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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA DELL’AMBIENTE, DELLA


CULTURA
E DEL TERRITORIO – DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E STATISTICA
COGNETTI DE MARTIS

RISORSE NATURALI PER IL


NUCLEARE

David Andres Boniotti


Luca Salvai
Luca Sardo

A.A. 2022/2023
INDICE
INDICE 2
1. INTRODUZIONE 3
2. LE RISERVE DI URANIO 4
La presenza di uranio in natura 4
Riserve identificate di uranio 4
3. DOMANDA E OFFERTA DI URANIO 6
Domanda di uranio 6
Previsioni sulla capacità installata 7
Evoluzione dell’offerta di uranio 7
Produzione attuale 8
4. MODELLI DI FORMAZIONE DEL PREZZO 9
Le fluttuazioni del prezzo 9
Validità della regola di Hotelling 15
Formazione dello spot price 15
Effetti degli shock esogeni 17
5. SCENARI FUTURI 18
Riserve pronosticate e speculative 18
Risorse non convenzionali 18
Fonti secondarie 21
Tecnologie di frontiera 22
CONCLUSIONI 24
BIBLIOGRAFIA 25

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1.INTRODUZIONE

Di fronte alle sfide globali legate ai cambiamenti climatici, la decarbonizzazione


dell’energia è un obiettivo fondamentale da raggiungere per limitare l’emissione in
atmosfera di gas climalteranti. In questo senso, l’energia nucleare si presenta come
una possibile soluzione. L’intensità di emissione del nucleare è calcolata in un range
di 4-110 gCO2eq/kWh a differenza dei 290-930 gCO2eq/kWh per il gas e 675-1689
gCO2eq/kWh per il carbone (IPCC, 2022). Tuttavia, l’energia nucleare dipende da
un combustibile non rinnovabile, l’uranio.

L’obiettivo di questo report è illustrare le riserve di uranio disponibili e di come


queste influenzano la domanda e l’offerta del mercato. In seguito, un’analisi
dinamica sugli orizzonti temporali di esaurimento della risorsa e sull’andamento dei
prezzi fornirà uno strumento per comprendere le dinamiche e le caratteristiche del
mercato. Infine, verranno presentati alcuni casi studio rappresentativi della frontiera
tecnologica attuale che, abbinati a stime di scenari futuri, forniranno una visione
ampia dei possibili sviluppi del nucleare.

Figura 1. Meccanismo di formazione del prezzo dell’uranio (Rooney et al., 2015)

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2.LE RISERVE DI URANIO
La presenza di uranio in natura
L’uranio (U) è un elemento presente in natura con numero atomico Z=92. Esiste
principalmente sotto forma di due isotopi: U238 e U235 con una proporzione in
natura di 99,3% e 0,7% rispettivamente. L’uranio, e in particolare l’isotopo 235, è
l’unico elemento fissile presente in natura. Tuttavia, per essere sfruttabile
industrialmente (militarmente ed energeticamente), l’uranio viene comunemente
‘arricchito’ mediante processi di centrifuga, aumentando la proporzione di U235. Si
distingue tra:

- Low-Enriched Uranium (LEU) usato per la produzione di elettricità, con


concentrazioni di U235 tra 3-5%
- Highly-Enriched Uranium (HEU), impiegato principalmente nell’industria
militare, con concentrazioni di U235>20% (85% per gli ordini).

L’uranio è una risorsa naturale non rinnovabile di origine minerale, la cui presenza in
natura è relativamente abbondante: le sue riserve mondiali sono simili a quelle di
stagno e leggermente inferiori rispetto a quelle di cobalto. Si trova infatti sia nei mari
che in più di 200 minerali diversi (Nuclear Energy Agency, Red Book, 2020). Le
concentrazioni di uranio sono variabili a seconda del minerale in cui si trova (da
0,003 ppm nei mari a più di 200 ppm in alcuni depositi); questo è un fattore
essenziale al momento di valutare la fattibilità economica della sua estrazione.

Riserve identificate di uranio


La disponibilità di uranio nelle riserve è il fattore determinante che vincola la
capacità globale di sostenere la domanda da parte dei reattori nucleari nei prossimi
decenni.
Le risorse identificate di uranio vengono classificate in:
- Risorse ragionevolmente sicure (Reasonably Assured Resources, RAR) che
corrispondono ai giacimenti minerari conosciuti con certezza
- Risorse stimate (Inferred Resources, IR) ovvero quelle risorse di uranio che
si presume siano presenti sulla base di evidenze geologiche dirette ma i cui
dati specifici sono considerati inadeguati per classificarle come RAR.

Di seguito, la Figura 2 mostra la disponibilità mondiale di uranio divisa per costi di


estrazione.

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Figura 2. Suddivisione delle risorse di uranio (Red Book, 2020)

I giacimenti di uranio conosciuti sono fortemente concentrati in alcune zone del


mondo (come si osserva nella Figura 3); circa il 52% delle riserve di uranio è
localizzato in Australia, Kazakistan e Canada. Per quanto riguarda le riserve
australiane, il 64% di queste appartiene al solo sito “Olympic Dam deposit”.
Le alte concentrazioni geografiche della risorsa delineano un evidente mercato
oligopolistico in cui gran parte della produzione mondiale di uranio è detenuta da
un numero molto limitato di aziende.

Figura 3. Risorse di uranio per paese nel 2019 (World Nuclear Association, 2022)

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La suddivisione delle riserve di uranio in base alle diverse categorie di costo è
visibile nella Figura 4, che evidenzia la disponibilità nei diversi giacimenti nazionali
in base a 4 livelli di costo di produzione dell’uranio.

