anche se Sri Yukteswar ha suggerito di arrotondarlo a 300.)
La scienza dello yoga è nata in un’epoca in cui l’umanità nel suo
complesso era più illuminata e poteva facilmente comprendere verità che le
menti più grandi dei nostri tempi stanno ancora cercando con grande
difficoltà. (Mi riferisco agli uomini comuni, i cui soli mezzi per ottenere la
comprensione sono i maldestri strumenti della logica, e non a quei grandi
santi e yogi che in ogni epoca sono completamente illuminati
interiormente.) È proprio perché la gente ha ripreso a cercare queste verità
che i grandi yogi hanno restituito all’umanità l’antica scienza dello yoga e
sempre più persone la stanno accogliendo con grande apertura.
Un’altra ragione per cercare nelle antiche tradizioni la vera
comprensione della scienza dello yoga è che la percezione della verità non è
un qualcosa da mettere insieme una generazione dopo l’altra, come i soldi
in banca; non dipende dall’acquisizione di una conoscenza del mondo
esteriore.
La verità è eterna. L’uomo può percepirla, non crearla. Quando la sua
percezione si sarà affinata al punto da permettergli di contemplare la Verità
Assoluta, egli diventerà partecipe di una realtà condivisa da tutti coloro che
raggiungono la stessa visione. Le grandi religioni provengono da quella
dimensione; i più alti insegnanti spirituali di tutti i tempi hanno parlato da
quella prospettiva. Sono le persone materialiste che, guardando il mondo
attraverso il filtro delle proprie idee ed emozioni, distorcono ogni cosa,
inclusa la religione, con i propri pregiudizi. Gli sforzi dei grandi insegnanti
sono sempre volti a riportare l’uomo alle realtà fondamentali ed eterne. Se
egli si allontana troppo verso sud, gli dicono di andare a nord; se trasforma
in dogma l’andare a nord, allontanandosi troppo in quella direzione, gli
dicono che deve andare a sud. Coloro ai quali è stato detto di andare a sud
litigheranno con quelli a cui è stato detto di andare a nord, ma solo perché
entrambi i gruppi non vedono che i loro insegnanti volevano solo aiutarli a
trovare l’“equatore” spirituale, il centro del loro stesso essere. Questo
insegnamento costituisce la vera tradizione della religione ed è solo per
questo motivo che i grandi insegnanti si rifanno alle antiche tradizioni.
La storia dello yoga, quindi, deve aver avuto origine nella visione dei
grandi maestri delle epoche antiche. I divulgatori di questa scienza che sono
venuti più tardi sono importanti per noi, ai giorni nostri, non per ciò che
hanno fatto per migliorare gli antichi insegnamenti, ma per ciò che hanno
fatto per preservarli. In quanto verità divine, gli insegnamenti di ogni vero
maestro sono eterni e degni di essere considerati Scrittura quanto gli scritti
dei saggi più antichi. Dal punto di vista storico, però, sono particolarmente
interessanti per come hanno fatto chiarezza in quelle che oggi sono
diventate distorsioni arcaiche della tradizione, o per come hanno
sottolineato aspetti della tradizione che le persone del loro tempo erano
pronte a comprendere.
In verità, il secondo passo più significativo nella storia dello yoga è, in
ogni epoca, il lunghissimo percorso dalle antiche origini al presente. Più
importanti di questo o quel santo medioevale sono le vite di quei maestri
dello yoga contemporanei, che si preoccupano di correggere le attuali
distorsioni della realtà o di rivelare all’uomo nuovi aspetti di essa ai quali il
suo sviluppo lo ha preparato.
Nella nostra epoca sono comparsi molti grandi maestri di questo tipo.
Sono venuti con missioni diverse, ognuno per dare risalto a un diverso
aspetto della Verità, indispensabile per l’uomo contemporaneo in genere o
per un gruppo di discepoli in particolare. Nell’ambito di questo
rinascimento degli antichi insegnamenti, una speciale linea di grandi
maestri ha dedicato la propria vita a riportare alla luce principi e pratiche
originari e fondamentali dello yoga.
Le vite di questi grandi sono eloquentemente descritte nell’Autobiografia
di uno yogi di Paramhansa Yogananda, il mio grande guru. Yoganandaji,*
egli stesso un maestro perfetto, fu inviato in Occidente nel 1920 dalla sua
linea di guru (Babaji, Lahiri Mahasaya e Swami Sri Yukteswar) e fondò con
successo dei centri per la pratica e la diffusione dell’autentica scienza dello
yoga originario dei tempi antichi. Anche dopo la morte di Yogananda,
avvenuta nel 1952, la sua opera ha continuato a fiorire e a diffondersi.
L’aspetto più importante della missione di questa grande linea di avatar
(esseri che hanno raggiunto la perfezione e che ritornano in questo livello di
esistenza con il solo scopo di elevare gli altri) è l’aver fatto rivivere la più
alta delle antiche tecniche yogiche, alla quale hanno dato l’umile nome di
Kriya Yoga. Kriya significa semplicemente “azione”. Ogni pratica yogica
può essere – ed è – chiamata Kriya Yoga, ma in questo caso l’azione cui ci
si riferisce è di tipo particolare: il suo scopo specifico è quello di risvegliare
l’energia nella spina dorsale e nel cervello, facendo sì che il kriya yogi
possa raggiungere l’illuminazione nel più breve tempo possibile. Si può
apprendere questa tecnica attraverso Ananda.† La si può imparare anche
tramite l’organizzazione fondata dal mio guru, la Self-Realization
Fellowship (Ananda non è affiliata a questa organizzazione). La
preparazione è essenziale, se si vuole praticare la tecnica in modo corretto
ed efficace. Ritengo che il presente corso potrà costituire una guida
preziosa.
La storia dello yoga indica due principi basilari per il successo anche
nella pratica del più semplice asana (posizione) dell’Hatha Yoga:
1. Il diffuso stato di illuminazione che, a quanto si dice, esisteva agli albori
dello yoga è stato attribuito alla vicinanza del nostro sistema solare alla
fonte delle potenti radiazioni di energia nel centro della nostra galassia.
Tuttavia, perfino nelle epoche più oscure esistono anime pienamente
illuminate, mentre anche nelle epoche più fulgide alcuni uomini vivono
nell’oscurità da loro stessi creata. È importante ricordare che l’uomo
deve ricevere l’illuminazione, non può produrla. Una stanza dipinta di
bianco sembra più luminosa perché riflette più luce di qualsiasi altro
colore. Allo stesso modo, lo scopo dello yoga è quello di aprire le
finestre della mente e risvegliare ogni cellula del corpo e del cervello,
perché rifletta e amplifichi l’energia che proviene dall’universo
circostante. (Un paragone utile può essere quello delle moderne radio a
transistor, che, grazie alla loro efficienza, possono ricevere programmi in
zone in cui fino a pochi anni fa un apparecchio così piccolo non avrebbe
potuto cogliere alcun segnale.)
Ricorda che, nella pratica dello yoga, il tuo scopo deve essere quello di
diventare completamente aperto spiritualmente, per poter ricevere. Non
affrettarti mai, non sforzarti mai. Senti che, in un certo senso, qualunque
cosa tu faccia viene fatta attraverso di te, grazie alla tua collaborazione
volontaria con le forze divine.
2. Poiché la storia dello yoga è costituita da una lunga sequenza di grandi
yogi che hanno ricondotto più e più volte questa scienza al suo aspetto
fondamentale, la pratica di ognuno deve essere diretta non verso le
apparenze e le esibizioni esteriori, ma all’interno, verso il centro del
proprio essere. Ogni movimento esteriore deve procedere da questo
centro interiore; ogni posizione deve essere un’affermazione del divino
Sé interiore e deve essere seguita da un ritorno a esso.

Posizioni yoga
Istruzioni speciali per la pratica delle posizioni
yoga

Si raccomanda allo studente di studiare queste lezioni e di praticare


almeno un poco di esse ogni giorno. Egli non deve, tuttavia, “farne
indigestione”. Il mio guru mi aveva ammonito a questo riguardo: «Non
essere eccitato o impaziente. Procedi a passo lento». Dapprima leggi la
prima sezione sulla filosofia: ciò è importante per una giusta comprensione
delle posizioni yoga, altrimenti si può cadere nell’errore comune di
ricercare solo i benefici più superficiali di questa grande scienza, come, per
esempio, i fianchi snelli o un aspetto raggiante. In una foresta ricoperta di
rubini, perché riempire il proprio sacco di aghi di pino?
Non esagerare. Da mezz’ora fino a un’ora alla volta è più che sufficiente
per la maggior parte delle persone. Il principiante, in particolare, dovrebbe
iniziare lentamente e ampliare gradualmente la propria pratica (quanto
lentamente e quanto gradualmente dipenderà dalla sua salute e dalla
flessibilità e vitalità del suo corpo.) Se vuoi praticare due o tre ore di
posizioni al giorno, procurati un insegnante personale qualificato. Tutti i
libri di yoga sono chiari su questo punto. In ogni caso, non immaginare che
siano necessarie molte ore di posture per una salute radiosa o perfino per un
rapido progresso spirituale. «Mantieniti in esercizio e con il corpo in forma
per realizzare Dio» mi scrisse una volta il mio guru; tuttavia, egli
sottolineava che lo sviluppo mentale e quello spirituale sono di maggiore
importanza, anche per un duraturo benessere fisico.
L’età di per sé non è un ostacolo alla pratica di queste posizioni, fatta
eccezione per la rigidità e gli altri disturbi che spesso accompagnano l’età
avanzata. Tuttavia, alcune delle persone più rigide in assoluto che io abbia
mai conosciuto erano dei giovani sulla ventina, mentre, al contrario, ho
conosciuto persone anziane che erano notevolmente flessibili. Nella mia
esperienza ho notato un fatto interessante: la rigidità fisica è spesso
accompagnata da una certa inflessibilità mentale, una tendenza al
dogmatismo che non è confinata a una particolare fascia d’età.
Una precauzione generale valida per tutti è quella di “fare il punto” della
propria condizione fisica e di procedere con buon senso. Quando la forma
fisica non è buona, bisogna essere estremamente prudenti e potrebbe
addirittura essere più sicuro non praticare affatto le posizioni. Ci sono
persone con problemi fisici estremi, le quali non dovrebbero praticare
alcuna postura al di fuori di quelle più semplici. Se hai la pressione arteriosa
molto alta, per esempio, o se sei debole di cuore, fai molta attenzione:
Savasana (la rilassante posizione del Cadavere) potrebbe essere tutto ciò
che dovresti cercare di fare.
Le donne durante il ciclo mestruale dovrebbero evitare le posture che
riguardano l’addome (Uddiyana Bandha e Nauli) e anche altre posizioni
che verranno indicate di volta in volta. Le donne incinte e quelle che
abbiano partorito di recente (nelle ultime dodici settimane) devono evitare
specialmente gli esercizi di piegamento in avanti (Janushirasana, la
posizione del Coltello a serramanico ecc.), gli esercizi per l’addome e altre
posizioni che verranno indicate. Alcune posizioni possono, tuttavia, essere
praticate con beneficio durante la gravidanza e sono risultate di grande aiuto
nel superare le difficoltà del parto.
Nel caso in cui, praticando una postura, provi dolore (non di natura
muscolare) a livello del torace, dell’addome o del cervello, smetti di
praticarla fino a quando la causa del dolore non sarà stata accertata.
Se hai dei dubbi sulla tua idoneità alla pratica delle posizioni yoga,
consulta il tuo medico (o, nel caso di problemi vertebrali, il tuo osteopata o
chiropratico) prima di cimentarti con esse.
Tuttavia, tieni presente che l’Hatha Yoga è uno dei migliori sistemi noti
all’uomo per alleviare i problemi di natura fisica. Le precauzioni vanno
osservate, ma certamente non dovrebbero essere considerate con allarme.
La scienza dello yoga è sicura per chiunque la utilizzi con buon senso. Non
è un sistema di vigorosi esercizi ginnici, ma di movimenti gentili e naturali
che comportano uno sforzo minimo per l’organismo, apportando a esso il
massimo beneficio.
Ricorda che è importante non forzarsi mai in una posizione; le posizioni
sono un processo di scoperta graduale delle potenzialità del corpo. Pensa a
esse come a un’avventura nella consapevolezza. Attraverso una crescente
consapevolezza della tensione, per esempio, si potrà imparare a dissolvere
quella tensione e, di conseguenza, a perfezionare una postura. Con il
rilassamento perfetto si può ottenere la padronanza di tutta la scienza dello
yoga. Ciò è vero tanto per il Raja Yoga quanto per l’Hatha Yoga, perché il
rilassamento deve essere portato progressivamente nelle sfere più sottili
attraverso la calma mentale ed emozionale, verso l’espansione e la
ricettività spirituali.
Quando assumi una posizione, allungati solo un poco, se non affatto,
oltre la soglia del confortevole. Sii consapevole delle tensioni che ti
impediscono di allungarti ulteriormente e rilassale. (Per rilassarle, pensa
allo spazio nei punti di tensione.)
Non preoccuparti se ti occorre molto tempo per fare bene una postura.
Non si può mai parlare di fallimento in una posizione, salvo semplicemente
non farla affatto. Qualsiasi allungamento nella direzione indicata sarà
importante per te. Tuttavia, più sei rigido, più sarà importante per te fare
uno sforzo, anche se le tue dita arrivano solo alle ginocchia mentre le
istruzioni spiegano chiaramente che dovresti afferrare gli alluci. Ci sarà
sempre qualcuno più bravo di te, come pure qualcuno peggiore di te.
Confrontati soltanto con te stesso. Ti senti un po’ più sciolto nel corpo
rispetto ad alcuni giorni o ad alcune settimane fa? Finché stai compiendo
progressi nella giusta direzione, non hai che motivo di congratularti con te
stesso.
Uno degli aspetti gratificanti delle posizioni yoga, tuttavia, è che le più
benefiche non sempre sono le più difficili. Anzi, alcune delle migliori sono
in effetti tra le più facili.
Qui di seguito ne troverai tre di facile esecuzione con le quali iniziare.
Provale.
BALASANA
(la posizione del Bambino)

«Abbandono ogni coinvolgimento esterno e mi rilasso nel mio rifugio


interiore di pace».

Siediti sui talloni con le gambe unite e i piedi distesi all’indietro, l’alluce
destro sopra quello sinistro. Se non riesci a sederti completamente, non è
importante ai fini di questa particolare postura.
Piegati gentilmente in avanti, espirando, fino a quando la testa tocca il
pavimento di fronte a te, vicino alle ginocchia. Lascia le braccia distese
all’indietro ai lati del corpo, con le mani a terra. Riposati in questa
posizione, respirando normalmente, da 30 secondi a un minuto. Ripeti
mentalmente: «Abbandono ogni coinvolgimento esterno e mi rilasso nel
mio rifugio interiore di pace».

Benefici: il gentile capovolgimento del corpo farà affluire sangue al


cervello e apporterà benefici ai seni nasali. Questa posizione rinfresca il
cervello e aiuta a eliminare la fatica mentale. Se riesci a sederti in maniera
completa sui talloni, la pressione gentile del tuo peso sulle gambe, sui piedi
e sull’addome ti aiuterà ad alleviare la fatica nella parte inferiore del corpo.
Nella lezione undicesima sarà insegnata una variante di questa posizione
per alleviare il mal di testa e la sensazione di pressione nel cervello.

Precauzioni
• In caso di problemi o lesioni alle ginocchia è bene evitare del tutto questa
posizione o farla su una sedia.
• Le donne incinte o le persone con l’addome prominente dovrebbero
allargare le ginocchia per evitare la compressione addominale.
• Chi soffre di problemi cardiovascolari dovrebbe mettere dei cuscini sotto
la fronte e il petto così che la testa non scenda al di sotto del cuore.

Controindicazioni
• Questa posizione va evitata in caso di protesi all’anca o di recente
lussazione dell’anca.

BHUJANGASANA
(la posizione del Cobra)

«Mi alzo con gioia per accogliere ogni nuova opportunità» o


«Mi alzo con determinazione per affrontare tutti gli ostacoli».

Per il lettore che conosce già le posizioni yoga, si tratterà probabilmente


di una postura familiare. La posizione del Cobra è facile da assumere e i
suoi benefici sono grandi.
Sdràiati in posizione prona, con la fronte al pavimento e i piedi aperti
quanto le anche (o meno). Appoggia i palmi delle mani al pavimento
accanto al petto, i gomiti vicino ai fianchi. Durante tutta la posizione, tieni
le gambe attive e premi a terra il pube per proteggere la zona lombare.
Inspirando, solleva il dorso da terra in tre fasi: per prima cosa usa i
muscoli del collo per sollevare la testa, senza piegare il collo troppo
all’indietro. Poi usa i muscoli della parte superiore della schiena per alzare
il torace quanto è possibile. Alla fine, usa i muscoli della parte inferiore
della schiena per sollevare l’intero dorso, allungandoti più possibile ma
senza sollevare l’ombelico dal pavimento. I muscoli dorsali dovrebbero fare
la maggior parte del lavoro. (Usa un po’ di forza delle braccia per entrare
nella posizione, ma non ridurre questa posizione a una flessione delle
braccia.) Non concentrarti sulla tensione in sé, ma sull’energia che,
raccogliendosi nella spina dorsale, la provoca.
Tieni i gomiti vicino ai fianchi, le spalle rilassate lontano dalle orecchie e
le scapole distanziate. Lo sguardo è rivolto dolcemente in alto, la nuca è
allungata. Respira naturalmente.
Visualizzati mentre ti sollevi con coraggio per accogliere la sfida
rappresentata da tutti gli ostacoli della vita. Afferma mentalmente: «Mi alzo
con gioia per accogliere ogni nuova opportunità» o «Mi alzo con
determinazione per affrontare tutti gli ostacoli».
Rimani 5 o 10 secondi in questa fase finale (ovviamente anche di più,
fino a 3 minuti, per i praticanti esperti). Per uscire dalla posizione inspira e
allunga la spina dorsale, espira e riporta lentamente il dorso a terra.
Fai una pausa nella posizione prona, sentendo l’energia che fluisce di
nuovo gradualmente in alto lungo la spina dorsale, fino al cervello. Se la
parte inferiore della schiena ha bisogno di allungarsi, entra in una contro-
posizione (ad esempio Balasana, insegnata in questa lezione).
Ripeti questa posizione, se lo desideri, da 3 a 7 volte, riposandoti
brevemente dopo ogni pratica.

Benefici: la posizione del Cobra è meravigliosamente rilassante per la


colonna vertebrale. Rinfresca il cervello, rafforza la muscolatura dorsale ed
esercita una gentile e benefica pressione sugli organi interni. È di aiuto in
particolare nel superare la flatulenza dopo i pasti. I benefici psicologici e
spirituali sono, comunque, più importanti. Dal punto di vista psicologico, la
posizione del Cobra aumenta la forza di superare gli ostacoli. Dal punto di
vista spirituale, aumenta la consapevolezza dell’energia sottile nella spina
dorsale e pertanto il controllo su di essa.

Precauzioni
• Non usare la forza delle braccia per spingerti più in alto possibile nella
posizione, perché potresti comprimere le vertebre della zona lombare.
• Coloro che soffrono di problemi cardiovascolari dovrebbero fare solo
una versione dolce di questa posizione.
• Chi soffre di lesioni spinali chieda consiglio al proprio medico.
Controindicazioni
• Le persone che hanno il fegato o la milza ingrossati non dovrebbero
praticare questa postura.
• Non fare la posizione durante la gravidanza.

UTKATASANA
(la posizione della Sedia)

«Il mio corpo è senza peso, è leggero come l’aria».

Prima fase: Comincia da Tadasana, la posizione in piedi: i piedi ben


radicati a terra, paralleli e distanziati quanto le anche, le ginocchia rilassate,
il bacino centrato (né troppo in avanti né troppo indietro), la spina dorsale
allungata, le spalle rilassate e un po’ all’indietro, la nuca in linea con il resto
della spina dorsale, il mento parallelo al pavimento, rientrato.
Gira i palmi delle mani in avanti. Inspira e porta le braccia avanti
all’altezza delle spalle, sollevandoti sulla punta dei piedi.
Trattieni il respiro, piega le ginocchia e scendi come se ti stessi sedendo
sul bordo di una sedia o di un alto sgabello, abbassando i talloni fin quasi al
pavimento.
Poi espira e continua a respirare naturalmente, mantenendo la spina
dorsale allungata, le spalle morbide e rilassate. Piegati leggermente in
avanti dalle anche e porta i glutei un po’ indietro.
Afferma: «Il mio corpo è senza peso, è leggero come l’aria».

Seconda fase: Per entrare nella seconda fase della posizione, prima
inspira, poi espira e trova stabilità nella posizione accovacciata,
appoggiando i palmi delle mani alla giuntura tra le cosce e l’addome e
rimanendo in equilibrio sulla punta dei piedi. Mantieni il tronco in una linea
verticale e le cosce in una linea orizzontale, con le ginocchia rivolte in
avanti.
Rimani nella posizione fin quando riesci a farlo agevolmente, rilassando
le gambe e continuando l’affermazione.
Per uscire dalla posizione, rilassa le braccia ai lati e, inspirando, portale
velocemente in avanti e in alto, ritornando nella posizione eretta e
sollevandoti sulla punta dei piedi. Espirando, fai un ampio cerchio con le
braccia ai lati, ritornando nella posizione in piedi.
Fai una pausa per sentire la leggerezza del tuo essere. Senti anche il forte
movimento dell’energia verso l’alto, dalle gambe alla spina dorsale.

Benefici: alcune posizioni yoga sono benefiche principalmente per i loro


effetti psicologici e spirituali. La Sedia è una di queste. I suoi benefici fisici
sono semplicemente quelli di tonificare i muscoli delle gambe e di
contribuire (nella seconda fase) a dare sollievo ai piedi affaticati. Dal punto
di vista psicologico, la postura della Sedia ha un valore di gran lunga
maggiore. Essa suggerisce alla mente un senso di leggerezza e vitalità, una
libertà dalla schiavitù della pesante attrazione verso il basso esercitata dalla
forza di gravità della terra.

Precauzioni
• Le donne in gravidanza e le persone in sovrappeso, o che hanno le
ginocchia vulnerabili o lesionate, dovrebbero proteggere le ginocchia
facendo solo la prima fase della posizione.
• Le donne in gravidanza e le persone con la tendenza ad arcuare troppo la
zona lombare dovrebbero contrarre i glutei e spingere il pube in avanti
nella prima fase della posizione, portando il coccige verso il pavimento e
l’ombelico verso la spina dorsale.
Respirazione

«Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita...» (GENESI 2,7). Il respiro è sempre stato
associato alla vita, probabilmente sin da quando l’uomo ha iniziato a
inquinare questo pianeta pulito. A prima vista, questa associazione sembra
basata solamente su una considerazione ovvia: di solito, il modo più veloce
per sapere se una persona è viva (presumendo l’assenza di movimento
volontario) è semplicemente quello di vedere se respira. I saggi, tuttavia,
compresi i grandi yogi, hanno spesso trattato il rapporto tra il respiro e la
vita come un mistero impenetrabile. Perché? La vita, senza dubbio, è un
mistero, ma affermare che la vita non è nient’altro che respiro equivarrebbe
a ridurre la sua magica aura quasi all’inesistenza.
Che cos’è la vita? Che cosa intendiamo, per esempio, quando diciamo:
«Mi sento così vivo oggi»? Ovviamente non vogliamo dire: «La mia
esistenza oggi è più reale di quanto non lo fosse ieri». Un fatto è un fatto,
non può essere più o meno tale; può soltanto cessare – almeno in apparenza
– di essere un fatto. Sostanzialmente, ciò che intendiamo dire è che abbiamo
più energia: noi identifichiamo istintivamente la vita con l’energia, non con
la mera esistenza.
Che cos’è, dunque, il respiro? Il funzionamento del corpo dipende
dall’assunzione di ossigeno e dall’espulsione di sostanze di scarto sotto
forma di anidride carbonica. Il respiro è quindi soltanto una reazione
chimica? Non è così, affermano i grandi yogi. Essi lo considerano al pari
della vita, perché lo considerano equivalente all’energia. In India, infatti,
una sola parola, prana, viene usata per definire tutte e tre le cose. Per un
verso, infatti, il respiro è una preziosa fonte di vita. Esso, inoltre, agisce
come una forte stimolazione sul flusso naturale di energia (o flusso vitale)
nel corpo. La vita, o l’energia, è più del respiro; né la nostra comprensione
della vita viene particolarmente accresciuta dall’equipararli. La nostra
comprensione del respiro, tuttavia, diviene notevolmente più profonda
attraverso questa associazione.
Una respirazione corretta può aiutarti immensamente a essere più “vivo”
ed energico. Inizia fin da oggi a prestare attenzione ai ritmi naturali del tuo
respiro e scoprirai ben presto, in questa funzione vitale apparentemente
semplice, dei tesori spirituali nascosti.

Un semplice esercizio: sdràiati sul dorso in Savasana, la postura del


Cadavere (parlerò approfonditamente di questa importante posizione nella
terza lezione). Lascia le braccia rilassate ai lati del corpo, tenendo i palmi
rivolti verso l’alto.

Inspira in modo lento e profondo, e


immagina che il respiro stia riempiendo
i tuoi piedi. Senti i muscoli, le ossa e la
pelle permearsi dell’energia del respiro,
fino a fremere completamente di
vitalità. Trattieni il respiro fino a quando
ti è confortevole; ripeti il procedimento,
se preferisci, piuttosto che forzare il
respiro.
Ripeti la procedura con i polpacci, le cosce, le anche, l’addome e lo
stomaco, le mani, gli avambracci e la parte superiore delle braccia, il petto,
le spalle, il dorso, il collo, la gola, le mascelle, la lingua, i muscoli del viso,
gli occhi e il cervello, sempre in maniera lenta e gentile e con la massima
attenzione.
Ti accorgerai che questo semplice esercizio ha il potere non solo di
energizzare il tuo corpo, ma anche di guarirlo da molti disturbi.

Sequenze

Le posizioni che hai imparato finora sono così poche e così semplici che
puoi anche praticarle due volte al giorno. Quando apprenderai altre posture,
potrà essere preferibile suddividerle in due sessioni, oppure dedicare più
tempo alla loro pratica in una sola seduta quotidiana.
Di solito, il corpo è più flessibile la sera rispetto al mattino. La pratica
mattutina delle posizioni può aiutarti a svegliarti e ad affrontare il nuovo
giorno completamente rilassato e in pace con te stesso. La pratica serale ti
aiuterà a liberarti dalle preoccupazioni e dalle tensioni della giornata. Se hai
bisogno di aumentare la fiducia in te stesso, specialmente nelle posizioni
più difficili, praticale la sera, quando il tuo corpo risponde meglio. Di
regola, il momento migliore per la pratica delle posizioni dipende dalla
nostra scelta personale. Tuttavia, la maggior parte di esse dovrebbe essere
praticata prima dei pasti o a stomaco vuoto.

Guarigione
Insonnia, prima parte

Uno degli aspetti più gratificanti dell’insegnamento di questa scienza è


l’immediatezza di alcuni dei suoi risultati.
Tempo fa, un’allieva dei miei corsi per principianti a San Francisco mi
accompagnò in auto al nostro ritiro di meditazione, ai piedi delle colline
della Sierra Nevada. Durante il viaggio, la sua borsa cadde e si aprì, e ne
uscì fuori una gran varietà di pillole verdi, gialle e blu.
«Che diamine fai con tutte queste pillole?» le chiesi.
«Non potrei proprio farne a meno!» esclamò. «Le pillole verdi mi
servono per dormire la notte ma mi lasciano intontita la mattina, per cui
prendo quelle gialle per svegliarmi. Le pillole gialle mi rendono nervosa,
così più tardi durante la giornata prendo quelle blu come tranquillanti».
«Bene» le dissi «ora sono due settimane che pratichi yoga. Perché non
provi a fare alcune posizioni prima di andare a dormire e vedi se ce la fai
senza tutte queste “stampelle?”».
«Impossibile!» gridò allarmata. «Lei non mi conosce. Non sono mai
stata in grado di dormire senza pillole. Sono completamente dipendente!».
Dopo una settimana, tuttavia, prese abbastanza coraggio da provare a
mettere in pratica il mio consiglio. Il giorno seguente, mi telefonò per dirmi
che non aveva mai dormito così bene in vita sua. Un anno e mezzo dopo
parlammo nuovamente al telefono: stava ancora praticando le posizioni
yoga e aveva completamente superato la dipendenza dalle pillole.
L’insonnia è uno dei mali dell’era moderna, un’epoca che potrebbe
essere definita “l’Età dell’ansia”. Le persone che non riescono a ottenere il
riposo di cui hanno bisogno la notte, spesso ricorrono a dosi massicce di
caffè e altri stimolanti per rimanere sveglie di giorno. Dormono male la
notte seguente a causa di questi stimolanti e così per gradi entrano in un
ciclo vizioso che le lascia cronicamente prive di vita (o di energia), come un
motore a otto cilindri che funziona con un cilindro solo.
Se soffri di insonnia, prova a fare alcune posizioni yoga prima di andare
a letto. Consenti all’energia di fluire nel corpo in modo armonioso, anziché
lasciarla concentrata e bloccata in nodi di tensione. (La tensione fisica attiva
delle aree correlate nel cervello, rendendo difficoltoso il sonno.)
Poi sdraiati sul letto rimanendo disteso sul dorso. Inspira profondamente;
tendi tutto il corpo, armonizzando il flusso di energia in ogni sua parte;
espira e rilassati. Ripeti questa tensione alternata al rilassamento per due o
tre volte, se lo desideri.
In seguito, osserva mentalmente il respiro per qualche tempo, lasciando
che il suo ritmo equilibrato ti calmi, come le onde di un oceano che
“accarezzano” la battigia in un giorno di mare calmo.
Dopo un po’ di tempo, inspira profondamente; poi espira lentamente e in
modo completo, quasi come se stessi sospirando, e senti che ti stai
abbandonando a una pace infinita. Trattieni il respiro fino a quando ti è
possibile farlo in modo confortevole e ripeti mentalmente: «AUM, pace,
pace, amen» oppure «AUM, shanti, shanti, shanti». (Shanti è una parola
sanscrita che significa “pace”.) Visualizza un oceano di pace che si espande
attorno a te in tutte le direzioni, oppure pensa alla pace sotto forma di
grandi e soffici nuvole che ti circondano proteggendoti. Ripeti questo ciclo
di respirazione da sei a dodici volte. Se dopo di ciò sei ancora sveglio,
continua a osservare il respiro con calma, passivamente.
Gli yogi dicono che il letto dovrebbe essere disposto in modo tale che la
testa non sia rivolta a ovest. Si dice che la posizione rivolta a Occidente
induca un sonno agitato e irrequieto, che quella verso Oriente aiuti a
sviluppare la saggezza, e che dormire rivolti a sud favorisca la longevità.
Non andare mai a letto pensando che sei stanco morto. Non solo il
bisogno disperato di riposo spesso allontanerà il sonno (semplicemente
perché la disperazione è l’antitesi della quiete), ma l’affermazione mentale
di spossatezza sarà assorbita dalla mente subconscia e il giorno seguente
anche il tuo stato di veglia ne risentirà. Non importa quanto a lungo dormi:
se vai a dormire spossato, è probabile che ti risveglierai esausto.
Qualsiasi pensiero semini nel tuo subconscio mentre stai per
addormentarti condizionerà il tuo stato di veglia il giorno seguente. Si dice
che questo principio si applichi validamente anche alla morte – il “Grande
sonno” – e alla conseguente rinascita. Cerca quindi, soprattutto, di meditare
prima di andare a dormire. Semina nel fertile suolo del regno del sonno i
nutrienti semi della pace di Dio.

Alimentazione
Insonnia, seconda parte

Prima di dormire e anche prima di meditare, è meglio non mangiare


nulla. Sono da evitare in particolar modo gli alimenti ricchi di amido o
quelli con elevato tenore di carbonio. Il cuore e i polmoni liberano il corpo
dalle sostanze di scarto, espellendole sotto forma di anidride carbonica. Gli
amidi e gli zuccheri danno al cuore più anidride carbonica da espellere dal
corpo. Se il cuore è costretto a un lavoro affaticante e di conseguenza la
respirazione è pesante, il riposo perfetto è impossibile.
Se proprio devi mangiare qualcosa appena prima di andare a dormire,
cerca di assumere cibi caldi (il caldo rilassa) e possibilmente liquidi. Gli
yogi raccomandano in questo caso il latte caldo.

“Pozione” per dormire: sebbene l’impiego dell’aglio in cucina non sia


generalmente consigliato dagli yogi (per ragioni che saranno esaminate in
una lezione successiva), l’aglio possiede delle proprietà medicinali che lo
rendono consigliabile in alcuni casi specifici. È stato scoperto, per esempio,
che cuocendo nel latte un piccolo spicco di aglio tritato e facendolo bollire
lentamente per dieci minuti, la bevanda che si ottiene favorirà il sonno.

Meditazione

La meditazione è per la religione quello che il laboratorio è per la fisica


o la chimica. La scelta di seguire i rituali esteriori della religione è più o
meno una questione di gusto personale; ma la decisione di cercare nella
propria esistenza i benefici pratici e interiori della religione può segnare la
differenza tra una vita vera e una morte vivente. La religione sopravvive,
nonostante il generale materialismo dell’umanità, non perché alcune
persone spirituali continuino a soffiare sui suoi tizzoni già quasi spenti, ma
perché senza un po’ della pace interiore che essa ci offre, la vita umana
sarebbe insopportabile. L’essenza di una religione non è costituita dalle sue
cerimonie, e neppure dai suoi discorsi sulla vita nell’aldilà, ma
dall’importanza che essa attribuisce a una vita interiore qui e ora e dalla
pace duratura che accompagna quell’interiorità, una volta scoperta. Vero
scopo della religione è sottolineare come l’esistenza umana a tutti i livelli
sia vuota, quando affermiamo solo il vuoto e consentiamo alla nostra
consapevolezza interiore di diventare unicamente un’eco del mondo, senza
restituire alla vita alcunché di creativo.
Certe persone limitano la propria comprensione religiosa a una severa
alzata di sopracciglia o a qualche pia (e solitamente passeggera) emozione.
Non capiscono che la religione è uno dei cardini di un’esistenza sana e
normale. Si può essere religiosi nel vero senso della parola anche senza mai
andare in chiesa o recitare un credo. Una semplice, genuina benevolenza
per il prossimo è un fenomeno religioso; altrettanto si può dire a proposito
di un senso di meraviglia per i misteri del vasto universo. Gli insegnamenti
essenziali della religione sono le verità universali della vita stessa: rifiutarli,
significa rifiutare la vita.
Senza lo sviluppo di una vita interiore, le pratiche religiose esteriori
hanno solo un valore secondario. I loro effetti pratici sono paragonabili ai
tentativi di volo di un aeroplano con insufficiente ampiezza d’ala: per
quanto velocemente si riesca a farlo correre sulla pista, esso non decollerà
mai. Essenziale per la vita religiosa è un graduale schiudersi interiore; per
raggiungere questo stato, la pratica quotidiana della meditazione è
estremamente importante.
Che cos’è la meditazione?
La meditazione non è, come molti credono, un processo di “riflessione”.
Significa piuttosto rendere la mente completamente ricettiva alla realtà;
calmare i processi del pensiero – quelle increspature irrequiete che affiorano
alla superficie della mente – così che la verità possa riflettersi chiaramente,
come fa la luna; significa, per una volta, ascoltare Dio, la Realtà
Universale, piuttosto che fare discorsi e “calcoli” da soli.
È questo il modo in cui sono avvenute tutte le grandi scoperte: non
attraverso la creazione umana, ma tramite la ricettività a raggi di ispirazione
provenienti da fonti superiori a quelle che sono familiari alla mente
cosciente.
Prova a meditare ogni giorno per almeno quindici minuti (mezz’ora
sarebbe ancora meglio). Di solito, il momento migliore è subito dopo la
pratica delle posizioni yoga.

Un esercizio di meditazione
Siediti eretto e immobile. Pensa alla tua mente come a un lago.
All’inizio, le increspature del pensiero potranno sembrarti molto importanti,
poiché la tua consapevolezza è concentrata su una sezione talmente piccola
del lago mentale che perfino delle ondine creano un tumulto. Spazia
mentalmente in ogni direzione; osserva come è vasto in realtà il lago.
Mentalmente, espandi le sue rive, sempre più lontano, fino a comprendere
come siano insignificanti, rispetto a quella vastità, i piccoli pensieri che
affiorano e si immergono qui nel centro.
Di’ a questi pensieri di calmarsi, per permetterti di sentire lo sciabordio
delle onde sulle rive lontane della tua mente. Poi ascolta con attenzione.
Quando tutto è perfettamente calmo, avverti sulla superficie immobile
della tua mente il dolce soffio dello Spirito. Non essere impaziente. Lascia
che le brezze della divina ispirazione ti accarezzino lievemente, giocando
con te come più desiderano. Non cercare di controllarle; ricorda che in
nessun ambito della vita sei veramente tu colui che agisce. Il tuo ego è solo
uno strumento: offri tutto te stesso, sempre più profondamente e con calma,
al Divino.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
I sentieri dello yoga

Yoga, letteralmente, significa “unione”. Intesa a vari livelli, sul piano


filosofico significa l’unione del sé limitato e relativo con il Sé assoluto; sul
piano religioso è l’unione dell’anima individuale con lo Spirito Infinito; sul
piano psicologico, l’integrazione della personalità, uno stato cioè in cui la
persona non vive più in conflitto con se stessa; sul piano emozionale è il
placare le onde delle simpatie e antipatie, che ci permette di sentirci
completi in noi stessi in ogni circostanza.
Quest’ultimo livello rappresenta la definizione classica dello yoga
formulata dall’antico saggio Patanjali. I profondi Yoga Sutra, o aforismi, di
Patanjali sono considerati da millenni la Scrittura più autorevole dello yoga.
Patanjali scrive: «Yogas chitta vritti nirodh», «Lo yoga è la neutralizzazione
delle onde del sentimento». La parola chitta (sentimento) è stata tradotta in
vari modi: come “materia mentale”, “coscienza”, “subcoscienza”, “mente
inferiore”. Molti anni fa, in una serie di lezioni sugli Aforismi dello yoga di
Patanjali, Paramhansa Yogananda spiegò che le onde mentali da cui
nascono illusione e schiavitù sono in primo luogo le simpatie e antipatie, i
sentimenti condizionati del cuore. Vritti significa letteralmente “vortici”,
cioè i gorghi che interferiscono con lo scorrere tranquillo del fiume della
vita, risucchiando in un’orbita individuale qualunque cosa ci piaccia. Essi ci
coinvolgono in scelte e rifiuti dettati dall’ego, al punto che perdiamo la
consapevolezza di far parte di quel fiume. I pensieri attraversano perfino le
menti dei saggi illuminati, se questi lo desiderano, ma scompaiono presto,
perché essi non sono loro attaccati. Persone simili compiono anche altre
funzioni mentali – come memorizzare, associare e analizzare – in modo
superiore alla media; non smettono di funzionare come esseri umani dopo
aver ricevuto l’illuminazione. Ciò che cessa per loro sono le onde, o vortici,
delle simpatie e antipatie egoistiche dell’attaccamento. Entrando così nella
sacra corrente vitale di Pranava, o AUM,* essi si immergono
coscientemente nel silenzioso, infinito oceano dello Spirito.
Lo yoga è la neutralizzazione dei sentimenti dominati dall’ego. Non
appena questi si calmano, lo yogi comprende infatti di essere – e di essere
sempre stato – uno con l’Infinito, e capisce che la consapevolezza di questa
realtà è stata offuscata in lui solo dall’infatuazione per le limitazioni.
Per comprendere i diversi sentieri dello yoga, occorre considerare come
essi contribuiscono a neutralizzare le onde del sentimento. Limitarsi a
lasciar crescere dentro di sé l’eccitazione devozionale non è Bhakti Yoga (il
raggiungimento dello yoga attraverso il sentiero della devozione). Limitarsi
a studiare e filosofeggiare intellettualmente non è il sentiero del Gyana
Yoga (il sentiero della saggezza). Tutti questi sentieri devono essere percorsi
con la ferma consapevolezza dello scopo di ogni pratica dello yoga: Yogas
chitta vritti nirodh.
È questo il vero scopo di ogni ricerca. Il motivo per cui gli aforismi di
Patanjali sono accettati come Scrittura universale è che trattano di verità
spirituali universali, non di pratiche settarie. Ogni ricercatore della verità,
indipendentemente dalla sua religione, raggiungerà alla fine lo stesso stato
di calma divina che costituisce lo yoga.
Considera il sentiero del Bhakti Yoga, lo yoga della devozione. I veri
santi di ogni religione, a prescindere dallo zelo con cui hanno pregato,
cantato o danzato nella propria devozione, hanno raggiunto un punto nel
loro sviluppo in cui sono stati sopraffatti da una profonda calma interiore;
ogni movimento si è arrestato. Santa Teresa d’Avila ha affermato che in
questo stato non poteva neppure pregare, tanto profonda era la sua
silenziosa immobilità interiore. Ella era veramente uno yogi, sebbene non
avesse mai sentito parlare dello yoga. Tuttavia, non essendo consapevole
che quella perfetta immobilità silenziosa era la meta della ricerca spirituale,
sprecò molti anni (come affermò in seguito) cercando di costringere la
mente a ritornare a pratiche devozionali superficiali, che l’anima stava
cercando di trascendere.
Il Bhakti Yoga, quindi, deve condurre dal fervore personale alla calma
impersonale. Ciò che conta non è come definiamo Dio, ma come ci
avviciniamo a Lui. Dapprincipio, ilbhakti yogi pensa a Dio in termini
personali, umani: come Padre, Madre, Amico o Amato. Questa visione
personale lo aiuta a risvegliare e a dirigere l’amore verso Dio. Coloro che
seguono questo sentiero senza consapevolezza sprecano molta energia
discutendo sui meriti delle divinità da loro prescelte. Non vedono che lo
Spirito è tutte le forme e nessuna forma (poiché, essenzialmente, è al di là
di ogni forma). Se la nostra devozione deve condurci all’illuminazione, ciò
che importa non è ciò che amiamo, ma come amiamo. Le differenze settarie
non fanno che creare un maggior numero di onde di simpatie e antipatie;
non conducono allo yoga.
Il Bhakti Yoga, o pura devozione, è essenziale in qualche misura per ogni
ricercatore. L’amore altruistico è uno dei modi più veloci per calmare i
vortici egoistici del desiderio e sottrarre i sentimenti all’orbita dell’ego, per
immergerli nel Flusso Divino. Il Bhakti Yoga deve essere soprattutto
un’offerta di sé: non solo rumore e canti a squarciagola, ma anche silenzio,
ascolto della risposta divina. La devozione è un modo per creare una
corrente di pura energia, così forte che ogni desiderio impuro viene
trascinato lontano dalla sua scia.
Allo stesso modo, il sentiero del Karma Yoga (yoga attraverso l’azione)
non conduce a un’attività sempre più frenetica, ma a una profonda calma e
libertà interiore. Riuscire nel Karma Yoga non significa compiere molte
azioni, ma agire, anche nelle piccole cose, sempre più con la coscienza che
il vero Artefice è Dio. Tutti si impegnano in qualche attività, ma pochi sono
karma yogi. Il vero karma yogi cerca, attraverso le attività che gli ricordano
Dio, di ridirigere tutti gli impulsi sbagliati del suo cuore entro canali
salutari. Ancor più, egli cerca di divenire consapevole dell’energia divina
che fluisce attraverso di lui mentre agisce. Proprio come al bhakti yogi
viene insegnato a preoccuparsi più di amare con purezza che di definire
esattamente ciò che ama, al karma yogi viene insegnato che lo spirito con
cui serve è più importante del servizio stesso. Il nishkam karma, l’azione
senza desiderio, o azione priva di desiderio per i frutti dell’azione, è Karma
Yoga. Ogni altra attività conduce non allo yoga (unione), ma solo a
un’ulteriore schiavitù, poiché fa sorgere nel cuore ancora più onde di
attrazioni e repulsioni («Morirò se non ci riesco!». «Guardate tutti –
Giovanni, Maria, Andrea – non è meraviglioso quello che ho fatto? Che
cosa potrebbe avere più importanza di questo?». «Che cosa è successo? A
Giovanni è piaciuto quello che ho fatto, ma a Maria no. Dovrò lavorare
ancora di più adesso, finché tutti saranno colpiti da ciò che ho realizzato».
Oppure: «Ho fallito! Adesso non c’è più niente per cui valga la pena di
vivere!»). Con tutta questa agitazione personale, la corrente principale della
vita scivola via, mentre noi notiamo solo alcuni piccoli ramoscelli.
Disperatamente cerchiamo di attirarli nelle nostre orbite personali, col
pensiero che ottenendoli troveremo la pace, ma non ci rendiamo conto che,
creando questi vortici di desiderio, non facciamo altro che distruggere la
pace che potremmo avere.
L’attività fa parte della natura umana; non potremmo mai trovare la
libertà interiore se annullassimo ogni impulso con l’inazione. La sintonia
con il Creatore Infinito si ottiene, in parte, con il lavoro salutare e creativo,
non con la negazione di ogni manifestazione del Suo potere in noi. La
neutralizzazione delle onde del sentimento deriva in una certa misura dalla
soddisfazione dei nostri desideri sani. Quella soddisfazione, però, deve
essere offerta in alto, al Divino; deve essere percepita come una semplice
increspatura sull’oceano della beatitudine cosmica. In questo modo, la
giusta attività conduce alla libertà interiore, che è lo scopo vero e spirituale
di ogni azione.
Il Karma Yoga non consiste necessariamente nel costruire ospedali o
svolgere attività comunemente definite religiose. La libertà è la meta, ma è
anche il criterio della giusta azione. Se, ad esempio, la natura di un
individuo (determinata dal suo karma passato) lo costringe a lavorare la
terra, per lui il giardinaggio potrà essere un’attività più importante – in
quanto liberatoria – del predicare alle masse. Nella vita di ogni uomo, il
criterio della giusta attività è ciò che lo porterà, nel senso più alto, a un
divino stato di libertà interiore.
Si vedrà allora che il Karma Yoga non è un sentiero distinto e separato.
Perfino il Bhakti Yoga comporta un tipo di attività: l’espressione della
devozione. Lo stesso vale per l’esercizio della discriminazione, per la
meditazione e per la pratica delle posizioni yoga. L’insegnamento del
Karma Yoga non è: «Fai questo o quello, specificamente», ma: «Qualunque
cosa tu faccia, falla con un senso di libertà. Comprendi che sei solo uno
strumento del Divino. Non fare nulla per fini egoistici. Agisci invece in
modo da neutralizzare, anziché agitare, le onde delle tue simpatie e
antipatie».
Agendo senza desiderio per i frutti dell’azione, lo yogi impara a vivere
non nel passato o nel futuro, ma nell’eterno PRESENTE.
Agendo coscientemente come canale per il Divino, egli comprende
infine che le azioni sono efficaci anche in senso oggettivo, non in base allo
zelo che si impiega nel compierle, ma alla misura in cui si esprime Dio nel
proprio lavoro. Poiché l’energia è un aspetto di Dio, il lavorare di buona
lena porterà maggiore sintonia divina del lavorare a malincuore e con
trascuratezza. Tuttavia, un semplice sorriso divino può trasformare più cuori
di mille sermoni verbosi o trattati eruditi. Per chi è abbastanza sensibile da
vedere in profondità, un singolo bastone da passeggio lavorato con gioia
divina sarà un’opera d’arte più grande di una gigantesca scultura intagliata
con grande abilità, ma senza profonda comprensione. Quando lo yogi,
tramite le sue azioni altruistiche, sviluppa la consapevolezza del potere
divino che fluisce attraverso di lui, comprende di poter realizzare di più,
anche per l’umanità, divenendo immobile e silenzioso e agendo come
stazione trasmittente per l’Infinito Potere, i cui sermoni sono il Silenzio.
In questo modo il lavoro esteriore sparisce e il vero lavoro dello yogi
diventa l’elevazione degli altri tramite le silenziose emanazioni della sua
pace. (È comunque opportuno, a questo punto, rivolgersi a quelle sedicenti
anime “libere” che, nel nome di un’elevata filosofia Vedanta – e di solito
con una generosa miscela di droghe – immaginano di servire nel modo più
elevato rimanendo seduti senza fare niente, e affermano di essere strumenti
divini mentre tutta l’ispirazione che sentono non è che un vago
suggerimento del loro subconscio. Il duro lavoro purifica. Il grande yogi,
sebbene non necessariamente attivo esteriormente, è consapevole del fatto
che sta convogliando molta più energia di un migliaio di uomini comuni. La
sua è un’attività enorme, ma talmente sensibile da non richiedere più
l’applicazione dei muscoli. Il neofita, tuttavia, farebbe bene a esercitare
generosamente la propria muscolatura.)
Il Gyana Yoga è lo yoga della saggezza. La saggezza giunge dapprima
attraverso la pratica di viveka (discriminazione). Quando l’ego inizia questa
pratica, è tentato di compiacersi della sua profondità, addentrandosi sempre
più nell’analisi dei diversi aspetti della realtà. Yogas chitta vritti nirodh.
L’importante non è quante diverse verità profonde siamo in grado di
afferrare, ma piuttosto quanto profondamente afferriamo la verità centrale:
la necessità di elevarci al di sopra delle simpatie e antipatie personali.
Nell’esercitare un’incisiva discriminazione, molti gyana yogi alimentano in
realtà le loro attrazioni e repulsioni, tramite una smodata inclinazione per le
idee profonde.
Discriminazione significa cercare in ogni cosa il cuore della realtà.
Significa penetrare a livelli sempre più profondi di comprensione intuitiva.
Il dono di una persona a un’altra, ad esempio, potrebbe in realtà avere il
solo scopo di comprarne l’amicizia. Tuttavia, questo desiderio
apparentemente cinico di comprare un’amicizia potrebbe sorgere dal
patetico timore di non poterla conquistare in nessun altro modo. Questo, a
sua volta, potrebbe essere dovuto alla consapevolezza, a un livello ancora
più profondo, che l’amicizia non può mai essere conquistata né posseduta;
che non c’è nulla, in verità, che possa essere posseduto. Una tale
consapevolezza, dal canto suo, sebbene possa sembrare triste a prima vista,
sgorga dalla certezza ancor più profonda dell’anima di essere completa in se
stessa e di non dover cercare l’appagamento in nessun luogo al di fuori di
sé. Il suo senso di completezza, infine, è radicato nella realtà più profonda,
poiché essa, essenzialmente, è l’Infinito stesso. Il dono fatto per motivi
egoistici era quindi dovuto, in ultima analisi, all’intenso desiderio spirituale
dell’anima di proclamare suo l’universo stesso.
Neti, neti: né questo né quello. Guardando al di là di ogni successivo
velo che nasconde la porta della Verità, il gyana yogi giunge infine alla
Verità stessa, spogliata di ogni apparenza superficiale.
Non perverrà mai a questa realtà, tuttavia, finché la cercherà solo al
livello delle idee, alcune delle quali lo attrarranno mentre altre lo
respingeranno. La sua ricerca deve portarlo nell’intimo di se stesso, per
realizzare a livelli sempre più profondi chi e che cosa egli è. Il gyana yogi
deve dissipare le false identificazioni del proprio cuore. Proprio come nel
Bhakti e nel Karma Yoga, ciò che veramente conta non è ciò che si vede, ma
come si vede.
Ecco il motivo per cui questo sentiero è chiamato Gyana Yoga (yoga
della saggezza) e non Viveka Yoga (yoga della discriminazione). La
saggezza non è solo la meta: è anche il sentiero. Il gyana yogi deve vedere
tutte le cose con la coscienza imparziale del saggio; non è tanto importante
che egli veda oltre le umane follie, quanto che non si lasci contagiare dalla
follia suprema: l’illusione stessa.
La Bhagavad Gita, la Scrittura più amata dell’India, afferma: «Trova la
contentezza colui che, come il calmo oceano, assorbe in se stesso tutti i
fiumi del desiderio» (II,70). L’uomo comprende raramente che perfino le
soddisfazioni esteriori provenienti dal mondo scaturiscono in realtà dal suo
intimo, dalle sue reazioni alle cose piuttosto che dalle cose stesse. Il gyana
yogi cerca, perfino nel momento del godimento esteriore, di interiorizzare la
propria coscienza, alimentando le fiamme interiori della coscienza
dell’anima. È consapevole del fatto che, se agisse come le persone mondane
e prendesse a prestito le braci di quella fiamma per illuminare le cose che lo
circondano, la vera fonte della sua gioia interiore si consumerebbe in grigie
ceneri.
In modo simile si comporta con i desideri: così egli comprende che il
loro appagamento dipende interamente dalle immagini di appagamento che
lui stesso si è creato nella mente, non dalle circostanze esterne. È come se
ponesse degli specchi tutt’intorno a sé, riconducendo alla luce della gioia
interiore le sue immagini mentali e vedendo quelle immagini come meri
riflessi di quella gioia. In questo modo, la luce della sua anima si
intensifica, invece di disperdersi.
Tutto ciò è paragonabile al maggiore benessere che procura il fuoco del
caminetto in una casa ben riscaldata, quando si sa che fuori infuria la
tormenta. Quanto più si diventa consapevoli che ogni gioia è centrata nel
Sé, tanto più gli allettamenti del mondo servono solo a rafforzare
l’affermazione della libertà della propria anima.
Il Gyana Yoga non è solo un particolare sentiero verso Dio; esso indica
anche la direzione che tutti i nostri pensieri dovrebbero seguire nel Bhakti
Yoga e nel Karma Yoga, se vogliamo che ci conducano alla liberazione.
I diversi sentieri fin qui considerati hanno lo scopo di adattarsi alle
fondamentali differenze di temperamento degli uomini, come ad esempio a
coloro che vivono guidati più dal sentimento, oppure dall’azione o dal
pensiero. Poiché ogni uomo riunisce in sé tutte queste caratteristiche, a
prescindere da quale di esse prevalga nella sua particolare natura, ognuno
dovrebbe seguire, in certa misura, tutti e tre i sentieri dello yoga.
Quella del temperamento, comunque, è una considerazione superficiale;
esso non è una qualità dell’anima, ma solo dell’ego. Il perfezionamento di
ognuno di questi sentieri trascende il temperamento, e conduce dalle
pratiche esteriori alla profonda e silenziosa immobilità interiore. Come ho
già detto, a meno che non vi sia un certo livello di “interiorità” fin dal
principio del viaggio, le pratiche esteriori rimarranno tali; non condurranno
cioè alla neutralizzazione dei vortici del sentimento, che è l’unico vero
yoga.
Oltre alle pratiche esteriori, bisognerebbe dunque meditare regolarmente
ogni giorno. Ciò darà forza alla nostra devozione, alle nostre attività e alla
nostra comprensione del Divino. La pratica speciale di questi yoga, a sua
volta, darà più forza alle nostre meditazioni e contribuirà a determinarne il
corso. Non solo la meditazione, ma l’armoniosa combinazione – con la
meditazione come guida suprema – di tutti questi yoga costituisce il
sentiero del Raja Yoga, lo yoga “regale”.
Il Raja Yoga vede la natura umana come un regno composto da molte
tendenze psicologiche e attributi fisici, ognuno dei quali richiede
un’attenzione particolare. Un re non può permettersi di favorire una classe
di sudditi a spese di tutte le altre, perché lo scontento che provocherebbe
farebbe nascere i semi della ribellione. Allo stesso modo, l’uomo
progredisce più facilmente quando tutti gli aspetti della sua natura sono
sviluppati in modo armonioso. Il raja yogi, o yogi regale, ha l’obbligo di
governare saggiamente e con moderazione il proprio regno, sviluppando
tutti gli aspetti della propria natura in modo equilibrato e integrato. Poiché è
l’anima che governa veramente il regno interiore dell’uomo, lo sviluppo
della coscienza dell’anima per mezzo della meditazione quotidiana
rappresenta l’attività principale del Raja Yoga. Tuttavia, perfino la
meditazione, se è unilaterale, può produrre squilibri. Il raja yogi è quindi
incoraggiato a sviluppare tutti i lati della sua natura, ma sempre con
l’obiettivo di neutralizzare le onde delle sue attrazioni e repulsioni, non di
esprimersi egoisticamente creando sempre nuovi vortici di coinvolgimento
personale.

Posizioni yoga
Principi e pratiche di base

L’Hatha Yoga, lo yoga delle posizioni fisiche, non è una scienza separata
dal resto dello yoga, ma è piuttosto la disciplina fisica dell’insegnamento
integrale conosciuto come Raja Yoga.
Yoga vuol dire “unione”. A livello fisico ciò significa la completa
armonia di tutte le parti del corpo: un sostegno equilibrato e reciproco di
tutte le componenti, in modo tale che la malattia, o disarmonia, sia
affrontata con una difesa compatta e possa difficilmente irrompere nel
corpo.
Lo yoga – la neutralizzazione delle onde del sentimento – riporta l’uomo
al suo stato naturale. L’illusione è una condizione innaturale; la visione
divina è l’unico stato vero o naturale. Applicando questo insegnamento al
corpo, si può comprendere come la malattia e gli altri sintomi della
disarmonia fisica non siano naturali per l’uomo. Se si è in grado di tornare
allo stato naturale, la malattia sparirà spontaneamente.
La medicina occidentale, essendo priva di basi filosofiche, tratta la
malattia come un fenomeno naturale che deve essere sconfitto, scacciato dal
corpo con panacee inventate dall’uomo, come se la “conquista” della
malattia fosse possibile solo contrastando i processi naturali, andando
contro natura.
Quali sono i risultati dell’approccio della medicina occidentale?
Inevitabilmente, i dottori hanno scoperto numerose verità naturali e le
hanno applicate, ma l’orientamento filosofico alla base della scienza è tale
che la Natura viene chiamata in causa solo perché l’uomo non può
assolutamente sfuggirle, essendo egli stesso un prodotto della Natura. La
medicina occidentale si sforza in ogni modo di sostituire la Natura con le
cose fatte dall’uomo, ovunque sia possibile. Vi è una costante aspettativa di
qualche nuova scoperta nel campo dei medicinali, che farà sparire questa o
quella malattia dalla faccia della terra. È patetico sentire come così tante
persone che abbracciano questa visione diventino letteralmente schiave
delle cure mediche. Sposando l’innaturale, esse devono anche accettare i
principali sintomi dell’innaturalezza dell’uomo: la disarmonia fisica e la
malattia. Si dice che i dottori uccidono tanti pazienti quanti ne curano: che
sia o meno un’esagerazione, è certo che il paziente che dipende in maniera
eccessiva dalle cure mediche, piuttosto che dalla propria forza interiore, non
sembra mai dare segni di miglioramento ed è indotto dalla sua cattiva salute
cronica a ricorrere a continue (e costose) visite mediche.
Le posizioni yoga aiutano ad armonizzare il corpo con la legge naturale.
Allo yogi viene mostrato come sviluppare i propri poteri latenti, piuttosto
che fare affidamento in modo inefficace su qualche agente esterno per il
proprio benessere fisico. Poiché un cattivo stato di salute è la condizione
innaturale e non quella naturale del corpo, l’Hatha Yoga pone innanzitutto
l’accento sul liberare il corpo da qualsiasi impurità che possa impedirgli di
funzionare come dovrebbe, piuttosto che fare ricorso a elementi esterni
sufficientemente forti da distruggere tutte le malattie. Un pianoforte privo di
rotelle appoggiato su una carta vetrata sarebbe difficile da spostare anche
per l’uomo più forte; ma se fosse dotato di rotelle molto scorrevoli e
posizionato su un pavimento scivoloso, allora anche un bambino sarebbe in
grado di spingerlo con facilità. Anche una piccola vitalità fisica può
diventare dinamica, se le ostruzioni innaturali al suo fluire vengono
rimosse.
Sia gli yogi sia i medici occidentali affermano che le tossine nel corpo
lasciano presto il flusso sanguigno e si concentrano nelle articolazioni. Gli
yogi spiegano che anche l’invecchiamento si manifesta dapprima nelle
articolazioni. I medici occidentali sostengono che effettivamente i dischi
intervertebrali di molte persone, compresi i ventenni, presentano segni di
deterioramento a causa della mancanza di un’adeguata irrorazione. I sistemi
occidentali di esercizio fisico – sport, esercizi ginnici vigorosi e simili – non
sviluppano la flessibilità necessaria per mantenere le articolazioni libere
dalle tossine e la colonna vertebrale ben irrorata dalla forza vitale. In
entrambi questi aspetti, la scienza dell’Hatha Yoga si rivela supremamente
benefica.
L’Hatha Yoga esercita anche una gentile azione di massaggio sugli
organi interni e le ghiandole, rinvigorendoli gradualmente fino al punto in
cui fornire loro un aiuto esterno equivarrebbe solo a portare acqua al mare.
Nello yoga viene data molta importanza all’eliminazione delle tossine
dal corpo. Una forma di tossina, alla quale solitamente non si pensa in
questi termini, è la tensione. Essa blocca il flusso naturale di energia nel
corpo, e paralizza la normale sensazione di armonia fisica e mentale. Tutte
le malattie dell’uomo derivano, in forma più o meno diretta, da squilibri nel
flusso d’energia nel corpo. La ragione principale per eliminare le scorie dal
corpo è di permettere all’energia di fluire liberamente. La tensione, che è il
principale blocco a questo flusso, è il primo ostacolo da superare per far
ritornare il corpo al suo stato di naturale divinità.
Sarà evidente da quanto appena detto che il segreto del successo nello
yoga è il rilassamento, non lo sforzo. Non bisogna forzare se stessi in una
nuova condizione, ma semplicemente cercare di liberarsi dalle tensioni e
disarmonie che hanno impedito finora di essere pienamente se stessi. Come
ho detto nella prima lezione, rilassati nelle posizioni, non forzare. Questo è
particolarmente vero per le posizioni di allungamento.
Esegui sempre le posture quando sei calmo, fisicamente ed
emotivamente. Sarebbe bene praticare, se possibile, all’aria aperta o vicino
a una finestra aperta. È meglio non farlo in una stanza chiusa o dove l’aria è
viziata. Non avere fretta di passare da una posizione all’altra. Mantieni ogni
postura dopo esservi entrato; ricorda che i benefici spesso si manifestano
solo dopo che sei rimasto per qualche tempo nella posizione.
Dopo ogni posizione, riposati per almeno lo stesso tempo per il quale
l’hai mantenuta, o fino a quando il cuore non ritorna al suo ritmo consueto.
È ammesso “barare” un po’, ma con giudizio. Per esempio, se non sei in
grado di restare in equilibrio nella posizione dell’Albero, non esitare ad
appoggiarti a una parete. Con il tempo scoprirai di poter fare la postura in
maniera corretta, ma la strada verso la perfezione può essere in salita.
Cerca di praticare le posizioni alla stessa ora ogni giorno. La regolarità è
un’importante caratteristica della disciplina yogica. Come diceva il mio
grande guru: «Rendi abitudinaria la tua vita. Dio ha creato la routine. Il sole
splende fino all’imbrunire e le stelle splendono fino all’alba».
Avvicinati alle posizioni con un’attitudine di pace.

VRIKASANA
(la posizione dell’Albero)

«Sono calmo, sono sereno».

Comincia da Tadasana, la posizione in piedi. Sposta lentamente il peso


del corpo sul piede sinistro, radicandoti a terra. Fissa lo sguardo su un punto
fisso, a terra o sulla parete di fronte a te.
Apri il ginocchio destro di lato, facendo partire il movimento dall’anca.
Il bacino dovrebbe rimanere rivolto in avanti.
Appoggia la pianta del piede destro contro l’interno della coscia sinistra,
con le dita del piede rivolte in basso.
Inspirando, con i palmi delle mani rivolti in alto, fai un ampio cerchio
portando le braccia sopra la testa. Congiungi i palmi delle mani e allungati
verso l’alto. Espirando, piega i gomiti e rilassa le spalle, mantenendo la
spina dorsale lunga e aperta. Respira in modo naturale.
Percepisci mentalmente la presenza di una linea retta che, dirigendosi
verso l’alto attraverso la tua spina dorsale, giunge a passare tra i palmi e le
dita. Sentiti centrato in questa linea. Rilassa il corpo quanto più ti è
possibile.
Afferma mentalmente: «Sono calmo, sono sereno».
Mantieni la posizione e concentrati sulla sensazione interiore di
centratura fino a quando senti che è confortevole per te.
Per uscire dalla posizione, inspira e allungati verso l’alto; poi espira e
rilassa le braccia riportandole ai lati. Porta il piede destro al pavimento,
ritornando alla posizione di partenza in piedi.
Fai una pausa per godere della sensazione di calma centratura ed
equilibrio interiore che viene dalla posizione. Poi ripeti dall’altro lato.

Per eseguire la posizione classica, più avanzata (nella “mezza posizione


del Loto”, come nella foto di Swami Kriyananda): porta il ginocchio destro
al petto. Prendi la caviglia destra con la mano sinistra e porta il ginocchio
destro a lato e in basso, facendo partire il movimento dall’anca. Metti il
piede destro all’altezza dell’inguine tra la coscia sinistra e l’addome, nella
mezza posizione del mezzo Loto.

Benefici: la posizione dell’Albero è un aiuto eccellente per diventare più


centrati in se stessi (in senso spirituale, non egoico) e per sviluppare una
postura corretta.

Precauzioni
• Tieni il ginocchio della gamba d’appoggio morbido, non bloccato, e
allungati attivamente attraverso la gamba piuttosto che spostare l’anca di
lato.
• Le donne in gravidanza e i praticanti con la tendenza ad arcuare
eccessivamente la parte bassa della schiena dovrebbero mantenere i
glutei contratti e il pube spinto in avanti, per proteggere la zona lombare.
• Coloro che soffrono di problemi cardiovascolari dovrebbero tenere le
mani giunte al cuore, invece di portarle al di sopra della testa.

ARDHA CHANDRASANA
(la posizione della Mezzaluna)

«Forza e coraggio riempiono le cellule del mio corpo».

Comincia da Tadasana, la posizione in piedi. Porta i piedi vicini e i


palmi delle mani rivolti all’insù.
Inspira e porta le braccia in alto, sollevandoti sulle punte dei piedi.
Unisci i pollici al di sopra della testa, con i palmi rivolti in avanti, e
allungati.
Espirando, prosegui l’allungamento verso sinistra e muovi leggermente
le anche verso destra, affinché tutto il corpo formi un grazioso arco laterale.
I talloni possono toccare leggermente il pavimento o essere sollevati.
Rilassa le spalle portandole verso il basso.
Mantieni la spina dorsale allungata, facendo sì che la parte interna
(sinistra) della gabbia toracica rimanga lunga e aperta. Cerca di mantenere il
corpo su un unico piano, come se si trovasse tra due lastre di vetro: non
ruotarlo e non portarlo né in avanti né all’indietro. Respira naturalmente.
Cerca di essere consapevole del movimento verso l’alto dell’energia,
come se fosse l’energia stessa ad allungare il corpo verso l’alto e verso
sinistra.
Afferma mentalmente: «Forza e coraggio riempiono le cellule del mio
corpo».
Per uscire dalla posizione, inspira e ritorna in verticale, sollevandoti
nuovamente sulle punte dei piedi e allungandoti verso l’alto con entrambe
le braccia. Espirando, apri le braccia ai lati formando un grande cerchio e
torna nella posizione in piedi.
Fai una pausa per sentire gli effetti della posizione, poi ripeti dall’altro
lato.

Benefici: questa posizione ti aiuterà a divenire più consapevole della


spina dorsale, una necessità indispensabile per le posizioni che praticherai
più avanti.

Precauzioni
• Le donne in gravidanza e le persone che tendono ad arcuare
eccessivamente la parte bassa della schiena dovrebbero mantenere i
glutei contratti e il pube spinto in avanti, per proteggere la zona lombare.
• Se soffri di problemi cardiovascolari (compresa la pressione alta), tieni le
mani al cuore.
• In caso di lesioni spinali, chiedi il parere di un medico.
TRIKONASANA
(la posizione del Triangolo)

«Energia e gioia fluiscono nelle cellule del mio corpo! La gioia discende
su di me!».

Da Tadasana, divarica i piedi tanto quanto la lunghezza di una gamba.


Gira lateralmente il piede sinistro di 90º, facendo partire il movimento
dall’anca sinistra. Assicurati che il ginocchio sinistro sia nella stessa
direzione delle dita del piede sinistro.
Il bacino dovrebbe rimanere rivolto in avanti, ma forse dovrai far venire
un po’ avanti l’anca destra, per evitare di torcere il ginocchio sinistro. In
questo caso, gira all’indentro il piede destro per evitare di torcere il
ginocchio destro. Per proteggere il ginocchio sinistro, contrai i muscoli
della coscia al di sopra di esso.
Porta le braccia ai lati, aperte all’altezza delle spalle e con i palmi rivolti
in avanti. Inspirando, allungati a sinistra e leggermente verso l’alto con il
braccio sinistro, portando il tronco verso sinistra. Mantieni il lato sinistro
della cassa toracica allungato e aperto e la spina dorsale allineata.
Dopo esserti allungato il più possibile verso sinistra in maniera comoda,
espira e fai scendere il braccio sinistro fino a toccare leggermente la gamba;
arriva dove puoi con la mano sinistra (senza piegare ulteriormente il tronco
di lato).
Inspira e solleva il braccio destro portandolo in verticale, con il palmo
della mano rivolto in avanti.
Tieni le spalle rilassate, allontanandole dalle orecchie. Inspira e allunga il
collo, poi espira e ruota la testa senza perdere l’allineamento, per guardare
in alto verso il braccio sollevato. Respira naturalmente.
Afferma: «Energia e gioia fluiscono nelle cellule del mio corpo! La gioia
discende su di me!».
Per uscire dalla posizione, inspira e allunga il collo, poi espira e ruota la
testa per guardare di nuovo in avanti. Piega leggermente il ginocchio
sinistro e, inspirando, portati dritto premendo a terra il piede sinistro e allo
stesso tempo allungando in alto la mano destra. Quando sei nella posizione
eretta, gira i piedi di nuovo in avanti e apri le braccia, il petto e le spalle.
Espira e rilassa le braccia ai lati, riportando i piedi in Tadasana.
Fai una pausa per assimilare gli effetti della posizione, dirigendo
l’energia liberata verso la spina dorsale e in alto verso il cervello. Poi ripeti
dall’altro lato.

Benefici: Trikonasana rivitalizza tutto il corpo e la mente e aiuta a


percepire il flusso della forza vitale, per poi ritirarla nella spina dorsale e
verso l’alto, nel cervello.

Precauzioni
• Non appoggiare pesantemente la mano (e quindi anche il tronco) sulla
gamba sinistra, specialmente vicino al ginocchio.
• Mantieni tesa la coscia sinistra per proteggere il ginocchio. Se hai
ginocchia deboli o lesionate, non aprire troppo i piedi. Inoltre, non
piegarti troppo lateralmente e mantieni il ginocchio (sinistro) piegato.
• Le donne in gravidanza e i praticanti con tendenza ad arcuare
eccessivamente la parte bassa della schiena dovrebbero mantenere i
glutei contratti e il pube spinto in avanti, per proteggere la zona lombare.
• Se soffri di lesioni spinali: alcune lesioni potrebbero rendere
controindicata la posizione; è pertanto necessario consultare un medico.
PASCHIMOTANASANA
(la posizione di Allungamento posteriore)

«Sono salvo, sono sano. Tutto il bene viene a me e mi dona la pace!».

Siediti a terra con le gambe distese di fronte a te. (Sedendoti sul bordo di
un cuscino, ti sarà più facile mantenerti dritto.) Inspira e porta le braccia in
avanti e in alto, allungandoti verso l’alto dal sacro fino alla punta delle
mani, sopra la testa.
Con un’espirazione, piegati in avanti dalle anche e allungati al di sopra
delle gambe, tenendo la spina dorsale dritta e lasciando che le mani
scendano sulle gambe, sui piedi o a terra (ovunque tu arrivi con facilità).
Continua in questa prima fase, inspirando e allungandoti, espirando e
approfondendo il piegamento in avanti, sempre mantenendo la spina dorsale
dritta e la nuca allungata. Rilassa le spalle lontano dalle orecchie.
Dopo qualche respiro, allungati con un’ultima inspirazione, poi espira e
rilassati completamente nella seconda fase della posizione, quella di
“abbandono”, lasciando che la spina dorsale si rilassi. Non si tratta di una
posizione facile da assumere, specialmente per le persone anziane. Se non
riesci a raggiungere i piedi, allora afferra le caviglie, le ginocchia o
qualsiasi altro punto ti sia possibile afferrare per dare stabilità alla parte
superiore del corpo. Approfondisci il piegamento in avanti solo con il
rilassamento, non con lo sforzo, sentendo che ti stai offrendo nella
posizione. Respira naturalmente.
Diventa consapevole della tensione dietro le ginocchia e alla base della
spina dorsale, che ti impedisce di piegarti ulteriormente in avanti. Pensa allo
spazio in questi punti di tensione e noterai con sorpresa che, dopo alcuni
momenti, sarai in grado di piegarti maggiormente senza alcuno sforzo.
Ripeti questo processo e, nell’arco di uno o due minuti, ti accorgerai di
esserti piegato in avanti molto più di quanto avresti pensato possibile. (A
proposito, più trovi questa posizione difficile da praticare, più ne hai
assolutamente bisogno!)
Se riesci facilmente ad afferrare gli alluci (mantenendo cioè ben
allungata la spina dorsale e le spalle rilassate e lontane dalle orecchie), il
modo corretto di farlo è di afferrarli con il pollice, l’indice e il dito medio di
ogni mano, proprio come se stessi afferrando un palo dritto.
Afferma: «Sono salvo, sono sano. Tutto il bene viene a me e mi dona la
pace!».
Per i principianti non è opportuno mantenere la postura per più di 15 o
30 secondi, ma non temere di restare più a lungo – fino a 3 minuti – se senti
di poterlo fare in maniera confortevole.
Per uscire dalla posizione, inspira e usa i muscoli dell’addome e della
parte inferiore della schiena (e le braccia, se necessario) per ritrovare le
curve naturali della spina dorsale. Poi solleva e allunga le mani fin sopra la
testa, portando il tronco in posizione verticale. Espira portando le braccia ai
lati e ritornando per un momento in posizione seduta. Poi portati
gradualmente sdraiato sul dorso e resta supino per uno o due minuti, per
assimilare e godere gli effetti della posizione. Senti che ora l’energia può
fluire molto più liberamente nella spina dorsale.

Benefici: Paschimotanasana aiuta a tonificare il sistema nervoso,


migliora il funzionamento degli organi pelvici addominali ed è
generalmente eccellente per la digestione. Grazie alla sua azione di
allungamento sui tendini delle gambe, è anche un eccellente esercizio di
scioglimento da praticare prima di cimentarsi con le posizioni da seduti più
difficili. (Gli effetti psicologici e spirituali di questa posizione saranno
discussi nella terza lezione.)

Precauzioni
• Usa molta cautela se la parte inferiore della schiena è debole. Impegna i
muscoli addominali e della schiena per sostenere tutta la schiena.
• Le donne incinte dovrebbero tenere i piedi abbastanza separati da evitare
la compressione addominale.
• Alcune lesioni spinali potrebbero rendere controindicata la posizione.
HALASANA
(la posizione dell’Aratro)

«Nuova vita, nuova coscienza inondano il mio cervello!».

Questa posizione è una delle più importanti nell’Hatha Yoga. Molte parti
del corpo ne traggono beneficio. Essendo una delle posture più facili da
assumere è anche gratificante, ma procedi comunque in maniera gentile. In
tutte le posizioni dello yoga si dovrebbe essere profondamente consapevoli
di ogni movimento del corpo, di ogni muscolo che viene impiegato. In
Halasana questo principio di consapevolezza è in particolar modo
importante da tenere a mente, poiché numerose parti del corpo sono
coinvolte. Respira spontaneamente in tutte le fasi della posizione
dell’Aratro.
Piega due coperte e sistemale al pavimento. Sdraiati con la schiena sulle
coperte e le spalle a circa 5 cm sotto il bordo delle coperte piegate, con le
braccia lungo il corpo sulle coperte e i palmi rivolti in basso.
Inspira mentre sollevi le gambe a 45º per qualche attimo, poi in verticale.
Espirando, premi le mani e la parte posteriore delle braccia contro il
pavimento, sollevando i glutei da terra e portando le gambe all’indietro oltre
la testa, parallele al pavimento con le ginocchia sopra il viso.
Inspira e allunga la spina dorsale, premendo a terra la parte superiore
delle spalle e la parte posteriore delle braccia, e allungandoti verso l’alto dai
glutei. Quando espiri, mantenendo l’allungamento della spina dorsale,
lascia andare lentamente le gambe in modo che i piedi tocchino il
pavimento oltre la testa. Quando i piedi toccano il pavimento, intreccia le
dita delle mani dietro di te e premi le spalle a terra per portare la spina
dorsale in verticale. Respira naturalmente.
Senti l’effetto rinvigorente della posizione e afferma: «Nuova vita, nuova
coscienza inondano il mio cervello!».
All’inizio mantieni la posizione per 30 secondi (arrivando in seguito fino
a 2 minuti con la pratica).
Per uscire dalla posizione, inspira e solleva le gambe dal pavimento, poi
espira mentre riporti lentamente la spina dorsale a terra, vertebra dopo
vertebra, con le gambe estese. Quando la colonna è completamente a terra,
inspira un’ultima volta, quindi espira abbassando lentamente le gambe al
pavimento.
Fai una pausa e assimila gli effetti della posizione nel corpo, nella mente
e nell’anima. Se ne senti la necessità, fai una contro-posizione (come
Matsyasana, la posizione del Pesce, che verrà spiegata nella decima
lezione).

Benefici: mantenere le gambe a 45º aiuta tonificare i muscoli


dell’addome e delle cosce. La posizione di Halasana è benefica per i
muscoli addominali e la postura, sebbene il suo scopo principale sia quello
di rilasciare l’energia per farla fluire liberamente nella parte superiore della
spina dorsale. Vi è anche una gentile stimolazione della tiroide, quando il
mento viene premuto contro il petto. Questa postura fa anche affluire
sangue al cervello.

Precauzioni
• Entra nella postura con cautela e assicurati, quando ti trovi nel profondo
della posizione, di non fare più di quanto la tua colonna vertebrale possa
permettersi.
• Non girare la testa lateralmente mentre sei nella posizione.
• Le donne incinte dovrebbero usare estrema attenzione nel fare questa
posizione e dovrebbero evitarla dopo il primo trimestre di gravidanza.
• In presenza di problemi agli occhi, alle orecchie e ai seni frontali, la
posizione può essere consigliabile, neutra o controindicata a seconda
delle condizioni.
Controindicazioni
• Evita questa posizione in caso di problemi cardiovascolari (compresa la
pressione alta), lesioni spinali o instabilità cervicale, e durante il ciclo
mestruale.

Respirazione

Come ho accennato nella prima lezione, il termine indù che designa il


respiro, la vita e l’energia è lo stesso: prana. Il prana ci circonda nell’aria
che respiriamo. Più avanti impareremo come attingere questo prana con
altri mezzi, oltre al respiro. Il respiro, tuttavia, è un mezzo importantissimo.
Quando respiriamo, non attiriamo soltanto aria nei polmoni, ma anche
vitalità, forza, coraggio. Quando espiriamo, eliminiamo dal nostro
organismo non solo anidride carbonica, ma anche impurità mentali ed
emozionali: scoraggiamento, debolezza, disperazione. Poiché si tratta di
tendenze mentali ed emozionali, dobbiamo usare i “polmoni” mentali per
farle entrare in noi o espellerle, proprio come dobbiamo usare i polmoni
fisici per inspirare ed espirare l’aria. Quando compiamo uno sforzo mentale
deliberato per assumere prana dall’aria che respiriamo, allora la
respirazione può darci anche benefici psicologici e spirituali.
I movimenti del prana non sono solo quelli attraverso cui esso entra nel
corpo con il respiro; vi sono anche movimenti di prana all’interno del
corpo. Anch’essi si riflettono sul respiro. Quando siamo emotivamente
turbati, anche il flusso di energia nel corpo è disturbato e l’effetto sul
respiro è immediato: la respirazione diventa irregolare, rapida e poco fluida.
Esiste uno stretto collegamento tra la mente e il respiro. Questa interessante
verità può essere usata in modo vantaggioso, perché così come la mente
influenza il respiro, a sua volta il respiro influenza la mente. È possibile
superare in larga misura gli stati emotivi dannosi respirando in modo
consapevole, profondo e armonioso.
Sono stati scritti libri che mettono in guardia sui pericoli degli esercizi di
respirazione yogica, ma una condanna generalizzata di questi esercizi è
assurda. Come ha sottolineato Paramhansa Yogananda, la Natura costringe
l’uomo a fare un “esercizio di respirazione” per tutta la vita, se desidera
rimanere in questo corpo. Ci sono alcuni esercizi e anche certi modi di
praticarli che possono essere pericolosi, ma discuteremo di questo aspetto
dell’argomento in una lezione successiva. Per il momento, basta affermare
che tutto quello che occorre è una ragionevole cautela e un po’ di buon
senso.
Nella pratica delle posizioni yoga, il principio generale è quello di
inspirare mentre il corpo sale – sia che si entri sia che si esca da una
posizione – e di espirare quando il corpo scende, sia assumendo sia
sciogliendo una postura. Per esempio, quando si entra nella posizione della
Mezzaluna (Ardha Chandrasana) si dovrebbe inspirare, quando si esce si
dovrebbe espirare. Mentre si mantengono le posizioni, si può respirare in
maniera spontanea. Dall’altro lato, quando si assume la posizione del
Triangolo (Trikonasana), che comporta un piegamento, si espira mentre si
scende nella postura e si inspira mentre si risale e si esce da essa. Ci sono
eccezioni a questo principio. Nella postura della Sedia (Utkatasana), per
esempio, si inspira mentre si sale, ma si trattiene il respiro mentre si scende
nella posizione.
Come principio generale (ci sono eccezioni in alcuni esercizi di
respirazione yogica), si dovrebbe sempre respirare attraverso le narici. Le
ragioni di questo principio sono sottili, oltre che ovvie. Quelle ovvie sono
che, respirando attraverso le narici, si filtrano la polvere e le impurità che
altrimenti entrerebbero nei polmoni, e si riscalda l’aria prima che raggiunga
le delicate membrane interne. Le ragioni sottili sono numerose e saranno
presentate nelle prossime lezioni. Una è che l’aria, entrando attraverso le
narici, rinfresca il cervello e rende più chiari i pensieri. Le persone che
respirano abitualmente attraverso la bocca tendono a essere mentalmente
pigre. Quando inspiri, cerca qualche volta di percepire l’aria che entra nel
cervello, rinfrescandolo e raffreddandolo.
Esercizio di respirazione: la prossima volta che ti senti di cattivo umore,
depresso, preoccupato o semplicemente poco concentrato, invece di
rimuginare sul perché ti senti così di cattivo umore o di preoccuparti del
fatto che ti preoccupi troppo, cerca di migliorare l’umore attraverso il
respiro. Inspira molto lentamente e profondamente. Senti che non stai
inspirando soltanto aria, ma anche gioia, pace, forza, coraggio o qualsiasi
altra qualità positiva che desideri affermare in maniera particolare. Siedi
ben dritto mentre pratichi questo esercizio. Immagina che il respiro riempia
non soltanto i polmoni, ma tutto il corpo, partendo dai piedi fino ad arrivare
al punto fra le sopracciglia. Concentra il respiro in questo punto e
mantienilo lì fino a quando puoi farlo in maniera confortevole; senti che stai
bruciando tutti i pensieri negativi nel fulgore della luce divina. Mentre
espiri, fallo vigorosamente, espellendo per sempre dal tuo corpo e dalla tua
mente le ultime tracce di debolezza e negatività.
Ripeti l’esercizio 6 o 12 volte, o quante volte ne hai bisogno per mettere
definitivamente in fuga le forze dell’oscurità.

Sequenze

Se sei in grado di fare le posizioni con una mente calma e con


consapevolezza interiorizzata, il beneficio che otterrai sarà immensamente
maggiore. Prima di praticare le posture, siedi dritto per qualche istante, fai
alcuni esercizi di respirazione e poi medita almeno per alcuni momenti.
Nelle prossime due settimane, prova l’esercizio di respirazione che ti ho
appena spiegato. Non c’è alcun motivo per praticarlo solo quando sei
depresso o di cattivo umore. Se inizi a farlo già con uno stato d’animo di
pace e coraggio, lo concluderai sentendo ancora più calma e fiducia nel
divino. Soprattutto, nella pratica quotidiana delle posizioni, con ogni
espirazione butta fuori tutta la pigrizia, l’esitazione, l’irrequietudine e
l’indifferenza.

Pratica
Vrikasana (la posizione dell’Albero): 30 secondi per gamba. Riposa 30
secondi dopo ogni esecuzione.
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna): 30 secondi per lato.
Riposa.
Trikonasana (la posizione del Triangolo): 30 secondi per lato.
Utkatasana (la posizione della Sedia): 30 secondi. Sdraiati sul dorso per
una o 2 minuti.
Paschimotanasana (la posizione di Allungamento posteriore): 30
secondi, seguiti da altri 30 secondi in posizione supina.
Bhujangasana (la posizione del Cobra): 30 secondi.
Balasana (la posizione del Bambino): da 30 secondi a un minuto.
Halasana (la posizione dell’Aratro): 30 secondi nella posizione finale.
Sdraiati sul dorso e riposati da 2 a 5 minuti.
Tempo complessivo: 30 minuti circa.

Guarigione
Integrazione contro disintegrazione

L’integrazione è diventata un argomento importante oggigiorno nel


nostro Paese. (L’autore si riferisce agli Stati Uniti d’America, N.d.T.) C’è la
nascente consapevolezza, nelle menti di molte persone, che l’intolleranza
razziale può portare alla disintegrazione della nostra società. Il fatto che una
tale disintegrazione sia una possibilità concreta sta anche portando le
persone a comprendere che è necessario impegnarsi per l’integrazione in
modo attivo e consapevole. Non si può più attenderla passivamente, nella
piacevole aspettativa che, prima o poi, essa avverrà in modo “naturale”.
Questa causa, alla quale così tante persone si sono appassionate, è solo
un esempio di un combattimento che è cosmico ed eterno. L’intero universo
è un campo di battaglia, sul quale le forze dell’integrazione e della
disintegrazione incrociano le loro spade in un conflitto senza fine. In base
alla seconda legge della termodinamica, tutto si muove inesorabilmente
verso la casualità, perdendo calore, velocità e definizione, in pratica
disintegrandosi. È ovvio, tuttavia, che qualche altra forza sta altrettanto
attivamente riannodando tra loro i fili slegati. Senza una simile forza,
infatti, non ci sarebbe alcunché di integrato da disintegrare.
Queste forze di integrazione e disintegrazione si danno battaglia per
conquistare la supremazia anche nella nostra vita. Se attendiamo
passivamente che la Natura faccia il proprio corso con noi, stiamo già
dando spazio alle forze della disintegrazione che traggono profitto dalla
passività. Aspettarsi che alla fine le cose si mettano a posto “naturalmente”
non è un modo di pensare positivo, poiché equivale a non pensare affatto.
L’integrazione si ottiene soltanto mettendo assieme le cose in modo attivo,
mentre la disintegrazione è implicita nel “lasciar andare le cose”.
La salute è un risultato del processo integrativo. Per ottenere una salute
radiosa, è necessario collaborare deliberatamente con questo processo.
Occorre sviluppare il corpo come un’entità unica, non come un insieme di
parti separate, tenute assieme soltanto dalla casualità di esistere tutte unite
in un’impresa più o meno comune. Bisogna portare il corpo e la mente in
uno stato di reciproca e attiva armonia. È necessario, inoltre, riconoscere la
propria affinità con l’universo che ci circonda.
L’analisi è il talento speciale dell’uomo occidentale, che ha un dono
naturale per vedere le cose come tante parti separate fra loro. Il corpo
umano, tuttavia, è molto più complicato e ingegnoso del motore di
un’automobile: c’è una sorta di intelligenza che lavora in esso e che è del
tutto indipendente dall’efficienza meccanica delle singole parti. C’è una
vitalità nel corpo che, se è elevata, può condurre l’intero organismo a
un’azione congiunta per proteggere qualsiasi parte minacciata e perfino per
ripararne una danneggiata. La scienza medica è costretta a riconoscere
queste realtà imponderabili semplicemente perché esistono, ma il naturale
pregiudizio del pensiero occidentale conduce i medici a pensare al corpo
come a una macchina. A parità di condizioni, si vede ciò che si vuole
vedere: la scienza medica occidentale si concentra ancora – ed è
estremamente abile in questo – nel riparare o sostituire le parti difettose,
mentre fa poco per rafforzare l’intero organismo e, di conseguenza, per dare
l’opportunità alle parti difettose di “autoripararsi”.
In questa attenzione quasi esclusiva rivolta alle parti individuali del
corpo come se fossero ingranaggi separati di un macchinario, e non parti di
un unico essere vivente, si è tentati di vedere all’opera le forze della
disintegrazione, e non quelle dell’integrazione. Forse è ingiusto fare questa
affermazione, considerando i miracoli che la scienza medica ha raggiunto;
ricordo, tuttavia, di aver sentito recentemente alla radio questa pubblicità:
«Negli ultimi decenni la ricerca medica ha fatto considerevoli progressi.
Ora i problemi sono più grandi che mai. Dunque, sostenete la “Crociata
Unitaria”». Non ho potuto fare a meno di pensare che se i problemi, dopo
tutti questi anni, sono più grandi che mai, forse dovremmo provare a seguire
una nuova tattica!
Lo yoga ci esorta a imparare sempre più a considerare il nostro corpo e
la nostra mente come un tutto unico. Vivi nel tuo corpo, invece di limitarti a
esistere in esso. La vera salute comporta un prorompente senso di vitalità;
non è soltanto un’assenza di febbre.
Si è scoperto che le persone che mantengono un atteggiamento allegro,
che si dimenticano di se stesse servendo gli altri e che sono sempre
impegnate in maniera costruttiva, si ammalano di rado. Semplicemente, non
hanno tempo per ammalarsi! Se ti concentri sulla malattia, tenderai ad
ammalarti con maggiore frequenza; se ti concentri sulla salute, godrai
abitualmente di una salute migliore.
Inoltre, le persone che hanno un profondo senso di affinità con la vita e
con la Natura sembrano, di fatto, trarre forza da esse. Per contro, coloro che
si isolano in maniera egoistica dall’universo che li circonda sembrano
invecchiare prematuramente; persino durante la giovinezza, non sembrano
mai degli esseri umani vitali e completi.
Ricorda: bisogna lavorare in modo consapevole per raggiungere
l’integrazione. Ci vuole energia per generare più energia, un senso di
armonia per generare una maggiore armonia, uno zelo unificante per
raggiungere la perfetta unità, che è yoga. Lasciata a se stessa, la naturale
tendenza è quella della seconda legge della termodinamica: una tendenza
verso la graduale disintegrazione. Sta a te vivere nella tendenza divina
all’autointegrazione.

Alimentazione

Per riportare il corpo al suo stato naturale, è necessario mangiare cibi


naturali. Nella nostra epoca moderna l’alimentazione, come pure la
medicina, si concentra su ciò che è innaturale, su ciò che è prodotto
dall’uomo. Il risultato di un’alimentazione sbagliata, così come di altri modi
di vivere sbagliati, è la malattia.
Nella prossima lezione parleremo in maniera più approfondita dei cibi
innaturali. In questa lezione prendiamo invece in considerazione un aspetto
interessante degli insegnamenti dello yoga, che è collegato non solo
all’alimentazione naturale, ma anche al principio del rilassamento, così
vitale per l’autointegrazione di cui abbiamo parlato nella sezione
precedente.
Gli yogi sottolineano l’importanza dei cibi rinfrescanti per l’organismo.
Gli alimenti dannosi – affermano – riscaldano l’organismo, introducendovi
delle impurità che ostacolano il normale flusso di prana nel corpo. La
resistenza a una corrente elettrica riscalderà il cavo attraverso cui passa
l’elettricità; la stessa cosa accade quando si viene a creare una resistenza al
fluire del prana nel sistema nervoso. Il calore è solo un sintomo di un
sistema nervoso che non sta lavorando liberamente e armoniosamente come
dovrebbe. Il principio è simile a quello del calore che viene prodotto per
attrito. Non è un caso che, quando si dice a una persona di rilassarsi, le si
dice di non “scaldarsi”; e quando una persona è arrabbiata, si potrebbe
descriverla come “accaldata e agitata”. Le emozioni hanno un effetto
riscaldante o rinfrescante su tutto il sistema nervoso, e lo stesso effetto è
provocato dagli alimenti.
I cibi eccessivamente piccanti, le bevande alcoliche, i carboidrati
consumati in eccesso, gli stimolanti artificiali e gli alimenti stantii o
devitalizzati, sono innaturali per il corpo e si dice che abbiano un effetto
riscaldante. I cibi troppo cotti hanno un effetto simile. La frutta fresca, le
noci, le verdure crude o leggermente cotte, il latte e i suoi derivati freschi,
come pure i cereali integrali, sono rinfrescanti per il sistema nervoso.
Qualsiasi cosa ecciti il corpo lo riscalda, qualsiasi cosa lo rilassi è
rinfrescante.
Prova questa bevanda rinfrescante: combina due parti di yogurt naturale
con una parte di acqua. Aggiungi zucchero (preferibilmente grezzo o di
canna non raffinato) oppure miele a piacere. Il sapore della bevanda non
dovrebbe essere né dolce né amaro: mescola bene e bevi. Puoi anche
aggiungere un quarto di lime (limetta), se preferisci.
Oppure prova quest’altra bevanda: un quarto di lime fresco in un
bicchiere d’acqua, dolcificato con zucchero di canna o miele in maniera tale
che il sapore dolce e quello amaro si compensino. Si dice che entrambe le
bevande abbiano un effetto rinfrescante sull’intero organismo.
Gli yogi suggeriscono di aggiungere lo yogurt a volontà alle verdure
cotte, durante la cottura o verso la fine del pasto. Puoi preparare tu stesso lo
yogurt (o dahi, come viene chiamato in India) mescolando un cucchiaio di
yogurt con mezzo litro di latte tiepido, fatto prima bollire. Tieni il composto
in un luogo caldo da dodici a diciotto ore. Quando la coltura è pronta, il
dahi è pronto. Puoi usare un cucchiaio di questa nuova coltura per preparare
le dosi successive.
Un altro modo di preparare il dahi è di mettere uno o due cucchiai di
succo di lime o di limone in mezzo litro di latte tiepido, che è stato fatto
prima bollire. Preparalo come descritto in precedenza. Il primo yogurt sarà
molto liquido, ma usando nuovamente un cucchiaio o due di questo
preparato in mezzo litro di latte, come descritto sopra, il dahi che otterrai
sarà migliore. Il dahi migliorerà con ogni successiva preparazione.
Lo yogurt è adatto anche alle persone che sono intolleranti al latte. Fra
l’altro, nel caso di allergia al latte (muco eccessivo, per esempio), il latte di
capra sarà un ottimo sostituto. Facendo bollire una pentola di latte con
l’aggiunta di un po’ di succo di limone, si può ottenere un eccellente
formaggio fresco. Il caglio si separerà dal siero. Il preparato può essere
versato in una garza o in una mussolina, nella quale dovrà sgocciolare per
una notte.

Meditazione

Non mettere la meditazione tra le cose che farai un giorno, quando avrai
tempo. Se ti impegnerai a meditare ogni giorno, svilupperai l’efficienza
mentale necessaria per svolgere in poco tempo tutti quei compiti che ora ti
sembrano difficili da inserire nella tua vita così impegnata. Risolverai più
facilmente ogni problema e potrai svolgere molto più rapidamente il tuo
lavoro, perché le tue energie saranno focalizzate invece che disperse.
Per avere successo in qualunque attività è necessario agire dal proprio
centro interiore, invece di farsi trasportare dai venti delle circostanze. La
meditazione ti conduce a questo centro interiore, rendendo più facile ogni
attività. Dovrebbe quindi essere il tuo primo dovere nella vita.
Se puoi adibire una stanza della tua casa a luogo di raccoglimento e
usarla solo per la meditazione, ti accorgerai già durante i primi mesi che in
essa si svilupperà un’“atmosfera” di pace, che ti aiuterà a interiorizzarti
profondamente ogni volta che ti siederai a meditare. Ogni luogo sviluppa
vibrazioni particolari in base alle attività che vi si svolgono. Se non puoi
disporre di un’intera stanza, cerca almeno di creare con un paravento un
angolo per la meditazione nella tua camera da letto.
Una parte del processo di neutralizzare nella mente i vortici del
sentimento, o chitta (la definizione di yoga data da Patanjali, come abbiamo
visto all’inizio di questa lezione), è uno sforzo per allinearsi con le forze
della Natura. In questo modo, la corrente principale della vita può essere
utilizzata come un aiuto per elevarsi al di sopra dei vortici dell’ego.
Gli yogi affermano l’esistenza di correnti magnetiche che fluiscono da
est a ovest. (Alcuni pensatori occidentali hanno osservato come anche lo
sviluppo della civiltà sembri fluire verso Occidente.) Se ti siedi in
meditazione rivolto a est, riceverai queste correnti, che ti aiuteranno a
trovare l’illuminazione interiore. Si dice che anche rivolgersi verso nord
durante la meditazione sia benefico, poiché aiuta a liberarsi mentalmente
dalle limitazioni fisiche. (È curioso osservare quanto spesso, nei conflitti
umani, il nord sembri rappresentare la coscienza della liberazione, come nel
caso della guerra civile americana. A volte questa liberazione rappresenta
soltanto caos e disintegrazione dei veri valori; ne sono un esempio le orde
selvagge che molti secoli fa invasero ripetutamente l’Inghilterra dal nord, o
i vandali che saccheggiarono Roma, o le forze socialmente distruttive del
comunismo nella Corea e nel Vietnam del Nord.) È meglio stare rivolti a
est, poiché bisogna raggiungere l’illuminazione prima di potersi liberare da
ogni karma.
Gli yogi dicono anche che alcune ore del giorno sono particolarmente
propizie per la meditazione: l’alba e il tramonto (quando il sole forma un
angolo retto con la direzione della forza di attrazione terrestre sui nostri
corpi), mezzogiorno (quando la forza di attrazione del sole si oppone a
quella della terra) e mezzanotte (quando i due corpi celesti esercitano
un’attrazione congiunta). Questi sono “punti di riposo” nella Natura, in cui
il flusso dell’energia nei nostri corpi è portato a un temporaneo (seppure
relativo) equilibrio. Se non ti è possibile meditare in questi momenti, cerca
almeno di meditare ogni giorno alla stessa ora. Il motivo è essenzialmente
quello per cui è utile avere una stanza dedicata esclusivamente alla
meditazione: un po’ alla volta, giungerai ad associare quegli orari alla
meditazione e ti sarà molto più facile, in quell’arco di tempo, bandire dalla
mente tutti i pensieri mondani.
Se si vuole fluire con le correnti benefiche della Natura, bisogna
proteggersi da quelle che intralciano gli sforzi meditativi. Gli yogi parlano
dell’esistenza di correnti sottili nella terra (in aggiunta alla forza di gravità),
che attirano verso il basso i flussi di energia del corpo. Lo scopo della
pratica dello yoga, tuttavia, è di dirigere quell’energia verso il cervello. Gli
yogi consigliano quindi di isolarsi dall’attrazione delle correnti della terra,
meditando seduti sopra un asan: una pelle di daino o una coperta di lana.
Per un isolamento ancora migliore, è utile sovrapporre a essi anche un telo
di seta.
Qualunque posizione comoda da seduti andrà bene, a patto che la spina
dorsale sia mantenuta dritta e il corpo rilassato. Gli hatha yogi
raccomandano alcune posizioni da seduti, che verranno insegnate più avanti
in queste lezioni. Per ora, puoi sederti semplicemente a gambe incrociate
sul tuo asan. Andrà bene anche una sedia; in questo caso, dovrai stendere
l’asan dallo schienale fino a sotto i piedi.
Appoggia le mani sulle cosce all’altezza dell’inguine, con i palmi rivolti
verso l’alto. Tieni il petto sollevato (ma rilassato) e le scapole lievemente
unite. In questo modo il tuo corpo assomiglierà a un arco, tenuto teso in una
posizione di prontezza spirituale dalla “corda” ben dritta della spina dorsale.
Per raggiungere uno stato di calma in questa posizione, utilizza gli
esercizi di respirazione contenuti in questa lezione o in quella precedente.
Poi esegui la pratica di meditazione che ti è stata insegnata nell’ultima
lezione.
Rilassati mentre mediti. Non sforzarti. Ogni cosa in questo mondo viene
eseguita con sforzo, o per lo meno così sembra alla mente mondana. La
meditazione, invece, può avvenire solo con un rilassamento sempre più
profondo: fisico, emotivo, mentale e spirituale.
AUM, Shanti, Shanti, Shanti!
Filosofia
L’Ashtanga Yoga di Patanjali:
il sentiero degli otto passi

L’Hatha Yoga è il ramo fisico della scienza della meditazione del Raja
Yoga. Patanjali, il grande esponente del Raja Yoga dei tempi antichi, ha
scritto che il sentiero verso l’illuminazione abbraccia otto stadi (il suo
insegnamento è infatti conosciuto anche come Ashtanga Yoga, o yoga degli
“otto passi”). La spiegazione di questi otto “passi” contribuirà a fornire una
comprensione degli scopi e delle direzioni più profonde dello yoga. Sarà
d’aiuto anche nello studio delle posizioni yoga.
I primi due stadi del sentiero degli otto passi di Patanjali sono conosciuti
come yama e niyama. Yama significa controllo; niyama, non-controllo.
Letteralmente, questi due stadi rappresentano ciò che “non si fa” e ciò che
“si fa” sul sentiero spirituale. Si potrebbe definirli i “Dieci comandamenti”
dello yoga (è interessante che siano anch’essi dieci). Analizzeremo
dettagliatamente ognuno di essi in seguito. Il loro scopo fondamentale è
quello di farci raccogliere nel secchio della mente il latte della pace
interiore, tappando i buchi causati dall’irrequietudine, da attaccamenti e
desideri sbagliati, e da varie forme di vita poco armoniosa.
Le regole di yama (ciò che “non si fa”) sono cinque:

• Non-violenza, o ahimsa
• Non-mentire
• Non-rubare
• Non-sensualità, o brahmacharya
• Non-avidità o non-attaccamento.

È interessante notare che tutte queste virtù sono espresse in termini


negativi. L’implicazione è che, quando togliamo di mezzo le nostre
illusioni, non possiamo che essere benevoli, sinceri, rispettosi della
proprietà altrui, e così via, dato che siamo buoni per natura. Agiamo
diversamente non perché sia naturale farlo, ma perché abbiamo scelto uno
stato innaturale di egoistica disarmonia.
Le regole di niyama (ciò che “si fa”) sono:

• Purezza
• Contentezza
• Austerità
• Studio di sé o introspezione
• Devozione al Signore Supremo.

Ognuno di questi principi, quando è praticato perfettamente, conferisce


ricompense spirituali ben definite, come vedremo nella prossima lezione.
Il terzo stadio del sentiero degli otto passi è conosciuto come asana, che
significa, semplicemente, “posizione”. Alcuni scrittori hanno sostenuto che
Patanjali si riferisse alla necessità di praticare le posizioni yoga come
preparazione alla meditazione. Patanjali, tuttavia, non parlava di pratiche,
ma di diversi stadi di sviluppo spirituale. In questo caso, quindi, posizione
non significa una particolare serie di posizioni, ma solo la capacità di
mantenere il corpo fermo come prerequisito per la profonda meditazione.
Qualunque postura comoda andrà bene, a patto che la spina dorsale sia
mantenuta eretta e il corpo rilassato. Si dice che un segno di perfezione in
asana sia la capacità di rimanere seduti immobili, senza muovere un
muscolo, per tre ore. Molte persone meditano per anni senza raggiungere
alcun risultato degno di nota, semplicemente perché non hanno mai
addestrato il corpo a rimanere immobile. Finché non si è padroni del corpo,
non si possono raggiungere le percezioni più elevate, così sottili da poter
sbocciare solo nella quiete perfetta.
È bene, ovviamente, praticare alcune posizioni yoga prima della
meditazione. Esse ci aiutano a raggiungere asana, o la postura ferma. Molti
studenti alle prime armi pensano di dover perfezionare la pratica delle
posizioni yoga per poter anche solo provare a meditare. È un errore. Per
imparare la meditazione non serve conoscere neppure una posizione; esse
sono solo un aiuto, anche se grande, per la meditazione.
Il quarto stadio del sentiero di Patanjali è pranayama. Come ho già
detto, molti scrittori commettono l’errore di credere che Patanjali parlasse
di pratiche piuttosto che di stadi di sviluppo spirituale e ritengono perciò
che egli si riferisse a esercizi di respirazione. Tuttavia, anche nel
pranayama inteso come pratica spirituale il collegamento con il respiro è
solo secondario. È quindi un errore (seppur frequente) identificare questa
parola solamente con il controllo del respiro. Prana significa respiro, ma
soltanto per la stretta relazione che esiste tra il respiro e ciò che lo provoca:
il flusso di energia all’interno del corpo. La parola prana si riferisce
principalmente all’energia stessa. Pranayama, dunque, significa controllo
dell’energia. Poiché esso viene spesso effettuato con l’aiuto di esercizi di
respirazione, tali esercizi sono anche conosciuti come pranayama.
Patanjali si riferiva al controllo dell’energia che si raggiunge come
risultato di varie tecniche, non alle tecniche in se stesse. Il termine
pranayama esprime lo stato in cui l’energia del corpo viene armonizzata
fino al punto in cui il suo flusso si inverte: non più all’esterno, verso i sensi,
ma all’interno, verso il Sé Divino che dimora nel cuore di tutti gli esseri.
Solo quando riusciamo a dirigere tutta l’energia del corpo verso questo Sé,
la nostra consapevolezza diviene sufficientemente intensa e può penetrare
oltre i veli dell’illusione ed entrare nella supercoscienza.
L’energia che usiamo per pensare è la stessa che utilizziamo per digerire
il cibo. Per verificare questa affermazione, considera quanto è difficile
riflettere su dei problemi profondi dopo un pasto pesante, e quanto invece la
mente diventa chiara dopo un digiuno. Distogliere tutta l’energia dal corpo
dirigendola verso il cervello non può che intensificare la nostra
consapevolezza e affinare la nostra comprensione. Dirigere interiormente
quest’energia è il primo passo verso la divina contemplazione.
Il quinto stadio del viaggio di Patanjali è conosciuto come pratyahara,
l’interiorizzazione della mente. Dopo aver ridiretto l’energia verso la sua
fonte nel cervello, dobbiamo interiorizzare la coscienza, così che anche i
nostri pensieri non vaghino lungo gli interminabili sentieri secondari
dell’irrequietudine e dell’illusione, ma siano fatti convergere sui misteri più
profondi dell’anima immanente. I diversi capi di un filo devono essere
raccolti in uno solo, prima di poter essere infilati nella cruna di un ago. Lo
stesso vale per la mente: dobbiamo concentrare pensieri ed energie, se
speriamo di penetrare nello stretto tunnel che ci conduce al divino risveglio.
Il sesto stadio di Patanjali è conosciuto come dharana, contemplazione o
consapevolezza interiore concentrata. È possibile divenire consapevoli di
realtà spirituali interiori – come la luce o il suono interiori, o profondi
sentimenti mistici – anche prima di raggiungere questo livello, ma è solo
dopo averlo raggiunto che possiamo abbandonarci completamente alla
profonda concentrazione su quelle realtà.
Il settimo stadio è conosciuto come dhyana: meditazione, totale
immersione. Con la concentrazione prolungata su un grado della coscienza,
cominciamo ad assorbirne le qualità. Meditando sui piaceri dei sensi, il Sé
interiore comincia a identificare la propria felicità con la gratificazione
proveniente da quegli stessi piaceri; l’individuo dimentica che il Sé
immanente è la vera fonte del suo piacere. (Se la felicità fosse realmente
causata da qualcosa di materiale, tutti gli uomini sarebbero felici. Il fatto
che non sia così dimostra che sono le nostre reazioni alle cose, piuttosto che
le cose stesse, a darci quel piacere.) Inoltre, concentrandoci sui nostri difetti
non facciamo che rafforzarli. (È un grave errore definirsi continuamente
peccatori, come ci spingono a fare molti religiosi ortodossi. Dovremmo
invece concentrarci sulla virtù, se vogliamo diventare virtuosi.) Se ci
concentriamo sulla luce interiore, quindi, o su qualunque altra realtà divina
che percepiamo quando la mente è calma, possiamo assimilarne
gradualmente le qualità. La mente perde così la sua identificazione con
l’ego e comincia a immergersi nel grande oceano della coscienza di cui fa
parte.
L’ottavo passo del viaggio di Patanjali è conosciuto come samadhi,
unione. Si giunge al samadhi dopo aver imparato a dissolvere la coscienza
dell’ego nella calma luce interiore. Se spezziamo realmente la presa
dell’ego e scopriamo di essere quella luce, nulla potrà più impedirci di
espandere la nostra coscienza all’infinito. Il devoto in un profondo stato di
samadhi comprende la verità delle parole di Cristo: «Io e il Padre siamo una
cosa sola». La piccola onda di luce, perdendo l’illusione di un’esistenza
separata dall’oceano di luce, diventa essa stessa quel vasto oceano.
Nei più alti stati di samadhi, il devoto può non solo mantenere il proprio
senso d’identità con l’Oceano Infinito, ma anche essere consapevole della
piccola onda del proprio ego e agire per mezzo di essa. Può conversare,
lavorare, sorridere e vivere a ogni livello come un essere umano normale,
ma senza mai perdere il suo contatto interiore con la Divinità.
Non si deve credere che questi stati siano illusori. Sono la Realtà; sono le
nostre limitazioni attuali a essere un’illusione. I grandi yogi hanno
dimostrato in molti modi la loro onnipresenza. Gli studenti che si
interessano a questo argomento farebbero bene a leggere l’Autobiografia di
uno yogi di Paramhansa Yogananda, che descrive le esperienze divine di
molte grandi anime.
Questi stati sottili di sviluppo spirituale possono essere raggiunti, a un
livello inferiore, anche nella comune esistenza umana. Sia la montagna più
alta sia la piccola collina si innalzano verso il cielo; allo stesso modo, anche
le verità più elevate possono essere messe in relazione alla vita pratica di
tutti i giorni. È per questo che ogni persona intelligente può trarre beneficio
dallo studio della filosofia.
La necessità di applicare i fondamentali comandamenti morali dello yoga
alla vita quotidiana appare evidente, e non richiede alcun commento
particolare. Asana (la calma fisica) è anch’essa necessaria, se non vogliamo
disperdere le nostre forze e minare la nostra salute. Dobbiamo inoltre
canalizzare le nostre energie (il principio di pranayama), se vogliamo
veramente realizzare qualcosa di valido. L’autosufficienza e la capacità di
rimanere in pace con se stessi (in altre parole, lo spirito di pratyahara)
caratterizzano l’essere umano sereno ed equilibrato, a prescindere dal fatto
che egli pensi alle realtà spirituali. Infine, l’essere sensibilmente
consapevoli della vita, l’immergersi in essa, il diventare in un certo senso
una cosa sola con essa (condizioni che ci ricordano gli stadi finali dello
yoga: dharana, dhyana e samadhi) sono i talenti di colui che è considerato
un essere umano pienamente vivo, anche se non necessariamente
supernormale.
Gli stadi sottili dello yoga dovrebbero essere espressi anche nella pratica
quotidiana delle posizioni yoga.
I primi due stadi, yama e niyama, sono necessari per un vero progresso
nelle posizioni. Senza di essi, queste diventano solamente un sistema di
esercizi ginnici, utile per alcuni muscoli e ossa, ma nulla più.
Anche lo stadio successivo di asana, o stabilità fisica, è necessario. Se si
praticano le posizioni in modo irrequieto e affrettato, se ne ricaveranno
benefici minimi. Bisogna praticare lentamente, mantenendo ogni posizione
per un certo tempo e soprattutto assumendo un atteggiamento di
rilassamento e controllo fisico.
La comprensione di pranayama è anch’essa essenziale nell’Hatha Yoga,
non solo per gli esercizi di respirazione, ma perché fin quando non si è
consapevoli dei movimenti dell’energia nel corpo e degli effetti delle
posizioni su quei movimenti, non si potranno ottenere i benefici più
profondi dell’Hatha Yoga.
Anche pratyahara (interiorizzazione) è indispensabile. Se non
interiorizziamo la coscienza mentre pratichiamo le posizioni, i benefici che
ne trarremo saranno superficiali. È bene, prima di cominciare, calmarsi
interiormente ed esteriormente, così che al momento di iniziare la routine
quotidiana la mente sia in uno stato quasi meditativo.
Il paragrafo precedente spiega la necessità di dharana (calma
consapevolezza interiore) nella pratica delle posizioni yoga. La
concentrazione su ciò che si sta cercando di compiere può aumentare anche
di cento volte il valore delle posture.
Quello che desideriamo ottenere è il rinnovamento personale; ecco
dunque il valore di dhyana nella pratica delle posizioni yoga. Ognuna di
esse è associata a certi stati mentali e spirituali; se meditiamo su di essi
durante la posizione, li raggiungeremo con più facilità che praticando
distrattamente o pensando solo ai benefici fisici. Anche dal punto di vista
del benessere del corpo, se meditiamo sulla salute affermandola con ogni
fibra del nostro essere durante la pratica, verremo sospinti sulla via della
perfetta salute più rapidamente che limitandoci a eseguire le posizioni in
modo automatico, lasciando vagare la mente in terre straniere.
Samadhi, infine, applicato alle posture, significa uno stato in cui
abbiamo conquistato un’armonia fisica e mentale talmente profonda che
tutti i movimenti quotidiani diventano, in un certo senso, posizioni yoga che
scaturiscono dalla nostra fonte creativa interiore. In questo modo,
pratichiamo l’ Hatha Yoga non solo quando assumiamo le antiche posture
prescritte, ma anche quando ci alziamo dal letto, salutiamo i vicini per
strada, portiamo alle labbra una tazza di tè. Ogni sorriso diventa una mudra
yogica e risveglia un’energia che si trasmette sotto forma di gioia a tutti
coloro che ci guardano.