Figura 4. Risorse di uranio per paese a seconda dei livelli di costo di produzione (Red Book,
2020)

Si osserva come le riserve australiane siano le più abbondanti al mondo e tuttavia il


governo non renda note le quantità estraibili a prezzi inferiori a 80$/KgU. Si noti
inoltre come il Kazakistan e il Canada siano le nazioni con una disponibilità
maggiore di uranio a basso prezzo. Questo fattore potrebbe contribuire a spiegare
perché l’Australia abbia una produzione inferiore a Kazakistan e Canada.

3.DOMANDA E OFFERTA DI URANIO


Domanda di uranio
Attualmente l’energia nucleare rappresenta circa il 10% del mix energetico
mondiale, con previsioni di aumento nei prossimi decenni (International Energy
Agency, Global energy review, 2020).
Nel 2021 la domanda di uranio è stata determinata dalla richiesta di combustibile da
parte dei 424 reattori nucleari presenti nel mondo, distribuiti in 30 paesi, con una
potenza installata complessiva di circa 400 GWe). Per produrre tale quantità di
energia i reattori richiedono ogni anno circa 62.500 tonnellate di uranio (Red Book,
2020). L’ottimizzazione nell’utilizzo si può leggere nei dati storici: dal 1980 al 2008
l’elettricità generata dal nucleare è aumentata di 3,6 volte, mentre l’uranio utilizzato
è aumentato solo di 2,5 volte. Il confronto tra la domanda di uranio e le riserve
disponibili dimostra che le riserve disponibili sono sufficienti per soddisfare la
domanda di uranio per altri 130 anni. Si tratta di un livello di risorse assicurate
superiore a quello normale per la maggior parte dei minerali.
La letteratura, comunque, prevede che a partire dalla metà del secolo possano
crearsi stress nell’approvvigionamento (Dittmar, 2013)

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Ulteriori esplorazioni e prezzi più elevati potrebbero consentire, sulla base delle
attuali conoscenze geologiche, un aumento delle risorse sfruttabili, man mano che
quelle attuali verranno esaurite.
Si nota una forte asimmetria tra i paesi produttori e consumatori: il 90% circa dei
consumi avvengono in paesi che hanno una produzione scarsa o nulla di U235,
mentre il 70% della produzione avviene in paesi che hanno un consumo scarso o
nullo (Red Book, 2020). Evidenti sono gli esempi di Australia e Namibia che, pur
essendo tra i maggiori produttori di uranio, ne fanno un consumo nullo; o il caso
della Francia, la quale, nonostante abbia azzerato la sua produzione di uranio,
presenta un consumo tra i più elevati al mondo. Queste caratteristiche aiutano a
spiegare la natura del mercato dell’uranio: solo il 15% dell’uranio è venduto in spot
market mentre il restante è venduto con contratti a lungo termine, spesso di natura
confidenziale (Rooney et al. 2015).
A causa della struttura dei costi della produzione di energia nucleare e con un basso
costo del combustibile, la domanda di combustibile di uranio è molto facilmente
prevedibile rispetto a quella degli altri minerali. Una volta costruiti i reattori, è molto
conveniente mantenerli in funzione piuttosto che azionarli ad interruzione; le
previsioni sulla domanda di uranio dipendono quindi in larga misura dalla capacità
installata e operativa, mentre risentono poco delle fluttuazioni economiche.

Previsioni sulla capacità installata

Le previsioni sulla capacità installata e sul fabbisogno di uranio continuano a


indicare una crescita a lungo termine. Si prevede che la capacità nucleare installata
aumenterà da circa 400 GWe netti all'inizio del 2019 arrivando ad un valore
compreso tra circa 354 GWe (caso pessimistico) e 626 GWe (caso ottimistico) entro
il 2040 (Red Book, 2020). Lo scenario pessimistico rappresenta una diminuzione di
circa l'11% rispetto alla capacità di generazione nucleare del 2018, mentre lo
scenario ottimistico rappresenta un aumento di circa il 58%. Entro il 2030, la
proiezione dello scenario ottimistico vede un aumento del 26%, a indicare che in
diversi Paesi sono già in corso significative attività di espansione (ad esempio Cina),
che compensano i programmi di chiusura delle centrali nucleari annunciati in altri
Paesi (ad esempio, Germania Belgio, Spagna).

Evoluzione dell’offerta di uranio

La produzione di uranio nel periodo 1945-2021 può essere suddivisa in quattro fasi
distinte:

- L’era militare, dal 1945 alla metà degli anni Sessanta. La generazione di elettricità
dal combustibile nucleare era accessoria alla corsa agli armamenti nucleari. La
produzione è aumentata rapidamente negli anni '50 per soddisfare il fabbisogno di
uranio e plutonio altamente arricchiti. La domanda di uranio è diminuita

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drasticamente negli anni Sessanta e, di conseguenza, la produzione si è dimezzata
a metà degli anni Sessanta.

- Dalla metà degli anni '60 alla metà degli anni '80. In un periodo di rapida
espansione dell'energia nucleare civile, la produzione di uranio è aumentata grazie
all'incremento degli ordini di reattori.

- Dalla metà degli anni '80 al 2002 circa. Nel 1985, il programma di costruzione
nucleare è stato fortemente ridotto. Molte aziende hanno firmato contratti per
l'uranio in previsione della costruzione di altri impianti. Il rispetto di questi contratti
ha creato un notevole sovraccarico.