Posizioni yoga

Ho già sottolineato l’importanza di essere sufficientemente consapevoli


del proprio corpo per rilassarlo, e di rilassarlo in ogni posizione anziché
forzarsi nelle posture. È ora il momento di imparare la suprema posizione di
rilassamento, Savasana.
In apparenza sembrerebbe la più facile di tutte le posture da assumere,
ma in realtà, poiché il rilassamento stesso è così difficile, la perfezione in
Savasana viene raggiunta raramente.
Ho detto che la consapevolezza è la precondizione necessaria al
rilassamento. Ci sono molte parti del corpo che sono in tensione senza che
ne siamo coscienti. Come possiamo diventare sufficientemente consapevoli
di esse da poterle rilassare? La risposta è aumentando la tensione in tutto il
corpo. Spesso a livello psicologico succede che riusciamo a superare i nostri
errori solo quando sono diventati così esagerati da essere evidenti. Lo stesso
è vero per le tensioni fisiche. Il modo migliore per indurre un rilassamento
iniziale nel corpo è di inspirare, tendere tutto il corpo (distribuendo il flusso
di tensione in modo uniforme in ogni sua parte) e poi espirare rilassandolo
tutto in una volta. (Questo è il metodo insegnato da Paramhansa Yogananda
per ottenere un rilassamento preliminare di tutto il corpo.)
Savasana può essere praticato più brevemente anche tra le altre
posizioni, fino a quando il battito del cuore e il respiro siano tornati alla
normalità. Al termine della seduta, tuttavia, bisognerebbe entrare nel
rilassamento profondo in Savasana per almeno cinque o dieci minuti, o fino
a quando si percepiscono gli effetti rigeneranti del rilassamento completo.
Il rilassamento può essere effettuato ad hoc in relazione alla postura
appena eseguita. Se hai allungato una determinata parte del corpo (come, ad
esempio, quella inferiore della schiena in Paschimotanasana), mentre fai
Savasana, subito dopo, concentrati specialmente sul rilassamento di quella
parte, anziché di tutto il corpo.
Oltre a portare un rilassamento supremo, Savasana aiuta a sviluppare la
ricettività, così importante nella pratica dello yoga. Rigenera inoltre le
cellule del corpo ed è d’aiuto nella guarigione mentale e fisica.
Per praticare Savasana, sdraiati sulla schiena con le gambe leggermente
aperte. Rilassa i piedi lasciandoli cadere lateralmente. Allontana le spalle
dalle orecchie. Muovi le scapole verso il basso, tenendole aperte. Apri le
mani con i palmi rivolti in alto, abbastanza lontano dal corpo da mantenere
un senso di apertura nelle ascelle. (Alcune persone riescono a rilassarsi
meglio con i palmi rivolti verso il basso; se questo è il tuo caso, asseconda
le richieste della tua struttura fisica. Tuttavia, quella con i palmi in alto è la
posizione ideale, poiché induce una sensazione di abbandono e fiducia,
portando a un rilassamento sia mentale che fisico.) Allunga la nuca. Rivolgi
lo sguardo all’occhio spirituale, dietro le palpebre chiuse.
Inspira profondamente, con un respiro breve seguito da uno lungo.
Espira nello stesso modo, con un respiro breve e uno lungo. Ripeti due o tre
volte.
Poi inspira, tendi tutto il corpo (rendendo omogeneo il flusso di tensione
in ogni sua parte), espira e rilassa subito completamente. Ripeti due o tre
volte.
Dopo questo rilassamento preliminare, resta sdraiato nella completa
immobilità. Se lo desideri, prendi coscienza del respiro. Puoi osservarlo
nelle narici oppure essere mentalmente consapevole della salita e discesa
ritmica dell’ombelico. A mano a mano che entri in uno stato di calma più
profondo, senti la coscienza divenire sempre più centrata nel punto tra le
sopracciglia.
Ora cerca di ottenere un rilassamento profondo. Pensa al tuo corpo
circondato dallo spazio, spazio in tutte le direzioni, che si espande verso
l’infinito.
Pensa ai tuoi piedi e visualizza questo spazio che gradualmente si
diffonde nei piedi attraverso i pori della pelle, fino a quando i piedi
diventano spazio. Visualizza lo spazio espandersi gradualmente nelle
caviglie, nelle cosce, nelle anche, nell’addome e nello stomaco, nelle mani,
nelle avambraccia, nei bicipiti, nelle spalle, nel petto, nella nuca, nei lati del
collo, nella gola, nella mascella, nella mandibola, nella lingua, nelle labbra,
nelle guance, negli occhi e nel cervello.
Mentre percepisci lo spazio nel cervello, sgombra la mente da tutti i
rimpianti per il passato e da tutte le preoccupazioni per il futuro. Riposati
nell’oceano infinito dell’eterno presente. Gli oggetti dell’incessante
preoccupazione umana non esistono più. Non c’è nulla in tutta l’eternità, se
non il “proprio qui” e il “proprio ora”.
Afferma mentalmente: «Ossa, muscoli, movimento ora abbandono;
ansia, esultanza e depressione, pensieri agitati: tutto questo affido nelle
mani della pace».
Per tornare in posizione seduta, porta le ginocchia al petto, dondolati
lateralmente e portati sul fianco destro. Fai una pausa, poi sollevati
premendo a terra la mano sinistra e il gomito destro. Lascia che la testa sia
l’ultima parte del corpo a salire.
Benefici: Savasana porta un rilassamento supremo; aiuta a sviluppare la
ricettività, così importante nella pratica dello yoga; rigenera le cellule del
corpo; è d’aiuto nella guarigione mentale e fisica.

Precauzioni
Dopo il primo trimestre di gravidanza si dovrebbe praticare Savasana sul
fianco sinistro, mettendo un cuscino sotto la testa e uno tra le ginocchia
(nonché in qualunque altro posto se ne senta il bisogno).

PASCHIMOTANASANA
(la posizione di Allungamento posteriore)

«Sono salvo. Sono sano. Tutto il bene viene a me e mi dona la pace».

Visto che ho appena menzionato Paschimotanasana, sarebbe bene, ora


che lo stai praticando da due settimane, includere nella tua pratica la
consapevolezza dei suoi benefici mentali e spirituali.
In Paschimotanasana l’allungamento principale avviene, come indica il
nome stesso della posizione, nella parte inferiore della schiena, ma c’è
anche un allungamento nei tendini dietro le ginocchia: uno scopo
secondario, ma molto reale, dell’asana. L’allungamento nella parte inferiore
della schiena rilascia l’energia in modo che possa fluire liberamente verso
quell’area della spina dorsale, come pure da essa. L’allungamento dietro le
ginocchia è utile anche ad altri livelli, oltre a quello fisico: permette infatti
di rilassare alcune tensioni psicologiche profondamente radicate.
L’insicurezza dei tempi moderni genera nell’uomo molte tensioni. Tra di
esse c’è una rigidità cronica dietro le ginocchia, il risultato di una fuga
mentale dai pericoli e dalle difficoltà. Il rilascio della tensione dietro le
ginocchia può aiutare, in maniera indiretta, a superare questo senso di
insicurezza. Se abbinato all’affermazione mentale, soprattutto mentre si
riposa in Savasana dopo la pratica, può produrre un effetto considerevole.
È dunque consigliabile praticare due volte questa posizione, prestando
attenzione in modo particolare alle ginocchia nella prima esecuzione e alla
parte inferiore della schiena nella seconda. Durante il periodo di riposo che
segue la prima esecuzione, concentrati sul senso di liberazione nelle gambe
dietro le ginocchia e afferma: «Sono salvo. Sono sano. Tutto il bene viene a
me e mi dona la pace». Dopo la seconda pratica, percepisci l’ondata di gioia
e vitalità che si sprigiona dalla parte inferiore della spina dorsale verso il
cervello.

Respirazione

È tempo di imparare la Respirazione yogica completa. La maggior


parte delle persone non respira come dovrebbe, a causa di posture scorrette
o abitudini mentali sbagliate, e forse anche per la riluttanza a respirare aria
che, nel nostro ambiente, è generalmente impura. (Osservati, e scoprirai
probabilmente che tendi a reprimere mere il processo naturale di
respirazione quando guidi nel traffico o in una galleria satura di densi fumi
di scarico.)

Per respirare in maniera corretta, si dovrebbe iniziare con il diaframma,


la membrana che separa i polmoni dalla cavità addominale. Il diaframma
funziona con un movimento verso il basso che provoca l’espansione dei
polmoni, creando al loro interno una pressione dell’aria inferiore a quella
presente all’esterno del corpo. In questo modo, l’aria viene attirata nei
polmoni. Il movimento verso il basso del diaframma forza un po’ lo
stomaco verso l’esterno. Se quando inspiri lo stomaco non si espande, non
stai respirando con il diaframma.
Considerando l’importanza del diaframma nel meccanismo della
respirazione, è allarmante osservare come solo una percentuale molto bassa
di persone respiri con esso. Le donne sono maggiormente “colpevoli”,
senza dubbio a causa del loro desiderio di apparire snelle. (Si può forse
paragonare, quanto a bellezza, un “vitino di vespa” semi-invalido a una
donna che è nel fiore della salute? La vera salute è impossibile senza una
corretta respirazione.) Ci sono, ovviamente, molte cause di scorretta azione
diaframmatica. Una è la postura scorretta. Quando una persona si curva
abitualmente in avanti, non è in grado di respirare con il diaframma.
Un’altra causa è la tensione mentale. Le ulcere non sono altro che un
sintomo di tensione allo stomaco, il risultato di un’intensa ansia mentale.
Quando lo stomaco viene mantenuto sempre in tensione, la respirazione
diaframmatica diventa impossibile. Questa tensione, tuttavia, può essere
gradualmente superata con la respirazione diaframmatica. La respirazione
corretta è, in effetti, una delle forme più efficaci di psicoterapia.
Uno dei modi migliori per imparare a respirare con il diaframma è
rimanendo sdraiati sul dorso in Savasana. Pratica tutta la tecnica di
Savasana come è stata spiegata nella sezione precedente, e alla fine osserva
il movimento di salita e discesa dell’ombelico in corrispondenza al respiro.
Quando il corpo è perfettamente rilassato, come lo è nel sonno, la
respirazione diaframmatica diventa naturale e senza sforzo.
L’espansione del diaframma è solo la prima parte del processo completo
di respirazione naturale che viene chiamato Respirazione yogica completa.
Il passo successivo è il movimento verso l’esterno delle costole fluttuanti.
Le persone che sono mentalmente troppo proiettate all’interno di se stesse a
causa del timore del mondo circostante, tendono a sviluppare tensioni
fisiche localizzate ai lati delle costole. Le persone che respirano liberamente
con le costole tendono a essere coraggiose e di ampie vedute. Uno sforzo
deliberato di respirare con le costole può essere d’aiuto per sviluppare
queste attitudini salutari.
Il terzo stadio della Respirazione yogica completa è quello al quale si
limita la maggior parte delle persone, specialmente le donne, sebbene pochi
respirino in modo corretto anche solo in questo modo, con la parte alta del
petto. Lo sviluppo della parte superiore del torace è associato alla capacità
del sentimento e all’espressione delle emozioni. Le persone che hanno il
petto piatto nella regione alta del torace tendono a essere eccessivamente
intellettuali e represse dal punto di vista emozionale. Ciò avviene
soprattutto nel caso degli uomini. Nella fase finale della Respirazione
yogica completa, i polmoni vengono espansi in maniera da includere la
parte superiore. Imparando a respirare profondamente in questa zona, si può
contribuire a sviluppare la propria capacità di sentire le emozioni.
Oltre a Savasana, una buona tecnica per imparare la Respirazione yogica
completa è stare in piedi e inspirare quanto più profondamente possibile con
un movimento fluido e uniforme. Di nuovo, inizia con il diaframma;
continua con i lati della cassa toracica; infine, riempi la parte superiore dei
polmoni. Trattieni il respiro per alcuni istanti e poi espira lentamente in
ordine inverso.
Per respirare in maniera più profonda, può esserti d’aiuto iniziare
piegandoti in avanti, con le braccia che penzolano liberamente davanti a te.
Espira. Inspira dapprima con il diaframma e senti il movimento verso il
basso di questa membrana: nello spingere lo stomaco verso l’esterno, esso
sta gradualmente costringendo il corpo ad assumere una posizione eretta.
Percepisci anche, mentre inspiri, che stai riempiendo d’aria i polmoni dal
diaframma, e non solo i polmoni, ma tutto il corpo. Raddrizzati lentamente
e porta le braccia in alto, con i gomiti verso l’esterno e le mani vicino al
corpo. Senti che stai allungando la cassa toracica verso l’esterno,
riempiendo la fascia di mezzo dei polmoni. Poi, con un movimento gentile,
estendi le braccia in alto e all’esterno sopra la testa, riempiendo la parte
superiore dei polmoni e immaginando che l’aria stia colmando interamente
le braccia fino alla punta delle dita.
Mantieni questa posizione per alcuni istanti, poi espira lentamente
abbassando le braccia e piegandoti di nuovo in avanti.
Con ogni inspirazione, senti che stai attingendo non soltanto aria ma
anche forza, vitalità e gioia in ogni cellula del corpo, dagli alluci fino alla
sommità della testa.
Con ogni espirazione, senti che stai espellendo dal tuo mondo mentale
tutte le debolezze e le negatività.
Con l’ultima espirazione, abbassa le braccia ma rimani eretto.
La Respirazione yogica completa, con o senza il precedente movimento
del corpo e delle braccia, è un buon esercizio per riempire il corpo di
energia, particolarmente durante il digiuno. Inoltre, praticando
intenzionalmente una respirazione lenta e profonda diverse volte al giorno,
abituerai in maniera graduale i polmoni alla corretta abitudine respiratoria.
Ciò non vuol dire che la respirazione corretta debba essere sempre lenta e
profonda, ma questa pratica di respirazione profonda, con l’andar del
tempo, rilasserà tutte le tensioni muscolari attorno al diaframma, ai lati del
torace e nella parte alta del petto, consentendo al respiro di fluire sempre
liberamente e in modo naturale.

Sequenze

Inizia con una respirazione lenta e profonda, riempiendo tutto il corpo di


aria e di energia. Siedi in meditazione per un po’. Poi portati in piedi e fai la
Respirazione yogica completa, sollevando le mani in alto al di sopra della
testa mentre inspiri.
Segui la stessa sequenza di posizioni che è stata data nella lezione
precedente, ma quando le istruzioni dicono di sdraiarsi a terra, portati in
Savasana (la posizione del Cadavere).

Pratica
Vrikasana (la posizione dell’Albero): 30 secondi per gamba. Riposa per
30 secondi dopo ogni esecuzione.
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna): 30 secondi per lato.
Riposa.
Trikonasana (la posizione del Triangolo): 30 secondi per lato.
Utkatasana (la posizione della Sedia): 30 secondi. Sdraiati sul dorso per
uno o 2 minuti.
Paschimotanasana (la posizione di Allungamento posteriore): 30
secondi, seguiti da altri 30 secondi in posizione supina.
Balasana (la posizione del Bambino): da 30 secondi a un minuto.
Bhujangasana (la posizione del Cobra): 30 secondi.
Halasana (la posizione dell’Aratro): 30 secondi nella posizione finale.
Savasana (la posizione del Cadavere): da 2 a 5 minuti.
Tempo complessivo: 30 minuti circa.
Guarigione
Ipertensione e nervosismo

Si dice che l’ipertensione e il nervosismo siano le due principali


“maledizioni” dei tempi moderni. Entrambi sono essenzialmente disordini
mentali, ma anche i risultati fisici di questi disordini sono ben lungi
dall’essere piacevoli: insonnia, spossatezza, incapacità di digerire gli
alimenti in maniera corretta e una tale moltitudine di disturbi che è difficile
elencarli tutti.
La respirazione profonda che abbiamo descritto nella terza sezione è un
must per le persone che soffrono di questi disturbi. Tuttavia, l’energia che
immettiamo nel corpo attraverso il respiro e le altre pratiche deve essere
introdotta tenendo conto dello stato attuale dei nostri nervi. Troppa energia
potrebbe sopraffare un sistema nervoso già indebolito. Procedi, dunque,
gradualmente e ricordati soprattutto di essere calmo e rilassato in tutte le
pratiche dello yoga.
Le posizioni che comportano una respirazione lenta e profonda – in
particolare Savasana – saranno impareggiabili. La posizione del Bambino,
che è stata insegnata nella prima lezione, sarà estremamente benefica. Lo
stesso vale per la posizione del Cobra e quella dell’Arco. Tra le posizioni
che finora non sono ancora state prese in considerazione, le più utili saranno
la posizione sulla Testa, la Candela e la posizione del Loto. Tutte le posture,
comunque, in un modo o nell’altro, aiutano a calmare il sistema nervoso.
Anche il regime alimentare è importante (in particolar modo la frutta e
gli alimenti che sono stati descritti nella lezione precedente).
L’ambiente, sia naturale sia umano, è anch’esso di estrema importanza.
Le influenze sottili della città hanno un effetto nocivo sul sistema nervoso,
portandolo fuori equilibrio. Le impurità nell’aria, la velocità del traffico, le
folle di persone che sembrano continuamente minacciare la nostra privacy,
le vibrazioni eterogenee di innumerevoli esseri umani con desideri e
interessi mutevoli e conflittuali: tutto ciò contribuisce a produrre tensione, il
male supremo dei nostri tempi. Al contrario, la campagna e un ambiente
spirituale fatto di persone armoniose rappresentano una potente influenza di
pace.
All’Expanding Light, la nostra struttura per ospiti vicino a Grass Valley,
in California, abbiamo visto l’effetto sui nuovi arrivati di un soggiorno
anche solo di due settimane. I loro occhi iniziano a brillare, i loro visi ad
apparire rilassati, e tutto quanto in loro suggerisce una crescente armonia e
pace interiore. È necessario rassicurare le persone costrette a vivere in città
che possono trovare la verità ovunque si trovano, ma è altresì innegabile
che chiunque sia libero di soggiornare, anche solo per brevi visite, in un
ambiente spirituale si ritroverà a progredire spiritualmente in maniera molto
più rapida.
Se non si può vivere a tempo pieno in un ambiente salubre, bisognerebbe
intraprendere ogni sforzo per circondarsi di influenze spiritualmente
magnetiche: musica spirituale, libri spirituali, pensieri spirituali. Evita la
compagnia delle persone che potrebbero minare il tuo stato di pace. Non
perdere troppo tempo con quelli che il mio guru chiamava “riempitivi”: la
televisione, i giornali, la radio e così via.
Non vi è persona – non importa quanto nervosa o tesa sia – che non
possa superare in larga misura questa condizione, anche perfettamente, con
il tempo e la pazienza. Anche le persone più irrequiete sulla terra possono
diventare un fulgido esempio di pace.

Alimentazione

Vai in un qualsiasi supermercato ed esamina le etichette sulle


innumerevoli confezioni attraenti che vi trovi esposte. Guarda quali sono gli
ingredienti e prendi nota dei diversi additivi chimici che vengono aggiunti
per conservare il cibo, per renderlo più saporito, per aggiungere colore e
così via.
Ma non è tutto qui.
Che cosa ne è di tutti gli ingredienti salutari che vengono tolti dal cibo?
Se si lascia il germe di grano nel frumento quando lo si macina per
ottenerne la farina, col tempo questa diventerà rancida. Per conservare la
farina, di solito, il germe di grano viene tolto. La farina bianca non è solo
più fina da masticare, ma si mantiene anche più a lungo. In effetti, se si
mette un barile di farina bianca vicino a un barile di farina integrale di
frumento e si lascia che gli insetti possano avvicinarsi a entrambi i barili, si
noterà che non sono affatto interessati alla farina bianca fino a quando
hanno la possibilità di raggiungere quella integrale. La farina bianca è priva
di vita, non li tenta. Da questo punto di vista, l’uomo moderno mostra di
avere meno discriminazione di uno scarafaggio!
Nel 1898 alcune missionarie nelle Filippine ebbero compassione degli
indigeni per la loro misera dieta. Quelle persone “infelici” non mangiavano
nient’altro all’infuori del riso integrale. Le missionarie fecero
amorevolmente conoscere agli indigeni la dieta a base di riso bianco. A
causa di questo cambiamento di regime alimentare, essi si ammalarono di
beriberi, una malattia che presto assunse dimensioni epidemiche.
La farina bianca, il riso bianco, lo zucchero bianco e altri prodotti
similmente raffinati possono avere un sapore migliore, apparire più
“raffinati” (certamente lo sono!) e viziare quei denti che non vogliono
masticare nulla di più ruvido della crema di frumento, ma sono
estremamente dannosi per il corpo e il sistema nervoso. Molte malattie sono
da imputare all’assunzione di questi alimenti. In verità, si potrebbe quasi
dire che c’è una correlazione diretta tra la devitalizzazione del cibo e la
devitalizzazione dell’essere umano che lo mangia.
Per ripetere quanto ho detto in precedenza, cerca di mangiare soltanto
cibi naturali, quanto più possibile vicini alla loro condizione originale.
Sarebbe bene mangiare frutta di stagione. C’è un ritmo spontaneo nella
Natura, mentre essa fluisce attraverso le quattro stagioni; il corpo
dell’uomo, essendo parte della Natura, rientra in questo ritmo. L’essere
umano, quindi, farebbe bene ad armonizzarsi con i prodotti di stagione. Un
ulteriore vantaggio sarebbe, ovviamente, che gli alimenti stagionali tendono
a essere meno cari!
Poiché il germe di grano ha la tendenza a diventare rancido, viene
generalmente rimosso anche dalla farina integrale di frumento, se la farina è
venduta in negozio. Se si vuole che la farina sia veramente ricavata dal
germe di grano, la cosa migliore è macinare da sé il frumento quando se ne
ha bisogno.

Ricette
Un’eccellente forma di pane è il ciapati indiano:
350 g di farina integrale di frumento
circa 250 ml di acqua
1 cucchiaio di ghi (vedi pagina 80) o di olio
1 cucchiaino di sale (facoltativo)

La ricetta indiana prevede un cucchiaino di sale, ma gli yogi hanno


sempre affermato che il sale minerale non fa bene all’organismo umano. Il
sale viene ricavato in modo naturale dalle verdure che si mangiano.
Passa al setaccio 300 g di farina e mettili in una ciotola; aggiungi il sale,
se lo desideri, e incorpora gradualmente l’acqua. Lavora la miscela con le
mani per alcuni minuti, impastandola. Per un risultato ottimale, lascia
riposare l’impasto per almeno un’ora, poi lavoralo nuovamente,
aggiungendo, se necessario, ancora un po’ d’acqua. Modella ogni ciapati
prendendo una piccola porzione d’impasto e lavorandolo fino a dargli la
forma di una pallina; poi, con l’aiuto di un po’ di farina asciutta, tiralo fino
a ottenere una consistenza molto fine e una forma circolare simile a una
frittella. Friggilo in una padella d’acciaio leggermente unta, prima su un
lato, velocemente, e poi sull’altro, e in seguito torna al primo lato di cottura.
Il ciapati deve essere cotto velocemente, altrimenti diventerà duro.
Dovrebbe crescere come un palloncino; si può facilitare questo risultato
esercitando una pressione sui lati mentre è nella padella, oppure mettendo il
ciapati già fritto direttamente a contatto del calore per alcuni istanti,
girandolo velocemente.
Dopo che è stato cotto, si può cospargere il ciapati con un po’ di olio o
di ghi.

Pane di frumento integrale


250 ml di latte
3 cucchiai di miele liquido
2 cucchiaini di sale marino
1 cubetto di lievito fresco o 2 ½ cucchiaini di lievito granulare (un
pacchetto)
150 ml di acqua fredda
150 ml di acqua calda
600-700 g circa di farina di frumento integrale

Scalda il latte senza farlo bollire. Aggiungi il miele, il sale e l’olio.


Mescola fino a quando tutti gli ingredienti si dissolvono. Aggiungi 150 ml
di acqua fredda, per intiepidire la miscela. Sciogli il lievito in 150 ml di
acqua calda; aggiungi alla prima miscela.
Aggiungi gradualmente 600 g di farina. Mescola fino a formare un
impasto di consistenza solida e uniforme. Impastalo su un piano
leggermente infarinato fino a che diventa uniforme e satinato, aggiungendo
altra farina se l’impasto è eccessivamente molle. Metti l’impasto in una
ciotola e giralo in modo da ungere anche la parte superiore. Tienilo al
coperto in un posto caldo per circa un’ora o fino a quando raddoppia di
volume. Impasta nuovamente. Modella l’impasto dandogli la forma di un
filone e mettilo in uno stampo per pane da 23 x 13 cm, precedentemente
unto. Lascia lievitare da 45 minuti a un’ora e cuoci a fuoco moderato (180°
C) per circa 40 minuti, o finché la parte esterna sarà ben dorata e il filone
suonerà vuoto quando lo si picchietta sul fondo.

Ghi (burro chiarificato)


Nella precedente lezione ho fatto riferimento alle proprietà rinfrescanti di
certi alimenti. A questo riguardo, gli yogi spesso sottolineano i benefici del
ghi, o burro chiarificato. Può essere utilizzato per cuocere oppure crudo al
posto del burro. Ha un gusto molto diverso dal burro; è piuttosto dolce. Per
alcune persone è “amore a prima vista”, altre hanno bisogno di abituarsi al
suo gusto. In ogni caso, è salutare e si conserva per un tempo indefinito.
(C’è una ricetta per una particolare cerimonia religiosa in India che richiede
l’impiego di un ghi invecchiato per mille anni!)
Metti la quantità di burro desiderata a chiarificare in una casseruola e fai
cuocere a fuoco molto lento da un’ora a un’ora e mezza. Si può anche
mettere la pentola nel forno a bassa temperatura per la stessa quantità di
tempo. Togli la pentola dalla fonte di calore e filtra il burro fuso attraverso
uno strofinaccio sottile.

Meditazione
Ogni tanto si sente un contadino o un muratore riferirsi in questo modo a
una persona del suo stesso sesso che lavora in ufficio: «Perché non fa un
lavoro da uomo?». Anche gli uomini d’affari scherniscono a volte gli artisti,
a prescindere da quanto siano dediti al loro lavoro, definendoli
“improduttivi”.
Un mio amico chiese un giorno al direttore di una società discografica di
ascoltare la prima registrazione delle mie canzoni, dal titolo Di’ sì alla vita!
Quei canti sono presentati in modo da interessare l’ascoltatore (almeno
spero) alla mia filosofia (cioè ai principi universali dello yoga) senza
inculcarglieli a suon di randellate. Tuttavia, non ebbero questo effetto
stimolante sui pensieri di quell’uomo, che, dopo aver fatto diverse
telefonate durante l’ascolto del disco, commentò: «Ha bisogno di un ritmo
più forte».
Per molte persone, il potere è sinonimo di muscoli, denaro o rumore.
Tuttavia, l’ascendente dell’uomo sull’animale non è dovuto alla sua forza
fisica, ma alla forza mentale. Le più fulgide epoche della Storia sono state
periodi di risveglio spirituale o culturale, non di spargimento di sangue. La
vera gloria dell’uomo non dipende da fattori esterni, ma dalla profondità
con cui egli riesce ad attingere alle proprie risorse interiori.
La meditazione, lungi dal rappresentare un’attività per persone timide,
incerte o deboli di natura, che cercano di sfuggire alla realtà, è un’attività
essenziale per chiunque desideri sviluppare pienamente il proprio potenziale
umano.
Nella tua stanza (o angolo) della meditazione, potrà esserti d’aiuto
collocare un altare. Sebbene il tuo vero altare sia la tua consapevolezza
interiore, i simboli esteriori possono aiutarti a mantenere la consapevolezza
di quelle realtà interiori. Puoi porre sull’altare uno o due dei tuoi simboli
spirituali preferiti, o fotografie di grandi santi che veneri in particolar modo.
Queste immagini, agendo come punti focali per la tua concentrazione,
potranno contribuire a risvegliare la tua devozione interiore. Le fotografie
dei grandi maestri, inoltre, ti aiuteranno a sintonizzare la tua coscienza con
la loro. Come la fiamma debole e crepitante di una legna bagnata si ravviva
al contatto con un fuoco che già arde con forza, così la sintonia con le
grandi anime può aiutarci enormemente ad alimentare il “fuoco” dei nostri
sforzi spirituali. Questo è forse il punto più importante degli insegnamenti
dello yoga. Io stesso tengo sempre sul mio altare le immagini dei grandi
guru (insegnanti) della nostra linea: Gesù Cristo, Babaji-Krishna, Lahiri
Mahasaya, Sri Yukteswarji e Paramhansa Yogananda. Soprattutto, tengo
sempre la presenza del mio guru sull’altare del mio cuore.
È verso l’interno, infatti, che dovremmo dirigere la nostra
concentrazione. Lo yoga, come ho spiegato nella lezione precedente, è la
neutralizzazione delle onde nella parte più bassa della mente – i vortici del
sentimento – così che la “luna” della realtà possa riflettersi fedelmente
dentro di noi. La meditazione ha lo scopo di assisterci in questo processo
interiore di neutralizzazione.
Tuttavia, anche quando siamo già interiorizzati, certe immagini mentali
possono esserci utili per qualche tempo. Così come un bambino ferma
l’altalena sulla quale si sta dondolando spingendo le corde nella direzione
opposta al movimento, anche certe idee possono aiutarci a contrastare le
correnti dei nostri pensieri, con il risultato che alla fine la mente, anziché
essere più agitata di prima, è in pace.
Se l’idolatria è stata la rovina della religione è perché spesso le persone
non usano le immagini devozionali per diminuire le proprie tendenze
mondane, ma per accrescerle, cercando l’aiuto degli dèi solo per appagare i
desideri egoistici. Se invece le immagini vengono usate come punti focali
per la concentrazione, possono aiutare a ricondurre i diversi fili del
desiderio a un unico punto di pura devozione. Questo è particolarmente
vero se si considerano le immagini come simboli di stati superiori, divini,
che sono essenzialmente senza forma. Qualunque espressione di amore
altruistico – verso gli altri o verso un’immagine – può aiutarci a contenere
le maree del naturale egoismo del cuore. È l’infatuazione, non l’amore, che
rafforza la nostra illusione. Il puro amore, in qualunque forma, non
dovrebbe mai essere confuso con l’idolatria.
Le giuste immagini mentali possono aiutarci a raggiungere lo “yoga” in
tre modi: ispirando pace a una mente irrequieta; risvegliando l’energia in
una mente letargica per dirigerla verso Dio; e ricordando alla mente, a
livelli più profondi di quelli coscienti, le eterne verità dell’anima. Lo scopo
della meditazione è oltrepassare ogni immagine mentale, fino a percepire la
realtà spirituale così com’è. Non è possibile creare quella realtà: possiamo
solo sintonizzarci con essa.
L’esercizio di meditazione insegnato nella prima lezione è utile per
portare pace a una mente irrequieta. Anche altre visualizzazioni possono
essere d’aiuto. Ad esempio, se sei agitato da un pensiero specifico, il
pensiero opposto ti aiuterà a ritornare a uno stato di equilibrio interiore. Se
sei in collera con qualcuno, cerca di soffermarti per qualche tempo su
pensieri di perdono; dissocia mentalmente la persona che ti ha offeso
dall’azione che ti ha recato offesa. Ricorda le parole di Gesù: «Se dunque
presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche
cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (MATTEO
5,23-24). Se è il pensiero del futuro a disturbare la tua meditazione, genera
una corrente diversa di energia rivolta verso Dio, intonando canti
devozionali fino a quando la mente non sarà tornata sotto il tuo controllo.
Se hai più il temperamento del karma yogi che del bhakti yogi, quando la
mente è occupata con i suoi progetti, il canto potrebbe non penetrare
abbastanza in profondità nei tuoi processi di pensiero da permetterti di
riprenderne il controllo. In questo caso, cerca semplicemente di sentire
l’energia di Dio che opera nei tuoi progetti e sforzati di identificare sempre
più la tua coscienza con quell’energia creativa. In questo modo i tuoi
problemi si risolveranno da soli, mentre un eccesso di pensiero non farebbe
che ostruire quel flusso divino. Puoi anche offrire mentalmente i tuoi
progetti a Dio, con spirito di servizio o con la comprensione che questo
universo, alla fin fine, è responsabilità Sua, non tua.
Se sei più incline per temperamento al gyana yoga, dissociati da pensieri
e progetti semplicemente osservandoli. Rifletti sul fatto che essi non sono
veramente te. Non hanno nulla a che fare con l’essenza di ciò che sei: «Neti,
neti: né questo né quello». Si tratta di un’applicazione positiva del principio
negativo che spinge l’uomo a concentrarsi sulle imperfezioni del mondo
oggettivo, cercando attraverso le critiche di affermare la sua libertà interiore
dalla disarmonia che lo circonda.
Se la mente è letargica, il canto devozionale o il pensiero di offrirti al
Divino, uniti a un deliberato risveglio dell’energia nel cuore, ti aiuteranno a
spezzare la presa tentacolare dell’apatia. Ricorda che l’ottusità non è un
sentimento calmo: è solo un sentimento intrappolato.
Patanjali ha affermato che il divino risveglio avviene attraverso un
processo di smriti (memoria). L’anima è già divina. La realizzazione del Sé
consiste nel ricordare chi e che cosa siamo in realtà. Nell’illusione, l’uomo
vive in uno stato di sogno, immaginando che un mondo di apparenze sia
fatto di sostanze solide. Le immagini mentali della realtà, pur essendo
anch’esse una sorta di sogno, possono contribuire a risvegliare, a un livello
più profondo di quello cosciente, la memoria della nostra anima, donandoci
il potere di respingere l’ipnosi di questo sogno illusorio.
Ti sarà utile, nella meditazione, visualizzare una luce che si espande,
oppure spazio e libertà infiniti, o ineffabile amore e beatitudine. Nelle
lezioni successive troverai degli esercizi di visualizzazione specifici.
Quando ti siedi a meditare, inizia inspirando, contando mentalmente fino
a 12; trattieni il respiro contando fino a 12; espira contando fino a 12.
Gradualmente, se puoi farlo senza sforzo, allunga il conto fino a 20-20-20,
ma mantieni uguale la durata delle tre fasi del respiro. Ripeti questo
esercizio di respirazione da 6 a 12 volte.
Poi inspira e tendi tutto il corpo; espira e rilassati. Ripeti 2 o 3 volte. Il
corpo ora dovrebbe essere completamente rilassato e la mente pronta per la
meditazione.
Nella meditazione, concentrati con calma profonda nel punto tra le
sopracciglia, l’ajna chakra. Questa è la sede della concentrazione, oltre che
della visione divina nel corpo. Afferma mentalmente: «La Tua luce fluisce
in me; sono colmo di pace».

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Yama

L’evoluzione dei valori morali viene comunemente spiegata in due modi.


Le persone di fede sostengono che Dio ha semplicemente decretato come
l’uomo debba vivere; i liberi pensatori, invece, affermano che le leggi
morali differiscono radicalmente da cultura a cultura, e vanno quindi
considerate come il risultato di convenienze sociali. Per una tribù, ad
esempio, è socialmente sconveniente permettere ai propri membri di
derubarsi o uccidersi fra loro; per questa ragione, verranno promulgate leggi
per impedire di rubare o uccidere (almeno all’interno della stessa “famiglia”
tribale!). È questo l’unico argomento considerato valido contro il furto e
l’omicidio.
Che Dio debba imporre certi comportamenti umani, lascia intendere che
l’uomo verrebbe sospinto dalle sue inclinazioni in una direzione del tutto
opposta. Che alla base dei comandamenti di Dio ci sia il Suo piacere, non
quello dell’uomo, fa anche pensare che l’umanità possa essere intrappolata
nelle spire del capriccio divino, schiava di un Signore che è indifferente ai
nostri sentimenti, anzi, forse persino in contrasto con essi. (Perché mai,
altrimenti, i Suoi comandamenti sarebbero un tale peso per una così ampia
parte della razza umana?)
Gli insegnamenti dello yoga, tuttavia, spiegano chiaramente che i
“comandamenti” delle Scritture hanno motivazioni molto più accettabili.
Sono basati su realtà fondamentali della natura umana e hanno il solo scopo
di aiutare l’uomo a realizzare completamente quella natura.
Per quanto riguarda invece le spiegazioni dei sociologi, gli insegnamenti
dello yoga sottolineano che certi principi morali sono universalmente veri, e
hanno ben poco a che fare con il consenso del gruppo. Una società può
accordarsi per rifiutare l’uno o l’altro di questi principi, ma è noto che intere
società hanno sofferto perché i modelli che seguivano non erano in armonia
con la legge naturale.
I principi morali fondamentali dello yoga sono elencati negli Yoga Sutra
di Patanjali sotto due titoli generali: yama (restrizioni) e niyama
(osservanze). Entrambi contengono cinque regole, o linee-guida, per un
totale di dieci (il che ricorda i “Dieci comandamenti” della Bibbia). Il
motivo per cui ci vengono offerte è chiaro: l’uomo non percepisce
facilmente le leggi che governano la sua natura, se non dopo molti e
dolorosi tentativi ed errori (e comunque spesso troppo tardi). Molte azioni,
che gli appaiono naturali solo perché facili, sono in realtà autodistruttive:
l’ubriachezza, ad esempio, oppure (a un livello mentale) un cattivo
carattere.
L’uomo non è libero fin tanto che indulge indiscriminatamente nelle
proprie tendenze. Potrà dire: «Sono libero di ubriacarmi quanto voglio e
nessuno ha il diritto di fermarmi», e da un punto di vista sociale avrà
ragione. Ma questo non è il vero esercizio della libertà. Nella migliore delle
ipotesi, sarà solo un abuso di libertà, dal momento che la continua
ubriachezza conduce alla schiavitù mentale. È comprendendo e rispettando
le leggi del corpo che si raggiunge la vera libertà. I principi morali
universali ci indicano, in realtà, la via verso una felicità vera e duratura.
I principi di yama e niyama sono intesi come linee-guida per tutti, ma
sono rivolti specialmente a coloro che cercano di progredire spiritualmente.
Le cinque regole di yama, o controllo, sono dei divieti. Quando l’uomo
elimina dal proprio essere la disarmonia fisica e mentale, non deve più fare
nulla per diventare armonioso. Egli è Spirito; tutto ciò che lo fa sembrare
altro è solo un velo d’illusione, che copre l’eterna perfezione della sua vera
natura. L’oro può essere sepolto sotto il fango, ma una volta lavato via il
fango, non è necessario fare nulla per rendere l’oro più dorato.
Le regole di yama, dunque, sono queste:

1) Ahimsa, non-violenza o non-offesa


2) Non-mentire o sincerità
3) Non-rubare
4) Non-sensualità
5) Non-avidità.

Ognuna di queste regole deve essere compresa in un senso sottile, oltre


che in quello evidente.

1) Ahimsa è un termine reso popolare ai giorni nostri dal Mahatma


Gandhi. Attraverso la resistenza non violenta, egli guidò l’India
all’emancipazione politica dalla Gran Bretagna. Purtroppo, non fu capace di
insegnare al popolo indiano le implicazioni più profonde di questo
insegnamento, che è visto tuttora da molti come l’ultima speranza dei
derelitti. Se correttamente compresa, invece, ahimsa è l’Arma Suprema dei
forti, per trasformare il nemico in amico e far scomparire così la possibilità
di futuri conflitti.
Nella pratica dello yoga è importante comprendere che la vita che scorre
nelle nostre vene è la stessa che fluisce nelle vene di ogni creatura. Siamo
tutti espressioni di Dio, proprio come le singole fiammelle di un fornello,
che (per usare una delle immagini preferite del mio guru), pur apparendo
separate tra loro, sono in realtà manifestazioni dell’unico gas sottostante. Se
faccio del male a te, in realtà faccio del male a me stesso. Il detto di Gesù:
«Ama il prossimo tuo come te stesso» significa in un senso più profondo:
«Ama il tuo prossimo perché è il tuo stesso Sé».
Lo scopo dello yoga è comprendere l’unità di tutta la vita. Se sono
disposto a danneggiare la vita che è in me, espressa in un altro essere
umano, sto affermando un errore che è diametralmente opposto alla
comprensione che cerco di raggiungere. Se desidero veramente
comprendere l’unità di tutte le cose, devo vivere in modo tale da affermare
costantemente quell’unità: con la mia gentilezza verso ogni essere vivente,
con la compassione, con l’amore universale.
Alcuni interpretano questo insegnamento in modo radicale, fino al punto
di non uccidere mai. Quando una regola assume nella nostra mente
un’importanza così assoluta da impedirci di vedere al di là di essa, può solo
ostacolare il nostro sviluppo, anziché aprirci una via verso la liberazione.
C’è una setta in India che insiste nel bollire l’acqua prima di berla, per non
uccidere i germi che essa contiene. Non vedono ciò che è ovvio, che si
uccidono i germi anche facendo bollire l’acqua! Ogni volta che inspiriamo,
uccidiamo dei germi; ogni volta che camminiamo all’aperto, potremmo
calpestare qualche insetto indifeso; ogni volta che guidiamo l’automobile, il
parabrezza si riempie di mosche e moscerini. È impossibile praticare
ahimsa con letterale perfezione senza finire con l’uccidere se stessi, il
crimine peggiore in assoluto.
Patanjali parlava essenzialmente di atteggiamenti mentali, più che di
vere e proprie azioni corporee. È il nostro atteggiamento che può condurci
alla libertà oppure tenerci legati in una schiavitù ancora maggiore. Ahimsa è
un atteggiamento inoffensivo (come pure il suo corollario, un sentimento di
benevolenza universale). Non potremmo comunque, in nessun caso,
uccidere qualcuno, poiché l’anima è immortale. Ciò che però possiamo fare,
augurando il male a un altro essere umano, è sviluppare in noi stessi una
coscienza di morte che ci tiene prigionieri nell’oscurità. Uccidendo un’altra
persona, faremmo assai più male a noi stessi di quanto potremmo farne a
lei.
Il principio di ahimsa necessita di una comprensione sottile, non solo
superficiale. Se ferisci qualcuno anche nella maniera più lieve – se, ad
esempio, uccidi il suo entusiasmo (il che vuol dire, in un certo senso, la vita
che è in lui), se lo deridi o lo tratti in modo irriverente – ogni volta gli
arrecherai danno e perciò danneggerai anche te stesso. La perfetta pratica di
ahimsa, quindi, è davvero rara. Sebbene siano pochi coloro che
ucciderebbero realmente i propri simili, è facile invece trovare persone che
si sferzano a vicenda con parole cattive e occhiate sprezzanti. Patanjali ci
offre la misura per valutare se abbiamo sviluppato alla perfezione la nostra
pratica di ahimsa: quando avremo raggiunto tale perfezione – dice – perfino
le bestie selvagge e i criminali feroci diventeranno docili e inoffensivi in
nostra presenza. Ci furono molte occasioni nella vita del mio guru,
Paramhansa Yogananda, in cui questa promessa trovò attuazione.
Nella giungla vicino a Ranchi, dove si era recato un giorno con un
gruppo di studenti e insegnanti della sua scuola, egli impedì a una tigre di
attaccare i loro buoi, ponendosi tra di essi e la belva e guardandola con
amore. In diverse occasioni, in America, convertì criminali incalliti con un
semplice sguardo.
Quando mediti, inizia inviando onde d’amore a tutta l’umanità. Se c’è
qualcuno in particolare con cui hai avuto una divergenza, mandagli il tuo
amore. Finché non svilupperai questo atteggiamento, non sarai in grado di
meditare profondamente. Gli antagonismi del subconscio creeranno dentro
di te una tensione fisica e un senso di egoistico allontanamento dalla grande
corrente della vita nella quale la meditazione dovrebbe aiutarti ad
immergerti.
Per quanto riguarda le posizioni yoga, un atteggiamento di non-offesa
significa non fare violenza neppure al proprio corpo. Come ho detto in
precedenza, bisognerebbe assumere le posizioni in modo rilassato, senza
forzare il corpo. Rendi la pratica degli asana un processo di
autoesplorazione, piuttosto che di severa punizione.
2) Anche il non-mentire dovrebbe essere inteso in senso sottile. Alcuni
sedicenti moralisti sono in realtà così superficiali da consigliare la sincerità
solo perché è difficile ricordare tutte le bugie che si raccontano, finendo
inevitabilmente per fare un passo falso. Beh, meglio questa giustificazione
che nessuna! Il vero valore della sincerità, tuttavia, è considerevolmente più
profondo.
La sincerità è un atteggiamento indispensabile se si vogliono superare le
proprie errate convinzioni sulla vita. Il sentiero verso Dio non è altro che la
liberazione dalle nostre illusioni. Lo scienziato che investiga profondamente
la natura delle cose, rifiutandosi di permettere ai pregiudizi personali di
influenzare la sua analisi, in un certo senso sta praticando la sincerità. La
persona che esamina senza pregiudizi le proprie simpatie e antipatie sta
anch’essa praticando la verità, e in una forma ancora più vitale, poiché la
profonda analisi della natura della realtà richiede una visione chiara e
limpida da parte dell’uomo.
La persona non sincera vorrebbe sempre che il mondo, o le circostanze
più intime della propria vita, fossero diversi da come sono. «Se solo non
stesse piovendo! Se solo la smettesse di parlare! Se solo non fosse così
stupida!». Anche se è vero che le circostanze possono sempre essere
migliorate, il primo passo verso quel miglioramento è riconoscere, e
accettare, lo stato attuale delle cose. Possiamo solo lavorare con ciò che è.
Ci sono verità più e meno elevate. Dare dello stupido a qualcuno non è
una verità elevata, anche nel caso in cui quella persona fosse veramente un
idiota. L’anima dentro di noi è sempre saggia, sempre perfetta. Essere
sinceri, quindi, non significa necessariamente attenersi ai fatti in modo
letterale; può essere un bene dire a qualcuno un po’ ottuso che è
intelligente, se con questa affermazione cerchiamo di risvegliare la sua
intelligenza potenziale. La verità è sempre benefica; le affermazioni
dannose, anche se basate su fatti ovvi – ma superficiali e temporanei – non
sono sincere in un profondo senso spirituale.
Un atteggiamento veritiero significa cercare sempre di vedere le cose
come sono, accettando di poter sbagliare perfino nelle opinioni che ci
stanno più a cuore e rifiutando le simpatie e antipatie che potrebbero
pregiudicare la percezione della realtà così com’è. Sincerità significa
cercare sempre la Luce Divina che risplende nell’universale oscurità, vedere
Dio in tutti e in tutto, e affermare la bontà perfino di fronte al male, ma
sempre da un centro di assoluta onestà, mai come un semplice desiderio
dettato dall’illusione.
Quando ci sintonizziamo con la Natura, ci sintonizziamo con il potere
dell’universo; la nostra forza diventa allora illimitata. Quando ci
sintonizziamo con il Divino dietro a tutti i fenomeni naturali universali, ci
rendiamo canali affinché Egli possa fluire in tutto il Suo splendore nei più
oscuri passaggi e nei più nascosti recessi di questo mondo relativo.
Patanjali ci ha fornito un metro per valutare se abbiamo raggiunto la
perfezione in questa virtù. Ha affermato che la persona saldamente ancorata
nel principio della verità svilupperà il potere di ottenere i frutti dell’azione
senza neppure agire. Il solo suo pensiero, la sola sua parola, costringeranno
l’universo a obbedirle. Ciò che è relativo dovrà adattarsi alla sua volontà,
poiché una persona simile è in sintonia con una realtà più profonda. Un
santo può guarire gli altri semplicemente dicendo loro con profonda
concentrazione: «Guarisci!».
Nella meditazione, un atteggiamento di perfetta sincerità è essenziale per
proteggersi dalle allucinazioni, come pure dall’attaccamento alle illusioni
più comuni dell’umanità. Per superare l’ipnosi delle limitazioni umane,
osservale spassionatamente durante la meditazione. Chiediti: «Sono
veramente io, questo? Chi sono io, in realtà?!». Quanto più a fondo
esplorerai la questione della tua identità, tanto più chiaramente vedrai te
stesso come l’anima eternamente libera, spogliata di ogni illusione
egoistica.
Nella pratica dell’Hatha Yoga scopriamo di poter controllare il nostro
corpo anche in proporzione alla consapevolezza che abbiamo di esso. Ho
conosciuto uno yogi dotato di una consapevolezza fisica così completa che,
all’occorrenza, poteva rigettare un boccone sgradevole, lasciando
indisturbato nello stomaco il resto del pasto consumato. Durante le
posizioni, sii interiormente consapevole del tuo corpo. Mentre pratichi le
posizioni di allungamento, ad esempio, concentrati sulla tensione che ti
impedisce di allungarti ulteriormente; fa’ che il tuo riconoscimento sia
completo. Noterai che non appena avrai realmente “guardato in faccia”
questo ostacolo, accettandolo per ciò che è, sarai in grado di scioglierlo
come non potresti mai fare se ti limitassi a ignorarlo. In tutte le posizioni
yoga un atteggiamento di sincerità assoluta, cioè di semplice
consapevolezza, è un prerequisito indispensabile per raggiungere la
padronanza finale.
3) Non-rubare significa ben di più che non impadronirsi semplicemente
delle cose altrui. Significa anche non desiderarle avidamente. Significa non
desiderare nulla che non sia tuo di diritto. In realtà, significa non desiderare
neppure ciò che è veramente tuo di diritto, poiché comprendi che tutto ciò
che è tuo arriverà sicuramente, e che la tua felicità non è condizionata dal
riceverlo o meno. Il desiderio ci fa sempre cercare l’appagamento nel
futuro, impedendoci di capire che la perfezione è già nostra. Devi solo
comprendere sempre più profondamente la tua unità, già esistente, con tutta
la Vita. Perché credere di aver bisogno di qualcosa dall’universo, quando in
realtà tu sei l’universo? Il desiderio per le cose altrui è come una fune che
tiene legato al suolo il pallone della coscienza, impedendogli di salire verso
i cieli liberi della beatitudine spirituale.
Quando mescoliamo un mazzo di carte, la sequenza può variare quasi
all’infinito, ma il numero delle carte rimane immutato. Anche se ci sono più
assi in una parte del mazzo, questo non significa che il loro numero
complessivo sia aumentato. Allo stesso modo, sottrarre qualcosa a qualcuno
per averlo per noi significa solamente rimescolare il rapporto tra le cose.
Non ci sarà nessun guadagno complessivo, e quindi nessun guadagno per il
nostro vero sé. Dare importanza al proprio ego a spese di quello degli altri
significa rafforzare un’illusione. L’ego è l’ostacolo supremo che ci
impedisce di vedere l’unità della vita che abbraccia ogni cosa.
Il furto o il desiderio per le cose altrui non si limitano agli oggetti
materiali. Ci sono molti che, come disse Sri Yukteswar, «Tagliano la testa
agli altri pur di sembrare più alti». Parlare in modo scortese a un altro essere
umano – o anche di un altro essere umano – significa attribuirsi l’esclusiva
della virtù. Essa è il risultato della sintonia con l’ordine naturale delle cose;
non possiamo attribuirci una speciale virtù, o cercare di escluderne gli altri,
senza indebolire la nostra sintonia con la totalità della vita, riducendo in tal
modo la nostra stessa virtù.
Come metro per valutare il nostro progresso nello sviluppo di questa
qualità, Patanjali afferma che quando il non-rubare diventa fermamente
radicato nella coscienza, la ricchezza giunge sempre al momento del
bisogno. Quando riconosciamo che l’universo stesso ci appartiene e
smettiamo di tagliarci fuori dal resto della vita, pretendendo egoisticamente
la nostra “fetta”, scopriamo di essere sostenuti, e non più ignorati, dalla
legge universale.
Nella meditazione, anche il più piccolo desiderio attirerà la mente fuori
da se stessa. Se vogliamo che la meditazione ci conduca all’illuminazione,
dobbiamo ricondurre all’interno e verso l’alto, cioè verso il cervello e il
punto tra le sopracciglia, l’energia che si riversa dal cuore verso l’esterno.
Finché non saremo in grado di placare i desideri del cuore, la perfetta
meditazione non sarà possibile. Cerca quindi, all’inizio della meditazione,
di affermare mentalmente la tua completezza in te stesso e uno stato di pace
assoluta.
Anche nella pratica delle posizioni yoga, cerca di mantenere la
consapevolezza che tutta l’energia dell’universo è già ai tuoi ordini. Apriti
mentalmente al suo flusso e dirigila nel corpo tramite la volontà. Irradiala
anche all’esterno, inviando armonia e benedizioni a tutti, perché non è
sufficiente smettere di prendere dall’oceano della vita: se si osservano alla
perfezione i divieti di yama, questi determineranno anche una liberazione
positiva della nostra energia. La natura dell’anima è di espandersi verso
l’esterno all’infinito; l’errore più grande di un atteggiamento incentrato sul
prendere, quindi, è che esso fa contrarre la coscienza su se stessa.
4) Brahmacharya, o non-sensualità, si basa su una realtà poco
conosciuta: sebbene la pace interiore dell’uomo sia disturbata dalla tensione
fisica ed emotiva, egli non può trovare l’armonia interiore semplicemente
liberando quella tensione verso l’esterno, indulgendo nei sensi. Il motivo
per cui molti trovano questa verità così difficile da comprendere è che
l’indulgere nei sensi è solitamente accompagnato da un apparente aumento
della pace interiore, come pure da una sensazione di libertà. Il libertino, di
conseguenza, guarda dall’alto in basso coloro che praticano l’autocontrollo;
li considera degli ingenui, che rifiutano una felicità così facile da
conquistare.
Tuttavia, se esaminiamo la vita di coloro che cercano la pace e la libertà
nell’appagamento dei sensi, appare presto evidente che, per quanto riescano
a liberarsi dalle tensioni interiori, questi individui non diventano affatto
fulgidi esempi di pace. Al contrario, sono più nervosi, lunatici e irascibili
dei loro simili che si autocontrollano, e che essi considerano dei frustrati.
Questo speciale tipo di libertà non è certo particolarmente invidiabile. La
vera libertà dovrebbe trasmettere un senso di forza, di accresciuta
consapevolezza e di benessere. La “libertà” del dissoluto, invece, ci
suggerisce qualcosa di più simile a un abito che si sta un po’ alla volta
scucendo.
Perché questa perdita, quando invece ci si aspetta solo un guadagno? Il
motivo è che non può esistere un vero senso di pace e di libertà se la
liberazione dalle tensioni è accompagnata da una dispersione di energia.
Non si può trovare l’appagamento in uno stato di incoscienza; la pace non è
uno stato in cui si rimane morti e incapaci di entusiasmo. Uno degli errori
più comuni dell’uomo è immaginare di poter raggiungere uno stato di
equilibrio e armonia interiore riducendo le proprie reazioni all’universo
circostante. Quando la pressione del desiderio si accumula in lui, l’unica
soluzione che riesce a concepire è quella di “sfogarsi un po’”. Egli gode
dell’effimero senso di potere che sperimenta al momento dello sfogo. Il suo
scopo principale, però, sembra essere quello di ritornare a uno stato di
relativo torpore, in cui il desiderio non lo importuni più. Egli considera
l’accumulo di energia interiore come un qualcosa di cui liberarsi; non può
immaginare neppure lontanamente che proprio questa energia è la chiave
del suo sviluppo interiore, e che la vera pace e la vera libertà richiedono una
quantità maggiore, non minore, di questa energia.
Il livello di consapevolezza di una persona, infatti, dipende interamente
dalla quantità e dalla direzione del suo flusso di energia interiore. Una
persona veramente consapevole possiede sempre una grande energia. Se il
contrario non è vero (poiché, ovviamente, un uomo dotato di grande energia
non è sempre eccezionalmente consapevole), è perché questa energia deve
essere diretta verso il cervello, prima di poter dar luogo a una
consapevolezza più accentuata. Per essere continuamente e
consapevolmente in pace, dobbiamo trovare il modo di sciogliere le tensioni
interiori senza perdere quell’energia che ci permetterà di assaporare
pienamente la pace che troveremo.
Osserva come, quando sei felice, la tua energia e la tua coscienza
sembrino volare in alto. Da seduto, tenderai a stare un po’ più dritto; in
piedi, ad appoggiarti maggiormente sulla parte anteriore del piede;
guarderai più spesso verso l’alto e il tuo corpo ti sembrerà perfino più
leggero. Di solito, in questi momenti, tu descrivi il tuo stato d’animo
dicendo di sentirti «su, al settimo cielo». Perfino il paradiso viene
solitamente immaginato come un luogo al di sopra di noi, come se
rappresentasse una sorta di culmine per questo movimento verso l’alto della
nostra coscienza.
Quando invece ti senti infelice, osserva il modo in cui la tua energia e la
tua coscienza si dirigono verso il basso, lontano dal cervello. Le spalle e la
schiena tendono a curvarsi in avanti, cammini più pesantemente sui talloni e
sei portato naturalmente a guardare a terra. Le espressioni stesse che usi per
descrivere il tuo stato d’animo in quei momenti suggeriscono il movimento
discendente dell’energia: «Mi sento depresso, giù, pesante, a terra». Si
pensa comunemente che l’inferno sia situato in qualche luogo al di sotto di
noi, come se fosse una specie di stazione d’arrivo in questo viaggio
discendente della coscienza umana.
Due requisiti primari per godersi pienamente la vita sono conservare la
propria energia interiore e dirigerla verso l’alto, al cervello. Sono anche due
requisiti fondamentali per lo sviluppo spirituale.
L’energia diretta verso l’esterno è, in un certo senso, un dispendio.
Tuttavia, proprio come negli affari, certe spese sono necessarie per
accrescere la propria ricchezza interiore. Le attività intraprese con spirito di
gioioso servizio hanno l’effetto di metterci in sintonia con la fonte infinita
di ogni potere. Quanto più agiamo consapevolmente come canali per
l’energia divina, tanto più ci accorgiamo che le nostre forze interiori
aumentano. Se utilizziamo la nostra energia dopo averla elevata, le attività
che svolgiamo ci porteranno più – e non meno – pace, libertà e gioia. Se
invece portiamo all’esterno un’energia già diretta verso il basso, ciò causerà
solo dissipazione, poiché non attirerà un corrispondente afflusso di energia
cosmica.
Vi è uno spreco di energie dirette verso il basso quando si indulge nei
piaceri dei sensi con il solo scopo di liberarsi delle pressioni interiori,
quando ci si concentra sul piacere personale piuttosto che sull’offerta di sé,
o quando la meta non è la supercoscienza, ma soltanto una forma di
incoscienza (anche solo una minore consapevolezza del disagio interiore
prodotto dal desiderio). Tutto ciò comporta un flusso discendente di energia.
Bisogna comprendere che non tutti i piaceri dei sensi significano sensualità,
nel modo in cui la definisce Patanjali. Dio non ha mai desiderato che i suoi
figli rifiutassero questo mondo come un qualcosa di malvagio. Ogni attività
che ci ricorda Dio, incluso il puro piacere dei sensi, può aiutarci a elevare la
nostra anima. Tuttavia, quando ci limitiamo a prendere dalla vita senza dare
nulla in cambio, viviamo come ladri e assassini. «Nessun uomo è un’isola»:
John Donne aveva ragione. Per vivere rettamente in questo mondo
dobbiamo rimanere sensibilmente consapevoli della nostra affinità con tutta
la vita.
Ogni piacere dei sensi che non accresce questo senso di universale unità,
ma tende piuttosto ad acuire la nostra coscienza di egoistica separazione
dagli altri, può essere considerato sensuale. Nessuna esperienza fisica in
questo universo relativo può essere assolutamente sensuale o non sensuale.
L’importante, quando si cerca di aumentare la propria consapevolezza e
armonia, è in primo luogo evitare il più possibile quelle esperienze che, in
base al criterio appena esposto, sono più sensuali che spirituali. Quanto più
un’esperienza è egoistica e orientata verso i sensi, tanto più affievolisce la
nostra sensibilità. Al contrario, le esperienze sensoriali che non sono
fortemente o grossolanamente rivolte ai sensi possono perfino, con la
pratica, essere volte a proprio vantaggio spirituale.
La forma di sensualità che più naturalmente è associata a una direzione
discendente dell’energia umana è il godimento sessuale. Il piacere sessuale
dissiperà l’energia in proporzione diretta a quanto siamo consapevoli della
nostra autoindulgenza. Dove c’è amore altruistico, ci sarà anche un certo
flusso di energia verso l’alto nella spina dorsale e quindi anche un afflusso
di energia divina sotto forma d’amore. In ogni caso, ci sarà comunque una
perdita di energia ad altri livelli mentali e fisici. Il prolungato indulgere nel
sesso, quindi, anche tra persone che si amano profondamente, a lungo
andare non può che avere effetti debilitanti. Offuscando la consapevolezza,
diventa dannoso perfino per l’amore stesso. Ne consegue che, anche se
l’amore umano è portato naturalmente, nei primi tempi, all’espressione
fisica, se una coppia imparerà a esprimersi amore in modo non fisico,
quell’amore diventerà sempre più perfetto nel corso degli anni.
Anche quando l’amore è puro e altruistico, se si manifesta in modo fisico
tenderà a diventare sempre più totalizzante. Se tieni un fiammifero vicino
agli occhi, potrai vedere solo una piccola parte dello scenario circostante;
allo stesso modo, quando ci si lascia coinvolgere eccessivamente dall’amore
sessuale, i sentimenti non possono che oscurare la consapevolezza delle
realtà più ampie della vita. È per questo che le Scritture dell’Induismo
affermano che l’indulgere nel sesso, anche se in un modo purificato,
aumenta la presa dell’egoismo sulla mente.
Nel secolo scorso si è parlato molto dei danni della repressione, ma poco
o nulla degli effetti elevanti della trasmutazione. Se un individuo ribolle di
rabbia, può essere meglio che ogni tanto si sfoghi (anche se preferibilmente
non con la persona con cui è arrabbiato). Lo stesso vale in campo sessuale:
il desiderio, così intrinseco nella natura umana, può provocare, se represso,
numerosi problemi fisici e psicologici. Quando una persona cerca invece di
ridirigere consapevolmente il flusso di quell’energia verso il cervello, allora
non vi è più repressione. L’energia così incanalata può conferire una
straordinaria capacità di realizzazione a ogni livello della vita. Dove c’è il
consenso della volontà non c’è repressione, ma trasmutazione.
L’acqua lasciata ferma in una pozza, senza alcuna via d’uscita, può
diventare stagnante, ma se la si lascia fluire rimarrà dolce e pura. Quando
impariamo a dirigere la nostra energia in canali salubri, invece di lasciarla
ristagnare in una pozza di desideri insoddisfatti o di sprecarla in un campo
d’argilla, scopriamo che questo sforzo deliberato, lungi dal causare danni,
produce effetti del tutto positivi: una maggiore gioia, una più dinamica
capacità di concentrazione, un aumento della forza fisica. Non è un caso che
perfino in Occidente, dove il celibato è stato svalutato e disprezzato come
qualcosa di contrario alle leggi divine, molti geni creativi non si siano mai
sposati o siano rimasti a lungo celibi. Viene facilmente da pensare ad alcuni
esempi: Brahms, Beethoven, Newton, Kant, Nietzsche, per nominarne solo
alcuni tra i tanti.
Gli insegnamenti dello yoga non vengono mai presentati come
comandamenti: allo yogi viene insegnato a non sentirsi in colpa se fa uno
scivolone, né a flagellarsi mentalmente se non riesce ancora a vivere
secondo gli ideali che si è prefisso. Tuttavia, nel suo stesso interesse – non
nell’interesse di una società indifferente – egli dovrebbe sforzarsi
gradualmente di ridirigere le proprie energie verso l’alto, dalla materia allo
Spirito. La crescita deve avvenire naturalmente, senza fare violenza alla
propria natura. L’autocontrollo in ogni ambito, comunque, è la vera
direzione di crescita. In una lezione successiva verranno insegnate delle
tecniche che aiuteranno lo studente in questo sforzo eroico.
Il piacere dell’esperienza sessuale è fugace, ma la gioia che viene dal
ridirigere quell’energia verso l’alto, al cervello, è infinita. Colma tutto il
corpo. Perfino nel sonno e in altre attività non meditative, ogni cellula del
corpo danza di gioia.
Patanjali afferma che quando la non-sensualità diventa ben radicata (sia a
livello mentale che fisico), lo yogi sviluppa un grande vigore. Swami
Vivekananda attribuiva i suoi prodigiosi poteri mentali all’aver osservato
questi principi per tutta la vita. Qualcuno una volta gli regalò l’intera
Enciclopedia Britannica; due settimane dopo, egli aveva già letto i primi
tredici volumi. Un suo discepolo osservò: «Non è possibile che vi sia
rimasto in mente molto di quello che avete letto!».
«Fammi una domanda su un qualsiasi argomento che puoi trovare in quei
tredici volumi» lo sfidò lo swami, e rispose correttamente a ogni domanda,
citando perfino date e nomi di località.
Pur ammettendo che egli fosse un genio fin dalla nascita, è comunque
possibile per chiunque abbia perfettamente trasmutato l’energia sessuale
ottenere straordinario vigore e chiarezza mentale.
Il principio della non-sensualità va applicato anche alla meditazione.
Non si tratta solo di non soffermarsi sui piaceri dei sensi invece che sul
pensiero di Dio: come disse il mio paramguru (il guru del mio guru) Swami
Sri Yukteswar, molte persone rinunciano al piacere dei sensi solo per
cercarlo su un piano più sottile, sotto forma di visioni e altri fenomeni
spirituali. La meta del sentiero spirituale è l’unione con Dio. Tutto ciò che è
al di sotto di questo non è che una sorta di autoindulgenza, che può
diventare una distrazione dalla vera ricerca, a meno che non venga
nuovamente offerta con devozione al Signore Supremo.
Nella meditazione, cerca di elevare l’energia e la coscienza nella spina
dorsale fino al punto tra le sopracciglia. Bisognerebbe seguire questo
principio anche durante la pratica delle posizioni yoga. Cerca, per mezzo di
esse, di dirigere l’energia del corpo in alto, verso il cervello. Non
permetterle di disperdersi in tensioni fisiche o mentali, o in movimenti
irrequieti.
5) La non-avidità è stata spesso tradotta come il non ricevere doni, ma
io interpreto diversamente ciò che ha scritto Patanjali. Egli afferma,
successivamente, che quando una persona ha perfezionato questa virtù può
ricordare le sue precedenti incarnazioni. Che cosa ha a che fare il non
ricevere doni con questa memoria? Patanjali non sta neppure parlando di
pratiche specifiche, ma di stati di coscienza. Non-avidità, quindi, si avvicina
maggiormente alla giusta traduzione. Si differenzia dalla terza regola di
Patanjali del non desiderare le cose altrui, perché non desiderare le cose
altrui significa non desiderare ciò che non è nostro di diritto, mentre non
essere avidi significa non essere attaccati neppure a ciò che è già nostro. Se
praticata alla perfezione, la non-avidità conduce a non essere attaccati
neppure al proprio corpo. È con questo perfetto non-attaccamento che è
possibile superare la cecità delle identificazioni temporanee e ricordare le
passate identificazioni con altri corpi, luoghi ed eventi.
Lo yogi dovrebbe comprendere che tutto è Dio. L’avidità, o
l’attaccamento, limita la mente a un corpo e oscura la verità che l’anima,
nella sua essenza, è infinita ed eterna.
Paramhansa Yogananda disse una volta a un discepolo: «Hai un sapore
acido in bocca, vero?».
«Come lo sapete?» chiese il discepolo, sorpreso.
«Perché» rispose il Maestro «sono nel tuo corpo tanto quanto nel mio».
La libertà dalle limitazioni fisiche non è uno stato immaginario, anche se
questo sarebbe comunque preferibile a un’immaginaria schiavitù. Tuttavia,
la si può raggiungere solo quando si diventa così perfettamente privi di
attaccamento alle proprie limitazioni che queste non ci limitano più.
Nella meditazione, ti sarà d’aiuto liberarti mentalmente da tutte le
identificazioni terrene. Taglia i lacci emotivi che ti tengono legato a ciò che
possiedi. Rilassa completamente il corpo. Afferma mentalmente: «Io non
sono il corpo! Sono Spirito, sempre beato, sempre libero!».
Anche nella pratica delle posizioni yoga è importante vincere
l’attaccamento al corpo. Comprendi che il corpo è lì per essere usato, non
per essere viziato. Tu sei l’anima perfetta ed eterna. Impara a non cedere
alla tirannia del corpo e a non lasciarti imporre il suo senso di fatica. Non
bisognerebbe mai dire: «Sono stanco». Può darsi che il corpo sia stanco, ma
il corpo non è il Sé. Se proprio devi dire qualcosa, di’: «Il mio corpo ha
bisogno di riposo», ma cerca gradualmente di disciplinare il corpo come
faresti con un bambino ribelle, finché non obbedirà a ogni comando della
tua volontà.
In conclusione, si può dire che le cinque le regole di yama hanno in
comune un unico fine: impedire allo yogi di dare un indirizzo sbagliato alle
proprie energie e permettergli di canalizzarle verso scopi costruttivi,
ottenendo così il potere necessario per raggiungere le più alte forme di
successo.
Con un atteggiamento di non-offesa (ahimsa), lo yogi non sprecherà più
la sua energia in animosità il cui bilancio, tra vittorie e sconfitte, dà sempre
come risultato zero. Attenendosi strettamente alla verità, egli non sprecherà
più la sua energia nel creare e sostenere un proprio mondo di sogno, o
magari desiderando di far svanire quelle realtà sulle quali non ha alcun
controllo. Alleandosi alla realtà così come essa è, scoprirà di poter
addirittura attingere alle forze universali per migliorare le circostanze della
sua vita. Con l’atteggiamento del non-rubare o non-desiderare le cose altrui,
egli non disperderà più le sue energie bramando ciò che non è suo di diritto
e che non può quindi aiutarlo nel suo sentiero verso la perfezione. Con la
non-sensualità, egli ritirerà l’energia dall’eccessiva identificazione con i
piaceri esteriori, per poter godere liberamente di un piacere assai più
grande, seppur sottile: la beatitudine dell’anima. Con la non-avidità, o non-
attaccamento, perfino a ciò che è suo di diritto, egli manterrà libera la sua
energia per procedere spedito verso l’Infinito.
Un secchio pieno di buchi non può essere riempito di latte; allo stesso
modo, la mente umana non può essere colmata di pace divina finché le sue
forze sono continuamente prosciugate da attaccamenti e desideri. Le regole
di yama hanno lo scopo di aiutare lo yogi a tappare quei “buchi”, per poter
cominciare a raccogliere, nel corpo e nella mente, il “latte” della pace
divina.

Posizioni yoga

La spina dorsale è il fiume della vita. Al suo interno fluisce l’energia


dell’uomo, inviando impulsi al cervello e trasmettendo comandi dal cervello
ai muscoli e agli organi interni. Durante la meditazione lo yogi diventa
profondamente consapevole di queste correnti spinali.
Il succo di un’arancia si trova al suo interno; tutto ciò che si vede
dall’esterno è il colore. Allo stesso modo, quando nel corpo le energie sottili
vengono sperimentate dall’interno durante la meditazione, esse sono molto
diverse dalle loro manifestazioni esteriori, cioè la tensione fisica e il
movimento. Quando la coscienza si centra sensibilmente nella spina
dorsale, si sperimentano una gioia e una consapevolezza immense. La spina
dorsale, infatti, è il fiume sacro del battesimo, nel quale l’anima diretta
verso Dio viene purificata e rigenerata nelle acque della gioia divina.
L’hatha yogi dovrebbe allenarsi a essere profondamente consapevole della
spina dorsale. La maggior parte delle posizioni yoga ha attinenza in un
modo o nell’altro con lo sviluppo di questa consapevolezza spinale, sia
allungando e irrorando la spina dorsale sia inducendo una coscienza più
centrata.
La centratura nella spina dorsale è importante non soltanto per il
risveglio spirituale, ma anche nello sport e in altre attività quotidiane. Per
esempio, mi sono reso conto che posso sciare molto meglio se concentro
intenzionalmente la mia consapevolezza nella spina dorsale, percependo
tutti i movimenti come se si irradiassero all’esterno da questo centro. Se si è
in grado di rimanere coscientemente centrati nella propria spina dorsale, si
sarà sempre equilibrati e pronti ad affrontare qualsiasi situazione si presenti.
Una persona che è ben in equilibrio mentre corre è in grado di girarsi
velocemente; per contro, chi non lo è molto probabilmente cadrà, se si gira
in modo troppo improvviso.
La postura corretta è di vitale importanza per lo yogi. Una spina dorsale
curva ostacola il flusso dell’energia e blocca il respiro, rendendo quasi
impossibile respirare profondamente. Tuttavia, la posizione corretta, dal
punto di vista dello yoga, non ha niente a che vedere con l’atteggiamento
rigido di un soldato durante una parata. Si deve essere rilassati anche
quando si sta dritti. Infatti, fino a quando non si imparerà a mantenere dritta
la colonna vertebrale, non si sarà mai in grado di rilassarsi perfettamente.
Stai in piedi in maniera tale da sentirti centrato nella spina dorsale, con il
resto del corpo “appeso” alla colonna allo stesso modo in cui i rami
pendono dal tronco di un albero. Il petto dovrebbe essere un po’ all’infuori
(ma non troppo), le spalle un po’ all’indietro, la testa non dovrebbe essere
portata né in avanti né all’indietro in maniera troppo rigida. Se stai
perfettamente dritto, scoprirai che ci vuole pochissima forza per rimanere in
piedi, solo tanto quanto basta a mantenere l’equilibrio.
Paramhansa Yogananda una volta mi disse: «Rimani sempre nel Sé. Di
tanto in tanto scendi per mangiare o parlare un po’ quanto è necessario, poi
ritirati nuovamente nel Sé». Rimanere di più nel Sé significa vivere
maggiormente nella spina dorsale e nel punto tra le sopracciglia. La
consapevolezza dell’energia spinale che lo yogi acquisisce deve sempre
essere diretta in alto. (Affronteremo più dettagliatamente questo aspetto
delle posizioni nella prossima lezione.)
Vrikasana (la posizione dell’Albero, spiegata nella seconda lezione) è
eccellente per sviluppare la postura corretta. Quando la pratichi, senti che la
tua coscienza è centrata nella spina dorsale. Solleva le mani in alto sopra la
testa, unendo i palmi. Allungati in alto e un po’ all’indietro e senti come se
una linea retta percorresse la spina dorsale fino alle mani.
Lo sviluppo della postura corretta è il primo beneficio di questa
posizione. È perciò importante che la mente sia centrata principalmente
nella spina dorsale. La gamba sollevata dovrebbe quindi essere rilassata, in
modo da non distrarre l’attenzione dalla spina dorsale a causa del mero
sforzo fisico necessario per tenere il piede in alto. Nel caso non sia possibile
appoggiare il piede sulla parte alta della coscia opposta, piuttosto che
mantenerlo a metà della coscia – in una posizione che richiede una
considerevole tensione – poggia il tallone contro la caviglia opposta,
mantenendo le dita del piede a terra.

PADAHASTASANA
(la posizione del Coltello a serramanico)

«Niente a questo mondo mi può trattenere!».

Da Tadasana, inspira profondamente e, descrivendo un ampio cerchio,


porta le mani in alto sopra la testa, allungando tutto il corpo.
Espira spingendo indietro i glutei e piegati in avanti dalle anche, tenendo
la spina dorsale dritta (incluso il collo) e descrivendo un ampio cerchio con
le mani, portandole giù ai lati del corpo e afferrando la parte posteriore delle
gambe, dove puoi arrivare. Piega le ginocchia se necessario (non bloccarle).
In questa prima fase, piegati in avanti solo fino al punto in cui riesci a
mantenere la spina dorsale dritta. Con ogni inspirazione allunga la spina
dorsale; con ogni espirazione scendi un po’ di più, senza curvare la colonna.
Seconda fase: allunga la spina dorsale con un’ultima inspirazione, poi
espira e rilassati in avanti, permettendo alla colonna – specialmente alla sua
base – di rilassarsi e allungarsi, e alla sommità del capo di rilassarsi verso il
pavimento. Ti accorgerai che più rilassi la base della colonna, più
facilmente sarai in grado di piegarti in avanti.
Mantieni la posizione, respirando naturalmente e allungandoti in avanti
solo tramite il rilassamento, non attraverso lo sforzo.
Afferma: «Niente a questo mondo mi può trattenere!».
All’inizio mantieni la postura per circa 10 secondi, con la pratica
aumenta gradualmente fino a circa un minuto.
Per uscire dalla posizione, lascia la presa delle mani e piega le ginocchia.
Poi inspira, spingi i piedi a terra e apri le braccia ai lati e verso l’alto,
mentre ritorni con la spina dorsale in posizione verticale. Termina
l’inspirazione portando le braccia sopra la testa e allungando tutto il corpo
fino alla punta delle dita. Poi espira tornando in Tadasana.
Fai una pausa per diventare consapevole degli effetti di questo asana:
fisici, ma sopratutto psicologici e spirituali.

Benefici: questa postura esercita una benefica pressione sull’addome.


Aiuta ad allungare la spina dorsale in una maniera leggermente diversa
rispetto agli allungamenti da seduti, poiché in questo caso viene messo in
gioco tutto il peso della parte superiore del corpo.
In questa posizione è un po’ più difficile mantenere le gambe dritte
rispetto agli allungamenti da seduti, nei quali la pressione del pavimento
può essere impiegata a proprio vantaggio. In Padahastasana non c’è questa
pressione a sostenere la posizione dritta delle gambe. Di conseguenza,
questa postura è più facile degli allungamenti da seduti per quanto riguarda
l’allungamento della parte superiore del corpo, ma è più difficile per quanto
riguarda il mantenere le gambe dritte.
Questa posizione presenta anche un beneficio psicologico. Allo yogi
viene insegnato, come esercizio di libertà mentale, a meditare sullo spazio
infinito. Di solito, questa consapevolezza spaziale è ostacolata dal senso di
pesantezza fisica. In Padahastasana, questo naturale senso di gravità è
disorientato dalla posizione del corpo per metà rivolto all’insù e per metà
all’ingiù. Se si è in grado di rilassarsi in questa posizione, si scoprirà che le
direzioni opposte aiutano la mente a superare l’asservimento alla forza di
gravità. Afferma mentalmente: «Niente a questo mondo mi può trattenere!».

Precauzioni
• Se il piegamento risulta troppo impegnativo, piega le ginocchia per
evitare la compressione dei dischi intervertebrali. Tieni le ginocchia
piegate anche se hai la tendenza a spingerle indietro.
• In presenza di problemi agli occhi, alle orecchie e ai seni frontali, la
posizione può essere consigliabile, neutra o controindicata a seconda
delle condizioni.
• Se sei nel ciclo mestruale, dovresti scendere con la colonna vertebrale
solo fino a raggiungere una posizione orizzontale, e non oltre.
• Se soffri di problemi cardiovascolari (compresa la pressione alta), cerca
di mantenere una respirazione regolare e di evitare sforzi. Se invece hai
la pressione bassa, dovresti mantenere questa posizione solo per poco
tempo; nell’uscire, tieni il mento al petto e gli occhi aperti mentre sali e
anche per alcuni respiri al termine della posizione.
• Durante la gravidanza, bisognerebbe tenere le gambe aperte o
appoggiarsi a una parete o a una sedia, e fare attenzione a non arcuare
eccessivamente la parte inferiore della schiena e a non mantenere la
posizione troppo a lungo.

IL PIEGAMENTO
ALL’INDIETRO IN PIEDI
«Sono libero! Sono libero!».

Dopo la posizione del Coltello a serramanico, esegui il Piegamento


all’indietro in piedi. Da Tadasana, fai un passo indietro con il piede sinistro,
con un’apertura di circa 90 cm. Mantieni il bacino rivolto in avanti. Se hai
bisogno di più equilibrio, gira il piede sinistro leggermente all’esterno (non
più di 20º). Piega il ginocchio destro e portalo direttamente sopra la caviglia
destra. Contrai le natiche e spingi il pube in avanti, per allungare e
proteggere la parte inferiore della schiena.
Mantenendo stabile la parte inferiore del corpo, inspira e, con un ampio
cerchio delle braccia, unisci i palmi delle mani sopra la testa. Espirando,
rilassa le spalle e piega un po’ i gomiti.
Inspira e alza il petto verso l’alto, portando la colonna vertebrale in un
leggero piegamento all’indietro, soprattutto nella parte superiore toracica.
Rilassati nella posizione con un’espirazione. Tieni la nuca allungata e in
linea con la curvatura del resto della spina dorsale (non lasciar cadere la
testa all’indietro).
Tieni le spalle rilassate e lo sguardo leggermente rivolto verso l’alto.
Respira naturalmente. Percepisci il trionfante senso di libertà che è
suggerito da questa posizione. Senti che la tua energia e la tua coscienza si
sollevano in alto verso il cielo. Afferma mentalmente: «Sono libero! Sono
libero!».
Per uscire dalla posizione, inspira e raddrizza la gamba destra, riportando
la spina dorsale in posizione verticale mentre ti allunghi con le braccia in
alto. Poi espira e lascia scendere lentamente le braccia ai lati, mantenendo il
petto aperto. Fai un passo in avanti con il piede sinistro ritornando in
Tadasana.
Fai una pausa per godere gli effetti della posizione. Poi ripeti dall’altro
lato.

Precauzioni
• Le donne incinte e i praticanti con tendenza ad arcuare eccessivamente la
parte bassa della schiena dovrebbero fare particolarmente attenzione a
mantenere le natiche contratte e a spingere avanti il pube, per proteggere
la zona lombare.
• Non piegare eccessivamente il ginocchio anteriore, facendo attenzione a
non superare la linea della caviglia.
• Se hai lesioni spinali, consulta un medico.
JANUSHIRASANA
(la posizione della Testa al ginocchio)

«A sinistra, a destra, tutto intorno a me, l’armonia della vita mi


appartiene»
OPPURE «Onde di armonia si elevano nella spina dorsale».

Siediti a terra con le gambe distese di fronte a te. Siediti sul bordo di un
cuscino, se questo ti aiuta a rimanere dritto.
Piega il ginocchio destro e porta il tallone destro vicino all’inguine. Poi
fai scendere il ginocchio a terra verso destra, facendo partire il movimento
dall’anca. Appoggia la pianta del piede destro all’interno della coscia
sinistra. Siediti bilanciandoti su entrambe le natiche.
Inspira sollevando le mani in modo aggraziato ai lati del petto, come se
stessi dirigendo la consapevolezza nella spina dorsale e in alto lungo di
essa. Allungati dal sacro fino alla punta delle mani.
Espirando lentamente, piegati in avanti dalle anche e allunga il tronco al
di sopra della gamba sinistra.
Tieni la spina dorsale dritta e riporta giù le mani, appoggiandole alla
gamba sinistra, al piede o al pavimento, ovunque arrivino con facilità. Il
centro del petto dovrebbe essere direttamente al di sopra della gamba
sinistra.
Continua in questa posizione, inspirando e allungandoti, espirando e
approfondendo il piegamento in avanti. Mantieni la spina dorsale dritta e la
nuca allungata. La sommità della testa si allunga in una direzione, il coccige
in quella opposta, l’ombelico in direzione della coscia sinistra. Mantieni le
spalle rilassate e lontane dalle orecchie, parallele a terra.
Dopo vari respiri, inspira e allungati ancora una volta, poi espira e
rilassati completamente nella fase di “abbandono” della posizione,
permettendo a tutta la parte superiore del corpo di rilassarsi. Respira
naturalmente. Approfondisci il piegamento in avanti solo attraverso il
rilassamento, senza alcuno sforzo. Mentre ti pieghi in avanti, senti
interiormente che ti stai abbandonando e che stai sciogliendo sia le tensioni
fisiche sia quelle psicologiche.
Se non riesci a toccare con la testa il ginocchio, non portare il ginocchio
in alto per toccare la testa come Maometto, il quale disse che se la
montagna non fosse venuta a lui, sarebbe andato lui alla montagna!
Mantieni dritta la gamba distesa e abbassa la testa verso di essa quanto più
ti è possibile in modo confortevole. (Questa è la posizione della testa al
ginocchio, non quella del ginocchio alla testa!)
Afferma: «A sinistra, a destra, tutto intorno a me, l’armonia della vita
mi appartiene» oppure «Onde di armonia si elevano nella spina dorsale».
All’inizio mantieni la postura solo brevemente, aumentando in modo
graduale il tempo a uno o 2 minuti quando diventa più confortevole.
Per uscire dalla posizione, inspira e sali con la schiena fino a ritrovare le
curve naturali della spina dorsale; poi estendi le braccia in alto sopra la
testa, riportando il tronco in posizione verticale. Espira rilassando le mani ai
lati. Piega il ginocchio sinistro ed entra in una comoda posizione a gambe
incrociate.
Fai una pausa per sperimentare gli effetti della posizione. Ripeti
dall’altro lato.

Benefici: Janushirasana aumenta i benefici che si possono trarre da


Paschimotanasana, la posizione dell’Allungamento posteriore. Aiuta anche
a tonificare il sistema nervoso, migliora il funzionamento degli organi
addominali e pelvici ed è generalmente eccellente per la digestione. Grazie
all’azione di allungamento sui tendini delle gambe, è anche un’ottima
postura da praticare prima di provare le posizioni da seduti più difficili.

Precauzioni
• Se la parte bassa della schiena è debole, utilizza le braccia, i muscoli
addominali e del dorso per sostenere la spina dorsale entrando e uscendo
dalla posizione.
• Le donne incinte non dovrebbero piegarsi troppo in avanti; per evitare la
compressione addominale, dovrebbero inoltre mettere l’addome
leggermente all’interno della gamba allungata, tenendola di lato.
• In caso di lesioni spinali, è necessario chiedere al proprio medico se si
può fare la posizione.

DHANURASANA
(la posizione dell’Arco)

«Richiamo le mie energie sparse per ricaricare la spina dorsale»


o «Tutte le onde delle prove possono solo sollevarmi verso nuove altezze».

Questa posizione completa ciò che è stato iniziato con la posizione del
Cobra. Quest’ultima piega all’indietro la parte superiore della colonna
vertebrale; Dhanurasana, invece, ne piega la parte centrale e inferiore.
Inizia in posizione prona con la fronte a terra. Piega le ginocchia,
tenendole divaricate quanto le anche, e afferra la parte esterna delle
caviglie. Durante la posizione, spingi costantemente il pube a terra per
proteggere la zona lombare.
Inspirando, premi il pube a terra, solleva le gambe e inizia ad allontanare
i piedi dalla testa, alzando la parte superiore del corpo dal pavimento.
Nell’assumere la forma dell’arco, tieni le scapole aperte e le ginocchia
divaricate quanto le anche.
Allunga attivamente tutta la parte inferiore del corpo: la parte alta delle
cosce si allunga verso le ginocchia, lo stomaco e la zona del petto si
allungano verso il mento. Mantieni il collo nella stessa curvatura del resto
della spina dorsale.
Sii pienamente consapevole del piegamento nella parte inferiore della
spina dorsale. Senti l’energia che si risveglia in quella zona; senti anche
l’energia che viene attratta dalle gambe verso la parte inferiore della
colonna. Respira in modo naturale.
Afferma mentalmente: «Richiamo le mie energie sparse per ricaricare la
spina dorsale». (Oppure visualizzati mentre galleggi allegramente tra le
onde di tutte le difficoltà e afferma mentalmente: «Tutte le onde delle prove
possono solo sollevarmi verso nuove altezze».)
Per uscire dalla posizione, inspira e allunga la spina dorsale, poi espira e
riporta lentamente le gambe e il tronco a terra. Lascia andare le caviglie e
rimani nella posizione prona.
Fai una pausa per integrare gli effetti della posizione. Se la parte
inferiore della schiena ha bisogno di sollievo, entra immediatamente in una
contro-posizione (ad esempio Balasana, insegnata nella prima lezione).

Benefici: i benefici di Dhanurasana sono molto simili a quelli di


Bhujangasana. Dal punto di vista fisico, la pressione gentile che questa
postura esercita sull’addome aiuta a stimolare gli organi interni e a ridurre
la flatulenza. Sotto il profilo psicologico, la posizione dell’Arco aumenta la
forza di superare gli ostacoli.
Più importanti ancora sono i benefici spirituali. Dhanurasana è una
posizione meravigliosa per risvegliare e aumentare la consapevolezza
dell’energia nella spina dorsale e, di conseguenza, anche la capacità di
controllarla.

Precauzioni
• Se soffri di problemi cardiovascolari, mantieni la posizione per poco
tempo.
• Se hai lesioni spinali, chiedi consiglio al tuo medico.

Controindicazioni
• Le persone con fegato o milza ingrossati non dovrebbero praticare questa
posizione.
• Non fare la posizione durante la gravidanza.
• Se senti fastidio o persino dolore alle ginocchia, non eseguire la
posizione.
Respirazione

Il respiro è intimamente collegato alla forza del corpo. Osserva cosa


accade quando stai per sollevare un oggetto pesante: inspiri sempre prima di
farlo, poiché comprendi istintivamente che l’inspirazione ti sarà d’aiuto nel
fornirti la forza necessaria per il lavoro che stai per compiere. Se, mentre
inspiri l’aria, inspiri in modo consapevole e intenzionale anche l’energia,
scoprirai che il respiro è uno dei mezzi principali per far entrare l’energia
nel corpo. Cerca di respirare più spesso in modo pienamente consapevole.
Una tecnica di respirazione che può aiutarti ad aumentare l’afflusso di
energia nel corpo è quella conosciuta come Doppio respiro. Inspira
attraverso le narici: fai prima un’inspirazione breve e poi una lunga; espira
attraverso la bocca e le narici, prima con un’espirazione breve e poi con una
lunga.
Un ottimo esercizio di respirazione che ci rende
più consapevoli dell’aria e dell’energia, e che ci aiuta
anche a sviluppare il diaframma, è Sitkari. Posiziona
la lingua contro i denti e inspira energicamente
attraverso la bocca emettendo un sibilo. Espira
attraverso il naso, chiudendo le labbra, e percepisci la
freschezza del respiro che penetra nel cervello e si
diffonde in tutto il sistema nervoso. Fai in modo che l’inspirazione e
l’espirazione abbiano la stessa durata e, tra le due fasi, trattieni l’aria a
polmoni pieni fino a quando riesci a farlo in modo confortevole.

Sequenze

Siedi sul pavimento a gambe incrociate e inspira profondamente,


contando mentalmente fino a 6; trattieni il respiro contando fino a 6; espira
contando fino a 6; trattieni il respiro a polmoni vuoti contando fino a 6.
Ripeti 3 volte.
Pratica Sitkari Pranayama 6 volte, percependo la freschezza
dell’espirazione che permea tutto il sistema nervoso.
Concentrati nel punto tra le sopracciglia per 2 o 3 minuti. Poi pratica le
posizioni: portati in piedi e fai la Respirazione yogica completa per 3 volte,
allungando le mani in alto sopra la testa.
Vrikasana (la posizione dell’Albero): 30 secondi per gamba, con 30
secondi di riposo dopo ogni esecuzione.
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna): 30 secondi per lato,
con 30 secondi di riposo.
Trikonasana (la posizione del Triangolo): come sopra.
Utkatasana (la posizione della Sedia): da 30 secondi a un minuto.
Padahastasana (la posizione del Coltello a serramanico): per un tempo
complessivo di 30 secondi.
Piegamento all’indietro in piedi: 30 secondi per lato, con 30 secondi di
riposo dopo ogni esecuzione.
Sdraiati in Savasana (la posizione del Cadavere) per 2 minuti.
Balasana (la posizione del Bambino): un minuto.
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio): da 10 a 15 secondi
per lato riposando tra le due esecuzioni.
Bhujangasana (la posizione del Cobra): 30 secondi.
Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore): 30 secondi, seguiti da
30 secondi in Savasana.
Dhanurasana (la posizione dell’Arco): 15 secondi.
Sdraiati sul dorso in Savasana e rimani per 5 minuti in uno stato di
rilassamento profondo.
Tempo complessivo: circa 30 minuti.

Guarigione
La stanchezza cronica

La stanchezza cronica è una delle malattie più diffuse della nostra epoca.
Non è dovuta a un eccesso di lavoro (l’uomo contemporaneo lavora molto
meno duramente dei suoi antenati), ma piuttosto a una dispersione delle
nostre forze. La nostra non è un’età “focalizzata”: innumerevoli influenze ci
spingono in direzioni conflittuali. Ci ritroviamo a cercare di fare centinaia
di cose in maniera affrettata, piuttosto che a fare bene e attentamente una
cosa alla volta. Misuriamo il successo in base ai numeri, anziché
all’eccellenza. Il risultato è la spossatezza che si legge sui visi di così tanti
uomini e donne nelle nostre città iperattive, in cui gli estranei passano l’uno
accanto all’altro senza un sorriso e nemmeno uno sguardo di saluto.
La stanchezza cronica è dovuta non solo alla dispersione delle nostre
energie, ma anche all’eccesso di stimoli. Quando c’è troppa stimolazione, la
capacità di reazione viene indebolita; si perde il proprio entusiasmo
naturale. Uno scrittore di Hollywood, una volta, mostrò una sceneggiatura a
un produttore cinematografico. Il produttore, dopo averla letta, disse: «È
stupenda! Fantastica!». Lo scrittore, in preda allo scoraggiamento, gli
chiese: «Vuol dire che non le piace?». È difficile, in un mondo in cui i
superlativi formano un costante crescendo, prendere qualcosa sul serio,
perfino reagire con stupore a un miracolo. I nostri stessi superlativi
finiscono per diventare espressioni di noia.
La stanchezza è il risultato diretto di una perdita di interesse. La nostra
scorta di energia non dipende principalmente dal cibo nutriente o da altre
cause esterne, bensì dalla nostra capacità di sorridere, di entusiasmarci.
Quando le persone dimenticano come sorridere, quando complicano in
modo eccessivo la loro routine quotidiana e riempiono la loro mente con le
scorie di desideri e preoccupazioni inutili, sono come automobili a un solo
cavallo vapore. L’uomo che è in grado di semplificare la propria vita e di
raccogliere le proprie energie per fare bene alcune cose, invece di
disperdere le proprie forze ai quattro venti con irrequietudine, scoprirà di
avere tutta l’energia necessaria – e anche di più – per qualunque cosa debba
fare. Metti buona volontà in ogni cosa che fai. La volontà genera energia.
«Più forte la volontà» era solito affermare Yoganandaji «più forte il flusso
di energia». Volontà in questo contesto significa “buona volontà”: non
sforzo fisico o mentale, ma una piacevole e crescente focalizzazione di tutta
l’attenzione su un obiettivo.
Una tecnica per attirare energia nel corpo è quella di stare in piedi
davanti al sole. Solleva le mani sopra la testa. Senti il calore del sole che
colpisce la tua fronte nel punto tra le sopracciglia e i palmi delle tue mani.
Senti che stai attirando calore ed energia nel corpo attraverso queste
“finestre”. Dopo qualche tempo, volgi le spalle al sole e senti il suo calore
nell’area del midollo allungato (alla base del cervello). Mantieni le mani
sollevate sopra la testa. Attira nuovamente l’energia del sole nel tuo corpo.
La prossima volta che ti senti affaticato, fa’ alcune respirazioni profonde.
Poi colma la tua mente con il senso di meraviglia che prova un bambino che
vede questo mondo con occhi nuovi. Non avere nulla a che fare con
l’atteggiamento annoiato delle persone che vivono, per così dire, con lo
sguardo rivolto a terra.
La stanchezza, infine, è un segno di egocentrismo. Chi è in grado di
dimenticare se stesso nell’aiutare gli altri e nel dare loro forza, si ritroverà
raramente spossato.
Posizioni consigliate per la stanchezza cronica: Dhanurasana (la
posizione dell’Arco) e Janushirasana (la posizione della Testa al
ginocchio), entrambe insegnate in questa lezione; Chakrasana (la posizione
della Ruota), che sarà insegnata nella quinta lezione; Akarshana
Dhanurasana (la posizione del Tiro con l’arco) che sarà insegnata nella
nona lezione.

Alimentazione

Nella sezione precedente abbiamo parlato degli effetti dannosi di


un’eccessiva stimolazione del sistema nervoso. Anche gli alimenti possono
essere eccessivamente stimolanti. Come accade con molti stimoli ottici e
acustici, anche nel caso degli alimenti la stimolazione che si riceve da essi
non è provocata dall’energia che ci trasmettono, ma soltanto dalla loro
influenza irritante sull’organismo. Può sembrare che un rumore forte dia
energia, ma di fatto esso sferza il sistema nervoso rendendolo irrequieto. I
movimenti nervosi delle persone i cui sensi sono stati eccitati in modo
eccessivo, esprimono più uno sforzo inconsapevole di liberarsi della
stimolazione che l’impellente desiderio di compiere un’azione costruttiva.
Lo stesso accade con gli alimenti stimolanti. Secondo un principio
fisiologico, anche se una dose massiccia di veleno può uccidere, una dose
piccola può di fatto stimolare l’organismo. Qualsiasi stimolo proveniente
dall’esterno, tuttavia, a meno che non contribuisca a sviluppare l’organismo
anche a livello interiore, eserciterà la sua influenza apparentemente salutare
soprattutto come un elemento irritante.
Il caffè è un esempio ben conosciuto: il suo effetto immediato a volte è
elevante, ma il suo effetto a lungo termine è di indurre la depressione. Si
dice che la caffeina uccida la vitamina B presente nel corpo. Le persone che
bevono troppo caffè scoprono che la loro fonte naturale di energia, in realtà,
si riduce. Hanno bisogno di sempre più caffè per ottenere la “spinta” che
stanno cercando. Lo stesso si può dire per il tè, il tabacco e gli altri
stimolanti.
Negli insegnamenti dello yoga viene data molta importanza a una dieta
armoniosa, piuttosto che stimolante. Se si concede al Sé interiore di
lavorare attraverso un sistema nervoso rilassato e pacifico, esso sarà in
grado di colmare il corpo di energia e di forza. Gli stimoli esterni
impediscono questa armoniosa espressione dell’interiorità. Gli alimenti
stimolanti, quindi, sono controproducenti.
I cibi stimolanti, secondo gli insegnamenti dello yoga, appartengono alla
categoria degli alimenti rajasici, o attivanti, contrapposti agli alimenti
debilitanti (alimenti tamasici) o a quelli che spiritualizzano la coscienza
dell’essere umano (alimenti sattwici). Gli alimenti rajasici comprendono la
carne, le uova, l’aglio e le cipolle. L’aglio e le cipolle hanno alcune
proprietà medicinali, ma – dal punto di vista della pratica dello yoga –
tendono a eccitare il sistema nervoso e di solito sono esclusi dalla dieta
dello yogi. Qui in Occidente la situazione è diversa, poiché le richieste del
nostro ambiente sono esse stesse rajasiche. Yoganandaji ci dava da
mangiare cipolle e aglio, come pure le uova. Presumo che lo facesse perché
il mondo occidentale richiede un certo adattamento degli insegnamenti
orientali. Qui, forse, un po’ di cibo rajasico è auspicabile, se non altro per
aiutarci a tenere il passo con le correnti di coscienza che vorticano attorno a
noi.
Ciononostante, bisognerebbe fare ogni sforzo possibile sul sentiero dello
yoga per introdurre nella propria dieta alimenti che siano salubri anziché
stimolanti. Il caffè e il tè nero sono mal visti negli insegnamenti dello yoga.
Ci sono molti sostituti salutari, quali bevande a base di cereali e tè a base di
erbe.

Ricette
Tè dello yogi
Un tè salubre che viene spesso bevuto in India si prepara facendo bollire
6 grani di pepe nero, 4 baccelli interi di cardamomo, 3 chiodi di garofano, ½
bastoncino di cannella e una fetta di radice di zenzero in 300 ml di acqua
per 20 minuti. Filtra. Servi con miele se lo desideri.

Curry di frutta
Cuoci in 2 cucchiai di burro: 2 pomodori grandi tagliati a dadini, 3
banane tagliate a fettine, una mela tagliata in quarti e poi a fettine, una
cipolla tagliata a fettine (facoltativo), una manciata di uvetta e una manciata
di mandorle sminuzzate (sbollentate e leggermente rosolate nel burro) con
un cucchiaio di polvere di curry, un bastoncino di cannella, 3 baccelli interi
di cardamomo, 2 chiodi di garofano e (se lo si desidera) un po’ di zenzero.
Fai cuocere a fuoco lento per 25 minuti. Servi con riso integrale. È
sufficiente per 4 porzioni. Ottimo anche senza il curry!

Meditazione

I principi di yama, esposti in questa lezione, rappresentano degli


atteggiamenti molto importanti per la corretta meditazione. Meditazione
non significa passività o vuoto mentale, ma piuttosto cercare di
sintonizzarsi positivamente con le sottili vibrazioni dell’Infinito. Come un
astronomo mette accuratamente a fuoco il suo telescopio puntato su un
pianeta lontano, o una persona sintonizza attentamente la sua radio sulla
stazione che ha scelto, eliminando ogni interferenza delle stazioni vicine,
così lo yogi che si è accostato alla meditazione da poco tempo deve cercare
di concentrare tutte le sue facoltà sul pensiero di Dio o di uno dei Suoi
attributi. (In seguito, quando la presenza interiore di Dio sarà realmente
percepita, l’immaginazione si trasformerà in esperienza diretta.) Le regole
di yama sono indispensabili all’inizio per raggiungere questa sintonia, così
come è necessario per l’astronomo il primo sguardo fugace al pianeta che
vuole studiare, e per chi ascolta la radio il movimento della manopola alla
ricerca di una certa lunghezza d’onda, tralasciando le stazioni che non
trasmettono il programma desiderato.
Sotto molti aspetti, una corretta meditazione richiede una completa
rivoluzione negli atteggiamenti che sono considerati comunemente umani.
La spinta competitiva, ad esempio, implica la convinzione che il successo
debba essere esclusivo, perfino al punto di dipendere dal fallimento altrui.
In questo mondo di relatività non è possibile per tutti essere miliardari,
presidenti di grandi compagnie o campioni d’atletica. Competere per
raggiungere una posizione elevata può aiutare a sviluppare l’eccellenza
personale, sempre che lo sviluppo interiore sia la vera motivazione, ma
assai più spesso la competizione serve soltanto a creare un’illusione di
progresso eliminando la concorrenza. Un atteggiamento simile renderà vani
perfino gli sforzi più sinceri di progredire nella meditazione, poiché porrà
l’individuo in contrasto con l’universo, anziché in armonia con esso.
Il giusto atteggiamento è essenziale per una buona meditazione. Il primo
passo per svilupparlo è imparare a vedere gli altri non come rivali, ma come
amici. È il principio della non-violenza. Anche se gli altri, per ignoranza,
dovessero odiarti, tu considerali fratelli e sorelle in Dio e benedicili con la
Sua pace. Questo non significa collaborare con loro nella loro ignoranza, né
ricevere le loro cattiverie con un atteggiamento succube, ma solo augurare
loro con sincerità una rapida guarigione dalla disarmonia. L’odio può essere
contagioso quanto un’epidemia di influenza, ma chi soffre maggiormente è
sempre colui che è affetto da questa violenta malattia. Renditi immune con
dosi ultrapotenti di compassione e divino amore impersonale.
Durante la meditazione, esamina il tuo cuore alla ricerca di sentimenti
malevoli verso gli altri. Sradicali uno per uno e pianta al loro posto i
fragranti fiori del perdono. Solo quando il tuo cuore sarà stato ammorbidito
dalla benevolenza universale, potrai sperare di diventare ricettivo alle
gentili vibrazioni dell’amore divino. Non pensare di poter conquistare
l’amore di Dio finché non avrai sviluppato il potere di conquistare l’amore
umano.
Anche la sincerità è un atteggiamento importante per la corretta
meditazione, se non vogliamo che le nostre illusioni vengano rafforzate
anziché distrutte. Gli stati di coscienza interiori possono essere ingannevoli.
Molte esperienze apparentemente spirituali sono radicate nel subconscio,
non nella supercoscienza. Soltanto con la più rigorosa onestà è possibile
uscire dalle intricate maglie dell’autoinganno.
Il non-rubare è un altro atteggiamento essenziale per la corretta
meditazione. Significa comprendere che non possiamo mai possedere ciò
che non ci appartiene, mentre ciò che ci spetta di diritto prima o poi arriverà
(secondo un detto tanto caro a Sorella Gyanamata, la più avanzata tra le
discepole di Paramhansa Yogananda). Ciò non significa non lavorare sodo,
ma semplicemente non lasciarsi prendere dall’ansia. A chi appartiene, in
ogni caso, questo mondo? Il modo migliore in cui Dio può appagare le
speranze umane è tramite coloro che tengono la mente aperta a Lui con
perfetta fiducia. Quando mediti, offriGli ogni ansia. Di’ a te stesso: «Ciò
che viene da sé, lo lascio venire». Solo un atteggiamento di fiducia e
ricettività al Divino può prepararti a ricevere, in tutta la loro sottigliezza, i
più alti stati di coscienza.
Non-sensualità nella meditazione significa comprendere che non è
possibile meditare finché si mantiene la coscienza del corpo. Bisogna
sforzarsi di andare al di là dei sensi, ritirando completamente l’energia da
essi fino a essere – per usare un’espressione moderna – quasi letteralmente
“fuori dal mondo”.
Non-avidità, in riferimento alla meditazione, significa non accettare e
non identificarsi con ciò che può limitare la propria consapevolezza.
Quando mediti, abbandona mentalmente ogni attaccamento a luoghi,
persone, cose. Non essere legato neppure alle autodefinizioni nelle quali da
tempo sei abituato a confinarti. Tu non sei americano o francese, artista o
uomo d’affari, uomo o donna, avaro o filantropo, giovane o vecchio. Tu sei
l’anima immortale. Perfino le tue virtù umane non sono che piccoli passi sul
sentiero verso l’infinita perfezione.
Per essere saldamente radicati in uno qualunque dei principi di yama è
necessario praticarli tutti, poiché sono interdipendenti. Ad esempio, il
perfetto distacco (l’ultimo di questi principi) implica anche un
atteggiamento di non-violenza, poiché il cercare di tenere stretta una cosa –
perfino qualcosa di così intangibile come un tratto psicologico – significa
sempre in qualche senso danneggiarla. Il nonattaccamento richiede anche
un atteggiamento di rigorosa onestà nei confronti di se stessi, ed è a sua
volta necessario per la perfetta sincerità. Il non-attaccamento a ciò che si
possiede sarebbe una beffa, se al tempo stesso si desiderasse ciò che non si
possiede, contravvenendo al principio del non-rubare. Infine, il vero non-
attaccamento sarebbe impossibile senza brahmacharya, il distacco mentale
dai sensi.
La perfetta non-violenza, a sua volta, richiede anche la sincerità, o il
completo riconoscimento delle realtà diverse dalla propria; richiede un
totale rispetto per i diritti degli altri, cioè del principio del non-rubare;
richiede un atteggiamento di non-sensualità, poiché la sensualità è
inevitabilmente una forma di appropriazione dalla vita (oltre a essere
dannosa per il corpo e il sistema nervoso); richiede infine un atteggiamento
di non-attaccamento (ma non di indifferenza!), poiché solo nel completo
riconoscimento che tutto, compreso il proprio corpo, appartiene a Dio, è
possibile porsi in armonia con l’universo e non continuare a suonare
egoisticamente il proprio flauto in modo disarmonico rispetto alla sinfonia
della creazione.
Allo stesso modo, perfetta sincerità significa un atteggiamento di non-
violenza, nel senso di non voler punire gli altri (cioè di non giudicarli) per
ciò che sono a causa della loro natura. Se vogliamo vedere ogni cosa in
modo veritiero e senza pregiudizi, dobbiamo inoltre sviluppare
l’atteggiamento del non-rubare, o non prendere dalla vita (in altre parole,
l’assenza di desideri). La non-sensualità, infine, ci dona l’equilibrio
mentale, senza il quale non possiamo essere completamente onesti nelle
nostre percezioni.
Il non-rubare può essere perfezionato con un atteggiamento di non-
violenza, rafforzato con la sincerità, focalizzato con la chiarezza della
profonda comprensione della non-sensualità e semplificato con un perfetto
non-attaccamento.
Non si può raggiungere l’eccellenza in uno di questi principi fino a
quando non si consegue la divina perfezione, poiché essi devono venir posti
costantemente in relazione con quello stato supremo. Nella ricerca di Dio i
principi di yama sono tutti, in ultima analisi, semplicemente degli sforzi per
modellarsi alla Sua immagine infinita.
Quando mediti, getta mentalmente ogni tua limitazione – di pensiero,
desiderio e volontà – in un fuoco divino, per scioglierla e purificarla nella
saggezza e nell’amore cosmici. Afferma mentalmente: «Getto i miei
pensieri, i miei desideri e il mio karma passato nelle Tue fiamme d’amore.
Risanami! Purificami! Fammi uno con Te!».
Potrà esserti d’aiuto anche creare un piccolo falò e gettarvi dei legnetti o
dei chicchi di riso, sentendo che stai liberando il tuo cuore da alcune
imperfezioni dell’ego.
Prega Dio con amore: «Io sono Tuo; sii Tu mio!».

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Niyama

Niyama significa non-controllo. Si riferisce a ciò che si deve osservare o


compiere sul sentiero dello yoga. Le regole elencate sono cinque:

1) Purezza
2) Contentezza
3) Tapasya, o austerità
4) Swadhyaya, o studio del sé
5) Devozione al Signore supremo.

Come le regole di yama, anche quelle di niyama devono essere comprese


in un senso sottile, oltre che nel modo più ovvio.

1) Purezza non significa solo pulizia fisica, ma anche un cuore


purificato dagli attaccamenti e dalle vane preoccupazioni di una mente
mondana.
La purezza del corpo è importante per lo yogi. Senza pulizia fisica, la
padronanza di sé non può veramente avere inizio. La persona fisicamente
impura è costretta a essere consapevole del proprio corpo e non può
innalzarsi verso percezioni più elevate. Il corpo è sporco non solo quando il
sudiciume e altre materie estranee lo ricoprono esternamente, ma anche
quando vi si introducono cibi non naturali, che rendono impossibile
eliminare in modo adeguato i prodotti di scarto.
Il cuore umano è impuro quando brama ciò che è estraneo alla sua
natura. La sporcizia non è tale quando è all’aperto, sul terreno; in quel caso,
la si definisce più propriamente come terra. È quando troviamo della terra
dentro casa che la consideriamo sporcizia. Desiderare ardentemente le cose
di questo mondo è un segno di impurità interiore non tanto perché le cose di
questo mondo siano di per sé impure (ciò che è stato creato da Dio potrebbe
mai essere considerato empio?), ma perché il vero e naturale regno
dell’anima è quello spirituale. «Padre» disse Sant’Agostino «ci hai creati
per Te Stesso, e i nostri cuori saranno inquieti finché non troveranno riposo
in Te». È nella natura dell’anima trovare appagamento in se stessa, nella
comunione con la Realtà suprema.
La purezza, esteriore e interiore, fisica e mentale, è un passo necessario
verso la libertà dagli imperativi fisici. Patanjali afferma che dalla perfetta
purezza nascono la coscienza della libertà dal corpo e il disinteresse per i
suoi piaceri. Analogamente, chi ha raggiunto questo stato non è più incline
a cercare il piacere fisico negli altri, né ad avere rapporti con loro sul piano
fisico; il suo amore diventa altruistico e spirituale. Quando il nostro cuore è
liberato dalle impurità interiori, possiamo sollevare il velo della materia e
scoprire in tutta l’umanità l’essenza spirituale del nostro Sé. Quando la
polvere del desiderio egoistico è stata rimossa dalle stanze della nostra
coscienza interiore, siamo in grado di riconoscere che quanto abbiamo
desiderato in questo mondo fisico, nella sua essenza non era altro che
Spirito.
Il termine sanscrito da cui (come la maggior parte degli autori) ho tratto
il significato di “disinteresse” (per il proprio corpo e per il contatto con i
corpi degli altri) significa anche “protezione”. La protezione nei confronti
del corpo, come pure la protezione del corpo dal contatto con gli altri, è più
una pratica che il risultato di una virtù (il riferimento di Patanjali era infatti
ai frutti della purezza), ma è comunque un valido e importante aspetto di
questo argomento. Le vibrazioni della coscienza di ogni persona sono in un
certo senso uniche; se frequentiamo gli altri in modo indiscriminato, anche
senza desiderare nulla da loro, avverrà comunque uno scambio di
vibrazioni, che potrà diluire la nostra corrente vitale individuale. Le
vibrazioni degli altri, anche se di per sé non sono necessariamente negative,
possono disturbare in modo sottile le nostre vibrazioni, la nostra particolare
linea di sviluppo interiore. Frequentare poche persone, cercando inoltre di
limitarsi alla compagnia di quelle spirituali, può essere una pratica preziosa
per il progresso interiore. Spesso gli yogi preferiscono la completa
solitudine durante certi stadi particolarmente sensibili del loro sviluppo
spirituale. (Posso offrire una testimonianza personale su questo punto: c’è
un luogo nei boschi dove mi reco quando voglio sfuggire alle continue
richieste che mi vengono rivolte. Resto sempre colpito dalla libertà interiore
che provo, e che non proviene solo dall’aver evitato quelle richieste, ma dal
trovarmi in un luogo in cui non vi sono vibrazioni umane all’infuori delle
mie. È come se innumerevoli corde psichiche si allentassero, lasciandomi
interiormente libero di volare.) Ci sono yogi che non indossano mai abiti di
altri, che mangiano solo nei propri piatti, dormono nelle proprie lenzuola e
si siedono solo dopo aver posto sotto di sé un pezzo di stoffa. Un’usanza
assai diffusa basata sullo stesso principio è il namaskar, il saluto a mani
giunte che significa «la mia anima s’inchina alla tua» e che è la comune
versione indiana dell’occidentale stretta di mano.
Le persone mondane sostengono che dovremmo vivere in mezzo a loro
ed essere il più possibile come loro, cercando Dio (se proprio dobbiamo
farlo) nel frastuono e nella confusione degli spazi cittadini. È vero,
ovviamente, che Dio è ovunque e che quindi possiamo trovarlo in qualsiasi
luogo. Tuttavia, per trovarLo, a prescindere da dove Lo cerchiamo, è
importante che estirpiamo dal nostro cuore tutto ciò che è estraneo alla
nostra natura spirituale. Se possiamo recarci in un posto tranquillo, con
minori distrazioni, il nostro progresso sarà più rapido. La crescita spirituale
non dipende tanto dall’imparare ad affrontare il mondo, quanto
dall’imparare a non dipendere dal mondo. Sebbene sia vero che gli ostacoli
possono aiutarci a risvegliare quell’energica determinazione senza la quale
la vera crescita è impossibile, tuttavia ne esistono già a sufficienza per
aggiungerne degli altri. Chiunque corteggi il mondo con il pretesto di
aumentare la propria forza spirituale, sta probabilmente cercando una scusa
per indulgere nelle proprie inclinazioni mondane, non certo in quelle
spirituali.
La purezza a tutti i livelli aiuta a liberare la mente, così da farla librare
nei cieli infiniti. Nella meditazione, avvicinati a Dio con un cuore puro,
offrendoGli ogni tuo desiderio. Anche nella pratica dell’Hatha Yoga la
purezza deve essere considerata un principio supremo. Si può dire che essa
sia la vera e propria essenza della pratica dell’Hatha Yoga, che comporta la
rimozione di tossine e altre impurità fisiche, di tensioni e blocchi nel flusso
di energia del corpo. L’Hatha Yoga, piuttosto che ad aumentare l’energia, si
dedica prevalentemente a rimuovere le impurità, che ci impediscono di
avere quella perfetta forza e quel radioso benessere che sono nostri per
diritto di nascita spirituale.
2) La contentezza viene spesso definita dagli yogi come la virtù
suprema. Chi è capace di opporsi con deliberata contentezza alla tendenza
del cuore a cercare la soddisfazione al di fuori di sé, prova un’incessante
gioia interiore.
Ogni soddisfazione terrena è possibile solo grazie a un senso di gioiosità
nel cuore. Senza gioia interiore, l’appagamento esteriore è impossibile. Se,
invece, possediamo la gioia interiore e sappiamo che la vera fonte della
gioia si trova in noi, possiamo godere di ogni cosa in modo innocente, come
un riflesso di quella coscienza interiore. Purezza e pulizia significano libertà
da ogni bisogno, quando capiamo che siamo già ogni cosa. Questa
comprensione porta all’anima una gioia suprema, poiché essa sa di essere
gioia.
Tuttavia, non possiamo trovare la gioia semplicemente aspettando che
arrivi, come se, al pari degli appagamenti esteriori, fosse nascosta oltre
l’orizzonte, nel futuro. La gioia esiste sempre NEL PRESENTE. Gli stati
divini giungono in un modo particolare (come disse Gesù): «come un ladro
nella notte». Non dovremmo pregare dicendo: «Signore, perché non mi dai
la Tua gioia?». Dovremmo piuttosto pregare con gioia, e scopriremo allora
che nell’atto stesso di esprimere la gioia abbiamo aperto i nostri canali alla
Gioia Divina.
Non limitarti dunque a negare di essere attaccato a questa cosa o a quella
persona. Afferma sempre positivamente, nel tuo cuore: «Qualunque cosa
giunga, ben venga; io sono sempre contento nel profondo del mio cuore».
Questa pratica, dice Patanjali, conduce infine alla realizzazione della
Beatitudine Divina in ogni atomo della creazione, persino al di là della
creazione.
Nel praticare le posizioni yoga, cerca sempre di mantenere un senso di
quieto piacere. Sentiti come se stessi sorridendo durante la pratica. Impara a
riconoscere il ritmo e le capacità del tuo corpo e conducilo gentilmente sul
sentiero della perfezione. La cultura occidentale non è portata a pensare che
si possa essere coscienziosi nello svolgere i propri doveri, verso se stessi o
il mondo, e al tempo stesso rimanere interiormente felici. La fronte
aggrottata, le labbra contratte: questo, per la mente mondana, è il prezzo da
pagare per perseguire obiettivi seri nella vita. In realtà, si può realizzare
molto di più se si trae piacere dal proprio lavoro. Si può anche progredire
molto più rapidamente nello yoga se si tiene a mente l’insegnamento dei
grandi yogi, che la contentezza è la virtù suprema.
3) Tapasya, o austerità, non è un termine popolare in Occidente. Per un
occidentale, una vita felice è una vita piena di cosiddette “cose belle”:
televisione, vestiti eleganti, cibi prelibati, l’ultimo modello di automobile.
Tutto questo, però, come abbiamo già detto, ci deruba della nostra
contentezza. Quante più distrazioni abbiamo, tanto più ci sentiamo vuoti nel
cuore. È necessario estirpare – anzi, spingere fuori – dalla nostra vita le
distrazioni che fanno capolino ammiccanti da ogni cartellone pubblicitario,
e dagli occhi inquieti di coloro che sperano ancora di trovare il loro
appagamento nelle cose materiali.
È necessaria una certa dose di severità se si vuole contenere questa
corrente che ci trascina all’esterno. Al dilettante sembrerà sempre che
l’artista creativo, silenziosamente concentrato sul proprio lavoro, si stia
perdendo metà del divertimento della vita. Ma l’artista sa che, se non riesce
a canalizzare le sue energie e finché non sarà in grado di farlo, non potrà
creare opere di imperitura bellezza.
Patanjali afferma che ridirigendo in questo modo le energie – dalla
materia esteriore al sé interiore – si sviluppano alcuni poteri sottili, o siddhi
yogiche, che sono latenti nell’uomo. Gli yogi sostengono che quando questi
poteri, non più inutilmente riversati nelle sabbie della materia, vengono
raccolti e convogliati con concentrazione da una coscienza che ha il pieno
controllo di sé, non esiste quasi impresa che non possa essere compiuta. Si
dice che i grandi yogi possano creare e distruggere galassie. Di certo,
l’appagamento che si trova nel Sé è di gran lunga superiore a quello che può
trovare la mente che si immagina libera e disprezza l’autocontrollo, mentre
in realtà corre indisciplinata nei “labirinti” dell’intemperanza.
Ogni atto dello yogi dovrebbe essere deliberato. Egli dovrebbe sedersi
con la consapevolezza di mettere il proprio corpo in una posizione di
riposo, piuttosto che accasciarsi su una sedia; dovrebbe muoversi, parlare,
sorridere e mangiare sempre con la sensazione di essere maestro di se
stesso, e mai sentendo che il corpo lo sta trascinando via come un’auto cui
improvvisamente si rompano i freni giù per una collina.
Quando ti siedi a meditare, disciplina la tua mente affinché impari a
comportarsi bene. Non lasciare che ti trascini via semplicemente perché lo
desidera, perché è abituata a farlo. Fa’ che i primi minuti della meditazione
siano sinceri e profondi tanto quanto gli ultimi.
Nell’Hatha Yoga bisognerebbe essere molto consapevoli, e al tempo
stesso armoniosi, in ogni movimento, anche se si tratta solamente di
muovere un dito. L’austerità, lungi dall’implicare un atteggiamento arcigno
e severo, accompagna in verità una sensazione di perfetto appagamento
interiore.
4) Swadhyaya viene di solito tradotto semplicemente come “studio”
(solitamente delle Scritture). Tuttavia, swa significa “sé”. La traduzione
corretta è quindi “studio del sé”. Il vero studio dell’uomo non è nei libri o
nell’accumulo di informazioni intellettuali: è la suprema avventura della
scoperta di sé. In ogni caso, studio del sé significa molto più dell’autoanalisi
o dell’esplorazione delle proprie motivazioni nascoste; significa anche, in
un senso più profondo, autoconsapevolezza.
È stato detto che la differenza tra i veri studi yogici e gli studi che
vengono incoraggiati nelle scuole è che a scuola si cerca di acquisire
erudizione, mentre nello yoga si cerca di perderla. Lo studio del sé, in senso
yogico, significa estirpare dal proprio cuore quelle illusioni e quei falsi
attaccamenti che ci impediscono di comprendere chi e che cosa siamo in
realtà: lo Spirito Infinito.
Lo studio del sé ha inizio con l’attenta osservazione dei propri pensieri,
sentimenti e motivazioni. Via via che si progredisce in questa pratica, si
scopre quella realtà centrale del proprio essere che è al di là del pensiero,
della forma e della sostanza, che non può essere osservata e analizzata, e
che non può mai essere neppure veramente definita, sebbene venga talvolta
descritta con la sua qualità essenziale: LA GIOIA.
Patanjali afferma che quando si raggiunge la perfezione nella pratica di
swadhyaya, si conquista il potere di entrare in comunione con gli esseri che
abitano le sfere più alte dell’esistenza, e di ricevere il loro aiuto.
I programmi radiofonici e televisivi ci circondano nell’atmosfera, ma
non possiamo goderne finché non sintonizziamo la radio o il televisore con
quelle frequenze. Allo stesso modo, gli esseri superiori esistono, così come
esistono livelli di coscienza più elevati. L’uomo materialistico, tuttavia,
essendo incapace di sintonizzare la sua mente con la sensibilità necessaria
per percepirli, può a malapena immaginarne l’esistenza. Con lo studio del
sé e la conseguente scoperta di profondi stati di coscienza nel proprio
intimo, si raggiungono quei livelli di frequenza in cui è possibile entrare in
comunione con grandi anime. Se si vuole essere aiutati da loro, è necessario
rendersi recipienti adatti per ricevere quell’aiuto.
Bisogna inoltre comprendere che lo scopo più profondo delle posizioni
yoga non è semplicemente ottenere un corpo sano, ma preparare il corpo
come si farebbe con un tempio per la comunione con il Signore Infinito e
con quegli esseri supremi che vivono eternamente nella Sua luce.
5) La devozione al Signore Supremo, la quinta e ultima delle regole di
niyama, può far sorgere la domanda: «Se lo yoga non si basa su credenze
ma solo su pratiche, perché parlare di Dio?». Tuttavia, nessuno può
progredire spiritualmente senza il pensiero che ci debba essere qualcosa di
più elevato della sua coscienza attuale. Se un bambino si ostinasse a non
voler imparare nulla da chi è più adulto di lui, potrebbe rimanere
nell’ignoranza per sempre. Se l’uomo respingesse ogni tradizione, dovrebbe
reinventare tutto ciò che gli serve, perfino la ruota. Se dunque lo yogi, nel
protendersi verso realtà superiori, sceglie di chiamare quelle realtà Dio,
quale obiezione gli si può muovere? L’uomo non potrà mai capire con la
sua piccola mente qualcosa di tanto lontano dalla sua comprensione, come
uno stato di perfezione assoluta; ma che si consacri a questo ideale è bene e
giusto. Senza tale devozione, egli ristagnerebbe nella palude delle
limitazioni egoiche.
Il mio grande guru, Paramhansa Yogananda, disse una volta: «Quando
troverai Dio, saprai che Egli non è uno stato mentale astratto, ma un Essere
cosciente cui ci si può rivolgere». Quelle grandi anime che sono entrate in
comunione con l’Infinito hanno reso testimonianza, ognuna nel proprio
linguaggio, della realtà dello Spirito Infinito. Sebbene abbiano descritto Dio
come il Sé dell’uomo, hanno anche affermato che questo vero Sé è
immensamente più grande del piccolo corpo e della personalità cui
attualmente ci limitiamo, proprio come la coscienza, espressa nei miliardi di
creature di questo mondo, non può essere limitata alle loro piccole menti.
Parlare dell’Infinito come del nostro stesso Sé, benché in essenza sia così,
potrebbe significare ridurlo al nostro attuale livello di autoconsapevolezza
egoica, piuttosto che espandere questa coscienza fino ai più estremi limiti
della realizzazione del Sé. Gli yogi affermano, quindi, che è bene parlare di
Dio come se fosse separato da noi, anche se in realtà non lo è (poiché, come
ha detto Gesù, «Il regno di Dio è dentro di voi»).*
La devozione all’Essere Supremo è essenziale per il progresso spirituale.
Senza devozione, non si può avanzare sul sentiero che porta a Dio più di
quanto non si possa procedere su una strada accidentata di questo mondo
senza il desiderio di raggiungere la meta del proprio viaggio. La vera
devozione non è schiavitù. È solo uno sforzo del cuore per elevarsi in quella
coscienza in cui il Divino Amore può essere sentito e conosciuto. Così
come con lo studio del sé (swadhyaya) ci si sintonizza con i raggi di luce in
cui si muovono gli esseri superiori e si è in grado di comunicare con loro, lo
stesso accade con la pratica della devozione: Patanjali afferma che per
mezzo dell’amore supremo si entra in quel raggio di amore divino in cui
dimora eternamente la Coscienza Infinita. Senza quell’amore, non è
possibile ricevere i delicati messaggi che emanano dal cuore dell’Infinito
Silenzio. È per questo che Gesù ha detto: «Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio».
Anche le posizioni yoga dovrebbero essere praticate con un sentimento
di devozione, se si vuole trarne i massimi benefici. Non sono state create da
allenatori di calcio o insegnanti di ginnastica, ma da grandi saggi che hanno
riconosciuto in certe posizioni l’espressione esteriore dei moti interiori
dell’anima.

Posizioni yoga

Nessun telescopio ha mai svelato un angolo di paradiso nel quale gli


angeli volino beatamente, intenti nelle loro occupazioni quotidiane, né
alcuna sonda ha mai fatto affiorare dalle profondità della terra, insieme al
petrolio, diavoli dallo sguardo malizioso. Il paradiso non è veramente al di
sopra di noi né l’inferno si trova al di sotto, poiché dal punto di vista
cosmico non esiste alcun sopra o sotto; ciò che per noi è sopra, è sotto per
chi vive in Australia, e viceversa.
Gesù Cristo ha detto che il regno di Dio è dentro di noi. Anche il
paradiso è dentro di noi. In questo senso gli insegnamenti delle Scritture
possono essere messi alla prova e dimostrarsi veri. Secondo gli
insegnamenti dello yoga, l’uomo deve elevare l’energia nel corpo attraverso
la spina dorsale fino al cervello, se vuole conoscere la realizzazione che di
solito ricerca, ahimè, in un milione di direzioni sbagliate. Si parla dello
Spirito come di Uno senza un secondo. Quando lo Spirito ha manifestato
tutte le cose, non ha creato questo universo a partire dal nulla. Tutto ciò che
è, è sempre esistito, ma come Spirito, non come materia o energia. Lo
Spirito ha manifestato questo universo a partire dalla Propria coscienza. Lo
ha fatto suddividendo quella coscienza unica in polarità opposte: positivo e
negativo, caldo e freddo, piacere e dolore, e così via. Raffigurati, se vuoi, un
tiro alla fune nel quale le forze dei due gruppi che tirano l’uno contro l’altro
si equivalgono perfettamente. Stanno spendendo una quantità incredibile di
energia ed è possibile che sentano proprio di star lavorando al limite delle
loro forze, ma in verità non avviene alcun movimento complessivo. Allo
stesso modo, l’espansione della coscienza in direzioni opposte da uno stato
di quiete al centro, e la tensione che viene impiegata in un tale
“allungamento”, spiega in senso figurato la natura della creazione.
Più è lunga la fune e più numerose sono le persone che la tirano,
maggiore è la tensione, anche se non c’è nessun movimento effettivo
visibile. Allo stesso modo, maggiore è la polarità dallo stato di unicità nello
Spirito, maggiore è la tensione. Tutto il progresso spirituale può essere visto
come un graduale ritorno da questa tensione di polarità, da questo
protendersi all’esterno verso la manifestazione fisica: come un’immersione
finale per riposare nello Spirito assoluto. Nell’egocentrico e nella persona
mondana la tensione è maggiore, perché l’allontanamento da questa realtà
centrale è maggiore.
In tutte le cose si può osservare all’opera questo principio cosmico di
dualità, o dwaita: nel caldo e nel freddo, nell’amore e nell’odio, nella gioia
e nel dispiacere, nel maschile e nel femminile, nel piacere e nel dolore, nel
positivo e nel negativo. In ogni cosa creata è implicita la sua polarità
opposta. L’attrazione tra gli opposti non è mai così forte come quando si
compie un grande sforzo per andare solo in una delle due direzioni, proprio
come, quando si tira più forte un elastico, esso si allunga di più. Così come
è più probabile che un uomo esageratamente mascolino sia più attratto dalle
donne rispetto all’uomo che sente meno la necessità di dedicare tutto il suo
tempo a giocare il ruolo maschile, allo stesso modo colui che cerca
intensamente la realizzazione nei piaceri fisici è attratto in maniera
irresistibile dai dolori fisici. La persona che cerca di superare il cattivo
umore attraverso mezzi esterni, come le feste, i film e le risate a voce alta,
non fa altro che soccombere ancor più a ripetuti attacchi di depressione.
In tutta la vita c’è una spinta, percepita in modo conscio o inconscio,
verso quell’Unità che è il nostro stato vero e naturale. Questa Unità può
essere trovata non spingendosi esageratamente fino a un estremo per
lasciarsi finalmente alle spalle l’estremo opposto (il dolore, per esempio, in
contrapposizione al piacere), ma piuttosto tornando al punto centrale dentro
noi stessi, alla linea dell’orizzonte che si colloca per sempre tra tutti gli
opposti, nello stato di quiete tra le oscillazioni di un pendolo.
La scienza moderna, in particolar modo la scienza della psicologia,
sostiene che l’autointegrazione può essere trovata soltanto esprimendo la
propria natura inferiore. Nella sua natura inferiore, l’uomo vive in uno stato
di tensione che deriva dall’identificazione con questo mondo di dualità. È
nella sua natura più elevata che può trovare la realizzazione. Questa natura
più elevata non implica uno stato di tensione, in cui l’attrazione verso una
cosa deve necessariamente portare all’esperienza del suo opposto. L’energia
che sale nella spina dorsale, portando benedizione interiore, indica l’unica
direzione in cui l’uomo può andare per fuggire realmente dallo stato di tiro
alla fune delle polarità. La risoluzione degli opposti è già avvenuta in larga
misura prima che un tale movimento verso l’alto sia possibile. È come se
due funi tenessero una mongolfiera legata a terra da due lati opposti.
Quando le funi vengono tagliate, la mongolfiera può sollevarsi alla sua
altezza naturale. Nel caso dell’uomo, questa altezza è il “Vuoto Eterno”
dello Spirito, nel quale non esiste alcuna forma o limitazione, ma solo
coscienza.
A sinistra e a destra della spina dorsale ci sono due ..canali nervosi,
conosciuti in sanscrito come i a e pingala. Lo stesso nome hatha si riferisce
al movimento dell’energia in questi due canali. Ha è il movimento verso
l’alto dell’energia sul lato sinistro della spina dorsale; viene identificato con
l’energia solare. Tha si riferisce al movimento di discesa di energia sul lato
destro della spina dorsale; esso è collegato all’energia negativa, o lunare.
Poiché l’energia sale su e giù lungo questi due canali, l’uomo viene
mantenuto in uno stato di dualità. Il movimento verso l’alto sul lato sinistro
è associato con la salute, il coraggio, il buon umore, la risata. È anche
messo in relazione con la fase inspiratoria del respiro e infatti negli
insegnamenti dello yoga si afferma che esso causa l’inspirazione. Il
movimento discendente nel lato destro è associato con lo scoraggiamento,
la malattia, la morte. Si dice che è la causa dell’espirazione. Quando il
movimento ascendente è forte, anche l’inspirazione è vigorosa; quando il
movimento discendente è forte, anche l’espirazione lo è. Quando in una
persona malata la febbre sale, per esempio fino a quaranta gradi, osserva
come l’espirazione diventa visibilmente più forte dell’inspirazione.
Osserva, ancora, come una persona infelice sospira, mentre una persona
gioiosa inspira profondamente come se stesse attirando dentro di sé le
meraviglie dell’universo.
Questi su e giù sono il modo in cui va il mondo. Tuttavia lo yogi,
seguendo a ritroso le sue orme mentali da ogni effetto alla sua causa (il che
vuol dire, in questo caso, concentrandosi sulle correnti nella spina dorsale
piuttosto che sulle identificazioni esteriori che esse producono nella sua
mente, e controllando ed equilibrando deliberatamente questo flusso di
energia spinale), impara un po’ alla volta a riportare queste polarità opposte
a uno stato di quiete nel centro della spina dorsale. Questo è un
insegnamento profondo dello yoga, troppo profondo per questa lezione, ma
per ora possiamo dire che quando queste correnti superficiali sono state
neutralizzate, l’energia viene resa libera di salire verso il cervello. Quando
ciò avviene, la coscienza dell’anima ripercorre gradualmente il cammino
dalla materia solida attraverso stati di consapevolezza progressivamente più
sottili, fino a quando l’essere umano diventa veramente divino.
Nelle posizioni yoga è sempre importante equilibrare ogni movimento
con il suo opposto. Quando ti pieghi a sinistra, piegati anche a destra.
Quando ti pieghi in avanti, piegati anche all’indietro. Cerca, attraverso
questi movimenti equilibrati, di centrarti gradualmente nella spina dorsale.
Poi cerca di elevare la tua coscienza verso il cervello.
Sii aggraziato mentre entri ed esci da ogni posizione. Quanto più riesci a
essere rilassato e aggraziato, tanto più esprimerai l’armonia interiore che
sorge quando non si combatte più contro l’uno o l’altro estremo della
coscienza. Di nuovo, cerca di praticare le posture con la consapevolezza di
sollevare l’energia verso il cervello. Mantieni le mani rivolte verso l’alto
quando entri in una posizione; osserva la differenza di sensazione,
l’elevazione interiore che questo movimento conferisce all’energia. Fai tutte
le posizioni sentendo che le stai usando quasi come brezze gentili per
sospingere il tuo stato d’animo verso l’alto.

ARDHA DHANURASANA
(la mezza posizione dell’Arco)

«Richiamo le mie energie sparse per ricaricare la spina dorsale»OPPURE


«Tutte le onde delle prove possono solo sollevarmi verso nuove altezze».

Sdràiati in posizione prona, appoggiando la fronte sull’avambraccio


sinistro, piegato a 90º e tenuto a terra davanti al corpo.
Con la mano destra afferra la caviglia sinistra, facendo attenzione a non
sollevare l’anca sinistra ma a mantenere tutto il bacino a terra. Premi il pube
a terra e contrai le natiche durante tutta la posizione. Inspirando, solleva
completamente le spalle e la gamba sinistra da terra. Cerca di non
accentuare la torsione. Afferma mentalmente: «Richiamo le mie energie
sparse per ricaricare la spina dorsale». Oppure visualizzati mentre galleggi
allegramente tra le onde di tutte le difficoltà e afferma mentalmente: «Tutte
le onde delle prove possono solo sollevarmi verso nuove altezze». Mantieni
la posizione da 15 a 30 secondi. Riposa. Poi ripeti con l’altro braccio e
l’altra gamba. Se ne senti il bisogno, entra in Balasana come contro-
posizione.
Benefici: questa posizione è più facile di quella completa dell’Arco.
Aiuta anche a dare una leggera torsione alla spina dorsale, creando così un
aggiustamento che non si verifica con la posizione completa dell’Arco.
Precauzioni e Controindicazioni: le stesse di Dhanurasana (pagina
103).

NAVASANA
(la posizione della Barca)

«In ogni mio respiro c’è infinito potere».

Siediti con le gambe distese, piega entrambe le ginocchia e fai scivolare i


piedi verso i glutei. Intreccia le mani dietro alle cosce. Mantieni entrambe le
natiche a terra.
Inspira e allunga la spina dorsale ed espirando solleva le gambe
raddrizzandole. Contemporaneamente, porta indietro il tronco, mantenendo
la colonna allungata e la cima della testa alla stessa altezza delle dita dei
piedi. Il tuo corpo formerà una “V”.
Quando avrai trovato l’equilibrio e un respiro regolare, togli il sostegno
delle mani e allunga le braccia mantenendole vicine alle ginocchia, con i
palmi verso l’interno.
Respira dolcemente e naturalmente, focalizzandoti sull’energia che ti
permette di mantenere la posizione (specialmente l’energia nella spina
dorsale) e non sullo sforzo muscolare. Mentalmente afferma: «In ogni mio
respiro c’è infinito potere».
Mantieni la posizione da 10 a 15 secondi per iniziare, aumentando
gradualmente il tempo fino a qualsiasi durata sia confortevole per te. (È
improbabile che si esageri in questa posizione, dato che non è molto
comoda!)

Benefici: Navasana è eccellente per sviluppare il senso dell’equilibrio e


per tonificare la muscolatura addominale e delle cosce.

Precauzioni
• Coloro che soffrono di problemi cardiovascolari dovrebbero eseguire la
posizione con una gamba alla volta e solo brevemente, evitando sforzi e
mantenendo il flusso naturale del respiro.
• Certe lesioni spinali possono rendere controindicata la posizione.

KARNAPIRASANA
(La Chiusura delle orecchie)

«La barca della mia vita galleggia dolcemente sul mare della pace».

Entra in Halasana, la posizione dell’Aratro (insegnata nella seconda


lezione).
Porta lentamente le ginocchia al pavimento, chiudendo le orecchie.
Distendi le braccia dietro la testa come in Halasana.
Durante la posizione, respira in modo naturale e afferma mentalmente:
«La barca della mia vita galleggia dolcemente sul mare della pace».
Mantieni la posizione quanto a lungo desideri, ma all’inizio non superare
un minuto. Esci come in Halasana.
Benefici: questa posizione, una volta che sei in grado di assumerla in
maniera confortevole, è sorprendentemente riposante per il cervello, così
come per il corpo. È una postura eccellente per uomini d’affari affaticati
dopo una dura giornata di lavoro in ufficio!

Precauzioni e Controindicazioni: le stesse di Halasana (seconda


lezione).

CHAKRASANA
(la posizione della Ruota)

«Sono sveglio! Energico! Entusiasta!».

Per assumere la posizione della Ruota, sdraiati sulla schiena e porta i


piedi verso i glutei. Appoggia le mani a terra sotto o vicino alle spalle, con i
palmi rivolti in basso e le dita verso il corpo. Contrai le natiche e spingi il
pube in avanti.
Con completo controllo, inspira e premi piedi e mani a terra, sollevando
lentamente il corpo dal pavimento. Porta il collo in linea con il resto della
spina dorsale e le spalle lontano dalle orecchie. Mantieni attivi i muscoli
addominali e contrai i glutei. Non aprire le gambe e le braccia ai lati.
Respira in modo naturale. Più si riescono ad avvicinare la mani ai piedi, più
la posizione è perfetta.
Sii consapevole dell’energia nella spina dorsale, piuttosto che della
tensione del corpo. Senti che ti stai sollevando con determinazione fuori dal
lungo sonno dell’illusione, della pigrizia, dell’apatia. Afferma mentalmente:
«Sono sveglio! Energico! Entusiasta!».
All’inizio mantieni la posizione non più di 15 secondi, aumentando
gradualmente il tempo con la pratica fino a un minuto.
Per uscire dalla posizione inspira, poi espira e ritorna lentamente a terra,
con completo controllo. Ricorda: non uscire mai di colpo e senza controllo
da una posizione; abbi sempre la piena padronanza dei movimenti del tuo
corpo.
Riposa in Savasana, la posizione del Cadavere (lezione terza) e senti la
vitalità divina in tutto il corpo.

Il principiante potrebbe avere difficoltà ad assumere questa posizione.


Alcuni dei suoi benefici si possono ottenere semplicemente piegandosi
all’indietro sulla seduta di una sedia senza braccioli.

Benefici: anche se la posizione del corpo in questa postura è simile a


quella che si assume in Dhanurasana, ci sono alcune differenze marcate. Il
piegamento all’indietro nella posizione della Ruota coinvolge l’intera spina
dorsale e tutto il collo, anziché solo la parte inferiore della colonna. La
posizione rilassata del collo ne fa una postura eccellente da praticare dopo
la posizione dell’Aratro; il piegamento all’indietro del collo compensa ogni
disagio che possa derivare dal piegamento anteriore estremo della posizione
dell’Aratro.
Psicologicamente, la posizione della Ruota è meravigliosa per ricaricare
di energia il corpo e la mente. È una buona posizione da fare al mattino
appena svegli oppure ogni volta che ci si sente pigri durante il giorno.
Si dice che Chakrasana sia un antidoto all’obesità. Il generale effetto
rinvigorente di questa postura la rende uno degli asana più importanti.

Precauzioni
• Questa non è una posizione per principianti. Praticala solo se puoi farla
rimanendo sicuro e stabile. Il corpo deve essere ben riscaldato.
• Mantieni i glutei contratti e spingi il pube in avanti durante la posizione,
per proteggere la spina dorsale lombare; tieni le cosce parallele.
• In presenza di problemi agli occhi, alle orecchie e ai seni frontali, la
posizione può essere consigliabile, neutra o controindicata a seconda
delle condizioni.

Controindicazioni
• Se hai problemi cardiovascolari (compresa la pressione alta), dovresti
evitare la posizione.
• Evitala anche in caso di lesioni spinali o ernia inguinale.
• Non farla con il ciclo mestruale, in gravidanza o se hai partorito da pochi
mesi.

SIMHASANA
(la posizione del Leone)

«Purifico i miei pensieri, le mie parole, ogni mia azione».

Inginocchiati a terra, appoggiando i glutei sui talloni. Metti i palmi delle


mani sulle ginocchia con le dita il più possibile aperte. Inspira sollevando il
petto e apri completamente la bocca, portando la lingua il più possibile
verso l’esterno e verso il basso. Trattieni il respiro mentre apri bene gli
occhi, guardando verso il basso. Tendi tutto il corpo come se fossi un leone
che si protende in avanti verso la sua preda. La sensazione di balzare,
tuttavia, dovrebbe essere soltanto interiore, senza alcun pensiero di qualcosa
di esterno verso cui dirigersi.
Poi lascia che il respiro fluisca liberamente, mantenendo però la
sensazione di tensione e focalizzando l’energia nella gola.
All’inizio mantieni la posizione per un minuto, con la pratica anche più a
lungo, ma senza superare i 3 minuti.
Per uscire dalla posizione, espira e rilassati.

Benefici: l’intento è di sollevare tutta l’energia del corpo verso la gola. Il


movimento del petto verso l’alto, unito all’inspirazione, dovrebbe far salire
l’energia dalla parte inferiore del corpo fino alla gola; lo sguardo rivolto
verso il basso dovrebbe invece far scendere l’energia dal cervello alla gola.
Si tratta di una postura eccellente per superare o prevenire il mal di gola e il
raffreddore.
Alcuni autori affermano che mentre si assume la posizione bisognerebbe
espirare e roteare gli occhi in alto. Personalmente, sento che questo
consiglio è sbagliato. L’espirazione porta l’energia verso il basso, lontano
dalla gola; lo sguardo rivolto all’insù invia l’energia in alto, pure lontano
dalla gola. Lo scopo principale della posizione del Leone è invece quello di
apportare beneficio alla gola. Ogni movimento del corpo dovrebbe quindi
essere fatto tenendo presente questo scopo.
La posizione del Leone arreca benefici anche alle orecchie e agli occhi.

Precauzioni: in caso di problemi cardiovascolari (compresa la pressione


alta) o durante la gravidanza, fare la posizione lasciando fluire il respiro,
senza trattenerlo.
Respirazione

I movimenti fondamentali della respirazione nell’Hatha Yoga sono


denominati: purak (inspirazione), rechak (espirazione) e kumbhak
(ritenzione del respiro). In questo caso le implicazioni sono meno ovvie di
quanto potrebbe apparire a prima vista. Purak, o inspirazione, è associato al
movimento verso l’alto dell’energia nella spina dorsale e, di conseguenza, a
un’affermazione di vita, forza e gioia di vivere. Rechak, o espirazione, è
associato al movimento discendente dell’energia nella spina dorsale e,
pertanto, all’eliminazione della malattia e del dispiacere o a un’attitudine di
abbandono di sé. Quando si saluta in modo gioioso una giornata di sole, si
tende a inspirare, come se si stessero immettendo nei polmoni le meraviglie
della creazione. Quando si è malati o infelici, si sospira come se si stesse
buttando quel peso fuori dal corpo o dalla mente. Il potere crescente
dell’inspirazione o dell’espirazione è associato al rafforzamento delle
correnti spinali ascendente e discendente. L’equilibrio tra queste due
correnti sviluppa una condizione di calma mentale e una consapevolezza
interiore più profonda. Quando le due correnti sono perfettamente in
equilibrio, anche il movimento fisico del respiro cessa. Soltanto durante lo
stato di cessazione del respiro è possibile concentrare del tutto la propria
mente. Gli yogi avanzati sono in grado di rimanere nello stato di
sospensione del respiro per lunghi periodi di tempo. La pratica di kumbhak,
o ritenzione volontaria del respiro, viene eseguita per brevi periodi allo
scopo di concentrare la mente su un particolare pensiero o stato di
consapevolezza.
Lo yogi dovrebbe combinare la respirazione con il tentativo di espandere
la propria consapevolezza. Mentre inspiri, senti che stai dirigendo forza,
coraggio e gioia in alto nella spina dorsale, verso il cervello. Mentre
trattieni il respiro, afferma mentalmente lo stato positivo di consapevolezza
che stai cercando di sviluppare. Mentre espiri, senti che stai espellendo dal
corpo tutti gli stati avversi di debolezza, scoraggiamento e dispiacere. Se
hai un problema specifico, fisico o mentale, puoi utilizzare questa tecnica
per affermare lo stato opposto di benessere e per espellere dal tuo
organismo la condizione negativa.
Nella meditazione, tuttavia, è possibile impiegare l’espirazione anche in
abbinamento a una sensazione che non sia di disperazione negativa, ma di
positivo abbandono nelle braccia della Pace infinita.

Un esercizio di respirazione che ha lo scopo di aiutare a equilibrare e


armonizzare le due correnti nella spina dorsale (conosciute come pran e
apan) è la tecnica chiamata Chandra Bedha Pranayama (Respirazione
lunare). Chiudi la narice destra, inspirando attraverso quella sinistra e
contando mentalmente fino a 8; trattieni il respiro contando fino a 8; chiudi
la narice sinistra ed espira attraverso la destra contando fino a 8. Una
leggera contrazione della gola, in modo da produrre un suono lieve durante
la respirazione, ti aiuterà ad aumentare la consapevolezza del
corrispondente movimento dell’energia nella spina dorsale. Ripeti 6 volte.

La corretta posizione delle dita durante questo esercizio


di respirazione è con il pollice, l’anulare e il mignolo distesi,
mentre l’indice e il medio vengono richiusi contro il palmo.
Chiudi la narice destra con il pollice della mano destra, e la
sinistra con l’anulare e il mignolo.

Sequenze

Siedi sul pavimento a gambe incrociate. Calma il corpo interiormente ed


esternamente. Pratica Chandra Bedha Pranayama per 6 volte. Riposati. Poi
esegui Sitkari Pranayama. Inspira, per 3 volte, molto lentamente e in modo
profondo, con la Respirazione yogica completa. Poi siediti con calma,
concentrando la mente nel punto tra le sopracciglia, fino a quando ti senti
del tutto centrato in te stesso.
Portati in piedi e fai il doppio respiro per 3 volte. Poi esegui queste
posizioni:

Vrikasana (la posizione dell’Albero)


Trikonasana (la posizione del Triangolo)
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna)
Padahastasana (la posizione del Coltello a serramanico)
Il Piegamento all’indietro in piedi
Savasana (la posizione del Cadavere): un minuto
Navasana (la posizione della Barca): 15 secondi, seguita dalla posizione
del Cadavere per 30 secondi
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio)
oppure Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore),
Bhujangasana (la posizione del Cobra), seguito dalla posizione del
cadavere da 30 secondi a un minuto
Halasana (la posizione dell’Aratro), seguita da Karnapirasana (la
Chiusura delle orecchie), per un tempo complessivo di circa 2 minuti.
Concludi con la posizione del Cadavere
Chakrasana (la posizione della Ruota): 15 secondi, seguita da un riposo
di 30 secondi in Savasana
Concludi con Savasana (posizione del Cadavere), per circa 5 minuti.
Tempo complessivo: circa 40 minuti.

Guarigione
Problemi respiratori

I problemi respiratori sono tra i più seri ostacoli alla pratica dello yoga,
semplicemente perché la respirazione è una componente importante della
maggior parte delle tecniche yogiche. I raffreddori e i problemi ai seni
nasali sono particolarmente fastidiosi e si ripercuotono sul cervello stesso,
rendendo molto difficile concentrarsi e meditare.
Le posizioni che possono essere benefiche, a seconda dei casi, per i seni
nasali sono quelle capovolte (saranno affrontate nelle ultime lezioni), in
particolar modo la posizione sulla Testa.* Respirare in modo lento e
profondo dalle narici, sentendo, quando si inspira, che si sta dirigendo aria
fresca in alto verso il cervello può essere benefico per i seni nasali e anche
per il cervello quando risente di una congestione degli stessi.
Le sinusiti e i problemi da raffreddamento in genere possono essere
alleviati assumendo un cucchiaino da tè di borace sciolto in un bicchiere di
acqua tiepida. Prendi una quantità di questa soluzione sufficiente da
riempire una piccola “doccia nasale”, che si può comprare a buon prezzo in
qualsiasi farmacia. Reclina il capo e riempi entrambe le narici con questa
soluzione. Mantieni la posizione per circa un minuto. Poi chiudi le narici
con le dita e inclina la testa in avanti, fino al punto in cui si trova in
posizione più o meno capovolta. Mantieni questa seconda postura per circa
un minuto. Espelli la soluzione alternativamente da una narice e dall’altra.
Questo esercizio può essere eseguito tutti i giorni. In alternativa, si può
impiegare una soluzione salina, ma il mio guru mi ha consigliato il borace.
Un esercizio più difficile per la pulizia dei canali nasali è quello che
nell’Hatha Yoga è conosciuto come neti. Sconsiglio di praticare neti senza
una supervisione personale, in quanto c’è pericolo di danneggiare le
membrane delle mucose, che sono particolarmente sensibili. Si introduce un
cordoncino soffice in una delle due narici, facendo in modo che scenda
dietro il passaggio nasale, fino a farlo fuoriuscire dalla bocca. Sarà più
agevole farlo risalire se i primi centimetri del cordoncino saranno
leggermente induriti con la cera. Afferra l’estremità del cordoncino nella
bocca con il pollice e l’indice e tirala verso l’esterno. Poi afferra il
cordoncino con entrambe le mani e fallo scorrere su e giù molto
delicatamente per alcune volte. Ripeti con l’altra narice.
Qualsiasi posizione capovolta della testa, compresa la posizione della
Lepre e quella della Ruota, può essere benefica in alcuni casi per i seni
nasali. Anche la respirazione a narici alterne è benefica.
Una postura particolarmente indicata per il mal di gola è Simhasana (la
posizione del Leone). Anche quella dell’Aratro è benefica. Qualsiasi
allungamento del collo in avanti o all’indietro aiuterà a sciogliere le tensioni
in quell’area e ad aumentare il flusso dell’energia che è necessario per
superare sia il mal di gola sia il raffreddore.
Quest’ultimo principio si applica anche all’asma. L’allungamento in
avanti o all’indietro delle vertebre toraciche aiuterà a sciogliere la tensione,
che spesso è responsabile degli attacchi di asma in coloro che soffrono di
questa malattia.
Per l’asma, pratica le seguenti posture: Sirshasana (la posizione sulla
Testa), che sarà insegnata nell’undicesima lezione; Sarvangasana (la
posizione della Candela), undicesima lezione; Matsyasana (la posizione del
Pesce), decima lezione; Parvatasana (la Montagna), decima lezione;
Savasana (la posizione del Cadavere).
La respirazione completa e profonda è benefica per la maggior parte dei
disturbi respiratori, ma dovrebbe essere sempre lenta, mai forzata. Mentre
inspiri, senti che stai liberando tutti i condotti respiratori, espellendo la
congestione grazie al potere dell’energia e della gioia. Nella pleurite, la
respirazione profonda potrebbe essere sconsigliata a causa della frizione che
potrebbe determinare tra i polmoni e la pleura o la parete della cavità
polmonare. (Potrebbe essere interessante considerare se questa frizione
fisica non sia in qualche modo collegata ad alcune “frizioni” mentali o
emotive.)
Alcuni autori occidentali in materia di salute hanno affermato che le
infreddature sono il mezzo che ha la Natura per eliminare le tossine dal
corpo. Ciò, ovviamente, è vero, ma non concordo con il seguito del pensiero
espresso da questi autori, vale a dire che non si dovrebbe fare nulla per
un’infreddatura ma lasciare semplicemente che faccia il suo corso.
Qualsiasi problema, fisico o mentale, può essere considerato un mezzo per
eliminare alcune disarmonie dall’organismo, ma se si lascia passivamente
che il problema eserciti la sua volontà sul corpo, si finisce per essere
temporaneamente purificati ma in nessun caso più forti di prima. Se, invece,
si genera sufficiente energia nel corpo per superare un raffreddore, non si
stanno semplicemente sopprimendo dei sintomi: si stanno distruggendo le
tossine in maniera dinamica. Le malattie di qualsiasi genere sono il modo in
cui il corpo ci dice: «Mi hai sovraccaricato. Devo scrollarmi di dosso un po’
di tossine per funzionare in modo corretto». La mente, tuttavia, può
rafforzare il corpo in modo che elimini le tossine senza abbandonare il
proprio controllo. Così facendo, gli ostacoli possono essere impiegati per
sviluppare la forza interiore. Quando si aumenta la propria vitalità, si è
meno soggetti alle tossine esistenti e si è capaci di eliminarle in un modo
che non danneggia il corpo, come accade invece quando l’organismo si
arrende a esse; al tempo stesso, si distruggono anche le tossine, bruciandole
nel fuoco dell’energia.
Alcune persone trovano che il latte vaccino aumenti la quantità di muco.
Se per te è così, e se vuoi comunque bere latte, forse sarà preferibile il latte
di capra.
In presenza di qualsiasi tipo di infezione con formazione di muco, si
deve evitare di bere troppo latte, di assumere amidi e zuccheri in eccesso e
in generale di eccedere nel mangiare.
Ho scoperto che se riesco ad “afferrare” un raffreddore appena inizia e a
ordinargli consapevolmente, con la forza di volontà, di lasciare il mio
corpo, mentre al tempo stesso colmo tutto il corpo di energia, il raffreddore
di solito se ne va nel giro di qualche minuto.
Il freddo non è una causa delle infreddature, ma può aiutare i germi del
raffreddore a moltiplicarsi quando hanno già messo una testa di ponte nel
corpo. La prevenzione più importante per i raffreddori non è infagottarsi e
rimanere caldi, ma piuttosto energizzare il corpo con la volontà.
Per le infreddature e il mal di gola, pratica le seguenti posizioni:
Sirshasana (la posizione sulla Testa), che sarà insegnata nell’undicesima
lezione; Sarvangasana (la posizione della Candela), undicesima lezione;
Jivha Bandha (la Chiusura della lingua), tredicesima lezione; Simhasana (la
posizione del Leone).

Alimentazione
Il digiuno

Il digiuno è uno dei modi che ha la Natura di dare al corpo la possibilità


di superare la malattia e di ritornare a uno stato di normalità. Gli animali,
quando non stanno bene, spesso digiunano istintivamente. Non c’è
sufficiente spazio in questo contesto per trattare l’argomento per esteso,
tuttavia sarà utile ricordare che gli yogi consigliano il digiuno purché non lo
si porti agli estremi. Il digiuno è benefico non solo dal punto di vista fisico,
ma anche spirituale; aiuta a ribadire la propria libertà dai bisogni del corpo.
Digiuni prolungati, condotti sotto la supervisione di esperti, si sono spesso
rivelati efficaci per curare seri disturbi fisici, persino il cancro. Si
raccomanda allo studente di leggere libri su questo argomento, che si
possono trovare facilmente nelle librerie o nei negozi di alimentazione
naturale.
Ci sono diversi tipi di digiuno: totale e parziale. Il digiuno parziale
prevede l’assunzione di alimenti selezionati o perfino di un solo tipo di
cibo: per esempio, succo di carota o d’uva. Qualsiasi assunzione di cibo,
pur essendo benefica in certi casi per stimolare l’eliminazione delle tossine,
d’altro canto non dà al corpo il completo riposo concesso da un digiuno
totale. Anche i liquidi (a eccezione dell’acqua) sono pur sempre alimenti e
richiedono al corpo un certo lavoro per essere digeriti.
Gli yogi raccomandano di digiunare una volta alla settimana, in modo
totale o assumendo solo acqua. Suggeriscono anche di fare per tre giorni al
mese un digiuno assumendo soltanto succhi di frutta. Lo stomaco, come
altre parti del corpo, ha bisogno di periodi di riposo e di rigenerazione.
Mentre digiuni, cerca di attrarre energia nel corpo attraverso altri mezzi.
Inspira profondamente, riempiendo tutto il corpo di energia. Gli yogi
consigliano anche una strana tecnica che verrà illustrata dettagliatamente in
una lezione successiva. Essa è conosciuta come Kechari Mudra. Consiste
nel congiungere la punta della lingua con l’ugola (il lobo morbido e carnoso
che è appeso al palato molle nella parte posteriore della bocca) o con
determinati nervi presenti nel passaggio nasale dietro il palato molle.
Questa posizione attira energia nel cervello e nel corpo. Gli yogi affermano
che gli orsi durante il letargo mantengono la lingua in questa posizione e
perciò vivono senza cibo durante l’inverno. Congiungere la punta della
lingua con i nervi del passaggio nasale è più difficile; per ora, cerca
semplicemente di congiungere la punta della lingua con l’ugola. Ho
praticato questa mudra mentre digiunavo e ho scoperto che la fame
scompariva.
Prima di iniziare un digiuno, è consigliabile assumere un lassativo
leggero, allo scopo di eliminare dall’intestino le tossine che non saranno
espulse dal corpo attraverso una nuova assunzione di cibo. Durante i digiuni
prolungati, si raccomanda di assumere un lassativo ogni sera fino a quando
tutti i residui di cibo siano stati espulsi dall’intestino.
Il digiuno non è adatto a tutti. Alcuni corpi possono affrontarlo con
facilità, per altri è molto difficile. Gli yogi non ne esagerano l’importanza.
Lo yoga è un sentiero di moderazione in ogni cosa. Quando un discepolo
del guru di Yogananda, Sri Yukteswar, annunciava che stava per iniziare un
lungo digiuno, Sri Yukteswar commentava in tono scherzoso: «Perché non
gettare un osso al cane?».
Quando concludi un digiuno, assicurati di mangiare in modo leggero, sia
dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Non si dovrebbero assumere
inizialmente alimenti pesanti. Piuttosto, mangia frutta e bevi tisane di erbe.

Ricette

Per la prevenzione e la cura di influenze e


raffreddori
Fai bollire per 5 minuti 100 ml di acqua, 150 ml di latte, 50 ml di miele e
un cucchiaino di zenzero in polvere. Bevine mezzo litro al giorno, tiepido.

Halua
Questa ricetta non è propriamente la più indicata da includere in una
sezione sul digiuno, ma grazie alla sua ricchezza può fornire un gradito
sollievo dopo aver considerato la prospettiva un po’ sconfortante di privarsi
completamente del cibo!
Riscalda assieme 250 ml di acqua, 250 ml di latte, 200 g di zucchero
grezzo (o miele) e una manciata di uvetta. In una pentola separata sciogli
100 g di burro, poi soffriggi nel burro fuso una manciata di pinoli e 150 g di
farina di frumento. Mescola il composto per un po’ di tempo, fino a quando
i pinoli si saranno rosolati e la farina si sarà leggermente seccata. Aggiungi
un po’ alla volta il liquido della prima pentola e mescola fino a quando
diventerà denso. Versa il composto in una teglia quadrata da 20 cm,
precedentemente unta. Lascialo raffreddare, quindi taglialo. Questo halua
(ce ne sono numerosi tipi in India) è un dessert delizioso.

Meditazione
La supercoscienza
Una volta, molti anni fa, stavo guidando una meditazione in una chiesa
di Long Beach quando all’improvviso entrò un uomo. Era evidentemente il
tipo di persona che prova una profonda e ispirante compassione per
qualunque bevanda alcolica, al punto da non riuscire a vederla miseramente
confinata in una bottiglia, quando invece potrebbe essere liberata per
svolgere una più nobile funzione. In poche parole, il nostro visitatore era
magnificamente e beatamente ubriaco. Vedendoci meditare, doveva aver
pensato che, se non eravamo ubriachi quanto lui, evidentemente avevamo
raggiunto lo stesso suo stato con un’indegna scorciatoia. Si avvicinò quindi
barcollando a uno dei presenti e, con un bisbiglio da cospiratore che si udì
in tutta la sala, chiese: «Che succede? Stanno dormendo?».
Era evidente che secondo lui, dato che non ci muovevamo, non
potevamo essere svegli; l’unica alternativa possibile era che, con mezzi più
o meno leciti, fossimo sprofondati in uno stato di stordimento subconscio.
In quest’epoca di presunta illuminazione è triste notare che molte
persone – siano esse astemie o dedite all’alcol – ignorano completamente
che l’alternativa a uno stato di veglia irrequieta e spesso angosciosa non è
necessariamente l’oblio, e che il vero rilassamento si trova espandendo la
coscienza oltre i confini del pensiero. Questo stato è conosciuto come
supercoscienza.
Per le anime completamente illuminate è uno stato del tutto naturale.
Ricordo ciò che disse una volta il mio guru: «La notte scorsa ho voluto
sperimentare come ci si sente a entrare nel subconscio durante il sonno. È
stata una sensazione sgradevolissima. Mi sono sentito rinchiuso da ogni lato
fra spesse pareti di carne». Trovai interessante, tra le altre cose, che per lui
il sonno subconscio fosse un insolito “esperimento”.
Ciò che pochi hanno raggiunto in questo mondo può in realtà diventare
l’aspirazione di ognuno. Gli insegnamenti dei grandi maestri di ogni epoca
sottolineano che la supercoscienza è l’unico vero stato dell’essere, in
confronto al quale la normale coscienza esteriore è solo una sorta di lungo
sogno.
Specialmente nella meditazione, e per quanto possibile sempre, cerca di
pensare in modo supercosciente.
Fai attenzione, tuttavia, quando ti allontani dai sentieri familiari del
pensiero razionale, a non scivolare in uno stato di vaghezza pseudo-mistica,
in cui ogni fugace impressione viene vista come una rivelazione
proveniente dal cielo. Essere supercoscienti non significa abbandonare
completamente la ragione, bensì coordinare la facoltà razionale con i livelli
di consapevolezza superiori.
Le impressioni subconscie e gli impulsi istintuali sono localizzati nella
parte bassa del cervello. Qui, nel midollo allungato, si trova anche il centro
di ogni schiavitù umana: l’ego. (Il mio guru mi disse che è qui che
spermatozoo e ovulo si uniscono per dare avvio alla formazione del corpo
umano.) La consapevolezza intellettuale, estetica e spirituale è invece
centrata nella sezione frontale del cervello. L’ascesa dell’uomo alla
supercoscienza significa quindi, a livello fisiologico, ricondurre la
consapevolezza in questa sezione frontale, in particolare nella sede della
visione spirituale tra le sopracciglia. Mentre la coscienza della persona
mondana si irradia all’esterno a partire dal midollo allungato (osserva come
l’egocentrico tiene la testa all’indietro, quasi ad affermare il suo forte
interesse per questa particolare area della sua anatomia), la coscienza di un
maestro è focalizzata nel centro cristico (o ajna chakra) tra le sopracciglia,
e si espande da quel punto. In realtà, questi due centri di consapevolezza
sono uno solo: il midollo allungato è il polo negativo, il centro cristico
quello positivo. Tuttavia, fino al momento in cui il divino risveglio porta
con sé un armonioso flusso di energia dal midollo allungato al centro
cristico, questi poli opposti vengono trattati nello yoga come centri
spirituali separati.
Durante la meditazione, cerca di focalizzare la tua coscienza nel punto
tra le sopracciglia. Non sforzarti. (Alcuni principianti meditano come se il
cervello fosse un muscolo che deve essere spremuto con forza affinché
rilasci gli atteggiamenti desiderati!) Piuttosto, incanala semplicemente la
coscienza in quel punto, con un sentimento di calma e gioiosa aspirazione.
Si tratta di focalizzare sempre più l’energia cerebrale in quell’area:
maggiore sarà la quantità di energia concentrata, tanto più quella porzione
del cervello sarà stimolata e risvegliata, e tanto più profonda sarà dunque la
consapevolezza spirituale. Paramhansa Yogananda, quando era ancora un
giovane discepolo nell’ashram del suo guru, si impose di mantenere la
mente concentrata nel centro cristico durante tutta la giornata, in ogni
attività. Ci disse che questo è un modo per raggiungere velocemente il
divino risveglio. Tuttavia, dato che la parola energia può evocare immagini
di sforzo e tensione, ti suggerisco piuttosto di concentrare in questo punto
spirituale i tuoi pensieri e le tue aspirazioni.
Un importante veicolo per l’energia del cervello sono gli occhi. Osserva
lo sguardo di chi possiede una personalità forte e vibrante (molti occhi,
purtroppo, sono spiritualmente morti) e senti l’intensità di quel flusso di
energia. Gli occhi di certe persone sembrano mandare lampi di collera,
raggelarsi nel disprezzo, brillare di ilarità e sciogliersi nella gentilezza e
nell’amore. Questi stati mentali si manifestano così chiaramente solo
quando un’abbondante quantità di energia fluisce attraverso lo sguardo.
L’energia, comunque, non si limita a manifestare quegli stati, ma li afferma
e contribuisce quindi a svilupparli.
Assicurati dunque che i tuoi occhi esprimano solo qualità spirituali,
poiché è letteralmente vero che così come vedi il mondo, tenderai anche a
diventare.
Nel rivelare i diversi stati mentali, gli occhi indicano anche la porzione
del cervello in cui è centrata in quel momento la coscienza. In particolare,
quando la mente scivola nel subconscio e l’energia si concentra nella parte
inferiore del cervello, lo sguardo tende a essere rivolto verso il basso.
Quando siamo coinvolti nel mondo o attivi a livello cosciente, l’energia si
concentra maggiormente nella parte media del cervello e lo sguardo è
rivolto naturalmente in avanti. Quando si entra in uno stato di
supercoscienza, lo sguardo viene automaticamente attratto verso l’alto.
In una certa misura, è possibile osservare queste direzioni anche nel
normale stato di veglia. Quando una persona si ritira mentalmente dalla
realtà, per scoraggiamento o fatica, tende a guardare in basso. Se si ritira per
riflettere su qualcosa, guarderà in basso e lievemente di lato, come se
riconoscesse solo parzialmente il mondo oggettivo che la circonda. Se
desidera rapportarsi completamente al mondo, guarderà “dritto negli occhi”.
Se è ispirata da qualcosa di interiore, tenderà a guardare in alto; se invece
l’ispirazione proviene da qualcosa di esterno, guarderà diagonalmente verso
l’alto, come se fosse divisa tra la coscienza esteriore e la supercoscienza.
C’è molto da dire sui movimenti involontari degli occhi. Uno sguardo
irrequieto, ad esempio, con un continuo battito di ciglia, indica una mente
agitata; uno sguardo calmo, senza battito di ciglia, indica una mente
tranquilla; uno sguardo fisso indica una mente vuota (o, a volte, velata).
Occhi che sembrano sottoposti a una pressione laterale indicano
preoccupazione; occhi rilassati ai lati, pace interiore; occhi che si allungano
lievemente ai lati, devozione e un senso di unità con l’Amato. Occhi
sfuggenti rivelano falsità, il non voler affrontare lealmente la realtà.
L’incurvatura delle palpebre inferiori verso il basso indica un’attrazione
della mente verso il basso, per malattia, fatica, dissolutezza o disperazione;
palpebre inferiori forti e leggermente elevate rivelano invece un’abbondante
vitalità e un radioso senso di benessere interiore. Una tendenza a rivolgere
lo sguardo con calma ai lati denota un’intelligenza superiore al normale.
L’occhio destro rappresenta la natura razionale, il sinistro quella
emozionale. Quando predomina la ragione, tendiamo a pensare e a
esprimere la nostra coscienza soprattutto attraverso l’occhio destro; quando
predomina il sentimento, pensiamo e ci esprimiamo di più attraverso
l’occhio sinistro.
Scrivo questo non per darti degli strumenti con cui giudicare i tuoi simili,
ma per stimolarti a vivere più coscientemente attraverso i tuoi stessi occhi.
Ricordati che sono le finestre della tua anima e, se usati correttamente,
possono essere strumenti di grande benedizione e ispirazione per gli altri.
Hanno anche il ruolo, altrettanto importante, di aiutarti ad affermare e
approfondire gli stati di coscienza che desideri sviluppare.
Quando ti siedi per meditare, eleva lo sguardo verso l’alto, al punto tra le
sopracciglia. Non incrociare gli occhi, ma limitati a rivolgerli verso l’alto.
Immagina di sollevare davanti a te il braccio teso, con il pollice alzato, e di
fissare lo sguardo a quella distanza. Puoi anche pensare che i tuoi occhi
siano situati nella parte superiore della cavità orbitale.
La supercoscienza è una sottile linea di consapevolezza che divide lo
stato cosciente da quello subconscio. Allo stesso modo, lo Spirito riposa
perennemente nel punto di mezzo tra ogni dualità. Gli occhi chiusi denotano
lo stato subconscio; gli occhi aperti, la veglia. Così, gli occhi semichiusi,
con le palpebre inferiori rilassate e leggermente elevate e le palpebre
superiori rilassate e lievemente abbassate, rivelano uno stato di
supercoscienza. Se puoi meditare in questa posizione senza lasciarti
distrarre dalle immagini esterne, ti sarà di grande aiuto. (Può darsi che le
palpebre tremino all’inizio, ma si rilasseranno con l’acquietarsi della
mente.) In alternativa, pratica per qualche tempo questa posizione con gli
occhi semichiusi, poi chiudili mantenendoli verso l’alto. Anche con gli
occhi chiusi, immagina che le palpebre si siano semplicemente rilassate così
tanto da incontrarsi.
Mentre mediti, concentra ogni percezione nel punto tra le sopracciglia.
(In verità, il punto frontale del cervello che dovresti stimolare con la
concentrazione è dietro l’osso.) Pensa a ogni suono che senti come se fosse
emanato dal centro cristico, o riferiscilo mentalmente a quel centro. Tratta
nello stesso modo ogni altra sensazione, ogni pensiero. Dirigi ogni
sentimento del cuore verso l’alto, al punto tra le sopracciglia, con un senso
di aspirazione al Divino. Un po’ alla volta, quando sentirai la beata presenza
di Dio dentro di te, riconoscerai che quel centro è la porta attraverso cui
l’anima entra in comunione con Lui.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
La vita è un campo di battaglia

La pace, nella mente di molti, significa semplicemente assenza di


conflitti. La pace cui anelano è una tranquilla vecchiaia, un semplice villino
in riva al mare, un reddito sicuro, la certezza che qualunque crisi
sopraggiunga verrà affrontata con il minimo sforzo e senza grosse
preoccupazioni. È la pace di una pozza stagnante. Come spesso avviene
quando ci si ritira da una vita di intensa attività solo per sprofondare
rapidamente nella patetica senilità della vecchiaia (per mancanza di sfide
continue), ciò che inizia come pace si disintegra presto in degrado. Il villino
in riva al mare, idilliaco forse per un fine settimana, diventa una tetra
prigione di noia. Quando le formiche nell’insalata, al picnic della
parrocchia, diventano l’incidente peggiore della propria vita, si resta
incapaci di spingersi col pensiero oltre i passeri sul prato davanti a casa. Se
pensiamo agli episodi che la gente ama ricordare quando parla con gli altri,
ciò che colpisce è che quei racconti non si riferiscono a tranquilli pomeriggi
domenicali trascorsi raccogliendo ranuncoli nei prati, ma piuttosto a
qualche evento drammatico: un’operazione chirurgica, un incidente,
qualche contrasto con le autorità, un cuore infranto o un disastro scampato
per un soffio in un Paese straniero. È come se le esperienze più amare della
vita fossero il pepe che ci serve per rendere più gustosa l’esistenza; come se
vi fosse perfino gioia nel suo opposto, la sofferenza.
Questo, in verità, è il principio stesso di dwaita, o dualità: ogni cosa ha il
suo opposto e questo opposto è già implicito in ogni cosa.
A questo proposito mi viene da pensare alle isole Fiji, dove il clima è
temperato, il suolo fertile e il cibo abbondante. I nativi dovrebbero vivere
insieme senza il minimo sforzo o la minima animosità, in un continuo,
amorevole abbraccio fraterno; in effetti, gli attuali abitanti di quelle isole
sembrano tipi piuttosto affabili. Tuttavia, fino a poco tempo fa (se bisogna
credere ai missionari) sia loro che i loro progenitori dedicavano la maggior
parte del tempo a combattersi, uccidersi e divorarsi!
Penso anche ad Haiti, un vero e proprio paradiso, se ce ne fosse uno su
questa terra. L’unico pensiero degli abitanti sembra essere quello di evadere
dalla loro esistenza sempre uguale, dalla noiosa routine di danze e frutti
fragranti, dalle tristi radure verdeggianti e dal monotono svolazzare dei
variopinti pappagalli, per abbracciare invece l’affascinante meraviglia del
traffico, dei clacson assordanti e dei maleodoranti bassifondi di New York.
Non è strana l’irragionevolezza della mente umana?
La pace è uno degli obiettivi dello yoga. Essa è, in realtà, una delle
silenziose aspirazioni di ogni cuore, poiché l’anelito alla pace è un fatto
istintivo in tutti gli uomini. Tuttavia, la pace dell’anima – che è dinamica ed
espande la coscienza, ed è l’esatto contrario del ristagno – viene troppo
facilmente confusa dalla mente mondana con il sonno e altri stati negativi
dell’essere, che accompagnano la rinuncia alla virilità e al desiderio di
progredire.
Yoganandaji ripensava spesso, divertito, a un suo confratello nell’ashram
di Sri Yukteswar, un tipo spiritualmente pigro che cercava occasioni per
dormire con lo stesso zelo con cui gli altri ne cercavano per meditare.
Mentre si metteva in posizione comoda, preparandosi a fornire all’ashram il
suo quotidiano contributo di celestiale russare, egli borbottava compiaciuto:
«Nidra samadhi stithi!» (il sonno è samadhi).
Gesù ha detto: «Non sono venuto a portare pace, ma una spada»
(MATTEO 10,34). La Bhagavad Gita descrive l’intero sentiero spirituale
come una battaglia tra le forze della luce e dell’oscurità nella coscienza
umana.(Il campo di battaglia sul quale ha luogo la conversazione tra
Krishna e Arjuna è il “campo” della coscienza interiore dell’uomo.) La vera
pace spirituale non è uno stato nel quale sprofondare passivamente, come
ricompensa per lunghi anni di lacrime e sofferenze. È piuttosto la pace della
vittoria, di una lotta ben combattuta e della certezza della conquista. Non è
un muro che ci circonda e ci protegge dagli orrori della vita; è piuttosto una
luce accecante, che bandisce quegli orrori fino a farli cessare di esistere,
proprio come l’oscurità è bandita da una stanza quando si accende la luce
elettrica.
Il sentiero del progresso deve essere visto come una conquista. Nessuno
è mai scivolato all’indietro fino al paradiso; il sentiero, piuttosto, è stato
descritto come la scalata di una montagna, che può essere conquistata solo
dopo molte difficoltà. L’immagine del Monte Carmelo (che ricorre spesso
nella terminologia cristiana) o del Monte Meru (spesso usata in India) è
quella che meglio descrive il processo di ascesa della coscienza nell’uomo
interiore. Non è un segno di spiritualità non essere mai tentati, non rimanere
mai delusi o non fallire mai; tutto questo, di solito, contraddistingue coloro
che hanno scelto di scalare formicai, non montagne. Il segno distintivo della
crescita spirituale è che per ogni difficoltà c’è un’accresciuta
determinazione a proseguire fino al successo, e per ogni ostacolo c’è un
sempre maggiore slancio di energia, finché l’energia generata è sufficiente
per demolire l’opposizione e ci consente di procedere spediti fino alla cima.
«Un santo» soleva dire Yoganandaji «è un peccatore che non si è mai dato
per vinto».
Una delle difficoltà del sentiero spirituale è che, data la natura della
dualità, perfino le esperienze dolorose contengono in sé anche un po’ di
gioia. Sebbene, forse, non traiamo coscientemente piacere da queste
esperienze mentre stanno accadendo, non si può negare che ci piaccia
parlarne in retrospettiva e che addirittura ne godiamo quando sono passate.
E sebbene sia vero anche il contrario, e cioè che una certa quantità di dolore
si nasconde furtiva in ogni felicità terrena (il dolore, ad esempio, di sapere
che la giornata felice di oggi dovrà lasciare il posto alla monotona routine
della consueta esistenza di domani), c’è comunque abbastanza piacere nelle
gioie del momento da renderci riluttanti ad abbandonarle. L’uomo non si
distoglie facilmente dal suo attaccamento ai flussi e riflussi di questo
mondo relativo e infinitamente contraddittorio. Sebbene la gioia spirituale
sia incomparabilmente più grande della felicità materiale, perfino il devoto
è di solito restio ad abbandonare le cose più basse per quelle più elevate. Gli
risulta difficile immaginare che, come avviene in realtà, l’energia con la
quale gode dei piaceri inferiori è la stessa con la quale può godere della
pura e vibrante beatitudine nello Spirito. La gioia spirituale non ha opposto;
non esiste la noia. Yoganandaji ha descritto la gioia di Dio come «sempre
nuova».
Il risveglio spirituale è accompagnato dall’elevazione dell’energia e della
coscienza nella spina dorsale. Nello stato spirituale si può danzare, ridere e
cantare con incessante allegria e sempre avvolti dalle brezze della gioia
interiore, ma sarà una felicità del tutto diversa da quella degli abitanti di
Haiti, che vivono passivamente invece di cominciare loro stessi ad agire.
Tutta la gioia viene dal donare, dall’elevare la propria energia,
dall’espandersi, dall’applicare in modo dinamico la propria volontà. Tutta la
pace, quando è vera e duratura, viene da questo tipo di elevazione, non dalla
coscienza passiva (così diffusa ai nostri giorni) che vuole «seguire la
marea».
Abbiamo detto che la pratica delle posizioni yoga deve essere
accompagnata da una sensazione di profondo rilassamento, mai di sforzo.
Anche questo rilassamento, tuttavia, deve essere compreso in senso
dinamico. Liberarsi delle tensioni del corpo non significa dimenticarle, ma
offrirle consapevolmente in alto, nella Pace Infinita. Quando avrai fatto
convergere interiormente, verso il cervello, l’energia che ora mantiene il tuo
corpo in uno spiacevole stato di tensione, quella stessa energia potrà
colmare il cervello di un fresco zampillo di pace e felicità.
Perché aggrapparsi alle cose? Tutto quello che l’uomo cerca lo sta
aspettando nel suo Sé interiore, non come semplice risultato di conflitti
evitati, ma, piuttosto, superati. La pace è una mente che vola nei cieli liberi
della coscienza interiore.
Posizioni yoga

Quello che abbiamo visto nella sezione sulla “Filosofia” può essere
applicato in senso pratico alle posizioni yoga. Non si dovrebbe aspettare
passivamente che le posizioni diano un senso più profondo di rilassamento
e di calma. Un’attenzione minima produrrà risultati minimi. Nell’Hatha
Yoga l’atteggiamento mentale è quasi importante quanto le posture stesse.
Queste posizioni dovrebbero essere, in verità, quasi una forma di
meditazione. Praticale con un’attitudine di pace, persino di adorazione. La
pace dello Spirito, come afferma la Bibbia, può superare la comprensione
(per lo meno finché l’uomo dimora non nella pace, ma nell’inquietudine);
gli stati spirituali, tuttavia, non arrivano solo desiderandoli. È necessario
soffermarsi su di essi con il pensiero, immaginando la pace e qualsiasi cosa
si comprenda della gioia interiore, se si desidera sviluppare questi stati di
coscienza nel loro senso più alto. Non si può raggiungere la gioia, in altre
parole, se la si attende con scoraggiamento o con un atteggiamento di
supplica senza speranza. Né conoscerà la pace chi la invoca urlando, con la
fronte imperlata di sudore e le corde vocali sotto sforzo. Le rose non
possono crescere su rocce aride; richiedono un terreno fertile. Anche gli
stati spirituali necessitano del terreno fertile di una mente che già funzioni
sulla loro lunghezza d’onda, e che sia così pronta a ricevere le loro glorie
ancora più grandi. La luce del sole non può penetrare in una fitta nebbia:
l’aria deve prima essere resa limpida per poterla accogliere.
La persona mondana potrebbe lamentarsi che la vera pace e gioia
spirituale sono per lei impossibili, e che la sua vita non è altro che
agitazione e infelicità. Tuttavia ogni uomo, essendo figlio di Dio, possiede
nascosto dentro di sé almeno un angolino di coscienza divina, nel quale può
stabilirsi fermamente se solo lo desidera. Dovrebbe soffermarsi su questa
parte divina del suo essere e identificarsi con essa. Dovrebbe praticare le
posizioni yoga con gli atteggiamenti che metteranno in sintonia la sua
mente con questi stati più elevati. Praticando le posture in questa maniera,
le troverà centinaia di volte più efficaci anche dal punto di vista della salute
fisica e, ovviamente, ancor più da quello della crescita spirituale.
PAVANAMUKTASANA
(la posizione del Vento libero)

«Rilascio l’energia della spina dorsale e mi elevo nella luce».

Per assumere Pavanamuktasana, accovàcciati con i piedi possibilmente


aderenti al pavimento e le cosce saldamente contro i polpacci. Afferra le
ginocchia con le braccia e portale verso il petto, espirando completamente.
Mantieni la posizione fino a quando senti che è confortevole.
Puoi anche entrare nella posizione da una postura seduta a terra,
inclinando gradualmente il corpo fino a salire portando il peso sui piedi.
Una variante è quella di sdraiarti su un fianco a terra e spingere le ginocchia
all’insù in posizione fetale, espirando completamente mentre lo fai.

Benefici: Pavana significa “vento”. Mukti vuol dire “libertà”.


Pavanamuktasana significa letteralmente la “posizione del Vento libero”.
Questa postura contribuisce non solo a eliminare il gas dall’intestino, ma
anche a stimolare una corretta evacuazione. Aiuta inoltre a espirare
completamente prima di eseguire determinati altri esercizi, in particolar
modo Uddiyana Bandha, la prossima posizione di questa lezione. A livello
sottile, Pavanamuktasana rilascia l’energia dalla spina dorsale,
specialmente nella zona coccigea, sacrale e lombare.

Precauzioni: in caso di lesioni spinali o ginocchia deboli, è necessario


eseguire la posizione con particolare cautela.
UDDIYANA BANDHA
(il Sollevamento dello stomaco)
Espira completamente. Puoi iniziare nella posizione di
Pavanamuktasana e poi portarti in piedi mantenendo il respiro in apnea
espiratoria. Metti i palmi delle mani sulle cosce. Chiudi la gola in modo da
non poter inspirare. Scarica il peso della parte superiore del corpo sulle
mani e raddrizza per quanto è possibile la parte centrale del dorso. Cerca di
inspirare dal basso, vale a dire spingi lo stomaco all’insù nel petto anziché
portare il respiro verso il basso, attraverso le narici, nei polmoni. Per
rendere più efficace questo sollevamento verso l’alto, ti sarà d’aiuto
espandere lateralmente le costole.
Questa posizione va praticata a stomaco vuoto. Quando è eseguita
correttamente, tutto l’addome sarà tirato fermamente all’indietro contro la
spina dorsale, al punto che sembrerà che l’addome sia semplicemente
scomparso, lasciando solo un sottile strato di carne contro il dorso.
Mantieni la postura finché è confortevole. Espira, poi ripeti alcune volte.

Benefici: questa posizione è eccellente per i disturbi di stomaco e di


fegato. Stimola la digestione. Dal punto di vista spirituale, aiuta a elevare la
consapevolezza e l’energia dalla parte inferiore del corpo in alto verso il
cervello.

Precauzioni
• Le persone con pressione bassa devono praticare con cautela.
• La posizione è da evitare durante il ciclo mestruale o in gravidanza, e in
presenza di problemi cardiovascolari (inclusa la pressione alta).
ARDHA
MAYURASANA
(la mezza posizione del Pavone)
Accovàcciati sulle ginocchia con le punte dei piedi a terra e divarica le
ginocchia. Metti i palmi delle mani a terra tra le ginocchia, rivolgendoli
all’esterno e indietro in modo che le dita siano dirette verso i piedi. Apri le
dita. Piega i gomiti e portali più vicino possibile tra loro, abbassando il
tronco sui gomiti. Inspira e gradualmente cammina con i piedi all’indietro
fino a quando il corpo forma una linea retta dai piedi alla testa. La maggior
parte del peso dovrebbe premere verso il basso sui gomiti, che si trovano
contro l’incavo dello stomaco.
In una versione più avanzata di questa posizione (spiegata nella
dodicesima lezione) si portano in alto le gambe, cosicché il corpo è
parallelo al pavimento e tutto il peso poggia sui gomiti. Per ora, tuttavia,
mantieni i piedi a contatto con il pavimento e tieni la posizione inizialmente
per 15 secondi, aumentando gradualmente fino a 30 secondi.

Benefici: questa posizione è eccellente per i disturbi di stomaco e per


stimolare la digestione e il fegato.

Controindicazioni: la posizione non va praticata in presenza di dolori


addominali la cui causa non sia stata accertata, durante la gravidanza e in
presenza di ernia inguinale.
VAJRASANA
(la posizione Stabile)

«Immobile nel mio Sé, contatto la mia forza interiore».

Questa è la prima di una serie di posizioni meditative. Nella meditazione


si insegna a ottenere uno stato di immobilità fisica attraverso due metodi,
tra loro contradditori nell’approccio ma non nell’effetto. Uno è quello di
visualizzare il corpo come infinitamente leggero, come se fosse composto
soltanto da aria o spazio. Non avendo un corpo da muovere, ci si ritrova con
la mente che si libra verso identificazioni più elevate. L’altro metodo è
quello di immaginare che il corpo sia infinitamente pesante, simile a una
roccia, e stabile. Avendo un corpo che è troppo pesante e solido da
muovere, anche in questo caso la mente si ritrova incline a funzionare a
livelli più alti di quello fisico.
Vajrasana è ideale per questa seconda pratica. La pressione della parte
superiore del corpo sui polpacci suggerisce alla mente uno stato di
pesantezza e solidità.

Siediti sui talloni, con le ginocchia vicine e le dita dei piedi distese
indietro. Appoggia l’alluce destro sopra il sinistro e rilassa completamente
le gambe.
Gira i palmi verso l’alto e appoggia la mano destra sopra il palmo
sinistro, al di sopra del pube. (Oppure metti le mani sulle cosce, con i palmi
rivolti in alto, alla giuntura tra cosce e addome.)
Mantenendo le gambe rilassate, allunga la spina dorsale dalla cima della
testa.
Apri il cuore e le spalle, rilassandole. Tieni il mento parallelo al
pavimento. Respira naturalmente.
Mantieni il corpo perfettamente immobile e afferma: «Immobile nel mio
Sé, contatto la mia forza interiore». Pensa che il corpo è così immobile che
non sei in grado di muovere neanche un muscolo. Respira normalmente, e
con ogni espirazione senti come se stessi sprofondando in basso verso il
pavimento. Diventerai gradualmente consapevole delle energie sottili nel
corpo che si muovono liberamente anche se il corpo è fermo; inizierai a
identificarti con queste energie e con la tua stessa libertà interiore dal corpo,
piuttosto che con il corpo stesso.
Per uscire dalla postura, siediti a destra dei talloni, poi allunga i piedi in
avanti.

Benefici: Vajrasana è una posizione eccellente per ottenere la stabilità


mentale. È buona anche per irrorare di sangue la parte inferiore delle
gambe. Si afferma inoltre che faccia bene allo stomaco, forse a causa
dell’aumento di afflusso sanguigno verso quest’organo dopo che il sangue è
stato in parte fatto defluire dalle gambe, ma più probabilmente anche per il
collegamento che esiste fa le terminazioni nervose nel piede e le diverse
parti del corpo. Si dice infatti che l’area centrale del piede (attorno alla parte
interna della pianta) sia collegata con gli organi viscerali. Gli yogi
dell’antichità avevano senza dubbio scoperto che il rilassamento che questa
postura induce in quella parte del piede esercita un’azione benefica di
stimolazione nella regione dello stomaco.
Rilassando i piedi, tutto il corpo si rilassa. In effetti, la semplice
sensazione di rilassamento nei piedi che si sperimenta in questa posizione è
uno dei suoi benefici più godibili, in particolar modo se ti concentri su
questa sensazione e la assapori. Cerca di estendere mentalmente questo
rilassamento verso l’alto, in tutto il corpo.
Il rapporto del piede con il resto del corpo è interessante. In epoca
moderna è stato sviluppato un metodo di terapia chiamato riflessologia
plantare. Esercitando una pressione su alcune zone del piede, il terapeuta è
in grado di dare beneficio a specifiche parti del corpo. Un’allieva di uno dei
miei corsi a Sacramento mi ha detto che un riflessologo, semplicemente
esaminando il suo piede, è stato in grado di scoprire l’esistenza
(successivamente confermata attraverso una radiografia) di un tumore alla
seconda costola sinistra.
Il modo in cui si trattano i piedi può essere importante per la propria
salute fisica. Ricordo che una volta il mio guru mi disse di non sedermi con
le dita dei piedi piegate sotto di essi (verso le ginocchia), ma di sedermi in
modo tale che le dita siano distese verso l’esterno, lontano dalle ginocchia.
Notando la mia curiosità, egli spiegò che questa postura è nociva per gli
occhi! Si dice che i nervi nel secondo dito siano collegati agli occhi.
Quando visitai il Giappone nel 1960, notai con interesse che un numero
insolitamente alto di persone portava gli occhiali. Questa posizione
sbagliata viene comunemente assunta in quel Paese.

Precauzioni: se hai le ginocchia vulnerabili o lesionate, usa una


panchetta oppure non eseguire affatto la posizione.

Respirazione

Nell’ultima lezione abbiamo parlato del rapporto tra respiro e stato di


coscienza. La consapevolezza del respiro è uno strumento di valore
inestimabile per sviluppare l’autoconsapevolezza. È anche importante come
mezzo di autotrascendenza nell’estasi senza respiro del samadhi.
Abbiamo illustrato in precedenza il rapporto psicologico tra
l’inspirazione e il movimento verso l’alto dell’energia nella spina dorsale e
tra l’espirazione e il corrispondente movimento discendente. Si può anche
osservare un altro rapporto: quando sei eccitato, nota la velocità del respiro
e osserva anche come il ritmo diventa irregolare. Quando sei calmo, osserva
come quella calma si riflette in un ritmo lento e armonioso del respiro.
Quando sei concentrato, nota come tendi istintivamente a trattenere il
respiro. Gli yogi sottolineano che, in differenti stati di coscienza, il respiro
si estenderà a partire dalle narici raggiungendo diversi gradi di lunghezza e
diventando più o meno energico.
Da giovane, Swami Vivekananda respirava in maniera pesante durante il
sonno. Sri Ramakrishna, il suo guru, disse che questo era il segno di una
persona che avrebbe avuto una vita breve. In effetti, Vivekananda morì alla
giovane età di trentanove anni. Gli yogi affermano che l’uomo ha un
numero di respiri prestabilito. Presumibilmente, se respira in modo veloce,
la durata della sua vita si accorcerà; se impara a respirare lentamente, vivrà
più a lungo. Gli animali longevi, come l’elefante e la tartaruga, respirano
molto lentamente, fino a quattro respiri al minuto. Uno dei segreti della
longevità di alcuni yogi è che, essendo calmi, respirano meno dell’uomo
comune.
Osserva ancora come il respiro si muove in modo diverso nelle narici: a
volte prevale in uno dei due lati; altre volte fluisce di più nella parte
inferiore delle narici, oppure più nella parte esterna o in quella interna, o
ancora attraverso la parte superiore delle narici. Anche questi movimenti
sono correlati in modo sottile a diversi stati di coscienza. Il respiro nel lato
sinistro indica un movimento più forte della corrente pran nel canale
nervoso i a; il respiro nel lato destro indica un prevalere delle correnti nel
canale pingala. (Yoganandaji osservò che la persona ideale respirerà più
nella narice sinistra durante le ore diurne e maggiormente in quella destra di
notte. Si può modificare questa corrente chiudendo la narice opposta e
respirando alcune volte sul lato desiderato, oppure rimanendo sdraiati per
alcuni minuti sul lato opposto a quello nel quale si desidera far fluire il
respiro.)
Una persona che respira troppo attraverso la parte inferiore delle narici,
tende ad avere una mente pigra e offuscata. Una persona del genere
potrebbe respirare abitualmente con la bocca aperta, anche se non sono
presenti ostruzioni nei condotti nasali che le impediscano di respirare
correttamente. Respirare attraverso il naso, anziché attraverso la bocca, è di
beneficio per stimolare la chiarezza mentale. Una persona che è arrabbiata
può dilatare le narici verso l’esterno, come un toro. Le persone che sono
piuttosto riservate, sia perché timide sia perché indifferenti e orgogliose,
tendono a respirare attraverso la parte centrale delle narici, fino al punto di
sviluppare l’abitudine costante di contrarre le narici. Le persone dalla forte
volontà respirano maggiormente nella parte alta del naso. Imparando a
respirare gradualmente in modo corretto, resterai sorpreso nel vedere come,
semplicemente attraverso il respiro, puoi cambiare radicalmente la tua
prospettiva mentale.
Per la prossima settimana, pratica Chandra Bedha Pranayama
(insegnato nella quinta lezione), ma con questa variante: inspira attraverso
la narice sinistra, trattieni, espira attraverso la destra con un ritmo 1-2-2.
Inspirando, conta mentalmente fino a 4; trattieni il respiro contando fino a 8
e poi espira attraverso la narice destra contando di nuovo fino a 8. Ripeti
non più di 6 volte.

Sequenze

Sono svariate le sequenze che i diversi autori propongono per la pratica


delle posizioni yoga. La serie che consiglio è basata sull’importanza per la
pratica dell’Hatha Yoga di essere in uno stato mentale calmo e
interiorizzato, di essere consapevoli dell’energia nel corpo e di ridirigere
quell’energia in alto verso il cervello. Iniziamo con gli esercizi di
respirazione e la meditazione, cosicché le posture possano essere eseguite
con il corretto atteggiamento. Poi proseguiamo con gli esercizi in piedi, per
aiutare a sviluppare la postura corretta e per centrare la coscienza nella
spina dorsale. In seguito facciamo diversi esercizi per rilassare le estremità
(le gambe e le braccia): per esempio, Sasamgasana (la posizione della
Lepre) e Supta-Vajrasana (la posizione Stabile supina), che imparerai nelle
prossime due lezioni. Poi ci concentriamo sull’allungamento e sullo
scioglimento della spina dorsale, allo scopo di creare un canale libero e
aperto affinché l’energia possa fluire in alto al cervello. Successivamente,
come sarà insegnato più avanti, assumiamo le posizioni capovolte, in modo
da usare la forza di gravità per attirare l’energia in alto nella spina dorsale,
verso il cervello. Come abbiamo sottolineato, più l’energia è diretta in alto
nella colonna, verso il cervello, più si perviene a uno stato di armonia e
gioia interiore e più si scopre, in breve, la verità dell’affermazione che «il
Regno di Dio è dentro di noi». Al termine di questi esercizi si esegue un
lungo riposo in Savasana (la posizione del Cadavere), come mezzo per
immergersi in profondità nella consapevolezza interiore che è stata
risvegliata. Dopo Savasana, si può assumere qualsiasi postura meditativa ed
entrare nella meditazione profonda.
Ulteriori regole che riguardano le sequenze sono principalmente queste:
a un piegamento in una direzione dovrebbe seguire un piegamento nella
direzione opposta, in modo da riportare sempre il corpo in uno stato di
equilibrio, dato che lo yoga insegna che si dovrebbero neutralizzare gli
opposti della dualità e ci si dovrebbe identificare con l’unica Realtà
centrale, lo Spirito non-duale, adwaitico, che riposa per sempre al centro
della tempesta della creazione. È anche importante rilassarsi dopo ciascuna
posizione, almeno per lo stesso tempo in cui si è rimasti nella postura e
anche più a lungo, se il cuore è stato così stimolato da richiedere più tempo
per ritornare al suo ritmo consueto.
La sequenza indicata in queste lezioni è per una persona media, che
presumibilmente non è in grado di dedicare con facilità più di mezz’ora o
quaranta minuti per volta alla pratica. Se desideri dedicare più tempo alle
posizioni, puoi aggiungerne altre ancora, seguendo i principi di base che ho
appena illustrato. Ora che abbiamo già incluso così tante posture in queste
lezioni, sarà impossibile praticarle tutte, per lo meno in modo corretto, in
mezz’ora. Di conseguenza, ti suggerisco di fare sequenze diverse in
momenti diversi: al mattino e alla sera, oppure a giorni alterni.
Ricorda sempre che è meglio fare poche posizioni lentamente e bene,
piuttosto che farne molte frettolosamente.
Inizia entrambe le sequenze con la Respirazione yogica completa,
seguita da Sitkari Pranayama. Poi fai Chandra Bedha Pranayama 6 volte,
con un ritmo 1-2-2. Medita per due minuti, osservando mentalmente il
flusso del respiro nelle narici. Poi esegui una delle due sequenze seguenti:

SEQUENZA A
Vrikasana (la posizione dell’Albero)
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna)
Trikonasana (la posizione del Triangolo)
Pavanamuktasana (la posizione del Vento libero)
Uddiyana Bandha (il Sollevamento dello stomaco)
Padahastasana (la posizione del Coltello a serramanico)
Il Piegamento all’indietro in piedi
Savasana (la posizione del Cadavere)
Vajrasana (la posizione Stabile)
Balasana (la posizione del Bambino)
Simhasana (la posizione del Leone)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio)
Bhujangasana (la posizione del Cobra)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Navasana (la posizione della Barca)
Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore)
Ardha Dhanurasana (la mezza posizione dell’Arco)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Halasana (la posizione dell’Aratro)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Chakrasana (la posizione della Ruota)
Savasana (la posizione del Cadavere), in rilassamento profondo per 5
minuti.

SEQUENZA B
(Inizia la sequenza con gli esercizi di respirazione consigliati all’inizio
della Sequenza A, seguiti da:)
Vrikasana (la posizione dell’Albero)
Trikonasana (la posizione del Triangolo)
Utkatasana (la posizione della Sedia)
Pavanamuktasana (la posizione del Vento libero)
Uddiyana Bandha (il Sollevamento dello stomaco)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Vajrasana (la posizione Stabile)
Balasana (la posizione del Bambino)
Ardha Mayurasana (la mezza posizione del Pavone)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio) oppure
Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore)
Bhujangasana (la posizione del Cobra)
Savasana (la posizione del Cadavere)
Halasana (la posizione dell’Aratro)
Dhanurasana (la posizione dell’Arco)
Karnapirasana (la posizione di Chiusura delle orecchie)
Savasana (la posizione del Cadavere), in rilassamento profondo per 5
minuti.

Guarigione
Disturbi dell’apparato digerente

L’apparato digerente è più importante per la salute fisica e mentale della


persona media di quanto comunemente si immagini. Molte persone hanno
l’equivalente di un serpente a sonagli nel loro intestino: tossine che sono
rimaste intrappolate a causa di una carente eliminazione e che si diffondono
lentamente nell’organismo, mantenendo l’individuo cronicamente stanco,
debole e facile preda di qualsiasi malattia di passaggio. La mente è molto
influenzata dall’apparato digerente, al punto che le fluttuazioni dell’umore
di una persona possono spesso essere dovute solo alla presenza o assenza di
tossine nel suo intestino. Alcuni anni fa ho letto di un uomo che per poco ha
evitato di suicidarsi grazie alla scoperta che settimane di depressione
cronica, che in effetti lo avevano indotto a pensare di togliersi la vita, erano
semplicemente dovute a una brutta forma di costipazione.
Principalmente, ciò che è necessario per tutte le malattie dell’apparato
digerente è l’eliminazione delle tossine e la stimolazione dell’energia nello
stomaco attraverso il digiuno, una migliore alimentazione e un adeguato
esercizio fisico.

Costipazione
La costipazione può essere superata in parte attraverso la pratica delle
seguenti posizioni:
Matsyasana (la posizione del Pesce), decima lezione;
Uddiyana Bandha (il Sollevamento dello stomaco), sesta lezione;
Nauli (l’Isolamento dello stomaco), una posizione che sarà insegnata
nella dodicesima lezione;
Ardha Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra), nona
lezione;
Supta-Vajrasana (la posizione Stabile supina), settima lezione;
Ustrasana (la posizione del Cammello), nona lezione;
Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore), seconda lezione;
Parvatasana (la posizione della Montagna), decima lezione;
Yoga Mudra, decima lezione;
Padahastasana (la posizione del Coltello a serramanico), quarta lezione;
Trikonasana (la posizione del Triangolo), seconda lezione;
Vajrasana (la posizione Stabile), sesta lezione.
Cerca di non mangiare troppi amidacei, in particolar modo la farina
bianca.
Non mangiare tardi la sera. Digiuna un giorno alla settimana per dare
all’apparato digerente il riposo di cui ha bisogno per funzionare
correttamente.

Perdita di appetito
Mayurasana (la posizione del Pavone), dodicesima lezione;
Ardha Mayurasana (la mezza posizione del Pavone), sesta lezione;
Dhanurasana (la posizione dell’Arco), quarta lezione;
Akarshana Dhanurasana (la posizione del Tiro con l’arco), nona lezione.
La depressione mentale è spesso una causa di perdita d’appetito. La
depressione interessa tutto il corpo, facendolo accasciare in avanti e
riducendo così la capacità respiratoria; dirige inoltre l’energia del corpo
verso il basso, verso i centri inferiori della spina dorsale. La respirazione
profonda, lo stare seduti eretti, il dirigere lo sguardo verso l’alto e il
sorridere di più, attirano consapevolmente l’energia dalla base del corpo
verso il cervello: tutte queste pratiche aiutano a controbilanciare
l’influenza della depressione sull’appetito.

Colite
Savasana (la posizione del Cadavere), terza lezione.
La colite, come la maggior parte dei disturbi di stomaco, è solitamente
associata a qualche disturbo nervoso. Concentrati sul curare non soltanto
l’effetto, ma anche la causa. Le posizioni e gli esercizi di respirazione, e
soprattutto la meditazione, possono gradualmente ripristinare uno stato
di armonia, a livello sia fisico che mentale.
Diabete*
Mayurasana (la posizione del Pavone), dodicesima lezione;
Sarvangasana (la posizione della Candela), undicesima lezione;
Matsyasana (la posizione del Pesce), decima lezione;
Bhujangasana (la posizione del Cobra), prima lezione;
Ardha Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra), nona
lezione;
Halasana (la posizione dell’Aratro), seconda lezione.

Flatulenza
Bhujangasana (la posizione del Cobra), prima lezione;
Halasana (la posizione dell’Aratro), seconda lezione;
Dhanurasana (la posizione dell’Arco), quarta lezione;
Pavanamuktasana (la posizione del Vento libero), sesta lezione.

Emorroidi
Sarvangasana (la Candela), undicesima lezione;
Mayurasana (la posizione del Pavone), dodicesima lezione;
Aswini Mudra (la Contrazione anale), tredicesima lezione;
Halasana (la posizione dell’Aratro), seconda lezione.

Ernia
Sirshasana (la posizione sulla Testa), undicesima lezione;
Sarvangasana (la posizione della Candela), undicesima lezione;
Viparita Karani (la posizione Semplice capovolta), settima lezione.

Reni
Ardha Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra), nona
lezione;
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna), seconda lezione.
Fegato e milza
Ardha Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra), nona
lezione;
Uddiyana Bandha (il Sollevamento dello stomaco), sesta lezione;
Nauli (l’Isolamento dello stomaco), dodicesima lezione;
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio), quarta lezione;
Akarshana Dhanurasana (il Tiro con l’arco), nona lezione;
Sarvangasana (la Candela), undicesima lezione;
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna), seconda lezione.

Ulcera
Pratica la Respirazione diaframmatica profonda in Savasana, la
posizione del Cadavere. La sera, prima di andare a letto, mangia un
pezzo di pane bianco senza la crosta, inzuppato nel latte caldo.

Alimentazione

Nel riferirsi al giusto modo di vivere, lo yoga sottolinea sempre


l’importanza di ciò che è naturale. Anche in tema di alimentazione,
l’approccio è completamente naturale. Qual è il cibo giusto per il corpo
umano? È questa la domanda che ci poniamo, non quali siano le
considerazioni religiose, sentimentali o sociali che determinano un certo
tipo di alimentazione. La carne, per esempio, è evidentemente il cibo
naturale per alcuni animali. Se non lo fosse, intere specie si riprodurrebbero
fino al punto in cui il pianeta non sarebbe in grado di fornire abbastanza
cibo per sfamarle. La domanda è, semplicemente, se la carne (per prendere
un esempio) sia l’alimento giusto per una specie particolare, quella umana.
Swami Sri Yukteswar, nel suo libro La scienza sacra, spiega che il corpo
dell’uomo non ha le caratteristiche dei carnivori. La lunghezza
dell’intestino, in rapporto alla lunghezza del corpo, è quella dei frugivori. I
carnivori hanno un intestino la cui lunghezza è da tre a cinque volte quella
del loro corpo; negli erbivori tale lunghezza è da venti a ventotto volte. Gli
animali che si nutrono di frutta – e anche l’uomo – hanno un intestino pari a
dieci-dodici volte la lunghezza del loro corpo. (Sri Yukteswar sottolinea
come la misurazione del corpo umano vada eseguita nello stesso modo in
cui viene fatta con gli altri animali, cioè dalla bocca all’ano e non dalla
sommità della testa alla pianta dei piedi.)
Anche la struttura dentale dell’uomo è quella di un animale frugivoro. I
suoi denti non sono lunghi e acuminati come quelli di un carnivoro che
deve strappare e lacerare la carne che mangia; e neppure sono piatti come
quelli di un cavallo, che rumina lentamente.
L’uomo, fra tutti gli animali, ha la libertà mentale di sviluppare dei gusti
che vanno molto al di là del proprio modello istintivo naturale. Ci sono
esseri umani, per esempio, che in realtà amano mangiare carne cruda. Non
si può, tuttavia, negare che l’inclinazione naturale dell’uomo sia di
nascondere i macelli dietro alte mura, dove non sia possibile vedere o
sentire gli animali che vengono uccisi. Il pensiero di uccidere è offensivo
per la natura animale dell’uomo, raffinata e più sensibile. Quando compra la
carne, di solito la “camuffa” cucinandola. Nelle pubblicità non si vedono
mai immagini di carcasse sanguinanti per attirare le persone ad acquistare
qualche prodotto. È probabile, invece, che si veda una ciotola di frutta.
C’è qualcosa di istintivamente attraente per l’uomo nella frutta, in modo
particolare quando il palato non è stato maltrattato da anni di alimentazione
errata; c’è un’inclinazione naturale a sentire l’acquolina in bocca alla sola
vista di una ciotola di ciliege, uva, mele o banane. La frutta è l’alimento più
spirituale. È naturale per l’uomo – il più spiritualmente avanzato tra gli
animali – essere istintivamente attratto dai cibi che sono più indicati per
sviluppare la sua sensibilità spirituale.
Poiché gli yogi sottolineano l’importanza di un approccio naturale alla
corretta alimentazione e al giusto modo di vivere, solitamente fanno anche
notare che il corpo, dopo anni di vita sbagliata, potrebbe non essere in grado
di adattarsi improvvisamente a una dieta perfetta. Il dottor Lewis, il primo
discepolo di Paramhansa Yogananda in America, smise di mangiare carne
poco dopo aver conosciuto il Maestro. Dopo qualche tempo, però, iniziò a
soffrire di misteriosi dolori e acciacchi nel corpo. Andò da una serie di
dottori, ma nessuno fu in grado di fare una diagnosi. Alla fine chiese al
Maestro quale potesse essere la causa. Il Maestro disse: «Il tuo corpo si è
abituato a mangiare carne. Le cellule la pretendono, sulla base di
un’abitudine del passato. Mangia un po’ di carne una volta alla settimana e
il dolore scomparirà». Il dottor Lewis seguì il consiglio del Maestro e guarì
quasi immediatamente. Alcuni anni dopo, fu in grado di smettere
completamente di mangiare carne.
Se proprio devi mangiare carne, cerca di evitare rigorosamente il manzo
e il maiale. La carne di maiale è una carne impura, a causa delle abitudini
alimentari dei maiali. A proposito del manzo, Yoganandaji disse che nei
macelli americani aveva visto i macellai rimuovere cancri dai bovini dopo
averli uccisi. È un fatto interessante che il cancro sia molto più diffuso in
Occidente, dove si mangia molta carne di manzo, piuttosto che in India,
dove per lo meno l’indù medio se ne astiene. Yoganandaji disse che il
consumo di carne di manzo è una delle prime cause del cancro. Se devi
mangiare carne, mangiala meno frequentemente e cerca di mangiare solo
pesce, pollame e, occasionalmente, un po’ di agnello.
Abbiamo affermato che mangiare carne non è naturale per l’uomo.
Altrettanto innaturale è portare gli occhiali, tuttavia gli uomini convivono
piuttosto bene con essi. C’è qualche argomento più specifico per limitare la
propria dieta alla frutta e alla verdura? In effetti c’è. Il mangiar carne,
poiché è innaturale, è anche la causa di numerose malattie nell’uomo.
Alcuni medici occidentali, in effetti, lo hanno affermato anche senza essere
stati incoraggiati dagli yogi, che lo hanno sempre sostenuto. Molti miei
amici e studenti che, dopo aver smesso di mangiare carne per un certo
tempo, hanno ripreso a farlo anche solo temporaneamente, mi hanno detto
che la differenza nel modo in cui si sono sentiti dopo essere ritornati a una
dieta che includeva la carne era incredibile: si sentivano molto più pigri e
mentalmente pesanti; avevano meno resistenza fisica; si stancavano
facilmente. Nei libri di alimentazione occidentali si è parlato molto delle
proprietà della carne di conferire un’elevata energia, ma si è sorvolato sulle
tossine che ostacolano la libera manifestazione di quell’energia. Non è
sufficiente mangiare un cibo che abbia un elevato tenore energetico; è anche
importante mangiare cibi che possano essere eliminati facilmente dal corpo
e che lo mantengano libero dalle tossine. Con simili alimenti, anche solo un
po’ di energia può fornire una grande quantità di forza. Ci sono tante
proteine disponibili in altri cibi al di fuori della carne: i diversi tipi di noci, i
legumi, gli avocado e i germogli sono tutti importanti fonti proteiche. Gli
yogi affermano che il formaggio – in particolar modo quello fresco – il latte
e i latticini non solo sono ammessi, ma sono addirittura desiderabili
nell’alimentazione umana. Sebbene gli yogi di solito non raccomandino le
uova, gli occidentali potrebbero trovare preferibile includerle nella loro
dieta, per le ragioni che abbiamo indicato in una precedente lezione.
Un ultimo, ma importante, pensiero va espresso su questo argomento. Il
cibo che mangiamo è ben più di un assortimento di sostanze chimiche: è,
essenzialmente, una vibrazione. In quanto tale, tocca le nostre coscienze.
Gli animali, a causa del loro sistema nervoso più sviluppato (rispetto a
quello dei vegetali), provano intensa angoscia, rabbia e paura quando
vengono uccisi. Queste emozioni riempiono i loro corpi di tossine. In
aggiunta a ciò, le vibrazioni delle loro forti emozioni penetrano nel loro
corpo; le persone che mangiano quella carne, assumono anche una parte di
quelle emozioni. Non è un caso che i popoli più aggressivi e amanti della
guerra siano anche forti mangiatori di carne, o che i popoli più pacifici
tendano a essere vegetariani. Per una persona che percorre il sentiero dello
yoga, è importante smettere di assumere cibi che per loro stessa natura
ostacolano ogni sforzo di raggiungere la pace e l’armonia interiore. Per lo
yogi, una dieta a base di frutta e verdura è importante soprattutto per
l’effetto calmante che esercita sulla mente e sul sistema nervoso.
Ho affermato che l’uomo è un animale frugivoro, ma ora,
improvvisamente, ho consigliato una dieta vegetariana piuttosto che
strettamente frugivora. La ragione per cui ho dato questa indicazione è che i
corpi della maggior parte delle persone in questa epoca non sono
sufficientemente sensibili da poter vivere con un’alimentazione a base
soltanto di frutta e di noci. Alcune verdure cotte sono necessarie per la
maggior parte delle persone che stanno affrontando la transizione da una
dieta fortemente innaturale. In epoche più avanzate, l’uomo sarà in grado di
abbandonare persino alimenti così puri come la frutta e le noci e di vivere
direttamente di energia interiore. Alcune anime altamente evolute sono note
per averlo fatto già nella nostra epoca (per esempio, la mistica cristiana
Therese Neumann, in Baviera).

Ricette

Filone alle noci


150 g di noci macinate
150 g di noci finemente tritate
300 g di pane fresco integrale sbriciolato
2 cucchiai di tamari
150 ml di succo di pomodoro
2 uova ben sbattute
3 cucchiai di burro
3 cipolle medie, finemente tritate
1 spicchio d’aglio, tritato

Mescola assieme le noci, il pane fresco sbriciolato, il tamari, il succo di


pomodoro e le uova. Fai saltare le cipolle e l’aglio nel burro fino a che sono
rosolati, mescolando frequentemente. Aggiungi le cipolle alla miscela di
noci; potrebbe essere necessario aggiungere un po’ d’acqua per ottenere la
giusta consistenza. Disponi l’impasto in una forma da pane oliata da 23 x 13
cm. Fai cuocere a 180° C per circa 45 minuti. Sufficiente per 4-6 porzioni.

Dal di piselli gialli spezzati


(un eccellente ed economico sostituto della carne)
200 g di piselli gialli spezzati
1 ½ l di acqua
150 g di piselli verdi, tagliati finemente
150 g di zucca tritata o di qualsiasi altra verdura fresca
1 cucchiaio di sale
100 g di burro
4 cucchiai di cocco in fiocchi, non dolcificato
1 cucchiaino di olio
1 cucchiaino di semi di cumino
un goccio di succo di limone

Sciacqua i piselli spezzati e mettili nell’acqua. Quando l’acqua inizia a


bollire, scolali e metti da parte l’acqua. Aggiungi sale e olio. Fai cuocere a
fuoco lento, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo gradualmente
l’acqua messa da parte, quanto è necessario per mantenere la consistenza
simile a quella di una zuppa. Quando i piselli sono quasi teneri, aggiungi le
verdure e cuoci finché si ammorbidiscono, mescolando frequentemente fino
a quando il dal diventa una zuppa densa. Aggiungi il succo di limone.
In un’altra pentola, sciogli 2 cucchiai di burro. Aggiungi i semi di
cumino e fai soffriggere per breve tempo. Spegni la fiamma e aggiungi il
cocco. Aggiungi alla prima miscela. Porta a ebollizione e aggiungi il burro
avanzato.
Se vuoi, puoi aggiungere un po’ di curry in polvere e una foglia di alloro,
facendoli prima soffriggere nel burro. Servi con riso e un po’ di chutney
(salsa indiana agrodolce a base di frutta o verdura e spezie, N.d.T.).

Meditazione
Elevare l’energia interiore

Da sempre l’uomo ha scritto canzoni e poesie fantasticando sulla luna.


Da quando ha saputo che essa è un corpo celeste come la terra, l’ha
contemplata sognando di raggiungerla; e quando sono state scoperte le
tecnologie adeguate, si è dato da fare per trasformare quel sogno in realtà.
Nell’antico poema del grande mistico persiano Omar Khayyam, la luna è
un simbolo di Dio, o della coscienza divina nell’uomo: «Oh, luna del mio
diletto che non conosci declino!». Omar, comunque, era un’eccezione: nel
corso dei millenni, infatti, l’uomo ha quasi sempre considerato Dio, al pari
della luna, come un ideale distante e irraggiungibile. Alcuni, avendo
appreso dalle immortali testimonianze delle diverse Scritture che l’essenza
dell’anima è divina, hanno levato lo sguardo dalla polvere di questo mondo
e sognato di potersi avvicinare, un giorno, a Dio. Alla fine, però, per
arrivare alla luna l’uomo ha dovuto aspettare l’invenzione di razzi
sufficientemente potenti da sfuggire alla forza di gravità. Allo stesso modo,
pur avendo a disposizione i mezzi per raggiungere Dio attraverso la
devozione, lo yoga e la meditazione, ogni individuo deve generare una forte
spinta verso l’alto per potersi liberare dall’attrazione dei desideri e degli
attaccamenti terreni.
Nella precedente lezione abbiamo parlato della concentrazione nel punto
tra le sopracciglia. Questo centro, conosciuto come “centro cristico”,
potrebbe essere definito come la “luna” interiore dell’uomo, la sede della
sua consapevolezza divina. Tuttavia molti praticanti di yoga, pur dirigendo
lo sguardo sinceramente e a lungo verso questo punto, nella speranza di
concentrarvi la loro consapevolezza, non ottengono alcun risultato e
rimangono saldamente ancorati a terra. Per trascendere la coscienza della
materia, devono generare consapevolmente una “spinta” maggiore verso
l’alto.
Tutto ciò che fai per accrescere il flusso ascendente dell’energia nel
corpo mentre mediti, agevolerà anche i tuoi tentativi di concentrarti nel
centro cristico. La tua attenzione, infatti, è la tua energia. Ciò significa che
la quantità della tua concentrazione dipende interamente dalla quantità
dell’energia coinvolta. Il risveglio divino ha luogo quando tutta la nostra
energia viene indirizzata verso l’alto e viene concentrata nel punto fra le
sopracciglia. È questo ciò che intendeva dire Gesù quando affermò:
«Amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua forza».*
La prima battaglia, comunque, consiste solo nel generare un flusso
ascendente abbastanza forte da liberarci dall’attrazione della materia. Per
raggiungere questo risultato sono necessarie tre cose: 1) evitare azioni e
stati di coscienza che attirino l’energia verso il basso; 2) nutrire
un’aspirazione devozionale; 3) praticare tecniche specifiche per elevare
l’energia nel corpo.
Per comprendere che cosa attiri l’energia verso il basso, è utile
soffermarci brevemente sul rapporto tra identificazione con la materia e
consapevolezza, poiché l’aumento dell’una comporta sempre una
diminuzione dell’altra. Gli individui rozzi e materialisti sono meno
coscienti, anche solo di questo mondo, di coloro che vivono per la maggior
parte del tempo nella coscienza delle realtà spirituali. Nelle manifestazioni
più materiali dello Spirito – le rocce e i minerali – la coscienza è così ridotta
da essere quasi interamente latente. (È per questo che le Scritture
dell’Induismo affermano che «Dio dorme nelle rocce».) Al contrario,
sebbene lo yogi illuminato consideri essenzialmente inesistenti la materia e
qualsiasi tipo di forma, la sua coscienza è assoluta. Per formulare questa
verità, possiamo dunque affermare che la consapevolezza aumenta in
proporzione inversa al grado di identificazione con la materia o con la
forma.
Se vuoi liberare quindi la tua energia dall’attrazione della materia, evita
in particolar modo tutto ciò che ottenebra la mente, nonché tutto ciò che
aumenta la sua identificazione con i sensi. La pigrizia, il dormire troppo, la
vaghezza mentale o la mancanza di interesse, la noia, perfino l’egoismo,
l’odio e l’orgoglio (che limitano la percezione) devono essere guariti con
quotidiane iniezioni mentali di acuto interesse ed entusiasmo, di gentilezza,
perdono e dimenticanza di sé nel servizio agli altri. Ovunque predominino i
primi, infatti, l’energia si muove automaticamente verso il basso, mentre
quando sono gli altri a prevalere, si dirige senza sforzo verso il cervello.
Ovviamente, anche l’autocontrollo è importante, nonché l’identificarsi
sempre meno con i sensi e sempre più con l’anima. Anche se attraverso i
sensi sperimentiamo il piacere, e quindi una certa consapevolezza, se ci
rivolgeremo continuamente ad essi per trovare degli stimoli, diverremo a
lungo andare sempre più intorpiditi. Al contrario, il progressivo abbandono
dei piaceri dei sensi, lungi dal produrre uno stato di noia, permette alla
coscienza di elevarsi talmente in alto che la noia (un’esperienza assai
frequente per la persona sensuale) diventa semplicemente inimmaginabile.
Si può risvegliare l’aspirazione devozionale con il canto, il servizio (o,
nella meditazione, con un atteggiamento di servizio), con l’abbandono al
Signore e la contemplazione delle qualità divine che risvegliano in noi il
Suo ricordo.
Per quanto riguarda le tecniche che ci aiutano a elevare l’energia
interiore, si può dire in un certo senso che tutte le tecniche dello yoga hanno
questo scopo.
Ecco comunque alcuni semplici esercizi che potranno esserti utili:
1) Strofina lievemente le dita sullo stomaco nudo con un movimento rapido
e sciolto del polso. Con profonda concentrazione, le mani possono essere
trasformate in potenti magneti. Mentre strofini le dita verso l’alto, senti
che stanno attirando l’energia dalla parte bassa del corpo verso il
cervello.
2) Metti quindi i pollici contro la testa, tra la parte posteriore dei lobi e la
parte inferiore delle orecchie. Poni il resto della mano a coppa intorno
alla testa, senza toccarla, con le dita rivolte verso la sommità del capo.
Porta ripetutamente le mani in avanti (di nuovo, con un movimento
sciolto del polso), attirando magneticamente l’energia attraverso il
cervello fino al punto tra le sopracciglia.
3) Siediti eretto in una posizione comoda per la meditazione. Inspira
lentamente e profondamente, e senti che il respiro agisce come un
magnete, attirando l’energia dalla parte inferiore del corpo fino al punto
tra le sopracciglia. Concentra respiro ed energia in quel punto, contando
mentalmente fino a 12. Espira. Poi ripeti l’esercizio, concentrandoti un
po’ più a lungo nel centro cristico (contando fino a 25, se riesci a farlo
senza sforzo); concentra tutto il tuo essere in quel punto. Espira.
Inspira nuovamente, concentrandoti ancora un po’ più a lungo (contando
fino a 40, se ciò non comporta sforzo).
Dimentica il respiro e il corpo e pensa solo a focalizzare sempre più
profondamente l’energia e la consapevolezza nel centro cristico, la sede
della coscienza divina in te.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Le affermazioni, prima parte

Chi sei tu? Che cosa sei? Da un punto di vista superficiale, possono
sembrare domande facili. Una persona spiritualmente inconsapevole
potrebbe rispondere: «Mi chiamo Teodosio Pendleton. Mio padre era Joe
Smith. Ho fatto lo spazzino fino a quando Sally Schuss, giornalista di riviste
scandalistiche, mi ha scoperto. Adesso raccolgo pettegolezzi per lei. Sono
un buon americano, perché sono nato in America. Mi piace il divertimento
pulito. Per questo mi lavo sempre le mani dopo aver fatto a botte con
qualcuno in una lurida scazzottata!».
No, no, Teodosio, non negare il tuo segreto splendore: nonostante intere
incarnazioni indichino il contrario, anche tu sei Lui!
L’uomo sbaglia quando si identifica con la forma: le forme cambiano,
ma lo spirito interiore dell’uomo rimane immutato. «Questo Sé non è mai
nato» afferma la Bhagavad Gita «né mai perirà. Una volta esistente, non
può cessare di esistere. È senza nascita, eterno, immutabile, sempre se
stesso. Non è ucciso quando il corpo viene ucciso … Questo Sé non può
essere ferito da un’arma, bruciato dal fuoco, bagnato dall’acqua né inaridito
dal vento. L’anima è immortale, onnipervadente, sempre calma, immobile,
eterna» (II 20,23,24).
Com’è possibile per questo Sé immortale, divino, assumere travestimenti
così miserevoli come quelli che vediamo ovunque intorno a noi? Peggio
ancora, perché i nostri stessi specchi sono così poco gentili con noi?
Fondamentalmente, tutto è coscienza. Per potersi manifestare come
creazione cosmica, lo Spirito Supremo ha dovuto dare vita a ogni forma
nell’universo pensandola. Le vibrazioni di pensiero, oscillando in modo più
grossolano, sono diventate energia; e quell’energia, vibrando in modo ancor
più grossolano, ha assunto la parvenza della materia. Le molteplici forme
della creazione sono solo apparenze, null’altro. In realtà, tutto è Spirito;
tutto è coscienza.
Riconoscendosi come coscienza, e non come un corpo fisico, l’uomo
può manifestare il potere creativo come lo Spirito stesso. La schiavitù,
tuttavia, risulta dal fatto che l’atto creativo è un atto di divenire; non è mai
una manifestazione di qualcosa dal nulla. L’artista rende oggettive le
vibrazioni della sua coscienza quando dipinge; l’architetto solidifica i suoi
pensieri negli edifici che crea. Nell’atto di creare, l’uomo in un certo senso
diventa la sua creazione. Quando agisce, egli diventa le sue azioni, perfino
al punto da rifletterle nel suo corpo e nella sua personalità.
Al tempo stesso, la coscienza fondamentale dell’uomo non è
irrevocabilmente legata a nessuna di queste azioni: tutto ciò che è stato fatto
può essere disfatto. L’uomo che, pensando e agendo ripetutamente come un
criminale, diventa un criminale, deve solo cominciare a pensare e ad agire
in tutto e per tutto come un santo, per diventare santo. Nel profondo di noi
stessi, infatti, non siamo i ruoli oggettivi con i quali ci identifichiamo. Nella
nostra realtà interiore, non siamo americani o francesi, giovani o vecchi,
amanti dell’arte o delle cose pratiche, onesti o disonesti. Di fatto, non
abbiamo sesso; niente può farci stare bene o male; perfino la nascita e la
morte non sono che apparenze. La nostra coscienza si manifesta soltanto in
modi diversi per qualche tempo; quella è l’unica dimensione del suo
divenire. L’anima umana compie, nel suo microcosmo, ciò che la coscienza
assoluta dello Spirito compie su scala infinita quando diviene lo sconfinato
universo. In entrambi i casi, gli atti del nostro divenire altro non sono che i
diversi stampi in cui la coscienza, come un fluido informe, sceglie di
riversarsi per qualche tempo.
Questo paragone tra la creatività umana e quella divina è importante,
perché, se abbiamo chiaro in che modo lo Spirito si è manifestato come
creazione, possiamo meglio comprendere anche gli atti del nostro divenire e
come, quindi, poter cambiare le abitudini o perfino le apparenti limitazioni
fisiche. In verità, dato che in essenza noi stessi siamo Spirito, se riusciamo a
penetrare abbastanza profondamente fino al centro del nostro essere e a
percepirci come pura coscienza, possiamo manifestare questo potere con la
stessa perfezione dello Spirito.
L’universo materiale è essenzialmente coscienza. Il suo inizio non è nella
forma, ma nel pensiero. Il pensiero è la vibrazione più sottile della
coscienza divina. Allo stesso modo, le limitazioni fisiche dell’uomo hanno
tutte origine nel pensiero.
L’universo di pensiero, conosciuto come universo causale, a un livello
più grossolano di vibrazione si manifesta come energia, l’universo astrale.
Analogamente, i pensieri interiori dell’uomo devono essere energizzati
prima di poter essere tradotti in azione esteriore.
La materia, infine, come ci dice perfino la scienza, è solo una
manifestazione di energia. Anche le circostanze fisiche dell’uomo, così
come il suo comportamento abituale, dipendono da precedenti attività
dell’energia.
Uno dei miei compagni di università aveva l’abitudine poco felice di
giustificare le sue debolezze, quando qualcuno gliele faceva notare,
attribuendone la colpa ai genitori: «So di essere debole» si lamentava
tristemente «ma vedi, ho avuto una madre prepotente». Oppure: «Come
posso avere più fiducia in me stesso, se i miei genitori hanno sempre
preferito mio fratello maggiore?». È vero che le nostre circostanze esterne
sono spesso il risultato – la “materializzazione” – delle energie degli altri,
oltre che delle nostre. È anche vero, però, che noi attiriamo quelle energie a
seconda della qualità di energia che noi stessi, per primi, emaniamo.
Bernard, un mio confratello discepolo a Mount Washington, aveva la
tendenza a rimanere coinvolto in incidenti automobilistici. Il nostro guru gli
consigliò di stare più attento.
«Ma Maestro» protestò Bernard, colpito nell’orgoglio «nessuno di questi
incidenti è avvenuto per colpa mia! Una macchina mi ha tagliato la strada
da dietro e mi è piombata addosso. Un’altra mi ha tamponato perché è
passata col rosso. Per due volte, qualcuno è andato a sbattere contro la mia
auto mentre era ferma in un parcheggio!».
«Devi fare più attenzione» ripeté il Maestro, per nulla impressionato da
quelle spiegazioni.
Bernard pensò che il Maestro volesse semplicemente fare il difficile. Un
giorno, però, si rese conto di avere davvero un atteggiamento poco attento.
Con stupore, quando cambiò comportamento vide che quegli incidenti,
apparentemente privi di legami tra loro, non si verificarono più.
La tua vita – tutta la tua vita – è la manifestazione esteriore della tua
coscienza attraverso l’energia che tu stesso generi. Perfino gli eventi
inaspettati o indesiderati sono attratti da qualche atteggiamento della tua
mente. Bisogna infatti comprendere che la nostra coscienza opera a vari
livelli, molti dei quali sono troppo profondi per un riconoscimento cosciente
e immediato.
È questa, in verità, la difficoltà maggiore che incontriamo quando
vogliamo cambiare noi stessi o le circostanze esterne: non siamo sempre
consapevoli delle profonde correnti di coscienza che hanno reso la nostra
vita ciò che essa è. Come possiamo dunque modificarle?
Divenirne completamente consapevoli tramite la meditazione profonda è
il metodo più sicuro e più diretto. Se puoi estirpare tutte le radici di
un’erbaccia, potrai rimuovere ogni possibilità che essa ricresca. Scavare
così tanto, però, non è sempre facile; per il giardiniere inesperto potrebbe
essere addirittura impossibile. In quel caso, sarà necessario applicare metodi
meno diretti: versare del diserbante su tutta l’area, ad esempio, o piantare un
altro tipo di vegetazione, sufficientemente forte da soffocare l’erbaccia.
Allo stesso modo, si possono usare metodi indiretti per cambiare abitudini o
schemi di pensiero subconsci.
Nella sua essenza, l’anima è sempre libera. Anche se l’identificazione
con certi schemi di pensiero limita la sua libertà, i pensieri stessi possono
fluire piuttosto liberamente. È solo quando diventano sufficientemente
focalizzati da generare un flusso di energia che noi iniziamo a essere
vincolati a un particolare tipo di autodefinizione o autolimitazione. Quando
poi quel flusso di energia si traduce in un’azione esteriore, il vincolo
mentale, per così dire, si solidifica; è a questo stadio che diventa assai
difficile romperlo.
Quando si vuole eliminare un’erbaccia particolarmente ostinata, con
radici molto profonde, è necessario innanzitutto distruggere la pianta in
superficie. Allo stesso modo, per distruggere le cattive abitudini bisogna
dapprima evitarne il più severamente possibile le manifestazioni esteriori,
nonché tutto ciò che ci stimola a volerle esprimere esteriormente. Non
lasciarti ingannare da coloro che esclamano con scherno: «Oh, è tutto nella
mente!». Certo che lo è! Ed è proprio quello il posto peggiore in cui
potrebbe essere. Per cambiare gli schemi di pensiero dannosi bisogna
innanzitutto evitare di manifestarli esteriormente.
Come passo successivo, dobbiamo caricare la mente di energia in
direzioni nuove e positive.
Ci si potrebbe chiedere: «Ma è giusto reprimere le proprie abitudini
negative? La repressione non è forse la causa dell’umana sofferenza?». Beh,
forse è meglio avere delle erbacce piuttosto che non avere erba! Se ci
limitiamo ad astenerci da una cattiva abitudine senza sostituirla con una
nuova e migliore, il prato della nostra vita potrebbe veramente diventare
desolato e poco interessante. La coscienza dell’anima, infatti, non sarà
libera di volare nella libertà infinita; le vecchie radici del desiderio
rimarranno semplicemente assopite. Per cambiare la metafora, se
impediamo alle vecchie energie di fluire e di esprimersi esteriormente, è
come se le facessimo ristagnare dietro una diga; se vengono alimentate
continuamente da nuovi pensieri, esse possono crescere fino a rompere
quella diga, riversandosi all’esterno in canali di comportamento da lungo
tempo prosciugati e con un vigore tale da creare un’inondazione distruttiva.
Se si fosse permesso all’energia di fluire con moderazione nei suoi vecchi
canali attraverso i campi della vita, si sarebbe per lo meno potuto contenerla
entro i giusti limiti.
È per questo che le grandi religioni sottolineano l’importanza della
moderazione in ogni cosa. Le persone mondane, tuttavia, non comprendono
che le loro caratteristiche più superficiali non rappresentano la loro vera
identità. Esse scambiano erroneamente l’energia che fluisce nei canali delle
vecchie abitudini per le abitudini stesse. Così come l’acqua di una cisterna
può essere ridiretta verso nuove condutture, allo stesso modo l’energia che
dà vita a una vecchia abitudine negativa può essere usata per animarne una
nuova. In questo caso, non vi sarà alcuna repressione. L’importante è
ricordare che quanto più sapremo dirigere la nostra energia entro canali
positivi, tanto più proveremo un senso di libertà e gioia interiore.
L’azione tiene l’anima legata nella misura in cui rappresenta
un’affermazione di schiavitù. Ogni volta che compiamo un atto egoistico,
noi affermiamo, più o meno deliberatamente: «Io sono questo ego, questo
corpo». Il modo per uscire da quel pensiero è compiere azioni generose, che
affermino: «Io sono più di questo ego e di questo corpo! Il mio benessere
include quello degli altri. Il mio vero Sé è il Sé di tutti!».
L’azione, di per sé, non rende necessariamente schiavi. Le azioni
compiute soprappensiero, ad esempio, non legano o definiscono la nostra
anima tanto quanto quelle che vengono commesse con attenzione
focalizzata. Un impiegato di banca può muovere il braccio durante il corso
della giornata con la stessa frequenza con cui svolge le diverse mansioni del
suo lavoro; tuttavia, poiché il movimento del braccio è automatico mentre
quelle azioni sono deliberate, probabilmente non penserà mai a se stesso
come a “colui che muove il braccio”, mentre col tempo potrà invece
arrivare a definirsi “un bancario”. Similmente, l’azione compiuta senza
attaccamento tende meno a essere vincolante.
Arriviamo dunque a una scoperta incoraggiante, poiché la maggior parte
delle nostre azioni è priva della forza di un’affermazione positiva. Non è
probabile sentire l’impiegato di banca mormorare da mattina a sera: «Sono
un bancario. Sono un bancario! Sono un bancario!». Piuttosto, questa
definizione si insinuerà in lui quasi di soppiatto, nel corso degli anni e anni
passati a svolgere fedelmente il suo lavoro. Allo stesso modo, chi indulge in
azioni egoistiche o comunque mondane, lo fa solitamente per il piacere che
ne trae; l’affermazione che ne deriva non è deliberata, e si rafforza soltanto
quando la si associa ripetutamente all’azione. Ecco dunque la notizia
incoraggiante: affermando con forza e determinazione delle qualità
positive, con piena consapevolezza e profonda concentrazione, è possibile
sciogliere nel giro di pochi minuti gli effetti negativi di tutta una vita!
Questo è vero anche per gli stati di coscienza spirituali. Paramhansa
Yoganandaji disse una volta: «Il semplice pensiero di non essere libero ti
impedisce di essere libero. Se tu potessi rompere completamente quel
pensiero anche solo una volta, la tua anima sarebbe libera per sempre!».
Daniel, un mio confratello discepolo, gli chiese allora: «Ma signore, se
io dicessi: “Sono libero”, certamente non lo sarei così facilmente, vero?».
«Oh, sì!» rispose il Maestro. «Ma» aggiunse «il guaio è che hai già
compromesso le tue probabilità quando hai detto: “Non lo sarei”». In altre
parole, dobbiamo rafforzare la mente nella sua affermazione di stati
spirituali, percependoli direttamente nella meditazione. Perfino dopo averli
percepiti, tuttavia, dobbiamo affermare la nostra identità con essi, o
dimorare costantemente nel pensiero di tale identità. È possibile dissolvere
in un solo istante le illusioni di molte incarnazioni, anche se per svolgere
questo enorme compito la volontà deve essere profondamente in sintonia
con l’onnipotente volontà di Dio.
Tramite profonde affermazioni è possibile sviluppare tutte le qualità
mentali, e perfino talenti particolari. Il mio guruji chiese una volta a un
artista molto conosciuto quanto tempo avesse impiegato per diventare
maestro nella sua arte. «Vent’anni» rispose l’uomo. «Intende dire» chiese il
Maestro «che le ci sono voluti vent’anni per convincersi di saper
dipingere?». Indignato, l’artista rispose: «Vorrei proprio vederla fare
altrettanto nel doppio del tempo!». Tuttavia, in una settimana il Maestro
dipinse un quadro che l’artista stesso fu costretto a giudicare migliore di
quello che egli aveva dipinto sullo stesso soggetto.
Non importa che cosa desideri diventare: di’ a te stesso, con forza, che lo
sei già. Ancora una volta, evita il più possibile tutte le influenze che
possano suggerire alla tua mente il contrario (ma non rifiutarle con così
tanta forza da farle diventare ancora più importanti; piuttosto, cerca
semplicemente di rimanere indifferente). Soprattutto, evita la compagnia di
persone deboli o negative, poiché esse diluiranno la forza delle tue
affermazioni. Se, a causa del potere delle vecchie abitudini, non riesci
ancora a trattenerti dal compiere azioni sbagliate, cerca almeno di non
identificarti mentalmente con esse e afferma al tempo stesso, con sempre
più vigore, le tue qualità positive.
Non definirti mai peccatore; questo, ha detto Yoganandaji, è il peccato
peggiore. Anche se le tue illusioni fossero antiche quanto l’universo, non
sono te. Perché, allora, affermarne la realtà? Aggrappandoti alla bontà che è
in te – anche al più fioco barlume che riesci a intravedere nell’oscurità –
riuscirai alla fine a bandire il peccato come se non fosse mai esistito.
Ho detto «alla fine»? Perché alla fine, se le abitudini possono essere
cambiate in pochi minuti? Il problema è che in quei pochi minuti bisogna
riuscire a generare nella propria affermazione una forza pari a quella
accumulata in molti anni di azioni sbagliate. Anche se quelle azioni sono
state compiute distrattamente, possono comunque aver accumulato un
grande potere. Per questo motivo, può essere necessario ripetere le
affermazioni per un certo periodo di tempo, prima di poter scacciare per
sempre un’illusione. Il principio resta comunque valido. Quanto più grandi
saranno il vigore, la concentrazione e la fede con cui affermerai qualunque
qualità desideri sviluppare, tanto più rapidamente realizzerai le tue
aspirazioni.
È necessario sottolineare un ulteriore punto. È probabile che tu abbia
incontrato persone che, sforzandosi di convincerti della loro sincerità,
gesticolano, agitano le mani enfaticamente, parlano ad alta voce e giurano
su tutto ciò che splende sotto il sole. Persone simili sono di solito meno
sincere di quelle che parlano con calma e senza gesticolare. L’esibizione
esteriore aiuta a risvegliare e a canalizzare l’energia (in se stessi così come
negli altri), ma l’offerta completa della propria energia deve sgorgare da
ogni livello del proprio essere. Molti di questi livelli, come ho già spiegato,
sono profondi, troppo profondi per poter essere raggiunti da un rumore
assordante. Solo la profonda concentrazione è in grado di penetrarli; e la
profonda concentrazione richiede il silenzio e l’immobilità della mente e del
corpo.
Quando qualcuno ha qualcosa da dire in una stanza piena di gente
rumorosa, all’inizio può dover urlare per richiamare l’attenzione. Tuttavia,
se continua a gridare dopo che tutti hanno fatto silenzio, cadrà nel ridicolo e
gli altri saranno troppo distratti dal rumore che sta facendo per poter
ascoltare il suo messaggio. Lo stesso vale per le affermazioni, poiché la
mente di molte persone è un frastuono di pensieri irrequieti.
All’inizio, per attirare l’attenzione della mente cosciente, può essere
necessario affermare ad alta voce. Affinché le affermazioni siano veramente
efficaci, però, devono penetrare nel subconscio e modificarne gli schemi.
Per fare questo è necessario entrare profondamente in se stessi. Le
affermazioni ad alta voce devono lasciare il posto ai sussurri e quindi ad
affermazioni mentali sempre più profonde, che raggiungeranno infine il
subconscio. Le affermazioni diventano potenti nella misura in cui si riesce a
farle risuonare nelle profondità interiori. Per raggiungere il massimo della
loro efficacia, devono penetrare perfino al di là del subconscio, fino alla
supercoscienza. Nella prossima lezione parlerò ulteriormente degli aspetti
pratici delle affermazioni.