- Dai primi anni 2000 a oggi. Il mercato ha reagito con forza alla percezione che
sarebbe stata necessaria una nuova produzione primaria per facilitare la prevista
rinascita del nucleare. Questa reazione è iniziata nel 2003 con un forte movimento
al rialzo dei prezzi mondiali dell'uranio che è proseguito fino al 2007, ma ha subito
una correzione al ribasso, accentuata dall'incidente di Fukushima nel 2011. Dopo
l'incidente, i prezzi dell'uranio (corretti per l’inflazione) sono scesi a uno dei livelli più
bassi mai registrati.

Produzione attuale

La produzione di uranio globale è passata da 62.997 tonnellate di uranio nel 2016 a


54.224 tonnellate nel 2019, dovuto a policy indirizzate a ridurre l’offerta in un
mercato in quegli anni saturo (Red Book, 2020). In seguito, si è ulteriormente ridotta
a causa degli effetti della pandemia e nel 2021 la produzione di uranio si è attestata
sulle 48.332 tonnellate annuali, estratte in soli 15 paesi. La produzione storica di
uranio, divisa per paesi è osservabile nella Figura 5.

Figura 5. Produzione storica di uranio e domanda mondiale (World Nuclear Association,


2020)

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Nel 2021 il Kazakistan ha prodotto la quota maggiore di uranio dalle miniere (45%
dell'offerta mondiale), seguito dalla Namibia (12%) e dal Canada (10%). Inoltre,
sempre nello stesso anno, le prime 10 società per produzione di uranio hanno
coperto circa il 90% della produzione mondiale del minerale. Le figure 6 e 7
dimostrano la natura oligopolistica del mercato dell’uranio.

Figura 6. Quote di produzione di uranio (Red Book, 2020)

Figura 7. Produzione di uranio per azienda estrattiva (World Nuclear Association, 2020)

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4.MODELLI DI FORMAZIONE DEL
PREZZO
Le fluttuazioni del prezzo

Prima di analizzare i modelli che predicono il comportamento dei prezzi e degli


agenti di mercato, è utile ricapitolare le fluttuazioni dei prezzi più significative
presenti nelle serie storiche disponibili.

La sovrapproduzione di uranio, che si è protratta fino al 1990, unita alla disponibilità


di fonti secondarie (vedi paragrafo ‘Fonti secondarie’), ha fatto sì che i prezzi
dell'uranio tendessero al ribasso dall'inizio degli anni '80 fino alla metà degli anni
'90, determinando una significativa riduzione delle spese in molti settori dell'industria
mondiale dell'uranio, comprese l'esplorazione e la produzione.

A partire dal 2002, i prezzi dell'uranio hanno iniziato ad aumentare raggiungendo


livelli che non si vedevano dagli anni '80, sono poi cresciuti più rapidamente nel
2005 e nel 2006, raggiungendo un picco dei prezzi spot nel 2007 e nel 2008.
Al contrario, gli indici dei prezzi a lungo termine dell'UE e degli Stati Uniti hanno
continuato a crescere fino al 2011, per poi stabilizzarsi nel 2012 e iniziare a
diminuire fino al 2019. Le fluttuazioni di questi indicatori non sono paragonabili al
picco del mercato spot nel 2007 e 2008 o al grado di declino dei prezzi dal 2011.
Questo, perchè riflettono accordi contrattuali stipulati in precedenza in regimi di
prezzo diversi.

Le fluttuazioni dei prezzi appena descritte sono determinate dalla conformazione


particolare del mercato dell’uranio. Per capire quali sono le variabili che lo
governano, bisogna innanzitutto chiarire le specificità della distribuzione e
dell’utilizzo di questa risorsa. Le principali caratteristiche sono le seguenti:

- i costi associati all’acquisizione di materiale fissile sono una componente


irrilevante se comparata agli investimenti di capitale necessari per la
realizzazione di una centrale nucleare. La conseguenza diretta è che gli
shock di breve periodo del prezzo possono essere sopportati con facilità
dall’industria (Rooney at al., 2015)
- la maggior parte dei contratti di fornitura di uranio sono privati, tra produttore
e consumatore. Rendendo il settore meno sensibile a variazioni - anche
rilevanti - di prezzo (nonostante i costi restino comunque agganciati al
prezzo spot) (Rooney at al., 2015)

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- l’85% delle riserve di uranio si trova in soli 9 stati e in ciascuno di questi stati
le tecniche di estrazione, le caratteristiche di mercato e geologiche sono
peculiari (Red Book, 2020)
- la domanda di mercato non cresce in modo lineare, poiché è caratterizzata
da un alto fabbisogno di uranio nelle prime fasi di vita di un impianto per
garantirsi scorte di magazzino sufficienti (Monnet et al., 2017).

La costruzione di modelli dinamici per spiegare la dinamica di prezzo (e in


particolare come non segua il percorso di Hotelling) e il comportamento dei suoi
attori, si sostanziano nell’analisi delle variabili che più di tutte influenzano tali
meccanismi.
Il RPR (reserves to production ratio) è una di queste. Esso può avere due
interpretazioni diverse in base alla scala di analisi:

- Se globale, può essere interpretato come un vincolo di scarsità mondiale ed


è legato all’anticipazione della domanda mondiale.
- se regionale, può essere interpretato come un vincolo tecnico, finanziario e
di budget sulla strategia regionale

Il RPR è così composto:


- al denominatore, la quantità di uranio richiesta dalle centrali che è
prevedibile in anticipo (anche di dieci anni o più) dall’offerta
- al numeratore, le riserve. Data la possibilità di anticipazione vengono
“controllate” dalle imprese produttrici che possono avviare i progetti
necessari di estrazione ed esplorazione per adeguarsi (Monnet et al. 2017).