Posizioni yoga

Come abbiamo già visto, esiste una connessione tra la postura fisica e
l’atteggiamento mentale. Molte posizioni dell’Hatha Yoga sono collegate a
specifici atteggiamenti salutari della mente. Tutte le posture aiutano in
modo generale a produrre pace interiore, appagamento e armonia spirituale.
Mentre pratichi ogni posizione, non limitarti a chiederti: «I libri cosa dicono
che dovrei sentire in questa postura?». Percepisci, piuttosto, qual è il
significato complessivo della postura per la tua coscienza interiore. Mentre
muovi una mano, senti che la tua mente si sta muovendo con essa.
Percepisci, ancora più profondamente, il rapporto tra il movimento esterno e
i movimenti interiori dell’anima.
Quando Buddha tenne il suo primo sermone a Sarnath, i primi ascoltatori
e discepoli furono i suoi vecchi compagni, che lo avevano considerato
un’anima caduta. Egli aveva abbandonato le austerità che aveva praticato in
loro compagnia ed era andato a cercare ciò che in seguito avrebbe chiamato
il “sentiero di mezzo”. Quando lo videro per la prima volta a Sarnath, fu da
lontano. All’inizio cominciarono ad andarsene da quel luogo per non essere
infettati dalla “cattiva” presenza di uno che aveva, come loro pensavano,
smarrito il sentiero. Si può dire, quindi, che Buddha abbia predicato il suo
primo sermone non a parole, ma con il vibrante potere della sua presenza
spirituale. Fu infatti qualcosa nel modo in cui stava seduto o camminava
che li indusse ad ascoltare ciò che aveva da dire. Il suo primo sermone fu
dunque trasmesso in maniera inconscia, dai movimenti naturali di un corpo
la cui anima immanente era in pace.
Osserva i movimenti di una persona e pensa a essi come a una forma
sottile di comunicazione. Può non essere un concetto nuovo per te.
Probabilmente ti è capitato di osservare con una certa frequenza la tensione
nervosa nelle mani di una persona che è indecisa, lo sguardo rivolto in alto
di una persona che è felice o ispirata, lo sguardo laterale, leggermente
rivolto in basso, di una persona intelligente che sta soppesando
mentalmente una questione. Una persona sensibile è in grado di dire molte
cose sugli altri semplicemente osservando il loro modo di camminare, di
stare in piedi, di sedersi o di sorridere.
Ogni volta che un pensiero arriva alla mente, qualche messaggio (anche
solo una sorta di “straripamento psichico”) viene inviato al corpo. Differenti
parti del cervello stimolano diverse parti del corpo. Quando un particolare
pensiero perviene alla mente, esso determina un flusso di energia verso le
corrispondenti parti del cervello. Questa stimolazione invia a sua volta
messaggi alle parti del corpo correlate. Quando una persona sperimenta la
paura, per esempio, la stimolazione del centro della paura nel cervello
determina l’invio di impulsi al cuore, il quale accelera l’incremento del
flusso dell’adrenalina e la tensione dei muscoli che potrebbero essere
impiegati per l’autodifesa o la fuga.
Allo stesso modo, uno stato di rapimento spirituale fa automaticamente
concentrare l’energia nella parte frontale del cervello. La stimolazione di
questa parte del cervello invia al corpo dei messaggi di natura molto diversa
da quelli nati a seguito della paura: il cuore rallenta, il respiro diventa
calmo, il corpo intero si rilassa.
I movimenti della coscienza si riflettono in vari movimenti fisici.
Tuttavia, è vero anche il contrario: il movimento fisico a sua volta influenza
la mente. Una persona nervosa si muoverà con irrequietezza, uno dei segni
di un sistema nervoso squilibrato. Quell’irrequietezza, tuttavia, influenzerà
la mente al punto tale da renderla ancora più nervosa. Vediamo in questo
caso l’intensificazione di un processo simile al feedback che avviene
quando un microfono e un altoparlante vengono entrambi accesi e lasciati
uno di fronte all’altro. Non è che il corpo ha potere in se stesso: la mente
diventa più nervosa semplicemente perché un feedback nervoso dal corpo
l’aiuta a riaffermare il suo stesso nervosismo. Mantenere semplicemente il
corpo fermo farebbe ben poco per migliorare la propria condizione mentale.
Tuttavia, se si desidera sinceramente migliorare la propria mente, le
posizioni e i movimenti armoniosi del corpo possono essere di grande aiuto.
Una persona che stia cercando di sviluppare la calma interiore può
incontrare l’opposizione da parte di un corpo che è stato abituato, attraverso
anni di nervosismo, a rimanere costantemente teso. Anche se a livello
superficiale la mente sta affermando la calma, le abitudini subconsce,
rinforzate da una tensione fisica protratta, possono effettivamente bloccare
le sue attuali flebili affermazioni di pace. Le tensioni fisiche continueranno
a ritrasmettere impulsi di tensione al cervello, disturbando proprio la mente
con la quale la persona sta cercando di liberarsi dalla confusione mentale.
Questo è il grande ostacolo a tutte le affermazioni: la mente è già avvelenata
dalle illusioni che sta cercando di rinnegare.
Uno sforzo deliberato di armonizzare il corpo e la mente può essere
quindi un aiuto inestimabile nel rinforzare le proprie affermazioni mentali
di armonia. Questo sforzo deve, ovviamente, essere intenzionale. Aspettarsi
che le posizioni del corpo cambino automaticamente il proprio
atteggiamento mentale sarebbe ingenuo, poiché la mente è la causa ultima.
Sarebbe (come ho affermato nel mio libro Ananda Yoga per una
consapevolezza più elevata) come cercare di placare un gatto con il latte
mentre si continua a pestargli la coda. Tuttavia, ove la risoluzione mentale
sia ferma, la postura fisica può rappresentare un incredibile aiuto in quella
risoluzione.

SASAMGASANA
(la posizione della Lepre)

«Sono maestro della mia energia, sono maestro di me stesso».


Da Balasana (prima lezione), porta le mani indietro e afferra i talloni,
con le dita della mano sulla parte interna del piede, rivolte verso l’altra
mano.
Avvicina il più possibile la fronte alle ginocchia in maniera comoda e
appoggia la testa a terra.
Inspira, solleva le natiche ed estendi le braccia. Appoggia solo una
piccola parte del peso del corpo sulla sommità della testa; quasi tutto il peso
dovrebbe rimanere sulle gambe. Respira naturalmente. Dovresti sentire un
allungamento nelle spalle, tra le scapole, nella parte anteriore delle ascelle e
lungo le braccia fino alle dita.
Sii molto consapevole dell’energia che si manifesta nella posizione.
Afferma mentalmente: «Sono maestro della mia energia, sono maestro di
me stesso».
Per uscire dalla posizione, espira e rilassa le mani ritornando in
Balasana. Fai una pausa per godere del rilassamento che ora si espande.
Dirigi l’energia liberata verso la spina dorsale e verso l’alto.

Benefici: questa posizione e la successiva rappresentano dei buoni


esempi dei principi che ho sottolineato più sopra. Quando la mente è
impaziente di entrare in attività, vengono inviati messaggi a quelle parti del
corpo che rendono possibile l’attività esterna. Compaiono tensioni nelle
spalle (in modo particolare nella parte anteriore delle ascelle), tra le scapole
e nelle braccia. Allungando e poi rilassando queste parti, Sasamgasana
aiuta a liberare la mente dal “feedback” proveniente dal corpo, il quale
suggerisce che si dovrebbe essere continuamente impegnati a fare qualcosa.
Sasamgasana è una buona posizione da praticare prima della
meditazione.

Precauzioni
• Se soffri di problemi cardiovascolari, fai attenzione a mantenere il
respiro fluido e a evitare sforzi.
• In presenza di problemi agli occhi, alle orecchie e ai seni frontali, la
posizione può essere consigliabile, neutra o controindicata a seconda
delle condizioni.

Controindicazioni
• Non fare la posizione dopo il primo trimestre di gravidanza.
• La posizione è controindicata per molte lesioni spinali.

SUPTA-VAJRASANA
(la posizione Stabile supina)

«Movimento energico o pace immutabile:


la scelta è solo mia! La scelta è mia!».

Da Vajrasana (sesta lezione), piegati all’indietro e posiziona i palmi


delle mani a terra dietro ai piedi, aperti quanto le spalle e con le dita delle
mani che puntano verso i piedi. Alza il bacino e spingi il pube in avanti;
poi, mantenendolo in questa posizione, siediti nuovamente sui talloni.
Lentamente piega i gomiti, abbassandoli verso il pavimento. Scendi solo
quanto è comodo per te.
Mentre scendi nella posizione, continua ad allungare la spina dorsale e a
spingere il pube in avanti per proteggere la zona lombare. Mantieni le spalle
lontane dalle orecchie. Se le ginocchia cominciano ad aprirsi verso l’esterno
o ad alzarsi da terra, dovrai scendere di meno per evitare che questo accada.
Quando avrai raggiunto la posizione finale, mantieni il mento chiuso
verso il petto oppure rilassa la testa verso il pavimento, senza chiudere la
cervicale.
Se i gomiti raggiungono comodamente terra e se vuoi entrare più
profondamente nella posizione, comincia a far scivolare i gomiti verso le
anche, abbassando le spalle verso il pavimento. Se riesci a scendere
completamente, allunga le braccia oltre la testa.
Respira dolcemente e naturalmente nella posizione, e mentalmente
afferma: «Movimento energico o pace immutabile: la scelta è solo mia! La
scelta è mia!».
Quando esci da Supta-Vajrasana, non riportarti seduto, ma rotola su un
fianco, distendi lentamente le gambe e sdraiati comodamente in Savasana,
la posizione del Cadavere. Riposando in questa postura, ripeti
l’affermazione e senti che ti stai immergendo pacificamente nel centro del
tuo essere.
Per entrare più profondamente nella postura, è importante che tu sia
rilassato. Pertanto, se questa posizione è troppo difficile per te, sarebbe bene
che ti aiutassi con un piccolo sostegno sul quale appoggiare le spalle,
anziché sforzarti di mantenerti il più possibile sollevato all’indietro con il
corpo. In qualunque posizione ti rilassi, sia appoggiandoti sulla sommità
della testa sia su un piccolo sostegno, ti accorgerai che dopo un periodo di
circa 30 secondi sarai in grado di piegarti ulteriormente all’indietro. Con il
rilassamento progressivo potresti scoprire, con tua sorpresa, che dopo tutto
la posizione Supina completa non è poi così difficile.
Una variante è di intrecciare le dita delle mani sotto la testa.

Benefici: anche la parte inferiore del corpo tende a essere soggetta a


tensioni in conseguenza della propensione della mente a essere sempre
attiva e indaffarata. Ogni impulso del genere da parte della mente, per
quanto timido, trasmette corrispondenti impulsi alle cosce, ai muscoli della
parte anteriore delle gambe, ai piedi. Queste tensioni spesso permangono
anche dopo che la mente si è spostata su altri pensieri. Impulsi reiterati
creano un graduale accumulo di tensione in quelle parti fino al punto in cui,
come bambini indisciplinati, esse gridano per attirare l’attenzione, spesso
soffocando tutti i desideri opposti nella mente cosciente. Il devoto che
medita può desiderare di stare seduto immobile, rapito nella pace interiore,
ma le tensioni nelle gambe continuano a gridare, vociferando nel silenzio e
spingendolo a essere attivo e indaffarato, fino a quando, disperato, egli non
abbandona la meditazione.
Supta-Vajrasana rilassa le gambe e prepara il corpo alla meditazione
profonda. È anche eccellente per l’addome e per correggere i difetti
posturali.

Precauzioni
• Durante la gravidanza, è bene praticare solo brevemente e senza entrare
completamente nella posizione.
• Scendi solo finché puoi farlo senza provare alcun fastidio nella zona
lombare o nelle ginocchia.

VIPARITA KARANI
(la posizione Semplice capovolta)

«Svegliatevi, miei poteri assopiti, svegliatevi!».

Piega due coperte e sistemale sul pavimento. Sdraiati con la schiena


sopra le coperte, con le spalle circa 5 cm sotto il bordo delle coperte
piegate. Assicurati che le spalle e i gomiti siano completamente sulle
coperte.
Porta le braccia lungo i fianchi, con i palmi delle mani rivolti in basso.
Inspira e solleva le gambe in verticale. Lentamente e con controllo, solleva i
glutei premendo le mani e la parte posteriore delle braccia contro il
pavimento (non lanciarti in alto). Piega i gomiti e metti i palmi delle mani
sulle natiche, con le dita al coccige. Il tronco dovrebbe formare un angolo di
45° con il pavimento. Allungati verso l’alto con le gambe, che sono quasi
verticali. Respira in modo naturale.
Nota: Poiché un peso considerevole viene scaricato sui gomiti quando le
mani sono posizionate così in basso nel dorso, molti praticanti cedono alla
tentazione di portare le anche un po’ più in su e di appoggiare le mani sulla
parte centrale della schiena. Sebbene questo riduca la pressione sui gomiti,
tralascia tuttavia lo scopo specifico e principale di questa postura.
Concentrati sulla pressione delle mani nella parte inferiore della schiena e
senti che con questa pressione stai stimolando consapevolmente l’energia
Kundalini, facendola fluire in alto nella spina dorsale verso il cervello.
Afferma: «Svegliatevi, miei poteri assopiti, svegliatevi!».
Mantieni la posizione per circa 15 secondi all’inizio, aumentando
gradualmente il tempo fino a 5 minuti o più.
Esci dalla posizione con completo controllo: porta giù le ginocchia,
sopra il viso, poi lentamente porta le mani a terra e distenditi al pavimento,
appoggiando una vertebra dopo l’altra. Infine, riporta lentamente le gambe a
terra. Riposa in Savasana.

Benefici: esamineremo in maniera più approfondita nell’undicesima


lezione i benefici fisici e mentali delle posizioni capovolte. Sarebbe bene,
tuttavia, iniziare già adesso la pratica di mantenere il corpo capovolto per
un certo periodo di tempo. Questa posizione è importante per riportare il
corpo in una condizione di equilibrio. Considera quanto del tuo tempo
trascorri seduto o in piedi, lasciando che il sangue si accumuli nella parte
inferiore del corpo, spinto dalla forza di gravità. Non si tratta solo del
sangue: tutte le parti del corpo sono interessate da questa attrazione
gravitazionale. È quindi estremamente importante, per la salute e il
benessere generale, controbilanciare questa forza invertendo di tanto in
tanto la posizione del corpo.
Il principale beneficio spirituale di Viparita Karani è quello di stimolare,
con la pressione delle mani, l’energia alla base della spina dorsale. Per lo
yogi, il risveglio di questa energia (conosciuta come Kundalini) è della
massima importanza.
Viparita Karani può anche essere praticata come una mudra, una di
quelle posizioni dello yoga che hanno lo scopo di risvegliare le energie
sottili, senza le quali la realizzazione spirituale non sarebbe possibile.
Parleremo di questo aspetto della posizione in una lezione successiva,
quando affronteremo il tema di Kundalini. Tuttavia, poiché Viparita Karani
è così potente come mudra, non insegnerò agli studenti a praticarla
perfettamente in queste lezioni.

Precauzioni
• Non girare la testa di lato mentre sei nella posizione.
• In presenza di problemi agli occhi, alle orecchie e ai seni frontali, la
posizione può essere consigliabile, neutra o controindicata a seconda
delle condizioni.

Controindicazioni: in caso di problemi cardiovascolari (compresa la


pressione alta), evita la posizione. Non praticarla durante il ciclo mestruale
o dopo il primo trimestre di gravidanza.

Respirazione

Il respiro può essere usato anche in combinazione con affermazioni


mentali, per aiutare a sviluppare coraggio, calma, autocontrollo e altre
qualità mentali benefiche. Le affermazioni sono più efficaci se associate alla
fase di kumbhaka, con il respiro sia in ritenzione interna sia in ritenzione
esterna (anche se generalmente l’affermazione viene considerata più
efficace durante la ritenzione esterna).
Lo scopo delle affermazioni è quello di inviare pensieri positivi nella
mente subcosciente, modificando i suoi schemi di abitudine automatici. Il
momento migliore per affermare questi pensieri è quando la mente
subcosciente è aperta e ricettiva: quando si sta andando a dormire, per
esempio, o quando si passa lentamente dallo stato di sonno a quello di
veglia. Durante la meditazione profonda, le affermazioni possono esplicare
il massimo della loro efficacia. Il punto essenziale è che la mente cosciente,
sempre impegnata nei suoi piani e nelle sue razionalizzazioni, sia acquietata
in uno stato in cui non ostacolerà il flusso di suggerimenti diretto verso il
subconscio.
Poiché la mente subconscia è più aperta durante il sonno, gli yogi dicono
che è importante dormire in un ambiente armonioso e tra persone buone.
(Durante i miei viaggi in tutto il mondo è stato interessante osservare in
quale misura i diversi luoghi possono influenzare la mente durante il sonno.
Per esempio, anche se il mondo degli affari è sempre stato molto distante
dai miei interessi, ricordo di aver sognato una notte, in un hotel di Nuova
Delhi, che molti uomini d’affari mi facevano delle proposte redditizie! Il
giorno dopo ho scoperto che quel particolare hotel veniva usato quasi
esclusivamente da uomini d’affari per veloci visite di lavoro nella capitale.)
Quando si trattiene il respiro (sia in ritenzione interna sia esterna), la
mente tende con maggiore facilità a diventare calma e capace di entrare in
qualunque affermazione si sia scelta. L’espirazione, tuttavia, è associata con
l’abbandono della mente cosciente, sia nel sonno sia nell’estasi
supercosciente. Ecco perché, generalmente, è considerato preferibile fare le
affermazioni durante il periodo di pausa che segue l’espirazione. (È anche
possibile, tuttavia, fare un’affermazione positiva durante l’inspirazione e
sentire con l’espirazione che ci si sta liberando da tutte le debolezze e
negatività).

Durante la prossima settimana, pratica Nadi Shodhanam, la


Respirazione a narici alterne. È simile a Chandra Bedha Pranayama, ma
dopo aver espirato dalla narice destra, inspira immediatamente dalla stessa
narice ed espira dalla sinistra. Segui un ritmo respiratorio con un rapporto
1-2-2: conta fino a 4 inspirando, trattieni contando fino a 8 ed espira
contando fino a 8. Pratica questo ciclo complessivamente per 3 volte.

Sequenze

Esegui la stessa sequenza (o sequenze) della lezione sesta, facendo


seguire a Balasana (la posizione del Bambino) Sasamgasana (la posizione
della Lepre) e poi Supta-Vajrasana. Alla fine della pratica, appena prima di
entrare in rilassamento in Savasana, pratica Viparita Karani (la posizione
Semplice capovolta).
Guarigione
Problemi di peso

I problemi di peso non sono causati soltanto dalla quantità di cibo che si
mangia. Mi ricordo di aver letto che il vincitore di una gara “a chi mangia di
più”, un giovane uomo il cui apporto calorico giornaliero era quasi
incredibile, pesava solo 58 chili. Le persone in sovrappeso, per contro, non
sono sempre dei grandi mangiatori.
Nella scienza medica si prendono in considerazioni questioni quali la
ritenzione dei liquidi nel corpo, il tasso metabolico e così via. La scienza
dello yoga mette in luce una realtà più profonda, cioè che il corpo tende
gradualmente (e in modo più o meno perfetto a seconda della forza della
propria mente) a riflettere la coscienza interiore dell’individuo. Questo
rapporto va ben oltre la semplice e ovvia spiegazione che la mente influenza
la quantità di cibo che si mangia e, di conseguenza, il proprio peso.
Piuttosto, la mente agisce direttamente sul corpo attraverso l’energia.
Dirigendo questa energia in modo saggio, si può in effetti mettere su peso o
perderlo con il pensiero.
Non è necessario che aggiunga altro alle informazioni che sono già
ampiamente note in Occidente sui grassi e sugli altri alimenti che
influenzano il peso in una maniera puramente chimica. Ovviamente, meno
si mangiano alimenti pesanti, amidacei e altri carboidrati, minori probabilità
si hanno di ingrassare.
Uno degli insegnamenti dello yoga è espresso nell’antico
proverbio«Stokam stokam anekoda» (mangia poco e spesso). Gli abitanti
dell’isola di Bali seguono questa abitudine. È un fatto interessante, del
quale ho letto e che ho avuto modo di osservare personalmente, che nessun
abitante di quell’isola è in sovrappeso. Quando lo stomaco non è
sovraccaricato ma viene alimentato un po’ alla volta, può svolgere le sue
funzioni in maniera più efficiente.
Anche questa è una ragione per digiunare un giorno alla settimana: lo
stomaco ha bisogno di riposo ogni tanto, per poter funzionare in modo
efficiente.
Il peso corporeo è in parte sicuramente determinato dal karma che
l’individuo ha portato con sé dalle vite passate. Si può, tuttavia, mitigare il
proprio karma attraverso le giuste azioni e i giusti pensieri in questa vita.
Una buona postura per regolare il metabolismo del corpo, stimolando la
ghiandola tiroidea, è Sarvangasana (la posizione della Candela,
letteralmente la posizione di Tutto il corpo). Questa postura sarà insegnata
nell’undicesima lezione. Un’altra posizione, dagli effetti simili, è Halasana
(la posizione dell’Aratro). In entrambe queste posture, il torace viene spinto
indietro contro il mento, in modo che la gola sia fortemente compressa.
Questa pressione è di beneficio alla ghiandola tiroidea. Sarvangasana, in
particolare, è benefica per il mantenimento del giusto peso, per aumentare
di peso se si è troppo magri e per perdere peso se si è troppo grassi.
Per l’obesità, un’altra posizione raccomandata è Chakrasana (la Ruota).
Supta-Vajrasana e Vajrasana sono indicate per ridurre la pesantezza
nelle gambe.
Si è spesso affermato che non si dovrebbe bere durante i pasti e
nemmeno nella mezz’ora che precede o segue il pasto. Una ragione per non
farlo è che questa abitudine tende a causare un aumento di peso.
In caso di sovrappeso, è necessario stimolare le funzioni di eliminazione.
Uddiyana Bandha e Nauli (quest’ultimo sarà spiegato nella dodicesima
lezione) sono eccellenti per aumentare i poteri di eliminazione del corpo.
Anche la respirazione profonda aiuta a stimolare la peristalsi e perciò a
eliminare le tossine dall’intestino.

Alimentazione

I germogli di semi, specialmente di alfalfa e di fagiolo mungo (soia


verde), sono un’eccellente fonte di proteine e per questa ragione (se non
altro) sarebbero utili soprattutto per le persone che desiderano smettere di
mangiare carne. I germogli, in realtà, hanno anche molte altre virtù. I semi
contengono le sostanze nutritive condensate, l’essenza vitale della pianta. I
semi germogliati portano in vita questi elementi essenziali e forniscono
approssimativamente il quadruplo del contenuto di vitamine dei semi non
germogliati. In nessuno stadio della sua crescita successiva una pianta è così
traboccante di energia. Il medico H.E. Kirschner ha scritto nella rivista Let’s
Live: «Alla luce sia della pratica antica sia delle ricerche recenti, il mio
consiglio è quello di fare dei germogli la prima voce della vostra lista della
spesa».
I germogli hanno svolto un ruolo fondamentale nell’alimentazione
umana per migliaia di anni. Oggi stanno iniziando ad avere successo in
Occidente. Quelli che si vedono più spesso nei supermercati sono i
germogli sbiancati generalmente usati nella cucina cinese. Per sbiancare i
germogli, però, si impiega di solito l’ipoclorito di calcio, che rimuove la
clorofilla. Sebbene ciò sia utile per ritardare la formazione della muffa,
rimane ben poco del reale valore alimentare dei germogli. L’alfalfa è stato
definito il “legume delle meraviglie”. A tutt’oggi viene destinato
principalmente all’alimentazione degli allevamenti anziché agli esseri
umani, poiché la maggior parte della gente deve ancora essere istruita sulle
sue proprietà vitali. Si è scoperto che l’alfalfa contiene la maggior parte
delle vitamine necessarie all’alimentazione umana. È ricco di proteine
(circa l’80%). Contiene otto enzimi essenziali per la digestione e anche
importanti minerali sotto forma organica: calcio, magnesio, fosforo,
potassio, cloro, zolfo, sodio e alluminio. Si dice che l’alfalfa stimoli
l’appetito e renda profumato l’alito. Tutte queste proprietà vengono
potenziate quando l’alfalfa è assunto sotto forma di germogli.
I germogli di fagiolo mungo (soia verde) rientrano fra i cibi con il più
elevato tenore di proteine. Si dice che aiutino a mantenere la persona
giovane. Il fagiolo mungo è stato usato a lungo in Cina e India.
Puoi acquistare i germogli nei negozi di alimentazione naturale; puoi
anche farli crescere tu stesso. Il problema nel metodo fai-da-te è quello di
trovare dei semi che germoglino, poiché è possibile che alcuni semi siano
stati modificati. Certamente non tutti i semi che si comprano hanno
sufficiente vitalità per germogliare in modo adeguato.
Sono consigliati diversi metodi per far germogliare i semi. Può essere
necessario fare degli esperimenti per quanto riguarda la temperatura e la
quantità d’acqua. Potresti disporre i semi in uno strato sottile sul fondo di
un barattolo e coprirli con acqua, poi coprire il barattolo con una garza (che
si può fissare sul bordo con un elastico). Tieni il barattolo in un luogo buio.
(Si dice che la vitamina C aumenti più rapidamente al buio nei primi stadi
della germogliazione.) Se manterrai il barattolo al caldo, il processo di
germogliazione sarà accelerato.
Quando i semi avranno iniziato a germogliare, spostali in un luogo
luminoso. Scola l’acqua e mantieni i germogli umidi cambiando
frequentemente l’acqua. I germogli avranno un valore alimentare maggiore
se si eviterà di farli crescere troppo.

Impiego nei cibi


I germogli sono deliziosi nelle insalate, nelle zuppe, nei panini, negli
stufati, nelle omelette, nei piatti cinesi e giapponesi, nei curry.
I germogli di alfalfa sono particolarmente deliziosi usati al posto della
lattuga, o in aggiunta a essa, nelle insalate e nei panini. Per fare una squisita
farcitura per panini, prova a schiacciare un avocado con la forchetta, poi
mescolalo con germogli di alfalfa, succo di limone, un po’ di senape (e/o
cumino macinato) e sale. Oppure cerca di amalgamare avocado, germogli di
alfalfa, succo di limone, sale e una generosa quantità di basilico dolce.

Ciotola di insalata primaverile


¼ di insalata
2 gambi di sedano, tagliati a bastoncino
¼ di mazzo di scarola
8 ravanelli, tagliati a fettine
2 pomodori (facoltativo)
50 ml panna acida
150 g germogli di alfalfa o fagiolo mungo
½ peperone verde, tagliato a fettine
½ mazzetto di crescione

Taglia l’insalata nella ciotola; sminuzza la scarola e il crescione in


piccoli pezzi. Disponi sopra di essi i pomodori, il sedano, i rapanelli tagliati
e il peperone verde. Versa sopra a tutto la panna acida.

Curry di germogli di fagiolo mungo


Per un delizioso piatto al curry, soffriggi in un po’ di burro la polvere di
curry con un po’ di cumino e curcuma macinati, sale e germogli di fagiolo
mungo. Aggiungi funghi e carote a fettine. Aggiungi anche aglio, se lo
gradisci. Poi fai bollire in un po’ d’acqua e servi con riso integrale.

Uova
Le uova strapazzate sono deliziose con germogli di fagiolo mungo o
alfalfa, sale, cipolle leggermente saltate e peperoni verdi.
Oppure prova questa combinazione: soffriggi i germogli di fagiolo
mungo e funghi a fettine in una piccolissima quantità di curry, curcuma e
aglio in polvere. Aggiungi sale e pepe a piacere. Quando i funghi e il curry
in polvere avranno preso un po’ di colore, strapazza le uova (non troppe)
nella miscela.

Purè di dal
150 g di piselli spezzati o lenticchie (lasciati a bagno per 36 ore in un
litro d’acqua e poi scolati)
450 g di germogli di fagiolo mungo
1 gambo di sedano, tritato
1-2 cucchiai di olio
½ cucchiaino di curcuma macinata
1/8 cucchiaino di pepe
½ cucchiaino di zenzero fresco tritato
1 l di acqua
3/4 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di succo di limone, o a piacere

Fai soffriggere il sedano e le spezie nell’olio per 5 minuti o più, poi


aggiungi l’acqua, le lenticchie e i germogli. Aggiungi il sale e il succo di
limone. Fai cuocere a fuoco lento per 45 minuti o fino a quando il composto
diventa tenero. Se è troppo spesso, diluiscilo con l’aggiunta di acqua calda.
Mescola fino a ottenere una consistenza morbida.
Zuppa di fagiolo mungo
Fai soffriggere uno spicchio di aglio tritato in 4 cucchiai di olio di oliva;
aggiungi 75 g di cipolle tritate, fai soffriggere per 5 minuti.
Aggiungi 2 gambi di sedano con le foglie, finemente tritati; un peperone
verde tritato; 2 cucchiai di prezzemolo tritato; 75 g di fagiolini tagliati a
piccoli pezzi; un pomodoro tagliato a dadini; una foglia di alloro; 300 g di
germogli di fagiolo mungo.
Copri la casseruola, inforna a 180° C per 20 minuti, poi togli e aggiungi
4 cucchiai di farina bianca rosolata (falla rosolare in una pentola asciutta a
fuoco medio, rimestando costantemente fino a quando diventa dorata).
Aggiungi 50 ml di acqua bollente e sale a piacere. Fai cuocere a fuoco lento
fino a quando diventa tenero.

Meditazione
Meditare sugli elementi

Nella quarta lezione ho suggerito di visualizzare (o preparare realmente) un


fuoco in cui gettare le proprie imperfezioni, perché vengano purificate. Il
fuoco è uno dei cosiddetti “elementi” della Natura, non nel senso in cui un
chimico userebbe il termine, ma in un senso più spirituale. Ci sono cinque
di questi “elementi”: terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Negli insegnamenti
dello yoga, sono sempre elencati in questa sequenza.
A livello universale, si può dire che ognuno di essi rappresenti uno stadio
della creazione. Quando la coscienza dello Spirito si condensa in maniera
sufficientemente grezza per entrare nella manifestazione materiale, diventa
energia cosmica, o etere, da cui prende vita l’universo fisico. Con
un’ulteriore condensazione, l’energia si trasforma in gas cosmici
(l’elemento aria), che a loro volta si agglomerano fino a formare le stelle
ardenti. Quando la materia infuocata si raffredda, diviene liquida (lo stadio
dell’acqua nella manifestazione cosmica). Raffreddandosi ulteriormente, si
solidifica e raggiunge così il quinto e ultimo stadio della manifestazione
materiale, conosciuto come stadio della terra. Quando la creazione
materiale viene riassorbita nello Spirito, si smaterializza seguendo la
sequenza opposta.
Gli elementi descrivono anche gli stadi della discesa dell’anima nella
materia e, in ordine inverso, le progressive tappe della sua liberazione.
Entrando nel corpo fisico, la coscienza si ipnotizza con il pensiero di essere
diventata il corpo. Per uscire da questo stato di ipnosi, dobbiamo
identificarci con l’anima. Ci risulterà più facile ripercorrere i nostri passi
fino a Dio se, invece di negare il Signore nelle Sue manifestazioni negli
elementi inferiori, cercheremo di ricavare da ogni manifestazione una
comprensione divina. Dio, infatti, è divenuto realmente ogni cosa;
purificando la nostra percezione, potremo contemplarLo ovunque.
Lo yogi, tramite una realizzazione sempre più profonda, deve risalire la
scala attraverso cui è disceso nell’illusione. Nell’uomo, gli “elementi”
rappresentano i vari gradi di attaccamento alle cose materiali. Tali legami
sono così numerosi che egli potrebbe non riuscire a liberarsene
completamente, se li affrontasse uno alla volta: quando finalmente il
milionesimo attaccamento sarà stato superato, i primi mille o giù di lì gli
sembreranno di nuovo attraenti!
La persona materialista, continuamente coinvolta nelle cose del mondo,
giunge poco per volta a identificarsi con esse, al punto da soffrire non solo
quando il suo corpo è ferito, ma anche quando il suo cappotto si rovina o il
paraurti dell’auto si graffia. Questa, ovviamente, è la suprema follia
dell’avere attaccamenti: ci leghiamo alle cose, o alle persone, perché
pensiamo che ci diano gioia, ma proprio a causa di questo attaccamento
perdiamo la capacità di gioire veramente di esse!
Ricordo quando fui invitato per il tè a casa di un ambasciatore, a Nuova
Delhi. Era una persona simpatica e interessata alla cultura indiana, ma
esageratamente attaccata ai propri averi. Mi fece servire il tè in un prezioso
servizio di porcellana, ma era talmente preoccupato che non si rompesse
nulla, da non riuscire a goderne. Mentre il servitore entrava nella stanza con
il vassoio, gli gridò freneticamente di fare attenzione. Continuò poi a
parlare del pericolo di affidare oggetti di valore alla servitù incapace, e
infine, mentre il servitore riportava le tazzine in cucina, lo seguì con una
raffica di avvertimenti: «Attento! Non inciampare nel tappeto! Cammina
più piano!». Solo io riuscii a trarre veramente godimento dalla bellezza di
quelle porcellane!
Il possesso di per sé non è un male, ma essere posseduti dai propri beni è
una vera schiavitù. Ed è anche il peccato (o errore) finale dell’attaccamento.
Potrai superare i tuoi attaccamenti in modo relativamente facile, se darai
loro un taglio netto nel punto stesso in cui convergono: nel tuo stesso sé.
Noterai, innanzitutto, che gli oggetti ai quali ti senti legato hanno una
qualche proprietà in comune. Oggetti diversi, ad esempio, possono essere
belli ognuno a modo proprio, ma la bellezza sarà ciò che li accomuna. Se
non fosse per il tuo amore per questa astrazione, non ti sentiresti attratto da
nessuno di essi, per lo meno non per la sua bellezza. L’amore per la
bellezza, senza dubbio, è essenzialmente una qualità spirituale e non è di
per sé una causa di schiavitù. Dobbiamo quindi immergerci ancora più
profondamente in noi stessi, per scoprire la vera fonte dei nostri
attaccamenti terreni. In ogni caso, il processo di ricondurre gli oggetti belli
alla bellezza come essenza illustra la direzione generale in cui dovremmo
muoverci: riconducendo i nostri attaccamenti a una o più aspettative
essenziali, e semplicemente trasmutandole, potremo bandirle
istantaneamente come se non fossero mai esistite.
Alla fine, ovviamente, la nostra illusione più grande è l’aspettativa di
poter trovare una felicità duratura al di fuori del nostro Sé interiore, divino.
Poiché Dio è l’unica Realtà, quando cerchiamo l’appagamento ignorandoLo
ci condanniamo a una delusione. Ma che cosa ci spinge ingannevolmente a
vedere le cose in termini di apparenza, piuttosto che nella loro essenziale
realtà spirituale? È la nostra identificazione con il processo della
manifestazione cosmica. Quando riusciremo a ripercorrere gli stadi di
quella identificazione legati agli elementi (gli stessi che la materia
attraversa nel suo processo di progressiva manifestazione), ci sarà più facile
spezzare la presa che il mondo esercita su di noi.
Il nostro attaccamento ai begli oggetti, ad esempio, è dovuto in parte alla
loro solidità, oltre che alla loro bellezza: possiamo toccarli, percepirli
attraverso il tatto. L’amore per la bellezza è una qualità spirituale, ma può
attirarci nell’illusione se ad essa aggiungiamo il desiderio di toccarla, in
altre parole, se aggiungiamo l’elemento terra.
Osserva come un forte attaccamento alle “realtà solide” renda più statica
la visione della vita, e come a sua volta una visione fortemente
materialistica ispiri il gusto per oggetti solidi e pesanti: grosse automobili,
pareti spesse, mobili massicci e sontuosi, cibi pesanti. Anche mentalmente
questo tipo di persona è incline ad avere una visione “pesante” della vita, a
essere dogmatica, rigida e piuttosto ottusa. È mondana non solo in quanto
attaccata alle cose di questo mondo, ma soprattutto perché la sua coscienza
tende a essere legata alla terra.
Questo legame con la terra va affrontato partendo dall’elemento che ne è
alla fonte, poiché quando riusciamo a superare ogni inflessibilità e
pesantezza mentale, non siamo più attratti dalle proprietà solide della
materia oggettiva. Tuttavia, elevarsi al di sopra di queste caratteristiche
prima di aver imparato le loro lezioni positive potrebbe essere prematuro,
proprio come far guidare un’auto a un bambino prima che abbia imparato a
usare i freni.
La terra, e l’elemento terra in noi, hanno anche insegnamenti spirituali da
impartirci. La tendenza a essere rigidi può essere trasformata in nishtha, o
fermezza nella ricerca della verità. La flemma può diventare titiksha, o
calma sopportazione delle dualità della vita (caldo e freddo, piacere e
dolore, gioia e dispiacere, ecc). Il dogmatismo può diventare shraddha, o
vera fede nata dal desiderio di sperimentare direttamente la verità e
giungere a una vera conoscenza. Perfino la pesantezza mentale ha il suo
aspetto divino, poiché può essere purificata fino a divenire sthanu, stabilità,
o la coscienza di essere sempre fermamente centrati nel Sé.
Se lasciamo invece che si sviluppino in noi le qualità dell’elemento
acqua – come ad esempio un atteggiamento tollerante e accomodante o la
capacità di fluire con le esperienze della vita – prima di aver acquisito le
virtù dell’elemento terra, rischiamo di diventare superficiali e irresoluti.
L’essere dogmatici è un difetto, ma non è neppure bene avere la mente così
aperta che il cervello possa volare via con la prima brezza delle influenze
esterne.
È quindi opportuno, di tanto in tanto, meditare immaginando di essere
una roccia: immobile, stabile, solida. Afferma queste qualità in te stesso,
ripetendo mentalmente: «Sono stabile, determinato, fermamente leale alla
verità. Sopporto ogni cosa con calma fede in Dio».
La saldezza interiore, d’altro canto, conduce alla fossilizzazione mentale
quando non è unita a una coscienza più fluida, simboleggiata dall’elemento
acqua. Senza la capacità di fluire con le correnti della Grazia, la crescita
spirituale sarebbe difficile. Al tempo stesso, quando questa consapevolezza
più fluida è diretta all’esterno verso gli oggetti, diventa la seconda causa,
legata agli elementi, dell’attaccamento umano a questo mondo, poiché non
solo la solidità e la tangibilità delle cose incatenano l’uomo, ma anche la
loro infinita varietà. Quando riusciamo a ricondurre il desiderio di
cambiamento e varietà all’aspetto più fluido della nostra coscienza, e a
superare il desiderio del mutamento fine a se stesso – quando, in altre
parole, accettiamo il cambiamento rimanendo calmi ed equilibrati – il
nostro senso di libertà interiore dagli attaccamenti si accresce
immensamente.
La fluida libertà dell’individuo che ha armonizzato dentro di sé gli
elementi terra e acqua assomiglia a quella di un esperto surfista, che può
cavalcare con calma la cresta di ogni onda di cambiamento e volgere la sua
vita nelle direzioni desiderate, invece di venir sballottato e forse perfino
travolto quando le condizioni dalle quali dipendeva si frangono come onde
intorno a lui.
Per acquisire nella tua natura le virtù dell’elemento acqua, cerca di
meditare sentendo che stai fluendo liberamente e senza timore con la
corrente o galleggiando sulle lievi increspature del mare, senza curarti di
dove queste ti portino e colmo di fede nella volontà divina. Gli yogi
raccomandano a volte ai loro discepoli di immergersi realmente fino al collo
nell’acqua di un fiume e di meditare sul suo fluire, identificandosi con esso;
oppure di galleggiare sul dorso nel mare o in un lago (di solito in
Matsyasana, la “posizione del pesce”, che facilita il galleggiamento) e di
abbandonarsi mentalmente al flusso della Grazia divina. In entrambi i casi –
sia che tu scelga di immergerti nell’acqua o semplicemente di meditare su
di essa – afferma dentro di te: «Fluisco sempre più liberamente con le
maree della Grazia».
L’elemento acqua in noi deve essere perfezionato, non solo associandolo
alla stabilità interiore dell’elemento terra, ma incanalandolo anche
nell’entusiasmo dinamico del miglioramento personale, che
contraddistingue l’elemento fuoco nella sua forma migliore. Il nostro
abbandono alle maree delle circostanze, altrimenti, sebbene calmo, sarà
passivo e non ci farà progredire sul sentiero della perfezione.
Se l’elemento fuoco è diretto correttamente, diventa un aiuto essenziale
sul sentiero della liberazione; se è diretto erroneamente – al pari di quanto
avviene con gli elementi terra e acqua – diventa una delle cause
fondamentali della schiavitù umana. L’attaccamento, infatti, non nasce solo
dalla nostra identificazione con l’aspetto solido e terreno delle cose, né dalla
falsa libertà che traiamo dalla loro infinita e fluida varietà, ma anche dal
senso di dinamico piacere che attribuiamo loro. Proviamo gioia per una
buona pietanza, per un viaggio all’estero, per la compagnia degli amici, per
un libro interessante, come se ognuna di queste cose fosse una fonte
separata di godimento, di cui il nostro piacere non è che un riflesso. In
realtà, si tratta del contrario: è la nostra capacità interiore di gioire che si
riflette sugli oggetti esteriori. Solo quando questa capacità è grande, potrà
anche essere grande il piacere che traiamo dalle cose. Senza di essa, perfino
il più bel panorama o l’avvenimento più entusiasmante ci lasceranno freddi.
Se sapremo riconoscere nel nostro gioire interiore il comune denominatore
dei piaceri di questo mondo, imparando ad assorbire in noi stessi quei
piaceri come fiumi tributari di energia e dirigendone la corrente in alto,
verso lo Spirito, anziché all’esterno verso la materia, libereremo
completamente i nostri sentimenti dalla schiavitù della materia.
L’elemento fuoco, se sviluppato senza la stabilità dell’elemento terra o la
maggiore fluidità e tolleranza dell’elemento acqua, può manifestarsi
nell’uomo come una spietatezza distruttiva, poiché mentre la terra è inerte e
l’acqua è adattabile, il fuoco è creativo, una qualità che può trasformarsi in
aggressività se non è adeguatamente moderata. Viene in mente l’immagine
di un guerriero che, cavalcando e urlando, attraversa un villaggio
seminando incendio e morte, ubriaco di fanatismo e incurante delle
sofferenze che procura a innumerevoli persone innocenti. Al contrario, se
l’elemento fuoco è sviluppato con equilibrio e sensibilità, può condurre a
grandi opere creative oppure, se diretto verso la spiritualità, a un dinamico
autocontrollo che dissipa ogni illusione.
In India vi è un’usanza assai diffusa, che riflette la necessità di
armonizzare gli elementi terra e acqua con l’elemento fuoco: è lo yajna, o
cerimonia del fuoco, nella quale il riso (che simboleggia i sottili semi dei
samskar, o tendenze passate, e anche l’elemento terra nell’uomo) e il ghi
fuso (burro chiarificato che rappresenta il puro elemento acqua) vengono
offerti nel fuoco come segno di autopurificazione. Alimentato con queste
offerte, il fuoco stesso assume un significato simbolico e le sue fiamme che
si elevano verso l’alto rappresentano l’anima che si innalza nella sua
aspirazione a liberarsi in Dio.
In mancanza di questa direzione ascendente, anche quando l’elemento
fuoco verrà diretto verso manifestazioni costruttive, porterà a una creatività
puramente esteriore. Potrà produrre meraviglie, ma non la “meraviglia” più
grande di tutte: la libertà dell’anima. Le fiamme prodotte dai gas che si
sprigionano da un ceppo di legno possono ardere in tante direzioni diverse;
solo le fiamme alimentate dall’aria circostante si dirigono sempre verso
l’alto. Quando nell’uomo il fuoco creativo, ossia la sua capacità di
entusiasmarsi, è diretto all’esterno, con il desiderio di imporsi al mondo
anziché di vivere in armonia con esso, le sue energie potranno anche brillare
arditamente, ma non eleveranno né la sua coscienza né quella degli altri.
L’elemento fuoco deve essere offerto verso l’alto nell’ancor più sottile
elemento aria, che rappresenta, come vedremo tra poco, la coscienza
dell’essenziale affinità tra l’uomo e ogni altra forma di vita. Creatività ed
entusiasmo, altrimenti, conducono inevitabilmente all’illusione e alla
schiavitù.
La meditazione sul fuoco, come mezzo per acquisire e dirigere
correttamente le virtù mentali associate a questo elemento, può essere
svolta come un puro esercizio della mente o con l’aiuto di un fuoco vero e
proprio; in entrambi i casi, dovrebbe essere una pratica essenzialmente
mentale. Ho già insegnato questa meditazione nella quarta lezione; a ciò che
ho già scritto vorrei aggiungere che potrai anche visualizzare il tuo sé
mentre arde in una fiamma fresca e gioiosa (mai dolorosa), fino a quando
tutti gli elementi del tuo essere si saranno tramutati in puro Spirito, Gioia e
Amore.
L’elemento aria nell’uomo rappresenta quello stato di consapevolezza
che precede il coinvolgimento nella materia. È simile allo stato gassoso
della materia, prima che si formino le stelle e i pianeti, e quindi prima che
appaiano forme distinte a suggerire differenze tra una manifestazione
materiale e l’altra. In questo stadio della creazione, caratterizzato
dall’elemento aria, sebbene la presenza di diversi elementi chimici nei gas
ci impedisca di parlarne come di un’unica cosa, si riconosce palesemente tra
di essi un’affinità che non si percepisce invece ai livelli più grezzi della
creazione materiale.
Nell’uomo, l’elemento aria stimola il senso di affinità con la vita nelle
sue infinite manifestazioni. Tuttavia, se diretto verso il basso attraverso gli
elementi inferiori, questo senso di affinità si relativizza. Si tenderà a sentire
una particolare sintonia con questa persona o quella cosa e, in generale,
meno sintonia con altre persone o altre cose. In questo modo si sviluppano
gradualmente simpatie e antipatie, attraverso cui l’elemento aria spinge
l’uomo giù per la china dell’illusione. Alla fine, la realizzazione spirituale
dipende dalla neutralizzazione di simpatie e antipatie; se egli riuscisse a
superarle alla fonte, gli elementi inferiori non avrebbero più alcun potere su
di lui. L’uomo, però, è già intrappolato nell’illusione materiale, e se si
sforza di superare attrazioni e repulsioni ignorando i canali di terra, acqua e
fuoco attraverso cui esse si manifestano, rischia di ricavare una
comprensione troppo vaga della loro vera natura. Inoltre, il tentativo di
sviluppare l’elemento aria senza aver prima sviluppato le virtù degli
elementi inferiori può rendere apatici, così come avviene con molte persone
religiose, erroneamente convinte che il loro debole interesse per la vita sia
una dimostrazione di non-attaccamento. L’elemento aria deve essere
correttamente sviluppato, non soppresso. Deve essere reso stabile, libero da
pregiudizi e ardente di entusiasmo dal contatto con gli elementi inferiori.
Deve essere offerto in una visione più elevata, divina. In questo modo, le
simpatie e antipatie possono essere trasformate in amore disinteressato, la
manifestazione positiva del senso di affinità con la vita.
Bisogna comprendere che a questo punto, quando la coscienza
dell’anima che si sta evolvendo si centra nell’elemento aria, ci si trova in
una posizione delicata, tra la divina liberazione da un lato e un ulteriore
coinvolgimento nell’illusione dall’altro. L’elemento aria, infatti, è così
sottile da sembrare di per se stesso – cioè quando non si esprime attraverso
degli attaccamenti inferiori – completamente spirituale e puro. L’amore che
si prova per gli altri sembrerà bello, altruistico e sereno. La tendenza, a
questo punto, sarà quella di riversare amore divino verso tutti
individualmente: di amare questa persona per il suo dolce sorriso,
quell’altra per la sua umiltà, quell’altra ancora per la sua immancabile
gentilezza, e perfino le persone mondane per la loro ingenuità spirituale,
così simile all’inesperta ignoranza di un bambino! Tuttavia, perfino l’amore
puro e altruistico ha i suoi trabocchetti: non appena diviene esclusivo, a
prescindere da quanto fosse puro all’inizio, tende facilmente a ricondurre a
un progressivo coinvolgimento nelle distinzioni materiali. Non fidarti della
libertà che senti quando questo amore puro si manifesta in te, ma offrilo in
alto, nell’ancor più sottile elemento etere, nel quale possiamo percepire non
solo la nostra affinità divina con gli altri, ma anche un senso espansivo e
impersonale dell’essenziale unità di tutta la vita.
Medita qualche volta sulla libertà del vasto cielo blu. Visualizza un
palloncino e immagina che simboleggi tutte le tue simpatie e antipatie, tutti
i tuoi desideri e attaccamenti terreni. Lascia andare la corda dell’ego con cui
lo tieni stretto. Guardalo salire verso l’alto, sempre più piccolo a mano a
mano che si allontana, fino al punto da non vedere altro che il vasto cielo
azzurro.
Ora osserva il palloncino mentre naviga per qualche tempo nei cieli della
divina libertà; considera quanto sembri insignificante, tutto solo
nell’Infinito. Poi pungilo mentalmente e guardalo scomparire all’istante
nell’immensità dello spazio blu. Tu sei quello spazio!
L’elemento aria, per definizione, è di carattere nebuloso. Associarlo
specificamente all’amore potrebbe risultarti più difficile che collegare gli
elementi inferiori alle loro rispettive virtù mentali. Sarà quindi bene, a
questo punto, spiegare che secondo gli insegnamenti dello yoga gli elementi
di cui abbiamo parlato sono collegati a dei centri di particolare influenza
nella spina dorsale. Parlerò più dettagliatamente di questi centri in una
lezione successiva. Per ora, basti sapere che l’elemento aria ha la sua sede
nella regione dorsale, in quella parte della spina dorsale da cui si irradiano i
nervi che raggiungono e regolano gli organi apportatori di ossigeno nel
corpo: i polmoni e il cuore. In questo centro dorsale, nella zona opposta al
cuore, viene universalmente percepita anche l’emozione dell’amore, ed è
per questo che si parla sempre dell’amore in relazione al cuore.
Vorrei accennare a un’altra particolarità. Ho affermato che il risveglio
divino è sempre accompagnato da un movimento ascendente di energia e di
coscienza nella spina dorsale. Gli elementi sono localizzati più in basso o
più in alto nella spina dorsale a seconda della grossolanità della loro
manifestazione materiale. Per assicurarti che l’elemento aria sia diretto nel
modo giusto, ti sarà utile meditare sul sentimento dell’amore divino nel
cuore. Dirigi quindi i suoi raggi non solo all’esterno, verso l’umanità, ma
specialmente in alto, verso Dio. Falli fluire attraverso la calma e
l’espansione impersonale che si avvertono quando la coscienza è centrata
nella spina dorsale dietro la gola, nella sede del cosiddetto elemento etere
nell’uomo.
L’elemento etere, infine, è troppo sottile per essere di per sé una causa di
schiavitù materiale. Contiene solo potenzialmente il coinvolgimento nelle
cose del mondo, proprio come l’invisibile energia cosmica contiene la
potenzialità della manifestazione sotto forma di materia. Si può affermare,
tuttavia, che le possibilità di manifestazione materiale contenute
nell’energia differiscono da quelle del puro Spirito in quanto sono più
dinamiche, più reali. Similmente, l’elemento etere nell’uomo rappresenta
quella pausa interiore durante la quale ci si orienta verso una determinata
direzione, a volte anche sbagliata. Finché la mente è rivolta all’esterno, la
calma interiore e il pensiero: «Per me è tutta un’unica cosa» possono presto
tramutarsi in noia e nel desiderio di un coinvolgimento più attivo nel
mondo. Il senso dell’unità di ogni cosa sarà spirituale solo quando sarà
sostenuto da un movimento della coscienza che si innalza dagli altri centri
legati agli elementi, e in particolare dal sentimento di amore altruistico e
divino nel centro del cuore. Questo senso di unità espansivo, infine, deve
essere diretto verso l’alto, al punto tra le sopracciglia, e verso la divina
visione universale, di cui quel senso di unità è solo il fondamento.
Bisogna inoltre ricordare che sebbene io abbia parlato degli aspetti
spirituali dei diversi elementi quasi come se l’anima dovesse meditare su di
essi per poterne sviluppare le specifiche caratteristiche, tutte le qualità
spirituali sono in realtà radicate in Dio, e possono essere sviluppate tramite
la semplice concentrazione nel punto tra le sopracciglia, la sede della
visione divina. La ragione per cui è utile concentrarsi su queste qualità nel
modo in cui sono espresse e definite dai cosiddetti elementi, è che l’uomo, a
causa della sua discesa nella materia, si è identificato con essi al loro stesso
livello. In altre parole, quando la mente si è elevata in Dio non è più
necessario ricordare le immagini degli elementi con cui le qualità divine
possono essere associate. La stabilità, ad esempio, è una qualità astratta;
viene solo compresa in modo più specifico quando la si identifica con la
solidità di una roccia.
In ogni caso, sono necessarie intuizioni particolari prima di poter
raggiungere una vera comprensione delle realtà astratte. In questo senso,
una volta che l’anima si è separata dall’assoluta saggezza in Dio, la sua
discesa finale nella materia potrebbe essere per il suo bene supremo. È
senza dubbio anche per questo motivo che alcune Scritture affermano che
perfino gli dèi desiderano una nascita umana.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Le affermazioni, seconda parte

Molti anni fa, prima di iniziare il sentiero spirituale, fumavo molto. Era
un’abitudine costosa, e per di più non mi era mai piaciuto il cattivo sapore
che mi restava in bocca tra una sigaretta e l’altra. Tuttavia, era un’abitudine.
Dopo qualche tempo, decisi di smettere. Scoprii troppo tardi l’ironica
saggezza contenuta nelle parole di Mark Twain: «Smettere di fumare è la
cosa più facile al mondo: l’ho già fatto migliaia di volte!». Io volevo
smettere; ma ogni volta che smettevo, un’altra parte di me voleva
ricominciare.
Dopo un anno di ripetuti tentativi e insuccessi, trovai un ulteriore
incentivo. Riflettendo profondamente sulla relazione dell’uomo con le
realtà universali, avevo cominciato seriamente a pensare di diventare un
eremita. «Chi ha mai sentito parlare di un eremita che fuma?» mi chiesi.
Come primo passo in questa nuova direzione, ovviamente, avrei dovuto
cessare di dipendere da spese inutili.
Fu così che una sera, mentre ero sdraiato sul letto prima di
addormentarmi, decisi all’improvviso, con calma convinzione e senza
alcuna frenesia, di avere già smesso di fumare per sempre, da quel momento
stesso. Ricordo che proprio allora uno dei ragazzi che dividevano
l’appartamento con me entrò nella stanza; gli comunicai la mia decisione
come una cosa talmente assodata da indurre perfino lui, che mi aveva visto
fallire tante volte in passato, ad accettarla senza il suo solito risolino di
scherno, ma come un fatto compiuto.
Il mattino seguente, quando mi svegliai, non mi passò neppure per la
mente di voler fumare di nuovo. Per due settimane tenni in tasca quel che
rimaneva del mio ultimo pacchetto di sigarette; ne offrii agli amici, ma non
pensai mai, neanche per un istante, di volerne una per me. Posso dire con
onestà che da quel momento (era la primavera del 1948) in cui veramente
smisi di fumare, non ho mai avuto neppure il più lieve desiderio di una
sigaretta.
Il ricordo di quell’esperienza, a un tempo affascinante e istruttivo, mi ha
spesso aiutato al momento di cambiare altre abitudini. Perché, mi sono
chiesto, proprio quel tentativo ebbe un successo così strepitoso?
Fu grazie a diversi fattori. Penso che esaminarli insieme potrà essere
utile.

1) Anche se i miei primi tentativi di smettere di fumare erano falliti


ripetutamente, non avevo mai permesso a me stesso di considerarli dei
fallimenti. Per me, significavano solo che non ero ancora riuscito.
Pertanto, ogni volta che riprendevo l’abitudine di fumare, non la
consideravo un’affermazione di debolezza e sconfitta, ma una semplice
ritirata per “radunare le forze” in vista di un ulteriore attacco, ancora più
potente.
2) Il mio pensiero di diventare eremita mi diede qualcosa di cui avevo
bisogno: un forte incentivo.
3) La mia affermazione, quindi, divenne positiva piuttosto che negativa.
Non stavo solo “mettendo in gabbia” un’abitudine a cui ero affezionato,
rimanendo severamente di guardia per assicurarmi che non scappasse di
nuovo; la stavo abbandonando per un’alternativa che ero convinto fosse
più attraente.
4) Presi la mia decisione con calma e concretezza, senza gli squilli di
tromba che spesso accompagnano i grandi sacrifici. In questo modo,
ridussi il mio avversario dalla statura di un gigante a quella di un
pigmeo.
5) Addormentandomi con il mio proposito ben impresso nella mente, lo
portai nel subconscio, dove agì direttamente sulle vecchie abitudini e,
grazie alla forza della mia determinazione cosciente, le trasformò.

La mente subconscia agisce come un ricettacolo per tutti i pensieri e le


impressioni che le giungono dalla mente cosciente. Agisce in modo
automatico e indiscriminato, come l’eco che rimanda i suoni, siano essi
armoniosi oppure no. È un meccanismo conveniente per risparmiare lavoro,
concepito dalla Natura per mantenere in funzione la fabbrica della vita nel
modo in cui è stata programmata per operare, liberando la mente cosciente
affinché possa affrontare le nuove situazioni via via che si presentano. Se
non fosse per questo meccanismo, dovremmo pensare attentamente a ogni
movimento ogni volta che ci allacciamo le scarpe o cerchiamo di
camminare. La nostra mente subconscia può essere una benedizione, se la
programmiamo in modo adeguato, ma può anche tenerci incatenati alle
illusioni che ripetutamente respingiamo a livello cosciente. Il suo potere di
dirigere la nostra vita è enorme. Le impressioni, o vasana, non solo di una
vita ma di molte incarnazioni, giacciono sepolte sotto la superficie della
nostra consapevolezza cosciente, influenzando sottilmente i nostri gusti e
inclinazioni, il nostro modo di agire, perfino la comprensione con cui
possiamo cercare di cambiare quelle influenze. L’uomo pensa di essere
libero di agire come vuole, e non comprende che perfino le sue preferenze
sono già ampiamente decise dalle tendenze (samskara) e impressioni
(vasana) che ha accumulato in passato.
È come se qualcuno fosse eletto a un’alta carica grazie alle sue promesse
elettorali, ma scoprisse ben presto che i suoi collaboratori sono così
coinvolti nelle vecchie direttive stabilite dai suoi predecessori da rendergli
impossibile mantenere anche una sola delle sue promesse. O così almeno
potrà sembrargli, finché tratterà i suoi subordinati dall’alto in basso, come
se dovesse solo proferire un comando per essere obbedito con efficienza e
senza intoppi. Potrebbe, ad esempio, aver promesso di ridurre le tasse, per
poi scoprire che i vari uffici governativi sono legati mani e piedi agli
impegni già presi, e che perfino accennare a uno sgravio fiscale potrebbe
causare un parossismo di ansia e silenziosa ribellione. Se desidera
veramente mantenere le sue promesse, dovrà indagare in modo
approfondito su come funziona ogni ufficio e studiare con attenzione come
ridirigerne le energie.
Lo stesso accade con i meccanismi della mente subconscia: è possibile
modificarli, ma se ci si limita a emanare ordini e decisioni dagli “uffici
esecutivi” della mente cosciente (come i buoni propositi per il nuovo anno)
si potrebbe semplicemente risvegliare un’attiva resistenza dei dipendenti del
piano di sotto. Per questo si dice che «la strada dell’inferno è lastricata di
buone intenzioni». Per cambiare veramente la propria vita, bisogna scavare
profondamente negli schemi di pensiero subconsci, e ridirigerli.
Può essere un compito difficile. Ricordo quando mi venne affidato
l’incarico di riorganizzare un certo reparto a Mount Washington, il quartier
generale della Self-Realization Fellowship. Avevo fiducia di poter
completare il lavoro in due settimane; ci volle invece un anno e mezzo!
Scoprii infatti che alcune inefficienze nelle sezioni che stavo organizzando
avevano origine in altri reparti, i quali, a loro volta, erano bloccati dalle
inefficienze di altri ancora. Per poter svolgere quel compito relativamente
semplice, fui costretto alla fine a riorganizzare l’intero ufficio. Lo stesso
accade, spesso, con la mente subconscia.
Non tutte le menti subconscie si oppongono così fortemente al
cambiamento. La resistenza al miglioramento in un ufficio deriva quasi
sempre dall’egocentrismo umano. Paramhansa Yoganandaji, parlando della
mente, fece riferimento alle «correnti contrastanti dell’ego». Ogni
caratteristica umana è come un individuo; ognuna ha una sua personalità
particolare. Se le diverse caratteristiche con le quali il subconscio è stato
programmato sono tutte arroccate su se stesse in modo possessivo o armate
fino all’aggressività con il pensiero dell’“io”, quando arriva un ordine dalla
mente cosciente la resistenza al cambiamento può assumere la natura di una
guerra globale. A volte, solo una grande sofferenza può ammorbidire il duro
nocciolo dell’ego, rendendolo malleabile e aperto al miglioramento.
Anche un ufficio che per lungo tempo abbia avuto il permesso di agire
autonomamente, senza una guida adeguata, all’inizio si opporrà a
qualunque tentativo di cambiamento. Un riorganizzatore saggio saprà come
bilanciare la diplomazia con la fermezza. A volte, quando la diplomazia
semplicemente non funziona, può essere necessaria un po’ di severa
disciplina. La stessa immagine vale anche per la mente subconscia.
Ricordo che molti anni fa ci fu un periodo di diversi mesi in cui, per
quanto mi sforzassi, ogni volta che mi sedevo a meditare scivolavo
inesorabilmente nel sonno. Era scoraggiante, perché in realtà avevo un
profondo desiderio di meditare bene. Una sera mi sedetti, particolarmente
desideroso di fare una bella meditazione, ma avevo lavorato molto quel
giorno e la mia mente subconscia semplicemente non condivideva i miei
lodevoli propositi. Quando, per l’ennesima volta, la mia testa cominciò a
ciondolare, all’improvviso esclamai: «Bene, ho cercato di prenderti con le
buone ma non mi hai dato retta. Adesso basta con la diplomazia! Visto che
non vuoi nemmeno stare sveglia fino alla fine della meditazione, stanotte
non ti farò dormire per niente!». Correndo in giro per la stanza, leggendo e
scrivendo lettere (avevo troppo sonno per meditare), riuscii a rimanere
sveglio tutta la notte. Il mattino dopo mi recai come al solito al lavoro. Con
mia sorpresa, la notte successiva ebbi bisogno di dormire solo sei ore. E per
molto tempo, l’abitudine di addormentarmi non mi disturbò più. A volte,
come in un ufficio, bisogna mostrare ai propri subalterni subconsci chi è il
capo, per evitare che accolgano con una resistenza passiva, o addirittura con
un calmo disprezzo, i nostri sforzi per guidarli.
Di solito, però, il modo in cui un capo può ottenere le prestazioni
migliori dai suoi dipendenti è facendo sì che essi desiderino lavorare con
lui. Può farlo interessandosi a loro e ai loro compiti, facendoli sentire
importanti nel quadro complessivo dell’azienda e contagiandoli con il suo
entusiasmo per ogni nuovo progetto. In generale, può realizzare molto di
più coinvolgendoli che tiranneggiandoli. Se si limita a dare ordini, forse gli
obbediranno, ma la loro obbedienza sarà priva di slancio. Forse il lavoro
verrà svolto, ma i risultati non saranno certo degni di nota.
Allo stesso modo, quando abbiamo a che fare con la mente subconscia,
dobbiamo familiarizzare con il suo funzionamento e cercare il suo costante
e amichevole sostegno. Otterremo così l’entusiastica collaborazione di tutto
il nostro essere in ogni cosa che faremo e non dovremo procedere, come
molti, sotto il giogo della riluttanza e dell’indifferenza del subconscio.
Dovremmo evitare di diventare ciò che Paramhansa Yogananda ha definito
«ruderi psicologici». Di tanto in tanto, dovremmo deliberatamente cambiare
le nostre abitudini, semplicemente per mantenerle dinamiche, e dovremmo
costantemente ottimizzarle, come si farebbe in un ufficio, anche
eliminandole quando non servono più ad alcuno scopo utile. Soprattutto, ci
conquisteremo il loro entusiastico sostegno se affermeremo ogni nuova
direzione con gioia, e con fede nella loro buona volontà.
L’errore più grande è sminuire il potere di cambiare se stessi. Aspettarsi
il peggio dai propri dipendenti significa scoraggiarli e quindi, ovviamente,
far emergere il peggio che è in loro. Come ho detto nella lezione
precedente, il mio guru ci ha insegnato che il peccato più grande è definirsi
peccatori, poiché così facendo ci identifichiamo con il peccato, o con
l’errore. Così ipnotizzati, diventiamo schiavi indifesi dell’illusione. A
prescindere da quanto spesso falliamo, dovremmo continuare a cercare di
migliorare, ricordando anche queste parole di Yoganandaji: «Un santo è un
peccatore che non si è mai dato per vinto». Egli ci ha insegnato anche che la
stagione del fallimento è il periodo migliore per seminare i semi del
successo, se dirigiamo l’energia risvegliata dal rimorso non
nell’autocondanna, ma nel rinforzare la nostra determinazione a fare meglio
la volta successiva. Nel periodo in cui cercavo senza successo di smettere di
fumare, ogni volta che ricadevo in quell’abitudine non lo facevo con una
coscienza di fallimento, ma col pensiero: «Beh, non ho ancora vinto, ma
forse la prossima volta ci riuscirò». In questo modo, ho irrobustito la mia
volontà fino a raggiungere il successo, invece di permettere a ogni
fallimento di rafforzare la mia autoipnosi di debolezza.
I momenti migliori per impartire comandi al subconscio sono quelli in
cui la sua porta è più aperta. Come ho spiegato nella lezione precedente,
queste occasioni si presentano durante la meditazione profonda, oppure
quando entriamo nel subconscio mentre stiamo per addormentarci o quando
ne emergiamo al momento del risveglio. Osserva: quando vai a dormire
sentendoti esausto, di solito ti svegli sentendoti ancora esausto, non importa
quante ore tu abbia dormito; se invece cerchi coscientemente di non portare
quel pensiero nel regno del sonno, potrai risvegliarti fresco anche se hai
dormito meno del solito. A sua volta, l’atteggiamento con cui ti svegli
contribuisce a determinare il corso dell’intera giornata. È per questo che
spesso ci si riferisce a qualcuno che non è tanto in forma dicendo: «Deve
essersi alzato dal letto col piede sbagliato». Quando finalmente smisi di
fumare, fui fortunato ad aver preso quella decisione al momento di andare a
dormire, dato che all’epoca non sapevo nulla degli insegnamenti dello yoga
su questo (o altri) temi.
Esercitati a portare deliberatamente le affermazioni positive nel
subconscio. Al momento di andare a dormire, o mentre sei seduto in
meditazione, ripeti la tua affermazione innanzitutto ad alta voce, per
generare energia e richiamare l’attenzione di tutti i tuoi pensieri coscienti.
Come ho detto nell’ultima lezione, bisogna rendere la mente cosciente desta
e pronta prima che possa immergersi profondamente nello spirito
dell’affermazione. «Sono desto e pronto!» è già di per sé un’ottima
affermazione per stimolare una completa attenzione. Yoganandaji era solito
iniziare le sue conferenze e servizi religiosi chiedendo al pubblico, a voce
alta: «Come state tutti?». Poi si univa a loro nella vigorosa risposta: «Desto
e pronto!». «Come vi sentite tutti?». Di nuovo, con ancora più vigore:
«Desto e pronto!». A volte, nella sua giovinezza, in parte per scuotere le
persone dalla loro letargia e resistenza subconscia, e in parte semplicemente
perché era un uomo di straordinaria energia e gioia, all’inizio di una
conferenza usciva correndo sul palco, con i lunghi capelli e la veste
arancione che ondeggiavano sotto la spinta del suo entusiasmo.
Ricorda, quindi, di mettere gioiosamente tutto te stesso
nell’affermazione. Poi, gradualmente, lascia che le parole risuonino da
livelli sempre più profondi di sentimento e consapevolezza. Nel farlo,
noterai che il suono esteriore delle parole si affievolirà automaticamente,
fino a diventare solo un sussurro. Fai scendere le parole ancor più in
profondità, fino a quando non sentirai più alcun desiderio di pronunciarle o
cantarle ad alta voce e l’affermazione diventerà puramente mentale.
Immergiti ancor più nel profondo, portando il pensiero nel subconscio e
trasformando con fervore gli schemi mentali che vi si trovano.
È un peccato che ci si riferisca spesso alla mente subconscia come
all’“inconscio”, poiché questo dà l’impressione che essa sia del tutto inerte
e debba subire passivamente l’azione, anziché poter essere coinvolta in una
buona causa. Molti, in effetti, sono così suscettibili alle impressioni esterne
da diventare poco più che un’eco del mondo che li circonda. Nella loro
suggestionabilità, sembrano quasi ipnotizzati. Sotto ipnosi, una persona può
essere indotta a smettere di fumare o a superare qualche paura irrazionale;
tuttavia, perfino sotto questa influenza apparentemente desiderabile,
l’individuo diventa più suggestionabile, col risultato di ridurre la propria
resistenza a successive influenze dannose. Allo stesso modo, una persona
normalmente impressionabile può agire in modo adeguato quando le
influenze che la circondano sono positive, ma in una folla isterica potrà
ritrovarsi a urlare assetata di sangue, per poi chiedersi sbalordita come ciò
sia potuto accadere. Il mio guruji ha insegnato che l’ipnosi è un crimine
spirituale. In ogni caso, non è bene trattare neppure la propria mente
subconscia come se fosse una schiava inconsapevole, poiché non è
inconscia. Non è neanche una mente separata da quella cosciente, poiché
ambedue fanno parte di un’unica mente e in verità sono manifestazioni
limitate della supercoscienza. In un universo in cui la coscienza divina è
l’unica realtà, non può esistere un’incoscienza completa, neppure nelle
rocce.
Il modo giusto per trattare la mente subconscia, quindi, è da amica, non
da schiava. Non è sufficiente che ci obbedisca passivamente. Molte persone
piacevoli, gentili e perfino spirituali sono prive di un fuoco interiore che
riduca in cenere i baluardi delle loro illusioni. Succede a volte che perfino
un criminale, una volta convertitosi alla vita spirituale, superi velocemente
la maggioranza delle persone religiose e diventi santo, poiché ha la capacità
di mettere tutto se stesso in ciò che fa.
Quando invii suggerimenti alla mente subconscia, quindi, non cercare
solamente di imporglieli; ispirala, piuttosto, a partecipare creativamente a
qualunque cambiamento tu stia cercando di attuare in te stesso. Ricorda che
ogni affermazione è un atto di divenire; affinché possa avere la massima
efficacia, è necessario che a ogni livello tu consideri te stesso come una
causa, non come un effetto.
Infine, perché il cambiamento sia permanente, la tua affermazione deve
essere portata ancor più in profondità, fino a quando non sgorghi dagli
abissi della beatitudine supercosciente.
Quando affermi, evita dichiarazioni negative come: «Non mi piace
fumare». Un atto realmente creativo è sempre positivo (è per questo che
parliamo di “affermazione” e non di “disapprovazione”). Un pensiero
negativo è sempre un’affermazione di riluttanza o di rifiuto. Come in un
ufficio, esso genera un atteggiamento letargico e poco collaborativo; degli
impiegati riluttanti, pur collaborando con un capo dinamico in questioni di
routine, non lo sosterranno mai in imprese creative.
Mantieni dinamico il tuo “ufficio” mentale, tenendolo sempre
creativamente occupato. Non aspettare qualche rara crisi prima di
promuovere un cambiamento. Attua di frequente piccoli cambiamenti
rinunciando a una piccola abitudine qui, iniziandone un’altra lì, fino a che la
tua mente diventi così flessibile da poter cambiare le sue abitudini
spontaneamente e completamente in un istante.
Soprattutto, di’ sempre «SÌ» alla vita! Fa’ ogni cosa con buona volontà e
gioia. Pensa agli altri solo con gentilezza. Se vuoi uscire da questa illusione
cosmica, non rimanere seduto in un angolo a rimuginare vanamente sulla
fuggevolezza e vacuità del tutto, poiché tutto è anche Dio. La differenza tra
l’illusione e l’illuminazione divina non sta nelle cose, ma nel livello della
nostra consapevolezza. Se riusciremo a essere pienamente consapevoli in
ogni istante, vedremo che Dio è ovunque, a prescindere da dove guardiamo.
L’affermazione della vita, in realtà, è intimamente associata all’energia che
si innalza nella spina dorsale, di cui ho già parlato, senza la quale il
risveglio spirituale semplicemente non avviene. Quando tutte le tue energie
saranno concentrate in un’unica direzione, la tua capacità di portare a
compimento le cose sarà, quasi letteralmente, infinita.
In questa lezione ho lasciato a te creare le tue affermazioni, secondo le
tue esigenze. Tuttavia, se desideri avere a disposizione delle affermazioni
profondamente spirituali su numerosi argomenti, oltre che approfondire il
tema delle affermazioni, ti suggerisco di leggere il mio libro Affermazioni
per l’autoguarigione.*
Anche in queste lezioni vengono presentate numerose affermazioni. Per
un’affermazione generica di libertà da ogni ostacolo dell’illusione, puoi
provare la canzone che si trova nella pagina seguente.

Posizioni yoga

A ogni posizione fisica, come ho detto, corrisponde uno stato mentale.


Praticare le posture dello yoga con sentimento spirituale significa scoprire
che esse aiutano a sviluppare quel sentimento. Le posizioni dello yoga
possono, dunque, essere viste come un importante aiuto nella realizzazione
spirituale. Se si entra in una postura non in modo brusco ma con un senso
interiore di armonia e di pace, l’atto stesso di assumere quella posizione può
aiutare a sviluppare questo bhav o atteggiamento spirituale. Il modo in cui
si entra nelle posture, il pensiero mentale che si tiene durante la loro
esecuzione, il modo in cui si esce dalle posizioni e la consapevolezza di
ritornare al proprio centro interiore più profondo mentre si riposa tra una
postura e l’altra: tutte queste cose rappresentano una parte importante
dell’Hatha Yoga. Senza questi atteggiamenti, l’Hatha Yoga diventa non una
disciplina dello yoga, ma solo un sistema di vigorosi esercizi fisici, benefici
dal punto di vista fisico, ma che ignorano completamente le profonde
scoperte che attendono chiunque sia dotato di un senso di autentica
avventura spirituale.

SONO LIBERO IN ME

IN INGLESE
I own nothing, I am free! In myself I am free. I own no one, I am free! In
myself I am free.
I need nothing, I am free! In myself I am free. I need no one, I am free! In
myself I am free.
In myself, I am free. In myself I am free! I am free, ever free! In myself I
am free.
I am joyful, ever free! In myself I am free. I am blissful, ever free! In
myself I am free.

Alcune posizioni dell’Hatha Yoga sono chiamate mudra. Ho parlato di


una mudra nella lezione precedente. Una mudra è una postura che ha lo
scopo di aumentare la consapevolezza del corpo e di stimolare il flusso di
energia all’interno di esso, in particolare con l’intento di dirigere questa
energia verso l’alto per una meditazione più profonda. Tutte le posizioni,
comunque, sono in un certo senso delle mudra, perché tutte andrebbero
praticate tenendo a mente questo scopo più profondo. Nelle ultime lezioni
esamineremo più in dettaglio le posizioni che sono state specificatamente
designate come mudra per la loro speciale efficacia nello stimolare o
ridirigere il flusso di energia. Preparati a esse fin da ora, percependo il tuo
corpo come un’energia spirituale che si muove attraverso diverse posizioni
meditative, che esprimono i profondi stati di pace e realizzazione interiore
che speri di raggiungere attraverso la pratica quotidiana di questa scienza
sacra. Rendi le posizioni stesse una forma di meditazione in movimento.

Le posizioni da seduti
Quando il corpo è pieno di tensioni e tossine, è difficile trascenderlo
durante la meditazione. Uno degli scopi principali dell’Hatha Yoga è quello
di preparare il corpo alla meditazione. Anche le posizioni da seduti si
prefiggono principalmente uno scopo meditativo; meno importanti sono i
loro benefici fisici.
Per quanto riguarda la postura del corpo durante la meditazione, la cosa
importante è che la spina dorsale sia mantenuta dritta e il corpo rilassato. Va
bene anche sedersi su una sedia con i piedi appoggiati a terra. Tuttavia, c’è
un preciso vantaggio nel sedersi in una delle posizioni yoga prescritte,
poiché esse esercitano una pressione benefica sui nervi, inducendo uno stato
di calma nel sistema nervoso.
Ogni posizione da seduti presenta dei benefici specifici. Quelli di
Vajrasana (la posizione Stabile) sono già stati illustrati. Dal punto di vista
della meditazione, questa posizione aiuta a conferire alla mente la
consapevolezza di nishtha, la fermezza. Allo stesso modo, ognuna delle
altre posizioni esercita la propria influenza mentale e spirituale.
Siddhasana (la posizione Perfetta) è considerata la postura classica
dell’Hatha Yoga, mentre Padmasana (la posizione del Loto) è considerata
la posizione classica del Raja Yoga. La differenza tra questi due yoga può
essere descritta, in questo contesto, nel modo seguente: l’Hatha Yoga usa il
corpo per spingere l’energia in alto verso il cervello; il Raja Yoga crea un
magnete di aspirazione nella natura spirituale più elevata, che attira
l’energia in alto verso il cervello. L’Hatha Yoga, in realtà, non è una scienza
separata dal Raja Yoga, ma è semplicemente la branca fisica di quella
scienza spirituale. Le distinzioni tra i due, pertanto, sono in una certa misura
accademiche; in ognuno di questi due approcci sarà presente qualcosa
dell’altro. La cosa migliore, infatti, è una combinazione di entrambi: lo
sforzo di usare in modo gentile il corpo per sospingere l’energia in alto, e la
meditazione profonda e devozionale che, con il tempo, deve attirare in alto
nella sua scia tutto ciò che si trova al di sotto di essa.
Bisogna comprendere che ogni sforzo spirituale comporta un’auto-
offerta dell’ego sull’altare di Dio, il Sé Infinito. Gli yogi di entrambe le
scuole dell’Hatha e del Raja Yoga spesso compiono l’errore di pensare che
l’illuminazione spirituale dipenda solo dagli sforzi dell’aspirante devoto,
come se le tecniche da sole potessero imbrigliare l’Infinito! Una corretta
comprensione delle tecniche dello yoga, tuttavia, non contraddice in alcun
modo la necessità di kripa (Grazia divina), come la condizione sine qua non
del sentiero spirituale. Lo scopo più elevato dello yoga è semplicemente
quello di mettersi in una posizione tale da poter ricevere pienamente uno
“scroscio” di Spirito. Se la Grazia di Dio non viene sperimentata nella
comune vita umana, non è a causa dell’indifferenza divina, ma perché le
energie e l’attenzione dell’uomo sono rivolte altrove.
SIDDHASANA
(la posizione Perfetta)

«Ardo nel fuoco della gioia interiore».

Siediti (con un cuscino, se ti aiuta a rimanere dritto) con le gambe distese


davanti a te, aprendole leggermente.
Piega il ginocchio sinistro e porta il tallone all’inguine. Poi rilassa il
ginocchio sinistro al pavimento, facendo partire il movimento
dall’articolazione dell’anca.
Piega il ginocchio destro e metti il piede destro sopra il sinistro, poi fai
scendere il ginocchio destro a terra, ruotando dall’anca.
Metti la caviglia destra sopra la sinistra (se le caviglie sono scomode,
sistema delle calze tra di esse come imbottitura). Infila il piede destro tra il
polpaccio e la coscia sinistra. Porta il piede sinistro tra il polpaccio e la
coscia destra, sollevando il piede e infilandolo tra di essi. Entrambi i piedi
sono premuti contro la base della spina dorsale.
Porta le mani in Gyana Mudra: unisci il pollice e l’indice di ogni mano e
allunga le altre tre dita. Lascia le mani sulle ginocchia, con i palmi rivolti
verso l’alto. Questa posizione delle dita è conosciuta come una mudra
meditativa, che facilita il ritiro dell’energia e della consapevolezza verso
l’interno del proprio essere.
Siedi dritto, rimanendo molto rilassato. Senti che l’energia si ritira,
salendo dalle dita distese alle braccia e dalle braccia alla spina dorsale.
Senti inoltre che l’energia alla base della spina dorsale viene rafforzata dalla
pressione dei piedi contro il pube. Dirigi questa energia in alto e senti che
tutto il tuo essere sta concentrandosi con calma e profondità nel punto tra le
sopracciglia.
Afferma mentalmente: «Ardo nel fuoco della gioia interiore».
Rimani in questa posizione per quanto tempo desideri. Per uscire dalla
posizione, fai scivolare il piede destro in avanti, poi solleva il ginocchio
destro, ruotando dall’anca. Fai la stessa cosa con il ginocchio sinistro e poi
allunga in avanti entrambe le gambe.

Se in qualsiasi posizione da seduti le gambe si addormentano, mantieni


comunque la posizione fino a quando puoi farlo in modo confortevole. Ciò
non comporta alcun pericolo, ma soltanto disagio. Quando esci da una
posizione in cui le gambe si sono intorpidite, scoprirai che la transizione è
molto facile se, invece di cercare di muoverti qua e là, metterai le gambe in
una nuova posizione e la manterrai per un minuto o due. In questo caso non
ci sarà alcun dolore e formicolio. Le gambe torneranno allo stato normale
facilmente e in modo naturale, e in meno tempo che se si cercasse di
muoverle e massaggiarle.

Benefici: si dice che questa posizione porti più giovamento agli uomini
che alle donne, anche se può essere praticata con grandi benefici da
entrambi i sessi. Anche nel caso delle donne, la posizione bloccata dei piedi
invia l’energia dalle estremità inferiori fino alla base della spina dorsale,
spingendola in un certo senso dalle regioni inferiori verso il cervello. Allo
stesso modo, la posizione delle mani favorisce il ritiro dell’energia
all’interno, da quelle estremità verso la colonna vertebrale.
Siddhasana (la posizione Perfetta) viene chiamata così per la sua
influenza sui centri spinali, il cui risveglio aiuta lo yogi a sviluppare le
siddhi, o poteri yogici, e soprattutto a diventare un siddha, o essere perfetto.
Sii consapevole della spina dorsale in questa tecnica. Dirigi l’energia in
alto e concentrati nel punto tra le sopracciglia. Dopo venti minuti circa nella
posizione, sarai sorpreso di osservare il suo effetto calmante sul corpo e
sulla mente.
Gli yogi dicono che, per sviluppare nishtha (fermezza), si dovrebbe
restare seduti in questa posizione un po’ più a lungo di quanto sia
piacevole! Vale a dire, resta seduto un po’ oltre la soglia della comodità.
Per trasmutare l’energia sessuale: gli uomini dovrebbero collocare il
tallone destro al di sopra dei genitali, preferibilmente premendo in dentro
l’organo maschile su se stesso, come per chiudere saldamente i genitali tra i
talloni.

Precauzioni
• Quando entri nella posizione, assicurati di non torcere le ginocchia. Fai
in modo che tutta la rotazione avvenga nell’articolazione dell’anca.
• Se senti dolore alle ginocchia, evita la posizione.

PADMASANA
(la posizione del Loto)

«Siedo sereno, elevato nella Tua luce».

Padmasana è, come ho appena detto, la posizione classica del Raja


Yoga. In questa postura i piedi sono posti sulle cosce opposte con le piante
rivolte verso l’alto, e le mani sono appoggiate sulle cosce o tra i piedi, (di
solito) con i palmi all’insù.
Siedi sul pavimento o su una coperta (o su un cuscino, se preferisci), con
le gambe distese davanti a te. Avvicina gentilmente il piede destro al corpo
e appoggialo sulla coscia sinistra, il più possibile vicino all’addome. Poi
porta a terra il ginocchio destro.
Non torcere il ginocchio sinistro, mentre avvicini gentilmente il piede
sinistro a te e lo posizioni sulla coscia destra, il più possibile vicino
all’addome.
Siedi dritto. Afferma mentalmente: «Siedo sereno, elevato nella Tua
luce».
Le mani possono essere tenute in diverse posizioni. Puoi appoggiarle tra
i piedi con i palmi all’insù, la mano destra sopra la sinistra; oppure tenere i
palmi uniti, con le dita intrecciate. Alcuni yogi siedono con i palmi girati
verso l’alto sulle ginocchia o sulle cosce, oppure vicino alla congiunzione
dell’addome. La cosa importante è sedere fermi e rilassati, con la spina
dorsale dritta.
Rilassa il corpo e medita con calma nel punto tra le sopracciglia.

Alcune posizioni possono essere d’aiuto per preparare il corpo ad


assumere più facilmente le posture da seduti:
Vajrasana (la posizione Stabile) aiuta a rendere flessibili le ginocchia, le
caviglie e i piedi.
Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio) contribuisce ad
allungare i tendini sotto le ginocchia.
Paschimotanasana (la posizione di Allungamento posteriore) aiuta
anch’essa a sciogliere i tendini sotto le ginocchia, così come ad allungare il
bacino, in modo da rendere più facile sedere dritti in qualsiasi posizione da
seduti.
Anche la “Farfalla” è molto utile: siedi sul pavimento con le piante dei
piedi unite, le ginocchia verso l’esterno. Cerca gradualmente di abbassare le
ginocchia e le cosce fino a terra.
Le posizioni capovolte aiutano a rimuovere l’eccesso di sangue dalle
gambe, rendendo più facile disporle nelle posizioni da seduti più difficili.
Massaggiare i piedi e le caviglie con olio può renderli più flessibili.
Il migliore esercizio di allungamento, tuttavia, una volta che si è in grado
di assumere qualunque posizione da seduti, è semplicemente quello di
rimanere nella posizione stessa. Dopo un minuto o due, quando le gambe si
rilassano, si scopre che la maggior parte o tutto il disagio iniziale scompare.
Benefici: Padmasana è la più stabile fra le posizioni di meditazione. Il
suo effetto stabilizzante, associato alla posizione dei piedi rivolta verso
l’alto, è ancora più benefico di Siddhasana nell’elevare l’energia del corpo
verso il cervello. Ogni aspetto del corpo, in questa posizione, indica
un’elevazione naturale dell’energia, così come un’elevazione interiore dello
spirito.

Precauzioni
• È importante non forzare mai le gambe in Padmasana. Ci si può far male
alle ginocchia se non vengono preparate gradualmente, anche nell’arco
di mesi.
• Chi ha le ginocchia deboli o lesionate dovrebbe evitare la posizione.

ARDHA PADMASANA
(la mezza posizione del Loto)
Gli yogi che trovano difficile la posizione completa del Loto potranno
sentirsi più a loro agio in Ardha Padmasana (la mezza posizione del Loto).
In questa postura si porta in alto solo il piede destro, mantenendo il sinistro
sotto la gamba destra.
SUKHASANA
(la posizione Semplice)
Sukhasana si riferisce a una qualunque di una serie di posizioni comode,
perfino a quella in cui ci si siede su una sedia con i piedi appoggiati a terra.
Lo scopo di tutte le posizioni da seduti è di dimenticare il corpo e meditare
su Dio, non di mantenere l’attenzione focalizzata sul dolore alle ginocchia!
La postura comunemente descritta come Sukhasana è la semplice
“posizione del Sarto”, a gambe incrociate e con le ginocchia sollevate o a
terra.

Respirazione

Nella sezione precedente ho spiegato che lo scopo generale dell’Hatha


Yoga è di usare il corpo per spingere o per dirigere gentilmente l’energia in
alto verso il cervello. Passare da un risveglio gentile a un brusco afflusso
dell’energia può essere pericoloso.
Agli hatha yogi si raccomanda sempre di non usare la forza né di
praticare le posizioni troppo a lungo. Una corrente da un milione di volt
inviata in un circuito da 220 volt farebbe bruciare i cavi. È necessario
preparare gentilmente il sistema nervoso per gestire l’energia quando se ne
aumenta il flusso.
Questa cautela è particolarmente importante in relazione agli esercizi di
respirazione. Non si dovrebbero praticare troppo a lungo esercizi di
respirazione violenti e neppure praticare troppi esercizi di respirazione in
un’unica seduta. Quando ci si sente nervosi o emotivamente turbati,
bisognerebbe fare solo gli esercizi di respirazione più gentili. Infine,
bisogna essere sempre consapevoli degli effetti di questi esercizi sul proprio
equilibrio nervoso generale. Se hanno un effetto disturbante anziché
calmante, vanno eseguiti per una durata inferiore o persino sospesi del tutto.
Lo yogi dovrebbe prestare attenzione in modo particolare alla sensazione
di calore bruciante nella spina dorsale. La risalita dell’energia nella spina
dorsale dovrebbe avere un effetto calmante e rigenerante sulla mente e sul
sistema nervoso. Se c’è calore, e in particolare se il calore è doloroso, la
pratica va immediatamente sospesa. Se l’energia che si percepisce è in
qualsiasi modo nociva alla propria pace e all’equilibrio del proprio sistema
nervoso, non andrebbe incoraggiata. Non è sufficiente percepire l’energia: il
flusso di energia deve essere tale da poter essere sopportato dal sistema
nervoso dell’aspirante yogi. Qualsiasi cosa lo renda più nervoso, sarà
d’ostacolo alla salute e al progresso spirituale.

Con queste cautele, pratica Nadi Shodhanam (la Respirazione a narici


alterne insegnata nella settima lezione) con un rapporto 1-4-2. Inspira dalla
narice sinistra contando fino a 4, trattieni contando fino a 16, espira dalla
narice destra contando fino a 8; poi inspira attraverso la narice destra
contando fino a 4, trattieni contando fino a 16 ed espira attraverso la narice
sinistra contando fino a 8. (Se questo ritmo è troppo lento, segui un rapporto
2-8-4.) Non eccedere in questa pratica: sono sufficienti da 3 a 6 cicli.

Sequenze
Pratica la stessa sequenza (o sequenze) che stai seguendo. Siedi in una
delle posizioni yogiche da seduti mentre fai gli esercizi di respirazione e la
meditazione, prima della pratica delle posture. Anche dopo Janushirasana
(la posizione della Testa al ginocchio) resta seduto in una di esse. Quando
hai concluso la pratica delle posizioni, e dopo un profondo rilassamento,
siedi in una qualsiasi postura da seduti e medita quanto più a lungo ti è
possibile farlo con piacere.

Guarigione

Alcuni anni fa fui costretto a interrompere l’attività di conferenziere per


un anno intero. Avevo dovuto guidare un grande gruppo di persone nel
canto per un’intera serata mentre la mia gola soffriva di una laringite di tale
portata che ero a malapena in grado di parlare. Lo sforzo aveva fatto
ulcerare le mie corde vocali.
Andai da una serie interminabile di dottori, ognuno dei quali mi diede
qualcuno dei suoi rimedi preferiti; nessuno di essi, tuttavia, fu di benché
minimo sollievo alla mia condizione.
Dopo un anno, qualcuno mi suggerì di farmi vedere da un chiropratico.
Non avevo mai sentito parlare della chiropratica in precedenza, ma ero più
che mai pronto a provare un nuovo rimedio. Con mio sollievo, il problema
scomparve quasi completamente dopo solo uno o due trattamenti. Due
settimane dopo partii per un ciclo di conferenze negli Stati Uniti e in
Europa.
Molte condizioni patologiche sono dovute semplicemente a un
indebolimento del flusso di energia dalla spina dorsale al corpo. Nel mio
caso, l’aver sforzato le corde vocali aveva creato delle corrispondenti
tensioni nel collo, che avevano portato fuori allineamento alcune vertebre
cervicali. Quando le vertebre non sono allineate in modo corretto, spesso
comprimono i nervi, riducendo drasticamente l’apporto vitale di energia che
quei nervi sono deputati a trasmettere. Molti problemi seri, sia mentali sia
fisici, sono stati corretti semplicemente riallineando le vertebre e alleviando
le pressioni che esse esercitavano sui nervi.
Nella situazione della mia vita che ho appena descritto, le posizioni yoga
da sole non furono in grado di apportare la correzione necessaria. A volte è
necessario ricorrere all’aiuto di qualcuno che sia in grado di manipolare la
spina dorsale in maniera scientifica. Nella maggior parte dei casi, tuttavia,
grazie alle posizioni, la spina dorsale è mantenuta sufficientemente rilassata
da non uscire mai dal suo allineamento, o da ritornare a un normale stato di
equilibrio se la perdita di allineamento non è eccessiva.
Prova queste posizioni, se la tua schiena è rigida o dolorante:
Bhujangasana (la posizione del Cobra); Ardha Matsyendrasana (la mezza
posizione di Matsyendra), che sarà insegnata nella nona lezione;
Paschimotanasana (la posizione di Allungamento posteriore); Ardha
Chandrasana (la posizione della Mezzaluna).
Per il mal di testa, prova Halasana (la posizione dell’Aratro) o
Sarvangasana (la posizione della Candela), che sarà insegnata
nell’undicesima lezione; e Bhujangasana (la posizione del Cobra) o
Chakrasana (la posizione della Ruota).
Per le ossa, in generale la lubrificazione che esse ricevono quando le
articolazioni e le vertebre sono mantenute sciolte attraverso tutte le
posizioni yoga è estremamente benefica.

Alimentazione

Ho accennato all’importanza di alcune forme particolari di alimentazione


(vegetariana ecc.). Per evitare il rischio di diventare fanatici, tuttavia, è
necessario ricordare il potere che ha la mente di correggere quasi ogni
condizione fisica. Molte persone fanno talmente una religione della propria
dieta che finiscono per indebolire l’elemento più importante per la buona
salute: la mente. «Oggi non ho mangiato le mie alghe. La mia spina dorsale
si sente debole!». Con una simile consapevolezza, si diventa smidollati
anche se si riesce ad assumere la propria razione quotidiana di alghe!
È meglio mangiare nel modo migliore possibile, in modo adeguato, e poi
dimenticarsene. Raramente ho visto così tante persone malate quante tra i
maniaci del cibo. Il loro aspetto malaticcio è dovuto in parte, senza alcun
dubbio, al fatto che erano già malati prima di diventare maniaci del cibo (il
loro interesse per l’alimentazione è dovuto alla loro scarsa salute), ma è
anche determinato da un’eccessiva preoccupazione per il loro corpo.
Se tu provassi a disporre dei cuscini su una sedia in maniera tale da
renderti perfettamente comodo, non riusciresti mai a trovare la disposizione
migliore in assoluto. Lo stesso accade con la salute del corpo: più si cerca di
fare ogni cosa nel modo esattamente giusto, più si diventa consapevoli di
tutte le cose che sono ancora sbagliate. Non c’è fine alla ricerca della
perfezione, fintanto che la si cerca all’esterno. La perfezione può essere
trovata solo nell’intimo di se stessi.
Una mente forte attira energia nel corpo, mantenendolo in buona salute
anche nelle circostanze più difficili. Questo non è un motivo per abusare del
corpo: anche se ho visto molti vegetariani malaticci, ho anche visto che, nel
complesso, tendono a essere molto più sani dei loro fratelli mangiatori di
carne. Di nuovo: mangia bene e dimenticatene! Sii allegro nella tua mente
e, a parità di condizioni, troverai raramente qualcosa che non va in te dal
punto di vista fisico.

Ricette

Frittelle di Ananda ai sette cereali


150 g di farina
150 g di una miscela di sette diversi cereali, quali orzo, farro, riso,
amaranto, miglio, grano, mais
2 cucchiaini di lievito in polvere
2 uova
500 ml latte
2 cucchiai di burro fuso
½ cucchiaino di sale
Riscalda il latte, poi toglilo dal fuoco. Metti in ammollo la miscela di
sette cereali nel latte caldo per 10 minuti. Poi aggiungi il burro fuso e le
uova. In un contenitore separato, mescola la farina, il lievito in polvere e il
sale. Incorpora nella miscela di latte. Se il composto è troppo denso,
allungalo con altro latte. Cuoci su una piastra o una padella leggermente
unta. Servi con sciroppo di acero o una guarnizione a scelta.

Cavolfiore al curry
Taglia il cavolfiore o separa i singoli fiori. Mettilo in una pentola con
burro e spolvera con curry in polvere e un po’ di sale. Cuoci fino alla
doratura (circa 5 minuti). Aggiungi un po’ d’acqua (neppure sufficiente per
coprire il fondo della pentola). Copri e cuoci da 12 a 15 minuti o finché
diventa tenero, mescolando di tanto in tanto. Non cuocere troppo.

Melanzane alla griglia


Bucherella in alcuni punti 4 o 5 melanzane di medie dimensioni. Cuocile
sulla fiamma viva, per esempio quella di un fornello da campeggio o di una
griglia da barbecue. Per arrostirle nel forno, disponile su una teglia rivestita
di carta d’alluminio. Per arrostirle su una fiamma a gas bassa, disponile
direttamente sui bruciatori rivestiti di carta d’alluminio. Falle ruotare per
cuocere tutti i lati in modo uniforme, fino al punto in cui l’interno diventa
completamente tenero (circa 20-30 minuti). Apri le melanzane e svuotale,
scartando la buccia. Metti 2 teste d’aglio in uno spremiaglio, aggiungi 100 g
di ghi o burro e soffriggi fino a quando l’aglio diventa trasparente. Aggiungi
½ cucchiaio di succo di cipolla (ottenuto grattugiando finemente la cipolla),
sale quanto basta e ½ peperoncino giallo tritato (se vuoi). Aggiungi le
melanzane alla salsa e porta a ebollizione in modo che la salsa si fonda con
le melanzane. (Per un piatto puramente yogico, ometti l’aglio e la cipolla.)
Sufficiente per 6 porzioni.

Meditazione
Preghiera, canto, japa e mantra
«Cantare è metà della battaglia» –Paramhansa
Yogananda
Non dimenticherò mai una lezione che ricevetti sulla differenza tra
affermazione e preghiera. Fu quando il nostro tempio all’Ananda
Meditation Retreat* venne distrutto dalle fiamme, all’alba del 3 luglio 1970.
Tramite il non-attaccamento mentale, quel giorno riuscii a mantenere un
atteggiamento più o meno gioioso e a non pensare alla nostra perdita,
concentrando completamente le mie energie sugli sforzi necessari per la
ricostruzione. Il giusto atteggiamento, però, mi portò solo fino a un certo
punto: non sentivo, ad esempio, alcuna gratitudine, e tanto meno gioia, per
la perfezione del piano di Dio, che aveva voluto privarci del nostro tempio.
Giunto a sera, dovetti ammettere che, dietro alla mia allegria, mi sentivo
piuttosto inerte. Nessuna quantità di pensieri positivi avrebbe potuto
cambiare quella situazione; non avevo solo bisogno di un atteggiamento
positivo, ma anche di comprendere.
Quella sera mi sedetti in meditazione e chiesi a Dio, attraverso il canale
del mio guru, di illuminarmi. Mentalmente, avevo lasciato andare già da
molto tempo ogni attaccamento al tempio, ma ora lo tenni nuovamente nel
mio cuore, insieme al ricordo di tutti i mesi che erano stati necessari per
costruirlo e di tutti quelli che sarebbero serviti per la ricostruzione. Offrii
tutte queste riflessioni a Dio. «Ciò che faccio» Gli dissi «e ciò che accade
alle cose che realizzo, non mi importa. Ho sempre lavorato, e lavorerò
sempre, solo per far piacere a Te. Tutto ciò che conta è il mio amore per
Te».
All’improvviso Dio toccò il mio cuore. Fui inondato da un tale amore
divino che, piangendo di gioia, pregai: «Se perdere un tempio può portarmi
una tale benedizione, perché non Ti sei preso anche l’altro edificio?».
L’affermazione mentale è un mezzo necessario per risvegliare i propri
poteri interiori, ma anche nel migliore dei casi quei poteri sono limitati, se
non vengono sintonizzati con la coscienza dell’infinità. Le persone che
credono di progredire con la forza del loro piccolo ego non hanno un’idea
chiara della distanza che le separa dalla perfezione divina, né del fatto che
l’abbandono dell’ego è appena il punto di partenza del viaggio spirituale. Al
tempo stesso, anche aspettarsi che Dio faccia tutto per noi significa non
comprendere la legge. In ultima analisi, ciò che dobbiamo capire non è che
noi non siamo nulla, ma che Dio è tutto, incluso il nostro stesso sé. Non
possiamo imparare questo se lasciamo passivamente ogni sforzo a Lui, ma
solo facendo del nostro meglio e al tempo stesso chiedendoGli di aiutarci
nei nostri sforzi.
L’affermazione è la parte che spetta all’uomo nel suo processo di
autotrasformazione. Unita al flusso della Grazia divina, essa diventa l’unico
tipo di preghiera che può veramente dare dei risultati. Ricorda che non è
necessario ottenere l’aiuto del Signore con le lusinghe, poiché Dio è il
nostro Amico più vicino e più caro. Tutta l’abbondanza dell’universo
sarebbe nostra, se dipendesse solo dalla Sua volontà. Siamo noi che ci
escludiamo da quell’abbondanza con la nostra coscienza delle limitazioni,
con il nostro ego. Pregare Dio come mendicanti, che supplicano i favori di
un ricco, non fa che aumentare il nostro senso di limitazione; con preghiere
simili, la porta della Grazia divina rimarrà chiusa, anche se stiamo
implorando Dio di aprirla.
Ricorda: il potere di Dio è ovunque; dobbiamo semplicemente attingere
a esso, sintonizzandoci con la sua lunghezza d’onda. Possiamo farlo agendo
con piena consapevolezza del nostro potere, e invitando quindi Dio a
spiritualizzare quel potere affinché non provenga dall’ego, ma dalla
coscienza divina. In altre parole, la preghiera, come una dinamo, è la forza
che genera le benedizioni che cerchiamo. L’intensità della nostra
concentrazione e devozione fa sì che la Grazia di Dio intervenga per
rendere efficaci le nostre preghiere.
Anche se la Grazia fluisce automaticamente quando i nostri
atteggiamenti sono corretti, ciò non significa che sia priva di intelligenza,
né che possiamo comandarla a piacimento come facciamo quando
accendiamo o spegniamo la luce elettrica. Essa è onnisciente, oltre che
onnipotente. Siamo noi che dobbiamo adattarci al suo operato, non
viceversa.
L’affermazione, come ho detto, è più efficace quando allo sforzo
personale si unisce un’amorevole richiesta di sostegno e aiuto divino. A sua
volta, anche la preghiera, per essere efficace, dovrebbe contenere un
elemento di affermazione. È questo ciò che intendeva Gesù, quando disse
che dobbiamo pregare con fede (MATTEO 21,22).
Quando, dopo la distruzione del nostro tempio ad Ananda, pregai di
poter ricevere la comprensione, mi espressi solo col pensiero. Di solito,
però, a meno che la motivazione interiore non sia profonda, è utile
aggiungere alla preghiera, e perfino all’affermazione, l’influenza elevante
della musica.
Non è possibile ascoltare una musica con sensibilità senza divenire
consapevoli che essa trasmette ben più del suono, poiché è un veicolo per
stati d’animo, stati di coscienza. Il suono ha potere. È vibrazione. Tutte le
cose create, perfino i fenomeni sottili come il pensiero, sono in uno stato di
costante movimento, di vibrazione. Ovunque ci sia una vibrazione c’è anche
un suono, per quanto sottile. Il suono, tramite la voce, è il canale attraverso
cui la coscienza umana si riversa nella manifestazione esteriore. È il legame
che unisce la mente e i sentimenti di una persona a quelli di un’altra. Tutte
le cose non solo rispondono al suono, ma sono suono. La vibrazione, o
suono, è ciò che collega fra loro tutti i fenomeni. Come le corde di un
pianoforte aperto vibrano per risonanza quando una nota viene suonata su
uno strumento vicino, così tutte le cose si influenzano reciprocamente – di
solito su frequenze che sono assai al di là della capacità percettiva
dell’orecchio umano – tramite la sottile legge dello scambio vibratorio.
Poiché le vibrazioni reagiscono a molti livelli – proprio come più corde di
un pianoforte possono rispondere anche se una sola nota è stata suonata su
un altro strumento – vibrazioni normalmente non udibili, persino di
pensiero e sentimento, possono essere catturate in modo empatico attraverso
la musica. A sua volta la musica, se impregnata del potere del pensiero, può
essere usata per influire in vario modo sulla Natura: per addomesticare gli
animali selvaggi, far crescere più rapidamente le piante, persino per ridurre
l’altezza delle fiamme o per far piovere durante una siccità.
Alcuni anni fa fu proibita la trasmissione radiofonica di una canzone
popolare, poiché troppe persone, a quanto pare, si erano suicidate dopo
averla ascoltata. La canzone si intitolava “Domenica malinconica”. Non
l’ho mai sentita, ma sono convinto che la musica possa far piombare
persone particolarmente influenzabili in una depressione molto profonda.
La musica, infatti, forse più di qualunque altro mezzo espressivo, ha il
potere di influenzare la coscienza umana e di spingerla verso il bene o verso
il male. (È cosa saggia, quindi, ascoltare solo musica elevante per l’anima.)
Secondo gli antichi insegnamenti dell’India, il più perfetto di tutti gli
strumenti musicali è la voce umana. Nessun altro esprime così
magistralmente le sottili sfumature del pensiero e del sentimento. Il minimo
cambiamento d’umore si insinua istantaneamente nella voce: la lama
tagliente della rabbia, la spumeggiante cadenza del divertimento, la
piattezza e durezza della cupidigia, la tenerezza della compassione. Uno dei
primi segni di progresso nello yoga è l’accresciuta dolcezza della voce, che
è semplicemente l’eco di una maggiore pace e felicità interiore.
Le parole, ancor più del semplice suono, sono lo spirito dell’uomo reso
manifesto nel livello materiale dell’esistenza. Quando vengono usate nel
modo giusto, come un’espressione cosciente di quello spirito, hanno il
potere di penetrare nel cuore di tutte le cose e di operare quelli che le
persone mondane potrebbero considerare miracoli. Per mezzo della parola,
così dicono gli yogi, è possibile piegare al proprio volere perfino gli
elementi.
Bisogna comprendere, tuttavia, che la parola ha realmente potere solo se
è usata per esprimere il vero Sé, che dimora dietro la facciata delle
superficiali preoccupazioni terrene con cui l’uomo solitamente si identifica.
Le parole pronunciate distrattamente o senza sincerità sono come corde di
pianoforte senza cassa di risonanza: deboli e inefficaci. Le persone che
parlano troppo, allo stesso modo di quelle che sprecano scioccamente la
loro ricchezza, perdono il loro potere. La cassa di risonanza della voce non
è costituita solo dal corpo, ma anche dal cuore, dalla mente, dallo stesso Sé.
Metti tutto te stesso nelle tue parole. Trattieniti, quando il parlare rischia
di diventare un inutile chiacchierio. Parla da una coscienza di silenzio
interiore, non di pettegolezzo. Scoprirai a poco a poco che la tua parola –
come disse Paramhansaji – ha il potere di vincolare l’universo.
Quando Paramhansa Yogananda pubblicò il suo libro Canti Cosmici,
spiegò nell’introduzione che ognuno di quei canti era stato “spiritualizzato”,
ossia che egli lo aveva cantato più e più volte fino a ricevere una risposta
divina. Questo è un aspetto affascinante della musica come veicolo per gli
stati di coscienza: non solo certi tipi di musica aiutano a trasmettere gli stati
mentali del loro compositore, ma anche dopo essere stati composti possono
essere ulteriormente impregnati di potere. Questa verità esoterica diventa
facilmente comprensibile se ricordiamo che molte persone sono in grado di
riconoscere nelle vibrazioni di una stanza o di un edificio la coscienza –
allegra, triste, irrequieta o spirituale – delle persone che vi hanno vissuto, e
non solo dell’architetto. Un edificio non è, essenzialmente, più solido di una
canzone; tutte le cose esistono come vibrazione e tutto, alla fine, è
coscienza. La materia, in realtà, non è affatto solida. Perfino le rocce sono
solo manifestazioni di realtà più sottili. Anche le canzoni, quindi, possono
acquisire determinate vibrazioni a seconda dell’uso che se ne fa. Intonare i
canti spiritualizzati da un maestro, specialmente se ci si sente in sintonia
con lui, può essere un mezzo molto potente per attirare la sua Grazia.
La sintonia, ovviamente, è il fattore essenziale per prepararsi a ricevere
qualunque vibrazione. Anche una radio può ricevere una stazione solo
quando è sintonizzata su quella lunghezza d’onda. Poiché è più facile
sintonizzarsi con stati di coscienza che si sono percepiti direttamente,
Yoganandaji ha scritto che possiamo ottenere i massimi benefici quando
spiritualizziamo personalmente un canto, intonandolo giorno dopo giorno
sempre più profondamente, fino a quando ci eleva nella supercoscienza. Da
quel momento in poi – ha detto – ogni volta che lo canteremo verremo
trasportati nello stesso stato di coscienza. È uno dei motivi per cui è bene
rimanere fedeli a un sentiero spirituale e a una serie di tecniche, invece di
provare a percorrere molte strade diverse nel nome dell’ampiezza di vedute.
Quando una tecnica specifica, attraverso la lunga pratica, è stata
“spiritualizzata” da qualche forma di contatto divino, ci porterà rapidamente
a uno stato di consapevolezza superiore ogni volta che la eseguiremo. Nello
stesso modo, sebbene una varietà di musiche possa essere più interessante, e
in quel senso più ispirante, del soffermarsi a lungo su un solo canto, il modo
per spiritualizzare realmente un motivo è di cantare solo quello per giorni,
settimane o mesi di fila, portandolo sempre più in profondità nel proprio
intimo così come abbiamo imparato a fare con le affermazioni, fino a
raggiungere attraverso di esso un reale contatto con il Divino.
In India questa forma di canto ininterrotto viene chiamata japa. Nello
stato di veglia, la mente della persona comune fluisce in una serie infinita di
schemi di pensiero, solitamente espressi sotto forma di parole. La maggior
parte di queste parole mentali è solo uno spreco di energia. Alcune di esse
(parole di rabbia, frustrazione, gelosia, paura ecc.) contribuiscono
addirittura a portare l’energia e la coscienza verso il basso, nell’illusione.
Far risuonare costantemente un canto o un’affermazione nella mente aiuta a
creare un vortice positivo, che attira ogni nostro pensiero ed energia in un
centro spirituale.
Yoganandaji ci disse di cantare mentalmente, tutto il giorno, parole
come: «Io sono Tuo; ricevimi!», «Voglio solo Te», «RivelaTi!» oppure,
ovviamente, le parole e la melodia di uno dei suoi “canti cosmici”. Cantare
nella propria lingua sarà probabilmente più significativo, e dunque utile, per
la maggior parte delle persone. Le parole straniere sono spesso difficili da
pronunciare, anche se espresse solo mentalmente. (Quando insegnavo yoga
in India mi chiesi perché gli studenti si lamentassero spesso di quanto fosse
difficile contare mentalmente fino a dieci o venti come io dicevo loro di
fare. Alla fine compresi quale fosse il problema: non si erano mai abituati a
contare in inglese!) È difficile, inoltre, esprimere sinceramente parole che si
comprendono solo a metà. Poiché Yoganandaji ha spiritualizzato i suoi canti
e poiché essi sono nati dalla sua profonda autorealizzazione, possono essere
usati con perfetta efficacia per la pratica di japa.11 Tuttavia l’inglese, pur
essendo una lingua bellissima, non è veramente un idioma spirituale.
Contiene vibrazioni di trasparente chiarezza mentale, di logica colma di
buon senso (e non puramente intellettuale), di semplicità, di acuto interesse
per la vita e di gentilezza, ma non vibra di potere spirituale. Per questa
qualità, forse nessuna lingua al mondo è perfetta quanto il sanscrito.
Nato in un’epoca molto più spirituale della nostra, il sanscrito contiene
nelle sue sillabe suoni che, secondo i grandi saggi dell’India, si avvicinano
più di ogni altro alle naturali vibrazioni sonore del mondo astrale. È per
questo che è tradizionalmente conosciuto come Devanagari, la lingua degli
dèi. I suoni seminali del sanscrito, o bijmantra, se pronunciati correttamente
sono in grado di apportare grandi cambiamenti nell’ordine naturale o nella
propria natura interiore. Il semplice ascolto di brani dalle Scritture
pronunciati in sanscrito può ispirare sentimenti di potere spirituale e di
gioia. Gli studenti di yoga occidentali disposti a fare un piccolo sforzo
guadagneranno sicuramente molto dalla ripetizione di alcuni dei mantra
sanscriti, non solo perché questa lingua è di per sé profondamente
spirituale, ma anche perché i suoi mantra sono stati spiritualizzati nel corso
dei millenni da innumerevoli devoti e grandi yogi.
Si attribuisce molta importanza in India alla corretta pronuncia e
intonazione dei mantra sanscriti, ma è improbabile che l’occidentale riesca
a padroneggiare completamente questa difficile arte. Perfino in India è raro
trovare qualcuno che abbia raggiunto tale perfezione. Swami Vivekananda
parlò di una visione, in cui gli erano apparsi degli antichi saggi che
cantavano degli sloka (brani delle Scritture in sanscrito) molto familiari, ma
in un modo assai diverso dalla forma presumibilmente corretta in cui sono
stati tramandati dalla tradizione. C’è da chiedersi quindi se perfino i dotti
studiosi dell’India di oggi conoscano veramente questa antica arte secondo
le passate tradizioni.
Ci sono, tuttavia, due aspetti nella corretta pronuncia: uno essoterico e
l’altro esoterico. Un mio confratello discepolo, una volta, volle ordinare dei
piselli spezzati per la cucina della Chiesa della realizzazione del Sé di
Hollywood. Il rappresentante a cui si rivolse, un uomo con un forte accento
tedesco, non riuscì a capire la richiesta fino a quando non fu
intenzionalmente pronunciata nel modo sbagliato. «Oh» esclamò allora con
un riconoscimento improvviso «pisseli schpezati! Perké non parlate nel
moto ciusto?». Questo è un esempio di pronuncia essoterica. Uno straniero
potrà dire amorre o amoure invece di amore; ma perfino un madrelingua
pronuncerà spesso la parola amore in modo tale da non trasmettere affatto il
suo vero significato. È perfino possibile dire «Ti amo» con un’intonazione
che suggerisce «Ti disprezzo», e dire «Ti odio» in modo da non trasmettere
nient’altro che amore. La coscienza dietro le parole rappresenta l’aspetto
esoterico dell’esatta pronuncia. Quando lo stato di coscienza, o bhav, è
forte, la correttezza essoterica assume un’importanza secondaria, sebbene
possa avvenire automaticamente.
In particolare, nella pratica dello yoga sarà bene tenere a mente che i
diversi stati di coscienza hanno la loro sede in corrispondenti centri, o
chakra, nella spina dorsale. Ad esempio, quando amiamo gli altri, i nostri
sentimenti sono centrati nel chakra del cuore, all’altezza del cuore fisico
nella spina dorsale. Una forte affermazione di volontà attira invece
automaticamente l’energia al punto tra le sopracciglia. La visione divina,
pur essendo una facoltà dell’anima senza forma, ha la sua sede fisica negli
occhi. Allo stesso modo, vari stati mentali hanno una corrispondente sede
nel corpo (per essere più esatti, nel corpo astrale, di cui quello fisico è la
controparte).
Se pronuncerai un canto o un mantra con la profonda coscienza interiore
del suo scopo e con tutta la pienezza del tuo essere, le parole saranno
efficaci anche se la pronuncia non sarà esatta. Ovviamente, è ancora meglio
combinare la sincerità interiore con la correttezza; la sincerità, comunque, è
sempre più potente delle sole forme esteriori.
Che cos’è la sincerità? È un’intenzione sostenuta da tutto il proprio
essere. Come il torace è la cassa di risonanza per la voce, così la coscienza
interiore è la cassa di risonanza per qualunque qualità mentale o spirituale
vibri nella voce. In particolare, se parlerai o canterai dai chakra superiori (il
centro del cuore o dorsale, il centro cervicale all’altezza della gola e il
centro cristico tra le sopracciglia), la tua voce diventerà un mezzo per
trasmettere il potere spirituale e per risvegliare quel potere in te stesso.
Mentre canti, senti che stai portando la voce dal cuore verso l’alto
attraverso il centro cervicale, proiettandola all’esterno attraverso il centro
cristico. Potrà esserti d’aiuto intonare a lungo una sola nota e sollevare una
mano dal cuore, portandola con un movimento ad arco verso l’esterno, al di
sopra e oltre la testa, come se offrissi la purezza del tuo canto a Dio in un
atto di adorazione. Pratica ripetutamente questo esercizio, fino a sentir
vibrare nella tua voce l’amore, quando la nota tocca il centro del cuore, la
pace e l’espansione, quando tocca il centro cervicale, e il divino potere e la
gioia, quando attraversa il centro cristico.
Ai tempi in cui studiavo canto all’università, molti anni fa, la mia
insegnante mi disse: «La voce è l’unico strumento che non si può vedere.
Non posso mostrarti come usarla correttamente; posso solo usarla nel modo
giusto e chiederti di ascoltare con sensibilità, provando ad assorbire
intuitivamente la mia comprensione». Un’insegnante di canto davvero
yogica! E quanto più ho potuto imparare da lei con questo metodo di
insegnamento, anziché con i consueti esercizi di vocalizzazione! Per lo
stesso motivo vorrei suggerirti, se ti interessa questo aspetto del canto, di
ascoltare uno dei miei album e di usarlo come aiuto per sviluppare la tua
capacità di cantare e parlare dai centri spinali.12
Quale mantra usare? A meno che e finché non ti venga data la diksha
(iniziazione) con un mantra specifico (mantra diksha non era il sentiero del
mio guru), sta a te scegliere. In India ne vengono insegnati molti. Spesso i
mantra sanscriti usati per japa (la continua ripetizione del nome di Dio)
consistono di dodici o sedici sillabe, oppure della metà o del doppio di
questi numeri. Altrettanto spesso, tuttavia, per questo scopo viene usata la
singola sillaba AUM. AUM, infatti, è il mantra più alto, sintonizzato con
l’essenza stessa di ogni vibrazione: la Vibrazione Cosmica. Pronuncialo
come se facesse rima con la parola inglese home. Viene solitamente scritto
come OM per facilitare la corretta pronuncia, ma è spiritualmente più
corretta la forma AUM, con tre lettere, ognuna delle quali rappresenta una
diversa fase della Vibrazione Cosmica: creazione, preservazione e
distruzione.
Cerca di recitare uno o più dei seguenti mantra nelle tue meditazioni,
oppure prima o dopo la pratica delle posizioni yoga:
OM Namah Shivaya (OM, mi inchino al Signore Shiva). Shiva è Dio
nell’aspetto di Distruttore dell’universo e dei nostri attaccamenti e illusioni.
Normalmente, la a è pronunciata breve, mentre la a– è pronunciata lunga.
Se vuoi cantare questo canto, ecco una melodia popolare in India per
accompagnarlo:

OM NAMAH SHIVAYA

Sri Ram, Jai Ram, Jai Jai Ram, OM (Signore Dio! Vittoria a Dio!
Vittoria, vittoria a Dio! OM). Era il mantra di un grande santo indiano dei
tempi recenti, Swami Ramdas. Le sue origini si perdono nell’antichità. Ecco
la melodia resa popolare da Swami Ramdas:

SRI RAM, JAI RAM

OM Namo Bhagavate Vasudevaya (OM, mi inchino al Signore Vasudeva,


o Krishna). È il mantra principale di una grande Scrittura indiana, lo Srimad
Bhagavatam. Io stesso ho scritto una melodia per questo mantra:
OM NAMO BHAGAVATE

Di solito, i mantra indiani usati per il canto e per la pratica di japa sono
caratterizzati soprattutto da una ripetizione dei nomi di Dio. Il mio guru,
introducendo lo stile di canto indiano in Occidente, scrisse canti che
combinano i principi dell’affermazione e della preghiera. Come
affermazioni sono pii e devozionali, come preghiere sono affermativi. Sono
delle “amorevoli richieste”, come egli stesso le definì. I suoi canti
costituiscono una naturale introduzione alla ripetizione del nome di Dio,
poiché chi si limita a invocare Dio senza prima generare in se stesso i giusti
atteggiamenti, può scivolare nello svilente atteggiamento del mendicante.
I mantra e altri profondi insegnamenti spirituali vengono solitamente
impartiti ingiungendo la segretezza, non per privare l’umanità sofferente del
loro potere, ma affinché il devoto che li riceve possa nutrirli con la pratica
quotidiana, fino a quando cresceranno e daranno i loro frutti. Parlare con
altri di ciò che si pratica nel silenzio interiore significherebbe dissiparne il
potere spirituale. Sarebbe come togliere un seme dal terreno prima che
abbia avuto il tempo di germogliare. La segretezza viene ingiunta in tutte le
pratiche spirituali non per incoraggiare l’egoismo, ma per far sì che il
devoto possa divenire forte in se stesso. Una volta ottenuta la ricchezza
interiore, egli potrà condividerla liberamente con gli altri.
Prova a introdurre canti e japa nelle tue pratiche spirituali quotidiane.
Scoprirai ben presto perché il mio guru ha detto: «Cantare è metà della
battaglia».

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Energia e ricarica

Nelle due lezioni precedenti abbiamo visto come, con l’aiuto delle
affermazioni, possiamo modificare i processi reattivi subconsci e assicurarci
il sostegno di tutto il nostro essere in ciò che facciamo.
Qual è la natura di questo sostegno? Certamente non è una semplice
acquiescenza, ma una fonte di straordinario potere che, inizialmente, libera
le energie intrappolate nelle vecchie abitudini, così che possiamo utilizzarle
liberamente. Successivamente, a mano a mano che questo apporto interiore
di energia viene guidato e focalizzato, si aggiunge a esso l’energia
dell’universo circostante. In questo semplice fatto possiamo trovare la
chiave di tutta l’umana grandezza. È principalmente da questa fonte infinita
che viene tutta la nostra forza, perfino – e molto più di quanto ne siamo
consapevoli – prima che raggiungiamo un livello significativo di sviluppo
spirituale. Se cercherai di vivere sempre più con quel potere divino fin
dall’inizio del tuo viaggio spirituale, eviterai di vagare all’infinito sui
sentieri secondari dell’ignoranza. È anche per questo che Gesù ha detto:
«Cercate prima il regno di Dio ... e tutte queste cose vi saranno date in
aggiunta».
La saggezza, l’amore, la gioia, la pace, tutte le qualità divine, inclusa
l’energia, sono implicite nel flusso della Grazia divina. Tuttavia, sono
percepite prima, e più facilmente, nella loro manifestazione inferiore, come
energia. Imparando a sintonizzarci con l’energia cosmica, possiamo
apprendere il segreto della sintonizzazione divina a tutti i livelli. Quel
segreto è la forza di volontà.
Immaginiamo, per cominciare, che tu abbia organizzato una festa. Gli
ospiti sono rimasti fino a tardi e hai deciso di aspettare fino a domani per
lavare i piatti. Il mattino dopo, però, devi uscire presto per andare al lavoro.
È una giornata particolarmente difficile in ufficio: il capo ti fa richieste
irragionevoli, cade la linea nel bel mezzo di una telefonata importante, ci
sono ritardi, incomprensioni, frustrazioni. Quando torni a casa, la sera, sei
molto stanco.
Non basta? Non proprio! Ti sei dimenticato l’enorme pila di piatti nel
lavello. Nel momento in cui entri in cucina e li vedi, la tua fatica si
trasforma in sfinimento. «Non ci penso neanche a lavare i piatti stasera!»
dichiari solennemente mentre crolli sul divano.
Proprio allora squilla il telefono. Un tuo vecchio amico, che non vedi da
anni, è appena arrivato in città e vuole invitarti stasera a un concerto al
quale tenevi tanto, ma che non potevi permetterti.
Da dove è venuta tutta questa improvvisa energia? Cinque minuti fa non
avevi abbastanza forza neppure per stare seduto e ora ti senti pronto non
solo a uscire di nuovo, ma addirittura a stare alzato fino a tardi!
Ovviamente, la quantità della tua energia non dipende solo dal cibo che
hai mangiato, ma dalla misura della tua forza di volontà. Si sa di persone
che hanno lavorato con grande energia per lunghi periodi senza cibo o
riposo, sostenute soltanto dalla determinazione di andare avanti.
Quando ero da poco nel monastero della Self-Realization Fellowship, il
Maestro, per offrire ad alcuni di noi una scusa per stare con lui mentre
lavorava ai suoi scritti a Twenty-Nine Palms, ci fece costruire una piscina
(che penso abbia usato una sola volta!). Per risparmiare soldi, preparammo
e stendemmo noi stessi il cemento. Cercando di evitare crepe (anche se in
seguito risultò che le perdite d’acqua non erano affatto un problema, dato
che l’acqua non defluiva neppure attraverso lo scarico!), facemmo l’intera
gettata di cemento in un giorno. Questo significò lavorare quasi senza
interruzioni per ventitré ore e mezza. In ogni caso, lavorare
volenterosamente per Dio è una gioia; lungi dal lamentarci per le lunghe ore
di lavoro, la prendemmo come un’opportunità per mostrarGli quale
benedizione fosse servirLo. Ogni palata di sabbia o di ghiaia che gettavamo
nella betoniera era accompagnata da mantra gioiosi.
Un monaco, tuttavia, dopo tre o quattro ore si sedette brontolando: «Non
sono venuto qui per preparare cemento!». Per tutto il resto del giorno cercò
di convincerci a non essere così “fanatici”.
Alla fine della giornata ci sentivamo tutti colmi di energia e gioia divina;
tutti, cioè, tranne lui. Il “devoto” riluttante, pur non avendo fatto nulla tutto
il giorno tranne lamentarsi, era esausto!
I medici hanno spesso notato che i pazienti che vogliono vivere a tutti i
costi possono guarire perfino da malattie senza speranza dal punto di vista
clinico, mentre altri, che non hanno più interesse per la vita, possono
perfino morire anche se apparentemente non ce n’è motivo.
Un mio amico lavorava come fisioterapista in una clinica per malati di
poliomielite. Mi disse di aver notato che spesso i pazienti poveri,
impossibilitati ad affrontare le spese di una lunga convalescenza, si
riprendevano velocemente, mentre i pazienti ricchi accettavano per così
tanto tempo la propria paralisi da farla diventare un’abitudine permanente.
Una volta incontrai una donna alta, forte, molto attiva, ma povera, che
aveva avuto la poliomielite. Il suo medico le aveva detto che non avrebbe
mai più potuto camminare, ma lei, con pura forza di volontà e un’ostinata
perseveranza, trascinandosi sul pavimento con le mani quando le gambe si
rifiutavano di obbedirle, era riuscita a guarire completamente dalla paralisi.
Io stesso feci un’esperienza in cui l’estrema necessità, nata dalla povertà,
rese più rapida la mia guarigione. Accadde in un ospedale di Città del
Messico, quando avevo diciannove anni. Ero stato colpito da streptococco,
tonsillite e dissenteria, e secondo i medici sarei dovuto rimanere a letto per
almeno due settimane. I miei genitori, ai quali avrei potuto chiedere aiuto
finanziario, si trovavano in Romania. Dopo essermi informato con
discrezione, mi convinsi che una permanenza di due settimane era di quasi
due settimane più lunga di quanto potessi permettermi! La mia disperazione
mi fece ristabilire in fretta e potei lasciare l’ospedale, perfettamente guarito,
dopo due giorni.
Anni fa lessi alcune statistiche, secondo le quali le persone che sono
abitualmente allegre, che si dedicano ad aiutare gli altri e si tengono attive
in modo costruttivo hanno meno probabilità di ammalarsi rispetto alle
persone malinconiche, egoiste e pigre. Le madri, ad esempio, che devono
accudire i figli malati durante un’epidemia, hanno molte meno probabilità
di ammalarsi: non hanno semplicemente tempo di pensare a se stesse.
Energia, resistenza, salute – perfino la nostra forza fisica – dipendono
dalla quantità di forza di volontà che possiamo impiegare per affrontare
ogni situazione. Ricordo di aver letto una volta la storia di una donna la cui
casa aveva preso fuoco. Nella disperazione del momento, la donna aveva
afferrato il pianoforte e lo aveva portato all’aperto. (A proposito di
attaccamento!) I dottori attribuiscono simili dimostrazioni di forza a un
improvviso flusso di adrenalina, eppure ho visto casi in cui non c’era alcuna
emergenza, ma solo una straordinaria volontà di riuscire, e anche allora la
forza era straordinaria. Il mio guru, qualche volta, diede dimostrazione di
quel tipo di forza in pubblico. Una volta, alla Symphony Hall di Boston, pur
essendo basso per gli standard americani, egli fece cadere sei corpulenti
poliziotti dal palcoscenico dentro la buca dell’orchestra, semplicemente
inarcando la schiena mentre loro cercavano di tenerlo premuto contro un
muro. Quegli uomini erano saliti sul palco rispondendo all’invito da lui
rivolto a chiunque volesse mettere alla prova la forza che è possibile
acquisire praticando lo yoga. Quando i presenti videro sei uomini così forti
e muscolosi farsi avanti per accettare la sfida, pensarono che questa volta
Yogananda sarebbe stato sicuramente sconfitto; invece, egli vinse senza
alcuno sforzo apparente. Gli yogi sostengono che tali dimostrazioni di forza
non dipendono da un flusso di adrenalina, ma dalla capacità di imbrigliare
le energie naturali del corpo e dell’universo circostante.
«C’è sufficiente energia in un grammo di carne» ci diceva il Maestro
«per mantenere la città di Chicago rifornita di elettricità per una settimana».
In un recente esperimento in un’università occidentale (credo fosse
Stanford), una cellula umana è stata convertita in energia. È stato riferito
che il lampo di luce che ne è risultato era molte volte più luminoso del sole.
Ciò nonostante, ci lamentiamo di essere troppo stanchi per lavare i piatti
della cena!
Noi SIAMO energia. Gli stessi atomi di cui è fatto il nostro corpo non
sono altro che energia. Tutta la materia è una manifestazione di
quell’energia. Quanto più rimaniamo consapevoli di questa realtà, tanto più
possiamo innalzarci trionfanti al di sopra della schiavitù della materia.
Fatica, debolezza, malattia non hanno posto nella nostra vera natura. Una
volta compresa questa verità, potremo dimostrarne l’utilità perfino nelle
piccole cose. Ogni volta che sento arrivare un raffreddore, ad esempio, a
meno che non mi colga di sorpresa durante il sonno, gli dico con fermezza:
«Vattene!», ed entro cinque minuti me ne sono completamente liberato. Un
mio confratello discepolo, che aveva cinquantacinque anni e pesava solo
sessantacinque chili, poteva svolgere facilmente dei lavori che un paio dei
monaci giovani, di cento chili l’uno ed ex sollevatori di pesi, trovavano
difficili.
L’energia è l’anello di congiunzione tra la coscienza e la materia, tra la
mente e il corpo. L’energia, infatti, non è altro che una manifestazione della
coscienza. In ultima analisi, ogni cosa è solo una manifestazione dello
Spirito. Quando vuoi che il tuo braccio si muova, la tua volontà agisce
direttamente sull’energia, non sulla materia. L’energia, a sua volta, agisce
sui muscoli del braccio, tendendoli e facendoli muovere. Se vuoi che il
braccio si muova, ma non gli mandi energia, rimarrà immobile.
Non solo il fluire dell’energia, ma anche la quantità di quel flusso,
dipendono dall’impiego della volontà. Se vuoi sollevare quello che pensi sia
un secchio vuoto, l’energia che impiegherai non sarà sufficiente ad alzarlo,
se invece è pieno. In questo caso, dovrai impiegare più volontà, e inviare
più energia; allora potrai sollevare facilmente il secchio. In termini
semplici, più forte la volontà, più forte il flusso di energia. Letteralmente,
non c’è limite al livello di volontà – e quindi alla quantità di energia – che è
possibile chiamare a raccolta in qualunque impresa, semplicemente perché
una forte volontà non è limitata dal potenziale energetico del corpo; se
applicata correttamente, essa attinge energia direttamente dall’universo.
Dico applicata correttamente perché a molti l’uso della forza di volontà
suggerisce una sorta di severa determinazione, un’esagerata consapevolezza
degli ostacoli e delle difficoltà, che implica un «no» dal subconscio anche
mentre la mente conscia sta affermando «sì». Buona volontà, quindi, è un
termine più adatto a suggerire il tipo di forza di volontà che intendo. In
questo senso, l’assioma è altrettanto vero per il rapporto dell’uomo sia con
l’energia cosmica che con l’energia del proprio corpo: più forte la volontà,
più forte il flusso di energia. Ricordalo; scolpiscilo nella mente; ripetilo
diverse volte al giorno. Questa singola verità può rivoluzionare la tua vita.
Il mio guru ha scritto nella sua grande opera, Autobiografia di uno yogi,
che la principale “porta” d’ingresso dell’energia cosmica nel corpo umano è
il midollo allungato, alla base del cervello. Questa, ha detto, è la sede della
forza vitale nel corpo. Mi disse anche che questa è la sede dell’ego nel
corpo (osserva come una persona orgogliosa sollevi spesso la testa
all’indietro, come se fosse esageratamente consapevole di questa zona), il
punto cioè in cui spermatozoo e ovulo si uniscono e iniziano il processo di
divisione dal quale ha origine il corpo umano. Il midollo allungato è l’unica
parte del corpo che non è operabile; se la si toccasse anche solo lievemente,
con una piuma, si causerebbe una morte immediata. Il midollo allungato è
la porta attraverso cui il corpo riceve energia dall’universo. Il polo positivo
di questo centro è l’ajna chakra, o centro cristico, tra le sopracciglia.
Attraverso questo polo positivo del midollo allungato noi inviamo energia
nell’universo. In entrambi i casi – nel ricevere così come nell’inviare –
l’assioma rimane valido: più forte la volontà, più forte il flusso di energia. Il
centro positivo, della volontà, nel corpo è il centro cristico. Concentrandoci
con forza in quel punto, o focalizzando lì la nostra determinazione e agendo
da quel punto, possiamo impiegare la forza di volontà per attirare un flusso
di energia illimitato attraverso il midollo allungato.
Gli atleti hanno constatato che se si spingono oltre il limite apparente
della loro resistenza, ritrovano nuovamente il fiato. È proprio così, ma solo
perché il respiro è energia. (In sanscrito, il termine per “respiro” ed
“energia” è lo stesso: prana.) Quegli atleti, con un ulteriore sforzo di
volontà, sono riusciti ad attingere alla fonte universale dell’energia.
Una volta feci un’esperienza interessante, simile alle loro. Stavo
lavorando per costruire una cupola geodesica. Era il mio primo tentativo di
costruirmi una casa all’Ananda Meditation Retreat (la prima di tre
costruzioni che non riuscirono a sopravvivere ai forti venti autunnali). Il
progetto richiedeva che si fissassero con dei grossi punti metallici dei fogli
di plastica a numerosi triangoli di legno. La cucitrice che usavo era dura, al
punto che un’altra persona che lavorava alla costruzione, una giovane
donna, non riuscì a farla funzionare neanche una volta, pur usando
entrambe le mani. Dopo cinquecento punti, sentii semplicemente che non
avrei potuto premere la cucitrice una volta di più. Poi però pensai: «Devo
finire questo lavoro prima che arrivino i venti autunnali» (non sapevo,
allora, che cosa avrebbero fatto quei venti alla mia cupola!). Con un
ulteriore sforzo di volontà, schiacciai la cucitrice ancora una volta, poi
ancora e ancora. Dopo circa sei volte, cominciò a sembrarmi più facile. Alla
decima volta, non mi servì più alcuno sforzo. Continuai a mettere punti
metallici quasi senza sforzo per almeno altre cinquecento volte. Un piccolo,
ulteriore sforzo di volontà e l’energia dell’Infinito aveva cominciato a fluire
nella mia mano.
Consciamente o inconsciamente, tutti noi viviamo almeno in parte grazie
a questa energia, che, come ha insegnato il mio guru, è la fonte diretta di
quella del nostro corpo. Il cibo e l’ossigeno, invece, devono essere
convertiti in energia dall’organismo; l’energia che ci forniscono ci arriva
indirettamente. Se la fonte diretta dell’energia non agisse sul cibo che
mangiamo, noi non sopravvivremmo a lungo. La batteria di un’auto non ha
solo bisogno di acqua distillata (che, nel nostro corpo, è paragonabile al
cibo), ma deve anche essere ricaricata di tanto in tanto. Quando la batteria si
scarica, non c’è alcuna quantità di acqua distillata che la possa riattivare.
Allo stesso modo, quando una persona muore, nessuna quantità di cibo
potrà riportarla in vita. L’uomo è una sorta di batteria. Gli è possibile, come
hanno dimostrato numerosi yogi indiani e mistici occidentali, vivere per
anni solo con questa energia. Un esempio moderno di tale potere fu Therese
Neumann di Konnersreuth, in Germania, sulla quale sono stati scritti
numerosi libri. Per oltre cinquant’anni fu ripetutamente tenuta sotto
controllo dai medici, e si vide che non aveva mai mangiato un solo boccone
né bevuto una singola goccia d’acqua.
Molti altri apparenti miracoli sono possibili per gli yogi, quando hanno
imparato a controllare il flusso dell’energia divina. L’energia che inviamo
alle diverse parti del nostro corpo può anche essere proiettata oltre i nostri
limiti fisici, per guarire gli altri o per modificare a nostro piacimento le
circostanze. Lo stesso principio può essere usato per attirare tipi più sottili
di energia: ispirazioni, risposte, benedizioni e amore divino. Questi aspetti
dell’argomento verranno trattati nella prossima lezione, sul magnetismo.
Tuttavia, per applicare questo principio a ogni livello, dal più sottile al
più grossolano, oltre alla forza di volontà è necessaria un’altra abilità.
Questo secondo ingrediente è la consapevolezza. Finché non si sviluppa, ad
esempio, una sufficiente consapevolezza dell’amore, è impossibile dirigere
correttamente la volontà per attrarre più amore. Senza un po’ di
consapevolezza del divino, non è veramente possibile realizzare alcuna
opera divina; di solito, ogni tentativo in tal senso si manifesta solo come
fanatismo. Con quella consapevolezza, invece, le opere divine, anche solo
un costante flusso di divino amore e armonia nel cuore, diventano
inevitabili. Questo, dunque, è un significato più profondo della famosa
affermazione biblica: «La fede, se non ha le opere è morta». Giacomo si
stava riferendo alle persone che hanno pietà dei miseri e degli affamati, ma
non offrono loro alcun aiuto pratico. Non esprimere alcuna pietà sotto
forma di azione positiva indica mancanza di consapevolezza (perché in
realtà siamo noi che soffriamo quando gli altri soffrono: noi siamo quei
sofferenti). L’affermazione di Giacomo, comunque, è vera anche a un
livello più sottile. Credere in Cristo, ad esempio, ma non sentire nulla in sua
presenza (le manifestazioni interiori delle sue “opere” divine), è un esempio
di fede morta; non è vero Cristianesimo. Se il credere non è accompagnato
da una certa dose di precisa consapevolezza, in verità non è nient’altro che
superstizione. Qualunque attività basata su una simile “fede” sarà come
imporre alla Gentilezza Infinita le proprie aspettative infondate.
«Più forte la volontà, più forte il flusso di energia». Più forte la volontà
di amare, più forte il flusso d’amore; più forte la volontà di gioire, più forte
il flusso di gioia. La legge che governa l’espressione dell’energia può essere
applicata a ogni livello di verità spirituale. A ogni livello, comunque, è
necessaria anche la consapevolezza. Se vogliamo esprimere amore o gioia
quando non siamo consapevoli di queste qualità, riusciremo a malapena ad
attingere alla loro fonte divina nel profondo del nostro essere; invece, a
seconda della nostra attuale consapevolezza, attireremo probabilmente solo
un’ulteriore coscienza di odio o infelicità. (Considera la tendenza delle
persone a esprimere desideri negativi come: «Se solo non fossi così
infelice!». Desiderano la gioia, ma in realtà la loro affermazione, il loro
reale atto di volontà, si basa su una consapevolezza di infelicità. Stanno
alimentando la loro tristezza, non la gioia.)
Il principio alla base della ricarica del corpo, quindi, è di vitale
importanza in tutti gli stadi di crescita spirituale. Tuttavia, è più facile
padroneggiarlo a livello dell’energia. La consapevolezza che si sviluppa
come risultato di questa padronanza può in seguito essere applicata a livelli
più sottili. Tutte le esperienze spirituali, infatti, sono collegate a questo
flusso di energia. Mentre può essere difficile perfino visualizzare la gioia
divina, è facile sentire il semplice flusso di energia nel corpo. Questa
esperienza può diventare la base per percezioni sempre più sottili.
All’inizio, comunque, l’energia stessa può essere un concetto difficile da
comprendere per gli yogi alle prime armi. Che cos’è l’energia? Come
possiamo percepirla?
Negli stati di coscienza superiori è possibile semplicemente vedere la
divina luce interiore e ordinarle di ricaricare di energia il corpo, dato che
l’energia del corpo è in verità una manifestazione di quella stessa luce.
All’inizio, però, è necessario concentrarsi sui risultati di quel flusso di
energia.
Quando muovi il braccio, è perché hai inviato energia ai suoi muscoli,
ordinando loro di tendersi. Hai già un certo livello di familiarità con questo
flusso di energia: lo sperimenti, ad esempio, quando stiri le braccia la
mattina appena sveglio. Quella bella sensazione nei muscoli è la
“colazione” di energia che stai dando loro per prepararli alle attività della
giornata.
Anche quando non riesci a sentire quel flusso, puoi sempre avvertire la
tensione dei muscoli e far sì che quella sensazione diventi il punto di
partenza per sviluppare la tua consapevolezza. Concentrandoti
interiormente sulla tensione dei muscoli, diventerai gradualmente
consapevole della fonte di quella tensione, nell’energia che fluisce verso i
muscoli. La tensione muscolare può quindi essere usata per stimolare il
flusso di energia.
Queste verità sono sempre state implicite negli insegnamenti dello yoga
e si sono dimostrate utili ben prima che venissero formulate come principi
definiti, proprio come la forza di gravità era utile all’umanità molto tempo
prima che la sua legge venisse scoperta. La scoperta della legge di gravità,
tuttavia, rese possibile un’applicazione più precisa di questa forza. Allo
stesso modo, quando le verità che riguardano la ricarica del corpo furono
trasformate in principi esatti, divenne possibile anche per chi era ai primi
passi trarne beneficio, e per gli yogi più progrediti utilizzarle più facilmente
e con maggiore completezza.
Tali principi furono scoperti dal mio grande guru, Paramhansa
Yogananda, nel 1916. Rappresentano un inestimabile contributo all’antica
scienza dello yoga, non solo perché consentono agli studenti di yoga di
ricaricare il corpo di energia a volontà, allontanando così la fatica e la
malattia, ma anche perché forniscono un prezioso strumento per sviluppare
la consapevolezza divina nei suoi aspetti più sottili.
Per stimolare la consapevolezza dell’energia per mezzo della tensione
fisica c’è bisogno di una calma consapevolezza interiore. La tensione
muscolare è necessaria per correre o per lanciare una palla, ma in questo
caso la concentrazione è applicata al movimento esterno. Per sviluppare la
consapevolezza interiore dell’energia come la vera forza al di là della
tensione muscolare, i relativi movimenti fisici devono essere lenti,
armoniosi e deliberati. Per usare questo principio per la ricarica e la
tonificazione di tutto il corpo, è necessario un sistema di esercizi, così che
ogni parte del corpo possa ricevere la dovuta attenzione.
Il mio guru ha inventato un sistema simile. Lo pratico ogni giorno da
quando l’ho imparato, nel 1948, e lo trovo fantastico. A volte, a causa degli
impegni pressanti, non ho potuto fare questi esercizi la mattina; per il resto
della giornata mi sono sentito come se avessi avuto delle ragnatele nei
muscoli, e ho pensato: «Ecco come si sente sempre la maggior parte della
gente. Accetta questa condizione solo perché non conosce niente di
meglio!».
Ricordo un episodio accaduto molti anni fa. Andai con un gruppo di
monaci a campeggiare in montagna. Mi avevano detto che la nostra meta
era un laghetto a venti minuti di cammino dalla fine del sentiero. Non
immaginando alcun problema, portai con me non solo il sacco a pelo e
qualche vestito leggero, ma anche un harmonium per cantare, una bottiglia
da quattro litri di succo di frutta e uno zaino pieno di cose utili, anche se
non necessarie, compreso un libro assai pesante che stavo leggendo.
Sfortunatamente, la passeggiatina di venti minuti risultò essere
un’arrampicata di dieci chilometri, quasi tutti su un sentiero ripido e
scosceso. A quell’epoca facevo un lavoro sedentario e quella camminata, a
oltre 2500 metri d’altezza, era più di quanto il mio corpo fosse pronto ad
apprezzare. Quando tornai in ufficio il lunedì seguente, non riuscivo quasi a
sollevare una matita.
«Devo trovare qualche scusa» pensai «per evitare di fare gli esercizi di
ricarica stasera». Avere la responsabilità di altre persone presenta certi
svantaggi: come capo dei monaci, avevo il compito non solo di unirmi a
loro nella pratica, ma anche di guidarli. Alcuni avevano fatto
quell’escursione insieme a me e anche loro erano indolenziti, anche se forse
nessuno era stato così sciocco da sovraccaricarsi come avevo fatto io.
Non essendo riuscito a trovare una scusa valida per rimanere seduto
mentre gli altri facevano gli esercizi, decisi che, visto che avrei dovuto
soffrire, tanto valeva che usassi tutta la mia volontà. Lo feci, tenendo a
mente con più fervore del solito il principio del mio guru: «Più forte la
volontà, più forte il flusso di energia».
Sorprendentemente, dopo dieci minuti di esercizi non sentii più neppure
una traccia di dolore nei muscoli! Invece, mi sentivo fisicamente più in
forma che se fossi rimasto tutto il fine settimana a casa a riposare. Mentre
mi allontanavo per andare a meditare, mi sembrava quasi di galleggiare
nell’aria.
In numerose altre occasioni, anche se poche così sensazionali, ho potuto
constatare il valore degli esercizi di ricarica, e non li raccomanderò mai
abbastanza.
Non è facile impararli dai libri, poiché sono numerosi e possono
sembrare complessi, almeno per il principiante. Per la mia esperienza, il
modo migliore di apprenderli è di persona, da un insegnante qualificato.
Potrai impararli nel ritiro Ananda nei pressi di Assisi, da uno degli
insegnanti di Ananda oppure con del materiale audiovisivo.*
Nel frattempo, anche come un’efficace introduzione a questo sistema di
esercizi, ti suggerisco di esercitarti a tendere tutti i muscoli del corpo
contemporaneamente e poi separatamente, senza fretta, aumentando
gradualmente la tensione fino a farli vibrare. Porta la tua attenzione
all’interno dei muscoli, al centro di ogni parte che stai tendendo. Per
cominciare, diventa consapevole della sensazione di tensione; cerca di
sentire, dietro quella tensione, il flusso di energia che la provoca. Ripeti
mentalmente, mentre pratichi: «Più forte la volontà, più forte il flusso di
energia. Voglio che la mia energia fluisca in ogni cellula!».

Posizioni yoga
Gli Esercizi di ricarica formano una parte distinta e separata della
scienza dello yoga. Tuttavia, i principi sui quali si basano possono e devono
essere incorporati nella pratica delle posizioni yoga. Quando esegui le
posture, specialmente quelle che allungano o tendono il corpo, dirigi
l’energia nelle parti interessate.
Ricorda che il tipo di forza di volontà che meglio energizza il corpo è un
atteggiamento di buona volontà. Ti sarà d’aiuto anche praticare le posizioni
con un sorriso interiore. (Ho visto troppo spesso studenti di yoga stringere
le labbra, serrare i denti e assumere un’espressione accigliata, mentre si
accaniscono a entrare a tutti i costi in una posizione. Un atteggiamento del
genere di fatto interrompe l’afflusso di energia al corpo!)

USTRASANA
(la posizione del Cammello)

«Con fede calma, mi apro alla Tua Luce».

Da Vajrasana, solleva i glutei da terra fino a portare le cosce in verticale,


con le ginocchia aperte quanto le anche e le dita dei piedi distese
all’indietro. Tieni le braccia ai lati e spingi il coccige verso il basso.
Inspira e, sollevandoti dal cuore, entra in un piegamento all’indietro.
Espira e rilassati nella posizione, entrando sempre più nel piegamento
all’indietro con ogni respiro successivo. Mantieni i glutei contratti e spingi
il pube in avanti; mantieni le cosce verticali.
Senza torcere la spina dorsale, lentamente porta le dita della mano
sinistra verso il tallone sinistro e appoggiati. Poi porta le dita della mano
destra al tallone destro. Espira e stabilizzati nella posizione.
Porta il mento al petto, allungando la nuca. Non lasciar cadere la testa
all’indietro. Rimani aperto più che puoi nella parte posteriore del torace,
anche se le scapole tendono ad avvicinarsi.
Mentre sei nella posizione, tieni i glutei contratti e spingi avanti il pube;
usa l’inspirazione per aprire tutta la parte anteriore del corpo, dalle
ginocchia fino alla sommità della testa, mantenendo aperte le scapole. Usa
l’espirazione per rilassarti nella posizione. Respira naturalmente.
Afferma: «Con fede calma, mi apro alla Tua Luce».
All’inizio mantieni la posizione per non più di 15 secondi, aumentando
gradualmente fino a un massimo di un minuto.
Per uscire dalla posizione inspira e, mantenendo il mento verso il petto,
solleva una mano in alto, riportando nuovamente il tronco in posizione
eretta. Infine, espirando, torna a sedere sui talloni.
Fai una pausa per sperimentare profondamente gli effetti della posizione.
(Vivi sempre con consapevolezza questo importante momento delle
posizioni.) Poi, se la parte inferiore della schiena ha bisogno di rilassarsi,
entra subito in una controposizione (ad esempio Balasana).

Benefici: questa posizione è eccellente per il bacino e per tonificare i


muscoli dello stomaco e del dorso.

Precauzioni
• Se le ginocchia sono deboli o lesionate, fai questa posizione con cautela
oppure non farla affatto.
• Se il collo è debole o senti che c’è rischio di farti male, mantieni il mento
al petto durante la posizione.
• Coloro che hanno problemi cardiovascolari non dovrebbero tenere a
lungo la posizione.
• Alcune lesioni spinali possono rendere controindicata la posizione.

ARDHA SALABHASANA
(la mezza posizione della Locusta)

«Mi innalzo su ali di gioia!».

Sdraiati con la fronte a terra e le braccia ai lati del corpo. Inspira e


solleva simultaneamente il braccio sinistro e la gamba destra a partire
dall’anca, mantenendo la gamba più o meno dritta e l’anca a terra. Tieni il
braccio sinistro rilassato a lato. Senti l’energia che dai piedi e dalle gambe
fluisce verso la base della spina dorsale.
Mantieni la posizione per circa 15 secondi all’inizio, aumentando
gradualmente con la pratica fino a 30 secondi o non più di un minuto. Ripeti
con il braccio destro e la gamba sinistra.

Precauzioni e Controindicazioni: le stesse di Salabhasana.


ARDHA MATSYENDRASANA
(la mezza posizione di Matsyendra)

«Irradio amore e benevolenza alle anime amiche, ovunque».

Ardha Matsyendrasana è una delle uniche due posizioni di cui sono a


conoscenza che hanno preso il nome da un grande yogi. Matsyendra visse
nei tempi antichi. La sua posizione completa è quasi impossibile da
praticare per le persone normali, ma la mezza posizione non è difficile per
la maggior parte delle persone.
Abbiamo piegato la spina dorsale in avanti in diagonale, in avanti dritta,
di lato e all’indietro. Questa importante postura crea una torsione laterale
della spina dorsale, l’unico movimento che mancava per completare questa
serie di allungamenti spinali.
Siediti con le gambe distese in avanti (anche su un cuscino, se questo ti
aiuta a rimanere dritto). Piega le ginocchia e fai passare il piede destro sotto
il ginocchio sinistro, sistemandolo al pavimento a lato dell’anca sinistra. Il
ginocchio destro è direttamente davanti all’ombelico. Porta il piede sinistro
oltre il ginocchio destro e appoggialo al pavimento. Siediti dritto e
bilanciato su entrambi i glutei.
Metti la mano sinistra al pavimento vicino al sacro e appoggia la mano
destra sulla parte esterna del ginocchio sinistro. Mantieni le spalle alla
stessa altezza.
Inspira e allunga la spina dorsale. Espirando, inizia a ruotare dolcemente
il tronco verso sinistra, ruotando dapprincipio solo la zona lombare.
Continua gradualmente, per diversi respiri: inspirando allungati,
espirando ruota. Sposta la torsione progressivamente verso la parte alta
della spina dorsale, terminando con il collo.
A mano a mano che progredisci nella torsione, troverai più comodo
mettere il ginocchio sinistro nell’incavo del gomito destro.
Tieni le spalle alla stessa altezza e mantienile rilassate durante tutta la
posizione. Ripeti mentalmente: «Irradio amore e benevolenza alle anime
amiche, ovunque». Respira dolcemente e in modo naturale.
Se i muscoli sono in tensione nella posizione, mantienila solo per pochi
secondi, aumentando gradualmente fino a un massimo di un minuto. Se
invece riesci a rilassarti nella postura, mantienila fino a quando è
confortevole.
Per uscire dalla posizione, inspira allungando la spina dorsale, espira
ruotando nell’altra direzione, cominciando dal collo e scendendo lungo la
spina dorsale. Fai tanti respiri quanti sono necessari per riportarti con il
torace rivolto in avanti.
Quando hai completato la rotazione, porta entrambe le ginocchia al petto
e abbracciale. Mantieni la spina dorsale dritta.
Fai una pausa e senti gli effetti della posizione, specialmente l’amore
espansivo nel cuore. Poi ripeti dall’altro lato.

Benefici: Ardha Matsyendrasana serve per scopi spirituali, così come


fisici. Dal punto di vista fisico, ovviamente, aggiusta le vertebre e mette in
esercizio la spina dorsale, rendendola più flessibile. Questa postura è
benefica anche in caso di costipazione e per gli organi genitali. Stimola in
modo benefico tutti gli organi addominali – i reni, il fegato e la milza – ed è
benefica anche in caso di schiena rigida o dolorante.
Dal punto di vista spirituale, se si è in grado di rilassarsi in questa
posizione, si potrà percepire l’energia che viene spinta in alto nella spina
dorsale nella regione dorsale all’altezza del cuore. Quest’area, come sa
chiunque abbia sperimentato un amore profondo e sensibile, è il centro nel
corpo dal quale si irradiano i sentimenti dell’amore. Gli yogi affermano che
questo centro dorsale, o anahat chakra, deve essere stimolato e i suoi raggi
di energia devono essere diretti verso il cervello. L’amore divino viene in
questo modo risvegliato nell’uomo.
Ardha Matsyendrasana, dirigendo in alto l’energia nella spina dorsale
fino a questa regione, aiuta a stimolare anahat chakra e a risvegliare il
sentimento dell’amore. Tuttavia, la qualità del cuore che si sperimenta in
questa postura di torsione non si dirige con facilità molto più in su, verso il
cervello. Piuttosto, il suo movimento naturale è verso l’esterno. Si può
percepirla come un flusso di compassione, anziché di devozione verso Dio.
Se hai anche solo il desiderio dell’illuminazione, hai già fatto molti
progressi sul sentiero evolutivo. Ora volgiti indietro a guardare tutte quelle
creature che sono meno fortunate di te nella loro comprensione dello scopo
della vita. Sedendo in modo confortevole in questa posizione, chiamale,
attraverso il potere magnetico del tuo amore, affinché ti seguano nella
ricerca di valori duraturi. Ripeti mentalmente: «Irradio amore e
benevolenza alle anime amiche, ovunque».

Precauzioni: consulta un medico in caso di lesioni spinali, protesi


all’anca o recente lussazione dell’anca.

Controindicazioni: da non eseguire dopo il primo trimestre di


gravidanza.

AKARSHANA DHANURASANA
(la posizione del Tiro con l’arco)

«Con le frecce della volontà trafiggo al cuore le preoccupazioni».


Siediti con le gambe distese di fronte a te (anche su un cuscino, se questo
ti aiuta a mantenere la spina dorsale dritta). Piega il ginocchio sinistro e
metti il piede vicino al gluteo. Con la mano destra, afferra l’alluce del piede
sinistro e sollevalo, portandolo verso la testa quanto ti è possibile
rimanendo comodo e senza torcere il ginocchio.
Inspira e allunga la spina dorsale, espira e piegati in avanti. Con la mano
sinistra afferra l’alluce del piede destro, mantenendo tesa la gamba destra.
Mantieni la spina dorsale il più possibile dritta, le spalle rilassate, lontane
dalle orecchie, e il collo in linea con il resto della colonna. Respira in modo
naturale.
Afferma mentalmente, con uno spirito di vittoria interiore: «Con le
frecce della volontà trafiggo al cuore le preoccupazioni». Ripeti dall’altro
lato.

Benefici: Akarshana Dhanurasana dà sollievo nei casi di costipazione


cronica. Ha effetti benefici in caso di reumatismi alle gambe, alle ginocchia
e alle braccia. Tende a rimuovere l’adipe dalla parte centrale del corpo. È
benefico per la digestione e, sopratutto, stimola la vitalità nel corpo.

Precauzioni
• Evita di tirare il piede sinistro verso l’alto, torcendo il ginocchio.
• Se hai problemi alle ginocchia, farai meglio a evitare completamente la
posizione, a meno che tu non abbia un’ottima consapevolezza e
padronanza del corpo.
GARUDASANA
(la posizione dell’Aquila)

«Al centro delle tempeste della vita, io sono sereno».

Da Tadasana, sposta il peso del corpo sul piede sinistro. Concentra lo


sguardo su un punto fisso, a terra o sulla parete davanti a te.
Piega leggermente il ginocchio sinistro, porta il piede destro davanti al
sinistro e avvolgi il più possibile la gamba destra attorno alla sinistra,
mantenendo quest’ultima piegata.
Piega il braccio sinistro a 90º e portalo di fronte a te al centro del corpo,
tenendo l’avambraccio verticale. Avvolgi il braccio destro sotto e attorno al
sinistro, con la parte interna del gomito destro sotto il gomito sinistro e i
palmi uniti. Mantieni il petto sollevato e il bacino rivolto in avanti.
Rimani dritto e percepisci la tua coscienza centrata nella spina dorsale.
Senti che, anche se la vita ti fa girare di qua e di là in innumerevoli
direzioni, nel profondo del tuo essere tu rimani in pace, centrato nel tuo Sé
più alto.
Respira in modo naturale e afferma mentalmente: «Al centro delle
tempeste della vita, io sono sereno».
Mantieni la posizione fino a quando è confortevole.
Per uscire dalla posizione, inspira aprendo le braccia ai lati. Espirando,
riporta i piedi paralleli e le braccia lungo i fianchi, tornando in Tadasana.
Fai una pausa per sentire gli effetti della posizione, poi ripeti dall’altro
lato.

Benefici: questa posizione energizza le braccia e le gambe. I suoi


benefici sono soprattutto a livello psicologico e spirituale.

Precauzioni
• Le persone con protesi all’anca o con recente lussazione dell’anca non
devono incrociare le gambe, ma ruotare invece esternamente l’anca della
gamba non appoggiata a terra e lasciare il tallone appena sopra la
caviglia della gamba appoggiata.

Respirazione

Prana è la parola sanscrita che indica sia energia sia respiro. Il respiro
viene chiamato prana, in parte, perché la sua causa interna nel corpo è il
flusso di energia nei canali nervosi i a e pingala collocati nella spina
dorsale. Tuttavia, il respiro viene identificato anche con l’energia, perché è
un importante mezzo attraverso il quale la attiriamo nel corpo. È anche un
veicolo attraverso cui inviamo la nostra energia e le nostre vibrazioni al
mondo intorno a noi. Quando parliamo, per esempio, emettiamo vibrazioni
non solo con la voce, ma anche con il respiro stesso.
Hai mai notato come, in presenza di alcune persone, tendi istintivamente
ad allontanarti da loro per evitare il loro fiato, anche se non ha un odore
sgradevole? Ci sono altre persone il cui respiro, indipendentemente dal suo
odore, è piacevole, come se avesse un effetto calmante o rigenerante sugli
altri. Ho conosciuto un santo in India che era solito guarire le persone
soffiando sulle proprie dita e poi scuotendole, come se stesse lanciando
energia nella loro direzione.
Quando sei all’aperto nella Natura, respira profondamente, inspirando in
modo consapevole le vibrazioni attorno a te. Fai altrettanto quando ti trovi
in luoghi spirituali; senti che ti stai colmando di influenze rigeneranti.
Quando parli con gli altri, manda loro le tue vibrazioni con la voce e il
respiro; benedicili mentre parli, benedici l’ambiente che ti circonda ogni
volta che espiri.
Kapalabhati Pranayama è un esercizio di respirazione adatto per
rafforzare il diaframma. Porta il diaframma all’interno in modo energico,
forzando l’uscita dell’aria attraverso le narici con delle contrazioni veloci.
Lascia che l’inspirazione fluisca in modo automatico, e concentrati
sull’espirazione. Ogni respiro dovrebbe durare circa un secondo.
Inizialmente, fai questo esercizio da 12 a 24 volte, poi aumenta
gradualmente a mano a mano che ti abitui.

Kapalabhati Pranayama è una pratica eccellente non solo per il


diaframma, ma anche per dirigere l’energia in alto verso il cervello.*

Sequenze

Aggiungi alla sequenza che hai praticato nelle ultime due settimane
Ustrasana (la posizione del Cammello), togliendo Supta Vajrasana (la
posizione Stabile supina). Fai Ardha Salabhasana (la mezza posizione della
Locusta) prima della posizione completa dell’Arco. Inserisci Ardha
Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra) alla fine degli esercizi
per la spina dorsale. Pratica Akarshana Dhanurasana (il Tiro con l’arco) al
posto di (o prima di) Janushirasana (la posizione della Testa al ginocchio).
Fai Garudasana (la posizione dell’Aquila) invece di Utkatasana (la
posizione della Sedia).
Guarigione
Circolazione sanguigna

Abbiamo già detto che la maggior parte delle posizioni yoga non dovrebbe
essere praticata da persone che sono affette da pressione arteriosa
eccessivamente elevata. Presumendo però che il cuore e la pressione
arteriosa siano normali, le posizioni sono eccellenti per la circolazione. Il
loro gentile effetto stimolante è molto più salutare per il corpo di un
violento esercizio fisico. Le posizioni del corpo che cambiano lentamente e
che fanno affluire il sangue in una parte del corpo e poi lo fanno ritirare,
sono scientificamente studiate per far sì che il sangue fluisca liberamente e
in modo uniforme in tutto il corpo.
Le posizioni capovolte, per esempio, sono eccellenti per le vene
varicose, così come per far affluire il sangue al cervello.
Per il cuore, sono eccellenti i piegamenti alternati in avanti e all’indietro
di Halasana (la posizione dell’Aratro) e di Bhujangasana (la posizione del
Cobra). La pratica così frequente nell’Hatha Yoga di stimolare il cuore in un
esercizio e poi di riposare a sufficienza affinché esso ritorni al suo battito
consueto, è un modo molto migliore di stimolare l’azione del cuore rispetto
alla prolungata attività violenta, come avviene nella pratica sportiva.
Per un cuore malato, così come in caso di pressione arteriosa elevata, la
posizione migliore è Savasana (la posizione del Cadavere).

Alimentazione
Semplicità in ogni cosa

Buddha insegnò ai suoi discepoli la Regola d’Oro della moderazione in


ogni cosa. Questa regola è importante quando si ha a che fare con
l’alimentazione. Tutti sanno che è bene non mangiare troppi cibi ricchi, ma
pochi sanno che è insensato combinare troppi tipi diversi di alimenti.
Normalmente non si dovrebbero mangiare le verdure assieme alla frutta. Gli
yogi non parlano delle giuste combinazioni alimentari in maniera così
elaborata come hanno fatto gli specialisti di dietologia in Occidente, ma
l’importanza che assegnano a un’alimentazione semplice raggiunge quasi
gli stessi risultati. Una regola semplice ma efficace è di mangiare solo un
tipo principale di cibo alla volta, sia che si tratti di carboidrati, proteine o
frutta. Gli yogi prediligono alimenti che hanno un elevato valore energetico
e che si possono mangiare in quantità minore.
Potrebbe essere interessante per te sapere come riuscii, alla fine degli
anni Sessanta, a vivere spendendo solo dieci dollari al mese per il cibo. La
carne – solitamente una delle voci principali nel bilancio alimentare – non
era un problema per me: non la mangiavo da oltre vent’anni. Il pane è un
altro alimento costoso; io, invece, preparavo dei ciapati molto economici.
Poiché li friggevo in olio vegetale, non sentivo alcun bisogno di spalmarvi
sopra del burro (un altro cibo molto caro). Tolsi le uova dalla mia dieta,
poiché anch’esse costavano molto. Il latte lo preparavo con del latte in
polvere a un terzo del costo del latte fresco; questa preparazione richiese
una certa rieducazione del mio palato, ma dopo che gli ebbi detto di farselo
piacere, esso mi obbedì abbastanza allegramente. Carne, burro, pane, uova,
latte fresco: togliendoli dalla dieta, si può vivere davvero in economia.
Mi sforzai anche di mangiare il più possibile cibi crudi. Quando il cibo è
cotto, molta della sua vitalità viene distrutta. Le verdure solitamente sono
cotte così a lungo che si farebbe meglio a bere l’acqua di cottura e a gettare
via i “cadaveri”.
Feci germogliare semi da aggiungere alle insalate. Mangiai semi di
girasole e altri alimenti altamente concentrati. Dieci dollari al mese erano
più che sufficienti per andare avanti senza alcun senso di autoprivazione.
Potevo persino concedermi il lusso di alcuni dolci.
Una buona fonte di proteine, e anche la più economica, è il dal di piselli
gialli spezzati, la cui ricetta ho inserito nella sesta lezione.
Un’altra ottima fonte di proteine poco costosa si trova nei ceci crudi.
Dovrebbero essere messi a bagno per una notte, poi sbucciati e mangiati
crudi.

Ecco alcune ricette economiche:

Cereali per la colazione


Metti a bagno 150 g di frumento integrale per 24 ore in 350 ml di acqua.
Scola, sciacqua e cuoci in un litro d’acqua, aggiungendone di più se
necessario, per un’ora e mezza o finché la maggior parte dei grani si sono
aperti. Scola e servi caldo, con miele e burro. È sufficiente per preparare
circa 300 g di cereali.

Tamal di mais in casseruola


2 burger vegetali liofilizzati, preparati seguendo le istruzioni sulla
confezione; cuocili per alcuni minuti e mescola frequentemente
200 g di mais (va bene anche in scatola o surgelato)
250 ml di pomodori (vanno bene quelli in scatola)
80 ml di olio vegetale
1 piccola scatola di olive tritate
1 peperone alla griglia
tamari a piacere
cipolla tritata (facoltativo)
1 piccola testa d’aglio, tritata (facoltativo)
60 ml di latte
100 g di farina di mais
1 uovo

Mescola tutti gli ingredienti eccetto le uova, il latte e la farina di mais.


Cuoci a bassa temperatura per 15 minuti, mescolando frequentemente, poi
sbatti assieme l’uovo e il latte e aggiungili al composto. Mescola la farina di
mais con un po’ d’acqua, solo fino a quando inizia ad addensarsi. Incorpora
nella miscela; insaporisci a piacere. Cuoci in una teglia imburrata per ½ ora
a 200° C.

Orzo al forno
Metti a bagno 300 g di orzo per una notte. Scolalo e fallo bollire
lentamente in abbondante acqua fredda per ½ ora. Scola e risciacqua con
acqua fredda. Soffriggi nell’olio una cipolla media finemente tritata.
Aggiungi l’orzo tritato, paprika, pomodoro, un pizzico di sale e foglie di
alloro. Inforna per un’ora a 190° C. Servi con salsa di funghi.

Khicharhi
Soffriggi nel burro o in olio di oliva i seguenti ingredienti, facendo
cuocere a fuoco lento per alcuni minuti a bassa temperatura e mescolando
frequentemente:

½ cucchiaino di coriandolo
2 foglie di alloro
¼ cucchiaino di curcuma
½ cucchiaino di curry in polvere
¼ cucchiaino di zenzero
¼ cucchiaino di senape in polvere
½ cucchiaino di semi di anice
¼ cucchiaino di sale
½ cucchiaino di timo
¼ cucchiaino di cannella

Aggiungi a questa combinazione 3 verdure cotte qualsiasi, come carote,


patate, cavolo ecc., oppure ceci o altri legumi, approssimativamente 450 g.
Se lo desideri, puoi aggiungere anche concentrato di pomodoro.

Meditazione
La concentrazione

Nella prima parte di questa lezione ho affermato che la forza di volontà,


per essere efficace, deve essere unita alla consapevolezza. Se una persona
provasse con grande determinazione ma con poca consapevolezza a far
passare un filo attraverso la cruna di un ago, non farebbe che spuntare il
filo, ma non riuscirebbe a infilarlo nell’ago. Molti atti di volontà sono
eseguiti con una simile mancanza di percezione. Alcune persone,
determinate ad avere la meglio a tutti i costi in una discussione, finiscono
per aggredire gli avversari, perdendo così ogni possibilità di affermare
veramente il proprio punto di vista. È accaduto spesso che delle nazioni si
siano combattute aspramente, quando invece i loro disaccordi avrebbero
potuto essere ricomposti con successo; che sindacati, per ottenere vantaggi
egoistici e temporanei, abbiano paralizzato l’economia di un Paese,
danneggiando alla fine gli stessi lavoratori; e che industrie, con una spietata
concorrenza, si siano fatte dei nemici che alla fine le hanno ridotte al
fallimento.
Nella lezione precedente ho raccontato di come avessi l’abitudine di
fumare. Ricordo bene come cominciò: ero a una festa, e un amico mi fece
“generosamente” vedere come si aspira il fumo di sigaretta. La prima
boccata mi lasciò nauseato e stordito. «Supererò questa debolezza» decisi
«anche se dovesse essere l’ultima cosa che faccio!». Se fossi stato più
consapevole, mi sarei reso conto che la mia vera debolezza non era la
repulsione del mio corpo di fronte a qualcosa di così innaturale, ma la
preoccupazione per l’opinione dei miei compagni.
Consapevolezza. Che cos’è? Come si sviluppa? Per mancanza di
consapevolezza, quanto spesso perfino le nostre virtù finiscono per
pavimentare la strada della nostra rovina! Si potrebbe trovare una
definizione soddisfacente per i più pedanti, ma non servirebbe ad alcuno
scopo utile, poiché tutti sappiamo che cosa significhi essere consapevoli. Ci
vuole consapevolezza, tanto per cominciare, per apprezzare le definizioni
pedanti! È bene, tuttavia, affrontare due punti significativi. Il primo è che
siamo più o meno consapevoli in rapporto alla quantità di energia che
attraversa il nostro cervello; il secondo, che siamo più o meno consapevoli a
seconda della nostra concentrazione.
Una persona ottusa, pur concentrando tutte le sue energie mentali su un
soggetto, sarà meno consapevole di una persona intelligente, semplicemente
perché il suo livello di energia è più basso. Tuttavia, anche un essere umano
normalmente vitale e cosciente può essere a volte un po’ ottuso, ad esempio
quando i suoi pensieri vagano in ogni direzione a causa di una forte ansia o
preoccupazione. Aumentare il flusso di energia diretto al cervello è lo scopo
principale della pratica dello yoga, che ci offre molti insegnamenti per
raggiungere questo obiettivo. Tra questi vi sono la corretta alimentazione, le
posture e gli esercizi di respirazione. Nella prossima lezione esploreremo un
altro aspetto importante di questo argomento, quando tratteremo del
magnetismo. In ogni caso, entrambi i fattori che determinano il grado di
consapevolezza di una persona – la quantità di energia diretta al cervello e
la direzione di quell’energia dopo che lo ha raggiunto – dipendono in primo
luogo da una cosa sola: la capacità di concentrazione. Quando l’energia è
stata portata nel cervello, è altrettanto necessario focalizzarla su un singolo
oggetto o stato di coscienza.
La concentrazione è necessaria anche per esercitare la forza di volontà.
Questa può essere descritta come l’intenzione dell’intelletto diretta verso un
unico punto e rafforzata dall’energia. La volontà, l’intelletto e il potere di
concentrazione hanno tutti sede nell’ajna chakra, o centro cristico, nel
punto tra le sopracciglia e sono dunque in relazione reciproca. La
concentrazione applicata a ciò che è diviene intelletto; applicata a ciò che
dovrebbe essere (così come determinato dall’intelletto) diviene forza di
volontà. L’intelletto, di per sé, è una facoltà più o meno statica. In genere
riflette i sentimenti e dunque, sul sentiero spirituale, deve essere purificato
dalla devozione. Quando la volontà, invece di essere focalizzata sull’azione,
si unisce interiormente all’intelletto purificato in un semplice atto di
divenire, il risultato è la divina illuminazione. È per questo che la Bhagavad
Gita afferma che durante la meditazione bisognerebbe abbandonare ogni
progetto mentale. Finché la volontà sarà occupata in pensieri relativi
all’azione – anche nel caso di azioni rivolte a migliorare se stessi – la mente
sarà diretta all’esterno, lontano dal suo vero centro. Noi, infatti, siamo già la
Divina Verità; dobbiamo solo realizzare il nostro vero sé. Spiritualmente
parlando, l’atto stesso del divenire implica soltanto un completo
riconoscimento di realtà che l’intelletto, da solo, terrebbe impersonalmente
a distanza. In verità, quando volontà e intelletto sono diretti interiormente
verso l’anima tramite il potere della profonda concentrazione, le loro
funzioni non sono più nettamente separabili l’una dall’altra.
A ogni livello di attività mentale, la concentrazione è la chiave per il
successo. Lo studente che si presenta all’esame perseguitato dal motivetto
di una canzone popolare che gli ronza nella testa; l’uomo d’affari che cerca
di sottoscrivere un importante contratto, ma è preoccupato da una
discussione avuta la mattina con la moglie; il giudice distratto nelle sue
funzioni dalla somiglianza dell’accusato con il proprio figlio: ognuna di
queste persone potrebbe dirci qualcosa sugli svantaggi di una scarsa
concentrazione. Suppongo che tutti concordino nell’affermare che la
mancanza di concentrazione significa inefficienza. Ciò che invece
solitamente si ignora è che una mente focalizzata ha successo non solo
perché riesce a risolvere i problemi con prontezza, ma perché i problemi
stessi in qualche modo svaniscono di fronte a quell’energia concentrata,
senza che ci sia bisogno di risolverli. Una mente ben focalizzata attrae
spesso opportunità di riuscita che agli occhi di altri individui meno capaci di
concentrazione (e quindi con scarso successo) paiono colpi di fortuna. La
persona dalla mente concentrata riceve nel suo lavoro e nei suoi pensieri
delle ispirazioni che, alle menti più ottuse, possono sembrare la prova di
uno speciale favore divino. Quegli apparenti “favori” sono invece dovuti
alla forza della focalizzazione, che risveglia i nostri poteri e li incanala,
dissolvendo gli ostacoli sul nostro sentiero e attraendo letteralmente
opportunità, intuizioni e ispirazione. In molti modi, sia sottili che evidenti,
la concentrazione è la chiave più importante per il successo.
Tutto questo è particolarmente vero nella pratica dello yoga. La mente,
soprattutto nella meditazione, deve essere così perfettamente immobile da
non lasciar entrare neppure un’increspatura di pensiero. Dio, la Realtà più
sottile, non può essere percepito se non nel silenzio più completo. Gli
insegnamenti dello yoga, quindi, si basano in larga misura su tecniche volte
specificamente a sviluppare la concentrazione.
Tra di esse, quella che il mio guru considerava più efficace si basa su una
speciale attenzione al processo naturale del respiro. È una pratica molto
conosciuta in India e sempre più diffusa anche tra gli studenti di yoga
occidentali, grazie al crescente numero di scritti sull’argomento pubblicati
da insegnanti indiani. È stata la tecnica preferita dai buddisti fin dagli inizi
della loro epoca. È nominata diverse volte nelle antiche Upanishad (le
autorevoli Scritture indiane che presentano l’essenza della Scrittura più
antica di tutte, i Veda; a sua volta, la più recente Bhagavad Gita contiene
l’essenza delle Upanishad). È una tecnica che viene a torto trascurata dai
principianti per la sua semplicità, mentre è proprio questa la sua grandezza.
Prima di parlare di questa pratica, chiediamoci: «Che cos’è la
concentrazione?». La concentrazione implica, innanzitutto, la capacità di
liberare le nostre energie mentali ed emozionali da ogni altro interesse e
coinvolgimento, e in secondo luogo la capacità di concentrarle su un
singolo oggetto o stato di coscienza. La concentrazione può assumere
diverse forme, da una dinamica effusione di energia a una quiescente
percezione. Nei suoi stadi più alti, la concentrazione diventa così profonda
da essere ben più di una semplice pratica: lo yogi si identifica
completamente con l’oggetto della sua concentrazione, al punto che egli
stesso, l’oggetto e l’atto della concentrazione diventano una cosa sola. Egli
può perfino diventare temporaneamente uno con qualcosa di esterno a sé.
La comprensione che può ottenere in questo modo è molto più profonda di
quella raggiungibile con la distaccata obiettività scientifica, che, pur
essendo il vanto della tradizione occidentale, ha lo svantaggio di allontanare
l’uomo dalla Natura, invece di porlo in armonia con essa. Con la
concentrazione sulle nostre realtà superiori, ci identifichiamo con esse in
modo permanente. In questo caso, infatti, non c’è più alcuna realtà
personale alla quale fare ritorno, poiché noi siamo quelle realtà. Siamo
l’infinita luce, amore, gioia e saggezza di Dio. Dovremmo sviluppare fin
d’ora la nostra concentrazione tenendo conto di queste direzioni superiori. E
fin d’ora la nostra concentrazione dovrebbe essere così profonda da
trasformare gli sforzi della pratica diligente in un naturale processo di
divino divenire.
È quindi ovvio che la tecnica di concentrazione più efficace sarà quella
che interiorizza la mente, e al tempo stesso consente una graduale
transizione dalla pratica all’assoluta immobilità. La tecnica
dell’osservazione del respiro soddisfa entrambi i requisiti forse meglio di
qualunque altra, non solo perché il respiro è uno dei punti più naturali su cui
far convergere l’attenzione, ma anche perché più ci si concentra su di esso e
più la respirazione si fa sottile, fino a cessare automaticamente e senza
sforzo. Il meditante, l’atto di concentrazione e l’oggetto della
concentrazione diventano allora una cosa sola. Nell’assenza di respiro,
inoltre, i sensi si acquietano automaticamente e permettono una
continuazione indisturbata dello stato di focalizzazione. Quando la mente è
perfettamente raccolta, il suo potere concentrato può essere diretto verso
qualunque oggetto. Tuttavia, siccome l’osservazione del respiro non
coinvolge la volontà in un’azione esteriore, bensì in un atto di intimo
divenire (con la concentrazione sul respiro si acquisisce la consapevolezza
di essere aria o spazio infinito), la direzione naturale della mente in questa
tecnica è verso la supercoscienza. (Se la volontà non è coinvolta, la mente
tende invece a scivolare nel subconscio.)
Perché il respiro rappresenta un naturale punto focale per la nostra
attenzione? Perché è l’ostacolo più universale all’attenzione profonda.
Osserva come smetti automaticamente di respirare quando vuoi concentrarti
profondamente su qualcosa. Chi tiene in mano una macchina fotografica e
vuole scattare una foto con un lungo tempo di esposizione, deve trattenere il
respiro per minimizzare il movimento del braccio. Istintivamente, tutti noi
comprendiamo che il respiro irrequieto è un ostacolo che ci impedisce di
tenere ferma la mente.
Un devoto, una volta, si lamentò con il proprio guru di quanto gli fosse
difficile concentrarsi durante la meditazione. Ciò che lo distraeva era il
fischio continuo di una fabbrica vicina. «Dato che quel fischio ti disturba»
gli disse il guru «perché non ti concentri su di esso?». Il discepolo scoprì
che in quel modo la sua concentrazione era completa; egli diventò, in un
certo senso, una cosa sola con il fischio, che ormai accettava poiché non gli
sembrava più un disturbo. Poté così passare facilmente dalla concentrazione
su qualcosa di esterno a sé, all’intima meditazione su Dio.
Una mente irrequieta può lasciarsi distrarre da molte cose. In questo
caso, può essere necessario richiamarla all’attenzione con la forza, ad
esempio con le posizioni yoga o cantando ad alta voce. Ma quando la mente
comincia ad acquietarsi, l’ostacolo maggiore che le impedisce di
raggiungere una calma ancora più profonda è il respiro. Concentrandoci sul
respiro, raggiungiamo l’immobilità mentale. La concentrazione sul respiro,
a differenza di altre forme di focalizzazione, ci conduce naturalmente alla
meditazione, che il mio guru ha definito come il far convergere su Dio o su
uno dei Suoi attributi la propria attenzione focalizzata. La concentrazione
sul fischio della fabbrica potrà aiutarci ad accettarlo, ma quell’accettazione
non sarà di per sé uno stimolo alla meditazione. Il fischio rimarrà un
fischio. Quando facciamo convergere l’attenzione sul respiro, invece, esso
diminuisce; diventando sempre più sottile, ci conduce naturalmente a uno
stato interiorizzato e meditativo.
Le onde dell’oceano che si sollevano con i movimenti della luna; gli
incessanti cicli di giorno e notte; le stagioni; la nascita e morte di nazioni e
intere civiltà; la creazione di stelle e pianeti e la loro finale distruzione;
l’esplosione di energia che ha manifestato l’universo e la dissoluzione finale
di tutte le cose nell’Infinito Silenzio: tutto questo rivela il ritmo universale
della Natura, il fluire e defluire della dualità, senza il quale il processo
creativo non potrebbe continuare e tutte le cose cesserebbero
immediatamente di esistere, lasciando solo la Realtà Finale: Satchidananda,
l’eterna, immutabile beatitudine dello Spirito.
Per poter dar luogo alla creazione, lo Spirito ha diviso in due la Sua
coscienza, attraverso la legge della vibrazione. Muovendosi da uno stato di
riposo in direzioni opposte, ha assunto un’apparenza esteriore. Al centro
immobile di tutte le cose riposa lo Spirito immoto. Tutta la creazione, per
mantenere la propria parvenza di realtà separata, deve rimanere in uno stato
di movimento. Una barra di ferro, sebbene apparentemente inerte, è
composta di elettroni che sfrecciano di qua e di là, in un microcosmo così
piccolo da poter essere individuato solo dal microscopio più sensibile.
L’universo è vibrazione. Come disse l’antico greco Eraclito, «Panta rei»,
tutto scorre.
L’universo manifesto può essere definito come il respiro dello Spirito:
l’apparire e scomparire di tutte le cose rappresenta la Sua inspirazione ed
espirazione. Poiché pensiamo all’inspirazione come all’immettere respiro
nel corpo, potremmo associare l’“inspirazione” di Dio al Suo ritirare
nuovamente in Sé tutte le cose. A livello umano, però, l’inspirazione tende
a portare la nostra coscienza all’esterno: immettendo nel nostro corpo l’aria
del mondo circostante, prendiamo atto della sua realtà e della nostra identità
con esso. La prima inspirazione del neonato segna il suo ingresso sul
palcoscenico del mondo. Anche nei ritmi universali della Natura, quelli
associati all’inspirazione affermano l’esteriorità: il giorno, in opposizione
alla notte; la primavera, in opposizione all’autunno; l’ascesa delle nazioni,
in opposizione al loro declino. L’espirazione è associata a un ritirarsi dal
mondo ed è infatti l’ultimo movimento, collegato alla morte. Anche sul
palcoscenico della vita quotidiana l’inspirazione è associata
all’affermazione delle realtà esteriori, l’espirazione alla loro negazione.
Quando accogliamo con gioia la vita, inspiriamo profondamente; quando
siamo dispiaciuti, sospiriamo. È interessante che gli yogi affermino che con
l’inspirazione l’energia si muove verso l’alto nella spina dorsale, mentre
con l’espirazione si dirige verso il basso. Un movimento ascendente nella
spina dorsale accompagna ogni atteggiamento di affermazione della vita; un
movimento discendente accompagna stati di depressione o di rifiuto
dell’esistenza.
Affermare la vita esteriormente significa accentuare lo Spirito manifesto:
l’ego, non l’anima immutabile in noi. Nel continuo flusso e riflusso della
Natura vediamo ripetersi senza fine, con infinite variazioni, la fondamentale
verità: «Io, il sé manifesto, sono Lui, l’Immanifesto». Ogni “inspirazione”
della Natura, ogni rinnovata affermazione della realtà oggettiva, viene
offerta con “l’espirazione” allo Spirito, l’essenza finale di ogni cosa. Anche
il respiro umano fluisce in questo mantra continuo. In sanscrito, le parole
del mantra universale di tutte le creature sono Aham saha o, ridotte in
parole di potere mantrico, Hong-So: «Io sono Lui». Gli yogi affermano che
a un livello sottile questo è realmente il suono del respiro: Hong con
l’inspirazione, So con l’espirazione. Ripetere mentalmente Hong-So,
specialmente in associazione al respiro, significa affermare continuamente
la verità che il piccolo ego umano è uno con Brahma, lo Spirito Infinito:
«Hong-So! Io sono Lui! Io sono Lui!».
Ripeti questo mantra mentre osservi il respiro senza cercare di
controllarlo. Lascialo fluire naturalmente, con il suo ritmo. Seguilo per tutta
la durata dell’inspirazione cantando mentalmente Hong, durante tutta
l’espirazione cantando mentalmente So.
La perfezione in questa tecnica si raggiunge con il passaggio dal respiro
all’assenza di respiro. Solo nell’assenza di respiro si può veramente
realizzare Dio. In altri capitoli di queste lezioni ho fatto notare che il respiro
risponde immediatamente ai diversi stati mentali ed emozionali. Anche il
modo in cui fluisce nelle narici indica lo stato di coscienza. È vero pure il
contrario: così come fluisce il respiro, fluisce anche la mente. Una
respirazione pesante può agitare la mente, una respirazione calma la rende
tranquilla. Anche la concentrazione sul respiro conduce alla calma mentale;
questa si riflette poi in un respiro sempre più lieve, che a sua volta favorisce
una concentrazione e una calma sempre più profonde, e così via finché
mente e respiro raggiungono entrambi la perfetta immobilità.
Ci sono diverse spiegazioni su come sia possibile rimanere senza respiro
per lunghi periodi di tempo senza danneggiare in alcun modo il corpo o il
cervello. (In realtà, gli effetti di ringiovanimento che derivano dall’assenza
supercosciente di respiro sono meravigliosi.) Quando lo yogi raggiunge lo
stato di assenza di respiro, nel samadhi, il suo corpo è mantenuto in vita
direttamente dall’energia che fluisce dal midollo allungato. In questo stato è
possibile rimanere senza respirare per giorni, mesi e perfino anni. Il corpo
appare esteriormente privo di vita, ma interiormente si è colmi della
coscienza della vita infinita.
Nel 1961 il direttore dell’Istituto Zoologico del Darjeeling, in India, mi
raccontò che in una spedizione scientifica da lui compiuta nell’Himalaya
aveva incontrato uno yogi seduto a terra, ben al di sopra della linea delle
nevi perenni, in uno stato di samadhi. Doveva essere seduto così immobile
da almeno sei mesi, dato che le sue unghie, ormai lunghissime, erano
cresciute fino a conficcarsi nella corteccia di un albero lì accanto e si
sarebbero spezzate con il minimo movimento.
Potrà accadere anche a te di rimanere per qualche attimo senza respirare
durante la pratica di Hong-So, ben prima di essere entrato nella
supercoscienza. Non allarmarti, non c’è nulla da temere, a patto che lasci
libero il respiro di fluire naturalmente e non cerchi di trattenerlo con la
forza all’interno o all’esterno dei polmoni. Quando il corpo avrà bisogno di
respirare nuovamente, lo farà. A mano a mano che la calma interiore
diventerà più profonda, noterai di avere sempre meno bisogno di aria per
sostenere il corpo.
La respirazione, così come il battito cardiaco, è regolata dal midollo
allungato. Il polo positivo del midollo è l’ajna chakra, o centro cristico,
situato tra le sopracciglia. Stimolando il midollo attraverso la profonda
concentrazione nel centro cristico, si può giungere alla completa
sospensione del respiro e del battito cardiaco. In questo modo, si raggiunge
la perfetta armonia con l’energia cosmica e si è in grado di attrarla
direttamente nel corpo, in una tale abbondanza da neutralizzare
istantaneamente ogni impurità dell’organismo.
Mentre canti mentalmente Hong con l’inspirazione, senti che stai
affermando non tanto il piccolo ego – il Mario Rossi o Carla Bianchi che è
unico tra gli esseri umani – ma piuttosto l’Uomo Universale, di cui tu sei
un’espressione.
Mentre canti mentalmente So con l’espirazione, senti che stai offrendo
questo sé nell’Infinito Sé dello Spirito. Immagina che la tua consapevolezza
si espanda verso l’Infinito.
Poi, nel cantare nuovamente Hong, visualizza il piccolo sé permeato
della coscienza di So, lo Spirito, che hai appena affermato. In effetti, alcuni
yogi fanno di questo concetto il loro mantra, So-Ham (Hong-So al contrario
diventa So-Ham), praticandolo al posto di Hong-So. Paramhansa
Yogananda, però, ha spiegato che si può legittimamente invertire il mantra
Hong-So, trasformandolo in So-Ham, solo dopo aver realizzato il Sé.
Quando ti concentri sul respiro, mantieni la mente focalizzata non tanto
sul meccanismo della respirazione (il movimento dell’ombelico, dei
polmoni ecc.) quanto sul respiro stesso. In questo modo, giungerai a
identificarti mentalmente con l’aria, con lo spazio, e non solo con la
cessazione del movimento fisico. Tuttavia, se all’inizio ti sembra che il
meccanismo fisico della respirazione interferisca eccessivamente con la tua
attenzione, inizia osservando mentalmente quel processo: il movimento dei
polmoni, dell’ombelico e del diaframma. Solo gradualmente, dopo aver
raggiunto una calma sempre maggiore, sposta la tua attenzione sul respiro
stesso. A questo punto, percepiscilo mentre si introduce nelle narici. Anche
in questo caso potrà essere più naturale per te un periodo di transizione tra
una sensazione più fisica a una consapevolezza più sottile. Via via che il
respiro diventa più lieve, sentilo sempre più in alto nel naso.
Nella Bhagavad Gita, il Signore Krishna consiglia di concentrarsi su
nasikagram, “l’inizio del naso”. I commentatori hanno spesso interpretato
questo passo come “la punta del naso”, poiché agra significa “davanti”,
oltre che “inizio”. Tuttavia, sulla punta del naso non vi è alcun chakra
sottile o plesso nervoso, in paziente attesa di essere risvegliato attraverso la
concentrazione yogica. È all’altra estremità del naso che gli yogi si
concentrano, nella sede della visione spirituale. Di solito, per individuarla
meglio, si colloca questa sede nel punto tra le sopracciglia; quando però si
considera il respiro come parte del processo di concentrazione, è più
appropriato pensare che essa si trovi alla radice del naso. Il vero centro
cristico, infatti, è situato nel lobo frontale del cervello, e il respiro, mentre
entra ed esce dalla cavità nasale, fluisce molto vicino ad esso. Visualizzare
il respiro che tocca questo punto può aiutare a stimolare il centro cristico.
Mentre osservi il respiro nelle narici, quindi, sentilo divenire sempre più
calmo, fino a percepirlo nella parte più alta del naso. Riconduci quella
sensazione al centro cristico. In questo modo, ti accorgerai che le due
tecniche principali dello yoga per sviluppare la concentrazione –
l’attenzione sul respiro e la stimolazione del centro cristico – diventeranno
una.
Segui il respiro come un osservatore imparziale. Non preoccuparti se
fluisce o rimane sospeso, ma sii semplicemente attento a come si comporta
naturalmente. A mano a mano che la tua pratica diventa più profonda,
tuttavia, godi particolarmente delle pause in cui il respiro non fluisce. Usale
per identificarti maggiormente con questo pensiero: «Io sono Lui! Sono lo
spazio infinito!».
Paramhansa Yogananda ha affermato che, per diventare maestri in questa
vita, bisognerebbe praticare Hong-So per due ore al giorno. Il grande guru,
da bambino, soleva praticarlo fino a sette ore e mezza consecutive. Anche
se all’inizio possono bastare da quindici a trenta minuti, non ci sono limiti
di tempo per questa tecnica.
Non terminare mai la meditazione con le tecniche, poiché esse sono
come le scale al pianoforte, che rendono sciolte le dita, ma non
sostituiscono l’esecuzione vera e propria. Quando la tua mente è focalizzata
e tranquilla grazie alla pratica di Hong-So, offriti con calma in alto, a Dio.
Hong-So conduce naturalmente a quel tipo di concentrazione in cui la
volontà, non più impegnata in mille progetti esteriori, viene unita
all’intelletto ed elevata in un singolo, puro atto di divenire. La
concentrazione diretta in questo modo diventa estasi. E il duplice significato
di Hong e di So si fonde infine nell’unica – in quanto onnipresente –
vibrazione dell’AUM.
Nella prossima lezione verrà data una spiegazione più dettagliata di
come praticare questa tecnica e il mantra Hong-So.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Il magnetismo

Avrai senza dubbio incontrato nella vita persone la cui semplice presenza
emanava un potere indefinibile. Forse ti sei convinto che la loro influenza
apparentemente così strana fosse dovuta a qualcosa del tutto naturale: alla
loro statura, al loro aspetto o alla loro reputazione. Per la maggior parte
delle persone, immerse come sono nei dogmi di quest’epoca materialistica,
sentir parlare dell’aura potrebbe sembrare solo una superstizione.
Che dire, però, delle reazioni degli animali agli esseri umani? Il tuo cane
riconosce immediatamente la gentilezza di alcuni e l’animosità di altri. Ci
sono persone che attirano gli animali come calamite, altre che riescono a
malapena a farli avvicinare. Si potrebbe ragionevolmente affermare che gli
animali non sono tanto influenzati dalle manifestazioni esteriori della
coscienza umana, quanto da una sorta di telepatia. Anni fa sentii parlare di
un uomo, basso di statura e non particolarmente forte, di fronte al quale
perfino leoni e tigri si accucciavano timorosi. D’altra parte, si raccontano
innumerevoli storie di santi che, grazie alla purezza del loro amore, sono
diventati amici di animali selvaggi e hanno convertito alla vita spirituale
perfino criminali incalliti.
Un giorno ero seduto insieme ad altri monaci in compagnia del mio guru.
Stavamo parlando di faccende quotidiane, come ovviamente accade a volte
perfino in presenza di un maestro. Egli stava dando istruzioni circa alcune
buche che dovevano essere scavate (o riempite, non ricordo bene) il giorno
seguente. Dato che non ero direttamente coinvolto nella questione, mi
sedetti dietro alcuni monaci e mi misi a meditare. La conversazione in sé
aveva su di me un effetto del tutto neutro, né avrei potuto essere influenzato
dai gesti o dalle espressioni del Maestro, dato che tenevo gli occhi chiusi.
Tuttavia, mi sembrò all’improvviso che la mia fronte quasi si aprisse; la mia
coscienza si espanse, in una libertà che non aveva mai conosciuto prima di
allora. Ciò che rende unica questa esperienza è che le circostanze in cui
ebbe luogo non contribuirono affatto a provocarla. Anche in altre occasioni,
sebbene in modo meno inaspettato, i miei compagni discepoli e io
sperimentammo l’influenza elevante del nostro guru. Era sufficiente
rimanere seduti in sua presenza per qualche minuto, per sentire il peso di
problemi e preoccupazioni sollevarsi misteriosamente e lasciare il posto a
una pace profonda. Ogni volta che meditavo con lui, era come se un forte
magnete attirasse la mia coscienza verso il centro cristico, tra le
sopracciglia. A volte il Maestro si limitava a guardarmi e una strana forza
mi colmava il cuore, facendolo palpitare di amore divino.
Potrebbe esserti d’aiuto ricordare che anche il tuo potere non è limitato
alla tua padronanza del linguaggio o al tuo aspetto esteriore, e che
l’influenza che hai sugli altri è ben più sottile (più di quanto probabilmente
tu o loro possiate comprendere). Ricordo un mio confratello discepolo, che
stava affrontando con difficoltà un periodo di prove. A volte entrava nella
mia stanza e si sedeva per un po’ sul bordo del letto, con le spalle ricurve
per la tristezza. Quando se ne andava, lasciava sempre dietro di sé una nube
di infelicità, che riuscivo a dissipare soltanto con un atteggiamento di
allegria e praticando japa (un tipo di canto mentale ininterrotto).
In parole semplici, possiamo dire che certe persone ci attraggono mentre
altre ci respingono; che il potere di alcuni di attrarre o di respingere è
maggiore di quello di altri; e che questo potere non viene trasmesso solo
attraverso i sensi, ma forse in modo ancor più sottile.
Il fenomeno osservabile in Natura che maggiormente si avvicina a
questo è il magnetismo. Per molto tempo è rimasto sconosciuto il motivo
per cui i poli di due magneti si attraggono o si respingono. Si è poi scoperto,
come sanno ormai tutti gli studenti della scuola superiore, che una calamita
emana sottili linee di forza, che possono essere tracciate con la limatura di
ferro su un foglio di carta. In questo modo, il polo positivo di un magnete
attrarrà il polo negativo di un altro, ma respingerà quello positivo. Anche
due poli negativi, messi l’uno accanto all’altro, si respingeranno.
Il fenomeno del magnetismo ci fornisce più di un’analogia. Si è pensato
a lungo che solo i metalli potessero rispondere alle influenze magnetiche.
Poi, in una serie di esperimenti condotti presso la Northwestern University,
nell’Illinois, si è scoperto che il movimento delle lumache è influenzato
dalla polarità magnetica della terra. Questi esperimenti hanno anche
dimostrato che è possibile far cambiare alle lumache i loro abituali schemi
di movimento, seppellendo nel terreno delle calamite aventi una forza di
attrazione simile a quella delle bussole e orientandole in direzione opposta
al Polo Nord. Più di recente, altri esperimenti hanno dimostrato che i
molluschi aprono e chiudono le valve seguendo il ritmo dei movimenti della
luna, che l’umore delle persone può essere influenzato dalle fasi lunari
(sembra in conseguenza del magnetismo) e che gli organismi animali hanno
un campo magnetico molto simile a quello da lungo tempo conosciuto nei
circoli metafisici come aura. Come la gravità, anche il magnetismo è una
vera e propria forza che, sebbene non rilevabile dai sensi, può essere
chiaramente percepita. Il modo in cui opera nel mondo materiale è molto
simile a quello dei livelli spirituali sottili, poiché la materia non è altro che
una manifestazione inferiore di realtà spirituali.
Per comprendere come un organismo vivente possieda il suo campo
magnetico, dobbiamo solo considerare che un campo magnetico viene a
crearsi ogni qualvolta una corrente è fatta passare attraverso un cavo
elettrico. Anche il sistema nervoso trasmette impulsi elettrici
scientificamente misurabili, creando così un campo magnetico. In verità,
l’elettricità è un aspetto piuttosto trascurabile di questo flusso di energia, un
effetto quasi fisico (cioè sufficientemente grossolano da poter essere
rilevato da strumenti fisici) di energie di gran lunga più sottili e più potenti.
«L’elettricità» disse il mio guru «è la corrente animale nel mondo
dell’energia». Quanto più la manifestazione della realtà è sottile, tanto più
grande sarà il suo potere potenziale, perfino al livello materiale più
grossolano. Considera, ad esempio, l’enorme potere che si ottiene con
l’energia atomica. Quanto più chiaramente possiamo percepire, o
comprendere, il flusso di energia nel sistema nervoso al suo livello reale e
più sottile, tanto più siamo in grado di controllare la nostra vita e il mondo
fisico che ci circonda. Ciò che è ancor più importante è che questa
comprensione ci consente di controllare il nostro destino spirituale.
La caratteristica essenziale del magnetismo è il suo potere di attrazione e
di repulsione. La manifestazione materiale di questa forza, nel
comportamento di pezzi di metallo magnetizzati, è solo l’effetto
esteriormente più osservabile di un potere che è essenzialmente divino. È
come il custode di un ufficio, che ha esclusivamente il compito di fare le
pulizie e che anche in questo agisce solo per conto del capufficio. Anche
l’amore divino è una sorta di magnetismo. Lo stesso, a livelli più
grossolani, si può dire per l’amore umano, la felicità, l’odio e la paura, vale
a dire per ogni stato di coscienza attivamente manifesto. Come veicolo per i
diversi stati di coscienza, l’energia assume innumerevoli aspetti e genera
pertanto innumerevoli tipi di magnetismo. L’amore attrae amore; la paura
attrae ulteriore paura. Se il nostro flusso di energia è diretto verso una
particolare persona, e se esiste a qualche livello di quella persona uno stato
di coscienza (e pertanto di magnetismo) simile, noi possiamo attrarla o
respingerla, a seconda che lo scambio abbia o meno la natura di un riflesso
simpatico. Così, sebbene l’odio sia negativo ed eserciti apparentemente solo
una forza di repulsione, se viene ricambiato crea un magnetismo di
attrazione tra le persone coinvolte. L’amore, d’altro canto, sebbene sembri
esercitare soltanto attrazione, se non è ricambiato può diventare una forza
repulsiva, che causa separazione.
In ogni scambio simpatetico tra gli esseri umani è possibile osservare
un’interazione tra positivo e negativo che è simile all’attrazione nord-sud
tra due magneti. Troviamo l’esempio più palese di questa azione nella
reciproca attrazione tra maschi e femmine di qualsiasi specie. Parlare della
femmina come polo negativo non implica affatto passività; piuttosto, in
ogni relazione simpatica la funzione del “magnete” negativo è di attrarre e
quella del magnete positivo è di essere attratto. In questo modo, gli
insegnamenti dello yoga parlano della donna come della shakti – cioè
l’energia divina – dell’uomo, poiché è soprattutto il suo magnetismo ad
attrarre l’energia dell’uomo a ogni livello nella manifestazione esteriore,
creativa. (È per questo che si dice spesso che nessun uomo raggiunge la
grandezza senza l’aiuto di una donna. Ed è per lo stesso motivo che la
compagnia femminile viene evitata da quei monaci che desiderano
unicamente dirigere tutta la loro energia e attenzione verso il divino Sé
interiore. Anche le donne possono voler evitare la compagnia degli uomini,
se il loro scopo è trarre forza solo dalla fonte suprema, Dio. In ogni caso,
bisogna aggiungere che quando si giunge a percepire l’anima, le distinzioni
tra maschile e femminile scompaiono. In altre parole, si può dire che
davanti a Dio siamo tutti femmine, poiché la funzione dell’anima è di
attrarre la Grazia di Dio tramite la devozione divina, per diventare come
Lui.)
Un magnete si comporta con il ferro non magnetizzato in modo diverso
da come fa con quello magnetizzato, anche se esercita comunque un effetto
su di esso, attirandolo a sé. Allo stesso modo, il magnetismo umano attrae
anche oggetti che, di per sé, non hanno potere magnetico, tranne quello che
l’uomo stesso attribuisce loro. Quando una persona si sente irresistibilmente
spinta ad acquistare una casa che ha visto, l’attrazione magnetica non è
ovviamente nella casa, ma nella sua mente. Ciò nonostante, il desiderio può
riuscire non solo ad attirare la persona verso la casa (una conseguenza ovvia
e prevista del suo impiego di energia), ma anche ad attirare la casa verso la
persona. Se il nostro desiderio è molto forte, ad esempio, il proprietario
della casa che desideriamo potrà improvvisamente decidere di venderla,
oppure i nostri affari prenderanno inaspettatamente una piega favorevole
così da fornirci il denaro necessario all’acquisto, o interverranno altre
circostanze che ci porteranno le giuste opportunità.
Durante il mio secondo anno di università sviluppai la teoria che la
fortuna è più il risultato di un atteggiamento che di un cieco destino. «Se
vuoi essere fortunato» dicevo ai miei amici «aspettati di esserlo. Poi rendi
dinamiche le tue aspettative, andando incontro alla fortuna a metà strada;
non aspettare passivamente che arrivi». Eventi incredibili iniziarono ad
accadere non appena cominciai a vivere in base a questo principio. L’unico
capitolo, tra i molti, che studiai per un esame di greco risultò essere quello
che ci chiesero di tradurre. Mi iscrissi a una gara di scrittura con un premio
di cento dollari, non perché conoscessi l’argomento (mi era del tutto
estraneo), ma perché mi servivano quei soldi; il titolo era: “I principi
fondamentali alla base del governo degli Stati Uniti” e deve essere sembrato
altrettanto spaventoso agli altri di quanto lo sembrasse a me, perché (per
fortuna) gli studenti di legge e scienze politiche si tennero fuori dalla
mischia e io risultai essere l’unico concorrente. Vinsi anche quindici dollari
a una gara di poesia, ma quello era più il mio campo. Poi, con centoquindici
dollari in tasca, partii per trascorrere le vacanze estive in Messico. Partii da
Boston in autostop. Il giorno seguente, trovai un passaggio da Philadelphia
fino a Città del Messico: quasi cinquemila chilometri! Il mio benefattore
stava andando a Città del Messico per conto della sua ditta e fu così gentile
da inserirmi nella sua nota spese come secondo autista. E così via,
continuamente. Tra i miei parenti, la mia cosiddetta fortuna diventò
leggendaria.
Poi, però, il mio atteggiamento cambiò. Ero andato in Messico pensando
di poter trovare in quel viaggio la comprensione e l’ispirazione che
desideravo ardentemente nella vita, e che in seguito trovai nello yoga.
Invece, il viaggio si rivelò, per usare una definizione di Emerson, un
«paradiso degli sciocchi». L’ispirazione mi abbandonò, e con essa la
fortuna. Per qualche tempo le cose andarono male; solo il graduale ritorno
del mio spirito positivo fece ritornare anche la mia “fortuna”.
Si sente spesso l’espressione «fortuna del principiante». Mentre ero in
Messico, quell’estate, conobbi una famiglia che mi raccontò di
un’avventura vissuta alle corse dei cavalli. Il padre – che era un
frequentatore abituale dell’ippodromo, mentre la moglie e la figlia erano lì
per la prima volta – aveva guardato divertito le due donne scommettere su
un certo cavallo semplicemente perché erano attratte dal colore o dal nome.
«Sono anni che quel vecchio ronzino non vince una corsa!» aveva fatto loro
notare, continuando a scommettere con oculata saggezza. Ciò nonostante
aveva perso, mentre la moglie e la figlia avevano vinto ripetutamente. Di
sicuro era perché le due donne, ignorando completamente le probabilità
contro di loro, avevano scommesso aspettandosi gioiosamente di vincere e
avevano quindi letteralmente attirato il successo. Anche i principianti sul
sentiero spirituale attirano più esperienze interiori e progrediscono più
rapidamente di molti ricercatori esperti. Il motivo può essere soltanto che
non sanno ancora quanto sia difficile il sentiero. Se riuscissimo a mantenere
la fede ottimista che provavamo all’inizio del viaggio spirituale anche
mentre arranchiamo nel periodo intermedio – quella fase di duro e spesso
doloroso lavoro che intercorre tra l’ispirazione nata dal primo entusiasmo e
quella che sorge con l’albeggiare della divina percezione – potremmo
trovare Dio con grande rapidità.
Tutto ciò che è presente con forza nella nostra mente, viene attratto a noi.
Questo vale sia per le circostanze e gli eventi che per gli oggetti. È vero
anche per l’ispirazione. «I pensieri» diceva il mio guru «hanno radici
universali, non individuali» (Autobiografia di uno yogi, capitolo
quindicesimo). Se, invece di attendere passivamente che le muse ci
sorridano, ci incamminiamo coraggiosamente nella direzione di pensiero
che vogliamo seguire, scopriremo che l’ispirazione arriverà senza che
sappiamo da dove, letteralmente attratta dal potere magnetico della nostra
fede.
È importante comprendere che il magnetismo umano, in qualunque
campo, non è mai il risultato di un semplice desiderio illusorio. Due persone
potranno affrontare con positività una certa impresa, tuttavia una di loro
attirerà il successo e l’altra il fallimento. Ci sono magneti deboli e magneti
forti. Qualunque corrente venga fatta passare attraverso un cavo elettrico
genererà un campo magnetico, ma è necessaria una forte corrente per
produrre un forte campo magnetico.
Nella lezione precedente hai imparato la legge della ricarica energetica:
«Più forte la volontà, più forte il flusso di energia». A questa legge
possiamo ora aggiungerne un’altra: Più forte il flusso di energia, più forte il
campo magnetico.
I principi della ricarica, quindi, si applicano anche allo sviluppo del
magnetismo. Quando invii un pensiero forte, un raggio di energia si dirige
da te all’oggetto di quel pensiero. Quel raggio di energia crea il suo campo
magnetico, forte o debole a seconda della relativa forza della tua volontà. Se
la tua volontà, e il risultante campo di energia, sono potenti, non c’è nulla
che tu non possa attrarre. Sarai capace di imprese che agli altri sembreranno
miracolose.
Una volta compreso il principio del magnetismo, è comunque importante
capire che è anche possibile usarlo male. Fai attenzione a cosa desideri,
poiché anche i desideri sbagliati e perfino le paure possono mettere in
azione questa legge sottile. Il devoto farebbe bene a cercare di unire sempre
la sua volontà non solo all’energia cosmica, ma anche alla volontà divina.
Nel cercare la Grazia, dovrebbe anche cercare la guida. Perfino le
percezioni divine, infatti, vengono attratte dal potere magnetico della nostra
volontà. Quando è offerta con fiducia a Dio, la volontà diventa fede. Se
mantieni la tua fede pura e libera da ogni interesse personale, potrai
facilmente riconoscere quando il tuo volere è mal diretto, poiché si creerà
un’improvvisa disarmonia tra la volontà e il suo progressivo trasformarsi in
fede divina.
Noi influenziamo gli altri con il nostro magnetismo e siamo a nostra
volta influenzati da loro. Possiamo ferirli con pensieri negativi e, allo stesso
modo, essere feriti. Il pensare a un’altra persona in modo negativo,
specialmente se lo facciamo con potere magnetico, costituisce un uso
gravemente errato di questa legge; invariabilmente, saremo noi a subire il
danno maggiore, in quanto strumenti di quella disarmonia. (Allo stesso
modo, benedire gli altri ci attira le più grandi benedizioni.) Non avrebbe
alcun valore insegnare agli studenti come danneggiare gli altri con il potere
del magnetismo; può essere utile, però, sapere come proteggersi da possibili
influenze dannose provenienti dagli altri, e ciò richiede una comprensione,
seppure minima, di come sia possibile usare il magnetismo per scopi
malvagi.
Ricorda che, per poter ricevere un certo tipo di magnetismo, bisogna
essere aperti ad accoglierlo. Per questo motivo, in diverse culture primitive
coloro che praticano la magia nera cercano di incutere paura nelle loro
vittime o di trovare anche in altri modi un’apertura vibrazionale per le
proprie energie malefiche. È quindi importante sapere come non aprirsi ai
tipi sbagliati di magnetismo.
L’autoprotezione magnetica può essere effettuata, da un lato, rifiutandosi
di rispondere a livello negativo (ad esempio con paura, rabbia o odio) e,
dall’altro, circondandosi di un forte magnetismo positivo. Può essere utile
avvolgere mentalmente di luce divina la persona che si professa nostra
nemica. Tuttavia, se la sua influenza è forte, il nostro stesso desiderio di
aiutarla può diventare un’apertura emotiva attraverso la quale le sue
vibrazioni possono ferirci. Ricordati che il desiderio di aiutare deve essere
veramente impersonale. Se non lo è, potrebbe essere meglio tracciare
mentalmente una croce di luce sulla persona che desidera il nostro male.
Immagina di usare il pollice per questo scopo (il pollice è il dito
maggiormente collegato alla forza di volontà). Se praticherai questa tecnica
con grande volontà e fede incrollabile, tutto il male che ti giunge dagli altri
verrà bloccato alla fonte, e solo le vibrazioni benefiche potranno
raggiungerti. In questo modo, inoltre, pur proteggendoti non ti succederà di
danneggiare in alcun modo il tuo oppositore, anche se i suoi stessi pensieri
negativi potrebbero ripercuotersi su di lui, dato che non possono
raggiungere la loro meta, cioè te.
A volte, potrà essere necessario chiudere delle singole fessure nella tua
armatura magnetica usando pensieri specifici (ad esempio per rompere
l’attaccamento che senti nei confronti di una particolare persona di cui temi
l’influenza). In generale, però, ciò che è più necessario è circondarsi
semplicemente di vibrazioni armoniose a tutti i livelli. Ricorda, nessuna
energia negativa sarà in grado di penetrare in un campo di forza positivo, a
meno che tu stesso non ti renda vulnerabile in qualche modo a uno specifico
raggio di pensiero o emozione.
Sono le emozioni, soprattutto, a indebolire la nostra “armatura”
magnetica. Rendi quindi armoniose le tue emozioni con la meditazione
profonda. Poi, con un cosciente sforzo di volontà, irradia sentimenti
armoniosi dal tuo cuore in ogni direzione nel mondo intorno a te. Troverai
un’altra tecnica per rafforzare il tuo campo magnetico nel prossimo
paragrafo di questa lezione.
Ricorda anche che è bene rimanere sempre aperti e ricettivi alle buone
influenze magnetiche. Non cercare quindi di proteggerti dai pensieri
dannosi degli altri assumendo un atteggiamento di freddezza o di
indifferenza nei loro confronti. Sebbene possa effettivamente proteggerti,
l’indifferenza ti renderà insensibile alle vibrazioni più sottili del mondo che
ti circonda; ti renderà meno divinamente ricettivo. È sempre meglio
rispondere con una coscienza di luce e con un amore divino e impersonale.
Anche i buoni pensieri che gli altri ti inviano devono trovare un’apertura
per poterti influenzare. Per questo si dice che la guarigione spirituale
richiede non solo il potere del guaritore, ma anche la fede ricettiva di colui
che deve essere guarito.
Sarà possibile comprendere più profondamente il principio del
magnetismo e della ricarica energetica pensando a cosa rende magnetica
una barra di ferro. Ogni molecola di ferro possiede una sua polarità; se una
barra di ferro non manifesta alcun magnetismo è perché le sue molecole
sono rivolte ognuna in una direzione diversa, annullandosi a vicenda.
Quante più molecole saranno orientate da nord a sud, tanto più forte sarà il
magnetismo che si manifesterà in quella barra di ferro.
Questa semplice realtà schiude una porta importante sugli insegnamenti
dello yoga, alcuni dei quali verranno esplorati nelle lezioni seguenti: la
necessità di un guru e la somiglianza tra un magnete e la spina dorsale, con
la sua polarità positiva-negativa nel cervello e nei centri spinali inferiori.
Una barra di metallo si magnetizza quando viene posta accanto a un
pezzo di ferro già magnetizzato. Allo stesso modo, per acquisire un forte
magnetismo è importante frequentare persone che possiedano già il tipo di
magnetismo che si vuole sviluppare. Per sviluppare un magnetismo di
successo, frequenta persone di successo, non dei falliti; frequenta artisti per
sviluppare il magnetismo artistico, devoti per quello spirituale.
Ricordo come, in occasione del nostro primo incontro, il mio guru mi
chiese se mi fosse piaciuta la sua autobiografia. Quel libro aveva cambiato
completamente la mia vita, facendomi addirittura attraversare tutta
l’America per offrire la mia vita al Maestro come suo discepolo.
L’Autobiografia di uno yogi era infatti un libro grandioso, più di ogni altro
che avessi mai letto, e lo è tuttora. Cercai inadeguatamente di dire quanto
profonda fosse stata la sua influenza. «È perché contiene le mie vibrazioni»
rispose semplicemente il Maestro. Un pensiero nuovo per me, a
quell’epoca! Mi lasciò sbalordito, ma nel corso degli anni ho compreso
quanto fosse vero. Le parole, infatti, trasmettono più delle idee; sono canali
di potere magnetico, attraverso cui l’anima dello scrittore può toccare le
anime dei suoi lettori. È soprattutto per questo motivo che è bene leggere le
vite dei veri santi: le loro parole trasmettono in parte il potere di una diretta
benedizione fisica.
Ogni genere di attività umana manifesta un particolare magnetismo; per
avere successo in una certa attività, il requisito più importante è sviluppare
il giusto tipo di magnetismo. Quando esso è stato ben potenziato, è
realmente possibile raggiungere il successo anche con una limitata
conoscenza in quel campo. (In effetti, il più grande beneficio di ogni
preparazione – maggiore perfino della conoscenza dei fatti – è la fiducia,
nata da quella conoscenza, nella propria capacità magnetica di attrarre il
successo.)
Frequentare gli altri per acquisire il loro magnetismo, più che una
vicinanza fisica richiede una sintonia della coscienza. Senza quella sintonia,
la vicinanza fisica potrebbe produrre uno scambio magnetico limitato,
oppure non produrlo affatto; se invece c’è sintonia, lo scambio può avvenire
anche a distanza. In ogni caso, la quantità dello scambio dipenderà dalla
capacità di attrazione magnetica, che a sua volta dipenderà, ovviamente, da
un profondo e sincero sforzo di volontà.
Per esercitare l’attrazione in modo corretto, non essere come una spugna
che assorbe passivamente qualunque magnetismo riesca a trovare; così
facendo, si può svuotare un’altra persona senza in realtà ottenerne nulla.
Ricorda che, mentre attiri il suo magnetismo, anche tu devi diventare un
magnete che dona a sua volta. Via via che il tuo magnetismo aumenta,
aumenterà anche il tuo potere di attrazione, ma lo sviluppo magnetico di
questo tipo è sempre uno scambio. Formando un vortice di energia più
ampio, esso attira sempre più magnetismo dall’universo circostante o (se il
magnetismo è spirituale ed elevante) da Dio. Un insegnante che abbia veri
studenti guadagna dalla loro compagnia tanto quanto loro dalla sua.
Così come le molecole in una barra di ferro, quando sono rivolte in
direzioni diverse, annullano a vicenda il loro effetto magnetico, anche le
“molecole” del desiderio umano, quando sono in conflitto, si annullano
reciprocamente e rendono inefficace il magnetismo. Per desiderare qualcosa
con forza, si deve volerla con tutto il proprio essere. Per attirare qualcosa,
impara a mettere tutto te stesso nel flusso di energia che stai inviando.
In questo modo, diventerà evidente che certi atteggiamenti sono
automaticamente più magnetici di altri. La buona volontà, l’allegria, la
gentilezza, tutti gli atteggiamenti sani e spirituali sono magnetici. La
svogliatezza, lo scoraggiamento e altri atteggiamenti negativi di questo
genere sono come molecole di ferro rivolte in direzioni conflittuali o come
le tossine nel sistema nervoso; inoltre, ostacolano il libero fluire
dell’energia. Anche se l’odio e altre forti emozioni negative possono
sviluppare un potere magnetico tutto loro quando vengono convogliati in
un’unica direzione, alla fine la pesantezza interiore che producono
ostacolerà comunque il fluire dell’energia, distruggendo quindi quel tipo di
magnetismo.
Anche i cibi che mangiamo possono rafforzare o indebolire il
magnetismo. Se sovraccaricano di tossine l’organismo, ridurranno il nostro
flusso di energia e, di conseguenza, il nostro magnetismo. Se invece
favoriscono il fluire dell’energia nel corpo, possono giustamente essere
chiamati cibi magnetizzanti. Questo aspetto dell’argomento verrà trattato
più ampiamente nella sezione sull’alimentazione.
Un’aura magnetica forte e positiva intorno al tuo corpo impedirà ai
pensieri negativi degli altri di danneggiarti, e farà sì che circostanze ed
eventi negativi o dannosi non possano colpirti. Se sei buono, solo la bontà
potrà raggiungerti; se poi, a causa dell’oscura influenza del karma passato,
ti colpirà qualcosa che in molti contesti umani sarebbe considerato
negativo, il suo impatto sarà minimizzato, o il risultato ti sarà addirittura
favorevole.
Infine, bisogna ricordare che tutto ha origine nello Spirito Infinito. Ogni
tipo di magnetismo nasce dal potere magnetico dell’amore di Dio. Come la
luce che proviene da una lampadina, questo potere è più forte alla fonte.
Così come un oggetto tenuto contro una luce la riflette maggiormente
(anche a distanza) quanto più le è vicino, anche il potere divino ha la
massima forza, perfino ai livelli inferiori di manifestazione, quando la sua
origine è vicina alla Fonte Divina. In questo mondo materiale, le realtà più
elevate sembrano spesso insignificanti. Tuttavia, l’energia atomica nascosta
in una barra di ferro è ben maggiore di quella che si potrebbe generare
usando la stessa barra come una mazza. Similmente, la gentilezza e
l’equanimità possono ricomporre le divergenze in modo più efficace delle
tattiche brutali. E l’amore divino – pur essendo probabilmente la forza
meno conosciuta nell’universo e quella che meglio si presta a essere derisa
come «poco pratica, estranea alle vicende terrene e inefficace» – è in realtà
la forza più poderosa dell’universo, anzi, in ultima analisi, l’unica. Con il
potere magnetico dell’amore divino è possibile realizzare ogni cosa, perfino
il compito apparentemente più arduo: la nostra salvezza dall’illusione.
Ciò che l’uomo con le sue sole forze non può compiere, lo può
facilmente l’amore divino, e per sempre. La cosa più importante per noi,
quindi, è sintonizzarci con quel sottilissimo raggio attraverso la
meditazione.
Offri il tuo amore a Dio; creerai così un campo magnetico che, a sua
volta, attrarrà a te il Suo amore. Gradualmente, diventerai un canale sempre
più perfetto per l’amore divino e attirerai Dio a livelli di divina
consapevolezza sempre più alti, fino a quando il tuo amore raggiungerà la
perfezione in Lui. L’amore di Dio fluisce sempre verso di te; sei tu, con il
tuo amore, che devi completare il circuito, generando così il magnetismo
che può attrarre la coscienza stessa dell’Infinità.
Ricorda quindi, ancora una volta, la legge che governa il magnetismo:
Più forte il flusso di energia (risvegliato dalla volontà), più forte il campo
magnetico.

Posizioni yoga

Il tuo magnetismo può essere consapevolmente aumentato se comprendi


il principio in base al quale funziona: «Maggiore è il flusso di energia,
maggiore è il campo magnetico». Le persone magnetiche hanno sempre un
alto livello di energia.
Mentre pratichi le posizioni, senti in ogni momento che stai aumentando
il flusso di energia attorno al corpo e al suo interno. Mentre sollevi le mani
per congiungerle sopra la testa in Vrikasana (la posizione dell’Albero) o in
Ardha Chandrasana (la posizione della Mezzaluna), senti che con le mani
stai creando un’aura di luce attorno al corpo. Questa aura è il tuo campo
magnetico. Esso può proteggerti da influenze dannose. È in grado di attrarre
a te buona salute, amici autentici e opportunità proficue.
C’è un mantra che gli yogi insegnano come protezione contro le
influenze negative, in particolar modo quelle provenienti dalla sfera astrale
attraverso l’azione di entità disincarnate disarmoniche. L’uomo moderno,
con il suo atteggiamento iper-razionale verso la vita, può farsi beffe di
simili influenze considerandole il prodotto di un’immaginazione fertile, ma
questa derisione non è condivisa dalle poche anime che, in tutte le religioni,
hanno raggiunto una visione più elevata di quella fisica. La possessione
astrale, molti casi della quale sono descritti nel Nuovo Testamento, è un
fatto. Tuttavia, solo quelle persone la cui aura è debole possono essere
possedute o influenzate, poiché la loro forza di volontà è debole.
Per praticare questa tecnica, unisci le mani di fronte a te, poi portale ai
lati e dietro di te formando un grande cerchio, congiungendole di nuovo
dietro di te. Continua a oscillarle in avanti, all’esterno e all’indietro in un
grande cerchio, unendole davanti e dietro, mentre reciti questo mantra:
«AUM Tat Sat».
La notte, quando vai a dormire, scrivi tre volte con l’indice sul cuscino
AUM e senti che nel sonno stai riposando nell’AUM. (L’AUM, come ho
spiegato in precedenza, è la vibrazione più elevata. Nulla può toccarti se
resti sempre nella consapevolezza di questa vibrazione santa o anche se
semplicemente canti AUM in profondità nel punto tra le sopracciglia.)
Mentre pratichi le posizioni, senti che ti stai deliberatamente muovendo
in una luce protettiva, e che allo stesso tempo la stai creando. Mentre
cammini o ti occupi delle tue attività quotidiane, sentiti circondato da questa
luce. Ricorda, ci vuole più di una fervida immaginazione. Maggiore è la
forza di volontà, maggiore è il flusso di energia; maggiore è il flusso di
energia, maggiore è il campo magnetico.

PARVATASANA
(la posizione della Montagna)

«I miei pensieri e la mia energia si elevano fino a toccare il cielo».


Siedi a gambe incrociate, preferibilmente in Padmasana (la posizione
del Loto). Inspirando solleva lentamente le braccia in alto, mantenendole
distese e aprendole ai lati del corpo, con i palmi delle mani rivolti in alto,
fino a quando i palmi si uniscono sopra la testa. Espira e piega leggermente
i gomiti, rilassando le spalle.
Tieni il corpo ben eretto. Pensa a te stesso come a una montagna, e
visualizza tutta la tua energia che si solleva in alto verso la punta delle dita,
proprio come il pendio di un monte sale fino a convergere nella sua cima.
Allungati verso l’alto quanto più ti è possibile restando confortevole.
Al termine della prossima inspirazione porta in dentro l’addome,
forzando l’aria a salire nella parte superiore del petto. Immagina che il
respiro stia salendo ancora più in alto, fino alla punta delle dita. Ti renderai
conto che in questo esercizio di respirazione il movimento del diaframma è
il contrario di quello normale: invece di muoversi verso il basso per far
entrare l’aria nei polmoni, esso viene portato in alto come avverrebbe
normalmente durante l’espirazione. Lo scopo di questo movimento invertito
è di rinforzare il flusso verso l’alto dell’energia e della consapevolezza, che
è l’essenza di questa posizione. Puoi respirare con un ritmo di 6-12-6,
ripetendo la respirazione da 3 a 6 volte, aumentando gradualmente il
numero fino a un massimo di 30 esecuzioni.
Mentre trattieni il respiro, afferma mentalmente: «I miei pensieri e la
mia energia si elevano fino a toccare il cielo».
Per uscire dalla posizione, allungati verso l’alto con le mani, poi espira e
ritorna nella posizione di partenza.