A livello globale, storicamente il RPR non è mai sceso sotto i 60 anni. Per questo
motivo, 60 anni viene assunto come limite inferiore, che una volta raggiunto rimane
costante. Infatti, l’aumento dei prezzi indurrebbe alla compensazione tra riduzione
delle riserve e riduzione della domanda. A livello regionale, viene fissato a 10 anni.
mantenendosi quasi costante e questo è dovuto al fatto che:

Le stime sulle riserve mondiali di uranio lo confermano: da quando si è iniziato ad


estrarre il minerale, esse sono aumentate costantemente più che compensando la
sua produzione e consumo.
Inoltre, l’uranio da RAR estraibile a prezzi inferiori di 40$/KgU è aumentato
costantemente a fronte di una riduzione dell’uranio estraibile a prezzi superiori,
questa dinamica dimostra come l’avanzamento tecnologico in un certo senso
“impedisca” all’uranio di seguire la regola di Hotelling.

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Questa relazione fra costi di esplorazione e prezzo è tipica delle risorse non
rinnovabili, e l’uranio, come si evince dalla figura 8 qui riportata, non fa eccezione:

Figura 8. Prezzo spot dell’uranio (Monnet et al. 2017)

Figura 9. risultati delle correlazioni tra costi di scoperta e spese di esplorazione cumulative
stimate (Monnet et al., 2017)

Si notino:
- la disaggregazione regionale dei produttori per meglio interpretare la
contribuzione specifica
- il grado di significatività statistico e di bontà dell’adattamento elevati dei
coefficienti considerati
Da questo segue che il prezzo dinamico dell’uranio non segue un incremento
costante come suggerito dalla regola di Hotelling ma incrementa del minimo
indispensabile per mantenere il RPR al suo limite inferiore: quelle che si producono
sono quindi “rendite di scarsità” (Monnet et al., 2017).

Sono stati testati in maniera proiettiva tre modelli:


- competizione perfetta globale senza vincoli estrattivi (M1)

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- competizione perfetta globale con i costi estrattivi inclusi endogenamente
(M2)
- oligopolio in cui la produzione è regionale (M3)
Di seguito si mostrano in comparazione i modelli M1 e M2 per mostrare come
l’inclusione dei costi estrattivi sia necessaria; essa infatti raggiunge, nel caso di
domanda crescente forte (evidenziato nello scenario A3, a differenza dello scenario
C2 dove la domanda cresce lentamente), un punto di indisponibilità che
diversamente non sarebbe prevedibile, oltre che stimare prezzi più alti, dati i costi
maggiori inclusi nell’analisi.

Figura 10. Trend dei prezzi (Monnet et al.,


2017)

Figura 11. Trend dei prezzi (Monnet et al.,


2017)

Nel passaggio invece al modello oligopolistico a produzione regionale, anche


intuitivamente più rappresentativo della realtà, si può razionalizzare la “rendita
differenziale”, ovvero la differenza di profitto tra il costo marginale regionale e la
sua media globale (in cui viene inclusa la “rendita di scarsità” se la configurazione di
mercato lo prevede) che viene usata per determinare il prezzo di mercato (Monnet
et al., 2017).

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Figura 12. Trend della rendita della risorsa (Monnet et al., 2017)

Si noti come al 2035, dopo una relativa stabilità, essendo stato raggiunto il limite
minimo del RPR, venga introdotta la “rendita di scarsità” che non compare in M2 e
che domina l’aumento di prezzo sostituendosi alla “rendita differenziale” (che nel
caso M2 viene sottostimata) i cui tassi di crescita rimangono poi inferiori.

Nei grafici seguenti si mostreranno shock possibili per l’offerta e per la domanda:
- In caso un paese produttore come l’Australia arrestasse la sua produzione al
2050, genererebbe un brusco innalzamento dei prezzi che nel lungo termine
risulterà in prezzi superiori per tutti i periodi successivi rispetto alla situazione
benchmark.
- Nella situazione opposta, invece, in cui -data una domanda maggiore- la
produzione del Kazakistan, per esempio, dovesse raddoppiare,
influenzerebbe la dinamica di breve e medio periodo e solo minimamente
quella di lungo.

Figura 13. Effetto dello stop alla produzione in


Australia (Monnet et al., 2017)

Figura 14. Effetto del raddoppio della


produzione in Kazakhistan (Monnet et al.,
2017)
14
In ultimo, i risultati qui esposti potrebbero cambiare più o meno radicalmente in
funzione dell’eventuale modificazione dei parametri di ingresso quali: il tasso di
sconto (che rientra nella determinazione dei costi di apertura delle miniere e delle
centrali) e la profondità di terreno che si considera per stimare i quantitativi
potenziali di uranio. In ogni caso, la loro influenza è secondaria rispetto alle variabili
endogene (Monnet et al., 2017).

Validità della regola di Hotelling

Oltre ad una previsione teorica del mancato rispetto della regola di Hotelling, si
hanno anche evidenze empiriche di tale fenomeno provenienti dall’analisi del
comportamento delle imprese produttrici di uranio.

Nell’industria mineraria dell’uranio questa regola non viene rispettata perché c’è una
forte influenza di un fattore non considerato nel modello: il potere di mercato. Il
prezzo ombra della risorsa in situ, infatti, è relativamente basso e può essere
oscurato dal potere di mercato (Malischek & Tode, 2015). Questo può spiegare la
mancata ottimizzazione intertemporale da parte dell’industria.

Analizzando i dati della già citata azienda canadese di estrazione dell'uranio


Cameco Corporation, questa dinamica è evidente. L'uranio si presta particolarmente
bene a testare la regola di Hotelling, poiché i lunghi tempi di costruzione delle
centrali nucleari contribuiscono alla pianificazione a lungo termine dell'estrazione
delle risorse. Inoltre, il mercato dell'estrazione dell'uranio mostra una notevole
concentrazione sul lato dell'offerta, con KazAtomProm, Cameco e Orano e Uranium
One che coprono quasi il 50% della produzione globale di uranio (Nuclear Energy
Agency, 2020). Di conseguenza, è lecito attendersi un certo potere di mercato.

I risultati degli studi condotti su Cameco mostrano che esiste un sostanziale mark-
up sui costi marginali che non tiene conto dei costi di utilizzo delle risorse
(Malischek & Tode, 2015). Pertanto, solo una parte molto piccola dei prezzi di
mercato potrebbe rappresentare i costi di utilizzo delle risorse. I risultati
suggeriscono che l'ipotesi di Halvorsen (2008) è valida, cioè che i costi di utilizzo

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possono essere troppo piccoli per essere considerati nel processo decisionale di
un'impresa e che l'errore che le imprese commettono non ottimizzando
intertemporalmente può essere piccolo.

Formazione dello spot price

L’analisi che segue mostra la formazione del prezzo spot dell’uranio che, pur
rappresentando solo il 15% degli scambi del minerale, è di capitale importanza
perché viene usato come base per la definizione dei contratti a lungo termine che
caratterizzano questo mercato.
Vengono considerati come sostituti (interviste e review letteraria: nota 1 nel paper):
- fosfati
- riciclo e riprocesso
- estrazione dall’acqua marina
Le fonti secondarie vengono considerate esogene al modello poiché dipendono
principalmente da scelte governative, non da effetti di mercato. L’unico scenario che
include una tecnologia nuova (dato l’arco temporale “breve” considerando i tempi di
approvazione e costruzione di una centrale) è quello in cui venga migliorato il
“cladding” del combustibile permettendo alle centrali attuali di efficientare la
produzione (e ridurre la loro domanda) (Rooney et al., 2015).

Le influenze al prezzo spot sono contingenti e dipendono dalla capacità estrattiva di


breve periodo e dalla speculazione sui mercati.
Di seguito si mostra il loop causale che porta alla formazione dei prezzi indicando le
variabili che influenzano l’offerta e la domanda positivamente con “+” e
negativamente con “-”.

Figura 15. Diagramma di formazione del prezzo spot (Rooney et al., 2015)

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E’ interessante vedere graficamente quanto l'impulsività dei trader influenzi i prezzi
di breve periodo. In questo mercato, infatti, tendono ad ignorare il “rumore” di breve
periodo e di solito ancorano le loro aspettative non nel breve periodo, ma almeno a
un anno (Sterman, 2000) (nel grafico sotto: time constant = 1.0). Se modifichiamo
questo parametro, vediamo chiaramente nella Figura 15 come sia i picchi, sia
l’ampiezza degli shock di prezzo siano molto diversi.

Figura 16. Confronto delle dinamiche di prezzo a seconda del ritardo nella decisione di
investimento nell’estrazione (Rooney et al., 2015)

Effetti degli shock esogeni

Gli shock esogeni hanno effetti diversi a seconda che essi riguardino l’offerta o la
domanda di uranio. Nello specifico:
- nel caso di uno shock dell’offerta (dovuto ad esempio alla chiusura di una
miniera o allo stop dell’export di un paese), se si simula un calo dell’offerta di
5000 tonnellate per l’anno 2020, si ottiene un picco di aumento dei prezzi del
75%
- nel caso di uno shock della domanda (causato dallo stop all’uso di nuovi
combustibili e/o al loro efficientamento) la simulazione suggerisce che, per
inerzia sistemica, la produzione rimarrà uguale per qualche tempo prima di
adeguarsi alla minore domanda, come si vede nel grafico sotto:

17
Figura 17. Effetto dell'innovazione del combustibile ad alta combustione sul prezzo
(Rooney et al., 2015)

5.SCENARI FUTURI
Riserve pronosticate e speculative
Riprendendo la categorizzazione delle riserve, tra quelle che al momento non sono
tecnologicamente sfruttabili, ma che lo potrebbero diventare in futuro, rientrano:

- I depositi PR (Prognosticated Resources) che, pur rientrando nella


categoria della resource base, sono distinti dai IR data un’incertezza
maggiore nella stima della loro consistenza e qualità in quanto frutto di
interpolazione in virtù di pattern geologici specifici e conosciuti.
- I depositi SR (Speculative Resources), ovvero la categoria dell’estrazione
potenziale. Sono quei depositi stimati su evidenze indirette e estrapolazione
dai dati geologici, ovvero scopribili con la tecnologia di esplorazione attuale
ma di cui non si ha certezza della consistenza [Red Book, 2020].

In ultimo, la massa complessiva non è invece determinabile con certezza in


tonnellate essendo l’uranio un minerale presente in molti sedimenti diversi, nonché
negli oceani. Le migliori stime disponibili prevedono una presenza di circa 2-3 ppm
di uranio in varie forme nella crosta terrestre (Peel, 2011).