Benefici: Parvatasana fa bene ai polmoni e al diaframma, stimola il


cuore e tonifica gli organi addominali. Migliora la digestione. Si ritiene che
curi la digestione lenta e rimuova la dispepsia e la stitichezza.
Dal punto di vista spirituale, la posizione della Montagna sviluppa la
funzione più elevata dell’Hatha Yoga, vale a dire l’elevazione dell’energia
nella spina dorsale fino al cervello.

Precauzioni: chi soffre di pressione alta dovrebbe tenere le mani con i


palmi uniti davanti al cuore, invece di sollevarle in alto.
SALABHASANA
(la posizione della Locusta)

«Mi innalzo su ali di gioia!».

Assumi la posizione prona, con le braccia lungo i fianchi e la fronte a


terra.
Premendo fermamente il pube al pavimento, inspira e solleva le gambe,
le braccia e il tronco da terra con un piegamento all’indietro, usando la
forza delle gambe, della schiena, delle spalle e del pube. Con i palmi girati
verso il corpo, allunga le dita delle mani verso i piedi.
Per proteggere la parte inferiore della schiena, tieni premuto attivamente
il bacino a terra durante tutta la posizione e allungati dalle gambe. Tieni
allungata la nuca, mantenendo la stessa curvatura del resto della spina
dorsale. Respira naturalmente. Afferma il senso di elevazione che questa
postura ti dona: «Mi innalzo su ali di gioia!».
Per uscire dalla posizione, inspira e allunga tutto il corpo, poi espira e
rilassati nella posizione prona.
Fai una pausa e senti “l’eco” della posizione in te. Se la parte inferiore
della schiena ha bisogno di sollievo, entra in una contro-posizione (ad
esempio Balasana).
La posizione classica della Locusta completa (vedi la foto di Swami
Kriyananda) presenta sfide maggiori. Chiudi le mani a pugno e mettile sotto
le anche, con le braccia allungate e il dorso delle mani contro il pavimento.
Inspira e premi fermamente le braccia al pavimento, sollevando il più
possibile le gambe e la parte bassa del tronco. Mentre sei nella posizione,
senti che tutta l’energia viene ritirata dalle gambe e concentrata alla base
della spina dorsale.

Benefici: Salabhasana esercita in modo vigoroso e benefico il


diaframma e i muscoli del cuore. Aiuta a rafforzare le braccia e il dorso e
favorisce la buona salute dei nervi della parte inferiore del dorso e delle
gambe. I benefici più profondi, come nella maggior parte delle posizioni
yoga, sono a livello spirituale: l’energia viene elevata dalle estremità
inferiori del corpo per prepararsi alla concentrazione e alla meditazione.

Precauzioni: se soffri di problemi cardiovascolari, evita la posizione o


mantienila solo per breve tempo respirando regolarmente.

Controindicazioni
• Non praticare la posizione se soffri di lesioni spinali o durante la
gravidanza.
• Durante il ciclo mestruale è sconsigliata la posizione completa.

MATSYASANA
(la posizione del Pesce)

«La mia anima fluttua su onde di luce cosmica».

Da Savasana, metti le mani sotto i glutei con i palmi rivolti verso il


basso, tenendo i gomiti e le braccia a terra aperti quanto le spalle. Mantieni
le gambe attivamente allungate durante tutta la posizione.
Inspirando, premi i gomiti a terra e i glutei sulle mani, ed elevati dal
cuore arcuando la parte superiore del corpo in un piegamento all’indietro.
Lascia scivolare a terra la parte posteriore della testa (vicino alla
sommità del capo), mantenendo il collo in una curvatura uguale a quella del
resto della spina dorsale. Sostieni il peso del corpo soprattutto con i gomiti,
non con la testa.
Il piegamento all’indietro della spina dorsale è dinamico: continua a
mantenere le gambe attive, premendo i glutei contro le mani e i gomiti al
pavimento, e sollevandoti dal cuore.
Mentre mantieni la posizione respira in modo naturale, affermando: «La
mia anima fluttua su onde di luce cosmica».
Per uscire, espira e scendi a terra facendo scivolare la testa all’indietro.
Durante la pausa, mantieni la sensazione di espansione che hai
sperimentato nella posizione e approfondiscine gli effetti.

Benefici: la posizione del Pesce viene così chiamata perché stando in


questa postura è possibile galleggiare sull’acqua. La ragione per la quale si
associa il galleggiare sull’acqua alla pratica dello yoga è la libertà mentale
che questa posizione conferisce. Bisognerebbe sentire che si sta fluttuando
su onde di luce cosmica, completamente abbandonati al flusso e riflusso
della Grazia divina.
Rajarsi Janakananda (James J. Lynn), il discepolo più avanzato di
Yogananda in Occidente, era solito galleggiare sull’oceano al largo della
spiaggia di Encinitas, in California. Sollevandosi e immergendosi
gentilmente al ritmo delle onde dell’oceano, presto si trovò a fluttuare in
samadhi sulle onde della coscienza cosmica.
Matsyasana viene solitamente praticato sul pavimento come parte della
propria sequenza regolare di posizioni yoga. Si può restare nella postura
quanto a lungo si desidera. È eccellente come contro-posizione dopo i
piegamenti in avanti,* in particolar modo Halasana (la posizione
dell’Aratro) e Sarvangasana (la posizione della Candela). È d’aiuto per
superare la rigidità del collo in conseguenza di uno scorretto piegamento in
avanti su una scrivania o mentre si cuce o si legge. Aiuta anche a dirigere
l’energia in alto nell’occhio spirituale, tra le sopracciglia.
La posizione classica viene eseguita nella postura del Loto (come nella
foto di Swami Kriyananda), appoggiando le mani sui piedi. Questa variante
richiede molta consapevolezza e controllo del corpo.

Precauzioni
• Se la colonna cervicale è vulnerabile o lesionata, è essenziale non
mettere il peso sulla sommità della testa e mantenere il mento in dentro,
verso il petto.
• Se soffri di problemi cardiovascolari, mantieni il respiro naturale
evitando qualsiasi sforzo.
• In caso di patologie alla colonna, è necessario consultare un medico.

Controindicazioni: da non fare dopo il primo trimestre di gravidanza.

YOGA MUDRA
(solitamente tradotto come
“Simbolo dello yoga”)

«Io sono Tuo, ricevimi».


Siedi in Padmasana, la posizione del Loto. Se questo non ti è possibile,
siedi in una qualunque posizione semplice a gambe incrociate. Usa un
cuscino, se vuoi.
Porta i palmi delle mani uniti dietro di te nel punto in mezzo alle scapole,
tenendo le dita rivolte in alto; oppure, se non riesci a farlo, afferra
semplicemente con una mano il polso dell’altra dietro la schiena, all’altezza
della vita.
Inspira allungandoti, poi espira piegandoti lentamente in avanti fino a
poggiare la fronte a terra.
Prega mentalmente: «Io sono Tuo, ricevimi».
Per uscire dalla posizione, sali con un’inspirazione. Rimani seduto e
medita per qualche tempo.

Benefici: questa postura, secondo la tradizione dello yoga, aiuta a


sviluppare l’umiltà. Lo studente può chiedersi: gli antichi yogi stavano forse
cercando di attribuire a questa posizione ogni plausibile vantaggio? Si
potrebbe infatti affermare che qualsiasi postura servile, qualsiasi
piegamento in avanti, aiuta a sviluppare l’umiltà. Tuttavia, le implicazioni
di questa particolare posizione sono molto più numerose.
Paramhansa Yogananda ha spiegato che la coscienza dell’ego è centrata
nel midollo allungato alla base del cervello. L’inclinazione altera che
assume la testa di una persona orgogliosa è dovuta alla tensione, provocata
dall’ego, nella regione del midollo allungato. La prossima volta che accetti i
complimenti di qualcuno, osserva come l’energia si raccoglie nella parte
posteriore della testa. L’uomo mondano è centrato nell’ego. La maggior
parte dei suoi pensieri e delle sue attività emanano da questo centro del
midollo allungato o sono in qualche modo collegati a esso. L’aspirante yogi
dovrebbe sforzarsi di liberare l’energia da questo punto e di concentrarsi nel
centro cristico, tra le sopracciglia. Il midollo allungato rappresenta il polo
negativo della funzione cerebrale; il punto tra le sopracciglia, il polo
positivo. Entrambi sono, in realtà, due poli dello stesso centro.
Yoga Mudra toglie il peso dalla parte posteriore del collo, aiutando a
ridurre la tensione in quell’area. La pressione della fronte sul pavimento
aiuta a ridirigere la consapevolezza verso la regione frontale. Congiungere i
palmi delle mani, infine, contribuisce a indurre un atteggiamento di
riverente adorazione. Prega mentalmente in questa posizione: «Io sono Tuo,
ricevimi».
Yoga Mudra è, infatti, il “Simbolo dello yoga” perché in tutte le pratiche
dello yoga lo sforzo individuale (che è implicito nell’assumere in modo
deliberato le posizioni dello yoga) deve essere unito all’abbandono al Potere
Infinito, Dio. L’uomo deve compiere la propria parte di sforzi non
nell’ottica di conquistare le altezze divine solo attraverso il potere umano,
ma di aprire la propria coscienza affinché la luce di Dio possa scendere su
di lui.

DHANURASANA
(la posizione dell’Arco – variante avanzata)

Quando pratichi la posizione dell’Arco, cerca qualche volta di sollevare


le ginocchia senza l’aiuto delle braccia. Invece di afferrare i piedi con le
mani, mantieni le braccia giù ai lati del corpo e sollevale all’altezza delle
ginocchia mentre ti alzi nella posizione.

Respirazione

In molti testi di yoga si sottolinea l’importanza che l’espirazione sia più


lenta dell’inspirazione. Nonostante questo insegnamento sia così diffuso, è
interessante osservare come Paramhansa Yogananda, uno dei pochi
autentici maestri dello yoga dei nostri tempi, abbia sempre insegnato a
respirare con un ritmo in cui l’inspirazione e l’espirazione hanno la stessa
durata. (Per lo meno, non sono a conoscenza di alcuna eccezione al riguardo
nei suoi scritti.) In molti dei suoi insegnamenti egli ha evidenziato
l’importanza di equilibrare l’inspirazione e l’espirazione. (Il tempo di
ritenzione del respiro nei polmoni varia invece a seconda delle tecniche.)
Molti studenti mi hanno chiesto la ragione di questa apparente
discrepanza tra il suo insegnamento e quello di un così ampio segmento
della tradizione dello yoga. C’è un motivo per questa differenza.
Con l’espirazione, si espellono tossine dal corpo. Finché si concepisce
l’Hatha Yoga in modo puramente fisico, un’espirazione prolungata può
essere considerata utile in questo processo di eliminazione. Tuttavia,
quando si comprende che il respiro fisico è intimamente collegato con il
flusso ascendente e discendente dell’energia nella spina dorsale, l’intera
pratica della respirazione assume una nuova dimensione.
Studieremo questo punto in modo più approfondito nella lezione
dodicesima. Per ora, mi limito a dire soltanto che una profonda
consapevolezza spirituale si manifesta quando queste due correnti si
equilibrano e si neutralizzano. Per raggiungere il risveglio spirituale, è
importante che la durata dell’inspirazione e dell’espirazione sia uguale.
Per stimolare la consapevolezza dell’energia che fluisce insieme al
respiro, contrai leggermente la gola quando pratichi qualunque tipo di
respirazione a narici alterne. Senti che con l’inspirazione e l’espirazione stai
dirigendo il respiro su e giù lungo la colonna.
Quando usi la respirazione come mezzo per accrescere la tua
consapevolezza spirituale interiore, pratica Chandra Bedha Pranayama (la
Respirazione lunare, insegnata nella quinta lezione): inspira solo attraverso
la narice sinistra ed espira solo attraverso la destra. Il ritmo dovrebbe essere
uguale: 8-8-8.

Sequenze

Pratica Parvatasana (la posizione della Montagna) dopo Ardha


Matsyendrasana (la mezza posizione di Matsyendra). Se lo desideri, puoi
farla seguire da Yoga Mudra (il Simbolo dello yoga), poi da Matsyasana (la
posizione del Pesce). La posizione completa della Locusta può essere
praticata dopo Ardha Salabhasana (la mezza posizione della Locusta).

Guarigione
Problemi sessuali

I problemi sessuali sono solitamente identificati con malattie o astenia


del sistema riproduttivo. Nello yoga, tuttavia, i problemi sessuali hanno
anche a che fare con l’ostacolo rappresentato dal forte desiderio sessuale ai
tentativi dell’aspirante yogi di rivolgere tutta l’energia in alto verso il
cervello.
Contrariamente a quanto si suppone, tutte le energie fisiche, comprese
quelle sessuali, sono rafforzate, non indebolite, quando l’energia viene
ritirata dalla sua espressione esterna nei sensi e raccolta in quella che si
potrebbe chiamare la dinamo rigenerante della spina dorsale e del cervello.
Senza sonno, per esempio, si perderebbe presto l’energia che è necessaria
per lavorare. Sebbene la meditazione ritiri l’energia dai sensi, il risultato,
lungi dall’“affamare” i sensi, è quello di renderli più acuti. Il riposo
periodico aumenta la capacità di godimento sensoriale: i colori diventano
più intensi, i suoni più piacevoli, i profumi più rinfrescanti.
Di conseguenza, gli esercizi che aiutano a trasmutare l’energia sessuale
in energia spirituale sono anche eccellenti per aiutare a superare l’astenia, e
persino le malattie, dell’apparato riproduttivo. Usare questo principio
solamente per accrescere il proprio godimento sessuale sarebbe,
ovviamente, controproducente, a meno che non si consideri che il vero
scopo della vita sia un perpetua successione di alti e bassi.
Le seguenti posizioni sono indicate per i problemi mestruali:*
Sarvangasana (la posizione della Candela), che verrà spiegata
nell’undicesima lezione; Trikonasana (la posizione del Triangolo);
Matsyasana (la posizione del Pesce); Halasana (la posizione dell’Aratro);
Bhujangasana (la posizione del Cobra); Paschimotanasana
(l’Allungamento posteriore); Padahastasana (la posizione del Coltello a
serramanico); Salabhasana (la posizione della Locusta).
Per la trasmutazione dell’energia sessuale è importante la respirazione
profonda. Essa crea un magnete nei polmoni, che attira l’energia in alto
nella spina dorsale verso la regione del cuore. Per continuare questo flusso
dal cuore fino al cervello, concentrati nel punto fra le sopracciglia, creando
un magnete in questo punto. È più facile dirigere l’energia in alto dalla base
della spina dorsale in questi due stadi – dapprima fino ai polmoni e al cuore,
poi fino al centro cristico tra le sopracciglia – piuttosto che in un unico
stadio (dalla base della colonna direttamente fino al centro cristico).
Lahiri Mahasaya ha insegnato una tecnica che è eccellente per una
trasmutazione duratura, ma non per un impiego durante i periodi di vera e
propria stimolazione o eccitamento. Essa comporta una deliberata, ma
rilassata (non eccitante), stimolazione dei nervi sessuali, per risvegliare
gentilmente quell’energia e poi ritirarla verso il cervello. Non si può
ridirigere il flusso di un’energia di cui non si è consapevoli, né si può
ridirigere tale flusso quando già si sta muovendo con troppa forza verso
l’esterno. La stimolazione deve essere completamente rilassata, in quanto
l’energia sessuale, quando viene stimolata in maniera erronea, si manifesta
come calore nel corpo. La trasmutazione di questa energia raffredda il corpo
(si percepisce una sensazione simile allo spruzzo di una fontana fresca che
sale nella spina dorsale fino al cervello), perciò la stimolazione in questa
tecnica dovrebbe avere una natura rinfrescante.
Metti del ghiaccio con poca acqua in una borsa del ghiaccio e
posizionala sulla punta chiusa dell’organo maschile o contro la parte esterna
dell’organo femminile, e percepisci la freschezza che gradualmente sale
lungo la spina dorsale fino al cervello e si diffonde esternamente anche a
tutto il corpo. Poiché è stato Lahiri Mahasaya a trasmettere questa tecnica al
mondo, sarebbe bene pronunciare mentalmente il suo nome mentre la si
pratica, invocando le sue benedizioni. Eseguila per dieci minuti alla volta,
due volte al giorno. Non praticarla mai, tuttavia, durante i momenti di
eccitamento sessuale.
Qualsiasi azione è la logica conseguenza dei primi movimenti di
pensiero ed energia diretti verso quel tipo di attività. Il momento in cui
prevenire qualsiasi uso improprio dell’energia non è a metà strada sul
sentiero verso l’uso improprio, ma all’inizio di quel viaggio. Il successo o il
fallimento in qualsiasi impresa dipende principalmente dai primi passi. Allo
yogi che aspira a trasmutare l’energia sessuale in potere spirituale si
raccomanda, perciò, di sorvegliare nelle piccole cose la direzione di questa
energia. Egli farebbe meglio a non guardare più del necessario le persone
del sesso opposto e specialmente a non guardarle negli occhi, che
potrebbero essere molto magnetici, né a conversare con loro più di quanto
sia strettamente necessario. Essere riservati nei rapporti con le persone
dell’altro sesso potrebbe sembrare una cosa estrema, e potrebbe in effetti
essere impossibile nelle comuni relazioni sociali; tuttavia, presumere di
poter essere completamente liberi e amichevoli nelle proprie azioni pur
senza essere interiormente soggetti all’attrazione, potrebbe essere ingenuo.
Il magnetismo sessuale nel corpo è estremamente sottile. L’attrazione
magnetica tra uomo e donna, così come tra i poli nord e sud di una calamita,
esiste indipendentemente da qualsiasi naturale affinità tra le loro
personalità. Questa attrazione può essere inconsapevole, oppure potrebbe
ispirare soltanto amicizia e ispirazione. Tuttavia, pur nelle sue forme più
elevate, a meno che la coscienza sessuale di almeno una delle due persone
sia stata trasmutata, il magnetismo naturale (rispetto a qualsiasi tipo di
magnetismo più elevato che potrebbe anche esistere) tenderà ad attirare
l’energia verso il basso.
Sta all’individuo decidere quanto strettamente e quanto completamente
voglia concentrare tutta la propria energia solo su Dio, ma se questo è
veramente il suo desiderio, dovrebbe tenere bene a mente che sono i
movimenti iniziali di pensiero e di energia che egli deve osservare. Come
disse Gesù: «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto». Le persone
mondane potrebbero considerare debole colui che cerca di essere severo con
se stesso, e deriderlo. Non vedono quanto sia sottile l’attrazione, né quanto
schiavi siano già loro stessi. Chi sta dormendo può ben sognare di essere
sveglio, ma è solo nell’effettivo stato di veglia che può accorgersi di quanto
addormentato fosse in realtà. Un atteggiamento austero non è segno di
debolezza. In effetti, non è nemmeno possibile senza una grande forza
interiore.
Un’altra tecnica eccellente per la trasmutazione dell’energia sessuale è
quella di meditare sulla luce spirituale nella regione genitale e alla base
della spina dorsale, e di invocare la Grazia divina perché aiuti a dirigere
quell’energia verso l’alto.
Ricorda che il fattore più importante nella trasmutazione dell’energia
sessuale è l’atteggiamento mentale. Il primo passo verso un corretto
atteggiamento sessuale è quello di non circondare con un’aura di mistero
una funzione così ordinaria e perfettamente naturale. Non darle più
importanza di quanto meriti: se la tratti come un pigmeo, avrà su di te
soltanto il potere di un pigmeo; se la tratti come un gigante, avrà la forza di
un gigante. Una volta Sri Yukteswar stava camminando con alcuni
discepoli, tutti giovani uomini, quando si imbatterono in un gruppo di
ragazze che facevano il bagno svestite in un fiume. I discepoli cercarono di
distogliere lo sguardo, ma attraverso occhiate furtive mostrarono dove si
trovavano realmente i loro pensieri. Sri Yukteswarji ordinò loro di fermarsi.
«Piuttosto che occhiate furtive accompagnate dal senso di colpa» disse «e
seguite più tardi da ricordi ingigantiti, è meglio restare qui e guardare
apertamente». Guardando fisso quelle giovani, i discepoli ben presto si
resero conto che ciò che li aveva attratti non erano le ragazze, ma la loro
stessa immaginazione. Dopo alcuni momenti, ripresero a camminare con
calma.
Nessuna funzione naturale del corpo è intrinsecamente malvagia.
Accostarsi al sesso con un sentimento di vergogna sarebbe un grave errore.
La sessualità ha il suo posto nel disegno generale delle cose: senza di essa,
non saremmo neppure qui! La cosa importante è non abusare di questo
potere e non sprecarlo, ma usarlo correttamente per generare figli fisici o
“figli” spirituali di ispirazione e illuminazione. Essere liberi dal desiderio
sessuale non è necessariamente un segno di grandezza: i grandi uomini
hanno spesso una forte inclinazione verso il sesso. Devono però trasmutarla,
perché ci vuole molta energia per essere grandi. Una forte energia rivolta in
una direzione può essere ridiretta per fornire una grande forza in un’altra
direzione.

Alimentazione

L’alimentazione gioca un ruolo importante nel rinvigorimento e nel


controllo sessuale. Cibi eccessivamente piccanti oppure pesanti e dalla
bassa vitalità tendono a ostruire e irritare i nervi, provocando innaturali
desideri fisici di vario tipo. I cibi che tendono specificatamente a irritare e
stimolare i nervi sessuali includono il bianco d’uovo e il vino. Anche la
carne è irritante. Una dieta a base di alimenti crudi può essere d’aiuto nella
pratica della trasmutazione dell’energia sessuale.
Solo attraverso uno sforzo ripetuto e paziente è possibile ottenere
qualche progresso spirituale duraturo. Ogni volta che fai uno sbaglio,
semplicemente alzati e riprendi a camminare verso la tua meta. Non
sprecare tempo ed energia accusandoti. La libertà dovrà necessariamente
arrivare, alla fine, se la desideri veramente. «Un santo» era solito dire
Paramhansa Yogananda «è un peccatore che non si è mai dato per vinto».
Gli yogi ritengono che tutti i cibi esercitino un’influenza sulla natura
mentale e spirituale dell’essere umano, nonché sul suo corpo fisico. Si dice
che la frutta sia il cibo più spiritualizzante o sattwico. Altri alimenti – come
la carne e i cereali, per esempio – hanno un effetto attivante o rajasico sulla
natura interiore. I cibi devitalizzati o eccessivamente aspri (come il rafano)
hanno un’influenza ottenebrante o tamasica. Tutti gli alimenti sono
suddivisi in base alle loro vibrazioni fondamentali: sattwiche, rajasiche e
tamasiche. Si dice che queste tre qualità – elevante, attivante e oscurante –
siano insite in tutte le cose create. Tutto l’universo è un prodotto della
mescolanza di questi tre guna, o qualità.
Fra tutti i cibi materiali, la frutta è quella che manifesta il sattwa guna
nella sua forma più pura. Si dice che determinati tipi di frutta aiutino a
sviluppare specifiche qualità spirituali. Le banane hanno una vibrazione di
umiltà; le pere di pace, l’uva di devozione (che si trasforma in lussuria
quando l’uva fermenta in vino), le ciliege di allegria (curiosamente in
inglese esiste l’espressione «La vita è una ciotola di ciliege», a significare
che andrebbe vissuta con un’attitudine di buonumore). Alla fine di questa
sezione inserirò una lista delle qualità spirituali di determinati cibi, sulla
base degli insegnamenti di Paramhansa Yoganandaji.
Ci sono persone che insistono nell’affermare che, se posso sostenere di
essere famoso per qualcosa, è per le mie macedonie di frutta. Forse dovrei
condividere alcuni dei miei segreti riguardo alla frutta.
Il primo requisito è la frutta fresca di stagione. (La frutta sciroppata che
così spesso viene servita nelle macedonie nei ristoranti è un insulto ai palati
raffinati!) I frutti acidi dovrebbero essere mescolati con quelli dal sapore
meno forte. Una macedonia fatta solo di arance, pompelmi e ananas sarà
troppo monotematica; sarebbe meglio mangiare ciascuno di questi frutti da
solo.
Le mie combinazioni preferite comprendono mele, banane, arance,
fragole, uva, un po’ di uvetta e/o datteri, pinoli e mandorle. Preferisco non
fare pezzi troppo piccoli, per evitare che il sapore di ogni frutto si perda in
una sorta di purea generale.
La cosa importante in una macedonia perfetta è il condimento. Si può
prepararlo in una varietà di modi, e io stesso amo cambiare di volta in volta.
Alcune indicazioni generali possono comunque essere utili.
Mescola in un frullatore: panna da montare, polpa di mango (si può
trovarla in alcuni negozi specializzati), menta fresca e un po’ di miele. Se
hai la possibilità di polverizzare le mandorle, anche queste possono essere
aggiunte al condimento. (In ogni caso, le mandorle devono essere tagliate
piuttosto finemente.)
Oppure unisci alla panna un po’ di succo di limone, scorza di mandarino
macinata, menta fresca e miele.
Un’alternativa è non includere la panna e usare soltanto avocado con
latte o succo d’arancia. Aggiungi un po’ di succo di limone e miele.
Oppure prova ad aggiungere, a una qualsiasi delle precedenti
combinazioni, appena un pizzico di caffè in polvere, non più
dell’equivalente di quattro chicchi di caffè.
Le mandorle macinate rappresentano un’ottima aggiunta a tutte le
precedenti combinazioni, o a qualsiasi altra di tua invenzione. La panna, fra
l’altro, si combina meglio nel corpo con la frutta di quanto avvenga con il
latte.

Qualità dei cibi


Banane: calma e umiltà
Pere: pace
Uva: devozione, amore divino
Ciliege: allegria
Arance e limoni: mettono al bando la malinconia e stimolano il cervello
Bacche (in genere): purezza di pensiero
Fragole: dignità
Lamponi: gentilezza di cuore
Pesche: altruismo, preoccupazione per il benessere degli altri
Ananas: fiducia in se stessi
Avocado: buona memoria
Noce di cocco: generalmente spiritualizzante
Datteri: tenerezza, dolcezza
Fichi: ammorbidiscono un senso di disciplina troppo severo
Mandorle: autocontrollo sessuale
Miele: autocontrollo
Sciroppo d’acero: freschezza mentale
Mais: vitalità mentale
Pomodori: vigore mentale
Barbabietole: coraggio
Spinaci: una natura semplice
Lattuga: calma
Latte di mucca: entusiasmo ed energia fresca e spirituale
Tuorli d’uovo: rajasici, dirigono l’energia verso l’esterno
Cereali (in genere): forza di carattere
Frumento: fermezza di principi
Riso integrale: mitezza

Rasagulla, un dessert
Uno dei dolci indiani più deliziosi, il rasagulla, richiede molto tempo ma
non è difficile da preparare.
Prepara un panir fresco (un tipo di formaggio), facendo bollire del latte e
aggiungendo un cucchiaio di succo di limone per ogni mezzo litro di latte
non appena il latte comincia a bollire. Mescola gentilmente mentre il latte si
caglia e lascia cuocere a fuoco lento per 5 minuti. Filtra attraverso una
garza. Lascia la garza con il caglio appesa per una notte o finché il
formaggio non diventa molto secco. Lavoralo fino a quando assume una
consistenza soffice. Fai delle palline poco più piccole di una pallina da golf.
Taglia a metà ogni pallina e metti nel centro una presa generosa di zucchero
candito frantumato e 4 semi di cardamomo (non baccelli). Unisci le due
metà e falle rotolare assieme fino a riassumere la consistenza di una pallina
perfetta.
A parte, prepara una pentola di sciroppo facendo bollire un po’ di miele
in acqua. (Normalmente si usa lo zucchero, ma il miele è più sano.) Lo
sciroppo deve avere una consistenza molto liquida e pertanto bisogna
aggiungere acqua se durante la bollitura dei rasagulla si addensa
eccessivamente. Una proporzione di 100 ml di miele rispetto a 250 ml di
acqua dovrebbe essere adeguata.
Fai cuocere gentilmente a fuoco lento i rasagulla nello sciroppo per 5-10
minuti, fino a quando si gonfiano leggermente. Dopo averli fatte
raffreddare, spruzzali con un po’ di acqua di rose.

Meditazione
A. Tempi e modi della pratica di Hong-So

Preparazione
1) Per liberare il sangue dall’anidride carbonica e dunque calmare
l’organismo, inspira tendendo tutto il corpo; espira e rilassa. Ripeti 2 o 3
volte.
2) Inspira ed espira lentamente e profondamente diverse volte, inspirando,
trattenendo ed espirando per la stessa durata. (Un ritmo suggerito è 20-
20-20 oppure 12-12-12.) Non sforzarti. Ripeti 6 o 12 volte.
3) Controlla mentalmente il corpo per assicurarti che sia rilassato. Di tanto
in tanto, durante la pratica, controllalo nuovamente.
4) Inizia la pratica vera e propria espirando lentamente e consapevolmente.

La tecnica di base
1) Non appena il respiro entra spontaneamente, seguilo mentalmente con il
suono Hong. Immagina che sia il respiro stesso a produrre questo suono.
2) Quando il respiro esce spontaneamente, seguilo mentalmente con il
suono So. Immagina che sia il respiro stesso a produrlo.
3) Se in qualunque momento il respiro si ferma naturalmente, accetta la
pausa con calma, identificandoti con essa finché la respirazione
riprenderà spontaneamente.
4) Per tenere la mente fissa sul respiro (o, quando sarai più interiorizzato,
per distinguere tra inspirazione ed espirazione) potrà esserti d’aiuto
portare il dito indice verso il palmo della mano mentre il respiro entra, e
allontanarlo dal palmo quando esce.

Prima fase
1) Se il respiro è ancora irrequieto, forse ti sarà più facile avvertire il
movimento fisico dei polmoni e del diaframma, piuttosto che il flusso
del respiro nelle narici. In questo caso, lascia che la mente segua la sua
inclinazione naturale e concentrati sugli aspetti puramente fisici della
respirazione: il movimento della cassa toracica, del diaframma,
dell’ombelico.
2) Gradualmente, con l’aumentare della calma, trasferisci l’attenzione dal
processo della respirazione al respiro stesso.

Seconda fase
1) Quando la tua attenzione comincia a concentrarsi sul respiro, osservalo
nel punto in cui entra nelle narici.
2) Gradualmente, col progressivo acquietarsi del respiro, concentra la tua
consapevolezza sempre più in alto nel naso. Potrà esserti utile cercare di
rilassare l’interno del naso.
3) A mano a mano che questa osservazione diventa naturale, concentra la
tua consapevolezza nel punto in cui il respiro entra nella cavità nasale.
Percepiscilo nella parte più alta di questo passaggio e visualizza il suo
movimento mentre sfiora e risveglia dolcemente il centro cristico, nel
lobo frontale del cervello.

Terza fase
1) Identificati sempre più con il respiro e sempre meno con la necessità del
tuo corpo di respirare. Ricorda che, soprattutto quando la tua calma sarà
maggiore, questa necessità potrà diventare più immaginaria (il risultato
di una profonda abitudine subconscia) che reale. Quindi:
2) Concentrati particolarmente sulle pause tra i respiri, e godine. Soffermati
sul senso di libertà dalla tirannia della costante respirazione. Pur
godendo di questo senso di calma e libertà, non cercare di prolungare
con la volontà lo stato senza respiro.
3) Dirigi piuttosto la volontà verso il pensiero di divenire l’aria che sta
fluendo nel naso o lo spazio sconfinato nel centro cristico.
4) A mano a mano che le pause si allungano, prova a focalizzare la tua
attenzione cantando mentalmente AUM nel centro cristico.

Punti chiave
1) Durante tutta la pratica tieni lo sguardo rivolto in alto, per elevare
gradualmente la coscienza. Tuttavia, non concentrarti nel centro cristico
fino a quando non ti sarà naturale sentire il flusso del respiro in quel
punto.
2) Rimani seduto immobile durante la pratica. Qualunque movimento fisico
(così come qualunque movimento di pensiero o emozione) agiterà
ulteriormente il respiro.
3) Di tanto in tanto, controlla il corpo (in particolare il naso) per assicurarti
che sia rilassato.
4) Mentre canti Hong-So, assicurati di farlo solo mentalmente. Spesso, il
semplice pensiero di una parola produce un movimento involontario
della lingua e delle labbra, oppure una leggera tensione nella mandibola
o nella gola. Assicurati che anche queste parti del corpo siano
completamente rilassate.

DOMANDE E RISPOSTE
D. Quanto a lungo si dovrebbe praticare la tecnica di Hong-So?
R. Fino a quando si prova piacere nel praticarla. Questa è l’unica tecnica (a
differenza di molte altre nello yoga) che non rischia di diventare
eccessiva, poiché non crea tensione nel sistema nervoso. Yoganandaji,
da ragazzo, la praticava fino a sette ore e mezza di seguito. Una volta,
egli disse a un suo discepolo che se si vuole diventare maestri in questa
vita, bisognerebbe praticare Hong-So per due ore al giorno. Nessuna
tecnica, comunque, dovrebbe essere praticata fino alla fatica o alla noia.
I principianti, in particolare, faranno meglio a eseguirla solo mezz’ora
alla volta, o forse anche meno. Per gli altri, la chiave dovrebbe essere la
piacevolezza, per non scivolare gradualmente nell’abitudine dannosa di
meditare in modo meccanico, senza quel vivo senso di beata aspettativa
che è indispensabile per il vero progresso nella meditazione. Quando la
tecnica comincia a diventare meno piacevole, smetti di praticarla,
almeno per quella sessione. E se cominci a perdere il gusto per la
meditazione, smetti di meditare o fai una pausa (puoi riposare in
Savasana, la posizione del Cadavere), prima di fare un ulteriore
tentativo.

D. Quando il Maestro ha detto di praticare Hong-So per due ore al giorno,


intendeva in un’unica meditazione?
R. Sì, se è possibile. Ma se non lo è, sono sicuro che sarebbe stato
d’accordo di dividere questo tempo in due o più periodi più brevi.
Ricorda: nessun tempo prefissato può garantire il successo nella pratica
dello yoga. I tempi consigliati dovrebbero essere intesi solo come linee-
guida generali.

D. Si può praticare questa tecnica nei momenti di ozio, oltre che nei periodi
che ci si è prefissi per la meditazione?
R. Sì, e praticamente ovunque: seduti alla scrivania in ufficio, in un luogo
pubblico, a una festa quando non si è coinvolti nella conversazione. Di
fronte agli altri, tuttavia, non lasciar trapelare ciò che stai facendo.
Siediti rilassato e chiudi gli occhi come per riposarli, oppure guarda
dritto davanti a te come se stessi riflettendo.

D. Quanta parte della meditazione dovremmo dedicare a questa tecnica?


R. È difficile dare un consiglio, se non dicendo che questa è una delle
pratiche yogiche più importanti. Quanto più a lungo e profondamente
eseguirai qualunque tecnica, tanto prima la padroneggerai. Sta a te
decidere per quanto tempo, in proporzione ad altre pratiche, vuoi
osservare il respiro. Indipendentemente da quali altre tecniche si
eseguano, comunque, almeno l’ultimo quarto del periodo dovrebbe
essere dedicato alla pura meditazione, senza alcuna pratica. Come disse
il mio guru, l’intuizione (che egli definì come il potere dell’anima di
conoscere Dio) si sviluppa prolungando e approfondendo i pacifici
effetti delle tecniche di meditazione.

D. Ci si deve concentrare sul respiro e anche nel punto tra le sopracciglia?


R. Solo quando l’attenzione si sarà focalizzata naturalmente sul flusso del
respiro all’inizio del naso, cioè nel punto in cui il respiro entra nella
cavità nasale, nella testa. Altrimenti, ci sarebbe una scissione della
concentrazione, che la annullerebbe.

D. Dato che Hong-So è pronunciato in modo diverso in varie parti


dell’India (ad esempio Hung-Sah), e dato che si parla molto nello yoga
dell’importanza della corretta pronuncia dei mantra, non sarebbe utile
stabilire quale delle diverse pronunce sia classicamente più corretta?
R. No. Pronunciate mentalmente, le variazioni sono così lievi che
praticamente non si distinguono e perciò la differenza tra di esse è
insignificante. Il punto fondamentale in questa tecnica è approfondire la
coscienza della pace, e associarla alla ripetizione del mantra. È la
coscienza, in realtà, a determinare la pronuncia più corretta per un
mantra.

D. Che cosa fare, durante la pratica di questa tecnica o di qualunque altra,


se ci si sente improvvisamente trasportati in uno stato di coscienza
divino? Presupponendo che sia stata la tecnica a provocarlo, si dovrebbe
continuare a praticarla oppure abbandonarla per godere più
profondamente di quello stato di coscienza?
R. Bisogna innanzitutto stabilire se la tecnica ha veramente prodotto lo
stato a cui ti riferisci, oppure se ti ha semplicemente preparato a
riceverlo. Certi stati divini, se realmente causati da una determinata
tecnica, possono essere intensificati continuando a praticarla. Altrimenti,
in linea generale, sarebbe meglio sospendere la pratica per poter
approfondire il godimento dell’esperienza divina e l’identificazione con
essa.

D. A volte il mio respiro, invece di creare pause sempre più lunghe tra
l’inspirazione e l’espirazione, continua con il suo ritmo normale, ma
diventa sempre più lieve fino a scomparire. Va bene?
R. Sì, molto. Lascia comunque che il respiro segua il suo corso e non
decidere quale ritmo debba seguire. In ogni caso, una respirazione così
leggera indica un soddisfacente stato di concentrazione.

B. Il magnetismo
A prescindere da ciò che desideri nella vita – oggetti, opportunità o
circostanze favorevoli; ispirazione, intuizioni o comprensione intellettuale;
estasi, divino amore o libertà dell’anima – una cosa, e solo quella,
determinerà la misura del tuo appagamento: il potere e la qualità del tuo
stesso magnetismo.
Il magnetismo è un principio astratto. Può essere usato come strumento
di sciagura così come di benedizioni. Fai attenzione a ciò che desideri,
poiché hai nelle tue mani il potere di conquistare il paradiso anche qui sulla
terra oppure – sempre qui sulla terra – l’inferno.
I desideri per le cose di questo mondo sono la principale causa della
rovina dell’uomo, poiché lo legano all’elemento più grossolano della sua
natura e nascondono ai suoi occhi quelle qualità interiori e spirituali che lo
renderebbero libero di innalzarsi nei cieli della gioia infinita. Tuttavia, per
non lasciarsi prendere dall’eccessiva preoccupazione per le cose materiali, è
necessario avere abbastanza prosperità economica, salute e opportunità.
Solo una grande anima è capace di pensare unicamente alle realtà superiori,
anche nel mezzo delle privazioni più penose. Le benedizioni di questo
mondo possono davvero essere tali, a patto che facilitino la nostra ricerca
della libertà interiore, invece di ostacolarla. Non è sbagliato, quindi, usare il
potere del nostro magnetismo per acquisire una certa prosperità terrena, se
nel farlo non ci lasciamo seppellire dai nostri beni; non è sbagliato usarlo
per acquisire la salute, se non diventiamo fanatici del benessere; neppure è
un errore servirsene per far aprire le porte delle opportunità, se cerchiamo
opportunità veramente degne e non sperperiamo i nostri poteri in deviazioni
e semplici diversivi. Puoi attrarre qualunque cosa desideri dalla vita –
fisicamente, mentalmente o spiritualmente – solo in base al tipo di energia
che tu stesso manifesti. Se comprenderai questa verità, potrai prenderti cura
del tuo benessere materiale anche se il tuo desiderio principale nella vita
(come è giusto che sia) è di trovare Dio.
Ciò nonostante, la base di ogni desiderio dovrebbe essere la volontà di
trovare Dio e di compiacerLo. Non pensare che i tuoi desideri materiali,
essendo mondani, non trovino posto nella tua vita spirituale, perché in
questo modo non faresti altro che rivolgerli contro di te, invece che verso la
tua libertà finale. Cerca piuttosto l’aiuto di Dio per appagarli nella
meditazione, così da comprendere che la vera fonte del tuo potere non è il
piccolo ego, ma l’Infinito Sé divino. Cerca anche la guida di Dio, per poter
desiderare sempre ciò che è realmente per il tuo bene più alto. Non intendo
suggerire di limitare i tuoi sforzi alla meditazione, ma di cercare nella
meditazione la fonte della tua forza.
Qualunque cosa tu desideri, visualizzala con chiarezza nella mente.
Concentra questa immagine nel centro della volontà tra le sopracciglia e,
invitando l’energia dell’universo a rafforzare la tua stessa energia, invia
all’esterno un forte pensiero attraverso il centro cristico. Investi quel
pensiero di tutta l’energia in tuo potere. Senti la forza magnetica di
quell’energia che si riversa all’esterno, senza concentrarti troppo
sull’oggetto particolare che speri di influenzare con il tuo desiderio.
Focalizzati su una situazione ideale, invece che sullo stato attuale delle
cose. Soprattutto, fa’ della pace divina il canale per il tuo potere magnetico,
così che quel potere possa produrre armonia, o almeno, se questo non è
possibile, non dare alcun risultato. Fa’ di Dio il tuo Socio in ogni impresa e
offriGli i frutti dei tuoi sforzi, cercando di compiacerLo e agendo
soprattutto per amore Suo.
In questo modo, scoprirai ben presto di essere veramente figlio
dell’Infinità e che il dominio – non dell’ego, ma dell’anima – su tutte le
cose è un tuo diritto di nascita divino.

AUM, Shanti, Shanti, Shanti!


Filosofia
Il guru

Come può l’uomo, smarrito e incerto nel buio della propria ignoranza,
trovare la via verso la chiara luce della saggezza? Ha bisogno di un guru.
Da solo, quale sentiero potrà mai seguire con sicurezza? Innumerevoli sono
i sentieri segnati sulle mappe, ma la loro stessa diversità li rende sospetti.
Quante rotte ben tracciate conducono i viaggiatori speranzosi lungo percorsi
tortuosi fino ad abissi insuperabili! Quante strade ben battute e
apparentemente sicure attraversano pianure fiorite per poi sgretolarsi in
aridi deserti di insoddisfazione! Perfino quei pochi sentieri che conducono
realmente tra deserti e valichi montani fino alla terra della divina promessa,
devono all’inizio attraversare lande desolate; solo con grande attenzione è
possibile praticarli. Ovunque, i divini trabocchetti dell’illusione attendono
gli incauti; i profondi solchi del desiderio conducono fuori strada, nei fossi
delle cattive abitudini.
L’uomo pensa di poter giungere all’illuminazione percorrendo la via
delle massime morali: sarebbe come voler attraversare una pianura sferzata
dal vento a lume di candela! Egli pensa di trovare la strada giusta con le sue
sole forze, ma poi, riconoscendo la propria impotenza quando ormai è
troppo tardi, aspetta pateticamente di essere trasportato non importa da chi –
prete, indovino o chiromante – a patto che questo compagno di
pellegrinaggio prometta di fare tutto il lavoro per lui.
Chi, se non il più cieco degli egocentrici, potrebbe affermare che è il suo
potere a far accendere una lampadina? E chi, se non il più assoluto
sognatore, potrebbe sostenere che, poiché l’elettricità illumina la lampadina,
è l’elettricità che decide quando accenderla? L’uomo, creatura
dell’universo, non può fare neppure due passi senza il potere che trae
dall’universo. Tuttavia, sta solo a lui attirare quel potere: la Natura non può
percorrere la strada al suo posto.
Abbiamo bisogno di aiuto sul sentiero verso l’illuminazione. Abbiamo
bisogno di un guru. Non è sufficiente che ci venga indicata la strada, anche
quando, tra innumerevoli deviazioni e vicoli ciechi, ci venisse chiaramente
mostrata su una mappa la giusta via da seguire. I trabocchetti sono troppo
numerosi. Abbiamo bisogno di aiuto, ma di quel tipo d’aiuto che ci
permette anche di camminare sicuri e spediti con le nostre forze.
Questo tipo di aiuto non viene né da un autoconvincimento egoico né
dalla passività, ma dal comprendere e utilizzare la legge del magnetismo di
cui abbiamo parlato nella lezione precedente.
Una barra di ferro non si magnetizza da sola; per diventare magnetica,
deve essere posta accanto a una calamita. L’uomo, aumentando il proprio
flusso di energia, può magnetizzare se stesso. Tuttavia, questa apparente
autonomia è spesso la causa della sua rovina. La magnetizzazione non
dipende dall’autodeterminazione; il punto è se sia possibile o meno creare il
magnetismo. Non è possibile. L’uomo può darsi da fare per acquisirlo, ma il
risultato è proporzionale a quanto egli riesce a sintonizzarsi con le influenze
universali. L’uomo è parte integrante dell’universo; possiede il libero
arbitrio per decidere quale tipo di influenze accettare nella propria vita –
ispiranti oppure degradanti, se la sua volontà è perversa – ma non può agire
indipendentemente da ogni influenza.
L’uomo cresce attirando a sé poteri maggiori di quelli che già possiede.
A differenza della barra di ferro non magnetizzata, può attirare influenze
magnetiche che non emanano da un punto definito, ma che esistono a
livello generale, come parte della struttura stessa dell’universo. In ogni
caso, neppure l’uomo può sviluppare in un istante una consapevolezza così
astratta. Tutti noi abbiamo bisogno di esempi specifici, dei nostri
Shakespeare e dei nostri Bach che ci aiutino ad accrescere la nostra
comprensione della bellezza, anche se la bellezza è un’astrazione e
rimarrebbe reale pure se nessuno fosse così sensibile da percepirla. Anche
Bach e Shakespeare avevano modelli specifici per il loro genio. La
consapevolezza infinita può essere – anzi è – lo scopo divinamente
preordinato, ma senza aiuti specifici lungo il cammino si può solo sperare di
raggiungere una sorta di vaghezza spirituale.
Ecco quindi il valore del satsang (la buona compagnia). Specialmente
per il principiante, è essenziale frequentare persone fermamente radicate nel
sentiero. Egli ha bisogno del loro magnetismo spirituale per sviluppare il
potere di elevarsi al di sopra delle influenze degradanti nel mondo che lo
circonda, e in se stesso.
Perfino le persone buone, però, sono una mescolanza di vizi e virtù.
Anche se, come avviene raramente, potessimo attrarre solo le loro virtù,
queste virtù non emanano direttamente da Dio, ma dal filtro della coscienza
dell’ego, e quindi quelle persone non potrebbero condurci efficacemente a
Lui. Nella migliore delle ipotesi, le buone compagnie possono solo aiutarci
a proseguire sul sentiero; non possono condurci alla meta.
Le Scritture indiane sono dunque unanimi nel dichiarare che l’elemento
più importante per ogni aspirante spirituale è la Grazia di un vero guru, o
insegnante divino: una persona che conosce Dio e che può riversare sul
discepolo che è pronto il potere (cioè il magnetismo) per conoscere a sua
volta Dio. Come dice il Vangelo: «A quanti però l’hanno accolto, ha dato
potere di diventare figli di Dio» (GIOVANNI 1,12). Un vero guru è simile a
Cristo in ogni senso del termine: ha trovato Dio. È uno con Dio. È un
salvatore, la cui unica missione rimasta, essendosi ormai liberato, è quella
di sollevare le altre anime dalle nebbie dell’illusione ai cieli infiniti della
realizzazione del Sé.
Il guru agisce come un faro, che irradia la Luce Divina nell’oscurità
dell’illusione umana risvegliandoci con un potente bagliore. Senza
un’influenza così elevata, è impossibile per il devoto raggiungere grandi
altezze. Apparenti eccezioni si sono verificate solo quando un’anima era già
così evoluta da poter camminare da sola (di solito con l’aiuto del guru in
visioni), o quando il guru le è apparso sulla terra, ma in segreto.
Non è necessario che il guru sia sempre vicino ai suoi discepoli; non è
neppure necessario che sia nel corpo fisico, per poterli influenzare con il
suo magnetismo spirituale. È stato detto che bisogna avere almeno un
contatto con il guru, ma ciò può avvenire anche tramite il contatto con i suoi
discepoli viventi. Il potere del guru può fluire attraverso coloro che sono
stati battezzati da lui. Anche le successive generazioni di discepoli, avendo
ricevuto quel potere, possono agire come legami viventi con un maestro
autorealizzato, la cui coscienza non viene toccata dalla transizione da
questo mondo alle sfere più elevate. Gesù ha detto: «E chi avrà dato anche
solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio
discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (MATTEO
10,42). I suoi discepoli erano veicoli per il suo potere: chiunque li avesse
accettati come tali – egli disse – avrebbe potuto ricevere le sue benedizioni.
Per tornare a un punto che abbiamo affrontato in precedenza, si sente
spesso chiedere: «Se Dio è il vero potere in questo universo, perché l’uomo
ha bisogno di cercare un sostituto? Perché non rivolgersi direttamente al
Signore?». C’è la storia di un prete irlandese che si recò a far visita a uno
dei suoi parrocchiani, un contadino.
«Che bella fattoria avete creato tu e Dio» disse il prete.
«Beh, padre» rispose il contadino «forse lei ha ragione, ma avrebbe
dovuto vedere in che stato era quando Dio l’aveva tutta per Sé!».
Il fatto è che ogni cosa in Natura viene compiuta attraverso strumenti.
Così come l’elettricità di una centrale elettrica non può essere inviata
direttamente nelle case, ma deve passare attraverso i trasformatori fino a
quando l’energia è sufficientemente bassa da non bruciare i cavi, anche il
Potere Infinito dello Spirito non può giungere all’uomo se non tramite i
“trasformatori” delle anime elevate. L’uomo deve elevarsi fino al loro stato
di coscienza prima di poter godere, come loro, della Luce Infinita senza
alcuna protezione.
In India, l’elemento più importante sul sentiero è considerato la
benedizione di un vero guru. Si crede anche che una persona attiri quel guru
non per sua scelta, ma per Volontà Divina, di solito grazie a qualche legame
karmico tra guru e discepolo. Un simile legame può durare per incarnazioni,
fino a quando il discepolo non sia finalmente libero. A volte, se il guru non
è ancora completamente illuminato, accade che il discepolo si elevi al di
sopra del guru e lo aiuti. Il legame spirituale, tuttavia, una volta formatosi
dura in eterno. Se il discepolo lo recide, potrà solo aspettare fino a quando
sarà nuovamente disposto ad accettare il messaggero che Dio gli ha inviato.
Non può vagare da un guru all’altro, se vuole raggiungere la salvezza.
Mentre si cerca il proprio guru, comunque, è giustificabile accogliere
tutto l’aiuto che si può trovare, poiché per incontrare il proprio guru bisogna
aver sviluppato abbastanza magnetismo per attrarre il suo aiuto. Respingere
ogni influenza spirituale con la debole scusa che si sta aspettando il proprio
vero guru significa rifiutare l’aiuto che ci consentirà alla fine di attrarlo.
Bisogna comprendere che l’aiuto più grande che si può ricevere da
qualunque insegnante non è intellettuale, ma magnetico. Nelle questioni
spirituali, imparare veramente significa rimanere seduti tranquilli, senza
porre mille domande, ma piuttosto assorbendo le vibrazioni dell’insegnante.
È per questo che Gesù disse che Maria, che stava seduta quietamente ai suoi
piedi mentre lui parlava, aveva scelto la parte migliore (LUCA 10,42). Essere
vicini al guru fisicamente è utile, ma non indispensabile. Essere vicini a lui
spiritualmente è ciò che veramente conta. Serba la sua presenza nel tuo
cuore; chiamalo costantemente al punto tra le sopracciglia. È tramite la
sintonia mentale che riceviamo il suo vero aiuto.
In ogni caso, non è sufficiente limitarsi a chiamare il guru. Ci sono
discepoli che aspettano passivamente che il guru faccia ogni cosa per loro;
questi discepoli sono dei falliti. Ciò che bisogna fare è chiamare in modo
magnetico, attirare il guru con il potere del proprio amore, cercare sempre
di fare la sua volontà: in breve, riceverlo senza riserve in ogni angolo della
propria vita.
Ho osservato che nell’ashram del mio guru coloro che progredivano più
rapidamente sul sentiero erano quelli che lo ricevevano completamente
nella loro coscienza. Facendo questo non perdevano la loro individualità; al
contrario, egli dava loro la forza di manifestare quell’individualità,
rimuovendo i detriti della coscienza mondana che rendono la maggioranza
degli esseri umani simili a fotocopie l’uno dell’altro: quasi per nulla unici,
mediocri perfino nelle loro espressioni di gioia e di amore. I membri del
nostro ashram che, al contrario, cercavano di conservare la loro libertà
mentale non aprendosi completamente all’influenza del guru, progredivano
più lentamente; e quelli che insistevano nel mantenere le loro opinioni su
ogni argomento non sembravano progredire affatto. Dopo più di
cinquant’anni sul sentiero, posso affermare con la massima convinzione che
la cosa più importante è avere un guru e, avendolo, abbandonarsi
completamente a lui, non per servilismo o paura, ma con completo amore e
fiducia. Ogni volta che sono stato veramente felice dentro di me è stato
quando ero profondamente in sintonia con il mio guru. Ogni volta che ho
arrancato nell’infelicità è stato quando la mia sintonia si era indebolita. Nei
periodi di sintonia, ogni passo è stato facile; quando non ero in sintonia, a
prescindere da quanto mi sforzassi di progredire, era come se cercassi di
nuotare in un mare di fango.
Ci sono molte anime autorealizzate nel mondo, specialmente in India.
Non desidero imporre dogmi alle persone o dire loro che dovrebbero
cercare di diventare discepole del mio stesso guru, Paramhansa Yogananda.
Tuttavia, se qualcuno si sente attratto da me, è probabile che vi sia un
motivo. Tutto il bene che può trovare in me non è mio: fluisce dal mio guru.
Sebbene il mio scopo non sia fare proselitismo, sento comunque
profondamente che gli esponenti della nostra linea di guru, e in particolare
l’ultimo, Paramhansa Yoganandaji, sono gli insegnanti dello yoga prescelti
per questa epoca. Altri guru sono venuti con altri messaggi, ma la scienza
dello yoga in questo momento della Storia è stata inviata dal Divino nella
sua forma più pura e originale attraverso questa linea particolare. Sento
anche che Yoganandaji è, in un senso molto reale, il guru della vasta
maggioranza dei ricercatori spirituali occidentali di quest’epoca. Egli è stato
inviato in America non semplicemente come un insegnante qualunque, ma
come un vero avatar, o incarnazione divina, benedetto dal potere spirituale
di ricondurre un numero infinito di anime al regno di Dio. Era libero già da
molte incarnazioni. Le persone hanno una visione molto imperfetta quando
lo considerano solo un uomo o un umile devoto che ha portato in Occidente
alcuni degli inestimabili gioielli di saggezza dell’India. Egli non era uno dei
tanti prodotti di quell’antica cultura, ma la crema stessa della santità
indiana, ed è riconosciuto come tale da tutti i santi viventi che ho incontrato
in India.
Yoganandaji disse una volta a una discepola: «Se mi chiudi fuori, come
posso entrare?». Dato che ti sei sentito attratto da queste lezioni, metti
almeno alla prova il seguente suggerimento: chiama Yoganandaji nella
meditazione (puoi visualizzarlo con l’aiuto di una fotografia, se vuoi) e
senti la sua presenza nel tuo cuore. Ti auguro che la tua pratica dello yoga
possa così diventare l’inizio di un risveglio spirituale, che ti conduca fino
alle rive della coscienza cosmica.

Posizioni yoga
Le posizioni capovolte

Tra le più importanti pratiche dell’Hatha Yoga vanno annoverate le


posizioni capovolte. L’essere umano ha uno svantaggio rispetto agli altri
animali: durante le ore di veglia è solitamente in posizione eretta. La forza
di gravità esercita un effetto costante sul flusso sanguigno, sugli organi
interni, sull’energia. I disturbi conseguenti sono diffusi: vene varicose e altri
disturbi alle gambe e ai piedi; accumulo di tossine nella parte bassa
dell’addome, che irritano il colon e gli organi riproduttivi; un generale
cedimento dell’addome, degli organi viscerali e dei muscoli facciali, persino
un senso di pesantezza generalizzata nel corpo, che diventa particolarmente
accentuata quando il vigore della gioventù svanisce di fronte all’incalzare
della mezza età.
La spinta verso il basso determinata dalla forza di gravità non è
sfavorevole soltanto per la parte inferiore del corpo, che riceve troppo
sangue e troppa pressione dall’alto, ma è dannosa anche per il cervello e gli
organi al di sotto del cuore, che non ottengono un afflusso adeguato di
sangue.
Dal punto di vista della pratica dello yoga più avanzato, è evidente che la
spinta verso il basso della gravità funziona in direzione esattamente opposta
allo sforzo dello yogi di elevare l’energia e la consapevolezza al cervello e
al punto tra le sopracciglia.
L’ovvia soluzione a questa perdita di energia è di usare la gravità stessa
per ripristinare un corretto equilibrio nel corpo. È questo lo scopo delle
posizioni capovolte. La panca a inversione, che è l’equivalente occidentale
di queste posizioni, ha un’efficacia che non è neppure lontanamente
paragonabile perfino a quella della più semplice delle posizioni capovolte,
Viparita Karani, che è stata spiegata nella settima lezione.
Le posizioni capovolte andrebbero praticate alla fine della sequenza di
posizioni, quando la spina dorsale è stata sciolta in modo da permettere il
libero flusso dell’energia verso il cervello. Si dovrebbe iniziare con Viparita
Karani, premendo le mani alla base della spina dorsale per aumentare la
consapevolezza dell’energia in quel punto e per favorire la risalita
dell’energia verso l’alto.
Dopo Viparita Karani, passa a Sarvangasana (la Candela) per dirigere
l’energia nella parte superiore della spina dorsale e nel collo. Per ultimo
pratica Sirshasana (la posizione sulla Testa), per dirigere l’energia
completamente in alto, nel cervello e nel punto tra le sopracciglia.
La pratica quotidiana delle posizioni capovolte riduce le vene varicose,
le emorroidi, un desiderio sessuale smodato, il prolasso dell’addome e altri
disturbi della parte inferiore del corpo. Irrora e stimola il cervello e gli
organi al di sopra del cuore. Rinfresca la pelle del viso, conferendole un
aspetto giovanile. Le posizioni capovolte, e in particolar modo la posizione
sulla Testa, migliorano la memoria, la concentrazione, la consapevolezza di
sé.
Ci sono yogi che praticano la posizione sulla Testa per tre ore al giorno;
si dice che se la si pratica quotidianamente per tre ore al giorno per sei mesi,
i benefici ottenuti saranno permanenti. Non è saggio, tuttavia, per i
principianti restare nella posizione sulla testa più di uno o due minuti.
Anche gli yogi più avanzati dovrebbero limitare la loro pratica a dieci
minuti.
Sebbene le posizioni capovolte abbiano alcuni punti generali in comune,
ognuna ha anche i propri vantaggi specifici. È bene, quindi, che vengano
eseguite nella sequenza indicata. Per una persona che non è in grado di
praticare le posture più avanzate, anche la posizione Semplice capovolta
(Viparita Karani) può donare molti dei benefici delle posizioni capovolte.

Precauzioni: queste posizioni non dovrebbero essere praticate da


persone affette da patologie cardiache di varia intensità, diabete, stitichezza
cronica, pressione arteriosa elevata (al di sopra di 150 mm per le persone
giovani o 175 mm per quelle anziane) o, in alcuni casi, in presenza di
disturbi agli occhi, alle orecchie o ai seni nasali.* Le posizioni capovolte
non si dovrebbero praticare nemmeno quando il sangue è infetto o impuro
(per esempio, in conseguenza dell’aver trascorso un lungo periodo in una
stanza chiusa). Un’ultima precauzione: non praticare queste posture subito
dopo esercizi fisici faticosi.

SARVANGASANA
(la posizione della Candela)

«La pace di Dio inonda ora tutto il mio essere».

Piega due coperte e sdraiati sul pavimento, con le spalle a circa 5


centimetri dal bordo della coperta piegata. Assicurati che entrambe le spalle
e i gomiti siano interamente sulla coperta.
Con le braccia ai lati e i palmi delle mani in basso, inspira e solleva le
gambe verticalmente. Con la prossima espirazione, premi le mani e la parte
posteriore delle braccia a terra e solleva le natiche e le gambe sopra la testa.
Non “lanciarti” verso l’alto, ma procedi lentamente, con controllo.
Quando sei pronto, inspira e allungati dalle anche, portando le gambe in
alto. Metti le mani su ciascun lato della spina dorsale per sostenere la
posizione, più vicino possibile alle scapole, tenendo i gomiti allargati
quanto le spalle.
Per proteggere il collo e tenere allungata la spina dorsale, continua a
premere a terra la parte posteriore delle braccia e delle spalle, e allungati in
alto con le gambe.
Concentrati sulla regione cervicale alla base del collo. Senti che l’energia
nel tuo corpo si sta raccogliendo in quest’area.
Afferma mentalmente: «La pace di Dio inonda ora tutto il mio essere».
All’inizio rimani nella postura per 30 secondi. Aumenta il tempo
gradualmente (ma mai oltre la soglia del confortevole) fino ad alcuni
minuti.
Per uscire dalla posizione, piegati dalle anche e porta le ginocchia sopra
il viso, poi lentamente togli le mani. Tieni le gambe tese e scendi, vertebra
dopo vertebra, al pavimento. Porta infine anche le gambe a terra con
movimenti lenti e controllati.
Fai una pausa per integrare gli effetti della posizione. Una buona contro-
posizione per Sarvangasana è Matsyasana, la posizione del Pesce.
Alcuni autori sostengono che si dovrebbe uscire da Sarvangasana
scendendo in Setu Bandhasana (la posizione del Ponte), abbassando
lentamente le gambe a terra e mantenendo le anche in alto in modo da
formare un arco, come un ponte giapponese. (Per i principianti può essere
più facile portare giù una gamba alla volta anziché entrambe.) Lo scopo di
praticare la posizione del Ponte dopo Sarvangasana è di sottoporre la
regione pelvica a un piegamento in direzione opposta a quella cui è soggetto
in Sarvangasana. Tuttavia, in realtà il vero piegamento in Sarvangasana
non è nella regione pelvica, ma in quella della gola. Se si sente la necessità
di piegare il collo all’indietro, è sufficiente il piegamento in questa
direzione che si può trovare in Sirshasana (la posizione sulla Testa), che
viene subito dopo nella sequenza.
Altrimenti si può praticare Chakrasana (la posizione della Ruota),
Bhujangasana (la posizione del Cobra) o Matsyasana (la posizione del
Pesce).

Dopo Sarvangasana, riposa in Savasana (la posizione del Cadavere)


almeno per lo stesso tempo in cui sei rimasto nella postura.
Benefici: questa postura è stata anche chiamata “posizione di Tutto il
corpo”, principalmente a causa della pressione gentile esercitata dal mento
sulla tiroide, che regola il metabolismo. Un beneficio aggiuntivo di questa
posizione è l’effetto rilassante che ha sul collo. Sarvangasana aiuta ad
alleviare la tensione nervosa e la cefalea da tensione. L’allungamento della
parte posteriore del collo stimola anche il midollo allungato. Poiché
l’energia viene distribuita da questo centro neurale all’intero corpo, la
stimolazione di questo centro è un’altra ragione per il nome “posizione di
Tutto il corpo”.
Un ultimo beneficio di Sarvangasana è la stimolazione che viene
esercitata sul centro cervicale alla base del collo. Quando questo centro è
attivato armoniosamente, irradia profonda calma in tutto il corpo.
Concentrati su questo centro quando pratichi la posizione e afferma
mentalmente: «La pace di Dio inonda ora tutto il mio essere».

Precauzioni
• Non girare la testa di lato mentre sei nella posizione.
• Se hai infiammazioni agli occhi, alle orecchie o ai seni frontali, questa
posizione può essere consigliabile, neutrale o anche benefica a seconda
delle condizioni. Chiedi il parere di un medico.

Controindicazioni: non fare la posizione se soffri di problemi


cardiovascolari (compresa la pressione alta), lesioni spinali o instabilità
cervicale, né durante il ciclo mestruale o dopo il primo trimestre di
gravidanza.
SIRSHASANA
(la posizione sulla Testa)

«Sono Lui! Sono Lui! Beato Spirito, sono Lui!».

La posizione sulla Testa è una delle più importanti, ma ahimè, per molte
persone una delle più difficili da praticare. A causa della sua difficoltà,
molti studenti fanno l’errore di cercare di spingersi nella posizione come se
si trattasse di un esercizio ginnico, una procedura che, il più delle volte, li fa
cadere lunghi distesi sul dorso! Se non si assume questa posizione
lentamente e con completo controllo, ci si può lesionare seriamente collo. In
questa postura, più ancora che nella maggior parte delle altre, è importante
“affrettarsi lentamente”.
Per iniziare, può essere necessario un compromesso con la perfezione.
Puoi avvalerti dell’aiuto di un muro o, meglio ancora, di un angolo della
stanza dove pratichi. Questo sostegno ti darà gradualmente la fiducia di
riuscire a stare su da solo. È importante usare la postura del “treppiede”,
conosciuta dai ginnasti occidentali, mettendo le mani sul pavimento in
modo tale che formino un triangolo con la testa. Tuttavia, fino a quando non
sarai in grado di assumere Sirshasana con facilità, non potrai rilassarti
mentre ti trovi sulla testa e non potrai quindi godere dei benefici più
completi di questa posizione.

Per assumere Sirshasana: portati in ginocchio. Intreccia le dita delle


mani e appoggia saldamente avambraccia e gomiti a terra, formando un
angolo retto. È importante mantenere i gomiti aperti quanto le spalle, non
oltre; il loro sostegno è essenziale per sollevarti nella posizione.
Appoggia la fronte a terra all’attaccatura dei capelli, mettendo la parte
posteriore della testa tra le mani. Poi solleva le ginocchia da terra. Entra
nella postura lentamente, con completo controllo. Il peso del corpo, durante
l’intera posizione, è prevalentemente sulle braccia e solo in minima parte
sul capo. (C’è bisogno di braccia e spalle forti per fare questa posizione in
modo sicuro.)
Cammina lentamente in avanti con i piedi, fino a quando il tronco
raggiunge una posizione verticale. Ora, con la forza delle braccia, dovresti
essere in grado di sollevare lentamente il corpo da terra. Mantieni le
ginocchia piegate contro l’addome, con i piedi sopra i glutei. Quando ti
senti confortevolmente in equilibrio in questa posizione, puoi procedere alla
fase successiva.
Solleva le ginocchia, mantenendo le gambe piegate, fino a quando le
cosce formano una linea retta con il busto. Porta le anche in avanti fino a
quando sono in linea con le cosce e il busto, altrimenti potresti cadere
all’indietro.
Infine raddrizza le gambe, che dovrebbero allungarsi attivamente verso
l’alto, e mantieni il corpo allungato e la spina dorsale aperta. Respira in
modo naturale.
Mentre il corpo rimane molto attivo, rilassati interiormente. Senti
l’energia che fluisce in alto nella spina dorsale. Concentrala nel punto tra le
sopracciglia e nel lobo frontale del cervello.
Afferma mentalmente: «Sono Lui! Sono Lui! Beato Spirito, sono Lui!».
Quando ti senti pronto, molto lentamente e con pieno controllo, ritorna in
ordine inverso alla posizione in ginocchio. Riposati per qualche momento,
poi distenditi in Savasana, la posizione del Cadavere, ed entra in un
profondo rilassamento.
All’inizio la durata della postura dovrebbe essere di un minuto. In
seguito si può aumentare gradualmente, fino ad alcuni minuti.
Benefici: Sirshasana aiuta lo yogi a centrare l’energia nel lobo frontale
del cervello. I fisiologi ci dicono che questa è la parte più sviluppata del
cervello. È questa la regione da cui traggono origine o in cui risiedono gli
aspetti più elevati della nostra natura: la coscienza, la capacità di
ragionamento, gli ideali. Gli yogi sostengono che la concentrazione in
quest’area (specialmente nel punto tra le sopracciglia) sviluppa l’intuizione
spirituale e conduce all’illuminazione finale.
Esistono diverse varianti di Sirshasana. La più conosciuta è
Padmasirshasana, nella quale si assume la posizione del Loto dopo essere
entrati nella posizione sulla Testa. Alcuni yogi insegnano ai loro studenti di
distendere le gambe in avanti, all’indietro, all’esterno e in una varierà di
altre posizioni, perché nella posizione sulla Testa è più facile allungare gli
arti inferiori. Tuttavia, queste varianti hanno un valore più ginnico che
yogico; non le raccomando in modo particolare.

Precauzioni
• Questa non è una posizione per principianti. Dovresti praticarla solo se
hai un’ottima consapevolezza e controllo del corpo.
• Se soffri di infiammazioni agli occhi, alle orecchie o ai seni frontali,
questa posizione può essere consigliabile, neutrale o anche benefica a
seconda delle condizioni. Chiedi consiglio a un medico.

Controindicazioni
• Non fare la posizione se soffri di problemi cardiovascolari (compresa la
pressione alta), lesioni spinali o instabilità cervicale, né durante il ciclo
mestruale o dopo il primo trimestre di gravidanza.
• Le persone in sovrappeso dovrebbero evitare la posizione.

Respirazione

Sicuramente fin da bambino ti è stata insegnata l’importanza di respirare


attraverso il naso. Il naso funziona da filtro, trattenendo la polvere presente
nell’aria. Esso riscalda anche il respiro, proteggendo così le membrane
sensibili della gola.
C’è un’altra ragione, di solito non presa in considerazione, per respirare
dal naso: il respiro, quando sale attraverso le narici, ha un effetto
rinfrescante sul cervello. Quando si vuole consigliare a qualcuno di restare
calmo, si usa spesso l’espressione: «Non scaldarti». Un sistema nervoso
fresco, come abbiamo detto in precedenza, si trova in uno stato di calma e
armonia. Il calore è un segno di impurità, irritazione o squilibrio del flusso
di energia nel corpo e nel cervello.
La collera, per esempio, comporta un improvviso e disarmonico aumento
di energia, producendo un effetto riscaldante sul cervello. Sotto l’effetto
della collera e di altre emozioni “riscaldanti”, è difficile pensare in modo
chiaro.
È importante che il cervello “non si scaldi” se si vuole che funzioni
chiaramente e in modo vigoroso. Normalmente, come ho detto in
precedenza, le persone che sono abituate a respirare dalla bocca tendono a
essere mentalmente pigre. Una profonda respirazione attraverso il naso,
specialmente se viene praticata sforzandosi consapevolmente di percepire la
freschezza del respiro che si espande fino al cervello, può effettivamente
stimolare l’intelligenza.
Per questo motivo, la maggior parte degli esercizi di respirazione dello
yoga si pratica attraverso il naso. Certi esercizi, tuttavia, prevedono di
inspirare attraverso la bocca, sebbene perfino alcuni di essi abbiano lo
stesso scopo ultimo dell’inspirazione attraverso il naso, vale a dire il
raffreddamento del cervello e del sistema nervoso. Sitali Pranayama è uno
di questi esercizi.

Per praticarlo, devi essere in grado di piegare la lingua a forma di tubo.


Alcuni testi insegnano a sporgere molto all’infuori la lingua in questo
esercizio, ma in realtà essa dovrebbe essere posizionata in corrispondenza
delle labbra, e non oltre. Inspira attraverso il tubo formato dalla lingua e
concentrati sul senso di freschezza nella parte posteriore della gola. Espira
attraverso il naso, e senti questa freschezza che si espande nel sistema
nervoso e in particolar modo in alto nel cervello.
Il ritmo di questa respirazione dovrebbe avere un rapporto di 1-4-2.
Non praticare questo esercizio più di sei volte in una seduta. Non farlo
quando il tempo è molto caldo o molto freddo, né a stomaco pieno o quando
sei ammalato, stanco o agitato. L’inspirazione dovrebbe essere gentile, non
forzata, in modo che la maggior parte della freschezza venga percepita sulla
punta della lingua, e che il senso di fresco nella parte posteriore della gola
sia determinato non tanto dal getto di aria nella gola, quanto dal
prolungamento della sensazione percepita sulla punta della lingua.
Si ritiene che Sitali Pranayama sia un buon esercizio da praticare per
rinfrescare il corpo in condizioni di tempo caldo. Tuttavia ricorda: è la
mente che gioca il ruolo principale in questa tecnica, così come nella
maggior parte delle altre. I benefici automatici della tecnica saranno
insignificanti se non userai l’immaginazione per percepire la sensazione di
freschezza del respiro che si estende con un effetto calmante attraverso il
sistema nervoso. La storia seguente può aiutarti a comprendere il potere
della mente di influenzare la temperatura del corpo.
Un giorno Paramhansa Yogananda stava viaggiando in treno. Era estate e
la temperatura era intorno ai quaranta gradi. A quell’epoca non era ancora
diffusa l’aria condizionata e tutti soffrivano il caldo. Anche Yoganandaji
stava sudando. «Lasciate che vi mostri l’influenza che la mente può avere
sul corpo» disse. «Mediterò sul pensiero degli iceberg».
Cinque minuti dopo, stese il braccio per farlo sentire alle persone. Era
completamente fresco.

Sequenze

Esegui le posizioni capovolte alla fine della pratica, appena prima del
rilassamento profondo e nell’ordine seguente: Viparita Karani (la posizione
Semplice capovolta); Sarvangasana (la Candela o posizione di Tutto il
corpo); Sirshasana (posizione sulla Testa). Se non sei in grado di farle tutte,
fai quello che puoi. Per includerle nella tua sequenza, potrà essere
necessario omettere alcuni degli esercizi precedenti, in modo che
l’esecuzione delle posture non richieda troppo tempo. In questo caso, le
posizioni che possono essere omesse comprendono: Trikonasana (la
posizione del Triangolo); Utkatasana (la posizione della Sedia);
Padahastasana (la posizione del Coltello a serramanico), seguita dal
Piegamento posteriore; Ustrasana (la posizione del Cammello); Ardha
Dhanurasana (la mezza posizione dell’Arco); Salabhasana e Ardha
Salabhasana (la posizione della Locusta e la mezza posizione della
Locusta); Ardha Mayurasana (la mezza posizione del Pavone); Chakrasana
(la posizione della Ruota); Parvatasana (la posizione della Montagna);
Matsyasana (la posizione del Pesce); Yoga Mudra (il Simbolo dello yoga);
Akarshana Dhanurasana (il Tiro con l’arco); Garudasana (la posizione
dell’Aquila); Pavanamuktasana (la posizione del Vento libero); Simhasana
(la posizione del Leone); Navasana (la posizione della Barca);
Karnapirasana (la posizione di Chiusura delle orecchie). Fai quante
posizioni capovolte desideri, nell’ordine dato in precedenza, e omettine
quante ne vuoi tra quelle che possono essere eliminate.
Lascia che sottolinei ancora una volta che è meglio fare poche posizioni
lentamente, piuttosto che farne molte in fretta.

Guarigione
Il mal di testa

Alcune posizioni yoga sono benefiche per determinati tipi di mal di testa.
I seni nasali, per esempio, che spesso sono una causa di mal di testa,
possono, in alcuni casi, trarre grande beneficio da Sirshasana, la posizione
sulla Testa.
Il mal di testa provocato da impurità nel sangue può essere superato
attraverso la respirazione yogica profonda, sentendo l’aria che sale in alto
vicino al cervello, rinfrescandolo. Anche Sitali Pranayama, insegnato in
questa lezione, può rivelarsi utile in questi casi.
Numerose forme di mal di testa sono dovute alla pressione sui nervi del
collo. Un aggiustamento chiropratico può in alcuni casi essere indicato, ma
una varietà di posizioni yoga può servire allo stesso scopo. Quelle
specificatamente consigliate sono: Halasana (la posizione dell’Aratro);
Sarvangasana (la posizione della Candela); Bhujangasana (la posizione del
Cobra); Chakrasana (la posizione della Ruota); Matsyasana (la posizione
del Pesce); Supta-Vajrasana (la posizione Stabile supina) e Balasana (la
posizione del Bambino).
Può essere d’aiuto, per stimolare l’energia nel cervello, dare dei colpetti
su tutto il cuoio capelluto con le nocche delle dita, attirando mentalmente
l’energia dal midollo allungato. Puoi anche massaggiare velocemente il
cuoio capelluto, risvegliando l’energia nelle cellule mentre affermi: «O figli
miei, svegliatevi!».
Gli yogi affermano che i capelli lunghi attirano più energia verso il
cervello. Essi descrivono il corpo come un albero capovolto, nel quale la
spina dorsale è il tronco, il sistema nervoso i rami e i capelli le radici. Ecco
perché molti yogi portano i capelli lunghi. Quando ero in India, ho fatto
crescere i capelli fino a metà della schiena. Mi sono reso conto che con i
capelli lunghi ero meno soggetto al mal di testa di quanto lo fossi in
precedenza.
Ci sono punti di pressione sul cranio che si possono percepire, in modo
soggettivo, ai lati della testa, sulla fronte e sulla parte posteriore del cranio.
Ai lati, questi punti sono situati circa due centimetri e mezzo al di sopra
delle orecchie. Sulla fronte, il punto di pressione è nel centro. Nella parte
posteriore, esso è circa due centimetri e mezzo al di sopra della cavità alla
base del cranio. Se riesci ad aiutare qualcuno a individuare questi punti
sulla tua testa e a premere su di essi con la base dei palmi (o con le dita), ciò
potrà esserti di giovamento nel superare alcune forme di mal di testa. La
persona dovrebbe sentire, mentre preme, che sta spingendo il dolore verso
l’alto e attraverso la sommità della testa, facendolo fuoriuscire dal corpo.
A volte, nella meditazione, il praticante di yoga percepisce una pressione
spiacevole nel cervello. Potrebbe essere avvertita solo nel punto fra le
sopracciglia oppure estendersi a tutto il cervello. Se la pressione è nel punto
fra le sopracciglia, è probabilmente dovuta alla tendenza a “pensare” con il
corpo. Noterai come alcune persone aggrottino le sopracciglia quando si
concentrano. Allo stesso modo, alcune persone hanno la tendenza a creare
tensioni fisiche durante la meditazione, sia aggrottando effettivamente le
sopracciglia sia spingendo l’energia con una certa tensione mentale verso il
punto fra le sopracciglia. Molte forme di mal di testa sono in effetti
provocate dalla tensione dovuta a questa tendenza a “pensare” con il corpo,
e possono essere superate con un consapevole rilassamento mentale. Il
pensiero è molto più chiaro quando la mente è rilassata, piuttosto che
quando è tesa. Anziché dirigere l’energia con la forza nel punto fra le
sopracciglia durante la meditazione, senti semplicemente che tutti i tuoi
pensieri e le tue percezioni traggono origine da quel punto, oppure
riconducili ripetutamente a quel punto. L’essere assorti, e non tesi, deve
essere la nota dominante dello sforzo meditativo. Bisogna tuttavia
aggiungere che una sensazione di pressione nel punto fra le sopracciglia
non è sempre necessariamente negativa. A volte deriva semplicemente
dall’aver concentrato la propria energia in quel punto, senza tensione, e può
persino aiutare a concentrarsi lì in modo ancora più profondo.
Talvolta la sensazione di pressione può estendersi all’intero cervello. In
simili casi, la tensione potrebbe non essere l’unica causa. Potrebbe infatti
dipendere dal leggere troppo, dallo svolgere un lavoro intellettuale o perfino
dal praticare la meditazione senza un adeguato esercizio fisico. Anche
un’eccessiva dissipazione sessuale o troppi pensieri rivolti in quella
direzione sono una causa comune. I rimedi comprendono alcune delle
pratiche che ho presentato in precedenza, in particolar modo la respirazione
lenta e profonda. Un eccellente esercizio di respirazione per questa
particolare difficoltà è quello di stare in piedi all’aperto, se possibile rivolti
verso il vento. Pratica il doppio respiro: inspira prima brevemente e poi a
lungo dal naso, quindi espira prima brevemente e poi a lungo attraverso la
bocca e il naso. Mentre inspiri porta le mani al petto, mentre espiri estendi
le braccia allungandole completamente di fronte a te con i palmi rivolti in
basso. Riposa tra un respiro e l’altro finché è confortevole, concentrando la
mente e lo sguardo nel punto fra le sopracciglia. Ripeti questo esercizio
diverse volte.
L’olio di mandorle è un eccellente rimedio per questa pressione generale
nel cervello; può essere frizionato sul cuoio capelluto. Se il disturbo è serio,
lava i capelli tutte le sere e friziona il cuoio capelluto con olio di mandorle.
(Sarebbe consigliabile proteggere il cuscino con un asciugamano.) Le
mandorle sono benefiche per l’intero sistema nervoso; si possono mangiare
intere o macinate con un po’ di succo di limetta, miele e acqua.
Se la pressione è troppo forte, medita di meno per alcuni giorni e non
meditare tardi la notte. Indossa un cappello quando ti esponi al sole e cerca,
se possibile, di evitare di pensare troppo intensamente. Evita di leggere e di
risolvere problemi. Semplicemente, distogli la mente fino a quando la
pressione diminuisce. L’esercizio fisico all’aperto sarà prezioso in questi
casi, specialmente se hai la possibilità di andare al mare o in montagna. È
sorprendente quanto possa diventare lucida la mente di coloro che abitano
in città quando riescono a evadere nella campagna anche solo per mezza
giornata.
Un’altra pratica può dimostrarsi utile nel caso di pressione al cervello:
siedi in Vajrasana, serra i pugni ed esercita con le mani una pressione sullo
stomaco all’incirca all’altezza dell’ombelico. Piegati in avanti in Balasana,
appoggiando la testa a terra e rimani in questa posizione per almeno un
minuto.
Il mal di testa è spesso causato da disturbi alimentari quali la
costipazione. Lo stomaco dovrebbe essere mantenuto vuoto e ben
funzionante non solo per la salute dello stomaco stesso, ma anche della testa
e dell’intero corpo.

Alimentazione

La frutta, come abbiamo visto nella decima lezione, è il più sattwico o


spirituale di tutti i cibi. Tuttavia, rispetto a forme di energia più sottili,
persino la frutta è grossolana. Gli yogi avanzati e i mistici di varie religioni
sono noti per aver trascorso lunghi periodi di tempo senza alcun nutrimento
fisico. Non sono rimasti senza sostentamento, perché sapevano come
assorbire energia dall’atmosfera, dai raggi del sole e dal prana, o energia
cosmica, nell’universo circostante.
«Più forte la volontà, più forte il flusso di energia», il principio così
spesso sottolineato dal mio grande guru, si può applicare anche in questo
caso. Si può assorbire molta più energia dai raggi del sole, per esempio, se
ci si concentra su quell’energia mentre si sente il calore del sole sul proprio
corpo. A un mio amico, un anziano discepolo del mio guru che era
vegetariano, il dottore disse che era così anemico che se non avesse ripreso
a mangiare carne sarebbe certamente morto. Il fratello di questa persona,
anch’egli dottore, insistette con ancora più urgenza che il mio confratello
discepolo rinunciasse al suo vegetarianismo stretto.
Questo discepolo, tuttavia, aveva un carattere determinato. Anziché
mangiare carne, sedette ogni giorno alla finestra, facendo in modo che la
luce del sole cadesse sul suo corpo. Usando le mani per rafforzare la sua
consapevolezza dell’energia solare, si strofinava le braccia molto
lentamente, ordinando loro di assorbire quanta più energia possibile. Nel
giro di pochi mesi era completamente guarito. I dottori, ovviamente,
attribuirono la sua stupefacente ripresa al fatto di aver seguito le loro
istruzioni! Il mio amico non disse loro nulla a proposito del trattamento che
aveva realmente seguito.
Anche l’aria è piena di prana, o energia. Se inspiri molto lentamente e in
modo deliberato, concentrandoti sull’energia presente nell’aria mentre entra
nel tuo corpo e colmandolo dalla punta dei piedi alla testa di questa energia,
scoprirai che puoi sviluppare un’enorme vitalità semplicemente respirando.
Il Kechari Mudra, la tecnica della “lingua inghiottita” che ho insegnato
nella quinta lezione, crea un circolo di energia nella testa che genera un
magnetismo sufficiente ad assorbire grandi quantità di energia dall’universo
circostante. Questa energia si percepisce realmente nella bocca come un
gusto leggermente dolce e molto piacevole, che è stato descritto
(accuratamente, nella mia esperienza) come qualcosa che ricorda una
mescolanza di ghi (burro chiarificato) e miele. È ciò che in molti scritti
mistici è conosciuto come “il nettare degli dèi”.
La cosa importante da comprendere è che l’energia e le vibrazioni che si
assorbono dalla Natura dipendono principalmente da quanto siamo pronti a
riceverle e dalla nostra volontà di riceverle.
Il principio, come spiegherò nella prossima lezione, dovrebbe essere
applicato anche alla consapevolezza con la quale si mangia il cibo.

Ricette

Bircher Muesli
Questa ricetta, ben nota agli appassionati di alimentazione naturale in
America, è stata inventata da un famoso medico svizzero, il dottor Bircher-
Benner. La uso spesso a colazione. Di per sé, costituisce un pasto completo.
1 banana
2 o 3 mele piccole o 1 grande
1 cucchiaio di noci, nocciole o mandorle (macinate o tritate)
1 cucchiaio di avena, lasciata in ammollo per 12 ore in 3 cucchiai
d’acqua
1 cucchiaio di latte condensato
il succo di ½ limone
una manciata di uvetta o uva passa

Mescola il latte condensato e il succo di limone con l’avena. Grattugia le


mele velocemente (usando il frutto intero) e aggiungile alla miscela di
avena. Per evitare che le mele si ossidino, aggiungile immediatamente;
preparale sempre appena prima di servire. Schiaccia una banana usando la
forchetta e aggiungila.
Da ultimo spolverizza con le noci e un po’ di uvetta o uva passa.
Si può impiegare anche frutta secca, se quella fresca non è disponibile.
In questo caso, prima lava la frutta in acqua calda, poi mettila a bagno in
acqua fredda per 24 ore, in seguito riducila quanto più possibile alla
consistenza di una polpa usando una forchetta. La porzione per una persona
di questa frutta essiccata messa a bagno è da 50 a 100 g. Servi con latte e
miele.

Polpette di noci
Mescola 50 g di mandorle macinate, 50 g di noccioline americane crude
macinate e 2 cucchiai di farina di riso. Aggiungi un uovo ben sbattuto, del
prezzemolo tritato e condimento a piacere. Fai delle polpettine e cuocile in
forno, oppure friggile in olio bollente.

Meditazione

Per certe persone, la meditazione è solo uno stato di astrazione mentale.


Per altre, è una sorta di esercizio intellettuale, in cui ci si sforza di
“decifrare” i misteri dell’esistenza. Tuttavia, per quanto si possa meditare,
questo non ci aiuterà mai a creare risposte valide ai problemi della vita.
Quelle risposte esistono già, nei piani superiori della coscienza. L’uomo
deve solo protendersi verso di essi e percepire le loro verità.
L’immaginazione, da sola, non può condurlo fino a quel punto.
Chi viaggia col pensiero, senza neppure alzarsi dalla poltrona, può
giocare con ogni sorta di sinistre fantasie sui luoghi dei suoi sogni; il vero
viaggiatore, invece, genererà l’energia necessaria per visitare quei luoghi e
scoprire di persona come siano veramente.
Per riuscire in ogni impresa, il tipo di energia più necessario è un attivo
desiderio di successo. In termini spirituali, questo desiderio si traduce in
devozione. Dio non è un’ulteriore meraviglia del mondo, una curiosità
puramente estetica o intellettuale. La natura di Dio è l’appagamento di tutte
le più profonde aspirazioni umane. Egli è Amore, Pace, Gioia. Per trovare
Dio, dobbiamo risvegliare dentro di noi le qualità del cuore che ci
metteranno in sintonia con questi misteri divini. Senza devozione, l’uomo
non può muovere neppure un passo sul sentiero dell’illuminazione.
Nello yoga, come in qualunque altra strada verso l’Infinito, la
meditazione deve essere colma della dolcezza dell’ardente desiderio e di
quella dell’amore. È stato detto che Dio possiede tutto – tutta la saggezza,
tutto il potere – ma una sola cosa Gli manca: il nostro amore. Sta a noi
donarGli o rifiutarGli questo dono.
Alcuni yogi, troppo preoccupati da tecniche, posizioni, pranayama,
energie sottili e centri psichici, dimenticano che senza amore tutti quegli
sforzi sono sprecati, come un torrente di montagna che si disperde in un
vasto deserto. L’amore è il primo requisito. Ogni sforzo nello yoga
dovrebbe essere guidato dall’amore e offerto sull’altare della devozione.
L’atteggiamento egocentrico di chi pensa: «Io posso conquistare tutto!»,
ottiene l’effetto contrario. In ogni nostro sforzo per progredire, dobbiamo
farci guidare dall’umiltà e dall’abbandono. Come disse Arjuna al Signore
Krishna: «Guidami, sono il Tuo discepolo».
Yoganandaji esclamò una volta: «Perché Dio dovrebbe rivelarsi agli
uomini? Sa bene che vogliono solo discutere con Lui!». Nella Bhagavad
Gita, il Signore Krishna dice: «A te che sei libero dallo spirito critico, Io
rivelo queste verità». Un atteggiamento di rispettosa e amorevole attenzione
è necessario, se si vuole attrarre una risposta dal cuore dell’Infinito
Silenzio.
Nella meditazione, immagina che il tuo centro del cuore (situato nella
spina dorsale all’altezza del cuore fisico) sia come un fiore con i petali
rivolti in basso. Volgi mentalmente quei petali verso l’alto, in direzione del
cervello. Percepisci raggi di energia che fluiscono dal cuore verso il punto
tra le sopracciglia. Risveglia l’amore nel cuore e incanalalo verso l’alto,
sull’altare di Dio nella profonda meditazione.
Questo è il punto d’arrivo dei canti, dei mantra, del pranayama, di ogni
nostro sforzo: quando l’amore del cuore fluisce silenziosamente verso
l’alto, con «ardente struggimento» (per usare una bella espressione del mio
guru), verso il cuore di Dio.

Meditazione sul guru


Invoca il tuo guru nella meditazione. Se non hai un guru, chiama Gesù, o
Krishna, o Yogananda, o uno qualunque dei grandi maestri. All’inizio della
meditazione chiedigli di aiutarti nella pratica e, una volta concluse le
tecniche, domanda il suo aiuto per immergerti profondamente nello Spirito,
o per ricevere una chiara percezione della verità o la soluzione di un
determinato problema spirituale. Soprattutto, rivolgigli questa preghiera:
«Portami alla presenza di Dio». Attira, grazie alla forza magnetica della tua
devozione, il potere di diventare come lui: un figlio risvegliato dell’Infinito.
Concentrati sull’immagine del guru, specialmente sui suoi occhi, e
visualizzalo nel tuo centro cristico. Chiamalo ardentemente in quel punto. Il
centro cristico è la “stazione trasmittente” del corpo. Se invii con forza i
tuoi pensieri da questo punto a un essere risvegliato, egli li riceverà e
risponderà alla tua amorevole chiamata.
La “stazione ricevente” del corpo è il centro del cuore, o anahat chakra,
all’altezza del cuore fisico nella spina dorsale. Senti la risposta e la presenza
del guru in quel punto. Quando arriverai a sperimentare la consapevolezza
della sua presenza, essa sarà molto nitida. Sarà anche chiaramente diversa
da quella di ogni altro guru. La presenza di Gesù porta con sé un sentimento
di infinito amore e compassione; quella di Yogananda, una sensazione di
divino amore e gioia; quella di Sri Yukteswar, una profonda saggezza.
Perfino l’amore o la saggezza, quando percepiti tramite vari maestri,
sembreranno diversi. Tuttavia, il raggio della Grazia di ogni maestro non è
altro che il suo sforzo per risvegliare in te la coscienza della tua divinità.
Le benedizioni del guru saranno ricevute e interpretate in modo
differente da ognuno dei suoi discepoli. Così come il guru agisce come un
filtro per la coscienza dello Spirito, insondabilmente sottile in quanto
indifferenziata, allo stesso modo il discepolo è un filtro per le vibrazioni del
maestro. In un certo senso, tutti i veri discepoli esprimono una comune
qualità divina, grazie alla sintonia con lo stesso guru. (Ho spesso
riconosciuto dall’espressione degli occhi di una persona, come pure dal
tono della sua voce, chi fosse il suo guru.) Nel contempo, però, ogni
discepolo dello stesso guru, attraverso la sua sintonia con lui, lo manifesta
in una luce differente.
Se un discepolo può immergersi così completamente nel pensiero del
proprio guru da giungere ad assomigliargli in qualche modo sottile, ci si può
chiedere se vi sia il pericolo, attraverso il discepolato, di ridursi a una
semplice eco spirituale di un altro essere umano. Questo pericolo non esiste,
anzi, accade proprio il contrario. L’influenza di un vero guru è magnetica,
non ipnotica. Egli non impone le sue vibrazioni agli altri, ma le offre,
proprio come si offre la mano a chi si dibatte in un fosso, per aiutarlo a
rimettersi in piedi. I discepoli che custodiscono sempre nella mente il
pensiero del proprio guru – perfino immaginando di vedere con i suoi occhi,
gustare con la sua bocca, e così via – si innalzano rapidamente dalla
schiavitù umana fino al piano in cui la volontà diventa veramente libera. Se,
durante questo processo, una persona assume in una certa misura la
personalità e l’apparenza esteriore del suo salvatore (il che ovviamente
implica una sorta di imitazione e non una scoperta del proprio sé), farà bene
a ricordare che la personalità non è il vero Sé: è solo un veicolo di
espressione personale e un canale per lo sviluppo di sé.
I santi dell’India, comprendendo la natura superficiale della personalità
umana, a volte scherzano su ciò che la maggior parte della gente considera
la quintessenza del proprio essere. Ho letto recentemente di un santo che,
prendendosi gioco del tipico atteggiamento materialista, chiedeva a volte
una rupia prima di rispondere a una domanda spirituale. Non spiegò mai
questo scherzo, anche se immagino che molte persone siano rimaste deluse.
In verità, egli le stava sfidando a conoscerlo al suo vero livello, a ricevere le
sue vibrazioni spirituali oppure a lasciarlo in pace, se non erano abbastanza
sensibili da percepirle. Un santo non può mai essere veramente compreso
alla luce della sua personalità, per quanto ispirante possa essere, ma solo
attraverso le sottili vibrazioni del suo spirito.
A mano a mano che la tua sintonia interiore con il guru si approfondirà,
riceverai risposta perfino alle domande più mondane. Egli potrà anche
apparirti in visione, per istruirti come farebbe se fossi fisicamente con lui.
Per il vero discepolo, questa sintonia interiore è infinitamente più preziosa
di una semplice vicinanza esteriore.
Lo scopo ultimo del discepolato è espandere il rapporto con il guru da
una divina amicizia personale fino alle infinite ampiezze impersonali
dell’amore divino. È il dono più grande che egli ha in serbo per te.
Attraverso la tua sintonia con il guru, possa tu avvicinarti sempre più alle
rive della Divina Beatitudine.

Bhawa Titam, Triguna Rahitam,


Sadgurum Tuam Namami.
(Al di là di ogni pensiero e qualità, mio vero guru, mi inchino a te.)

Hari AUM, Tat, Sat.


Filosofia
L’anatomia dello yoga, prima parte

Qualche giorno fa, un mio amico stava parlando di alcune riparazioni


necessarie per la sua auto. Non essendo un meccanico, mi sono perso più o
meno alla terza frase e ho pensato tra me e me: «Eccoci qui che parliamo la
stessa lingua e discutiamo di un argomento che fa parte della nostra vita
quotidiana quasi quanto i vestiti e il cibo, eppure non capisco una parola!».
Quante cose esistono in questo mondo, perfino quelle più vicine e più
familiari, che conosciamo solo superficialmente o da un solo punto di vista.
Una madre pensa di conoscere il proprio figlio; non è stata forse con lui fin
dalla nascita? Tuttavia, sarà sorpresa di vedere quanti cambiamenti possono
accadere anche solo dopo un semestre trascorso fuori casa, all’università.
C’erano potenzialità che lei non aveva mai sospettato, ma che attendevano
il momento opportuno per manifestarsi.
Durante i suoi anni di scuola, il Maestro meditava spesso in classe invece
di ascoltare gli insegnanti. Uno di loro, vedendolo meditare in fondo
all’aula, fece spostare il giovane yogi in prima fila, proprio davanti a sé.
Yoganandaji si spostò, ma continuò a meditare. L’insegnante aveva notato
la sua distrazione nell’ultima fila, ma lì, sotto al suo naso, non vide nulla. Il
Maestro fu libero di meditare quanto voleva.
Qualcosa di simile accade con il nostro corpo: pur avendo familiarità con
esso, non conosciamo quasi nulla del suo funzionamento interno. Il fatto
stesso che sia così vicino fa sì che non lo notiamo, mentre il nostro sguardo
vaga lontano nel mondo circostante.
Ogni ambito di studio presenta i suoi aspetti esoterici. L’automobile, pur
essendoci familiare, ha dato vita a una vera e propria giungla di termini,
disperatamente oscuri per il profano ma del tutto necessari per chi desideri
veramente conoscerne il funzionamento.
Lo stesso avviene con la scienza dello yoga. Sebbene radicata
nell’esperienza e nel buon senso, essa contiene molti aspetti sottili che, agli
occhi del profano, la fanno sembrare un’elaborata mitologia primitiva. Lo
yoga, in realtà, ha a che fare con realtà del tutto paragonabili al
funzionamento meccanico di una macchina. Le realtà del mondo interiore,
spirituale, sono altrettanto specifiche di quelle dell’universo oggettivo. Non
c’è nulla di vago nel sentiero verso Dio. La sensazione di vaghezza che una
persona mondana può provare leggendo degli scritti spirituali è la stessa che
una persona come me prova quando ascolta la conversazione tra due
meccanici: spinterogeni, alberi di trasmissione, per quel che mi riguarda mi
sembra un miracolo che per accendere un motore basti propiziarselo
girando una chiavetta!
Ciò che accade nel corpo, a mano a mano che la coscienza dell’uomo si
sviluppa, è un fenomeno universale quanto l’uso degli occhi per vedere.
Questa lezione e la prossima hanno lo scopo di aiutarti a comprendere come
funziona il “motore” umano, e quindi anche il tuo.
«Viaggiano gli uomini per ammirare la sommità dei monti, le onde del
mare, i fiumi maestosi, l’immensità degli oceani, il corso delle stelle, ma
tralasciano se stessi, meraviglia delle meraviglie» (Sant’Agostino).
Come sembra piccolo e fragile l’uomo! Un taglio su un braccio, una
caduta nella vasca da bagno e può morire. Quanti sforzi deve fare a volte
solo per aprire un vasetto di miele! E come corre ad alzare il riscaldamento
o l’aria condizionata alla minima variazione di temperatura! In mezzo alle
meraviglie dell’universo, si rallegra se la sua calvizie è meno pronunciata di
quella di qualche suo vicino. Di fronte alle tragedie altrui, il suo primo e
forse unico pensiero è che farà tardi per cena.
È molto facile smascherare la presunzione umana rivelando ciò che è:
un’evidente pusillanimità. Il mercato letterario, ai giorni nostri, è
monopolizzato da sedicenti realisti, il cui solo contributo è quello di
spingere da parte con disprezzo i nobili sogni, la bellezza e il valore umano
con la sottile arma del cinismo. Quell’orgoglio è un’illusione. Il loro è solo
il primo stadio del realismo.
Il vero realista vede più in profondità, perché, sai, questo stesso “debole”
uomo ha fatto un balzo nello spazio fino alla luna; ha sondato i misteri
universali; ha offerto eroicamente la sua vita per salvare gli altri. Debolezze
e meschinità potranno anche ostacolare lo sviluppo delle sue potenzialità
più elevate, ma ci sono ovunque individui che hanno rimosso tutti gli
ostacoli e hanno dimostrato che, per lo meno a un livello potenziale, la
grandezza è la vera misura dell’uomo.
Si tratta in ogni caso di una grandezza interiore. In apparenza, l’uomo è
davvero piccolo e fragile; anche il più grande eroe o genio non è che un
mucchietto di ossa, carne e pelle, che deve essere oggetto di continue cure
per rimanere in vita. Anche le sue dimensioni interiori possono sembrare
piccole, dall’esterno. Ma visto da dentro, com’è diverso questo “fragile”
corpo fisico!
Una sera il nostro guru disse ad alcuni di noi: «Vi vedo tutti come luce.
Non avete idea di quanto siano belli perfino i vostri corpi fisici, al di là
dell’apparenza esteriore!». Lo studente di yoga deve imparare a dimorare
sempre più in queste realtà interiori. Deve visualizzarsi come luce,
percepirsi come energia.
Ho già fatto notare altrove in queste lezioni che tutti gli uomini
comprendono, anche solo istintivamente, l’esistenza di una relazione tra i
loro contrastanti stati mentali e il movimento dell’energia nella spina
dorsale. Molte delle espressioni che usano comunemente («Mi sento su»,
«Mi sento giù») rivelano questa comprensione. Il destino dell’anima è di
comprendere che la sua natura non è altro che infinita e divina Beatitudine e
Libertà. Come il balzo di un uccello che spicca il volo, l’aspirazione
dell’anima è invariabilmente accompagnata da un’elevazione della
coscienza e da un corrispondente movimento verso l’alto dell’energia nella
spina dorsale. Il movimento opposto ha luogo nella spina dorsale quando la
tendenza mentale è verso il materialismo, lo stato di coscienza più limitante
in assoluto nel quale l’anima possa cadere. Un atteggiamento materialistico
è inevitabilmente accompagnato da un flusso di energia verso il basso, da
una vaga sensazione di “sprofondamento” alla quale non si sa dare
spiegazione.
L’uomo cerca abitualmente le esperienze che associa, più o meno
consciamente, a un’elevazione, mentre rifugge da quelle che, come egli
stesso dice, lo deprimono. Se il sentiero verso l’illuminazione non
comportasse null’altro, non ci sarebbe bisogno dello yoga o di insegnamenti
spirituali di alcun tipo. Le tentazioni non sarebbero tali e la terra sarebbe
popolata solo da esseri umani civilizzati, non da barbari ben vestiti, ben
nutriti e comodamente alloggiati. Il guaio è che ogni flusso di energia verso
l’alto che fluisce anche verso l’esterno, lontano dal nostro centro, ci
coinvolge nelle dualità del mondo e ci conduce, inevitabilmente e
nuovamente, a un flusso discendente. È una legge.
Un’antica leggenda indù racconta che quando Brahma creò l’uomo per la
prima volta, lo creò saggio. La prima cosa che l’uomo fece, poiché era
saggio, fu sedersi in meditazione e fondersi nuovamente con l’Infinito. Fu
allora che Brahma prese quella che a noi può sembrare una decisione assai
infelice (ma doveva pur fare qualcosa per mantenere in vita la sua
creazione!): nel tentativo successivo aumentò il potere della sua maya
(illusione) di attirare l’uomo fuori da se stesso. Questa volta, l’uomo rimase
intrappolato nell’incessante flusso e riflusso della dualità, e scambiò per
estasi ciò che poteva dargli solo un piacere temporaneo. Cercando di
riprodurre all’infinito quel piacere effimero, egli fu costretto – poiché così
funziona la legge della dualità – a sperimentare anche il polo opposto: il
dolore. Rimbalzando costantemente avanti e indietro sotto i colpi di queste
realtà contrastanti, dimenticò Dio, la sola Realtà. È stato senza dubbio un
brutto scherzo, ma alla maggior parte della gente piace proprio così.
Immagino che sia un modo per affermare che anche l’uomo è Brahma: forse
volevamo tutti aggiungere la gioia del creare a quella del semplice Essere.
In ogni caso, si tratta solo di una storia. Storia o non storia, però,
contiene molte verità importanti. La dualità, infatti, è veramente la base
della creazione cosmica. Tutte le creature devono la loro schiavitù
all’identificazione con questa semplice realtà. Almeno per l’uomo, tuttavia,
le cose non devono necessariamente rimanere tali. Le dualità oggettive della
Natura – caldo e freddo, luce e buio, positivo e negativo ecc. – non
avrebbero alcun effetto sull’uomo se egli rimanesse neutrale. Come un
compratore che, non accontentandosi di aver fatto un acquisto necessario,
passa giorni e giorni a gioire dei vantaggi e a rimuginare sui possibili
svantaggi, anche l’uomo reagisce emotivamente alle dualità della Natura
oggettiva, rimanendo così intrappolato in esse.
Le simpatie e antipatie dell’uomo sono la chiave del suo coinvolgimento
nell’illusione; lo portano fuori da se stesso. L’entusiasmo che sente quando
le cose vanno bene non è un segno di vero appagamento, poiché è in
relazione con qualcosa che non riguarda veramente lui. È come un alpinista
che, dopo sforzi enormi, raggiunge la cima di una vetta difficile, solo per
dover immediatamente iniziare la discesa. Nel regno della dualità, ogni
“alto” è seguito prima o poi da un “basso”. Questi due aspetti devono
annullarsi a vicenda, come effettivamente avviene, poiché la Verità esiste
solo e sempre al centro degli opposti. Tutti gli sforzi e i sogni, le risate e le
lacrime di innumerevoli incarnazioni danno alla fine come risultato – per lo
meno nella vita esteriore – niente di guadagnato e niente di perduto: un
bello zero. La felicità dell’acquisizione sarà bilanciata in un modo o
nell’altro dal dolore della perdita. Non possiamo trovare l’appagamento
fuori di noi stessi più di quanto il nostro successo possa mai essere un
completo trionfo per chi ci sta intorno. Le conquiste di un alpinista perdono
ogni significato ai suoi occhi, quando comprende che scalare le montagne
non serve ad alcuno scopo duraturo; una consapevolezza alla quale dovrà
certamente arrivare, prima o poi, se non altro con la scoperta che il vero
dovere dell’uomo è realizzare lo Spirito interiore.
Il dualismo fondamentale che dobbiamo superare è dentro, non fuori di
noi. È il nostro senso di separazione dallo Spirito. L’uomo è come una casa
divisa: anche se non potrà mai sfuggire alla natura spirituale che è la sua
vera essenza, teme di lasciar andare la sua individualità. La forza satanica
presente nell’uomo è una realtà; è Lucifero, l’angelo caduto che si ribella
alla Luce di Dio che tutto consuma, e che spera di sottrarsi ai Suoi potenti
richiami rifugiandosi nelle tenebre.
Oh, cecità! Non vede come in quel lasciarsi consumare, così stoltamente
temuto, lui stesso diventerebbe Luce?
Ci sono due poli nell’uomo, uno positivo e uno negativo. L’anima dentro
di noi dice: «Posso trovare l’appagamento solo unendomi completamente a
Dio». Il Lucifero dentro di noi risponde: «Posso trovare l’appagamento solo
soddisfacendo le mie necessità animali». L’anima afferma: «Posso trovare
la libertà solo nella coscienza assoluta». Lucifero esclama: «Ah, no, una
consapevolezza così grande sarebbe troppo impegnativa! Posso trovare la
vera libertà solo nel sonno e nell’incoscienza».
Molti intellettuali moderni proclamano che il nostro vero sé deve restare
fedele al fango dell’ignoranza dal quale si è evoluto. È la voce di Lucifero
nell’uomo. La vera visione, invece, è che noi siamo l’anima immortale. Lo
stimolo più forte al progresso, sia a livello animale che umano, non è la
mera lotta per la sopravvivenza, ma il profondo desiderio dell’anima di
riconquistare il paradiso perduto della divina perfezione. L’uomo non potrà
mai trovare l’appagamento se si rotola nel fango dei sensi a dispetto della
sua natura superiore. In questo senso, grazie a Dio, i dadi sono truccati:
l’uomo deve, prima o poi, scoprire la sua vera natura di raggio della Luce
Infinita.
Il polo positivo della natura umana ha la sua sede fisica nella parte
superiore del cervello; il polo negativo è situato alla base della spina
dorsale. La trasformazione divina è letteralmente accompagnata da un
flusso ascendente di energia dal polo negativo a quello positivo. Quando ci
rallegriamo di qualcosa e percepiamo un corrispondente flusso di energia
verso l’alto, diventiamo almeno in parte consapevoli che in questa direzione
generale si trovano la nostra libertà e il nostro risveglio. Purtroppo, non
vediamo che quando il flusso ascendente è rivolto anche all’esterno, ci
trascina lontano dal nostro vero Sé, nel mondo di infinita diversità e
mutamento. Le soddisfazioni materiali sono un perenne arcobaleno di
promesse, ai cui piedi non troviamo mai l’agognata pentola d’oro, ma quel
famoso zero. Quanto più ci allontaniamo dal nostro centro, diventando di
conseguenza materialistici e sensuali, tanto più finiamo per danzare su e giù
come uno yo-yo, tra risate e disperazione. Lo stretto e ripido sentiero verso
Dio, che può essere trovato solo al centro dell’uomo, viene smarrito, e la
vera meta appare offuscata.
Così come esiste realmente un canale centrale, cioè la spina dorsale
profonda, nel quale scorre un flusso ascendente di energia che accompagna
il processo di divino risveglio, esiste anche una “deviazione” attraverso cui
l’energia, e con essa la coscienza, vengono ingannevolmente convinte ad
accettare ciò che ha solo la parvenza di una vera ed elevante
trasformazione. Da entrambi i lati della spina dorsale si trovano due canali
nervosi: i a, che inizia e termina sul lato sinistro, e pingala, che inizia e
termina a destra. (Salendo e scendendo si intersecano nei chakra.)
Il polo negativo alla base della spina dorsale è il risultato del “tiro alla
fune” personale e interiore dell’anima con Dio: la convinzione di essere
separati da Lui. Il movimento di energia in i a e pingala rappresenta
l’ulteriore coinvolgimento dell’anima nelle dualità esteriori: la sua
preferenza illusoria (o piuttosto, in questo stadio, quella dell’ego) per un
infinito numero di rapporti limitati piuttosto che per un’unica relazione
solitaria, ma infinita, con Dio.
L’energia si muove verso l’alto attraverso la nadi (o canale nervoso) i a.
Questo movimento ascendente, che avviene al di fuori dei canali più
profondi del risveglio spirituale nella spina dorsale, rappresenta
un’affermazione di valori temporali anziché eterni, ed esterni anziché
interni. Con questo flusso ascendente, il respiro viene automaticamente
fatto affluire nei polmoni. Come risultato, la mente è attratta all’esterno
verso il mondo dei sensi. (Osserva come associamo istintivamente
l’inspirazione, e un flusso di energia e coscienza verso l’alto, ad
atteggiamenti che affermano la vita.)
L’energia si muove verso il basso attraverso la nadi pingala. Il suo
movimento è collegato alla negazione di condizioni esterne, piuttosto che
interne. Questo movimento verso il basso è accompagnato dall’espirazione;
è per questo che, quando abbiamo un atteggiamento negativo, espiriamo
con più forza del solito.
Come ho detto in precedenza, ciò che ci coinvolge nell’illusione non è il
mondo, ma le nostre reazioni ad esso. Sentendoci attratti da alcuni aspetti e
rifiutandone altri, rimaniamo intrappolati nella dualità. L’impeto ascendente
di affermazione in i a dovrà essere seguito, col tempo, da un’onda
discendente di rifiuto in pingala. Questa sequenza ritmica può anche essere
irregolare: le attrazioni, dopo tutto, non seguono un ritmo costante e
uniforme, ma si affollano ansiose di esprimersi e lottano per mantenere il
predominio («le correnti contrastanti dell’ego» le definì il Maestro). Come
risultato, le corrispondenti repulsioni potrebbero presentarsi solo dopo
molto tempo; in ogni caso, però, si presenteranno di sicuro.
Lo yogi, comprendendo che il suo coinvolgimento nella dualità
scaturisce dalle reazioni al mondo circostante, e notando che queste reazioni
sono sempre accompagnate da movimenti ascendenti o discendenti
dell’energia nella spina dorsale, si concentra non solo nel migliorare le sue
reazioni mentali, ma anche nel controllare e neutralizzare quei movimenti
di energia interiori. Questa tecnica esoterica rappresenta una chiave
straordinariamente utile. Le specifiche simpatie e antipatie sono infatti così
varie e numerose che è quasi impossibile sradicarle tutte e correggerle. Esse
hanno, tuttavia, un elemento in comune: il loro legame con il flusso di
energia nella spina dorsale. Acquisendo il controllo su questo flusso di
energia, possiamo addomesticare più facilmente anche le nostre simpatie e
antipatie.
Per verificare la verità di ciò che ho appena detto, prova a fare un
semplice esperimento: la prossima volta che ti senti di malumore o
depresso, prova innanzitutto a pensare a un modo per uscire da quello stato
d’animo. Vedrai che non è facile! Poi, prova a sederti dritto e a inspirare
diverse volte, vigorosamente e profondamente. Se non funziona, prova ad
alzare le mani al di sopra della testa, mentre guardi verso l’alto e fai ancora
diverse inspirazioni. La combinazione dell’inspirazione profonda con un
pensiero di movimento verso l’alto dovrebbe già farti sentire meglio. Se
praticherai questo semplice esercizio con sufficiente forza di volontà, la
tristezza scomparirà quasi certamente. E lo farà senza che tu ti occupi
direttamente degli specifici pensieri che ti hanno resto triste!
Lo yogi vede nel flusso ascendente e discendente dell’energia (le correnti
di pran e apan, come vengono chiamate) in i a e pingala uno dei metodi
più potenti per raggiungere la libertà dell’anima. Controllando questo
flusso, egli può padroneggiare più facilmente le proprie simpatie e antipatie,
rivolgendo la coscienza all’interno, verso il suo vero centro.
Il processo reattivo è una funzione di chitta, o sentimento, il cui centro
psichico si trova all’altezza del cuore nella spina dorsale. È attraverso
questo cosiddetto plesso dorsale che l’energia fluisce nei polmoni. Il
midollo allungato (che, come ho spiegato in precedenti lezioni, è la sede
dell’ego) è responsabile della regolazione del respiro. Gli impulsi scorrono
dal midollo allungato fino ai polmoni attraverso il plesso dorsale. Allo
stesso modo, a livello spirituale, gli impulsi dell’ego influenzano il respiro
attraverso le simpatie e antipatie del cuore. Questa energia che fluisce
all’esterno verso il respiro, e attraverso il respiro nel mondo, attrae l’uomo
fuori da se stesso.
Quanto più ci si allontana da una qualunque fonte di energia, tanto più
debole diviene la sua influenza. La coscienza di coloro che cercano il
proprio centro solo al di fuori di se stessi – in altre persone o nelle cose – si
annebbia fino all’apatia cronica. Non più consapevole della vera sorgente
interiore di tutte le forze e quindi incapace di reintegrare la propria energia,
la persona mondana cerca sempre più lontano da sé la felicità e il dominio,
esaurendo le proprie forze in frustrazioni e delusioni.
Potrebbe sembrare che la cura contro l’eccessivo coinvolgimento nel
mondo sia il cercare di fermare il flusso reattivo dell’energia verso l’alto e
verso il basso in i a e pingala. Prima, però, le pecore devono essere
ricondotte all’ovile. Lo yogi, quindi, deve concentrarsi innanzitutto
sull’incrementare la forza di questo flusso di energia spinale, creando un
campo magnetico così forte da riportare automaticamente alla sua fonte
interiore l’energia che fluisce all’esterno. Allorché questo obiettivo è stato
raggiunto e il respiro è diventato calmo, l’intero processo reattivo può
essere ricondotto a un punto di puro movimento nella spina dorsale. Non
concentrandosi più sulle conseguenze esteriori di quel movimento, lo yogi,
come passo successivo, troverà naturale rinunciare completamente al
dualismo suggerito da quel movimento. Potrà ora concentrare tutte le sue
energie sull’unico vero compito divino: sconfiggere il suo originario
impulso di separazione da Dio.
Il vero lavoro spirituale comincia solo quando l’energia è stata ritirata
nella spina dorsale profonda. Non si tratta soltanto di superare gli
attaccamenti al mondo; ancor di più, si tratta di superare la nostra antica
resistenza, indotta dall’illusione, ad abbandonarci completamente a Dio.
Fortunatamente, questo compito non è interminabile come può sembrare.
Con una profonda devozione a Dio si può abbreviare notevolmente l’intero
processo. «Cercate prima il regno di Dio ... e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta» (MATTEO 6,33). La soluzione migliore è combinare la
devozione con la giusta conoscenza del sentiero.
I a e pingala partono dal midollo allungato, per incontrarsi nuovamente
alla base della spina dorsale. (Attraversano anche le narici e l’ajna chakra,
o centro cristico, ma questo è secondario per le nostre considerazioni.) Alla
base della spina dorsale incontrano il canale centrale, la sushumna, o spina
dorsale profonda. Se il flusso discendente di energia in pingala può essere
afferrato a questo punto e diretto nella sushumna, interrompendo il naturale
processo che lo farebbe risalire nuovamente in i a, l’anima può veramente
iniziare la sua ascesa verso lo Spirito.
Dalla sorgente cosmica, l’energia entra nel corpo attraverso il midollo
allungato. Se diretta positivamente, fluisce nel cervello e al punto tra le
sopracciglia. Se diretta negativamente (lontano dalla coscienza dell’unione
divina), fluisce verso il basso fino alla base della spina dorsale. Se diretta
all’esterno, come abbiamo già visto, fluisce in i a e pingala, accogliendo il
flusso secondario positivo-negativo delle simpatie e antipatie superficiali. In
realtà, i flussi e riflussi dell’energia in i a e pingala sono solo un’eco della
lotta ben più potente tra l’attrazione positiva e negativa nel cervello e alla
base della spina dorsale. L’energia che fluisce nella spina dorsale
superficiale, anche con la profonda pratica dello yoga, non è nulla in
confronto all’immensa riserva di energia alla base della spina dorsale, che
attende di essere utilizzata.
Questa energia è conosciuta negli insegnamenti dello yoga come
Kundalini, “l’attorcigliata”, o il Potere del Serpente. Kundalini rappresenta
la vitalità profondamente radicata della nostra illusione mortale; al tempo
stesso, è anche la nostra chiave più potente per raggiungere l’illuminazione.
Solo risvegliando questa forza dalla sua antica resistenza alla verità divina,
l’anima può sperare di riunirsi allo Spirito.
L’illuminazione divina è il risveglio dell’anima dall’illusione cosmica.
Kundalini, al contrario, rappresenta la cieca attrazione dell’anima per
l’oscurità e per l’ignoto. Per questo si dice che Kundalini sia addormentata.
Questo potere negativo è sia il drago delle antiche leggende, sia il vasto
tesoro cui si dice che egli facesse la guardia, circondandolo nel sonno con le
sue spire protettrici. Il suo respiro di fuoco è l’emblema della sua grande
energia. Una morte certa attende coloro che vorrebbero rubare il tesoro del
drago per motivi egoistici – coloro che pensano, in altri termini, a dissipare
il potere dell’anima per fini mondani – poiché è dall’egocentrismo stesso
che questo mostro trae tutto il suo potere. È possibile uccidere il drago solo
superando l’egoismo mortale che attanaglia l’uomo. Allora le gemme della
gioia e della saggezza dell’anima verranno ricondotte in salvo nella tana
segreta della comunione divina.
Nelle antiche fiabe si racconta che, muovendosi di tanto in tanto nel
sonno, il drago fa tremare l’intera montagna. Anche Kundalini, sebbene
addormentata, è sufficientemente attiva da influenzare in vario modo il
corpo e la mente dell’uomo. Ogni volta che abbiamo pensieri egoistici,
scortesi o che oscurano in qualche modo l’anima, sottili onde di energia
fluiscono verso la base della spina dorsale, stimolando Kundalini a stringere
ancor più le sue spire, in modo sempre più protettivo, nell’oscurità. Il suo
potere magnetico è tale che, in quei momenti, tutto il nostro essere viene
attirato verso il basso insieme a lei, precipitando un po’ di più nel profondo
sonno dell’illusione. Al contrario, ogni volta che abbiamo pensieri gentili,
generosi o che risvegliano in qualche modo l’anima, dal deposito di energia
di Kundalini si irradiano verso l’alto raggi sottili, che donano, in quantità
più o meno grande, vitalità, salute e felicità a tutto il nostro essere. Il drago
si è infatti mosso nel sonno, allentando lievemente le spire per lasciarci
intravedere un barlume del suo splendente tesoro.
I testi dello yoga si riferiscono sempre a Kundalini al femminile, poiché
essa rappresenta la polarità negativa nel corpo e la separazione dell’anima
dall’unico principio positivo, Purusha, lo Spirito Supremo. Ci sono stati
santi che hanno perfino personificato Kundalini come una dea. (Gli dèi e
dee, o devata, delle Scritture indiane sono paragonabili agli angeli della
tradizione cristiana.) Kundalini è la suprema tentatrice dell’uomo, come
pure la sua salvezza. Swami Muktananda, un santo vissuto in India,
descrisse una visione della dea Kundalini che ebbe per molti giorni di
seguito. Ella gli apparve dapprima come una donna nuda di straordinaria
bellezza, che lo tentava con i piaceri del sesso; poiché egli riuscì a resistere
alle sue ripetute tentazioni, gli apparve infine come donna ideale, casta,
gentile, tenera e serena, cioè come quell’aspetto della femminilità che porta
ispirazione ed elevazione alla razza umana. Con la comparsa di quella
seconda visione, la sua Kundalini interiore finalmente si risvegliò e il
processo di divina illuminazione ebbe veramente inizio.
Anche nella Sacra Bibbia leggiamo di Eva, la donna, che tenta Adamo.
Dapprima fu lei a essere tentata; è interessante notare che il suo malvagio
consigliere era un serpente. Per lo studente di queste lezioni, il simbolismo
non può che essere ovvio. Eva rappresenta il principio femminile, o la
polarità negativa, in ogni essere umano.
Quando Eva viveva come vera compagna di Adamo, l’umanità si trovava
in uno stato di grazia e ogni pensiero si elevava in gioiosa comunione
divina. Ma il serpente arrotolato della separazione egoica doveva ancora
essere completamente annientato. Lucifero tentò l’umanità perché
sprofondasse nuovamente nell’illusione. Come racconta la Bibbia, l’uomo
scelse di diventare “come” Dio, affermando la sua realtà separata lontano
dal Signore e rimanendo così nuovamente intrappolato nella dualità
dell’esistenza fenomenica.
La strada specifica che condusse alla rovina dell’umanità, come spiega in
modo particolare Paramhansa Yogananda nel sedicesimo capitolo
dell’Autobiografia di uno yogi, fu il desiderio sessuale. L’impulso
dell’uomo a creare per proprio conto, egoisticamente, si risvegliò, ed egli
rinunciò al suo ruolo apparentemente secondario di puro strumento della
divina energia creativa. Con il risveglio del desiderio sessuale latente, l’ego
umano si rafforzò, dando nuovamente inizio all’intero processo reattivo
delle attrazioni e repulsioni egoistiche. L’ego, infatti, lottando per affermare
il suo valore, entrò in un’incessante competizione con la realtà oggettiva.
I nervi sessuali sono i primi a essere stimolati dal flusso discendente di
Kundalini, poiché essa è situata alla base della spina dorsale. L’impulso
sessuale è quindi l’istinto umano più forte, dopo quello
dell’autoconservazione. Il principio femminile in ogni essere umano è il suo
peggior nemico, se viene lasciato libero di attirare la coscienza verso il
basso, verso il desiderio sessuale e lontano dal vero Sé. È anche il migliore
amico dell’umanità, se ispira un amore puro e altruista, poiché in questo
caso ci eleva verso Dio.
La donna, che è l’oggettivazione di questo principio femminile,
dovrebbe comprendere che anche il suo ruolo in questo mondo è duale. Se
con il suo magnetismo sessuale cerca di attirare egoisticamente a sé l’uomo,
rafforza la presa della dualità sulle menti umane, e soprattutto sulla sua
stessa mente. Perpetua così il degrado della razza umana. Se invece la
donna vede se stessa principalmente nel ruolo superiore di madre e sorella,
e se cerca di attirare gli altri non a se stessa, ma a ideali e principi elevati,
diventa la salvatrice dell’umanità.
Anche gli uomini dovrebbero considerare le donne nel loro ruolo terreno
più elevato, onorandole e perfino trattandole con reverenza come strumenti
viventi della Madre Divina dell’universo. In questo modo, l’uomo può
apprendere dalla donna atteggiamenti importanti per la sua stessa crescita.
La donna, a sua volta, può trarre dall’uomo la determinazione a crescere.
Quando Dio si trova al primo posto nelle menti umane, l’antica battaglia dei
sessi si placa, e uomini e donne si aiutano veramente a evolvere fino a
raggiungere l’unità finale in Lui.
Il mio proposito, comunque, non è di suggerire agli studenti di yoga seri
e impegnati di precipitarsi a cercare l’uomo o la donna ideale che li aiuti a
crescere spiritualmente. Se dobbiamo frequentare gli altri, è meglio
ovviamente farlo nel modo giusto; tuttavia, ricorda: Dio è l’unico vero
Amore dell’anima. Solo quando amiamo Lui per primo può esserci armonia
nella vita umana. È per questo che ho messo in evidenza come la vera
amicizia, anche tra i due sessi, sia priva di ego. Se vuoi conquistare il tuo
ego, cerca di non vedere neppure gli altri come realtà separate da Dio.
Cerca prima il Signore. Sii impersonale, a volte perfino un po’ distante
dagli altri. È questa la via verso la libertà. Ricorda, tutto ciò che stai
cercando può essere trovato solo nel tuo stesso Sé.
Ciò che è più importante per ognuno, uomo o donna che sia, è
comprendere che il principio femminile esiste come una realtà interiore,
dentro di noi, in attesa di essere innalzato verso Dio. È necessario
risvegliare Kundalini e attirarla in alto, attraverso la sushumna, così che
possa unirsi al suo polo positivo alla sommità del cervello.
Si dice che Kundalini dorma arrotolata alla base della spina dorsale; da
qui nasce la sua identificazione metaforica con il serpente. Non so
esattamente in quale misura questa energia arrotolata sia stata descritta
letteralmente e in quale misura in modo metaforico. Di certo non è un vero
serpente. Neppure, per quanto io sappia, è mai stato trovato un passaggio a
forma di spirale nell’osso alla base della spina dorsale, sebbene siano state
scoperte le corrispondenti parti fisiche degli altri elementi della nostra
“anatomia” yogica. Sono incline a credere (ma lo offro come una semplice
opinione) che le cosiddette spire di Kundalini si riferiscano alla sua azione
magnetica. Il campo magnetico che si viene a creare quando l’elettricità
passa attraverso un cavo segue un andamento circolare attorno al cavo
stesso; similmente, quando Kundalini comincia la sua potente risalita, si
percepisce un movimento circolare. È probabile, dunque, che il passaggio a
forma di spirale in cui si dice che si muova Kundalini sia solo una metafora
per questa corrente magnetica circolare.
In ogni caso, quando Kundalini sale verso l’alto, si uniscono alla sua
forza le correnti tributarie di energia che essa incontra lungo il suo
cammino. Alla fine, essa diventa un fiume così potente da poter governare
l’universo. Questo, tuttavia, non è o non dovrebbe essere il suo obiettivo,
poiché se lo diventa, essa cadrà nuovamente e dovrà lottare ancora una
volta per raggiungere le altezze.
Raggiungiamo la completa salvezza spirituale solo quando Kundalini si
unisce finalmente al suo polo positivo. Solo allora la tempesta della dualità
si placa e il sé, non più in rivolta contro Dio, si fonde completamente con il
Sé Infinito, diventando l’Infinito. Questo, e solo questo, è lo stato di
salvezza, di finale liberazione da ogni schiavitù e illusione. (Continua)

Posizioni yoga
Posizioni avanzate

Uno degli aspetti più gratificanti delle posizioni yoga è che alcune di
quelle più facili sono tra le più benefiche, mentre le più difficili non sono
sempre le più benefiche. Le seguenti posture, tuttavia, sfortunatamente sono
tanto benefiche quanto difficili. Sono ottime da imparare, se ne hai voglia.