Nella classificazione internazionale appena esposta, vi è un ulteriore importante


distinguo da fare: se infatti le stime di RAR e IR vengono espresse al netto del
minerale perso durante le lavorazioni cui viene sottoposto per essere
commercializzato, le PR e SR vengono solitamente indicate come “in-situ”. Indicano
infatti la presenza fisica di minerale stimata, senza che venga loro sottratta la
percentuale di uranio persa durante la macinazione.

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Questa distinta classificazione suggerisce come l’efficientamento nella fase
estrattiva e di preparazione alla commercializzazione abbia ancora margini di
miglioramento che possono portare ad un uso a più lungo termine dell’uranio.

Le riserve fin qui descritte sono inquadrabili come risorse convenzionali poichè il
minerale viene lavorato dall’industria estrattrice come prodotto principale della
propria attività, come co-prodotto o come un importante by product.

Risorse non convenzionali


Vengono invece definite risorse non convenzionali quelle fonti industriali in cui
l’uranio è considerato un by-product secondario o minore. [Red Book, 2020]

La distinzione non è così netta in assoluto ma permette di ragionare separatamente


sulle altre possibili forme di estrazione di uranio esplorate dalle imprese:
● Le rocce fosfatiche
● L’estrazione congiunta
● L’acqua di mare

FOSFATI
Le quantità e le concentrazioni di uranio nei fosfati sono ragguardevoli (39 milioni di
tonn) (Red Book, 2020) ed è probabilmente la fonte non convenzionale di uranio più
rilevante da cui non si estrae ad oggi (Haneklaus, 2021).
Principalmente esistono due categorie di rocce fosfatiche: le rocce ignee (13% del
totale) e sedimentarie (87%) (Gabriel et al., 2013). Nelle prime la concentrazione
media è di 59 ppm di uranio, mentre per le seconde di 96 ma vi è una forte
variabilità generale: tra le 23 e le 220 ppm.
L’uranio così estratto è quindi da considerarsi come una backstop technology per le
risorse convenzionali in caso il prezzo commerciale dell’uranio dovesse salire e
restare su livelli più alti di quelli odierni, oppure vi fosse un miglioramento
tecnologico in grado di aumentare l’efficienza (diminuendo i costi) di separazione dei
minerali.
L’attenzione all’estrazione di uranio dai fosfati è giustificata per almeno due motivi,
collegati tra loro:
- Il fosfato, ad oggi, è il quarto materiale più estratto sulla terra, di cui il 90%
viene usato per produrre fertilizzante agricolo. Non esiste un suo valido
sostituto e non ci sono metodi per riciclarlo su larga scala (Gabriel et al.,
2013)
- La mancata eliminazione della componente di uranio durante la lavorazione,
comporta l’infiltrazione della stessa nella catena alimentare attraverso la sua
deposizione nel suolo e la sua infiltrazione nelle falde acquifere.

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Dato questo impatto negativo, vi è una crescente produzione di letteratura che stima
i potenziali danni che si hanno dall’utilizzo di fertilizzanti siffatti.
Non esiste tuttavia, ad oggi, nazione o organizzazione internazionale che ne vieti la
commercializzazione. L’unica eccezione di cui siamo a conoscenza è una proposta
della commissione tedesca per la protezione del suolo di introdurre un vincolo di 50
mg per ogni kg di fertilizzante (Gabriel et al., 2013).

ESTRAZIONE CONGIUNTA:
Giacimenti di uranio che potrebbero avere costi di estrazione proibitivi, diventano
sostenibili economicamente effettuando estrazioni congiunte. È comune l’estrazione
di uranio e rame nello stesso sito, è il caso del deposito Olympic dam deposit in
Australia o del giacimento sudovest Sinai in Egitto. In quest’ultimo deposito si sta
sperimentando l’estrazione congiunta mediante la lisciviazione acida (acid leaching).
La ricerca consiste nell’ottenere rifiuti solidi privi di uranio e rame attraverso la
lisciviazione alcalina selettiva per l’uranio seguita da una soluzione di glicina
esclusiva per il rame. Questa tecnica innovativa permette di ridurre gli impatti
ambientali, maggior rischio della tecnica di acid leaching e raggiunge un’efficienza di
lisciviazione del 93% e 96% per l’uranio e il rame rispettivamente (Attia R.M. 2022).

SEAWATER:
L’estrazione di uranio dall’acqua del mare è la “terra promessa” per il futuro
dell’energia nucleare: si stima che ve ne siano 4 miliardi di tonnellate (Red Book,
2020).
La sfida tecnologica da affrontare, tuttavia, si sta rivelando sostanzialmente
insormontabile principalmente perché la bassa concentrazione con cui si presenta
nell’acqua marina (3-4 parti per miliardo), impone l’utilizzo di porzioni di mare
proibitive oltre che a livello economico, da un punto di vista ambientale.
La ricerca è iniziata sin dagli anni ‘50 (Red Book, 2020) ma ad oggi le tecnologie
sono state validate solamente su scala da laboratorio e non industrialmente.
Si stanno infatti susseguendo pubblicazioni (di cui il journal of Industrial and
Engineering Chemical Research ne ha fatto una raccolta nel 2016) che propongono
vari metodi estrattivi, il più promettente dei quali sembra essere quello di usare una
fibra per attirare l’uranio e lì intrappolarlo.
Il dinamismo della ricerca in questo settore ha portato ad una diminuzione dei costi
stimati di tre-quattro volte ma ancora il costo di produzione è molto al di sopra di
quello di mercato dell’uranio non giustificando nessun investimento nel breve
termine per questa soluzione, questo nonostante il Giappone abbia dichiarato di
essere vicino a poterlo produrre a 300$/kg (Danielsen et al., 2009) che sarebbe
comunque superiore all’intervallo più alto di costo per l’estrazione diretta di uranio
(260 $/kg) ma che viene indicata dalla IAEA come il prezzo minimo per poterla

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considerare come una fonte sostituto, e comunque solo se i prezzi dell’uranio si
alzassero di molto e per un periodo di tempo prolungato.
Un possibile escamotage per rendere sfruttabile l’uranio marino sarebbe quanto
proposto da Ihsanullah et al. (2022): integrare gli impianti di desalinizzazione con
l’estrazione di minerali e metalli marini, non solo l’uranio per minimizzare
congiuntamente l’impatto sull’ecosistema marino, la pressione ambientale delle
miniere e aumentare la profittabilità degli impianti di desalinizzazione (sempre più
necessari dato la crescente salinizzazione e contaminazione dei corsi d’acqua
naturali).
Di seguito si presenta un grafico elaborato per questo studio che indica la
realizzabilità di questo progetto per diversi minerali e metalli, date le conoscenze e
le configurazioni di mercato attuali.

Figura 18. Concentrazione in acqua salata (mg/L) (Ihsanullah et al., 2022)

Fonti secondarie
Una delle particolarità dell’uranio è che una componente significativa della domanda
è stata soddisfatta da fonti secondarie (ovvero non provenienti da estrazione
diretta). Queste includono:

● Magazzini commerciali
Al 2018 circa 300.000 tonnellate di uranio (Red Book, 2020) erano stoccate
in magazzini delle centrali nucleari, dei produttori di uranio e di altri
stakeholder internazionali del mercato del combustibile. (Peel, 2021). Le
ragioni dietro a questo comportamento sono principalmente riconducibili alla
necessità di operatività continua delle centrali e la protezione contro shock
temporanei dei prezzi dell’uranio.
● Banche di LEU

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Per garantire l’approvvigionamento costante di LEU e l’operatività costante
delle centrali, sono state create da enti governamentali dei centri di fornitura
del combustibile. La prima è stata la Russia (120 tonnellate), in anni
successivi hanno adottato la medesima strategia anche il Kazakistan (90
tonnellate). Il Regno Unito ha invece stipulato un’assicurazione sui servizi di
fornitura della IAEA. (Peel, 2021)
● Uranio impoverito ri-arricchito
Per generare LEU utilizzabile all’interno della fissione nucleare, è necessario
sottoporre l’uranio estratto a dei processi chimici che lo rendano adatto
all’immissione nel reattore. Questo processo genera una relativamente
piccola quantità di uranio arricchito e la restante parte di uranio cd
“impoverito” (poichè contiene solo dallo 0,2 allo 0,3% di U235) che può
tuttavia essere riprocessato per ottenere ulteriore materiale fissile. La
Russia, tra il 2007 e il 2009 ha rifornito 1269 tonnellate di uranio
combustibile così ottenuto all’Unione Europea (Red Book, 2020).
● Denuclearizzazione delle testate
Sin dalla fine della Guerra Fredda, la Federazione Russa e gli Stati Uniti
hanno avviato delle trattative per diminuire il numero di testate nucleari e
usare l’uranio ivi presente come materiale fissile. L’accordo raggiunto nel
1993 è da considerarsi molto rilevante poiché le testate nucleari sono
costruite a partire dal HEU, i.e. high enriched uranium, ovvero il minerale
“puro” al 90%, mentre bastano delle concentrazioni dal 3 al 5% per la
produzione elettrica.
Per dare un’ordine di grandezza rappresentativo, a partire da 1 tonnellata di
HEU si ricavano 31 tonnellate di LEU (i.e. low enriched uranium) che, con la
tecnologia tradizionale, si potrebbero ricavare da circa 130 tonnellate di
uranio estratto da miniera. (Peel, 2021)
Il contratto siffatto fu rinnovato nel 2002 e ha portato, tra il 2003 e il 2013,
alla conversione di 19000 testate nucleari, ovvero il downblending (così si
chiama il processo di conversione da HEU a LEU) di 500 tonnellate di HEU.
(Red Book, 2020)
Data questa esperienza positiva, che ha contribuito per circa il 10% della
produzione elettrica degli Stati Uniti in quei 10 anni, l’augurio è che accordi
internazionali di questo tipo possano essere estesi anche ad altri paesi.
● Riciclo del materiale fissile
Nonostante la reazione a catena che si genera nel reattore e che porta alla
continua scissione degli atomi al suo interno, circa il 95% del materiale di
fissione originario non cambia di stato e anzi, nuovo materiale da fissione,
segnatamente il plutonio, viene generato. Attraverso processi chimici di cd
“reprocessing” è possibile ottenere del plutonio fissile e dall’uranio
impoverito, dell’uranio “ri-arricchito” che, se combinati, danno vita al MOX

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(mixed Oxide nuclear fuel), il quale può essere impiegato come combustibile
fissile in specifiche centrali. Nel mondo, al 2019, 22 reattori in Francia, 4 in
Giappone e 1 in Germania, Olanda e India usano ⅓ di MOX w ⅔ di LEU per
alimentare i reattori appositamente costruiti (Peel, 2021).