NAULI
(l’Isolamento dello stomaco)

Nauli (l’Isolamento dello stomaco) è un esercizio eccellente per lo


stomaco. Aiuta a stimolare la peristalsi e ad esercitare tutti gli organi
dell’addome.
Pratica Uddiyana Bandha (il Sollevamento dello stomaco) come ti è
stato insegnato nella sesta lezione. Premendo sulla base dei palmi e
raddrizzando leggermente il dorso, porta all’infuori i muscoli retti
dell’addome (i lunghi muscoli che vanno verso l’alto su entrambi i lati
dell’ombelico, dall’osso pubico fino alle costole) portando l’ombelico
all’esterno e allontanandolo dalla spina dorsale. Ci dovrebbe essere un
senso di vuoto in tutto l’addome, come nel Sollevamento dello stomaco. Il
movimento verso l’esterno dei muscoli retti dell’addome agisce contro
questo vuoto. Spingi dentro e fuori questi muscoli alcune volte, mentre
trattieni il respiro. Concentrati sul risveglio dell’energia nella zona
dell’ombelico.
Ora cerca di separare il muscolo retto addominale sinistro da quello
destro, premendo con la base del palmo sinistro sulla coscia sinistra.
Alterna per alcune volte l’isolamento del lato sinistro e destro.
Infine, ruota questi muscoli rendendo continua l’alternanza tra di essi.
Ci sono dei piccoli muscoli ai lati dell’addome, i muscoli obliqui interni
ed esterni. Anche questi si possono isolare con la pratica.
Le posizioni dello stomaco vanno sempre eseguite a stomaco vuoto. Se
durante la pratica si sente un dolore acuto, devono essere sospese fino a
quando sia stata accertata la causa del dolore.
Si dice che Nauli sia benefico per le donne che soffrono di disturbi
mestruali. Bisogna però considerare un aspetto negativo: si sono registrati
casi in cui alcune persone hanno sofferto di pressione arteriosa alta in
conseguenza di una pratica eccessiva di Nauli. Ciò è vero soltanto per
soggetti che sono già predisposti e che non sono più giovani, diciamo al di
sopra della quarantina.
Una versione più facile: se non puoi praticare Nauli in modo corretto,
puoi ottenere alcuni suoi benefici spingendo all’infuori tutto lo stomaco e
poi tirandolo di nuovo all’interno, ripetendo la pratica alcune volte in apnea
espiratoria.

MAYURASANA
(la posizione del Pavone)
Ho già spiegato Ardha Mayurasana (la mezza posizione del Pavone,
conosciuta anche come Hamsasana, la posizione del Cigno) nella sesta
lezione. La preparazione per la posizione completa del Pavone è la stessa.
Per le donne, potrebbe essere necessario spingere in dentro il seno, in modo
da evitare una pressione scomoda tra la parte superiore delle braccia e il
petto.
Da Ardha Mayurasana, cammina lentamente in avanti fino a quando sei
in grado di equilibrare tutto il peso sulle mani. Solleva le gambe in alto e
resta in equilibrio nella posizione per 5 secondi. Aumenta gradualmente
fino a 30 secondi.
Una variante di questo esercizio è quella di entrare prima nella posizione
del Loto e da questa postura, appoggiando il peso sulle ginocchia e sulle
mani, sollevare le ginocchia fino a quando tutto il peso del corpo poggia
sulle mani.

Benefici: si afferma che Mayurasana sia benefico in caso di diabete e di


emorroidi. È eccellente per l’appetito e per aumentare la capacità digestiva.
Fa bene al fegato e ai polmoni. Può essere utile per curare la stitichezza.
Per chi riesce a praticarlo, Mayurasana è davvero un esercizio
eccellente.

Controindicazioni
• La posizione è da evitare in caso di problemi cardiovascolari (ma è
comunque possibile praticare Ardha Mayurasana), in gravidanza, in caso
di ernia inguinale e in presenza di dolori addominali di origine
sconosciuta.
• Alcune lesioni spinali possono rendere controindicata la posizione.

Respirazione

Nell’Hatha Yoga esistono numerosi tipi di respirazione. Non è affatto


necessario, o nemmeno desiderabile, praticarli tutti. È meglio praticarne uno
o due in modo profondo, piuttosto che saltare con impazienza attraverso una
lunga serie di essi. Un’eccessiva varietà di tecniche, infatti, potrebbe
interferire con il proprio sviluppo. È un fatto interessante che la coscienza
universale, che è la meta di tutti gli sforzi spirituali, viene raggiunta
mantenendo circoscritte la propria coscienza, la propria lealtà e le proprie
pratiche, focalizzandosi su un punto invece di disperdere le proprie forze.
La coscienza cosmica non viene conseguita espandendosi eccessivamente
sulla superficie della vita, ma andando in profondità in un punto.
Raggiungendo il cuore della realtà in quel punto, è possibile trovare l’unica
realtà che è presente al centro di tutti i fenomeni. Trovare lì ogni cosa
significa comprendere che anche un solo atomo sarebbe in grado di fornire
la perfetta conoscenza di tutti gli altri atomi che esistono.
Sta all’individuo, tuttavia, scegliere la propria strada. Visto che anche
altri esercizi di respirazione, rispetto a quelli che ho raccomandato in
maniera particolare, sono una parte essenziale della scienza dell’Hatha
Yoga, ne illustrerò alcuni in questa lezione e nella prossima.

Surya Bedha Pranayama (la Respirazione solare)


Uno di questi esercizi è Surya Bedha Pranayama. Siedi in una qualsiasi
posizione meditativa. Chiudi gli occhi. Chiudi la narice sinistra e inspira
lentamente attraverso la destra. Poi chiudi entrambe le narici e premi con
fermezza il mento contro lo sterno, trattenendo il respiro. Canta
mentalmente AUM nel punto tra le sopracciglia.
La ritenzione del respiro va mantenuta fino a quando risulta
confortevole. Poi espira lentamente attraverso la narice sinistra, mantenendo
chiusa quella destra. Ripeti l’esercizio alcune volte.
Surya Bedha aumenta il calore nel corpo, forse perché l’inspirazione
attraverso la narice destra lavora in modo opposto al normale rapporto tra il
flusso di energia nella spina dorsale e il respiro. (Normalmente,
l’inspirazione è associata al flusso ascendente nel lato sinistro, che è
collegato al respiro nella narice sinistra.)

Si dice che Surya Bedha abbia effetti benefici per i polmoni e il cuore,
oltre che per i seni nasali. Aiuta ad attirare l’energia nella spina dorsale
profonda, o sushumna.
Sequenze

Quanto tempo dovrebbe dedicare una persona alla pratica delle posizioni
yoga? E quanto a lungo dovrebbe meditare? La domanda, ovviamente, è
personale; dipende dagli interessi dell’individuo e dal tempo che ha a
disposizione. Se il suo interesse è puramente fisico, la meditazione sarà un
atto simbolico; la maggior parte del suo tempo sarà dedicata alle posizioni.
Tuttavia, molte persone dotate di profonda aspirazione spirituale
immaginano che, per progredire spiritualmente, debbano trascorrere così
tanto tempo nel fare le posture da averne poi ben poco per la meditazione.
Vi è inoltre la tendenza naturale a voler prolungare quello che già si sta
facendo in un determinato momento. Poiché le posizioni vengono per
prime, prolungare la pratica quotidiana per includerne quante più possibile
può comportare di dover ridurre eccessivamente il tempo che resta per la
meditazione.
Per i devoti alla ricerca dell’illuminazione spirituale, almeno metà della
pratica quotidiana dovrebbe essere dedicata alla meditazione. Due terzi del
tempo sarebbe una proporzione migliore. Da trenta a quaranta minuti di
posizioni yoga e un’altra ora per la meditazione rappresenterebbero una
buona proporzione, avendo questa quantità di tempo a disposizione. Se si ha
più tempo, sarebbe meglio un’ora completa di posture. Se si ha meno
tempo, sarebbe meglio praticare le posizioni, in proporzione, più a lungo al
mattino presto e meno a lungo (o affatto) nella seconda metà della giornata,
meditando più alla sera che al mattino.
Il sincero ricercatore spirituale dovrebbe meditare almeno un’ora e
mezzo al giorno, se riesce a trovare il tempo per farlo. Potrebbe meditare
mezz’ora al mattino e un’ora la sera, o viceversa. In ogni caso, qualsiasi
quantità di tempo dedicata alla meditazione è sempre meglio che niente.
Non si dovrebbe neppure considerare l’ammontare di tempo che si può
realmente dedicare alla meditazione come una misura della propria
sincerità. Ci sono persone con pochissimo tempo libero, per le quali il fatto
stesso di meditare richiede una profonda sincerità. In ogni caso, ciò che
aiuta a progredire spiritualmente non è tanto il tempo che si trascorre in
meditazione, quanto l’intensità con cui si medita.
Guarigione
Occhi, orecchie e denti

Gli occhi sono spesso chiamati “le finestre dell’anima”. Parliamo tanto
con gli occhi quasi quanto con le parole. Per questa ragione, ho sempre
pensato che sia un peccato che le persone debbano portare gli occhiali,
perché in questo modo sono molto meno espressive di quanto potrebbero
esserlo se comunicassero con gli occhi.
Ogni cosa che si fa dovrebbe essere un’espressione consapevole e
autentica di ciò che si è. Gli occhi dovrebbero esprimere le vibrazioni del
cuore e della mente. L’energia negli occhi dovrebbe essere sviluppata al suo
massimo potenziale. Un esercizio per sviluppare questo potenziale è
straordinariamente efficace anche per la debolezza della vista. Esso rafforza
il flusso di energia che scorre attraverso i nervi fino agli occhi. In effetti,
questo esercizio è essenzialmente una cura per i problemi di vista. Ecco
come si deve praticare: quando il sole è vicino all’orizzonte – entro
mezz’ora dall’alba o dal tramonto – fissalo intensamente. (A quest’ora i
raggi dannosi sono filtrati e l’immenso potere risanante del sole può essere
assorbito dagli occhi senza pericolo.) All’inizio fissalo per un minuto senza
battere ciglio, poi aumenta gradualmente il tempo, nell’arco di alcune
settimane, fino a un massimo di nove minuti. Attraverso la forza della tua
volontà, assorbi i raggi risananti del sole negli occhi.
Poi volgi le spalle al sole e batti le palpebre degli occhi piuttosto
rapidamente per circa un minuto. Chiudi gli occhi e coprili prima con la
mano destra e poi con quella sinistra (in modo che la mano sinistra copra la
destra) e fissa l’immagine residua che vedi. I raggi del sole dovrebbero
battere sull’area del midollo allungato. Quanto più profondamente ti
concentrerai, tanto più rafforzerai questo flusso di energia.
Fissa l’immagine residua il più a lungo possibile. Poi gira bene gli occhi
a sinistra, in alto, a destra e in basso. Ripeti la rotazione per tre volte. Poi
strizza gli occhi energicamente, inviando loro energia come ti è stato
insegnato nella lezione sulla ricarica energetica. Apri gli occhi e fissa un
oggetto. Ripeti questo ciclo, strizzando gli occhi e fissando un oggetto, per
tre volte.
Sarai sorpreso nel constatare, in un tempo relativamente breve, quanto
sarà migliorata la tua vista e quanto i tuoi occhi si sentiranno maggiormente
vivi.
Yoganandaji ha detto che il sole rappresenta l’aspetto paterno di Dio e la
luna quello materno. Ha raccontato anche che in un certo periodo della sua
vita ha fissato il sole all’alba tutti i giorni per due mesi e ne ha tratto
immense ispirazioni di Saggezza. (È interessante a questo proposito notare
quante canzoni d’amore siano state scritte sul chiaro di luna.) Quando fissi
il sole mentre pratichi l’esercizio, cerca di essere consapevole con
sensibilità della sua capacità di guarirti a livelli più sottili di quelli
puramente fisici. In India i bramini, mentre fissano il sole all’alba, recitano
mentalmente il Gayatri mantra.
Le posizioni che possono essere benefiche per gli occhi comprendono in
particolar modo: Sirshasana (la posizione sulla Testa) e tutte le posizioni
capovolte;18 Simhasana (la posizione del Leone); Trikonasana (la posizione
del Triangolo).
È utile anche fissare il punto fra le sopracciglia, senza incrociare gli
occhi ma piuttosto facendoli convergere gentilmente, come se lo sguardo si
concentrasse sul pollice quando la mano viene distesa a circa venti
centimetri di fronte a te e leggermente al di sopra della testa. La posizione è
estremamente benefica per gli occhi se praticata in rilassamento completo,
senza alcuno sforzo visivo.

Il Maestro ha insegnato un eccellente esercizio per i denti. Prendi il


pollice e l’indice della mano destra e massaggia le gengive premendo su
entrambi i lati della gengiva sopra ogni dente e tirando le dita in basso (in
alto per i denti inferiori), sopra il dente stesso. Mentre premi con le dita,
senti che attraverso di esse stai inviando energia alle gengive. Ripeti sei
volte per ogni dente. Le gengive e i denti possono essere stimolati anche
serrando e rilassando i denti, inviando così energia a essi.
Anche le orecchie possono essere stimolate con energia, migliorando
così la facoltà uditiva. Ascolta attentamente ogni suono che senti come se lo
percepissi direttamente nel timpano (prima da un lato, poi dall’altro). Invia
energia al timpano.
Una pratica, che si dice abbia effetti curativi per la sordità, è quella di
pelare tre spicchi d’aglio e tritarli finemente. Friggili in quattro cucchiai di
olio di senape (può andar bene anche olio d’oliva) fino a quando prendono
colore. Filtra l’olio usando un pezzo di stoffa e lascialo raffreddare. La sera,
prima di andare a dormire, riempi a metà l’orecchio malato (o entrambe le
orecchie), sigillando l’olio con un pezzo di cotone e lasciandolo agire per
tutta la notte. Ripeti due volte alla settimana.
Le posizioni che possono essere indicate per le orecchie comprendono
Simhasana (la posizione del Leone); Sirshasana (la posizione sulla Testa);
Chakrasana (la posizione della Ruota); Sarvangasana (la Candela) e Jivha
Bandha (la Chiusura della lingua), che sarà insegnato nella tredicesima
lezione.*

Alimentazione

Paul Brunton, nel suo affascinante libro India segreta, racconta di un


uomo che aveva incontrato in India il quale stava digiunando, disse, perché
la sua cuoca si era assentata per alcuni giorni e non si sarebbe fidato di
nessun altro per la preparazione dei suoi pasti. L’importante considerazione,
nella sua mente, era che conosceva il carattere della cuoca, mentre il
carattere di un’altra persona avrebbe potuto celare debolezze nascoste, le
cui vibrazioni si sarebbero potute ripercuotere su di lui attraverso il cibo.
Il grande maestro Sri Ramakrishna si rifiutava di accettare cibo dalle
mani di persone mondane. A volte, se un tale cibo gli veniva dato a sua
insaputa, sentiva che tutto il suo corpo stava bruciando.
Si tratta soltanto di bizzarre superstizioni orientali, oppure esse hanno
qualche fondamento nella realtà oggettiva? In America la “buona cucina
casalinga” fa la parte del leone: la cucina della mamma incarna i sogni di
felicità di molte persone. Perché? Ci sono milioni di mamme in questo
Paese; è possibile che tutti i loro piatti siano così buoni? L’abitudine,
ovviamente, deve avere qualcosa a che fare con tutto ciò: il modo di
cucinare con cui una persona è stata cresciuta eserciterà un’attrazione
naturale. Penso tuttavia che ci sia dell’altro nel fascino così speciale della
cucina della mamma. L’amore con cui ella prepara da mangiare per la
famiglia è una vibrazione; in quanto tale, permea il cibo che viene
preparato. Nella mia esperienza, qualsiasi cibo che sia stato cucinato con
amore è in qualche modo più soddisfacente dei piatti da gourmet serviti in
ristoranti di alta classe.
Ricordo un’occasione del genere. Era Natale e tutti erano colmi di spirito
natalizio. Cucinammo con gioia un banchetto per tutti i monaci dei
monasteri della SRF. Temo di aver mangiato molto di più della mia normale
capacità (quel giorno tutti ridevano della mia “prodezza”!) eppure, strano a
dirsi, dopo non mi sentii appesantito o letargico. Anzi, feci una
meravigliosa meditazione. Ricordo anche che l’indomani mi svegliai al
suono di voci interiori che cantavano “O Dio splendido”!
In India, la vibrazione con cui il cibo è preparato è molto importante.
Abitualmente i cuochi sono thakur, vale a dire che provengono dalla casta
sacerdotale, o dei bramini. Molti santi hanno cucinato per i loro discepoli al
fine di benedirli.
Mi ricordo, in contrasto con questo insegnamento, qualcosa che lessi
anni fa in Selezione dal Reader’s Digest, a proposito di una donna che
infornava il pane ogni volta che era arrabbiata. Lavorare l’impasto la
aiutava a scaricare le frustrazioni. Si dice che il suo “pane arrabbiato”, come
lei stessa lo chiamava, era delizioso perché così ben impastato. A persone
non sensibili dal punto di vista spirituale questo pane potrà anche essere
sembrato buono, ma dubito che sarebbe piaciuto agli yogi!
Hai notato come alcuni cibi, sebbene siano stati preparati in modo da
essere saporiti, si fermano pesantemente sullo stomaco? Hai mai notato
come, a volte, una cena completa può lasciarti fisicamente insoddisfatto
perché non era realmente energizzata?
Secondo gli insegnamenti dello yoga, è importante preparare gli alimenti
con un atteggiamento di benedizione. Se devi cucinare per altre persone ma
ti senti di cattivo umore o in un qualunque stato di turbamento emotivo,
sarebbe meglio che tu non cucinassi affatto. (Ecco, ti ho dato una buona
scusa per insistere con tuo marito che ti porti fuori a cena!)
Anche la consapevolezza con la quale si mangia è importante. In India
molte persone osservano rigorosamente la pratica del silenzio ai pasti, allo
scopo di potersi concentrare sul cibo per assorbirne l’energia e le vibrazioni
spirituali. Quando gli alimenti vengono assunti con attenzione consapevole
alle loro vibrazioni, si può attingere di più da essi rispetto a quando li si
mangia distrattamente.
È pure importante il luogo in cui si consuma il cibo. Mentre si mangia, ci
si apre al flusso di vibrazioni dall’esterno; se le vibrazioni nella stanza in
cui si mangia sono armoniose, possono essere d’aiuto, ma se non lo sono,
possono avere effetti maggiormente negativi rispetto a quanto accadrebbe in
altri momenti. A Paramhansa Yoganandaji non piaceva che mangiassimo in
locali pubblici, in mezzo alle vibrazioni eterogenee delle persone mondane.
In India, i sadhak (aspiranti spirituali) mangiano di rado, o mai, in locali
pubblici.
Da quanto ho detto finora riguardo a questo argomento, sarà evidente il
motivo per cui le Scritture affermano che il cibo dovrebbe essere offerto a
Dio prima di essere mangiato. La Bhagavad Gita afferma che è una colpa
mangiare un alimento che non sia stato offerto in questo modo. Benedici il
cibo prima di mangiarlo. Così facendo, aiuterai a trasformare qualsiasi
vibrazione negativa esso contenga.

Cheese Cake
Crosta di biscotti integrali:
11 biscotti integrali, finemente sbriciolati
6 cucchiai di burro fuso
1 ½ cucchiai di zucchero granulato

Unisci gli ingredienti e disponili in una teglia per torta da 23 cm,


schiacciando l’impasto con le mani

Ripieno:
250 g di crema di formaggio Philadelphia
250 ml di panna
½ cucchiaino di vaniglia
100 g di zucchero
½ cucchiaino di buccia di limone grattugiata, più il succo
2 uova

Mescola il formaggio fino a quando diventa cremoso; aggiungi la panna


e amalgama. Sbatti le uova leggermente; aggiungi zucchero e vaniglia.
Aggiungi il composto alla miscela di crema di formaggio, insieme al succo
di limone e alla buccia. Amalgama, versa sulla crosta di biscotti integrali.
Cuoci in forno preriscaldato a 190° C, da 20 a 25 minuti. Togli dal forno e
lascia raffreddare.

Copertura:
250 ml di panna acida
2 cucchiai di zucchero granulato
½ cucchiaino di vaniglia (aggiungi un po’ di succo di limone)

Unisci gli ingredienti e spalmali sul ripieno della torta raffreddato. Cuoci
in forno preriscaldato a 250°C per 5 minuti. Metti in frigorifero.

Samosa
(o Singhara, come sono chiamati in bengali)

Riservati del tempo per la preparazione di queste deliziose sfoglie.

Ripieno:
1 ½ patate bollite di media grandezza
1 cucchiaio di ghi (burro chiarificato)
½ cipolla media, tritata finemente
1 piccolo pezzo di zenzero dorato, grattugiato se fresco
½ cucchiaino di curry in polvere
1 ½ cucchiaini di semi di coriandolo
½ cucchiaino di sale
¼ cucchiaino di peperoncino in polvere
1 pomodoro piccolo, a dadini
100 g di piselli freschi (o surgelati)
1 ½ cucchiaini di succo di limone o lime

Fai bollire le patate con la buccia fino a quando diventano morbide;


lasciale raffreddare. Sbucciale e tagliale a piccoli dadini. In una grande
padella, soffriggi la cipolla nel ghi fino a quando si ammorbidisce,
incorpora lo zenzero, il curry in polvere e le erbe, soffriggi brevemente.
Aggiungi sale, peperoncino in polvere e pomodoro. Mescola bene e
soffriggi per alcuni minuti. Aggiungi i piselli e cuoci a fuoco moderato per
10 minuti, mescolando spesso. Aggiungi le patate e il succo di limone e
cuoci fino a quando diventa quasi secco.

Sfoglia:
200 g di farina (non integrale)
1 ½ cucchiai di ghi
3/4 cucchiaino di sale
9 cucchiai di yogurt magro o latte caldo

Passa al setaccio la farina in una ciotola, riscalda il ghi e versalo sulla


farina; aggiungi il sale. Incorpora lo yogurt o il latte un poco alla volta fino
a quando l’impasto assume la consistenza di una palla. Dividi in 9 pezzi e
stendi delle sfoglie sottili con un po’ di farina. Taglia a metà le sfoglie
rotonde e disponi un piccolo quantitativo di ripieno nel centro, lasciando
mezzo centimetro attorno al bordo. Inumidisci i bordi con un po’ di latte e
ripiega schiacciando assieme i bordi con le dita per sigillarli. Si possono
premere i bordi con la forchetta per una migliore chiusura. Friggi i samosa
in 2 ½ - 5 cm di olio bollente. Sufficiente per 18 samosa.
I samosa vengono solitamente serviti caldi con chutney (salsa indiana
agrodolce a base di frutta o verdura e spezie, N.d.T.) come delizia per l’ora
del tè. Si possono riscaldare in forno, se lo si desidera.

Meditazione
L’atteggiamento, prima parte

Poiché la scienza dello yoga si dedica ampiamente al risveglio delle


energie sottili, molti studenti immaginano che l’intero processo
dell’evoluzione spirituale sia un semplice meccanismo, e pensano quindi di
poter trovare Dio solo con le tecniche.
È un pensiero ovviamente sbagliato, eppure l’era tecnologica in cui
viviamo ci predispone a commettere un tale errore. Non è forse un’opinione
comune che ogni cosa è un meccanismo? Perfino la mente viene trattata in
modo meccanico. Uno stimato professore di una prestigiosa università
americana è solito dire ai suoi studenti: «Se qualcuno di voi è convinto di
avere un’anima, gli chiedo cortesemente di lasciarla fuori della porta!».
In ogni caso, l’umanità è sempre stata propensa a confondere
l’ispirazione con la tecnica, dimenticando che quest’ultima è solo un
veicolo per l’ispirazione. Perfino nella religione, qual è il metodo
solitamente raccomandato per trovare la salvezza? Non un erculeo lavoro di
autotrasformazione, né la pura offerta devozionale di se stessi a Dio, ma
soltanto l’appartenere alla giusta chiesa, il professare il giusto credo e,
preferibilmente, il donare le giuste somme per le giuste cause. Meccanismi!
Lo yoga affronta in modo più scientifico il sentiero della salvezza, ma
accresce al tempo stesso la tentazione di dare più importanza al metodo che
a qualcosa di infinitamente più prezioso: il giusto atteggiamento.
Ricorda: la tecnica è soltanto un veicolo. A cosa serve un’automobile, se
l’autista non sa dove vuole andare? E a cosa servono al guidatore le sue
abilità tecniche, se il suo atteggiamento mentre guida è antisociale? Poiché
la pratica dello yoga accelera il progresso spirituale, la necessità di un
corretto atteggiamento in realtà aumenta. Un comportamento socialmente
responsabile è più importante per l’autista che viaggia ad alta velocità che
per il ciclista. Allo stesso modo, una concentrazione esclusiva sulle tecniche
yogiche, senza lo sviluppo dei giusti atteggiamenti, può rivelarsi pericolosa.
Il progresso spirituale, infatti, non può mai essere forzato, così come non si
può forzare il delicato meccanismo di un orologio. Un approccio troppo
tecnico alla pratica dello yoga rafforzerà l’ego, fino al punto da oscurare
quasi irrimediabilmente il vero Sé divino.
Nella prima parte di questa lezione ho parlato di Kundalini, l’enorme
potere che giace addormentato alla base della spina dorsale. Può essere
estremamente pericoloso risvegliare Kundalini con la forza, specialmente
con violenti esercizi di respirazione e particolari posture fisiche, senza
cercare al tempo stesso di sviluppare atteggiamenti spirituali. Ricorda che le
sottili energie del corpo con cui opera lo yoga non sono, essenzialmente, dei
meccanismi, ma manifestazioni di coscienza. Se cavalcassi un destriero
come se fosse una macchina, potresti venire facilmente disarcionato.
L’enorme potere di Kundalini può distruggere il sistema nervoso, se la forza
che guida il suo risveglio non è l’aspirazione devozionale, ma l’egocentrica
convinzione che si possano raggiungere le altezze spirituali con il solo
potere.
Non cercare di destare Kundalini solo con le tecniche; di vitale
importanza per il suo risveglio è una coscienza spiritualizzata. Come ho
accennato nella prima parte di questa lezione, ogni volta che esprimiamo
puro amore o pensieri elevati, oppure frequentiamo persone spirituali,
Kundalini sarà ispirata a inviare emissari di luce verso l’alto, al cervello;
ogni volta che nutriamo pensieri egoistici, sensuali o oscuri, oppure
godiamo della compagnia di persone mondane, Kundalini si muove verso il
basso, sottraendo luce al cervello e rendendo la mente un po’ più oscura.
Affinché Kundalini possa essere pienamente e adeguatamente
risvegliata, è necessario saper controllare almeno un po’ le energie più
superficiali del corpo, in particolare quelle che fluiscono nei canali nervosi i
a e pingala, situati all’esterno del canale principale della spina dorsale
profonda (la sushumna). Lavorando con queste energie, apprenderai gli
atteggiamenti necessari per risvegliare Kundalini nel giusto modo. In
particolare, cerca di non trattarla come se fosse un oggetto inanimato sul
quale puoi importi. Essa ha una sua coscienza, e devi invitarla a collaborare
come se fosse un’amica; avvicinala con gioia e con un entusiasmo calmo e
magnetico.
Magnetico è una parola chiave nel corretto uso della volontà per
risvegliare l’energia nel corpo. Tuttavia, per poter essere magnetici occorre
innanzitutto la presenza di un flusso di energia. Serve energia per produrre
il magnetismo necessario per acquisire energia: potrebbe sembrare un
circolo vizioso!
In ogni caso, il cerchio descrive la natura del sentiero spirituale. Neppure
negli altri campi il progresso avviene in modo lineare. Quando ci sembra
che sia così, è perché riusciamo a vedere solo un piccolo segmento alla
volta, proprio come nel caso della terra, che può sembrarci piatta pur
essendo rotonda. Il cerchio – in questo caso il circolo magnetismo-volontà-
energia-magnetismo – genera il suo potere ruotando, per così dire, come
una dinamo. In confronto, il progresso lineare sarebbe come un pomeriggio
passato a fare acquisti, che può darci qualche oggetto in più, ma non certo
una maggiore forza. Per questo Gesù ha detto: «Poiché a chi ha, sarà dato e
a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha» (MARCO 4,25). Era una delle
citazioni preferite del mio guru e deve essere stato anche uno dei detti
preferiti di Gesù, visto che lo troviamo altre quattro volte nei Vangeli: in
MATTEO 13,12 e 25,29 e in LUCA 8,18 e 19,26. Questi brani biblici possono
sembrarci ingiusti, finché consideriamo la crescita spirituale come una
progressione lineare, invece che come una ruota che gira – pur senza
muoversi in alcuna direzione – attirando a sé l’energia come in un vortice
ed espandendola lentamente verso l’Infinito.
Ovviamente, con un ciclo chiuso come questo il problema principale è
come entrarci. La soluzione? Non è difficile come si potrebbe credere:
bisogna semplicemente trovare il proprio centro dentro di sé, invece che
all’esterno. Molte persone definiscono se stesse solo in rapporto al mondo
circostante. Non hanno una vita interiore. Se dici loro che la forza di
volontà determina il flusso di energia, potranno risponderti: «Oh, capisco!
Significa che devo continuare a trovare sempre più novità che mi
entusiasmino e stimolino la mia volontà». Potranno poi aggiungere,
dubbiose: «Il guaio è che ormai sempre meno cose mi entusiasmano».
Oppure, se spieghi loro che un’abbondante vitalità aumenta il magnetismo,
probabilmente aspetteranno la giornata di sole o di occasionale buonumore,
quando si sentiranno più vitali del solito. E poi si meravigliano che il loro
fascino magnetico (cioè il loro effetto sugli altri, l’unico aspetto del
magnetismo che sono in grado di comprendere) sembri diminuire con gli
anni! «Sarà perché sto invecchiando» si dicono, senza capire che, se una
persona vive saggiamente, con l’età il suo magnetismo aumenta. Se fai loro
notare che la volontà, per essere veramente efficace, deve anzitutto essere
magnetica – ad esempio esprimendosi come buona volontà e spirito di
cooperazione, invece di un cupo sentimento di obbligo – potranno
rispondere: «Beh, mi piacerebbe davvero mostrare un atteggiamento più
amichevole, ma ho visto che quando una persona sembra troppo
collaborativa, gli altri ne approfittano». Così, quel poco di volontà, energia
o magnetismo che possiedono, un po’ alla volta si disperde. Avrebbero
potuto evitarlo, se non avessero cercato il loro centro al di fuori di se stessi.
Il fatto è che non possiamo entrare nel cerchio magico, poiché siamo già
nel suo centro, o meglio ancora, siamo il suo centro. Dobbiamo solo vivere
più interiormente. Come? Con il giusto atteggiamento. La capacità di vivere
più interiormente è, infatti, il segno di un corretto atteggiamento spirituale.
È questa la forza che mette in movimento la ruota dell’evoluzione
spirituale; è anche ciò che continua a farla girare, attirando sempre più il
potere divino, e che fa espandere verso l’infinito il vortice della
realizzazione del Sé, invece di tenerlo incatenato entro un ristretto ciclo di
limitazione egoistica.
Molti sono i paradossi del sentiero spirituale. Questo atteggiamento
interiorizzato non è facilmente comprensibile dalla mente materialista,
poiché il mondo ha il potere di attrarre chiunque desideri immergersi in
esso. Il ciclo di noia-faticariluttanza-noia si autoperpetua e può generare
energie negative. Per il principiante, quindi, può essere necessario un
particolare impeto iniziale per accendere la scintilla del giusto
atteggiamento interiore.
Un generatore elettrico ha bisogno della forte scintilla di una batteria per
avviarsi. Allo stesso modo, la ruota dello sviluppo interiore necessita
solitamente di un forte stimolo esterno per mettersi in moto. Di qui la
necessità del contatto con altri devoti, in particolare con i santi. Ma dal
momento che non è facile trovare dei santi in questo mondo e che, pur
trovandoli, non è sempre possibile essere vicini a loro, è bene anche
meditare su di loro da lontano. Studia le loro fotografie; cerca di attrarre e
di assorbire il magnetismo del loro comportamento divino.
Non è esagerato affermare che, in ultima analisi, l’atteggiamento è tutto.
Anche senza conoscere nulla dello yoga o della meditazione, con il giusto
atteggiamento si raggiungerà infine Dio. Al contrario, senza un retto
comportamento, un’intera vita di pratiche yogiche potrebbe sviluppare
nient’altro che l’orgoglio spirituale, e dunque una concentrazione delle
proprie energie all’esterno.
Il mondo, immerso com’è nell’illusione, ci fa spesso credere che gli
atteggiamenti migliori sono quelli che ci coinvolgono ancor più
nell’illusione. L’egocentrismo, ad esempio, viene spesso considerato dagli
ignoranti come un segno di forza; il cercare il proprio tornaconto personale
viene scambiato per praticità, l’avarizia per parsimonia, l’irrequietezza per
vitalità interiore e la risata sguaiata per un sicuro segno di gioia interiore.
Segui dunque l’esempio dei santi. Tuttavia, dato che probabilmente
dovrai frequentare anche persone materialiste e trascorrere più tempo con
loro che con i santi, riferisciti anche al loro esempio, ma studia il risultato
finale dei loro atteggiamenti. Anche da un punto di vista materialistico, i
comportamenti che danno i frutti più dolci sono quelli che sgorgano con la
massima purezza da una fonte interiore: l’amore altruistico invece che
possessivo; il desiderio di correggere se stessi piuttosto che gli altri; una
libertà interiore in ogni azione e in ogni rapporto umano; una visione
impersonale, con la quale si può godere anche del mondo, ma senza
ricondurre costantemente ogni cosa a se stessi.
Lo yogi progredito vede in ogni cosa l’unico Sé divino, ma il
principiante deve coltivare, oltre a una visione divinamente impersonale,
anche un più intimo atteggiamento devozionale nei confronti del Signore.
Questo atteggiamento si esprime nel risveglio di Kundalini ed è un passo
necessario affinché ciò avvenga.
Come ho già spiegato, Kundalini rappresenta il polo negativo,
femminile, nella natura di ogni individuo. Sarebbe un errore pensare a
Kundalini come a un’energia cieca: essa (o ella) rappresenta infatti una
parte integrante dell’intera umanità. Essenzialmente, la natura dell’uomo è
androgina, poiché l’anima non ha sesso. Mascolinità e femminilità non sono
che i poli duali attraverso cui l’anima si manifesta in una forma limitata.
Quanto più ci si avvicina a comprendere l’essenziale unità di tutta la vita,
tanto meno la coscienza si polarizza. Paramhansa Yogananda riuniva in sé
la natura compassionevole della perfetta madre sempre pronta al perdono e
la saggezza imparziale del padre ideale. Era perfino difficile per molti
riconoscere a prima vista se egli fosse uomo o donna. Anandamayee Ma,
una grande santa indiana, sembrava veramente un’incarnazione fisica della
Madre Divina dell’universo, tuttavia camminava spesso con l’andatura di
un generale. Trattava inoltre con tale disinvoltura i più profondi argomenti
di filosofia astratta, che i più eruditi studiosi dell’India si rivolgevano a lei
per chiarire dei punti particolarmente difficili.
Anche colui che pratica lo yoga dovrebbe sempre cercare di
“depolarizzarsi”, considerandosi non come uomo o donna, ma come
l’anima unificante. Dovrebbe vedere anche gli altri in questo modo,
accertandosi al tempo stesso che il suo atteggiamento nei loro confronti sia
impersonale, proprio come lo è l’anima. Gli antichi desideri potrebbero
altrimenti ingannarlo attraverso la filosofia, convincendolo ad accettare i
sostituti fisici dell’unione divina. Sarebbe preferibile, all’inizio, considerarsi
androgini – uomo ideale e donna ideale a un tempo – piuttosto che senza
sesso, come l’anima è in realtà.
Kundalini, come ho detto, è un’energia femminile e per risvegliarla
dobbiamo sviluppare atteggiamenti essenzialmente femminili: devozione,
abbandono, servizio, ricettività e umiltà nell’avvicinarci a Dio, gentilezza,
compassione, perdono e collaborazione nei nostri rapporti con gli altri. Gli
uomini grossolani, che vedono nella donna solo un oggetto sessuale e
mettono in ridicolo tutte le qualità femminili, rivelano chiaramente che
dentro di loro Kundalini è così profondamente addormentata da essere del
tutto inconscia. Anche le donne che si sentono attratte da uomini simili sono
spinte da ciò che si può definire, per lo meno dal punto di vista spirituale,
un desiderio di morte.
L’energia di Kundalini è essenziale per il risveglio spirituale. Poiché le
sue vibrazioni sono femminili, per le donne è più naturale sintonizzarsi con
essa che per gli uomini. È per questo che le donne sono più attratte al
sentiero spirituale, mentre gli uomini sfuggono la religione come un’attività
da femmine. (Anche gli organi riproduttivi rivelano che la naturale
direzione di Kundalini è verso l’alto nelle donne, verso l’esterno negli
uomini.) In verità, poiché la vivacità mentale e la vitalità fisica sono
associate a un movimento verso l’alto di Kundalini, l’impressione è che le
donne siano maggiormente portate a essere più vivaci ed energiche rispetto
agli uomini. Se osservi le persone, scoprirai che è vero.
Nessun uomo potrà eccellere nella vita se disdegna lo sviluppo del lato
femminile della sua natura; e nessuna donna potrà avere successo senza
coltivare risolutamente il suo lato maschile, ponendosi obiettivi che non
siano solo definiti, ma anche impersonali. Nessuno dei due sessi, tuttavia,
potrà riuscire nella vita senza prima risvegliare il lato femminile.
Nella natura umana, Kundalini rappresenta la spinta più profonda e
inconscia alla separazione dallo Spirito. A un livello più cosciente, questa
spinta viene percepita nel centro del cuore, attraverso le attrazioni e
repulsioni. Anche la pura coscienza femminile associata al risveglio di
Kundalini si avverte più facilmente nel cuore. Per sviluppare le qualità
divine di devozione, ricettività, abbandono e così via, focalizzati su questo
centro, non sulla sede di Kundalini. L’energia del cuore diventerà allora un
magnete, che farà risalire verso l’alto Kundalini, strappandola alle regioni
inferiori nelle quali è rimasta intorpidita dal sonno di molte ere.
La concentrazione nel centro del cuore, comunque, è del tutto secondaria
rispetto alla concentrazione sulle qualità associate alla consapevolezza di
quel centro. Medita dunque su quelle qualità divine.
Nel suo libro La scienza sacra, Swami Sri Yukteswar afferma che
l’attributo fondamentale per svilupparle è la fermezza del coraggio morale,
che corrisponde alla capacità di seguire i principi di niyama – “ciò che si fa”
sul sentiero spirituale – presentati nella quinta lezione di questo corso.
Come ha scritto Sri Yukteswar, «conseguendo questa abilità si
rimuoveranno tutti gli ostacoli dal sentiero della salvezza. Essi sono di otto
tipi: l’odio, la vergogna, la paura, il dolore, la condanna, il pregiudizio
razziale, l’orgoglio di stirpe e un gretto sentimento di rispettabilità.
Rappresentano le otto meschinità del cuore umano, le quali, una volta
rimosse, danno luogo a biratwam, o mahatwam (la magnanimità del
cuore)».
La meditazione sulle qualità divine è particolarmente efficace se
abbinata allo studio delle vite di santi e maestri. Gesù, ad esempio, dimostrò
la sua grande compassione chiedendo il perdono per i suoi nemici dalla
croce. Yogananda rispondeva a chi gli chiedeva perdono dicendo: «Beh, che
altro potrei fare?». E un giorno, nell’incontrare un uomo che si dichiarava
suo nemico e che per anni lo aveva diffamato, gli disse dolcemente:
«Ricorda, ti amerò per sempre».
Una giovane donna di nome Sabari viveva in una foresta circondata dalle
capanne di numerosi asceti molto austeri. Tutti in quella foresta erano
devoti a Rama, e tutti, tranne Sabari, praticavano severe discipline ascetiche
nella speranza di compiacerlo. Il cuore di Sabari, però, era troppo colmo
d’amore per essere attratto da pratiche così aride; la giovane, inoltre, aveva
una comprensione troppo semplice della filosofia, per poter godere come gli
altri dei lunghi discorsi. Ogni giorno, invece, ella spazzava amorevolmente i
sentieri della foresta, sperando di rendere più facile il cammino al Signore
quando – ne era certa – sarebbe passato di là.
Che bisogno ha il Signore di sentieri puliti? Lui che può passare
liberamente ovunque? Lui che è già ovunque? C’è tuttavia un sentiero che
Egli non può percorrere: quello nel cuore bloccato dall’orgoglio. Sabari,
spazzando i sentieri del bosco, preparava una strada sgombra anche nel
proprio cuore. Quando infine Rama visitò quella foresta, oltrepassò le
capanne dei grandi asceti e scelse di fermarsi nell’umile dimora di Sabari.
Sri Chaitanya, un grande santo dell’India medioevale, fu aggredito da
alcuni malviventi. In cambio delle loro percosse, diede loro un assaggio del
suo amore divino. «Avete fatto uscire sangue da questo corpo» disse «ora
farò uscire “sangue” dal vostro cuore!». Le loro vite furono completamente
trasformate da quell’incontro.
Il mio guru, una volta, fu avvicinato da tre rapinatori. Senza esitare diede
loro il suo denaro, quindi disse: «C’è però qualcos’altro che non potete
portarmi via, a meno che io non scelga di darvelo». «È impazzito?» si
chiesero quelli, con tono beffardo. All’improvviso il Maestro li inondò con
il magnetismo dell’amore divino. Sopraffatti da esso, gli restituirono
piangendo il denaro, dicendo che da allora in poi non avrebbero più potuto
vivere come prima.
Una volta il Maestro stava sostenendo una dura prova. Un discepolo gli
rivolse queste parole: «Com’è crudele la Madre Divina a trattarvi così,
quando sa che vivete solo per Lei!». «Come osi parlare in questo modo
della Madre Divina!» rispose il Maestro, indignato. Per lui, il completo
abbandono alla volontà di Dio era un principio assoluto.
Gli atteggiamenti elevanti e devozionali di cui sto parlando devono
essere rivolti soprattutto a Dio, nella preghiera e nella meditazione. È giusto
avere uno spirito di servizio verso gli altri, ma è ancora più importante
meditare con il desiderio di servire Dio, di donarsi a Lui, con la speranza
non di una ricompensa, ma di farGli piacere. È bene essere compassionevoli
e pronti al perdono con il prossimo, ma è ancora meglio, in un certo senso,
esserlo con Dio. Considera infatti da quanto tempo Egli brama il nostro
amore! Da quanto tempo ci chiama! Rinunciare alla nostra millenaria
indifferenza a Lui, alla ribellione della nostra anima contro il Suo
struggente amore, perdonare tutte le ferite che crediamo di aver ricevuto per
mano Sua (quando invece siamo noi ad aver creato quelle disarmonie, con
l’antica resistenza della nostra anima): questi sono gli atteggiamenti con cui
l’anima, finalmente pentita delle sue follie, può iniziare la lunga scalata per
ritornare alla sua eterna dimora in Dio. (Continua)

Hari AUM, Tat, Sat.


Filosofia
L’anatomia dello yoga, seconda parte

L’elevazione della coscienza che avviene quando l’energia si innalza


nella spina dorsale non ha solo una direzione generale: esistono anche stadi
specifici di sviluppo lungo il cammino. In particolari punti ben definiti
lungo il viaggio nella spina dorsale giungono nuove comprensioni intuitive,
così come di fronte a colui che sta scalando una montagna si aprono via via
panorami diversi. Dapprincipio egli vedrà sotto di sé la città immersa nello
smog, poi le colline verdeggianti immerse nella nebbia, quindi un mare di
nubi da cui emergono solitarie, come isole, le cime dei monti e dei colli, e
infine nient’altro che il cielo limpido e turchino, vette maestose e solitarie
vallate tra il verde e l’azzurro.
C’è comunque una meravigliosa differenza tra questo cammino
spirituale e un viaggio terreno: non è necessario compiere l’intero viaggio
per sperimentare almeno alcune delle meraviglie che si celano lungo la via.
Quando Kundalini si innalza fino alla zona del cuore, ad esempio, sentiamo
un grande amore per il Divino. Al tempo stesso, qualunque flusso di energia
verso l’alto in quella regione ci darà un qualche sentimento d’amore. Altri
flussi di energia nella stessa zona, pur non diretti verso l’alto, produrranno
emozioni di qualche tipo, cioè manifestazioni d’amore di natura inferiore.
Concentrandoci direttamente nel dirigere l’energia verso l’alto attraverso
quel centro, noi sviluppiamo la devozione. Il completo “risveglio” di quel
centro richiede che Kundalini si innalzi oltre quel punto, ma è possibile
sentire alcuni effetti di quel processo ben prima che Kundalini si sia
risvegliata. Lo stesso vale per gli altri centri spinali.
I centri spinali, o chakra, si trovano nei punti in cui le correnti tributarie
di energia si uniscono a Kundalini nel suo viaggio verso l’alto nella
sushumna, o spina dorsale profonda. Nell’essere umano non risvegliato,
quando il flusso principale dell’energia si dirige verso il basso,
allontanandosi dal cervello, l’energia è attratta lontano dalla sushumna
all’altezza di questi chakra, per compiere diverse funzioni esteriori. Così,
nel corpo fisico, questi centri spirituali corrispondono semplicemente ai
plessi spinali, dai quali si irradiano i nervi per fornire energia alle diverse
parti del corpo.
Vi sono sei di questi centri nella spina dorsale, che agiscono come cabine
elettriche, o trasformatori, per la dinamo principale dell’energia nel
cervello.
Nel suo stato non risvegliato, Kundalini riposa sotto il centro situato più
in basso di tutti, alla base della spina dorsale, chiamato muladhara chakra,
o centro coccigeo. Da questo centro si irradiano i nervi che si dirigono verso
le parti basse del corpo: l’ano e le gambe.
All’incirca quattro centimetri sopra muladhara si trova swadisthan
chakra, o centro sacrale. I nervi che si diramano da questo centro agiscono
sugli organi della riproduzione.
Nella zona della spina dorsale all’altezza dell’ombelico troviamo
manipur chakra, o centro lombare, i cui nervi si occupano dell’apparato
digerente.
All’altezza del cuore si trova anahat chakra, il centro dorsale, o centro
del cuore, dal quale si diramano i nervi che raggiungono il cuore, i polmoni,
il petto e le braccia.
Nella parte opposta alla gola troviamo vishuddha chakra, o centro
cervicale, dal quale i nervi si irradiano nella gola e nel collo.
Il centro situato più in alto nella spina dorsale è il midollo allungato, il
cui polo positivo è il centro cristico, o ajna chakra, nel punto tra le
sopracciglia. Come ho spiegato in precedenza, dal midollo allungato
l’energia cosmica nutre l’intero corpo.
Tuttavia, parlare solo delle funzioni fisiche di questi chakra spinali
sarebbe come definire un grande yogi nei termini del cibo che mangia.
Tutti, inoltre, sono almeno potenzialmente dei grandi yogi. Perfino nella
persona più mondana, i chakra esercitano in qualche modo le loro influenze
più sottili, psicologiche o spirituali, anche se ciò avviene in misura minore
in questo tipo di persone, che si dibattono nella corrente discendente della
coscienza.
Più una persona è materialistica, più quello che potremmo definire il suo
“centro di gravità” si troverà in basso; più una persona è spirituale, più quel
centro spirituale si troverà in alto. In questo modo, i tre chakra inferiori si
possono considerare più strettamente legati alla coscienza materiale, i tre
superiori alla coscienza spirituale. Chi desidera spiritualizzare la propria
coscienza dovrebbe cercare di concentrare sempre più l’energia nei tre
chakra superiori.
Lo studente potrebbe chiedersi: «Come possiamo risvegliare i centri
inferiori, se ci concentriamo esclusivamente su quelli superiori?». La
risposta è che la concentrazione sui centri superiori genera un magnetismo
che attira l’energia, facendo sì che il suo movimento nei centri inferiori sia
diretto verso l’alto. È questo flusso ascendente di energia nei chakra che
costituisce il loro risveglio. Se ci si concentrasse sui chakra inferiori, la
tendenza naturale dell’energia sarebbe di fluire verso il basso nella spina
dorsale. (In questo caso, sarebbero i chakra inferiori a generare il
magnetismo più forte, attirando in giù, verso se stessi, l’energia dei chakra
superiori.)
In ogni caso, non si tratta di una concentrazione esclusiva. In
proporzione, la triade superiore merita più attenzione di quella inferiore, ma
ogni chakra, in relazione alle sue diverse funzioni esteriori, può essere
spiritualizzato nel modo migliore se ci si concentra sulla sua fonte, piuttosto
che sugli effetti esterni del suo flusso di energia. Per questo motivo è una
buona pratica, durante la meditazione, cantare mentalmente AUM tre volte
in ogni chakra, salendo e scendendo diverse volte lungo la spina dorsale. In
questo modo, l’energia si ritira un po’ dall’esterno del corpo verso i chakra.
Quando senti l’energia in questi centri, attirala verso l’alto concentrando la
tua attenzione nei centri superiori, specialmente nel centro cristico tra le
sopracciglia.
Quando l’energia si focalizza nel centro dorsale, o anahat chakra, ed è
diretta in alto da quel punto verso il centro cristico, percepiamo una
vibrazione di amore divino.
Quando l’energia è concentrata nel centro cervicale, o vishuddha chakra,
ed è diretta in alto da quel punto, sentiamo una profonda calma interiore e
un senso di espansione.
Quando l’energia è profondamente focalizzata nel punto tra le
sopracciglia, sperimentiamo la gioia divina e la coscienza dell’anima.
Anche i centri inferiori hanno i loro aspetti spirituali.
Ritirando l’energia dal centro coccigeo, o muladhara chakra,
sviluppiamo sempre più il potere di seguire interiormente, come pure
esteriormente, le regole di yama (controllo), i “non si fa” del sentiero
spirituale. Come ho accennato nella quarta lezione, quanto più
perfezioniamo queste regole, tanto più ne manifestiamo i frutti positivi. Il
frutto della perfetta non-violenza è che perfino le bestie selvagge e i feroci
criminali diventano addomesticati o docili in nostra presenza. Il frutto del
perfetto non-mentire è il potere di ottenere i frutti dell’azione senza neppure
agire. Quando la terza regola di yama, il non-rubare, diventa fermamente
radicata, la ricchezza ci giunge ogni qualvolta ne abbiamo bisogno. Col
perfezionamento della non-sensualità, la quarta virtù di questa serie, lo yogi
acquista un grande vigore. E quando la non-avidità, l’ultimo di questi
principi, diventa salda al punto che non siamo più identificati con i nostri
averi e il nostro corpo, acquisiamo il potere di ricordare le nostre precedenti
identità in altri corpi.
Ritirando l’energia dal centro sacrale, sviluppiamo sempre più il potere
di seguire interiormente, oltre che esteriormente, i principi di niyama, i “si
fa” del sentiero spirituale. Raggiungendo la perfezione anche in questi
principi via via che si continua a progredire spiritualmente, si ottengono
ricompense sottili, come ho accennato nella quinta lezione. Dalla
contentezza si sviluppa il potere di realizzare la beatitudine divina. Tramite
l’austerità interiore si sviluppano le cosiddette siddhi, o poteri miracolosi.
Con lo studio del sé (swadhyaya) si sviluppa la capacità di entrare in
comunione con gli esseri delle sfere superiori dell’esistenza. E con la
devozione al Signore Supremo si sviluppa il potere di entrare in comunione
con Lui.
In ogni caso, la maggior parte di questi poteri implica un certo grado di
risveglio anche dei centri superiori. Pertanto, è solo quando l’energia
comincia a essere ritirata dal centro lombare, o manipur chakra, che si
sviluppa un vero, dinamico, “focoso” autocontrollo.
Il progresso spirituale non è una rigida progressione da A a B a C. C’è
una direzione generale di sviluppo, e ci sono stadi ben definiti in questo
sviluppo. Tuttavia, come un esercito che avanza, le varie parti della propria
natura raggiungono questi stadi in momenti diversi. Alcune persone, non
appena sentono un po’ di energia in un chakra particolare o sperimentano
un accenno dello stato di coscienza che gli yogi hanno attribuito a quel
chakra, immaginano di averlo già pienamente risvegliato e di essere libere
di procedere allo stadio di sviluppo successivo. Sfortunatamente, la
questione non è così semplice. L’avanzata di un esercito su un fronte non
implica una vittoria completa; molto spesso, grandi conquiste in alcuni
settori della lotta spirituale sono accompagnate, per lo meno
temporaneamente, da risultati deludenti in altre aree. Perfino yogi assai
progrediti potrebbero non essersi liberati dell’orgoglio, della gelosia o
dell’intolleranza. Naturalmente, in uno stato di perfezione finale tali
debolezze non esistono più, ma il sentiero verso quello stato elevato è
lungo. Fin quando non si è raggiunta la meta, ci sono tappe di risveglio,
perfino in ogni chakra.
In realtà, non si può dire che un centro spinale sia stato risvegliato fino a
quando Kundalini non lo abbia attraversato con tutta la sua forza. Non è
sufficiente che semplici sprazzi di energia si siano innalzati dalla base della
spina dorsale; questi non sono che le avanguardie di Kundalini, inviate a
esplorare il campo, per così dire, in vista di una successiva invasione. C’è
una grande differenza tra questi lampi di ispirazione relativamente piccoli e
il potente flusso verso l’alto di Kundalini, simile a un fiume in piena nel
quale, in corrispondenza dei chakra, si riversano gli affluenti tributari
dell’energia.
Come ho accennato nella settima lezione, nella sezione dedicata alla
meditazione, i centri spinali corrispondono ai cosiddetti “elementi”
fondamentali della materia: terra, acqua, fuoco, aria ed etere, che non
rappresentano elementi chimici, ma stadi della manifestazione materiale
legati agli elementi, dai sottili gas cosmici alla materia solida. Così come la
Natura può essere propriamente compresa solo ripercorrendo le sue
manifestazioni fino alla loro essenza più sottile, anche l’uomo può essere
compreso ripercorrendo la sua identità fino allo Spirito, del quale non è che
una manifestazione.
Ognuno dei centri spinali rappresenta un diverso “elemento”: così, il
centro più basso rappresenta la terra, l’elemento più grossolano; il centro
sacrale è associato all’elemento acqua; il lombare al fuoco; il dorsale
all’aria; il cervicale all’etere. A mano a mano che ogni centro si risveglia, lo
yogi comprende i principi sottili di cui ogni elemento è una manifestazione.
In questo modo, egli conquista la padronanza – anche in senso oggettivo –
di quell’elemento. Lo yogi viene messo in guardia dall’usare i suoi poteri
spirituali per un’ostentazione esteriore, poiché potrebbe soccombere alla
tentazione dell’orgoglio. La manifestazione di quei poteri, tuttavia, gli
fornisce almeno una prova oggettiva in base alla quale determinare se le sue
esperienze esteriori siano veramente supercoscienti, oppure i semplici
prodotti subconsci di una fervida immaginazione.
Il disegno mostra i canali nervosi (nadi) e i centri (chakra) della spina
dorsale. Le linee continue indicano la direzione generale del movimento
dell’energia in i a e pingala; il canale centrale è la sushumna; le linee
tratteggiate indicano il percorso effettivo di i a e pingala. Per semplicità, in
queste lezioni non ci siamo soffermati molto sulla loro complicata
traiettoria; si sperimentano infatti come un flusso diretto, non sinuoso.
Questi poteri apparentemente miracolosi,20 comunque, si sviluppano
solo con il pieno risveglio di Kundalini e dei centri spinali. Esistono altre
prove per determinare se un centro è per lo meno stimolato nel modo
giusto? I corrispondenti cambiamenti di coscienza potrebbero essere troppo
sottili per essere prontamente riconosciuti. Inoltre, la semplice
concentrazione dell’energia in un chakra non è una garanzia che il flusso
dell’energia sarà verso l’alto; spesso, specialmente in riferimento ai tre
chakra inferiori – e perfino in qualche misura per il centro del cuore –
un’insolita concentrazione di energia significa un flusso verso il basso,
piuttosto che verso l’alto.
In termini generali, si è al sicuro se il flusso generale dell’energia nella
spina dorsale sembra essere ascendente. C’è comunque anche una prova più
specifica: l’armoniosa stimolazione di ogni centro è accompagnata (anche
se non sempre) da suoni sottili, che si odono correttamente nell’orecchio
destro. Con la stimolazione del centro coccigeo, sentiamo il suono del
calabrone; del sacro, il suono di un flauto; del lombare, quello di uno
strumento a corda che viene pizzicato; del centro del cuore, o dorsale, il
suono di una campana profonda; e con la stimolazione del centro cervicale,
il suono del vento o dell’acqua che scorre. Quando vengono percepiti in
modo meno perfetto, alcuni di questi suoni possono subire le seguenti
variazioni: invece del ronzio del calabrone (con la stimolazione del centro
coccigeo) si ode il suono di un motore; invece del flauto, si sentono grilli o
un gocciolio d’acqua; invece di una campana profonda, come un gong, si
ode una campana dal suono più alto.
Tutti questi suoni sono manifestazioni della Vibrazione Cosmica
dell’AUM. La comunione con questi suoni, e soprattutto con l’AUM, è un
aspetto di vitale importanza nelle pratiche superiori dello yoga.21
Nel frattempo, durante la meditazione, cerca di ascoltare attentamente
nell’orecchio destro i suoni che ho descritto. Per sintonizzarti con il Suono
Cosmico dell’AUM, canta AUM al punto tra le sopracciglia, mettendoti al
tempo stesso in ascolto con profonda concentrazione.
Il settimo chakra, il più alto, situato sulla sommità del cervello, è
conosciuto come sahasrara, o loto dai mille petali. Pur essendo il centro
superiore, deve essere raggiunto attraverso il centro cristico. Tramite la
profonda meditazione nell’occhio spirituale – il campo circolare di luce blu
circondato da un anello dorato che appare spontaneamente quando la mente
è profondamente concentrata nel centro cristico – un sottile passaggio viene
a formarsi da quel centro fino alla sommità del capo. Cercare di raggiungere
sahasrara con un altro percorso sarebbe inutile; si dice inoltre che sia
pericoloso.
Ho appreso con interesse da uno studioso e sacerdote della Chiesa
Cattolica che Santa Teresa d’Avila ha affermato in uno dei suoi scritti (io
non ho mai trovato quel brano) che la sede dell’anima si trova sulla
sommità del capo. I sinceri ricercatori di ogni religione non possono che
scoprire da sé le realtà spirituali via via che progrediscono sul sentiero,
anche se nessuna tradizione ufficiale li ha preparati a incontrare quelle
realtà.
In verità, si può dire che sahasrara rappresenti l’anima nel suo aspetto di
Essere Perfetto, quello stato supremamente elevato in cui il piccolo sé si è
immerso nell’Infinito. Anima, comunque, è un termine piuttosto vago, che
sta a significare il lungo ponte sull’abisso tra la coscienza dell’ego e la
coscienza di Dio. Si pensa solitamente che perfino l’ego, nelle sue
manifestazioni più devozionali, esprima un aspetto della coscienza
dell’anima; ma non sono questi aspetti inferiori della coscienza dell’anima a
essere centrati nel sahasrara.
La sede dell’ego, come ho già detto, si trova nel midollo allungato. La
coscienza dell’ego deve essere trasformata in coscienza dell’anima
attraverso la prolungata concentrazione nel centro cristico, fino a quando il
centro della propria coscienza non si sposti in quel punto. Un maestro
illuminato agisce, pensa e vive sempre dal centro cristico. La sua coscienza
si centra nel sahasrara solo quando cessa ogni azione e l’anima si fonde
con l’Infinito nel samadhi. Il centro cristico, quindi, rappresenta anch’esso
un aspetto della coscienza dell’anima: l’ego spiritualizzato, l’anima nel suo
stato di manifestazione attiva. Per scopi pratici, e per tutti coloro che non
sono anime pienamente illuminate, possiamo dire che il centro cristico
faccia le veci del sahasrara, come se fosse il settimo chakra. Infatti, esso
non è solo il polo positivo del sesto centro (il midollo allungato), ma serve
anche, al posto del sahasrara, come sede della coscienza dell’anima
nell’aspirante yogi.
Oh, yogi! Sforzati sempre di agire, pensare e vivere dal centro cristico
nel lobo frontale del cervello, tra le sopracciglia. Non aspettare di diventare
un maestro per vivere come un maestro; è vivendo in modo divino fin da
ora che si diventa divini. Rinuncia all’ego! Tu non sei quel piccolo sé.
Dimora sempre nel pensiero della libertà dell’anima, della guida dell’anima
che emette i suoi raggi soavi dal tuo centro cristico.
Tu sei l’Atman immortale. Tu sei Spirito. L’universo stesso, pur così
vasto, è inferiore alla maestosità della tua anima. Le stelle e i pianeti, così
come il tuo stesso corpo, sono manifestazioni di realtà spirituali che puoi
scoprire a livelli più profondi del tuo essere interiore. L’universo fisico non
è che un simbolo di quelle realtà superiori; il piccolo simboleggia sempre il
grande, mai l’inverso. Poiché quelle realtà possono essere realizzate solo
nel Sé, non è sbagliato affermare che l’universo è il simbolo esteriore del
mondo interiore dell’uomo.
In questo senso, il mio guru disse che il sole è il simbolo dell’occhio
spirituale, e non il contrario.
Anche la luna è un simbolo: dell’ego umano. Così come la luna si limita
a riflettere la luce del sole, anche l’ego non ha una realtà propria, non ha
una sua luce, se non quella che riflette dall’anima. Le divinità indù sono a
volte rappresentate con la luna sulla fronte, per indicare che la loro
coscienza dell’ego (normalmente centrata nel midollo allungato) è stata
trasformata in coscienza dell’anima nel centro cristico. Il Signore Shiva è
perfino rappresentato con la luna tra i capelli nella zona di sahasrara, per
indicare che il suo ego si è completamente immerso nello Spirito Infinito.
L’astrologia indù, che si è evoluta come lo yoga in un’epoca più
spirituale, non è che un’estensione della scienza interiore dello yoga e del
suo “zodiaco” di centri spinali. Nei tempi antichi le costellazioni e i pianeti
erano considerati espressioni oggettive di profonde verità soggettive della
natura umana. Sfortunatamente, gran parte di quella conoscenza è stata
dimenticata.
Ero solito chiedermi perché gli scrittori affermassero a volte che la
conoscenza dell’astrologia è uno strumento prezioso per una profonda
conoscenza dello yoga. Cercando una risposta, mi misi a studiare un po’ di
astrologia e scoprii che gli astrologi non sono solitamente dei pozzi di
comprensione spirituale. Alla fine, l’unica cosa che mi rimase da fare fu
meditare sull’argomento. In meditazione, mi giunsero risposte che
sembravano inevitabili. Almeno un’altra persona, uno studioso indiano,
yogi progredito e profondo esperto di questa antica conoscenza, ha
approvato le mie correlazioni. Vorrei quindi esporre quella “scoperta”, con
la speranza che non vada persa per mancanza di un’altra opportunità di
presentarla.
Nel ventiseiesimo capitolo dell’Autobiografia di uno yogi, Paramhansa
Yogananda afferma che i sei centri spinali, che diventano dodici per
polarità, corrispondono ai dodici segni zodiacali. I centri spinali sono
polarizzati dal movimento ascendente e discendente dell’energia nei canali
nervosi i a e pingala.
È possibile correlare questi centri spinali più specificamente ai segni
zodiacali? Certo, e con esattezza. E non solo ai segni, ma anche ai pianeti
che governano quei segni e alla tradizionale polarità positiva o negativa di
ogni segno. Questa correlazione, inoltre, non è una semplice curiosità
intellettuale; potrà aiutarti ad approfondire la comprensione dei chakra.
Dobbiamo iniziare mettendo in relazione la costellazione dell’Acquario
con il centro coccigeo alla base della spina dorsale. L’Ariete, non
l’Acquario, è solitamente il punto d’inizio dello zodiaco, ma per motivi che
sarebbe troppo lungo spiegare (in proporzione alla loro importanza),
l’Acquario è il ragionevole punto d’avvio per lo “zodiaco” spinale. Da
questo punto, inoltre, scopriamo che ogni altra cosa trova la sua perfetta
collocazione. L’intersezione di i a e pingala con i chakra fa sì che tutti i
segni positivi si trovino nella parte sinistra della spina dorsale (che è la loro
sede naturale), e tutti i segni negativi nella parte destra. I governanti
planetari per i diversi segni si riferiscono in ogni caso allo stesso chakra,
salendo e scendendo lungo la spina dorsale: Saturno al coccigeo; Giove al
sacrale; Marte al lombare; Venere al dorsale; Mercurio al cervicale. Il sole e
la luna, che si riferiscono al polo positivo e negativo del midollo allungato,
nell’astrologia governano un segno ciascuno.22
Rahu e Ketu, che nella mitologia indù sono la testa e la coda del drago e
nell’astrologia indù i nodi nord e sud della luna, si correlano inoltre
perfettamente alle correnti ascendenti e discendenti in i a e pingala. Questa
correlazione è rafforzata dal fatto che Kundalini è rappresentata, come
abbiamo visto nella lezione precedente, come un drago. I a e pingala, come
testa e coda del drago, si diramano in direzioni opposte dalla base della
spina dorsale. Inoltre, come nodi nord e sud della luna, i a e pingala si
incontrano nel midollo allungato, la sede fisica della luna nel corpo.
La posizione di Venere nel centro del cuore sarà meglio compresa
considerando che il tradizionale nome indù per Venere è Shukra, il mitico
guru dei demoni. I “demoni” nell’uomo sono le sue emozioni, che si
collegano naturalmente al cuore. Per inciso, l’antico nome latino per il
pianeta Venere era Lucifero.
Quando avviene il risveglio divino, il naturale centro della “luna”
diviene il punto tra le sopracciglia; quello del “sole” diviene sahasrara, il
“loto” dai mille petali sulla sommità del cervello.
Marte, il cosiddetto pianeta “focoso” è un simbolo appropriato per il
centro lombare, sede dell’“elemento” fuoco nell’uomo.
Saturno, con la sua influenza costrittrice, è il simbolo perfetto per il
centro coccigeo, la sede dei principi limitanti di yama (i “non si fa” del
sentiero).
Mercurio, la cui tradizionale irrequietudine mentale, una volta
spiritualizzata, si risolve naturalmente nel suo opposto – la profonda calma
mentale e la consapevolezza espansa – è un buon simbolo per i raggi di
coscienza che emanano dal centro cervicale, calmo e non coinvolto nella
materia.
Giove, l’insegnante divino che espande in modo impersonale i nostri
orizzonti,23 simboleggia in modo appropriato il centro sacrale e la sua
associazione con i principi di niyama, i “si fa” sul sentiero spirituale. È
interessante che Krishna, il guru cosmico, sia solitamente raffigurato mentre
suona il flauto, poiché il flauto, come ho detto in precedenza, è il suono che
emana dal centro sacrale durante la meditazione.
Se un pianeta nel nostro oroscopo è debole, possiamo provare a
migliorarne l’influenza meditando sul corrispondente chakra nel corpo e
armonizzando le vibrazioni in quel punto. Tuttavia, se è uno dei chakra
inferiori a essere coinvolto, non meditare su di esso, ma sul chakra situato
in posizione corrispondente nella triade superiore: sul centro del cuore per
armonizzare le vibrazioni nel coccigeo, sul centro cervicale per armonizzare
il sacrale, e sul centro cristico per armonizzare il lombare.
Le “costellazioni zodiacali” interiori e i loro governanti sono una chiave
per comprendere le qualità fondamentali dei chakra. Le linee continue
indicano la direzione generale del movimento dell’energia, quelle
tratteggiate mostrano il percorso effettivo nei canali nervosi i a e pingala. I
a simboleggia Rahu (nella mitologia, la testa del drago); pingala
simboleggia Ketu (la coda del drago); Kundalini rappresenta il drago stesso.
Nel mio libro Il segno zodiacale come guida spirituale, ho affrontato la
questione più generale di come la pratica dello yoga possa aumentare la
sensibilità alle influenze universali, accrescendo quelle favorevoli e
minimizzando quelle nocive. Alla fine, però, con una meditazione sempre
più profonda, bisogna raggiungere il punto in cui si riceve solamente
l’influenza di Dio. Lo scopo più profondo del comprendere le influenze
relative dei segni e dei pianeti è capire che il cosmo esteriore, come ho già
detto, è solo un simbolo di quello interiore. Ci è d’aiuto anche comprendere
che dentro di noi si trova l’intero universo della verità che stiamo cercando.
I pianeti simboleggiano anche i vari aspetti esteriori del sentiero
spirituale: Saturno il nostro dharma, o dovere spirituale nella vita; Giove il
nostro guru personale, o guida spirituale. Non sto cercando di includere un
corso di astrologia in queste lezioni, anche se potrei dire molto di più per
mettere in relazione la scienza delle stelle con la scienza interiore dello
yoga.24 Tuttavia, quest’ultimo punto (il rapporto tra Giove e il proprio guru)
merita forse di essere incluso.
Le Scritture dell’Induismo affermano che l’uomo procede nella sua
evoluzione spirituale in cicli di dodici anni. (Esamina la tua vita e osserva
se l’età di dodici, ventiquattro, trentasei, quarantotto anni ecc. non sia stata
spiritualmente importante.) Dodici anni è l’arco di tempo necessario
affinché Giove compia un intero ciclo nello zodiaco. Sebbene i movimenti
celesti esteriori siano fissi, le correnti interiori di energia relative a quei
movimenti esterni possono essere influenzate dai nostri sforzi spirituali, e
dalla Grazia del nostro guru. Questo ciclo spirituale di dodici anni, in
particolare, può essere notevolmente accelerato intensificando le correnti di
pran e apan in i a e pingala, specialmente se si adotta come vera chiave
della pratica una profonda sintonia devozionale con il proprio guru.
La tecnica per eccellenza per potenziare queste correnti spinali, e dunque
la tecnica fondamentale in tutto lo yoga, è stata introdotta in America dal
mio grande guru, Paramhansa Yogananda. L’iniziazione al Kriya Yoga è
disponibile tramite Ananda.25
Come ho accennato nella lezione precedente, le correnti ascendenti e
discendenti in i a e pingala sono direttamente correlate alle onde del nostro
processo reattivo, le attrazioni e repulsioni che formano la base della nostra
illusione. Concentrandoci su queste correnti interiori piuttosto che sugli
specifici destinatari delle nostre simpatie e antipatie, possiamo
gradualmente portare sotto il nostro controllo l’intero processo reattivo e,
infine, neutralizzarlo. È per questo che nell’ultima lezione ho suggerito di
cercare di portare le correnti verso l’alto nella spina dorsale (attraverso i a)
con una coscienza che afferma la vita, e verso il basso della spina dorsale
(attraverso pingala) con il pensiero di escludere dalla propria vita ogni
negatività e schiavitù mentale. Questi atteggiamenti mentali ti aiuteranno a
controllare quelle correnti. Finché non avrai imparato il Kriya Yoga, cerca
semplicemente di osservare il respiro nella spina dorsale; sentilo salire con
l’inspirazione e scendere con l’espirazione.
Lo schema mostra il movimento delle correnti in i a e pingala così come
avviene realmente e la polarizzazione dei chakra che ne consegue (positiva
quando le correnti fluiscono a sinistra, negativa quando fluiscono a destra).
A mano a mano che la consapevolezza delle correnti spinali si
approfondisce, diventa possibile utilizzarle non solo per neutralizzare il
processo reattivo interiore (le attrazioni e repulsioni), ma anche per
stimolare l’ascesa di Kundalini. Infatti, se la corrente ascendente in i a ha a
che fare con la nostra affermazione della vita esteriore, è solo perché è
simile alla gioia che proviamo interiormente quando l’energia nella spina
dorsale profonda (la sushumna) sale verso il cervello. Allo stesso modo, la
corrente discendente in pingala è simile al ritirarsi dell’ego in se stesso, che
accompagna il flusso discendente dell’energia nella spina dorsale profonda.
Tuttavia, mentre questo flusso di energia nella spina dorsale profonda
riflette l’allontanarsi dell’ego da Dio, e in relazione a Lui non va quindi
ulteriormente incoraggiato, in relazione al mondo esterno questo ritirarsi
dell’ego è il primo passo verso l’offerta di sé al Signore.
Nella pratica del Kriya Yoga, così come in metodi più rudimentali di
controllo delle correnti spinali, cerca di seguire questo suggerimento:
quando senti le correnti fluire con forza in i a e pingala, cerca di usare la
corrente ascendente in i a per stimolare il movimento ascendente di
Kundalini; poi immergiti ancor più profondamente nella sushumna con la
corrente che scende in pingala.
Questa tecnica ha un ulteriore merito: ci aiuta a liberarci dai samskara
(le tendenze sottili) che bloccano il flusso ascendente di Kundalini. Questi
samskara – i “semi” del karma, come vengono chiamati – sono il risultato
di azioni ripetute (karma) del passato, non solo di questa vita, ma di molte
incarnazioni passate. Ogni samskara costituisce un sottile vortice di energia.
Ci sono innumerevoli vortici di questo tipo nella spina dorsale.26 Finché
l’energia in essi contenuta non sarà stata liberata per poter fluire verso
l’alto, il movimento ascendente di Kundalini sarà lento e il suo progresso
sarà ostacolato.
In realtà, nella sua ascesa, Kundalini “brucia” gradualmente i semi
karmici dei samskara. Una volta “bruciati”, essi non possono più
germogliare in azioni esteriori; la loro energia diventa invece libera di unirsi
a Kundalini nel suo viaggio verso l’alto. Questo processo di “bruciatura”,
come lo chiamano gli yogi, è possibile perché un forte flusso di energia crea
un potente campo magnetico. Un forte campo magnetico rompe tutti i
campi più deboli con i quali entra in contatto, e trasmette loro il suo
magnetismo.
Il compito di ricanalizzare, o ripolarizzare, l’energia che è tenuta
intrappolata dalle antiche tendenze addormentate può essere notevolmente
facilitato incrementando il flusso di energia in i a e pingala. Così come il
respiro è usato in vari esercizi yogici di respirazione (e specialmente nel
Kriya Yoga) per intensificare il flusso di energia in i a e pingala, anche il
cosiddetto “respiro astrale”, cioè il flusso di energia in i a e pingala, viene
usato per magnetizzare la sushumna, incrementando in tal modo il flusso
ascendente di energia che la attraversa. Anche il flusso discendente di
energia in pingala è utile in questo senso, se lo si usa per immergere la
coscienza sempre più profondamente nella sushumna. Il successo nella
trasmutazione delle tendenze passate dipende infatti dalla misura in cui
possiamo lavorare su di esse dal di dentro. Solo dalla sede stessa
dell’Essere è possibile dissolvere finalmente ogni illusione.
Infine, intensificare le correnti in i a e pingala può aiutarci a ridirigere il
flusso dell’energia nei chakra. I chakra vengono descritti metaforicamente
negli scritti sullo yoga come “fiori di loto”, i cui “petali” sono formati da
raggi di energia.27 Questi petali sono normalmente rivolti verso il basso,
vale a dire che i loro raggi di energia fluiscono all’esterno, verso i sensi.
Mediante la pratica dello yoga dobbiamo girare i petali verso l’alto,
rivolgendoli verso il cervello. La forza principale per ridirigere questa
energia nei chakra è Kundalini, ma anche il flusso di energia intensificato in
i a e pingala può rendere più rapido il processo.
Oh, yogi, sforzati dunque di vivere sempre più nella spina dorsale!
Ricorda: tutto ciò che cerchi in questo mondo lo troverai nel tuo stesso Sé.
Metti in relazione ogni inspirazione con un “respiro” ascendente di energia
nella spina dorsale, attraverso la nadi i a, e ogni espirazione con un
“respiro” discendente di energia nella spina dorsale, attraverso la nadi
pingala. Usa il respiro fisico per attivare la pompa, per così dire, del respiro
astrale nella spina dorsale. Oh, yogi! Vivi di più nella spina dorsale!
Sforzati poi, meditando sempre più profondamente, di immergere la tua
coscienza nella spina dorsale profonda, il leggendario fiume del battesimo.
Là, persuadi Kundalini a fluire verso l’alto e ad arrendersi finalmente a Dio.
Ricorda che per far salire Kundalini non è necessario tenere la mente
concentrata nella regione in cui essa dimora. Ricorda anche che la
concentrazione nel centro cristico non implica una separazione dal resto del
tuo corpo. Senti piuttosto, concentrandoti in quel punto superiore, che
nell’offerta completa di te stesso a Dio è coinvolta l’intera spina dorsale,
Kundalini compresa.

Insegnamenti yogici nella Bibbia


Gli insegnamenti dello yoga non si riferiscono a dogmi non dimostrati,
ma alle reali scoperte di grandi yogi nel loro progresso sul sentiero
spirituale. La verità è una. Lo yoga insegna verità universali, confermate da
altre grandi Scritture. E sebbene in nessun altro ambito si trovino spiegate
con tale abbondanza di dettagli le speciali comprensioni della realtà
presentate dallo yoga, i saggi insegnanti di altre religioni condividono
quelle intuizioni, come dimostrano molti brani dei loro insegnamenti.
La Sacra Bibbia, lungi dall’essere estranea a queste verità, ne contiene
moltissime. Ecco qualche brano che si riferisce ad alcuni degli
insegnamenti yogici presentati in queste due ultime lezioni.

La spina dorsale
Le Scritture dell’Induismo, come ho accennato altrove, paragonano il
corpo a un albero capovolto: la spina dorsale è il tronco, i capelli sono le
radici, e i nervi che si irradiano dalla spina dorsale sono i rami. È questo il
vero albero della vita, nel cui tronco scorre la linfa del divino risveglio. La
Bibbia si riferisce a questo “albero” in diversi punti.
La GENESI (3,24) parla dell’«albero della vita». Il riferimento è alla spina
dorsale. L’Apocalisse dice: «Al vincitore darò da mangiare dell’albero della
vita, che sta nel paradiso di Dio» (APOCALISSE 2,7). Il «paradiso di Dio» è il
mondo interiore e spirituale dell’uomo.
Sempre nell’APOCALISSE, 22,14, leggiamo: «Beati coloro che lavano le
loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte
nella città». Le «porte» sono i chakra, in particolare l’ajna chakra, o centro
cristico.
Dei tre canali spinali (i a, pingala e sushumna) e dei sette chakra si parla
in ZACCARIA 4,2-3: «E [l’angelo] mi disse: “Che cosa vedi?”. Risposi:
“Vedo un candelabro tutto d’oro [la sushumna]; in cima ha un recipiente
[sahasrara] con sette lucerne [i sette chakra] ... Due olivi gli stanno vicino
[i a e pingala], uno a destra e uno a sinistra”».
Troviamo nuovamente un riferimento ai sette chakra nel primo capitolo
dell’Apocalisse, che il mio guru analizzò nel suo corso per corrispondenza.
Dei sei centri spinali (dodici per polarità) si parla in APOCALISSE 22,1-2:
«Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva
dal trono di Dio e dell’Agnello [l’Agnello si riferisce all’interiore coscienza
cristica]. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume
si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni
mese...». Il «fiume» è la sushumna. L’«albero della vita» in questo caso si
riferisce a i a e pingala («da una parte e dall’altra del fiume»), poiché
Giovanni non sta parlando di sei chakra («frutti»), ma di dodici, cioè
tenendo conto dell’effetto polarizzante che le correnti ascendenti e
discendenti in i a e pingala hanno su di essi.
Anche Ezechiele si riferisce a una visione dei chakra: «Io ti posi sul
monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco» (28,14). Il
«monte di Dio» è un simbolo mistico universalmente utilizzato per indicare
le vette della divina realizzazione; le «pietre di fuoco» si riferiscono a una
visione della luce astrale che arde in ogni chakra.

Kundalini
Di Kundalini si parla in NUMERI 21,8-9: «Il Signore disse a Mosè: “Fatti
un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo
guarderà resterà in vita”. Mosè fece un serpente di rame e lo mise sopra
l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il
serpente di rame restava in vita».
Due tipi di serpenti sono nominati in questo passo: quelli ordinari, che si
riferiscono al movimento discendente di Kundalini che attira l’uomo nei
piaceri del mondo; e il «serpente di rame», vale a dire la luce brillante del
movimento ascendente di Kundalini. Solo Kundalini, splendente e
risvegliata, ha il potere di curare l’uomo dal «morso» velenoso
dell’illusione.
Anche Gesù si riferisce a questo risveglio di Kundalini: «E come Mosè
innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio
dell’uomo» (GIOVANNI 3,14). «Figlio dell’uomo» in questo caso non
significa Gesù, ma il corpo fisico in contrasto con l’anima. Questa
coscienza fisica deve essere «innalzata» con l’ascesa della forza del
serpente, Kundalini.

Ajna chakra
All’ajna chakra, o centro cristico nella fronte, si fa riferimento in diversi
punti. L’APOCALISSE (22,4-5) ne parla con queste parole: «Vedranno la sua
faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non
avranno più bisogno di luce di lampada, né luce di sole, perché il Signore
Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli».
Gesù ha parlato dell’occhio spirituale in un brano che è stato tradotto
diversamente nelle recenti edizioni della Bibbia, poiché nessuno era in
grado di capire l’immagine dell’occhio «singolo». Tuttavia, per lo yogi
l’immagine è perfettamente chiara. Il brano si trova in MATTEO 6,22: «La
luce del corpo è l’occhio: se dunque il tuo occhio sarà singolo, tutto il tuo
corpo sarà pieno di luce».28
L’occhio spirituale nel centro cristico non è stato descritto
dettagliatamente in queste lezioni, ma nel suo centro è visibile una stella
bianco-argentea. Fu questa la stella che i magi videro «in Oriente», e che
seguirono fino alla mangiatoia in cui era nato Gesù. L’espressione «in
Oriente» si riferisce alla fronte. La parola per Oriente in antico ebraico era
kedem: “ciò che viene prima”. Era dunque naturale usare la parola Oriente
anche per riferirsi alla fronte. La fronte viene definita anche in altre
tradizioni mistiche come l’Oriente del corpo, dato che il sole del risveglio,
l’occhio spirituale, si vede in quel punto.
«Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò
l’uomo che aveva creato» (GENESI 2,8). Molti eruditi hanno cercato
alacremente di scoprire dove si trovasse il giardino dell’Eden. In realtà, non
dobbiamo cercare più in là del nostro occhio spirituale!
«Mi condusse allora verso la porta che guarda a Oriente ed ecco la gloria
del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale» (EZECHIELE 43,1-2).
Gesù disse: «Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la
mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già
biondeggiano per la mietitura» (GIOVANNI 4,35). Gli appagamenti terreni
devono sempre essere cercati nel futuro. Solo Dio vive nell’Eterno Presente.
Solleva lo sguardo e osserva la luce bianca nella fronte: solo lì si trova
l’eterno appagamento.
Il consiglio di «levare gli occhi» si incontra frequentemente negli scritti
spirituali di ogni epoca, poiché è in questa posizione che gli occhi
contemplano il divino regno interiore.
«Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto» dice il salmista.
«Il mio aiuto viene dal Signore» (SALMO 121).

Posizioni yoga
Tra tutte le tecniche per il risveglio di Kundalini, la migliore è quella del
Kriya Yoga di Lahiri Mahasaya, che Paramhansa Yogananda ha portato in
Occidente. Le tecniche che sono insegnate nell’Hatha Yoga comprendono le
seguenti:

KECHARI MUDRA
Una mudra è una posizione yoga che è specialmente studiata per
risvegliare le energie spirituali nel corpo. Tra tutte le mudra, Kechari è una
delle più importanti. Sfortunatamente, è anche una delle più difficili.
La lingua va portata dietro il palato molle in modo che la punta entri in
contatto con alcune terminazioni nervose presenti nella cavità nasale. Se
non è possibile portare la lingua così indietro, la punta può essere
posizionata contro l’ugola (l’appendice di tessuto molle che è appesa al
palato molle nella parte posteriore della bocca). Ho già sottolineato che
questa mudra è ottima per stimolare l’afflusso di energia nel corpo quando
si digiuna. Lo scopo principale è quello di risvegliare Kundalini.
Kechari Mudra può essere praticata quanto a lungo si desidera. Vale
sicuramente la pena di diventare maestri di questa tecnica, se è possibile.
L’ostacolo principale alla sua pratica è, di solito, l’insufficiente lunghezza
della lingua e del frenulo (la corda che collega la lingua alla base della
bocca).
La lingua può essere allungata “mungendola” con un panno inumidito.
Tirala all’infuori e verso il basso alcune volte. Dovresti essere almeno in
grado di toccare il naso con la punta della lingua. È risaputo che gli esperti
di questa mudra sono in grado di toccare il punto tra le sopracciglia con la
punta della lingua. Si può allungare il frenulo rivolgendo la lingua
all’indietro e schiacciandone la base contro la parte superiore della bocca.
Lo si può anche rendere più morbido tirando fuori la lingua e sfregando
gentilmente il frenulo a sinistra e a destra al di sopra dei denti inferiori. (In
nessun caso il frenulo va tagliato, come hanno suggerito alcuni autori poco
scientifici. Il frenulo è stato collocato in quella posizione dalla Natura per
impedire di ingoiare la lingua. Tagliarlo potrebbe anche recidere il nervo
che va alla lingua. Potrà volerci più tempo per allungarlo piuttosto che per
tagliarlo, ma accelerare questo processo con una lametta sarebbe sciocco e
pericoloso. Non avrei neanche accennato a questa pratica, se non fosse per
il fatto che alcuni autori hanno consigliato ai loro studenti di fare
esattamente questo. Una volta Yoganandaji si espresse molto duramente
contro questa pratica, quando uno dei suoi studenti, su consiglio di uno di
questi autori, aveva iniziato a tagliarsi il frenulo.)
Puoi meditare in Kechari Mudra quanto tempo desideri. Non ci sono
limiti di tempo alla pratica di questa tecnica.

Benefici: le energie positive e negative nella lingua e nei passaggi nasali


(o ugola), quando vengono unite, creano un ciclo di energia nella testa che,
anziché permettere all’energia di fluire all’esterno del corpo, genera un
campo magnetico che attira l’energia verso l’alto dal corpo e dalla base
della spina dorsale al cervello. Si dice che durante il samadhi la lingua si
giri spontaneamente all’indietro. L’assunzione di questa mudra aiuta ad
accelerare l’avvento di stati di coscienza profondi e spirituali.

ASWINI MUDRA
(Contrazione anale, conosciuta anche come Mula Bandha)

Siedi in una qualsiasi posizione meditativa, ma preferibilmente in


Siddhasana. Contrai i muscoli anali e senti che stai dirigendo l’energia in
alto dal centro coccigeo (muladhara) attraverso il centro della spina dorsale.
Puoi ripetere questa contrazione diverse volte. Tira anche in dentro lo
stomaco, se lo desideri, come per forzare l’energia a salire verso la regione
del cuore.
Questo esercizio si esegue spesso in abbinamento alle seguenti posizioni:

JALANDHARA BANDHA
(la Chiusura del mento)

Premi saldamente il mento contro lo sterno, il più possibile vicino alla


gola. Inspira lentamente e trattieni il respiro per tutto il tempo in cui
mantieni la posizione. Senti che stai dirigendo l’energia in alto nella spina
dorsale, nel centro cervicale o vishuddha chakra, e da lì al cervello. (Jala
significa cervello. Dhara significa la spinta verso l’alto dell’energia diretta
al cervello.)
JIVHA BANDHA
(la Chiusura della lingua)

Gira all’indietro la punta della lingua verso l’ugola; schiacciandola


energicamente contro il palato molle, muovila in avanti attraverso la parte
superiore del palato fino a quando si appoggia saldamente contro la base dei
denti anteriori. Schiaccia tutta la lingua contro la parte alta del palato, in
modo tale da riempirlo completamente con la lingua. Questo esercizio viene
a volte eseguito in abbinamento a Simhasana (la posizione del Leone) e a
Viparita Karani (la posizione Semplice capovolta). Con Simhasana, la
bocca dovrebbe restare aperta, mentre con Viparita Karani dovrebbe
rimanere chiusa.

Benefici e Precauzioni: la chiusura della lingua in abbinamento a


Viparita Karani fa di questa posizione una potente mudra, che non si
dovrebbe mantenere troppo a lungo. La pressione della lingua contro il
palato spinge con forza in alto, verso il cervello, le sottili energie spinali.

Respirazione

Come abbiamo già visto, il respiro sottile, nonché la causa interiore del
respiro fisico, sono costituiti dall’energia che fluisce nella spina dorsale. È
su questo processo di respirazione astrale e sottile che si basa la suprema
scienza del Kriya Yoga. Poiché in questa lezione abbiamo parlato
dell’importanza di risvegliare i centri spinali attraverso un’intensificazione
del flusso dell’energia spinale, e poiché abbiamo anche considerato vari
mudra e bandha per la stimolazione di queste correnti, vorrei ora
sottolineare quegli aspetti della respirazione che sono in particolar modo
collegati a questo insegnamento.
Pratica Jalandhara Bandha, premendo quanto più possibile il mento
contro la gola e, mentre inspiri, concentrati nel dirigere in alto l’energia
nella spina dorsale, fino al cervello. Combina questa tecnica con Aswini
Mudra, tirando in dentro anche lo stomaco mentre inspiri e dirigendo così
con forza l’aria nella parte superiore dei polmoni. Canta mentalmente AUM
nel punto tra le sopracciglia. Dopo l’inspirazione, rilassa tutte le contratture,
espira e ricomincia. La durata complessiva di questa pratica dovrebbe
essere di circa un minuto all’inizio, aumentando gradualmente il tempo fino
a due o tre minuti.
Come passo successivo, solleva il mento il più in alto possibile e senti
che con il piegamento all’indietro della testa stai nuovamente portando
l’energia dal centro del cuore al cervello. A questa posizione non viene
associata alcuna respirazione. Semplicemente, canta AUM nel punto tra le
sopracciglia per circa un minuto all’inizio, aumentando poi gradualmente
fino a due o tre minuti.
Rilassati e siediti in modo confortevole in una qualsiasi posizione
meditativa. Immagina una corrente che sale molto lentamente nel centro
della spina dorsale, dalla base fino al midollo allungato e poi, attraverso il
cervello, fino al punto tra le sopracciglia. (La durata di questa salita non
dovrebbe essere inferiore a un minuto.) Senti ogni chakra mentre attiri la
corrente attraverso di esso; puoi anche cantare AUM nel chakra e
visualizzare i raggi provenienti da quel chakra che si girano all’insù verso il
cervello. Inizialmente, pratica questa terza fase della tecnica solo una volta,
ma in seguito ripetila due o tre volte, se lo desideri.
Infine, pratica Ujjayi Pranayama. Inspira lentamente attraverso entrambe
le narici, mantenendo la gola leggermente contratta in modo da produrre un
leggero suono che ti aiuterà a sentire il respiro nella gola anziché nelle
narici, e dirigi in alto la corrente di energia nella spina dorsale. Quando il
respiro è nel punto più alto, pratica la contrazione anale e quella del mento,
trattenendo il respiro per la stessa durata dell’inspirazione. Rilassati
riportando il mento in posizione normale ed espira lentamente attraverso la
narice sinistra per lo stesso conto dell’inspirazione.

Sequenze

I bandha, così come gli esercizi di respirazione e gli altri esercizi che
sono stati insegnati nelle sezioni “Posizioni” e “Respirazione” della
tredicesima lezione, dovrebbero essere eseguiti dopo la sequenza di
posizioni yoga, come preparazione alla meditazione. Pratica prima le
posture, poi il rilassamento profondo in Savasana. In seguito siediti per la
meditazione e inizia la pratica con Aswini Mudra (la Contrazione anale).
Aggiungi a essa il Sollevamento dello stomaco e Jalandhara Bandha (la
Chiusura del mento); fai seguire Jivha Bandha (la Chiusura della lingua).
Poi pratica la successione di esercizi indicata nella sezione precedente. Se ti
piace (e se sei in grado!) pratica Kechari Mudra, mentre dirigi lentamente
l’energia in alto nella spina dorsale con l’esercizio che è stato descritto
nell’ultima sezione.
Non eccedere in queste tecniche. Nonostante tutte le tecniche che si
praticano durante la meditazione, almeno un quarto d’ora (e possibilmente
di più) del tempo a disposizione per la pratica spirituale dovrebbe essere
dedicato al godimento della pace che si percepisce, e alla semplice
aspirazione devozionale del cuore verso l’Amato Cosmico.

Guarigione
Le gambe e i piedi

I problemi alle gambe e ai piedi rappresentano uno dei malanni più


comuni della nostra epoca, in cui si trascorre molto tempo seduti o in piedi
ma non abbastanza muovendosi con sufficiente vigore per mantenere le
gambe adeguatamente esercitate e per fare in modo che il sangue scorra in
esse come dovrebbe. I piedi doloranti possono avere un effetto affaticante
su tutto il corpo. In effetti, stupisce con quanta facilità si possa rimuovere la
fatica di una lunga giornata di lavoro semplicemente assumendo una delle
posizioni capovolte e consentendo così al sangue di defluire dalle estremità
inferiori.
Le posizioni che sono particolarmente benefiche per le gambe
comprendono: tutte le posizioni capovolte; Vajrasana (la posizione Stabile);
Supta-Vajrasana (la posizione Stabile supina); Janushirasana (la posizione
Testa-ginocchio); Paschimotanasana (l’Allungamento posteriore)
concentrandosi sull’allungamento nei tendini sotto le ginocchia;
Salabhasana (la posizione della Locusta); Padmasana (la posizione del
Loto); Utkatasana (la posizione della Sedia); Pavanamuktasana (la
posizione del Vento libero).
Tutti gli esercizi indicati in questa lezione per elevare l’energia nella
spina dorsale aiutano a ritirare l’energia dalle gambe e a rilassarle.
Uno dei problemi che le persone hanno con le posizioni yoga è
rappresentato dai crampi ai piedi e alle ginocchia. A volte la causa è una
mancanza di sali minerali – in questo caso, assumerne una quantità
maggiore è ovviamente la cura – ma si può avere sollievo ai crampi ai piedi
anche in questo modo: in piedi, appoggia il dorso del piede a terra e scarica
il più possibile il peso sul lato posteriore delle dita, in modo da portare il
tallone in direzione del pavimento.
I crampi si possono superare anche assumendo qualsiasi posizione
capovolta.
Per i piedi piatti, cerca di portarti quanto più possibile sulle punte dei
piedi, poi piega le ginocchia e abbassati restando sulle punte dei piedi,
infine riportati nuovamente in piedi dritto. Ripeti questo movimento diverse
volte in modo vigoroso.
Le vene varicose, come ho già spiegato nelle lezioni precedenti, possono
trarre grande giovamento, se non addirittura essere curate, dalle posizioni
capovolte e specialmente da Sirshasana (la posizione sulla Testa).
Una pressione gentile sui piedi con i pollici può essere estremamente
distensiva e rinfrescante per tutto il corpo. È difficile da eseguire da soli. Se
ti è possibile, ricorri all’aiuto di qualcun altro per esercitare questa
pressione in modo molto gentile e lento su ogni parte del tuo piede,
comprese le dita. Fatti anche massaggiare l’area morbida al di sopra dei
talloni, compresi i tendini. La pressione può essere alternata con un gentile
movimento circolare del pollice; in questo caso, i movimenti circolari
dovrebbero essere sufficientemente piccoli da coprire solo la specifica area
che il pollice è impegnato a massaggiare in quel momento.
A volte si scopre che una gamba è più corta dell’altra, non a causa di un
effettivo accorciamento della gamba stessa, ma dello spostamento delle
vertebre nella spina dorsale. In questi casi, un semplice aggiustamento
chiropratico è spesso d’aiuto.29
La persona deve sdraiarsi sul lato in cui la gamba sembra più corta.
L’arto inferiore deve essere dritto e la gamba superiore piegata in maniera
tale per cui il ginocchio rimane sospeso in avanti e la caviglia si appoggia
sul ginocchio inferiore. Il braccio superiore deve essere posizionato in
maniera tale che il gomito resti sospeso posteriormente, con la mano sul
petto vicino alla spalla.
La persona che esegue la manipolazione deve mettersi di fronte al
“paziente” e posizionare una mano alla base della colonna, appoggiando
l’avambraccio sull’anca; l’altra mano deve essere collocata sulla spalla. Una
spinta all’indietro sulla spalla, accompagnata da una simultanea trazione in
avanti sull’anca, produrrà un aggiustamento che dovrebbe aiutare a rendere
uguale la lunghezza delle gambe.
Una buona posizione che può essere d’aiuto nel produrre questo stesso
aggiustamento è Ardha Matsyendrasana (la mezza posizione di
Matsyendra), mantenendo rivolto verso l’alto il ginocchio della gamba che
deve essere allungata. Questo aggiustamento è indicato anche per i dolori
alla parte bassa della schiena.

Alimentazione

La conoscenza dell’India antica si espandeva in molti campi. Yoga è il


nome dato a un aspetto di quella cultura: la scienza dello sviluppo
spirituale. Questa scienza ha i suoi aspetti fisici, in modo particolare
nell’Hatha Yoga. Anche l’Hatha Yoga, tuttavia, fu sviluppato
principalmente per la sua utilità nella crescita spirituale. La scienza dello
yoga non fu un fenomeno unico, isolato, dell’antica cultura dell’India, ma
l’applicazione a una fase della vita di un’intuizione che penetrò in tutti gli
ambiti dell’esistenza.
La scienza medica dell’India antica, ad esempio, è strettamente correlata
agli insegnamenti dello yoga. È conosciuta come Ayurveda.Si tratta di una
scienza, altamente complessa ed estremamente sofisticata, che con il tempo
si dimostrerà degna di una dettagliata investigazione da parte della scienza
medica.
Il fondamento dell’Ayurveda è, in un certo senso, lo stesso dello yoga.
L’attenzione è focalizzata sul rafforzamento della forza vitale, o energia,
piuttosto che esclusivamente sulle funzioni meccaniche degli organi del
corpo.
Gli insegnamenti dell’Ayurveda in materia di alimentazione, sebbene non
facciano necessariamente parte della tradizione yogica, sono tuttavia
compatibili con gli insegnamenti dello yoga. In questo contesto sembra
opportuno accennarvi brevemente.
Secondo gli insegnamenti dell’Ayurveda, nell’atmosfera ci sono sottili
correnti magnetiche che influenzano il corpo in modo variabile in diversi
orari della giornata. È dunque importante armonizzare le funzioni del corpo
con queste influenze universali naturali.
Un’importanza notevole viene attribuita al rapporto tra i diversi orari del
giorno e la posizione del sole. Per tre ore dopo l’alba, ad esempio, è
sconsigliabile mangiare cibi solidi. Si può consumare una colazione leggera
a base di succo d’arancia e noci macinate (preferibilmente mandorle).
L’orario migliore nel quale consumare un pasto solido è tra le 9 e le 12 del
mattino. Si dice che il cibo assunto nel pomeriggio non sia facilmente
digerito e perciò sia dannoso per il corpo. Da mezzogiorno fino a sera
bisognerebbe assumere soltanto liquidi (ma tieni conto dell’intervallo di
quattro ore menzionato più sotto) oppure, se si ha fame, frutta e succhi di
frutta.
Il pasto serale, secondo l’Ayurveda, dovrebbe avvenire tra le 7 e le 8 di
sera, o perlomeno non prima delle 6 del pomeriggio.
Non bisognerebbe assumere acqua per quattro ore dopo un pasto. Se
l’acqua viene assunta durante il periodo della digestione, disturberà il
processo digestivo e tenderà a produrre indigestione e gonfiore intestinale.

Ricette

Piselli e patate con panna


500 g di piselli freschi (o surgelati)
800 g di patate cotte, tagliate a dadini
6 cucchiai di burro
2 cucchiai di curry in polvere
150 ml di panna
prezzemolo tritato
Cuoci i piselli; scolali. Fai fondere il burro in una padella e aggiungi il
curry in polvere. Amalgama la panna con la miscela di burro e curry, sala a
piacere; aggiungi i piselli e le patate alla salsa. Riscalda. Condisci con
prezzemolo.

Polpette quaresimali
150 g di cracker sbriciolati
75 g di noci, finemente macinate
100 g di formaggio piccante, grattugiato
3 uova
sale, pepe, cumino, salvia, origano e salsa di soia per insaporire

Mescola in un robot da cucina i cracker sbriciolati, le noci e il


formaggio. Insaporisci con sale, pepe, cumino, salvia, origano e salsa di
soia. Incorpora 3 uova sbattute fino a ottenere una consistenza leggera,
aggiungi un po’ d’acqua se necessario. Modella 16 palline e mettile da parte
fino a quando diventano sode.

Salsa:
100 ml di succo di pomodoro
2 cucchiaini di salsa di soia
100 ml di acqua
4 gambi di sedano
4 carote

Fai brasare le polpette in olio bollente e aggiungi la salsa bollente, alla


quale siano stati aggiunti 2 gambi di sedano e 2 carote, finemente tritati. Fai
cuocere a fuoco lento le polpette nella salsa per un’ora e mezza.