Tecnologie di frontiera
Diverse nuove tecnologie sviluppate negli ultimi anni potrebbero permettere di
ridurre i quantitativi di uranio necessari per produrre energia tramite fissione
nucleare. I risultati più promettenti al momento sono stati ottenuti su tre tipologie di
nuovi reattori:

● Reattori “fast breeder”


Sono così chiamati i reattori di nuova generazione, nel vocabolario comune
di “IV generazione” poiché, invece di sfruttare i neutroni termici, usano quelli
“veloci” (fast, appunto). Rispetto ai reattori termici standard, utilizzano
l’uranio 60 volte più efficientemente (Red Book, 2020). Ne esistono di due
tipi:
- “burners”: la cui peculiarità è di produrre delle scorie nucleari la cui
tossicità è solo di breve termine;
- “breeder” ovvero che sono alimentati da qualsiasi tipo di uranio
(anche quello impoverito) e che, se progettati correttamente, possono
arrivare a produrre più materiale fissile di quello immesso
inizialmente eliminando contemporaneamente i problemi di perdita di
minerale per l’arricchimento e di gestione delle scorie tossiche.(Red
Book, 2020)
Non esistono al mondo reattori siffatti poiché non ne è mai stata dimostrata
la fattibilità industriale, il proliferare di ricerche in questa direzione fu dovuto
alla paura che le riserve di uranio fossero molto meno consistenti di quanto
non siano in realtà e dati gli investimenti in costi fissi per l’impiantistica dei
reattori termici attualmente in funzione, le ricerche sono state abbandonate
per essere riprese solo in anni recenti da Russia e Cina.
● Small and advanced Modular Reactors
Ad oggi costruire una centrale nucleare significa un investimento notevole
che limita fortemente la loro installazione su larga scala, nonostante i
rendimenti di scala molto elevati.
Gli SMR ribaltano la concezione classica di centrale nucleare in cui esistono
pochi grandi reattori che vengono costruiti in situ: sono infatti più piccoli e
vengono prodotti in stabilimento per essere successivamente installati (Red
Book, 2020).
Nonostante questa differenza, tuttavia, la loro prestazione è assimilabile a
quella dei reattori termici tradizionali.

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Vi è un proliferare numeroso di design di SMR, tanto che la ARIS (Advanced
Reactor Information System) dell’IAEA ha stilato un dossier in cui si
elencano circa 50 diverse configurazioni possibili. (Red Book, 2020)
● Reattori al Torio e riserve di Torio
La superiorità di questo materiale fissile sarebbe data dai seguenti fattori:
- Il funzionamento è assimilabile a quello dei breeder reactor in cui
viene prodotto ulteriore torio fissile dalla fissione;
- tutto il torio proveniente dalle miniere può essere usato; (Red Book,
2020)
- è più abbondante dell’uranio e molto facilmente estraibile
- ha proprietà che lo rendono preferibile all’uranio in termini di gestione
del processo di fissione (Red Book, 2020)
Nonostante queste caratteristiche, non sono ancora state risolte tutte le sfide
tecnologiche ed economiche ad esso connesse e l’industria necessaria
perché profileri il suo impiego, soprattutto infrastrutturale, non è stata
convintamente sostenuta da alcuno stato al mondo.

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CONCLUSIONI

Le risorse di uranio attualmente sfruttabili sono sufficienti per sostenere la


produzione di energia nucleare prevista dalle stime attualmente più affidabili per un
intervallo temporale fino a 130 anni. Alle risorse già identificate, tuttavia, si
sommano altre categorie di risorse (quelle pronosticate e quelle speculative, così
come quelle non convenzionali) che, se si realizzassero, permetterebbero di
estendere ulteriormente l’orizzonte temporale.
Per quanto riguarda la domanda di uranio, essa è rimasta relativamente costante
nell’ultimo decennio, mentre le previsioni al 2040 e al 2050 suggeriscono un
probabile aumento legato all’espansione della produzione di energia nucleare in
particolare nell’est asiatico. Tale aumento dovrebbe più che compensare la
probabile riduzione della domanda in Europa occidentale, dovuta principalmente al
“phase-out” degli impianti di paesi come la Germania e all’evoluzione delle
tecnologie di fissione nucleare.

La produzione di uranio ha vissuto un calo nell’ultimo decennio, anche a causa dei


prezzi particolarmente bassi della risorsa che hanno spinto paesi come Canada e
Kazakistan, tra i principali produttori al mondo, a ridurre l’estrazione. L’analisi
dell’offerta di uranio mette in evidenza come tale settore sia caratterizzato da una
sorta di oligopolio: infatti, il 90% della produzione mondiale di uranio è appannaggio
di sole 10 aziende.

Questa caratteristica si riflette anche sul sentiero del prezzo spot dell’uranio,
caratterizzato da un’alta volatilità. A differenza di quanto previsto dalla regola di

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Hotelling, l’elevato potere di mercato ha permesso alle aziende di trascurare
l’ottimizzazione intertemporale dell’estrazione, mentre le ha incentivate a modulare
la produzione di uranio in modo da sfruttare le rendite di scarsità a livello globale e
le rendite differenziali a livello regionale.

Per quanto riguarda gli sviluppi futuri del mercato dell’uranio, esso sarà influenzato
da diversi fattori: innanzitutto, la possibilità (economica e tecnologica) di sfruttare le
riserve pronosticate e speculative, le fonti secondarie (che già oggi hanno un ruolo
importante) e soprattutto le risorse non convenzionali. In secondo luogo,
giocheranno un ruolo importante le nuove tecnologie di fissione nucleare
attualmente in fase sperimentale, ma che potrebbero influenzare profondamente le
dinamiche future di domanda e produzione di uranio. Tra questi, gli sviluppi più
interessanti riguarderanno probabilmente i reattori di quarta generazione, gli SMR e
i reattori al torio.

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Book- Uranium 2020, Resources, Production and Demand”, No. 7551

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