Meditazione
L’atteggiamento, seconda parte
Bali, un leggendario re dei tempi antichi, era un asura (demone). È così
che gli antichi saggi definivano le persone mondane, nelle quali l’ego e
l’orgoglio del possesso erano ancora forti. (Molte delle antiche leggende
dell’India, o forse tutte, sono profonde allegorie spirituali.) Bali, però, era
anche un brav’uomo, proprio come lo sono spesso le persone di questo tipo.
In verità, non era affatto “mondano” nel senso del termine comunemente
inteso in questa epoca oscura, ma era invece un devoto, che si era
sottoposto a severe austerità fino a ricevere la Grazia divina. Le sue
motivazioni per riceverla, tuttavia, e l’uso che ne fece quando l’ebbe
ottenuta, erano impuri.
Protetto dalle benedizioni del Signore, egli estese il suo dominio sui tre
mondi, sconfiggendo gli stessi dèi e spodestando il loro re, Indra. (Ciò
significa in realtà che, come molti devoti imperfetti, Bali attribuiva la
Grazia divina che aveva ricevuto nella meditazione al potere e allo
splendore del suo stesso ego.) Egli procedeva sul sentiero della conquista
interiore con questo pensiero illusorio: «Io e solo io sono il conquistatore!».
È possibile fare notevoli progressi sul sentiero e sviluppare grandi poteri
mistici, ma non conoscere ancora Dio perché si è intrappolati
nell’egocentrismo. Anche se l’orgoglio spirituale può farci credere che i
poteri interiori acquisiti con gli sforzi meditativi ci appartengano, in realtà il
potere appartiene solo al Signore. È per questo che Gesù pregava dicendo:
«Tuo è il regno, Tua la potenza e la gloria nei secoli». Ma Bali non era così
saggio; era un asura.
Ovviamente, gli dèi (le sue stesse tendenze superiori) furono offesi dalla
sua presunzione. Ma che potevano fare? Bali era diventato potente con
l’aiuto di Dio, pur essendosi appropriato di quella forza con una coscienza
egoica. Aditi, la madre di Indra, era fortemente addolorata per la sconfitta
del figlio. (In altre parole, la qualità “femminile” e devozionale in Bali,
“madre” della luce interiore, era particolarmente rattristata per la sua
arroganza.) Ella pregò profondamente Dio, che alla fine la benedì e
acconsentì a nascere in questo mondo attraverso di lei. Nacque nella forma
di un nano. (Nello stesso modo, umile e apparentemente insignificante, si
insinuano nell’anima i primi barlumi della vera intuizione.)
Qualche anno dopo, Bali organizzò un grande sacrificio, al quale invitò
tutti i Bramini. Il “Bramino nano”, come veniva chiamato il figlio di Aditi,
si presentò all’incontro splendente di luce interiore. Bali, ispirato dalle sue
radiose fattezze, gli chiese di esprimere un desiderio.
«Desidero solo tanta terra» rispose il nano «quanta ne posso coprire con
tre passi».
«Ti concedo volentieri questo desiderio» disse Bali «ma perché ti
accontenti di così poco? Potrei facilmente darti una grande tenuta, e sarei
ben lieto di farlo».
«Tre passi mi bastano» rispose il nano.
«Maestà!» esclamò il guru di Bali, Shukra. «Non vi rendete conto di
quale enorme concessione sia la vostra? È il sacrificio di tutto il vostro
regno. Non vedete che in questo piccolo Bramino risplende il fulgore
dell’Infinito? Che cos’è un solo passo per Lui? Con un passo, potrebbe
coprire l’intero globo!».
«Così sia» rispose Bali tranquillamente. «Ho dato la mia parola».
Il Signore cominciò subito a espandersi in ogni direzione, fino
all’Infinito. Con il Suo primo passo coprì tutta la terra; con il secondo, i
cieli. La Sua forma colmò l’universo. Egli sorrise quindi a Bali, dicendo:
«Come puoi mantenere la tua promessa, ora? Non c’è più posto perché io
possa fare il terzo passo».
«C’è, mio Signore» rispose Bali, finalmente con umiltà. Prostrandosi ai
Suoi piedi con perfetto abbandono, spiegò: «C’è ancora la mia testa. Vi
imploro di porre il Vostro piede su di essa e di tenervelo per sempre».
La capacità di abbandonarsi, come ho sottolineato nella lezione
precedente, è una virtù essenzialmente femminile. Tuttavia, la devozione, il
servizio, l’abbandono e altri atteggiamenti femminili, necessari per
percorrere il sentiero spirituale, si perfezionano – come nel caso di Bali –
abbandonando ogni attitudine personale e ogni senso di distinzione nella
visione di Dio come Sola Realtà. Questa prospettiva è essenzialmente
maschile.
I sentimenti personali, in altre parole, non dovrebbero essere indirizzati
in basso, verso una crescente coscienza delle distinzioni, ma in alto, verso
una visione di unità cosmica. Le simpatie e antipatie dovrebbero essere
dissolte in un abbraccio d’amore universale.
Allo stesso modo, le caratteristiche “maschili” dell’umanità dovrebbero
fluire verso l’alto, nella visione di un’unità sempre più ampia. La ragione,
che vede solo distinzioni ovunque, sarà inevitabilmente guidata verso il
basso, lontano dalla verità e in quella coscienza di separazione che è
l’essenza di maya (illusione).30
Per poter essere giustamente guidato, il sentimento deve fluire in alto,
verso la ragione, e farsi guidare da essa. A sua volta la ragione, per essere
dinamica e non solo teorica, guidata dalla saggezza e non dal desiderio,
deve nascere da un sentimento di calma ed essere sostenuta da quel
sentimento.
Quando invece la direzione della coscienza e dell’energia nella spina
dorsale è discendente, verso maya, la ragione (centrata nell’ajna chakra)
comincia a essere guidata dal sentimento (centrato nel cuore, o anahat
chakra). È per questo che, quando desideriamo intensamente una cosa,
anche se dannosa, la ragione di solito sostiene la nostra scelta, invece di
scoraggiarla. Per questo motivo sottile la pubblicità mira quasi sempre a
colpire le emozioni, poiché una volta conquistato il sentimento, è più
probabile che la ragione lo segua docilmente.
Quando coscienza ed energia sono invece dirette verso l’alto, il
sentimento viene guidato dalla ragione. È per questo che i sentimenti,
quando sono puri,31 seguono le indicazioni della ragione imparziale, invece
di ostacolarle. Le donne, infatti, si rivolgono solitamente agli uomini per
ricevere consiglio in questioni di imparzialità, dovere o giustizia; per lo
stesso motivo, le posizioni di potere sono sempre state assegnate soprattutto
agli uomini. Anche se ci sono stati eccellenti esempi di governanti donna
nel corso della Storia, e sebbene siano spesso le donne a determinare
realmente il corso degli eventi umani, gli antropologi non hanno mai trovato
le prove di una società, passata o presente, completamente matriarcale.
Dal punto di vista della meditazione, queste riflessioni sono importanti
soprattutto come linee-guida per indirizzare correttamente i nostri
atteggiamenti spirituali. Molti devoti, affascinati dalla dolcezza interiore
che accompagna i sentimenti di devozione e di divino abbandono,
scambiano il sentiero per la meta. Immaginano di trascorrere l’eternità
cantando a Dio, l’Amato Cosmico, servendoLo o adorandoLo, ma restando
comunque separati da Lui, invece di immergersi in Lui fino a divenire una
cosa sola.
Mirabai, una santa indiana del sedicesimo secolo, era una grande devota
di questo tipo. I suoi canti a Krishna sono tuttora popolari. Il sentiero di
gyana (saggezza) non faceva per lei; ella riteneva che fosse sufficiente per
tutta l’eternità cantare lodi a Dio.
Un’altra santa indiana, Gauribai, visse tre secoli più tardi. Anche
Gauribai scrisse canti devozionali, ma a differenza di Mirabai si immergeva
per lunghi periodi in samadhi, rimanendo immobile in quello stato
impersonale perfino per quindici giorni di fila. Gauribai apprese dal suo
guru di essere l’incarnazione di Mirabai, poiché quest’ultima non aveva
raggiunto la perfezione in gyana e aveva dovuto rinascere per porre rimedio
a questa santa manchevolezza.
La coscienza di un’esistenza separata nasce dall’illusione. La Bhagavad
Gita afferma: «Per colui che è veramente saggio, un dotto bramino, una
mucca, un elefante, un cane e un paria sono un’unica cosa» (V,18). Inoltre:
«È uno yogi completamente autorealizzato ... colui che considera allo stesso
modo una zolla di terra, una pietra e l’oro. Si erge supremo quello yogi che
nutre lo stesso sentimento per compagni, amici e nemici, parenti ed estranei,
per coloro che si dimostrano imparziali e coloro che lo odiano, per i buoni e
i malfattori» (VI,8-9).
Un santo, un giorno, fu assalito da una banda di malviventi che lo
picchiarono. I suoi compagni discepoli lo trovarono più tardi, privo di sensi,
ai lati della strada. Lo riportarono all’ashram e lo curarono amorevolmente,
fino a fargli riprendere i sensi. Quando il santo cominciò ad aprire gli occhi,
un suo confratello gli stava versando tra le labbra un po’ di latte.
«Riconosci chi ti sta nutrendo?» gli chiese dolcemente il monaco. «Sì»
rispose il santo con un sorriso beato «lo Stesso che mi ha picchiato prima!».
Raro è quel saggio che vede Dio in ogni cosa, e ogni cosa in Dio. È a
questo stato di coscienza che ogni devoto dovrebbe aspirare.
Oh, yogi! Impara a essere impersonale non solo con gli altri, ma anche
con te stesso. Comprendi di essere soltanto uno strumento del Divino. Da
solo non sei nulla. Da solo non puoi fare nulla.
La meta di ogni sforzo spirituale è immergere il piccolo sé nel Sé
Infinito. In quello stato, l’esistenza separata viene abbandonata per sempre.
L’ego lotterà con tutte le sue forze per resistere a quell’apparente
autodistruzione, ma quanto è meravigliosa l’Infinità! In essa esistono tutte
le cose, in essa nulla è mai perso. Come afferma la Bhagavad Gita: «Ciò
che è non potrà mai cessare di essere. Ciò che non è non potrà mai esistere»
(II,16). L’autoconsapevolezza non potrà mai essere distrutta. Da un lato,
essa semplicemente si espande, nella coscienza cosmica, fino all’Infinito;
dall’altro, essendo esistita in uno stato limitato, mantiene anche quella
identità, come una memoria eterna e incancellabile. L’Infinito ricorderà
sempre di essere stato, per qualche tempo, Mario Rossi. E poiché
nell’Eterno Presente non esistono passato o futuro, la memoria di Mario
Rossi è una consapevolezza vivente.
Nella meditazione, oltre ad avere pensieri devozionali, medita anche sul
tuo vero stato, senza forma. Pensa a una luce blu (il colore della coscienza
cristica). Visualizza questa luce mentre si espande gradualmente, colmando
il tuo corpo, la stanza in cui ti trovi, la tua città, il tuo Paese, il continente, il
mondo. Visualizza la luce espandersi oltre il mondo, nel sistema solare,
nella galassia, nell’intero universo manifesto. Tutte le cose brillano in
questa luce infinita. Le Scritture affermano: «Tat tuam asi! Tu sei quello!».
Soffermati sul pensiero della tua libertà infinita. Perché affermare sempre la
tua temporanea piccolezza? Patanjali ha detto che la divina realizzazione si
ottiene risvegliando smriti, la memoria divina. Nella meditazione, il devoto
ricorda infine chi e che cosa egli è realmente. Quello è lo stato di
illuminazione. Ogni pensiero che nutre quella memoria divina ti aiuterà a
ritrovare sempre più il riconoscimento della verità più alta: «Aham Brahm
asmi! Io sono Brahman!».

Hari AUM, Tat, Sat.


Filosofia
Il disegno yogico della vita

I popoli primitivi vivono in un mondo di miracoli. Ogni albero, ogni


fiore, appare loro come un potenziale segno dal cielo, forse addirittura una
divinità. Lo scintillio delle stelle nella notte indica il vivace interesse degli
dèi e delle dee per le vicende degli uomini; le gocce di pioggia sono lacrime
di Dio per il peccato e le sofferenze umane.
Com’è cambiato tutto questo con il nostro illuminismo moderno!
Oggigiorno c’è una spiegazione scientifica per ogni cosa, e se non c’è,
possiamo essere certi che presto l’avremo. Segnali apparenti e meravigliosi
non sono che “coincidenze”. I fiori non hanno altro scopo che attrarre le api
e propagare così la loro specie. Le stelle sono troppo lontane per interessarsi
agli affari umani e, ovviamente, non ne sarebbero coscienti neppure se
fossero più vicine. E la pioggia, come tutti sanno, è solo un fenomeno
meteorologico.
Ho sentito una volta la storia di un uomo che si recò a caccia di anatre in
un lago. Quando sparò alla prima anatra, il suo cane saltò fuori dalla barca e
andò a prenderla; ma invece di nuotare, corse sull’acqua.
Il cacciatore non poteva credere ai suoi occhi. Quando poi il cane corse a
prendere una seconda anatra, l’uomo si convinse di aver bevuto troppo.
Il giorno seguente portò con sé un testimone. Di nuovo, quando sparò
alla prima anatra, il cane saltò fuori dalla barca per prenderla e di nuovo
corse sull’acqua. L’uomo guardò l’amico per cogliere le sue reazioni. Non
ce n’erano.
«Sto diventando pazzo?» si chiese allora. Sparò a un’altra anatra, e anche
questa volta il cane corse a prenderla. Come aveva fatto poco prima,
l’amico osservò la scena senza alcun segno di interesse.
«N-n-non hai visto cosa ha appena fatto il mio cane?» chiese
ansiosamente il cacciatore.
«L’ho visto» rispose l’amico. «Quello stupido cane non sa nuotare».
Ciò che rende divertente questa storia non è l’ottusità dell’amico, che
non riconosce un miracolo quando lo vede, ma piuttosto l’esagerazione di
un atteggiamento che è diventato così comune al giorno d’oggi: una studiata
indifferenza verso tutto ciò che è insolito o straordinario, l’innata
convinzione che tutto possa essere spiegato come qualcosa di assolutamente
normale e comune.
È stata ovviamente la scienza moderna a incoraggiare questo
atteggiamento, con la sua fredda insistenza sulla necessità di accettare solo
ciò che può essere provato e dimostrato. Anche lo yoga esige prove, non
supposizioni: come la scienza moderna, lo yoga procede dal noto all’ignoto,
dal dimostrato a ciò che è ancora da dimostrare. In ognuna delle due
scienze, quella relativa alla materia e quella spirituale, si corre il rischio di
proiettare una grigia visione di mediocrità nel vasto universo di realtà
inesplorate, come se un inglese valutasse la grandezza di Einstein dalla sua
capacità di preparare un buon tè. Non sono solo gli scienziati e le persone
influenzate dal loro tipo di approccio a essere propensi a vedere ogni cosa
in termini prosaici. Anche molti yogi definiscono la loro scienza in base alla
capacità di curare la sinusite o l’insonnia, specialmente in Occidente, dove
lo yoga sta appena cominciando a essere conosciuto. Perfino in India, molti
yogi più intellettuali si riferiscono quasi con disprezzo agli stati di
coscienza più elevati, come se per giungere al samadhi bastasse fare un
piccolo salto al di là della normale coscienza umana.
La limitazione della scienza è che, pur sapendo generalmente a che
punto si trova, non può sapere dove sta andando. Lo yoga non ha questo
svantaggio. I grandi yogi di ogni epoca hanno raggiunto la meta finale della
pratica dello yoga; la loro visione, descritta nell’antica filosofia Vedanta,
costituisce un’importante integrazione all’approccio concreto della scienza
dello yoga.
A differenza dell’umanità moderna, gli antichi veggenti dell’India
compresero che l’uomo vive basandosi sulla propria filosofia di vita così
come sulla conoscenza pratica. Tutto ciò che egli fa esprime, in un certo
senso, quella filosofia. Il modo stesso in cui muove il corpo rivela
all’occhio sensibile se egli vede la vita come una serie di lotte contro nemici
sconosciuti e minacciosi, o come la costante ricerca di idee vecchie e
familiari da acquistare come oggetti di antiquariato, o invece come una
coraggiosa e gioiosa avventura nello splendente mondo dell’ignoto. L’uomo
non può pensare ed essere al tempo stesso privo di una filosofia.
La filosofia Vedanta descrive la vera meta della pratica dello yoga, per
evitare che i praticanti di yoga si dedichino a scalare formicai invece che
montagne. È una filosofia che si basa sulle reali esperienze di yogi
illuminati; non è quindi un sistema di pensiero separato, ma lo stesso
sistema espresso da una prospettiva diversa. Vedanta e Yoga sono due
gambe di un tripode.
La terza gamba è il sistema conosciuto come Sankhya. Mentre il Vedanta
descrive la Realtà Ultima e lo Yoga presenta la scienza attraverso cui quella
Realtà può essere realizzata, Sankhya esamina la condizione attuale
dell’uomo e il suo bisogno di cercare uno stato superiore.
Lo yoga è strettamente legato alle filosofie sorelle, tanto quanto la
scienza moderna è unita agli atteggiamenti culturali di cui fa parte. In realtà,
stiamo parlando di un’unica visione fondamentale della vita, considerata da
angoli diversi. Poiché in queste lezioni abbiamo affrontato quella visione
essenziale attraverso gli insegnamenti dello yoga, penso che sarebbe più
chiaro per lo studente se ci riferissimo ai diversi aspetti di quella visione di
base definendoli yogici. I maestri dell’India non perdono certamente tempo
a separare una filosofia dall’altra; per loro, simili distinzioni sono
puramente accademiche. In pratica, i tre sistemi sono uno.
Gli Yoga Sutra (Aforismi dello yoga) di Patanjali cominciano con questa
frase: «Adesso [iniziamo] lo studio dello yoga». Swami Sri Yukteswar, guru
del mio guru, spiegò che quella parola, adesso, significa una continuazione
della filosofia: la scienza dello sviluppo di sé dovrebbe essere affrontata
sinceramente solo quando lo studente si è convinto della sua profonda e
personale necessità di qualcosa di più elevato. Lo yoga, in altre parole, non
era inteso per filosofi da salotto. Alla base della giusta pratica dello yoga
deve esserci quella comprensione della transitorietà della vita che è il punto
focale della filosofia Sankhya. In ogni caso, poiché abbiamo già esplorato
molti di questi argomenti, vediamo ora l’intero disegno yogico della vita
dall’altro lato del tunnel: quello cosmico.

Le Scritture dell’Induismo offrono un’interessante interpretazione della


storia della Creazione: dicono che Dio, invece di creare l’universo, lo abbia
manifestato, divenendo l’universo stesso. Ciò non significa che, nel
diventare qualcosa di nuovo, la natura di Dio sia cambiata in alcun modo.
Neppure significa che Dio Stesso si evolve così come si evolve il Suo
universo manifesto. La Bhagavad Gita afferma esplicitamente che lo
Spirito, pur dimorando nel cuore di tutte le cose, non viene da esse
influenzato. Dove vi sono rabbia o odio, è solo il potere di Dio a essere
espresso, poiché non c’è altro potere da esprimere. Dio, però, pur
manifestandosi come rabbia, non è arrabbiato, e pur manifestandosi
nell’universo come bene e male, non è né l’uno né l’altro.
Si tratta forse dell’aspetto degli insegnamenti dello yoga più difficile da
comprendere per l’intelletto umano. I teologi cristiani hanno colto al volo
(con grande soddisfazione, purtroppo) questa opportunità, per dimostrare
che l’Induismo non ha affrontato responsabilmente la necessità dell’uomo
di combattere il male e di cercare il bene, e non gli ha proposto alcuno
Scopo Ultimo. In ogni caso, le Scritture non vengono scritte per sottrarre
all’uomo gli stimoli a essere buono, né per minare la consapevolezza del
suo scopo nella vita. Inoltre, anche se qualcuno dovesse scrivere un tale
libro e chiamarlo Scrittura, la gente di certo non vi farebbe ricorso per
migliaia di anni, ricordandone le parole con speranza nei momenti di buia
disperazione. Possiamo quindi affermare con certezza che quei teologi
hanno preso un granchio.
Il romanziere che “crea” il personaggio del furfante non è per questo
necessariamente un furfante. Quella creazione, se perspicace, è una
manifestazione dell’autore, nata da un’identificazione interiore di qualche
tipo con il suo personaggio. Il romanziere, però, con la sua empatia,
potrebbe essere in realtà un individuo migliore e più compassionevole della
maggior parte della gente, e non certo peggiore. Anche Dio esprime
all’esterno tutte le cose partendo dalla Sua coscienza. Dio non è un uomo,
non è una persona di qualche tipo, ma uno Spirito Infinito; infinito non
perché troppo vasto o troppo antico per essere contenuto nello spazio e nel
tempo, ma perché appartiene a un livello di realtà in cui spazio e tempo
semplicemente non esistono. Dio, o lo Spirito, è come un oceano, in
relazione al quale le forme manifeste della creazione sono come onde. Le
onde possono essere grandi o piccole, ma non si può dire che l’oceano
stesso diventi grande o piccolo di conseguenza: la quantità globale
dell’acqua in entrambi i casi è la stessa. Una parte dell’oceano assume la
forma delle sue onde, eppure l’oceano non può in alcun modo essere
definito in base a esse. Non è maggiormente oceano per il fatto di averle, né
lo è meno se non le ha. Se un’onda si infrange con violenza (diciamo, con
rabbia) contro un’altra, l’oceano non è diventato violento o adirato, poiché
esso è entrambe le onde: l’oppressore e l’oppresso. Una coscienza di
opposizione può sorgere solo da una coscienza di distinzioni essenziali; non
può esistere quando la visione della realtà è completa.
Se un’onda si erge torreggiante al di sopra delle altre, in qualche altro
punto dell’acqua si formerà semplicemente un vuoto. Ogni cosa deve essere
bilanciata, così che il livello medio dell’oceano rimanga costante. Allo
stesso modo, lo Spirito ha manifestato l’universo fenomenico attraverso il
principio di dwaita (dualità). L’unica coscienza dello Spirito, partendo da
uno stato di riposo centrale, ha messo in movimento una parte di Sé in
direzioni opposte, creando così l’apparenza di innumerevoli esistenze
separate. Queste esistenze, tuttavia, sono solo un’apparenza, come le onde
del mare; non hanno una loro realtà essenziale, separata dalla realtà del
mare.
Guardando da vicino la superficie dell’oceano non vediamo solo onde
grandi e piccole, ma anche ondine che seguono onde più alte, increspature
che rincorrono increspature più grandi, con sempre maggiore complessità
via via che le studiamo da vicino. Anche la dualità non è un semplice,
singolo movimento a sinistra, a destra, in alto o in basso rispetto allo Spirito
centrale e immobile, del quale comunque mantiene le sembianze. Ci sono
movimenti nei movimenti, dualità nelle dualità, opposizioni nelle
opposizioni, al punto che in questa confusa complessità perdiamo di vista la
natura essenzialmente immobile delle cose.
Tutto ciò che è manifesto ha il suo opposto: amore e odio, piacere e
dolore, caldo e freddo, luce e buio, positivo e negativo, maschile e
femminile e, sì, anche bene e male. Entro ognuno di questi opposti vi sono
delle relatività, come gradazioni di luce e buio nel fenomeno dell’oscurità o
gradazioni di bene e male entro il generale movimento della coscienza
verso la malvagità.
Che cosa sono, dunque, il bene e il male? Il male è quel movimento di
coscienza e di energia che oscura la realtà essenziale delle cose come
Infinito. Il bene è ciò che ci aiuta a chiarire quella realtà. La realtà stessa
semplicemente è; non c’è nessun’altra realtà in relazione alla quale possa
essere definita buona. Tuttavia nell’esistenza relativa, che è la condizione
delle cose nell’universo manifesto, il male è male perché oscura la vera
realtà e porta progressivamente alla schiavitù dell’illusione (maya), delle
limitazioni di ogni genere, della disarmonia, dell’inimicizia e dell’odio, che
sono semplicemente i segni dell’identificazione con un’espressione della
realtà (il proprio ego) a esclusione delle altre.
Il movimento della coscienza verso questo stato di progressiva dualità è
una vera e propria forza, necessaria per rendere manifesto l’universo. È
conosciuta come forza satanica. Dio, lo Spirito Supremo, non è direttamente
responsabile delle illusioni e delle sofferenze che risultano dall’esistenza di
questa forza. Per poter manifestare la creazione era necessario produrre un
movimento separatore della coscienza, ma le ulteriori ramificazioni di quel
movimento si sono sviluppate poiché quella forza stessa ha assunto
l’illusione di un’esistenza separata e ha cercato di perpetuare la propria
coscienza e individualità, sempre che si possa considerare individuale una
coscienza praticamente infinita, non limitata da alcuna forma. Satana – non
un essere vestito di rosso con corna, coda e piedi caprini, ma una forza
onnipresente e cosciente – è una realtà, testimoniata da tutti i maestri. Non è
solo un pensiero soggettivo nelle menti degli uomini, ma una corrente
universale di potere magnetico verso la quale l’uomo può essere attratto a
causa del suo stesso interesse e desiderio per l’infinita varietà dei fenomeni
manifesti, piuttosto che per l’unica coscienza dello Spirito che tutto
dissolve.
La corrente di coscienza opposta – dalla complessità alla divina unità – è
altrettanto necessaria per l’equilibrio cosmico. L’uomo può entrare anche in
questa corrente; sta a lui scegliere. Ogni corrente di coscienza ha il potere di
influenzare solo coloro che vi entrano per propria volontà. Supponendo che
molte persone, per colpa della loro ignoranza, siano già entrate nella
corrente negativa, avranno la possibilità di immergersi in quella positiva se
il loro interesse cambierà.
Non esiste qualcosa di più lontano o più vicino a Dio rispetto a
qualcos’altro, ma alcune cose sembrano più lontane o più vicine a seconda
che esprimano maggiormente l’aspetto illusorio della distinzione o le
qualità divine dell’unità e dell’armonia. Quanto più la nostra coscienza è
vicina all’oceano divino, tanto più percepiamo l’unità interiore di tutte le
cose e viviamo naturalmente in pace con l’universo. Quanto più la nostra
mente è attratta nell’incessante gioco della dualità, tanto più vediamo ogni
cosa come in conflitto con le altre, trovando ben poca armonia in noi stessi
e negli altri. Le onde basse, più vicine alla superficie dell’oceano, ci
ricordano maggiormente le sue calme profondità, rispetto alle onde alte che
si infrangono l’una contro l’altra in una tempesta. La coscienza delle
persone umili e spirituali fa comunque parte della dualità universale, ma
l’amore e la gioia che esse esprimono sono un amore altruistico e una gioia
che non nasce da eventi specifici, ma dal Sé. Tuttavia, se ci concentriamo
sulla tempesta della dualità, la qualità divina dell’amore si frammenterà
sempre più in innumerevoli desideri e attaccamenti, e la gioia si disperderà
in una miriade di insignificanti entusiasmi. Più alta sarà l’onda, più
profonda sarà la corrispondente depressione. Quando l’amore è
frammentato in molti desideri terreni, si manifesta anche come antipatie: le
attrazioni sono inevitabilmente bilanciate dalle repulsioni. Se si provano
intense simpatie, si proveranno anche intense antipatie. Lo stesso vale per la
gioia: quanto più la gioia è centrata nelle cose piuttosto che nel Sé interiore,
tanto più troveremo cose che ci renderanno anche tristi. Gli illusi credono
che una moltitudine di infatuazioni li renda più consapevoli, ma in realtà
l’eccessiva stimolazione prodotta da fattori esterni non fa che attutire la
consapevolezza. La persona che giustifica la propria esistenza
irresponsabile dicendo: «Beh, almeno io vivo!», non fa che smentire la
propria affermazione. Col passare degli anni diventa affaticata, cinica,
pesante, insensibile. La persona equilibrata e centrata interiormente, invece,
lungi dallo sprofondare lentamente in una palude di apatia, col passare del
tempo diventa sempre più gioiosa e consapevole.
Le gradazioni dell’apparente unione divina e della disunione illusoria,
del senso di unità con Dio e di separazione da Lui, vengono definite
nell’Induismo come i tre guna (qualità): sattwa (ciò che eleva o
spiritualizza), rajas (ciò che attiva o energizza) e tamas (ciò che rende
oscuro, apatico o inerte). Questi guna rappresentano non solo i diversi stadi
della manifestazione cosmica, ma anche le differenti direzioni di pensiero e
di energia che danno luogo a quelle manifestazioni. Così, perfino a livello
del sattwa c’è una qualche coscienza di distinzione, invece che di unità
cosmica. (Se così non fosse, il sattwa guna cesserebbe di esistere e l’anima
si immergerebbe nuovamente nell’unità con l’oceano dello Spirito.) Questa
coscienza rappresenta gli aspetti rajasici e tamasici del sattwa guna.
Potrebbe manifestarsi anche solo come il desiderio di aiutare gli altri;
tuttavia, questa coscienza della loro diversità, se continuamente accentuata,
potrebbe portare a poco a poco la mente così fuori da se stessa da perdersi
nei più profondi abissi del tamo guna.
Anche nelle profondità del tamas, d’altro canto, non può non esserci
almeno un impulso verso le realtà più elevate. A quel livello, il desiderio di
elevarsi attraverso il lavoro, di andare maggiormente d’accordo con i vicini
o perfino di rubare con più astuzia, rappresentano gli aspetti sattwici e
rajasici del tamo guna. Se una persona di questo tipo continuerà ad
accentuare quelle direzioni di consapevolezza positive dentro di sé, si
eleverà gradualmente verso la spiritualità.
L’intero universo, dunque, è una mescolanza di questi tre guna. La
qualità tamasica rappresenta l’allontanamento dallo Spirito e quindi (anche
se non viene solitamente definita in questo modo) la forza satanica. La
qualità sattwica rappresenta il richiamo divino in tutti gli esseri a
raggiungere l’unione con Dio, unica Fonte di tutta la vita. Tra questi due
opposti vi è la qualità rajasica, o attivante, paragonabile a un’auto in folle,
in cui il motore gira ma non è in grado di far muovere la macchina né avanti
né indietro. Sotto l’influsso di questo guna, la mente cerca la diversità
piuttosto che una direzione definita. Da questo attaccamento alla diversità,
potrebbe dirigersi verso un maggiore senso di affinità con le persone e le
cose, e quindi verso quel senso di unità fondamentale con esse che è
sattwico; oppure potrebbe spingersi sempre più verso un senso di
distinzione, rivalità e opposizione, sprofondando così gradualmente nel caos
spirituale del tamas. Il rajo guna conferisce un potere oggettivante sia al
sattwa che al tamas. Per le persone tamasiche rappresenta il passo
necessario verso il sattwa guna; per le persone sattwiche rappresenta il
primo allontanamento dalla realtà spirituale, che le porta a un
coinvolgimento con le cose del mondo che di per sé è più o meno neutro,
ma che può anche spingerle col tempo a dedicarsi eccessivamente alla
propria gratificazione personale e a entrare quindi – dalla porta principale,
per così dire – nella corrente del tamo guna che fluisce verso l’esterno.
Nel sattwa, come ho detto, c’è anche un pizzico di rajas e tamas, e nel
tamas c’è un pizzico di rajas e sattwa. Anche nel rajas sono presenti gli
altri due guna. Tutte le cose, come abbiamo visto, sono una mescolanza dei
tre guna. È la predominanza dell’uno o dell’altro guna che definisce una
cosa come fondamentalmente sattwica, rajasica o tamasica.
Gli stadi stessi della creazione esprimono i tre guna.
Quando lo Spirito ha iniziato a manifestare l’universo, una parte della
Sua coscienza si è mossa sotto forma di pensieri. Da questi pensieri si è
evoluto l’universo causale, o ideativo, un universo non di forme, colori e
strutture, ma di pure idee. Essendo il più vicino allo Spirito nella sua
manifestazione di pura coscienza, l’universo causale esprime
principalmente il sattwa guna.
Lo Spirito ha fatto poi vibrare più vigorosamente i Suoi pensieri. Come
una persona addormentata, i cui pensieri prendono gradualmente forma per
diventare un sogno, così una porzione delle idee manifeste di Dio è
divenuta l’universo astrale, un universo di luce, forme e colori, tutti sotto
forma di pura energia e quindi manifestazioni del rajo guna.
Infine, lo Spirito ha fatto vibrare una porzione di questo universo astrale
in modo ancor più grossolano, e l’energia ha assunto l’apparenza di materia
solida: l’universo fisico. Gli scienziati, oggigiorno, affermano che in realtà
la materia non è nient’altro che energia. La sua solidità e le altre sue
proprietà, come affermarono gli yogi nell’antichità, sono solo un’apparenza.
Dei tre livelli della creazione, questo universo fisico è principalmente una
manifestazione del tamo guna, la qualità dell’inerzia; tuttavia, anche in
questo livello, è possibile scorgere gli altri guna. Il mio guru disse infatti
che intere galassie esprimono in modo predominante qualità sattwiche,
rajasiche o tamasiche, ovviamente entro il mezzo relativamente tamasico
della materia. Vale a dire, intere galassie sono vortici rotanti di energia
negativa e i loro pianeti sono abitati prevalentemente da esseri malvagi.
Altre galassie – inclusa la nostra – sono vortici di rajo guna: i loro pianeti
producono, ai loro livelli più elevati, esseri che sono essenzialmente
materialistici, cioè né particolarmente spirituali né particolarmente malvagi.
Ci sono poi ulteriori galassie che, in relazione alle altre di questo universo
fisico, contengono all’apice della loro evoluzione soprattutto esseri sattwici.
Ognuno di questi universi contiene a sua volta combinazioni e
gradazioni di sattwa, rajas e tamas. L’universo astrale, ad esempio,
contiene oscuri inferni così come splendenti paradisi. (L’universo causale,
essendo principalmente sattwico, non ha condizioni così estreme.) La
vastità della creazione cosmica sconcerta la mente. Perfino in questo
universo fisico relativamente piccolo, gli astronomi stimano che esistano
circa cento miliardi di galassie. Se le cifre del bilancio nazionale ti hanno
ormai assuefatto a ragionare in termini così astronomici, potrà aiutarti a
comprendere l’enormità di tale cifra il considerare che, volendo contare
anche solo fino a un miliardo e contando un numero al secondo senza mai
fermarti per mangiare o dormire, ti ci vorrebbero approssimativamente
trentatré anni per raggiungere questa cifra. Qualcuno ha stimato che se si
contassero i numeri pronunciandoli («milleduecentotre» ecc.), per
raggiungere il miliardo ci vorrebbero più di tremila anni.
Come se non bastasse, le Scritture dell’Induismo affermano che Dio
manifesta questo vasto cosmo e poi (forse dopo qualche trilione di anni) lo
dissolve nuovamente in Se Stesso, ripetutamente. Sono i Giorni e le Notti di
Brahma, vaste distese di tempo in confronto alle quali una vita umana
sembra quasi troppo breve per essere presa seriamente in considerazione!
Prima che la creazione venisse manifestata, esisteva solamente lo Spirito,
«Uno senza secondo». Nel manifestare Se Stesso, anch’Egli assunse, in un
senso, un ruolo in relazione alla Sua creazione. Sebbene non influenzato
dalla Sua creazione ed essenzialmente immutabile, se considerato dal punto
di vista della creazione lo Spirito appare come il Creatore: Dio Padre, Sat,
la pura essenza della realtà. Lo Spirito è anche la creazione stessa: una
porzione della Sua coscienza si è manifestata come l’infinita varietà di
forme della creazione. Lo Spirito, inoltre, risiede immobile perfino nel
cuore dell’irrequieto atomo. Come potere creativo che manifesta l’universo,
Dio è chiamato AUM, la vibrazione cosmica. Come Presenza immobile nel
cuore di ogni fenomeno, il riflesso (per così dire) dello Spirito al di là della
creazione, Dio è chiamato Tat, o Kutastha Chaitanya, la coscienza cristica.
L’AUM è il sacro Verbo, o Spirito Santo, delle Scritture cristiane. Lo
Spirito, nel mettere in movimento la Sua coscienza per manifestare le
“onde” della creazione cosmica, ha creato una vibrazione dotata di potere e
intelligenza, per continuare l’atto della creazione in tutti i successivi livelli
di manifestazione («Il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio», GIOVANNI I,
I).
Allo stesso tempo, riflessa, o presente, nel cuore di tutta questa attività
cosmica è la coscienza indisturbata di Dio, l’onnipresente e silenzioso
giudice e testimone. Questi tre aspetti – lo Spirito come Creatore non
coinvolto, come la creazione stessa e lo Spirito presente nella creazione –
formano la Trinità di Padre, Figlio e Spirito Santo, o Sat Tat AUM, come è
chiamata nelle più antiche Scritture dell’Induismo.
L’AUM, pur essendo un’intelligenza divina, è anche intelligenza in
azione. Dove c’è movimento di qualunque tipo, perfino di pensiero, c’è
anche suono. Il sacro suono dell’AUM può essere udito dallo yogi nella
meditazione profonda. Mentre le forme della creazione rappresentano il
potere dell’AUM che fluisce verso l’esterno, e quindi la Natura nel Suo
aspetto di Satana, il sacro suono dell’AUM udito in meditazione rappresenta
la corrente interna della coscienza, la Natura nel Suo aspetto di
compassionevole e liberatrice Madre Divina. Il dovere dell’uomo come
figlio dell’Infinito è vincere l’infatuazione per l’AUM nelle sue espressioni
esteriori – l’infinita varietà dell’universo manifesto – ed entrare nel flusso
puramente sattwico dell’AUM come divino suono, amore e beatitudine, che
conduce a Dio.
Non esiste nulla nell’universo che non sia vivente; nulla che non
manifesti la coscienza divina. Persino le rocce contengono un accenno di
vita e di coscienza. L’evoluzione non è una spinta cieca dal basso verso
l’alto, un puro e semplice incidente nella lotta per la sopravvivenza. Tanto
meno è un fatto fortuito, come sostengono i moderni teorici. È coscienza,
intrinseca in ogni cosa, che si protende per riconquistare ciò che le
appartiene. Tutte le manifestazioni sono divine; presto o tardi, dovranno
realizzare la propria divinità.
Posso immaginare quanto si divertirebbe un fumettista con questo
concetto, ad esempio disegnando una roccia che mormora beata tra sé e sé:
«Io e il Padre siamo una cosa sola!»; o un uomo profondamente concentrato
in una partita a scacchi contro una pianta di cavolo. Ovviamente, affinché la
coscienza possa esprimersi in modo efficace attraverso il mezzo della
materia, è necessario un veicolo adeguato, cioè un sistema nervoso
altamente sviluppato, proprio come l’energia che, per potersi esprimere
come potere in modo materiale, deve usare il principio della leva. La forza
vitale intelligente che è imprigionata, per così dire, nelle forme di vita
inferiori, deve trovare canali sempre più elevati attraverso i quali esprimere
la propria intelligenza. Ciò è possibile solo attraverso un processo di
ripetute incarnazioni. Così come il vestito diventa piccolo per il bambino
che cresce ed è necessario dargliene un altro, anche la forza vitale che
anima una combinazione di elementi chimici (sotto forma, ad esempio, di
scarafaggio) deve trovare una combinazione più elevata (ad esempio sotto
forma di uccello) quando ha superato quello stadio.
L’anima è Spirito individualizzato. L’individualità è una delle proprietà
di ogni atomo; non esistono due fiocchi di neve completamente identici.
(Viene da pensare al detto: «Lo Spirito è centro ovunque, circonferenza
inesistente».) Essendo stata posta all’inizio del viaggio, l’anima deve fare
molta strada prima di completare il suo percorso.32 Lo fa attraverso una
lunga successione di corpi fisici, evolvendosi in forme sempre più elevate
fino a raggiungere il livello umano. L’evoluzione dell’anima fino a quel
livello è una scalata più o meno automatica; l’intelligenza si protende verso
una consapevolezza sempre più ampia, ma non è ancora sufficientemente
sviluppata per rimanere intrappolata negli infiniti sentieri secondari che si
aprono alle menti più indagatrici. Le Scritture indù affermano che ci
vogliono da cinque a otto milioni di vite affinché l’anima possa evolvere
fino al livello umano. Una volta raggiunto quello stadio, l’anima si trova
equipaggiata con tutti gli strumenti fisici di cui ha bisogno per raggiungere
la libertà dalla schiavitù della materia: un cervello e un sistema nervoso
altamente sviluppati, e un corpo che può rispondere efficacemente ai
comandi del cervello. Tuttavia, possiede anche un’intelligenza
sufficientemente evoluta per seguire interessi secondari, che non hanno
nulla a che fare con la sua liberazione finale; e come si dà da fare per
realizzarli!
Teoricamente, una volta raggiunto il livello umano, dovrebbe essere
possibile per l’anima realizzare rapidamente la sua vera natura spirituale. In
pratica, purtroppo, il processo è invariabilmente molto lungo. Quando
l’anima nasce per la prima volta in un corpo umano, non sente il desiderio
impellente di realizzare una realtà più profonda, poiché porta con sé nella
forma umana molti dei suoi precedenti aspetti animaleschi. I popoli
primitivi rientrano spesso in questa categoria, ma anche altri non sono da
meno. (Ricordo una coppia indù che incontrai a Nuova Delhi. Il marito
insisteva nel dire che la moglie era stata una mucca nella vita precedente;
non proprio un complimento, pensai, pur tenendo conto dell’amore innato
degli indù per le mucche! In risposta alla sua osservazione, però, la moglie
si limitò a fare un sorriso alquanto bovino. Era facile sospettare che il
marito avesse ragione!)
L’evoluzione non procede in linea retta, ma con un movimento a spirale.
I popoli primitivi, come certi animali, hanno spesso vivide intuizioni – di
tipo limitato, ma pur sempre intuizioni – che di solito si perdono fino a
quando, dopo lungo tempo, si comincia a sviluppare la consapevolezza
spirituale. Sanno cosa sta accadendo ai loro parenti lontani; spesso vedono
il futuro; alcuni hanno perfino il potere di controllare gli elementi (conosco
diversi casi, ad esempio, in cui queste persone hanno fatto piovere grazie ai
loro pensieri o preghiere). Hanno anche una notevole padronanza del corpo,
paragonabile a quella che si trova in anime notevolmente evolute. Sebbene i
loro sensi siano più sviluppati di quelli di molte persone civilizzate, essi
possono ignorare il dolore fisico più atroce. Un mio amico medico, che
lavorava con popolazioni primitive, mi raccontò di persone che arrivavano a
volte nel suo ambulatorio dopo una rissa della domenica sera tenendo in
mano i propri intestini. Tuttavia dicevano: «Non perda tempo con
l’anestetico, dottore. Li ricacci dentro e mi dia una bella ricucita!».
Individui di questo tipo, però, pur essendo così vicini, a un certo livello,
alla perfetta padronanza del corpo, pensano solo a godersi il mondo così
come l’hanno trovato. È probabile che non abbiano un solo pensiero astratto
in tutta la loro vita! Se vuoi parlare loro di Dio, farai meglio a presentarLo
come un vecchio in un palazzo bianco nel cielo, se vuoi che afferrino
almeno in parte i tuoi concetti. Se parli di uno scopo più elevato nella vita,
avrai un bel da fare anche solo per spiegare che questo concetto include il
non uccidere gli altri solo perché appartengono a una tribù vicina! Non
voglio dire che i popoli primitivi siano privi di saggezza, né che non si
trovino mai tra di loro anime evolute; anime simili potrebbero
effettivamente nascere in mezzo a loro, se non altro per elevarli. In ultima
analisi, però, sia l’innocenza sia le sorprendenti intuizioni del selvaggio
sono solo i segni della prima incursione dell’anima sul piano umano, prima
che l’ego abbia avuto il tempo di sviluppare i suoi “complessi”.
Strano paradosso della vita: da un lato, l’ego è la più grande barriera che
ci separa dall’appagamento divino; dall’altro, è necessario un ego ben
sviluppato per desiderare quell’appagamento. Gli animali hanno un senso
dell’ego molto limitato. La vera grandezza dei popoli primitivi è dovuta in
larga misura all’inconsistenza, o per lo meno alla relativa semplicità, del
loro ego.
Tuttavia, a mano a mano che l’uomo progredisce nella lunga spirale delle
incarnazioni, cercando felicità e appagamento in un canale materiale dopo
l’altro e rimanendo ripetutamente deluso, comincia a diventare
dolorosamente consapevole della propria frustrazione e inadeguatezza. Di
conseguenza, comincia a poco a poco a sviluppare il desiderio di trovare
soluzioni personali e più profonde. Il desiderio di cercare qualcosa di più
profondo richiede un senso di necessità personale. L’ego, dunque, sebbene
alla fine sia nostro nemico, è per lungo tempo il nostro migliore amico.
Ciò che spinge l’uomo da un’incarnazione di illusione all’altra è la forza
di propulsione del desiderio, diretta esteriormente. La saggezza è la
comprensione che tutto ciò che stiamo cercando può essere trovato solo nel
Sé. Per molte incarnazioni, però, l’anima cerca se stessa in riflessi esteriori
e proietta sulle cose la gioia della sua vera natura. Quanti canali esplora!
Quante amare delusioni, soddisfazioni effimere, conseguenti perdite e lutti!
Com’è lungo il cammino, quanti eoni di tempo, quante miriadi di
circostanze, quanti pianeti! Potrebbero mai bastare perfino milioni di anni
per raccontarne la storia? L’antichità e vastità di una galassia hanno la loro
controparte in quest’anima apparentemente finita, ma ugualmente infinita!
Perché – ci si potrebbe chiedere – quando il corpo fisico muore, l’anima
non si immerge nuovamente nell’Infinito? La ragione è che il corpo, come
l’universo fisico, è solo lo stadio più grossolano della manifestazione dello
spirito che vi dimora. Dietro il corpo fisico c’è il corpo astrale, un corpo di
luce ed energia che lo anima e lo guida. Dietro a questo c’è il corpo causale,
o ideativo. Quando il corpo umano muore, il corpo astrale continua a
vivere. Anche i suoi desideri sopravvivono, poiché formano vortici di
energia e non appartengono quindi al corpo fisico, ma a quello astrale.
Poiché il desiderio dirige l’energia, finché i desideri sono rivolti ai piaceri
terreni spingeranno ripetutamente l’uomo a incarnarsi nel mondo fisico.
Dopo la morte, egli trascorre qualche tempo nel piano astrale, ma il suo
soggiorno è limitato dalla forza dei desideri fisici. Solo nella misura in cui
la materia ha allentato la presa su di lui (vale a dire, ovviamente, nella
misura in cui lui ha allentato la sua presa su di essa), gli sarà possibile
trovare la propria dimora nel piano astrale.
Non è solo la durata della sua permanenza nel piano astrale a essere
determinata dal livello del suo attaccamento materiale: anche la quantità di
consapevolezza di quell’universo dipende dal suo coinvolgimento nella
materia. La persona molto materialista è solo debolmente consapevole
(sempre ammesso che lo sia) delle sue visite astrali fra le incarnazioni
terrene. Le sue percezioni avranno essenzialmente la natura di sogni, più o
meno piacevoli! La persona più evoluta, invece, dopo la morte diventa
ancora più sensibile all’infinita bellezza del mondo astrale. Le sottigliezze
di quel mondo non si celeranno più ai suoi occhi, poiché avrà imparato che
l’essenza della vera bellezza è sottile.
L’universo astrale contiene molte sfere vibratorie diverse fra loro. A
differenza di questo universo fisico, in cui vari tipi diversi di persone si
ritrovano riuniti insieme, nel mondo astrale i diversi pianeti attraggono solo
le persone che si trovano sulla loro stessa “lunghezza d’onda” vibratoria.
Mentre sulla terra vi sono disarmonie e discordie, nel mondo astrale –
tranne che nelle sue regioni inferiori, o inferni – regnano la pace e
l’armonia. Tuttavia, anche se può sembrare strano, è qui, in questo nostro
mondo fisico, che si possono fare i progressi spirituali più grandi.
L’armonia dell’esistenza astrale non offre un vero stimolo per un ulteriore
progresso. Così come l’ego prova piacere quando sperimenta per la prima
volta la relativa libertà ed espansione della consapevolezza di un corpo
umano, anche il mondo astrale offre delizie uniche: splendidi panorami,
compagnie affini, lavori soddisfacenti, sentimenti squisiti; questo mondo è
una brutta copia di quello! L’ego, quindi, viene attratto ancora una volta, fin
troppo facilmente, nella ricerca dell’appagamento fuori dal Sé. Per questo si
dice che perfino gli dèi ritengano desiderabile la nascita in un corpo umano.
Con tutte le sue limitazioni, questo mondo fisico offre il miglior campo di
battaglia per il progresso spirituale.
Il vero yogi, in verità, evita il mondo astrale come un’ulteriore trappola.
Non è necessario (sebbene di solito accada) che l’anima si evolva
lentamente, per stadi, nel mondo astrale prima di raggiungere la più grande
libertà del mondo causale, o addirittura la coscienza cosmica (il nirbikalpa
samadhi). Per quanto possa apparire strano, perfino alcuni animali hanno
raggiunto gli stati di coscienza più elevati, per lo meno dopo la morte,
tramite la Grazia di un grande maestro. Ovunque ci troviamo nella scala
evolutiva, possiamo realizzare Dio proprio qui e proprio ora, se ci offriamo
senza riserve a quella Verità suprema. L’anima, infatti, non appartiene meno
a Dio in un momento piuttosto che in un altro.
Quando nella meditazione si raggiunge uno stato di estasi, questo
avviene nel corpo causale. Gli yogi, quindi, cercando di tenere la mente
sempre assorta nella beatitudine, vivono sempre più nel livello causale e
trascendono le più grossolane attrazioni delle sfere astrali.
Tutti i peccati e tutte le virtù possono essere riassunti in questi principi. Il
peccato è ciò che oscura la nostra natura; la virtù è ciò che ci aiuta a
rivelarla. L’odio, la gelosia, la violenza e simili affermazioni di separazione
dagli altri sono le ovvie cause dell’ignoranza dell’ego, poiché non possiamo
trovare il Divino in noi stessi se Lo neghiamo negli altri. Tuttavia, anche il
piacere per le cose del mondo apparentemente innocenti, finché contiene i
germi dell’attaccamento e del desiderio, non può che condurre alla
schiavitù. È un errore non soltanto mettere il proprio centro al di fuori di se
stessi, ma anche riporre tutta la propria fiducia nell’instabile tumulto di
dwaita (dualità), che per ogni piacere esteriore ci fa subire un
corrispondente dolore. L’anima cerca la beatitudine perché la sua natura è
beatitudine, ma cercando le false comodità della dualità si trova sempre più
sballottata tra ricompense e disastri. Non dobbiamo rifiutare i piaceri terreni
in quanto tali, ma l’incatenante identificazione con essi, perché, come
afferma la Isha Upanishad: «Si dovrebbe vivere in questo mondo senza
attaccamenti, compiendo il proprio dovere e, così facendo, augurarsi di
vivere cent’anni». Questa verità va intesa in senso pienamente positivo: si
deve semplicemente imparare a essere positivi nel modo giusto e per le cose
giuste!
L’egoismo è l’unica causa della schiavitù; è per via dell’ego che i
desideri infestano il cuore. Il mio guru definiva l’ego come l’anima
identificata con il corpo. Finché persiste questa identità, ogni azione del
corpo sarà vista come un’azione compiuta da noi stessi. Fino ad allora,
quindi, il corpo (o il suo successore in un’incarnazione futura) dovrà
sopportare le conseguenze, buone, cattive o indifferenti che siano, di
quell’azione. È la legge del karma, la controparte, su un livello sottile, del
principio fisico di azione e reazione. La libertà dell’anima consiste
essenzialmente nel bandire questo senso dell’ego, comprendendo che noi
non siamo il corpo, ma lo Spirito Infinito.
Nei primi stadi della liberazione, lo stato del jivan mukta, si raggiunge
questa realizzazione. L’ego non può più acquisire nuovo karma, poiché ai
fini pratici ha cessato di esistere. Il proprio karma passato, tuttavia, deve
ancora essere esaurito, perché un conto è realizzare che d’ora in poi solo
Dio agirà nella propria vita, e un conto è liberarsi dalla memoria delle
azioni già compiute in uno stato limitante di coscienza governato dall’ego.
Non è tanto una questione di disfare tutto l’arazzo del karma passato,
quanto di convincere finalmente l’anima di essere libera perfino dalle
proprie azioni (karma) e autodefinizioni del passato. Una volta raggiunto
questo stato, e non prima, si ottiene la liberazione finale. L’onda individuale
della beatitudine si immerge nel vasto oceano di Satchidananda
(“esistenzacoscienza-beatitudine” o, nella definizione del mio guru,
“sempre esistente, sempre cosciente, sempre nuova beatitudine”). Tutto ciò
che conserva della sua individualità è il ricordo che il suo stesso Sé, lo
Spirito Infinito, è esistito per qualche tempo come un determinato ego. Quel
ricordo, tuttavia, sarà solo relativo a un qualcosa che è accaduto; avrà
cessato di essere in qualunque modo un’autodefinizione.
Può un’anima simile ricomparire in un corpo fisico per aiutare gli altri?
Sì. Se lo fa, sarà come avatar, incarnazione divina. Era questa la natura di
Paramhansa Yogananda, come pure di altri grandi maestri. È per questo che
egli diceva spesso: «Ho ucciso Yogananda molto tempo fa. Nessuno, ora,
dimora in questo tempio, tranne Dio».
Dovrebbe essere questa la meta dello studente di yoga: non trovare Dio
egoisticamente per se stesso, ma trovarLo per poterLo donare a tutti.

Posizioni yoga
Lo scopo più elevato della pratica dello yoga è di raggiungere uno stato
di sahaja (facilità), in cui lo yogi scopre che non è più necessario
impegnarsi in pratiche meditative formali, ma resta sempre in uno stato di
unione divina anche quando intraprende le normali attività fisiche.
Similarmente, uno degli scopi delle posizioni yoga è di raggiungere un
punto in cui ogni movimento esprime la stessa grazia che si manifesta
attraverso la pratica delle posture stesse. Ciò vuol dire che le posizioni yoga
dovrebbero condurre fuori dai ristretti confini di uno specifico gruppo di
posture, fino alla comprensione che tutti i movimenti possono, in un certo
senso, essere posizioni yoga. L’equilibrio interiore con cui si entra in una
postura yoga dovrebbe essere trasferito nella vita quotidiana, diventando la
calma con cui ci si alza da una sedia, con cui si gioca assieme a un
bambino, si respira o si saluta uno sconosciuto. Ogni atto della vita
dovrebbe essere un’espressione consapevole e deliberata di pace e armonia
interiori.
Ora che hai imparato così tante posizioni formali dello yoga, cerca di
introdurre anche in alcuni tuoi movimenti quotidiani gli atteggiamenti che
stanno dietro di esse. Non riproporti solo in modo generico di essere più
yogico in tutti i tuoi movimenti. Piuttosto, sostieni questa intenzione vaga
con azioni specifiche: forse il modo in cui cammini andando al lavoro,
oppure il modo in cui lavi i piatti della cena, cioè un’azione su cui puoi
concentrarti mentre la compi, e preferibilmente qualcosa che consenta
movimenti continui e fluidi.
Poi cerca gradualmente di estendere questa pratica ad altre azioni.
Ricorda: la sensazione di pace deve fluire dall’interno. Non si dovrebbe
compiere un’azione con la consapevolezza dei suoi effetti sugli altri. Lo
scopo di questo consiglio non è di competere con le scuole di bon ton, ma
solo di aiutarti a sentirti interiormente più in sintonia con la vita.
A questo proposito, potresti anche provare la tecnica seguente per la
meditazione in azione.
Una domanda che viene posta spesso è: «Come posso mantenere la pace
e l’ispirazione che sento nella meditazione, quando sono in ufficio, in
fabbrica o mi sto affrettando per fare la spesa e tornare a casa in tempo per
preparare la cena?». Il ponte che collega la meditazione pacifica e il
trambusto quotidiano dell’attività è, specialmente per un neofita, fragile;
spesso, semplicemente per attraversarlo in modo sicuro, egli sente di dover
lasciare la pace dietro si sé, per paura che, per esempio, guidando troppo
pacificamente in autostrada non riesca a rapportarsi realisticamente con
qualche altro guidatore, che non ha proprio idea di ciò che può fare la
meditazione. Lo yogi, tuttavia, deve imparare per tempo a conservare la sua
pace interiore senza comportarsi come se fosse stato appena colpito in testa
da una trave. In realtà, la pace interiore dovrebbe rendere i riflessi più veloci
e il buon senso ancora più realistico. È una questione di abitudine.
Affinché ogni nuovo stato di coscienza possa diventare un’abitudine, è
necessario che sia praticato intenzionalmente. La pace meditativa, dopo un
po’ di tempo, inizierà inevitabilmente a diffondersi in tutte le nostre attività.
Tuttavia, perché accontentarsi di questo? Per sentire la pace nell’azione in
modo più rapido e completo, è necessario manifestarla all’esterno in modo
consapevole e intenzionale.
Per sviluppare l’abitudine di mantenere la calma, è necessaria qualche
attività che comporti meno coinvolgimento nell’attività in quanto tale, così
che la mente possa essere ancora libera di aggrapparsi alla pace della
meditazione. Abbiamo bisogno di un ponte che ci aiuti a oltrepassare lo
spazio vuoto esistente tra la pace interiore e le preoccupazione esterne.
Quando la pace della meditazione è stata praticata nell’attività moderata, è
più facile mantenerla anche quando l’attività diventa intensa. È come un
bambino piccolo che impara ad allacciarsi le scarpe. Se gli dici: «Dài,
Giovanni, allacciati le scarpe, abbiamo fretta!» correrà per raggiungerti con
le scarpe slacciate. Deve imparare ad allacciarle lentamente, prima che
quell’azione possa diventare così automatica da poterla eseguire
velocemente, anche mentre sta parlando di altre cose.
Ho scoperto che è estremamente utile passare dalla meditazione a un
movimento lento, nel quale non cerco di realizzare nulla, un movimento in
cui la mia mente è nell’azione stessa, piuttosto che nella realizzazione di un
qualunque obiettivo particolare. Posso camminare, per esempio,
muovendomi molto lentamente, non come se stessi facendo un’escursione.
Percepisco il movimento dei muscoli, l’oscillazione delle braccia e delle
gambe; sento che sto portando pace e gioia in tutto il mio corpo. Poi mi
guardo attorno e divengo consapevole a una a una delle cose specifiche
presenti nell’ambiente che mi circonda: forse il volteggiare di una foglia,
l’ondeggiare dell’erba nella brezza, la luce del sole che si riflette su una
pozza d’acqua, l’abbaiare di un cane, le risate di un bambino, il suono del
clacson di un’auto distante. Percepisco ognuna di queste cose
singolarmente, quasi benedicendola, sentendo come se Dio stesse
trasmettendomi attraverso quel fenomeno uno speciale messaggio
personale. Infine percepisco che tutto ciò che vedo e sento, così come tutti i
movimenti interiori del mio corpo, sono uniti armoniosamente a qualche
grande sinfonia della vita, e che la pace dentro e la pace fuori sono una cosa
sola.
Da questo stato è facile proseguire con le attività che richiedono più
attenzione, restando tuttavia ancora aggrappati a questo senso di unità e di
ispirazione che rende la meditazione silenziosa la parte più bella della vita
quotidiana dello yogi.
Un’ultima parola sulle posizioni: nella scienza dell’Hatha Yoga, si
insegnano molte varianti per ogni postura di base. Non posso fare altro che
pensare che la ragione di una quantità così numerosa di varianti è che ogni
persona, unica nella sua umanità, deve esprimersi in un modo che sia unico.
Gli insegnamenti fondamentali e universali possono essere offerti a tutti gli
uomini, ma una volta che gli scopi principali sono stati compresi, ogni
uomo può sentire una certa libertà di esprimerli nei modi che sono più
naturali per il suo corpo.
Lo sviluppo naturale è una parte essenziale degli insegnamenti dello
yoga. Cerca di conquistare i ritmi del tuo corpo e, nel fare questo, rendi
questa scienza autenticamente tua.

Respirazione

La trascendenza è lo scopo della vita. Il riposo è lo scopo dell’azione. Lo


stato di assenza di respiro è la meta finale di tutti gli esercizi di
respirazione. Lo Spirito è il silenzio eterno dal quale sono nati tutti i suoni e
le vibrazioni. La pratica profonda dello yoga non è possibile fino a quando i
movimenti superficiali, compresi quelli del respiro, non sono stati
acquietati, lasciando la mente libera di elevarsi nella supercoscienza.
Che il respiro possa essere calmato, lo si può osservare nel fatto che
l’uomo respira in proporzione al bisogno del suo corpo di depurarsi dei
tessuti cellulari morti. Dopo una corsa, o dopo aver sperimentato
un’emozione intensa, si respira in modo più profondo. In queste circostanze
la richiesta di ossigeno da parte del corpo è maggiore. Nel sonno profondo,
al contrario, il respiro diventa lento perché il corpo richiede meno ossigeno.
Forse, durante la meditazione, ti è già capitato di osservare che a volte il
respiro si ferma. Quando ciò accade, spesso il principiante si spaventa, ma
non c’è nulla di cui aver paura. Semplicemente, ci si è rilassati in modo così
profondo che si sta formando pochissimo carbonio nel corpo che debba
essere espulso dai polmoni sotto forma di anidride carbonica. Quando lo
yogi diventa interiormente calmo, può rimanere nello stato senza respiro (e
in una condizione di consapevolezza molto più completa di quella che
sarebbe possibile in un normale stato fisico) per lunghi periodi di tempo.
Gli insegnamenti dell’Hatha Yoga danno spesso enfasi al kumbhaka, la
ritenzione volontaria di aria nei polmoni. Si tratta di uno stato artificiale di
assenza del respiro, indotto in maniera non scientifica e, a volte, persino
dannosa. Lo stato di assenza del respiro dovrebbe essere, piuttosto, la
conseguenza del tutto naturale di una completa calma interiore e di un
profondo rilassamento.
Dopo aver praticato gli esercizi di respirazione, entra nella calma
interiore. Senti la connessione tra il tuo respiro e il Respiro Cosmico, come
se il tuo respiro non fosse altro che una funzione delle brezze della
coscienza cosmica. Quando respiri, così come quando lavori, senti che sei
uno strumento del Divino.

Sequenze

In sintonia con quanto ho spiegato in questa lezione nella sezione


“Posizioni”, è importante che anche la sequenza che si segue sia
personalizzata. Le posizioni che tu, personalmente, trovi più utili sono
quelle che dovresti praticare.
Tuttavia, non prendere questo consiglio come una scusa per praticare
solo le posizioni che sono più facili per te. Se, ad esempio, non riesci a
piegarti facilmente in avanti, questo è un segno che dovresti dare più
importanza, non meno, alle posizioni che ti aiuteranno a superare questa
lacuna. Una spina dorsale flessibile è necessaria sia per la buona salute sia
per una consapevolezza più vitale.
Tieni presente le necessità del corpo, ma scegli comunque quelle posture
che trovi più piacevoli.

Guarigione

Uno degli indicatori della salute del corpo è la pelle. I foruncoli e altre
eruzioni cutanee sono un evidente segno di impurità nel flusso sanguigno.
Un colorito pallido è un immediato indicatore della mancanza di vitalità.
Una pelle liscia e morbida è segno di buona salute.
Il corpo dello yogi è completamente molle durante il riposo; i muscoli di
un uomo forte che pratica lo yoga possono sembrare come quelli di una
donna. Tuttavia, quando lo yogi decide di inviare energia ai muscoli per
tenderli, essi diventano duri come l’acciaio. La mollezza del corpo di uno
yogi nasconde in realtà una forte resistenza fisica: il suo corpo non è
flaccido; la sua pelle è morbida, ma non cascante.
I palmi delle mani sono un buon indicatore di salute e vitalità. Palmi
molli e flaccidi non sono un segno di buona salute o di vitalità dinamica. Le
mani dure indicano una tensione in tutto il corpo che col tempo causerà
esaurimento, favorendo così la malattia. I palmi dovrebbero essere resistenti
alla pressione delle dita. Un certo aspetto roseo nel colore della mano sarà
indice di buona salute.
Quando incontrai il mio guru, Paramhansa Yogananda, egli mi disse che,
quando aveva colloqui con le persone, era così rilassato che non sentiva
nemmeno il corpo dal torace in giù. Lo yogi, non importa quanto duramente
lavori dal punto di vista fisico, deve essere in grado di ritirare l’energia dal
proprio corpo e di diventare rilassato e molle quando il corpo non ha più
bisogno di energia.
Gli esercizi indicati per la pelle comprendono tutti gli esercizi di
piegamento, la posizione sulla Testa e, in particolar modo, quelle posizioni
che tendono e rilassano i muscoli e che esercitano gentilmente il cuore
(come la posizione dell’Aratro e quella del Cobra).
Per la pelle, è eccellente stare all’aria aperta per almeno una parte della
giornata. Esponi quanto più ti è possibile del corpo agli elementi, in
particolar modo ai raggi del sole. Si dice che un’esposizione eccessiva sia
dannosa, ma ricordo un gruppo di persone insolitamente sane la cui
esposizione era costante e, di solito, totale. Si trattava di un gruppo di sadhu
(uomini santi) a un Kumbha Mela (raduno religioso) in India, nel 1960.
Abitualmente non indossavano vestiti, ma per il raduno avevano messo dei
semplici perizomi. Erano quelli che sono conosciuti come naga sadhu, o
asceti nudi. Il loro completo disinteresse verso il mondo moderno era di per
sé interessante. Uno di loro mi chiese da quale Paese venissi.
«Dall’America» risposi. Nel prosieguo della conversazione, uno di loro
chiese con un pizzico di curiosità: «A proposito, dov’è ’America?». Un
altro azzardò l’opinione che l’America si trovasse da qualche parte in Cina.
Una persona che passava di lì, spiegò che l’America è quel Paese al quale ci
si riferisce nell’antico poema epico Ramayana come Patal Desh (il Paese
che si trova nella parte inferiore del mondo). Quando venne loro ricordata
questa descrizione del poema antico, i sadhu si illuminarono: adesso
sapevano dov’era l’America! In ogni caso, quale che fosse la loro
comprensione delle cosiddette realtà moderne, la loro comprensione dei
principi eterni sembrava per certi versi molto più avanzata della nostra.
Chiesi loro se, a causa della loro vita di costante esposizione agli elementi,
fossero a volte malati. Mi assicurarono che per loro la malattia era una cosa
sconosciuta.
Quando fai il bagno, non esporre il corpo troppo a lungo all’acqua calda.
I bagni caldi sono smagnetizzanti. È sempre bene far seguire un bagno o
una doccia caldi da un accurato risciacquo con l’acqua fredda.
La maggior parte dell’aria che respiriamo è assorbita dal corpo attraverso
la pelle, che va pertanto mantenuta pulita. È bene rinvigorirla sfregandola
dappertutto in modo rapido con le mani, ricaricandola di energia divina.
Una pelle sana è molto più attraente di una che è stata resa morbida
artificiosamente con una varietà di creme e lozioni. (Certe lozioni, tuttavia,
se applicate temporaneamente, possono essere benefiche. Gli impacchi di
fango, per esempio, sono considerati estremamente salutari.)
Vagamente correlato a questo argomento – soltanto perché la pelle è, per
così dire, la “porta d’ingresso” – è il tema delle punture di insetti velenosi.
In mancanza di uno spazio migliore per prenderlo in considerazione, lo
tratterò in questo capitolo.
Le punture più comuni sono quelle di zanzara. Ho scoperto una cosa
interessante, e cioè che se mi rifiuto di grattare una puntura di zanzara per
cinque o dieci minuti dopo che l’ho ricevuta, il gonfiore improvvisamente
scompare e il disagio viene dimenticato. Se invece la gratto, il gonfiore può
rimanere per due o tre giorni ed essere spiacevole per tutto il tempo.
Per le punture di scorpione, il mio guru mi ha insegnato questa tecnica:
sciogli un cucchiaino da tè di sale in un bicchiere di acqua tiepida e poi
versa nell’orecchio che si trova sullo stesso lato del corpo in cui c’è la
puntura, tanta acqua quanta ne può contenere. Chiudi l’orecchio con il
cotone e lascia dentro l’acqua per una decina di minuti.
Una cura affascinante, sebbene io non abbia avuto occasione di
sperimentarne la validità, mi è stata insegnata da un medico in pensione
dell’esercito indiano, il colonnello Dass, a Abbot Mountain, nel distretto di
Almora nell’Himalaya. Il colonnello Dass mi disse che aveva imparato
questa tecnica da un altro medico dell’esercito indiano mentre erano
entrambi di stanza in Palestina. A quell’epoca le truppe stavano lavorando a
una strada e molto frequentemente capitava che un soldato fosse punto da
uno scorpione mentre sollevava un masso. Il colonnello Dass mi assicurò
che la cura del suo amico si era rivelata infallibile in tutti i casi. Un medico
inglese dello stesso reggimento si fece beffe di questo rimedio, definendolo
una mera superstizione, efficace solo a causa della fede ignorante dei
soldati. Un giorno, però – così pare – questo dottore venne punto egli
stesso. Non era disponibile alcun antidoto. Mentre aspettavano che
arrivasse, il medico indiano si offrì di provare la sua “cura” sull’inglese.
«Non ci credo» disse l’inglese a denti stretti «ma comunque provatela.
Cosa ho da perdere?».
La cura funzionò anche su di lui.
Il dottor Dass mi disse che lui stesso l’aveva utilizzata con successo in
numerose occasioni.
Avendo ricevuto queste positive testimonianze, offro quindi per un
possibile esperimento uno dei rimedi più strani in cui io mi sia mai
imbattuto.
Devi usare un vecchio chiodo, preferibilmente arrugginito. Chiedi al
paziente dov’è la linea del dolore. Normalmente essa va dal punto della
puntura in alto verso il cuore. Inizia un po’ al di sopra del punto in cui
finisce il dolore e traccia un pentagramma sulla pelle con il chiodo, senza
rompere la pelle. Procedi verso il basso senza sollevare il chiodo dalla pelle
e traccia un altro pentagramma. Continua a muoverti verso il basso
seguendo la linea del dolore fino a quando raggiungi il punto stesso della
puntura. Qui traccia dei pentagrammi sempre più piccoli fino a quando non
puoi ridurli ulteriormente.
La linea non va mai interrotta. Il chiodo deve rimanere a contatto della
pelle per tutto il tempo. La direzione del diagramma dovrebbe essere
questa:

In Natura ci sono cure per tutte la malattie anche se, in questo mondo di
dualità, ogni cosa ha il suo opposto. Una delle figure religiose di maggiore
spicco dell’India, Swami Bharati Krishna Tirth, mi disse qualcosa che spero
di non aver mai occasione di verificare. Nella coda del cobra, disse, c’è un
nettare che, se succhiato, può neutralizzare il veleno del cobra. Di nuovo,
come in precedenza con il pentagramma, sto trasmettendo un’informazione
che non ho verificato, ma che trovo sufficientemente affascinante da essere
condivisa.
In molti anni di contatto con questi insegnamenti dello yoga, sono
divenuto consapevole che ci sono innumerevoli misteri nella Natura e nel
corpo umano. Uno di questi misteri, che si può includere in questa
trattazione della pelle e della superficie del corpo, è l’importanza di
indossare determinati metalli o gemme a contatto con la pelle. Un capitolo
intitolato “Sconfiggere gli astri” in Autobiografia di uno yogi descrive
questa antica e sottile terapia.
Tutte le cose sono fatte di vibrazioni e hanno le loro proprietà
magnetiche. Certe gemme pure e certi minerali emettono radiazioni
benefiche per il corpo umano. Un bracciale del genere, fatto di oro, argento
e rame, fu raccomandato da Sri Yoganandaji per un utilizzo generale. Disse
che un simile bracciale ha un valore più che fisico. (Ricordo che consigliò a
un discepolo che aveva la tendenza ad avere incidenti di procurarsene uno e
di indossarlo.)
Molte persone che portano questi bracciali mi hanno riferito che, durante
periodi di malattia fisica (e forse anche di depressione mentale), il loro
bracciale è diventato così caldo su un braccio che sono stati costretti a
spostarlo sull’altro. Io stesso ho toccato il bracciale di una persona mentre
diceva che lo sentiva caldo; in effetti era molto più caldo del braccio stesso,
così caldo che mi sono quasi scottato le dita.
Secondo gli insegnamenti dei grandi yogi, il valore di questi bracciali
non dovrebbe essere sottovalutato, poiché può essere molto elevato.
Anche le pietre preziose pure e prive di difetti, non inferiori ai due carati,
possono essere benefiche se indossate a contatto con la pelle. Un
braccialetto di utilità generale, ma eccessivamente costoso da acquistare per
una persona media, è il cosiddetto navaratna o braccialetto dalle nove
pietre. È composto dalle seguenti pietre, ognuna delle quali di due o più
carati: diamante, smeraldo, zaffiro giallo, occhio di gatto (della famiglia del
crisoberillo), zaffiro blu, granato di essonite (o, più propriamente gomedha,
una pietra sconosciuta in questo Paese), corallo, perla e rubino. Ognuna di
queste pietre rappresenta un diverso pianeta. Si ritiene che la conoscenza
del proprio oroscopo e delle giuste pietre da indossare per rafforzare i
pianeti deboli e neutralizzare le vibrazioni di pianeti nefasti, sia benefica. Se
tutto ciò di cui hai bisogno personalmente è solo una o due pietre, allora
puoi permetterti un braccialetto del genere anche se non sei ricco. Tuttavia,
se vuoi fare un corretto uso della scienza indiana della gemmoterapia, devi
convertire il tuo oroscopo da quello occidentale, che usa lo zodiaco
tropicale, a quello basato sullo zodiaco siderale, e preferibilmente il siderale
indiano.
Per utilizzi terapeutici seri, non consiglierei le comuni pietre di nascita
che sono elencate nei testi occidentali su questo argomento. Il tuo oroscopo
è unico e deve essere considerato nella sua totalità e non soltanto in
riferimento al tuo segno solare.
In un’epoca nella quale la novità è il criterio principale per la validità di
ogni affermazione (si sente sempre la frase «una nuova svolta»), è
interessante considerare la possibilità che l’India, proprio a causa della sua
antichità, abbia potuto scoprire e preservare attraverso le epoche certe verità
che sono tuttavia rimaste insospettate nella nostra era scientifica, intenta
com’è a crogiolarsi nel violento bagliore di una visione puramente razionale
della realtà.

Alimentazione
Alimentazione per la meditazione

La meditazione profonda richiede un respiro e un battito cardiaco calmi.


Entrambi dipendono dall’anidride carbonica nel sangue. Lo sforzo fisico, le
tensioni e le emozioni alimentano l’anidride carbonica nel sangue e
costringono i polmoni e il cuore a incrementare il loro lavoro. (Osserva, per
esempio, come ti viene il fiatone dopo aver partecipato a una gara.)
Anche alcuni cibi, tuttavia, hanno lo stesso effetto, in particolare i
carboidrati. L’eccesso di anidride carbonica nel corpo a causa di un
abbondante consumo di dolci costringe il cuore a battere più veloce e i
polmoni a lavorare di più. Per questa ragione, lo yogi non dovrebbe
mangiare troppi dolci né troppi amidi e altri carboidrati. Per la stessa
ragione dovrebbe evitare l’uso di stimolanti, che aumentano la velocità del
cuore. Il tè e il caffè non sono consigliati negli insegnamenti dello yoga.
Anche mangiare in eccesso può sovraccaricare il cuore alla pari di un
qualsiasi stimolante. Ecco quindi, di nuovo, la ragione dell’insegnamento
yogico Stokum stokum anekoda (mangia poco, frequentemente).
È meglio mangiare cibi crudi, specialmente frutta e noci, e non mangiare
per tre ore prima di qualsiasi meditazione lunga.
Una mente forte può costringere un corpo riluttante a fare il suo dovere,
ma se il corpo è portato in armonia con le proprie aspirazioni spirituali, la
conseguente “squadra di lavoro” potrà rappresentare un formidabile aiuto a
ogni livello, fisico, mentale e spirituale.
Ricette per la salute
La banana ha delle meravigliose proprietà curative se è preparata nel
modo corretto. Dovrebbe essere accuratamente ridotta a purea e sbattuta –
oppure schiacciata usando un setaccio – e servita con panna o latte. Una
simile combinazione potrà essere utile per curare e tonificare l’intestino,
perché quando l’acido della banana è mischiato con il latte, diventa
calmante e sviluppa anche proprietà guaritrici per l’apparato digerente.
Il succo d’arancia o di limone non diluito, combinato con un pizzico di
aglio in polvere, è efficace nel rimuovere la tendenza a reumatismi, gotta e
nevriti.
Per rimuovere il muco: prendi dei pizzichi, della dimensione di un
pisello, di pepe di cayenna e zenzero, aggiungi un pizzico di pepe bianco e
mettili in un bicchiere di acqua calda minimamente mineralizzata. Utilizzala
così calda da doverla bere con il cucchiaio.
Usa un pizzico di cannella, macis o noce moscata per esaltare le
proprietà medicinali della frutta tropicale. Saranno utili nell’eliminare il
calore dall’organismo, contribuendo così anche a prevenire la febbre.

Meditazione
Segni di progresso spirituale

Un giorno, fu chiesto a un mio confratello discepolo di scavare una buca


profonda per una fossa settica. Egli lavorò tutto il giorno, senza mai
fermarsi per controllare quanto avesse scavato. Alla fine della giornata, con
grande sorpresa sua e di tutti noi, la buca era terminata.
«Quello» disse il Maestro «è il modo per trovare Dio. Continua a scavare
e scavare, senza mai preoccuparti di dove sei arrivato. Un giorno,
all’improvviso, ti ritroverai già lì».
Il Maestro diceva spesso: «Se pianti un seme ma continui a toglierlo
dalla terra per vedere se sta germogliando, non gli permetterai di crescere.
Devi lasciarlo nel terreno e annaffiarlo ogni giorno; allora crescerà
sicuramente, a suo tempo. Lo stesso deve accadere sul sentiero verso Dio:
pianta il seme della divina aspirazione e non toglierlo continuamente dalla
terra per vedere come stia crescendo, ma annaffialo quotidianamente con la
meditazione e con azioni divine. Assicurati anche di circondarlo e
proteggerlo con la siepe della buona compagnia. Col tempo, il tuo piccolo
seme diventerà il robusto albero della realizzazione del Sé, che offrirà
ombra e riparo a ogni viandante. Ma ricorda: se rimuovi continuamente la
terra, potresti anche distruggerlo. Il dubbio è uno degli ostacoli più grandi
sul sentiero verso Dio».
Il Maestro, tuttavia, diceva anche che il dubbio ha degli aspetti
costruttivi. Il suo avvertimento si riferiva ai dubbi distruttivi, come il
“complesso di Amleto” («Devo? Non devo? La meditazione mi aiuterà
veramente? Non dovrei invece andare a servire in un ospedale?») o come
l’atteggiamento di autocritica di colui che insiste nel tenere la “mente
aperta” a ogni idea scoraggiante («Sono sicuro di non avere i requisiti per
fare strada sul sentiero spirituale. Forse pratico le tecniche nel modo
sbagliato e faccio passi indietro, invece che avanti. E se questo sentiero non
fosse altro che una trappola per gli incauti, che non porta all’illuminazione
ma alla confusione?»). Quanti devoti – davvero tanti! – ho visto vagare
intontiti nelle nebbie del dubbio, e non solo in questo sentiero spirituale, ma
anche negli altri! Riferendosi a queste persone, il Maestro citava a volte le
parole della Bhagavad Gita: «Colui che dubita è il più infelice dei mortali».
I dubbi distruttivi sono la nostra rovina; finché non dissipiamo le loro
nebbie, non possiamo progredire in nessun campo. Il dubbio è
semplicemente il frutto del cattivo karma passato e dobbiamo combatterlo
con risolutezza, non accettarlo passivamente in nome dell’imparzialità. La
persona saggia non ospita in casa sua dei criminali; perché dunque aprire la
mente a un’invasione di pensieri che vengono solo per portarci via la pace
interiore?
Il dubbio costruttivo, invece, è tutt’altra cosa. È la ricerca positiva di
soluzioni, non il sospetto negativo che i problemi siano irrisolvibili. Durante
una gara, il corridore non ha tempo di chiedersi: «Forse non dovrei fare
questo» o «Mi chiedo quali siano le mie probabilità di perdere». Potrà però
porsi domande più pratiche: «Devo allungare il passo? È il momento dello
sprint finale?». Il vero devoto, come il vero atleta, si concentra sul fare del
suo meglio. Con questo atteggiamento, la sconfitta è impossibile: possono
esserci solo diversi livelli di successo.
I segni del progresso spirituale, quindi, hanno un’utilità costruttiva
solamente se vengono intesi come una guida per i nostri sforzi, non come i
deprimenti indicatori di quanta strada c’è ancora da percorrere, e neppure
come un balsamo per l’ego della persona semi-illuminata.
Ricorda che la linea-guida più sicura per il progresso spirituale è la
crescente consapevolezza che Dio è l’unico potere nella vita; una
consapevolezza crescente, poiché la comprensione deve essere dinamica,
non passiva. (Troppi devoti indietreggiano di fronte ad azioni che
richiedono coraggio e iniziativa, per timore di rafforzare il proprio ego. Ma
come è possibile, senza mai agire, realizzare che solo Dio è Colui che
agisce?)
Uno degli errori più tristi, e più comuni, sul sentiero spirituale è quello di
misurare il progresso in base a fenomeni psichici di vario tipo. È un errore
che si è rafforzato con la scoperta degli allucinogeni, considerati come una
scorciatoia per arrivare al samadhi. Quando queste droghe cominciarono a
diventare popolari, sentii una certa affinità con coloro che le usavano, anche
se non ebbi mai la tentazione di provarle io stesso. Quelle persone
raccontavano sinceramente che l’esperienza della droga le aveva convinte
che l’egoismo è un’illusione, e ciò mi colpiva favorevolmente. Mi sembrava
impossibile che si potesse raggiungere una simile saggezza con una pillola,
ma pensai che potesse trattarsi di una comprensione acquisita in una vita
precedente; in quel caso, la droga avrebbe semplicemente scosso le persone
da atteggiamenti imposti dall’ambiente, facendo riaffiorare in loro gli
antichi samskara (tendenze). Era una teoria ragionevole. Dopo tutto,
qualcosa deve pur risvegliare i vecchi samskara, per portarci al sentiero
spirituale. Spesso è uno shock di qualche tipo, come una malattia o un lutto;
pensai quindi che anche le droghe potessero agire in questo modo.
Se è così, comunque, l’effetto è simile allo spalancare una porta con
violenza. Nel corso degli anni, osservando le persone che facevano uso di
droga, mi sono convinto che avevano semplicemente abbandonato una
forma di egocentrismo per un’altra, molto più insidiosa. La persona
aggressiva, per lo meno, si relaziona con il mondo oggettivo, sebbene in un
modo non piacevole; coloro che fanno uso di droga, invece, sembrano
ritirarsi in un’isola soggettiva, in cui perfino l’amore e la cosiddetta
coscienza espansa non conferiscono una genuina compassione o un
interesse attivo per gli altri. La loro mancanza di interesse per il prossimo –
se non in un senso puramente soggettivo – non denota libertà come essi
credono, ma solo un’eccessiva concentrazione su se stessi.
Una delle illusioni sul sentiero spirituale – causata dalle droghe o
semplicemente da un’errata comprensione – è quella di credere che il
progresso consista solo in un intrattenimento, fatto di visioni, voci e altri
fenomeni mentali o psichici, che in realtà non indicano di per sé una
genuina elevazione della coscienza. Swami Sri Yukteswar ha detto che
molti devoti rinunciano ai piaceri del mondo solo per cercarli nuovamente,
a livelli più sottili, nei fenomeni astrali.
La base di ogni vero progresso è il giusto atteggiamento. Se stai
diventando più gentile, più altruista, più calmo, puoi essere certo del tuo
progresso, sia che tu abbia visioni oppure no. Se riesci a poco a poco a
lasciar andare attrazioni e repulsioni e ad accettare con equanimità tutte le
esperienze della vita, hai molti motivi per rallegrarti. Se provi sempre meno
desiderio per le cose del mondo, sappi che stai davvero trovando la libertà.
Ancora più importante, se il tuo amore per Dio si fa sempre più profondo,
sappi che ti stai avvicinando rapidamente a Lui. E se attraverso tutte le
prove della vita ti senti sempre interiormente gioioso, con una gioia che
nulla può scalfire, sappi che Lo possiedi già, in misura meravigliosa.
Sì, il samadhi è uno stato splendido, da desiderarsi ardentemente. Ma
quando l’atteggiamento è giusto, ogni altra cosa andrà a posto da sola,
automaticamente. Al contrario, si sa di santi che sono caduti perfino da uno
stato di samadhi, a causa di qualche imperfezione nel loro atteggiamento.*
Ricorda comunque che i giusti atteggiamenti spirituali non possono
essere solo il prodotto di affermazioni e pensieri positivi. Sono una
conseguenza naturale del contatto divino nella meditazione, della Grazia
divina.
«Eppure mi sembra che il mio atteggiamento stia migliorando» potreste
ribattere «anche se non posso certo vantarmi di avere “contatti divini” nella
meditazione!».
Amico mio, questo tipo di negatività è proprio ciò da cui ti ho messo in
guardia all’inizio del capitolo. Togliere il seme dalla terra per vedere se sta
germogliando, ricordi? Faresti meglio a concentrarti su questo
atteggiamento, prima che annulli tutti gli altri!
Come sai di non aver avuto contatti divini nella meditazione? Il fatto
stesso che il tuo comportamento stia migliorando è un segno evidente che
qualcosa sta accadendo. Che cosa ti aspettavi? Tuoni? Fulmini? Un sipario
che si apre rivelando un coro di angeli? Gesù Cristo ha detto che Dio arriva
«come un ladro nella notte». Sperimenterai sicuramente, col tempo,
esperienze più grandi di quelle attuali, ma sappi che l’amore verso Dio che
provi nella meditazione è già un segno della Sua presenza. È così che Egli
si comporta: Gli piace entrare di soppiatto.
A detta dei medici, una delle cose più difficili è diagnosticare le proprie
malattie. Ancora più difficile è riconoscere correttamente le proprie illusioni
spirituali! Le persone possono a malapena comprendere da sole se la loro
salute stia migliorando o peggiorando. («Dottore, come sto?» è la prima
domanda che rivolgono di solito al medico.) Quanto è più difficile
riconoscere da noi stessi i nostri progressi o regressi spirituali! Le conquiste
sono raramente visibili da un giorno all’altro, ma diventano percettibili in
un arco di mesi, perfino di anni. Non lasciarti impressionare troppo quando
qualcuno ti dice: «Ieri ho partecipato a un incontro spirituale e ho
sperimentato una fantastica crescita interiore!». Per poter fare una giusta
valutazione, è necessario bilanciare le vette e i precipizi della vita. A volte
ci sono davvero giorni, perfino istanti, di crescita improvvisa, ma ciò non è
frequente, e di solito accade perché il terreno è stato preparato a lungo e con
cura.
In ogni caso, come ho già sottolineato, se ci si ferma ad analizzare il
proprio livello di sviluppo spirituale si perde del tempo prezioso, che
potrebbe invece essere impiegato per meditare e progredire ulteriormente. È
bene ricordare, piuttosto, che non è importante ciò che Dio ci sta dando in
termini di visioni e consolazioni, ma quello che siamo disposti a donare di
noi stessi a Lui. Accade spesso che a un’anima debole e materialista, più
bisognosa di incoraggiamento, vengano concesse più esperienze che ad una
pura e altruista. In ogni caso, non dovremmo cercare le esperienze in quanto
tali. Ciò non significa non essere grati se ci vengono date, poiché un cuore
riconoscente rivela il giusto atteggiamento, ma non cercarle e non esservi
attaccati. Come ha detto il Maestro: «Il sentiero verso Dio non è un circo!».
Se può sembrare che io tenga in poco conto le profonde esperienze
meditative (che non hanno nulla a che vedere con i semplici fenomeni
psichici), è perché il fondamento di tali esperienze deve essere il giusto
atteggiamento. Ogni sentiero verso Dio ha i suoi trabocchetti, e quello che
caratterizza il sentiero del Raja Yoga è la tentazione di abbandonarsi
all’orgoglio spirituale per aver ricevuto rivelazioni o poteri miracolosi nella
meditazione. Tuttavia, anche il limitarsi a parlare del corretto
atteggiamento, ignorando l’interiore schiudersi dell’anima, sarebbe un
errore, un invito per il devoto a tirare comodamente i remi in barca e ad
accontentarsi di finire un viaggio in realtà appena iniziato. Il giusto
comportamento dovrebbe farci sentire spontaneamente sempre più vicini –
coscientemente vicini – a Dio.
Il Maestro una volta incontrò un monaco e gli chiese: «Vedi mai luci o
angeli nella meditazione?».
«Quando Dio lo vorrà, li vedrò» rispose il monaco.
«Non è così» gli disse il Maestro con severità. «Quando avrai la giusta
devozione, li vedrai. Dio ti tiene nascoste queste cose non perché Lui lo
desideri, ma perché la tua devozione è ancora tiepida».
Quando il puro amore – non il desiderio di miracoli e fenomeni – diventa
la base della nostra ricerca spirituale, possiamo aspettarci delle esperienze
anche se non le desideriamo. Se queste rimangono assenti troppo a lungo,
significa che manca qualcosa. Prega dunque di ricevere una maggiore
devozione, non i frutti della devozione, per non commettere lo sbaglio di
quell’uomo che, stremato dalla fame, pregò di poter avere un grande
stomaco, invece che una pancia piena.
Ricorda comunque quanto è sottile il mondo interiore e non desiderare le
luci solo perché altri le vedono, mentre Dio sta già riversando su di te un
altro tipo di abbondanza. Molti sono i sentieri interiori che conducono a
Dio. Alcune persone raggiungono stati molto avanzati senza mai vedere la
luce interiore. Le parole rivolte dal Maestro a quel monaco, quindi,
dovrebbero essere intese almeno in parte come un consiglio personale,
rivolto solo a lui. L’importante è sperimentare attivamente la presenza di
Dio, in una forma o nell’altra.
Dio si presenta nell’anima in molti modi diversi: come luce, suono,
amore, pace, intensa calma, potere, saggezza o gioia divina. Si può avanzare
su uno di questi sentieri, o su più di uno, ma raramente su tutti
contemporaneamente, a meno che non si siano già raggiunti i più alti stadi
di sadhana (pratica spirituale). Chi vede le luci potrà avere visioni di santi o
angeli, oppure del mondo astrale. Chi ode i suoni potrà udire musiche astrali
o il suono dei centri spinali. Chi prova l’amore potrà ritrovarsi
inavvertitamente in lacrime durante la meditazione. Chi sente la pace avrà
l’impressione di assaporarla in sorsate pure e rivitalizzanti. Chi sperimenta
la calma (l’aspetto dinamico della pace) potrà sentire la propria coscienza
espandersi come in una sala spaziosa. Chi percepisce il potere divino sarà
intensamente consapevole che Dio solo è Colui che agisce e che l’uomo non
ha alcun potere. Chi conosce la saggezza potrà sviluppare la profonda
comprensione intuitiva di qualunque domanda rivolga a Dio, oppure
riconoscere se stesso, interiormente, come il Sé immortale. E chi sperimenta
la gioia divina non avrà mai bisogno di nient’altro.
Per entrare profondamente in queste esperienze, tuttavia, è necessario
dimenticare il piccolo ego. Finché si è coscienti di meditare sulle qualità
divine, la meditazione è ancora imperfetta. Colui che medita, l’atto del
meditare e l’oggetto della meditazione devono divenire uno. Come primo
requisito, la mente deve rimanere ferma, poiché l’agitazione rende
impossibile una profonda esperienza interiore. Secondo requisito è che il
respiro diventi calmo, anzi immobile. Quando il respiro cessa (non perché
trattenuto, ma come naturale conseguenza della calma fisica e mentale),
anche i pensieri devono fermarsi. Fino a quando non si sarà raggiunto
questo stato, non saranno possibili profonde esperienze spirituali.
Chi vede la luce non dovrebbe concentrarsi sulle visioni, ma cercare di
entrare in essa. Porta la tua attenzione nel centro di qualunque luce tu
scorga al punto tra le sopracciglia. Se vedi l’occhio spirituale (un campo di
luce blu circondato da un cerchio dorato, con una stella bianca a cinque
punte nel mezzo), sarà ancora meglio. Concentrati sulla stella, se la vedi, o
sul campo di colore blu. Gradualmente, l’oro si espanderà fino a formare un
tunnel, attraverso il quale entrerai coscientemente nella luce del mondo
astrale. Col tempo, anche la luce blu formerà un tunnel, attraverso cui
entrerai nella luce del mondo causale, la coscienza cristica. Quando riuscirai
a penetrare nella stella, entrerai nello Spirito al di là della creazione
vibratoria.
Ho già descritto in un altro capitolo i suoni dei centri spinali. È meglio
udire questi suoni, specialmente quelli emanati dai centri superiori,
piuttosto che la musica astrale. Meglio ancora è udire il grande suono
dell’AUM e immergersi in esso.
Chi sente l’amore dovrebbe cercare la perfetta unione con l’Amato
Divino. La devozione (bhakti) non si trasformerà in divino amore (prem)
finché non si espanderà oltre la coscienza dell’ego.
Lo stesso avviene con le altre esperienze di Dio. Offrile ogni volta in
alto, a Lui, facendoti condurre sempre più in profondità nella Sua coscienza,
e non accontentarti di aver raggiunto un pianoro invece della vetta.
Soprattutto, non paragonarti mai agli altri, per non cadere nello
scoraggiamento o nell’orgoglio. Non soffermarti neppure troppo sui segni
di progresso che ho descritto; ho appena toccato l’argomento. Dio, che è
infinito, può manifestarsi nell’anima in un’infinità di modi: come squisite
fragranze, come mille dolcezze riunite in una, come divino insegnamento,
pura gaiezza o amorevole clemenza. Il rapporto di ogni anima con l’Infinito
è unico; non confrontarti con gli altri, ma solo con te stesso. Ami Dio più di
prima? Stai sviluppando l’equilibrio mentale? Sei interiormente più
contento e gioioso, o per lo meno sereno? Sei meno ostinato? Desideri
servire e compiacere solo Dio? Se la tua risposta a queste domande è «Sì»,
e se puoi aggiungere a esse il desiderio di coltivare ogni giorno queste virtù
sublimi, sappi che Dio e il Guru sono sicuramente contenti di te. Offri loro
tutto te stesso: ti condurranno sicuramente e velocemente alle Sponde
Divine!
Un saluto finale allo studente

E così, caro amico e studente, siamo arrivati alla fine di queste lezioni.
Nonostante tutto il diligente lavoro che ho dedicato a questo corso, sento di
averti offerto solo una goccia d’acqua dal grande oceano della Verità. La
maggior parte di quell’oceano, certamente, dovrai scoprirla immergendoti
personalmente nelle sue profondità. Tuttavia, quante altre cose vorrei poterti
dire!
Molte persone mi hanno già pregato di allungare questo corso o di
scriverne un altro, ma almeno per ora non sarà possibile. La semplice
revisione editoriale di queste lezioni mi ha tenuto impegnato per quasi un
anno e mezzo, almeno un anno in più di quanto mi aspettavo. Certamente,
una parte di questo tempo l’ho impiegata in altre attività necessarie. (Essere
il direttore di una grande comunità di devoti significa non essere del tutto
privi di responsabilità!) Tuttavia, gran parte del tempo è stata dedicata alla
revisione editoriale. Molte altre cose mi restano da fare.
Il mio desiderio, in ogni caso, era quello di condurti agli insegnamenti e
alle benedizioni del mio guru. Lui è la fonte, io sono soltanto un rivolo, che
sopravvive solo grazie al suo potere. Se hai tratto benefici da queste lezioni,
è per merito della sua Grazia, non della mia saggezza. La mia preghiera è
che tu ti rivolga a lui e accolga nel tuo cuore quella Grazia che ha inondato
il mio. Se lo accoglierai o meno come tuo guru, questo è un altro discorso.
In ogni caso, lui potrà aiutarti nella misura in cui tu gli consentirai di farlo.
Non sarebbe una follia rifiutare il dono di questo amore divino?
E, caro amico, se in qualunque modo io stesso potrò esserti ulteriormente
d’aiuto, ti prego di darmi l’opportunità di provare a farlo. Per me sarebbe
una benedizione e un privilegio.
Che Dio e il Guru ti benedicano sempre.
Nel loro amore, il tuo stesso Sé
Il simbolo della gioia rappresenta il volo
dell’anima, che si libra nei cieli della gioia per poi
ritornare e portare quella gioia nella vita quotidiana.
SWAMI KRIYANANDA
Nato nel 1926 in Romania da genitori americani, Swami Kriyananda (J.
Donald Walters) ha compiuto i suoi studi dapprima in Svizzera e in
Inghilterra e successivamente in America, al Haverford College e alla
Brown University.
Divenuto discepolo nel 1948 di Paramhansa Yogananda, Kriyananda ha
diffuso in tutto il mondo gli insegnamenti di Yogananda sulla realizzazione
del Sé, mostrandone l’applicazione in ogni ambito dell’esistenza
quotidiana: gli affari, i rapporti con gli altri, il matrimonio, l’arte,
l’educazione, la vita comunitaria, ecc. Su questi argomenti Kriyananda ha
scritto più di ottanta libri, pubblicati in ventisei lingue in novanta Paesi.
Oltre a essere un rinomato autore e insegnante spirituale, Kriyananda è
anche un compositore di fama internazionale, che ha composto oltre
quattrocento brani di musica d’ispirazione.
Nel 1968, Swami Kriyananda ha dato il via alla prima comunità Ananda.
Da allora queste comunità – veri e propri laboratori viventi per una vita
semplice con alti ideali – si sono diffuse in America, Europa e India. Oggi
accolgono oltre mille residenti e sono ogni anno la meta di migliaia di
ricercatori spirituali.
Swami Kriyananda è stato insignito del Premio della Bontà 2003 su
nomina di Tara Gandhi Bhattacharjee, nipote del Mahatma; nel 2006 è stato
nominato Membro Onorario del Club of Budapest International.
PARAMHANSA YOGANANDA
Paramhansa Yogananda (1893-1952) è stato il primo grande maestro
indiano trasferitosi in Occidente. Autore della famosa Autobiografia di uno
yogi, pubblicata per la prima volta nel 1946, è considerato una delle
principali figure spirituali dei nostri tempi.

Yogananda ha svolto un ruolo chiave nel rendere lo yoga e la meditazione


ampiamente accettati e praticati in Occidente. Il suo amore, la sua
profondità e l’universalità dei suoi insegnamenti hanno ispirato milioni di
persone.

Yogananda ha dato risalto ai principi eterni alla base di ogni religione. Il suo
scopo era quello di aiutare i ricercatori sinceri della Verità,
indipendentemente dal loro credo, a ottenere l’esperienza interiore e diretta
di Dio. Egli ha insegnato che l’essenza intima di ogni religione è la stessa:
la via all’unione con l’Infinito, conosciuta come “realizzazione del Sé”.

Per aiutarci a raggiungere questo traguardo, Yogananda ha trasmesso


l’antica scienza del Kriya Yoga, insegnando pratiche spirituali facilmente
accessibili ai ricercatori occidentali. Persone di ogni età, religione e
provenienza possono utilizzare queste tecniche, basate su principi scientifici
e permeate di devozione e saggezza. Fin dai primi passi, esse consentono di
creare un equilibrio armonioso tra l’aspetto fisico, mentale, emozionale e
spirituale della propria natura, e di infondere questo equilibrio in tutte le
attività della vita.
ANANDA
Fondata nel 1968 da Swami Kriyananda, Ananda è un insieme di
comunità spirituali con centinaia di centri e gruppi di meditazione negli
Stati Uniti, in Europa e in India.
Nelle colline adiacenti ad Assisi sorge una delle comunità Ananda. Vi
risiedono circa cento persone che sperimentano, vivendo in armonia, gli
insegnamenti di Paramhansa Yogananda.
In questo luogo di pace giungono ogni anno migliaia di ricercatori
spirituali provenienti da ogni parte del mondo, in cerca di riposo e
rigenerazione interiore. Nello splendido Tempio di Luce, dedicato a tutte le
religioni, vengono offerti tutto l’anno corsi della durata di cinque giorni o di
un fine settimana, con pratiche di yoga, meditazione e lezioni, in
un’atmosfera di profonda tranquillità.
Gli insegnamenti presentati esprimono il messaggio universale alla base
delle discipline spirituali di Oriente e Occidente: l’antico insegnamento
della realizzazione del Sé. Ogni programma comprende l’istruzione nelle
tecniche di base del Kriya Yoga, con sessioni di meditazione ogni mattina e
sera, sia per principianti sia per praticanti più esperti.
Se desideri maggiori informazioni su Ananda, puoi visitare il sito
www.ananda.it oppure telefonare allo 0742.813.620.
La Ananda Yoga Academy comprende due scuole. Entrambe offrono
programmi di formazione per insegnanti e portano al conseguimento di
diplomi riconosciuti a livello internazionale. Fondata nel 2008 e basata
sugli insegnamenti di Paramhansa Yogananda e Swami Kriyananda, la
scuola accetta studenti da tutta Europa.

FORMAZIONE PER INSEGNANTI DI RAJA


YOGA
Questa scuola è stata creata per coloro che desiderano approfondire la
propria pratica della meditazione e trasmettere i benefici della meditazione
agli altri.

Il corso per Istruttori di Raja Yoga è strutturato in sette settimane, che è


possibile frequentare presso il centro Ananda Assisi anche nel corso di
qualche anno:
• 3 corsi intensivi di 6 giorni • 3 corsi intensivi di 5 giorni
• 1 corso di 5 giorni per la pratica intensiva della meditazione
Totale: 350 ore di formazione, così suddivise:
• 150 ore di pratica delle tecniche di meditazione
• 190 ore di apprendimento della filosofia del Raja Yoga e di metodi di
insegnamento
• 10 ore di insegnamento agli studenti.

Fra i temi trattati: il Bhakti, Gyana, Karma e Raja Yoga; l’Ashtanga Yoga di
Patanjali; il Sanaatan Dharma; la tecnica di Hong-So; gli Esercizi di
ricarica di Yogananda; metodologia dell’insegnamento. Il diploma è
riconosciuto dalla European Yoga Alliance.

FORMAZIONE PER INSEGNANTI DI HATHA


YOGA
La tradizione dell’Ananda Yoga è una delle più “antiche” in Occidente,
poiché risale agli anni ’60. La filosofia dell’Ananda Yoga è di imparare con
precisione gli asana, usandoli poi per stimolare una più profonda
consapevolezza interiore e favorire così la crescita spirituale.
La formazione è riconosciuta dal CONI e dalla European Yoga Alliance. Si
articola in due livelli. Primo livello: 7 settimane intensive per un totale di
320 ore; secondo livello: 6 settimane intensive per un totale di 280 ore; 600
ore complessive. Sia per il primo che per il secondo livello, le settimane
possono essere frequentate presso il centro Ananda Assisi nell’arco di 1-2
anni.

Fra i temi trattati: tecnica di asana e pranayama; meditazione ed Esercizi di


ricarica; anatomia e fisiologia; filosofia dello yoga; metodologia; esperienza
pratica di insegnamento.

Maggiori dettagli su entrambe le scuole sono disponibili sul sito:


www.anandayoga.eu
ti propone altre letture
SUPERCOSCIENZA
Risvegliarsi oltre i confini della mente
Swami Kriyananda

Attraverso semplici meditazioni, canti, affermazioni e preghiere,


Kriyananda ci guida a esplorare gli stati di consapevolezza più elevati, per
imparare a raggiungerli con successo e regolarità e ad ottimizzarne gli
effetti benefici. Un libro utile e indispensabile per tutti. Con prefazione di
Fabio Marchesi. 304 pagine. Oggi lasciati trasportare nelle meditazioni
guidate del libro con il nuovo CD. 45 minuti.

IO AMO MEDITARE
Guida pratica alla pace interiore
Swami Kriyananda

La meditazione non è affatto difficile da imparare. In questo prezioso libro


sarai guidato passo per passo da uno dei massimi esperti contemporanei,
Swami Kriyananda, che pratica e insegna la meditazione da oltre
cinquant’anni. Con visualizzazioni. 144 pagine. Oggi con CD, con una
registrazione rilassante delle visualizzazioni guidate contenute nel libro. 66
minuti.

ANANDA YOGA
Per una consapevolezza più elevata
Swami Kriyananda

Basato sugli insegnamenti del grande maestro indiano Paramhansa


Yogananda, l’Ananda Yoga ci offre l’Hatha Yoga così come era
originariamente inteso: come strumento per elevare la coscienza e
contribuire allo sviluppo spirituale. Con indicazioni sugli aspetti spirituali di
ogni posizione. Un gioiello per chiunque pratichi lo yoga. 252 pagine con
fotografie a colori.
COLLANA YOGA THERAPY
Jayadev Jaerschky

Questa collana presenta gli insegnamenti dell’Ananda Yoga come soluzione


naturale, semplice ed efficace ad alcuni dei più comuni disturbi, per guidare
il lettore nella riscoperta del suo naturale stato di salute, armonia ed
equilibrio. La collana presenta gli insegnamenti di Paramhansa Yogananda e
Swami Kriyananda. I primi tre libri della collana sono intitolati: Vincere
l’insonnia, Vincere lo stress e Vincere il mal di schiena. 144 pagine con foto
a colori. In co-edizione con Giunti Editore SpA.

L’INTELLIGENZA INTUITIVA
Come riconoscere e seguire la guida interiore
Swami Kriyananda

Questo libro spiega con estrema chiarezza che cos’è l’intelligenza intuitiva,
come sintonizzarsi con essa, come fidarsi dell’intuizione e come
riconoscere la falsa guida. Nella seconda parte spiega le pratiche semplici e
necessarie per accedere alla guida supercosciente latente in ognuno di noi.
120 pagine.

AFFERMAZIONI PER L’AUTOGUARIGIONE


Swami Kriyananda

Un richiamo alla nostra essenza più vera, un prezioso strumento di


trasformazione personale. Il libro contiene 52 affermazioni e preghiere, una
per ogni settimana dell’anno, per cambiare le abitudini negative
cristallizzate nel subconscio e i blocchi psicologici, per acquisire nuove
qualità ed esprimere al meglio le nostre potenzialità spirituali. 128 pp. con
immagini. Anche in versione CD: le affermazioni del libro suddivise in
quattro percorsi guidati, quattro libri con CD raccolti in pratici cofanetti.
Ognuno con 1 libro di 64 pagine e 1 CD 40 min.
IL GUSTO DELLA GIOIA
Cucina sana e naturale per il corpo, la mente e l’anima
Zoé Matthews
Per essere o diventare vegetariano non occorre soltanto sapere come
bilanciare la propria dieta, ma anche come cucinare pietanze deliziose e
salutari per il benessere fisico. Ispirato ai consigli di Paramhansa
Yogananda sull’alimentazione, questo libro ci accompagna in un’avventura
gioiosa nel mondo della nutrizione. Include 150 ricette deliziose,
accompagnate da bellissime foto, facili da seguire, gioiose da creare e
gustose da mangiare. 448 pagine, con fotografie a colori.

AUTOBIOGRAFIA DI UNO YOGI


Edizione originale del 1946
Paramhansa Yogananda

Uno dei classici spirituali più amati di tutti i tempi, nella sua versione
originale, inalterata. Tuttora un best-seller dopo oltre sessant’anni, questo
capolavoro è annoverato tra i cento libri di spiritualità più importanti del
ventesimo secolo. Una lettura appassionante per i ricercatori di qualsiasi
sentiero e religione, così come per i liberi pensatori, gli scienziati e
chiunque sia interessato a esplorare i misteri più profondi della vita. Forse
anche tu potrai essere una delle milioni di persone che hanno affermato:
«Questo libro ha cambiato la mia vita!». 528 pagine con foto in bianco e
nero.

«Nell’edizione pubblicata durante la vita di Yogananda, si può entrare più


profondamente in contatto con Yogananda stesso». –David Frawley,
Direttore dell’American Institute of Vedic Studies, autore di Yoga e
ayurveda

CONVERSAZIONI CON YOGANANDA


461 dialoghi inediti del grande maestro, oggi con DVD
Swami Kriyananda

Swami Kriyananda aveva solo ventidue anni quando giunse dal grande
Maestro, che personalmente lo esortò a prendere nota delle sue
conversazioni. Per più di cinquant’anni Kriyananda ha custodito questi
preziosi “appunti” e, dopo avere meditato a lungo su queste verità,
condivide con noi questi gioielli di saggezza, devozione e umorismo. Nel
DVD allegato Swami Kriyananda ci spiega, con intimità e chiarezza, come
ha incontrato Paramhansa Yogananda nel 1948 e come la sua vita è stata
trasformata da quell’incontro. 458 pagine con foto; DVD 52 minuti.
SUSSURRI DALL’ETERNITÀ
Paramhansa Yogananda

Tra i più ispiranti libri di preghiere mai scritti! In questa raccolta


Yogananda condivide i suoi meravigliosi pensieri colmi di anelito al divino,
ispirandoci a cogliere la segreta presenza di Dio negli eventi quotidiani.
Ognuna di queste poesie-preghiere ha il potere di accelerare la crescita
spirituale, fornendoci centinaia di modi per iniziare una conversazione con
Dio. 279 pagine.

COME ESSERE SEMPRE FELICI


Paramhansa Yogananda

Con questi scritti inediti, Paramhansa Yogananda ci offre una mappa da


seguire passo dopo passo per trovare il tesoro della vera felicità nel luogo in
cui più raramente lo cerchiamo: nel nostro stesso Sé. 200 pagine, con
fotografie in bianco e nero.
COME ESSERE UNA PERSONA DI
SUCCESSO
Paramhansa Yogananda

La nostra definizione del successo si limita di solito alla prosperità


monetaria e al potere, ma esistono aspetti del successo molto più vitali e
spirituali, che sono spesso trascurati. In questa raccolta di scritti inediti,
Yogananda condivide con noi i segreti per raggiungere le più alte vette del
successo materiale e spirituale. 200 pagine, con fotografie in bianco e nero.
COME AMARE ED ESSERE AMATI
Paramhansa Yogananda

Imparando a sviluppare l’amore più puro di tutti, riusciremo finalmente a


esprimere il nostro vero amore verso gli altri, senza paura di essere respinti.
Questo libro è una guida pratica per: espandere i confini del nostro amore,
superare le cattive abitudini che compromettono la vera amicizia e fare
l’esperienza dell’Amore Universale dietro tutte le nostre relazioni. 192
pagine, con fotografie in bianco e nero.

COME VINCERE LE SF IDE DELLA VITA


Paramhansa Yogananda

Per risvegliare il coraggio, la calma e la fiducia in noi stessi, questa raccolta


di brani inediti ci aiuta a riscoprire l’invincibile forza del nostro stesso Sé.
Con indicazioni concrete ed efficaci per attingere alle invincibili qualità
dell’anima, sintonizzarsi con la presenza divina e superare gli ostacoli più
grandi. 208 pagine, con fotografie in bianco e nero.
COME CREARE IL PROPRIO DESTINO
Paramhansa Yogananda

Quanto nella nostra vita è già fisso e immutabile, per sempre segnato da un
destino a volte cieco e capriccioso, e quanto invece possiamo cambiare con
la nostra volontà e le nostre azioni? In questi scritti inediti Paramhansa
Yogananda ci spiega alcuni dei più grandi misteri dell’esistenza. 208
pagine, con fotografie in bianco e nero.
LE RIVELAZIONI DI CRISTO
Proclamate da Paramhansa Yogananda
Swami Kriyananda

Attingendo alla saggezza e agli insegnamenti del grande maestro


Paramhansa Yogananda, il suo discepolo Swami Kriyananda ci offre in
questo libro una visione del Cristianesimo moderna, potente e libera dal
dogmatismo. Quest’opera riporta alla luce il Cristianesimo originario,
dimostrando attraverso una profonda e yogica lettura dei Vangeli l’unità di
tutte le religioni, donando nuova autorevolezza alle parole di Cristo e
mostrandone la completa compatibilità con le scoperte della scienza. 400
pagine.

L’ESSENZA DELLA BHAGAVAD GITA


Commentata da Paramhansa Yogananda
Swami Kriyananda
Swami Kriyananda, dopo aver trascorso un’intera vita in sintonia con il suo
guru, ha magistralmente completato questo opus magnum. Destinato a
diventare un classico spirituale, questo commento rende gli antichi
insegnamenti così comprensibili che ha davvero il potenziale di portare
milioni di anime a Dio, come predisse lo stesso Yogananda. 552 pagine.

I SEGRETI
Swami Kriyananda

Ogni libretto dei Segreti è una raccolta di trentun perle di saggezza, una per
ogni giorno del mese. Amati per la loro semplicità, questi libretti riescono a
esprimere in poche parole le grandi verità della vita. Con la loro grafica
raffinata e le splendide fotografie a colori dell’autore, rappresentano il dono
ideale per chi desideri condividere con gli altri i segreti di un’esistenza
felice. Ciascun libro: 72 pagine tutte a colori.
ALTRI LIBRI DI SWAMI KRIYANANDA
basati sugli insegnamenti di Paramhansa Yogananda

Attrarre la prosperità
L’arte di guidare gli altri
Perché non adesso?
Dio è per tutti
Città di Luce
Vivere con saggezza, vivere bene
Il matrimonio come espansione del Sé
Un luogo chiamato Ananda
Speranza per un mondo migliore!
La religione nella nuova era
La promessa dell’immortalità

COLLANA POEMI
Poesie dall’Eternità
La terra del sole d’oro
Il gioiello nel loto
Il Cantante e l’usignolo
BIOGRAFIE DI SWAMI KRIYANANDA
Swami Kriyananda come noi lo conosciamo
La fede è la mia armatura

Ananda in sanscrito significa “beatitudine divina”, e tutti i nostri libri


sono pieni di “Ananda”; così è nato il nostro nome. Ti invitiamo a
consultare il catalogo su www.anandaedizioni.it, dove troverai anche i
nostri e-book.
Titolo originale:
14 Steps to Higher Awareness
Prima edizione italiana: settembre 2011

Graf ica di Tejindra Scott Tully


Fotografie di Giorgio Majno

Modelli: Vahini Abbruzzese e Jayadev Jaerschky


I pantaloni yoga sono della linea Satya: www.satyagroup.it

Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato,


spiritualmente e finanziariamente, alla realizzazione di
quest’opera.

Un ringraziamento particolare a Jayadev Jaerschky e Sevadevi


Ena
della “Accademia Europea di Ananda Yoga”, Massimo e
Manuela Masotti,
Luigi Perencin e Maria Grazia Scalchi per il loro prezioso
contributo
alla revisione editoriale.

ISBN: 97 88888401 454

Ananda Edizioni Associazione


Frazione Morano Madonnuccia, 7
06023 Gualdo Tadino (PG)
tel. 075-9148375 / fax 075-9148374
www.anandaedizioni.it
info@anandaedizioni.it

Finito di stampare nel settembre 2011 presso CSR


Tipolitografia, Roma
* Questa parola della lingua sanscrita si pronuncia come se fosse scritta
yoghi. (N.d.T.)
* Il suffisso -ji indica rispetto. (N.d.T.)
† Si veda la pagina su Ananda alla fine di questo libro. (N.d.C.)
* Si pronuncia come se fosse scritto OUM. (N.d.T.)
* La citazione è tratta da Luca 17,21, così come riportato nella King James
Bible. Nella versione italiana a cura della C.E.I. leggiamo invece: «Il
regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà:
Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!».
(N.d.T.)
* Le posizioni capovolte possono essere benefiche, neutrali o non indicate
per le infiammazioni alla testa, a seconda delle condizioni personali di
salute. È quindi necessario consultare un medico. (N.d.C.)
* Le persone affette da diabete che soffrono anche di pressione arteriosa
elevata o problemi agli occhi, dovrebbero evitare le posizioni capovolte e
mantenere le altre posizioni con una respirazione lenta e regolare.
(N.d.C.)
* La citazione è tratta dalla King James Bible. Nella versione italiana a cura
della C.E.I. il passo recita solamente: «Amerai il Signore Dio tuo con
tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Matteo
22,37). Non vi è, cioè, alcun accenno alla forza. (N.d.T.)
*Ananda Edizioni. (N.d.C.)
* Nella comunità Ananda Village, nei pressi di Nevada City in California.
(N.d.C.)
* Molti di questi canti sono stati tradotti in italiano e sono disponibili, per
chi desideri impararli, in un libretto dal titolo Canterò a Te, che include la
notazione musicale. Questo libro, e anche numerosi CD che contengono i
“canti cosmici” di Yogananda eseguiti in italiano e in inglese, possono
essere ordinati tramite il sito internet www.innerlife.it, via e-mail:
ananda@innerlife.it, oppure telefonando allo 075 9148505, Fax 075
9148506. (N.d.C.)
* Puoi ordinare queste musiche tramite il sito internet www.innerlife.it, via
e-mail: ananda@innerlife.it, oppure telefonando allo 075 9148505, Fax
075 9148506. (N.d.C.)
* Per informazioni sul ritiro Ananda nei pressi di Assisi vedi le pagine alla
fine di questo libro. Per ordinare il DVD sugli esercizi di ricarica puoi
consultare il sito www.anandaedizioni.it nella sezione “corsi e
pratiche/tecniche” oppure telefonare ad Ananda Sangha al numero 0742
813 620. (N.d.C.)
* Kapalabhati Pranayama va evitato in caso di pressione arteriosa elevata o
durante la gravidanza. (N.d.C.)
* Nello yoga si parla si piegamenti in avanti o all’indietro riferendosi alla
posizione che assume la colonna vertebrale. (N.d.C.)
* Si ricorda tuttavia che le posizioni capovolte non devono essere praticate
durante il ciclo mestruale. (N.d.C.)
* Le posizioni capovolte possono essere benefiche, neutrali o non indicate
per le infiammazioni alla testa, a seconda delle condizioni personali di
salute. È quindi necessario consultare un medico. (N.d.C.)
* Le posizioni capovolte possono essere benefiche, neutrali o non indicate,
a seconda delle condizioni personali di salute. È quindi necessario
consultare un medico. (N.d.C.)
* Le posizioni capovolte possono essere benefiche, neutrali o non indicate,
a seconda delle condizioni personali di salute. È quindi necessario
consultare un medico. (N.d.C.)
* Se correttamente compreso, ovviamente, nulla è miracoloso, a meno che
non si definisca ogni cosa un miracolo.
† Questa tecnica può essere imparata ad Ananda durante il corso di
preparazione per ricevere l’iniziazione al Kriya Yoga. Per informazioni:
kriya@ananda.it oppure telefonare allo 0742 813 620.
* Va osservato che i pianeti che ho assegnato come governanti ai diversi
segni sono quelli tradizionalmente indicati dall’astrologia indù. La
moderna astrologia occidentale assegna ad alcuni di questi segni zodiacali
dei pianeti scoperti più di recente: Urano, Nettuno e Plutone.
† Nell’astrologia indù Giove è chiamato Brihaspati, il guru degli dèi. La
parola guru viene dalla radice sanscrita gur, innalzare, elevare.
* Gli studenti interessati troveranno molte informazioni utili nel mio libro Il
segno zodiacale come guida spirituale.
† Per informazioni: kriya@ananda.it oppure telefonare allo 0742 813 620.
* Se ti è difficile immaginare un vasto numero di questi vortici in un canale
apparentemente così stretto come la spina dorsale, forse ti sarà d’aiuto
comprendere quanto sia grande in realtà il tuo corpo. In una scala tra il
più piccolo atomo e la stella più grande, il corpo umano si trova più o
meno a metà strada.
* Ogni chakra ha un diverso numero di “petali”: il midollo allungato ne ha
due (i a e pingala); il centro cervicale ne ha sedici, il dorsale dodici, il
lombare dieci, il sacrale sei e il coccigeo quattro.
* Nella versione ufficiale della C.E.I., il brano è riportato come segue: «La
lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo
corpo sarà nella luce». (N.d.T.)
* Questo aggiustamento potrebbe essere controindicato in alcuni casi e
avere effetti nocivi se praticato in maniera scorretta. Deve quindi essere
effettuato esclusivamente da un chiropratico o osteopata esperto, previa
valutazione delle condizioni e delle necessità del paziente. (N.d.C.)
* Letteralmente, il “misuratore”, ciò che sembra separare l’Unica Realtà in
innumerevoli segmenti.
† Ad esempio, aperti a ricevere, piuttosto che egoisticamente abbarbicati a
cose e persone.
* Perché sia entrata in questo viaggio è una domanda accademica, dal
momento che ormai siamo qui. Il nostro problema, adesso, è come
uscirne. Possiamo presumere con sicurezza che, in qualche momento del
nostro passato, abbiamo fatto quello che non avremmo dovuto fare,
accettando le regole della schiavitù invece di quelle che conducevano alla
liberazione.
* Ma non dagli stadi più alti del samadhi. Nel nirbikalpa samadhi l’ego si
immerge totalmente in Dio. In questo stato, impossibile da raggiungere
senza un comportamento perfettamente corretto, l’anima è jivan mukta
(“libera mentre in vita”) e non può mai più cadere.

Potrebbero piacerti anche