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Premessa
Per un lungo tempo, nella storia dell'umanità, non si è trovato niente di imbarazzante
nell'appellarsi a potenze ulteriori e sovrastanti per avere lumi sulle incertezze della vita, cioè nel
divinare. Divinazione è il meglio che l'uomo si è potuto permettere in termini di strategie di
conoscenza, per I lunghi secoli precedenti l'avvento di un pensiero scientifico come oggi lo
conosciamo: strutturato, codificato e standardizzato. Della nascita del pensiero scientifico le arti
mantiche sono state levatrici, primo stimolo ad alzare gli occhi al cielo per carpirne le dinamiche
segrete, primo tentativo di relazionarsi con tutto ciò che necessariamente ci sovrasta, primo
passo verso la definizione di ciò che è un meccanismo di causa effetto. Della creazione di una
comunità umana la divinazione è stata strumento, portatrice di una speranza più credibile perchè
condivisa e catalizzatore di tensioni mai sopite verso la disgregazione e l'isolamento.
Oggigiorno, grazie probabilmente all'accumularsi storico di sempre più raffinati strumenti
culturali e tecnologici, l'opinione comune diffusa nel mondo occidentale e, in generale, nelle
culture che ne subiscono una influenza culturale, è che la divinazione, o mantica, sia un metodo
quantomeno “disfunzionale” per risolvere problemi e prendere decisioni. Basandosi sull'assunto
che, essendo i supposti poteri magici o divini che garantirebbero l'efficacia delle pratiche
divinatorie in nessuna maniera verificabili sperimentalmente, la decisione secondo oracolo
equivarrebbe ad una decisione presa a caso, e dunque esporrebbe il consultante alle conseguenze
di un comportamento non ragionato, non supportato dall'esperienza e, in definitiva, dagli esiti
alquanto incerti. Si verificherebbe dunque una contraddizione fra la volontà, caratteristica delle
pratiche divinatorie, di ridurre l'incertezza legata all'esito delle proprie scelte e le conseguenze di
un atteggiamento superstizioso che esporrebbe il consultante proprio a ciò che più teme:
incertezza e casualità. Si può notare una sorta di stigma culturale che pesa sulle pratiche
divinatorie, stigma condiviso, per altro, anche da una classe particolare di fruitori che, a dispetto
dei loro agiti, si dichiarano scettici o non credenti rispetto a poteri magici e fenomeni
soprannaturali. Ciononstante la consultazione di fonti oracolari è tuttora molto diffusa, sia nelle
società occidentali sia in quelle orientali, senza eccessive distinzioni per quanto riguarda sesso,
età, livello di istruzione, in contesti privati, pubblici e aziendali.
La ricerca in antropologia, sociologia, etnografia e, parzialmente, psicologia, ha ipotizzano come
pratiche rituali religiose, magiche e, meno specificatamente, divinatorie, possano aver
mantenuto una loro efficacia legata ad aspetti quali, ad esempio, la costruzione dell'identità di
gruppo, la consapevolezza e capacità di introspezione, la riduzione di sensazioni spiacevoli
legate all'incertezza.
Dopo aver citato le argomentazioni e le verifiche sperimentali rintracciabili in letteratura
attraverso I principali database circa il ruolo assunto dalle pratiche divinatorie nello sviluppo
cognitivo dell'uomo contemporaneo, ed eventualmente le loro possibilità adattive, questo lavoro
intende essere propedeutico all'elaborazione di un modello di uso, consapevole dei rischi e
proficuo, della divinazione come parte dei processi decisionali in contesti gruppali.
Nell'ultimo capitolo verrà suggerito un disegno di ricerca teso alla verifica delle prime ipotesi.
E' importante precisare che le valutazioni e le argomentazioni che seguiranno sono da
considerarsi al netto della dimostrazione dell'esistenza di poteri o entità soprannaturali, che non è
argomento di questo lavoro. Allo stesso tempo va specificato che non saranno argomento di
studio I rischi psicosociali derivanti dall'abuso della credulità altrui, riferendosi a sedicenti
maghi e sensitivi, ne dalla presa di decisioni viziate da superstizione, come nel caso del gioco
d'azzardo, sebbene si riconosca grande importanza alla ricerca in tali ambiti.
Un paradosso si profila immediatamente nell'orizzonte di questa indagine, forse più pertinente ad
una speculazione di tipo filosofico che non psicologico, ma che comunque anima l'interesse e la
curiosità di chi scrive: la possibilità di giungere a riconoscere e modellizzare l'utilità, per lo
meno per certi aspetti, di particolari modalità conoscitive e decisionali pur dovendo
necessariamente rimanere su una posizione scettica rispetto a ciò che ne costituisce il pensiero
fondamentale, e cioè la sussistenza di forze ed entità soprannaturali.
Nel definire operativamente gli oggetti di interesse in questo lavoro è necessario operare alcune
distinzioni e, allo stesso tempo, alcune sovrapposizioni. Concetti come divinazione, religione,
superstizione, magia, spesso si intersecano, alcuni sono comprensivi di altri e talvolta sono usati,
in letteratura, come sinonimi. Una spiegazione di questo, per quanto pertenga ad una analisi
psicologica dei suddetti costrutti, si può trovare nel fatto che alcuni processi di pensiero e
credenze sottostanti sono comuni: é difficile sostenere che chi ricorre ad un oracolo non abbia un
atteggiamento superstizioso (Tsang, 2004), come pure molte religioni, per non dire tutte, hanno,
o hanno previsto in passato, pratiche divinatorie fra i propri rituali (Fabbro, 2010). In ogni caso
si può individuare nella fiducia in forze extraterrene un denominatore comune a persone
religiose, superstiziose, praticanti della divinazione, dello sciamanesimo ecc (Fabbro, 2010).
Una prima definizione di divinazione la si può trovare sul dizionario enciclopedico treccani:
La divinazione sarebbe dunque un fenomeno culturale di natura religiosa. Per quanto riguarda il
concetto di superstizione invece:
e, per completezza:
religione: complesso di credenze, sentimenti, riti che legano un individuo o un gruppo umano
con ciò che esso ritiene sacro, in particolare con la divinità, oppure il complesso dei dogmi, dei
precetti, dei riti che costituiscono un dato culto religioso (Italiano, D.E. 1970)
Indagini esaustive sulla diffusione della divinazione sono pressochè impossibili da trovare, pure
sovrapponendo la definizione a quella di supestizione. Si può rilevare come la divinazione sia
stata osservata dagli antropologi praticamente in tutte le religioni e culture, dall'antichità fino ai
giorni nostri. L'ebraismo, il cristianesimo e l'islam la escludono totalmente, anche se è praticata a
livello popolare. L'induismo ammette varie pratiche divinatorie che sono codificate nei Vedanta.
In Cina è largamente diffusa la pratica del feng shui, oltre che al classico I ching. Infine nel
continente africano la divinazione è praticata a livello tribale ed è tutt'oggi oggetto di studio
antropologico ed etnografico (fonte Wikipedia).
In Italia si può avere un'idea della diffusione del fenomeno dal rapporto Eurispes 2010, fondato
sui dati forniti dal "telefono antiplagio". Il quadro non può certo dirsi completo, dal momento
che i dati forniti sono relativi unicamente agli aspetti commerciali, e soprattutto alle relative
frodi, del fenomeno, oltre a non distinguere fra divinazione e altre pratiche magiche.
Contrariamente alle aspettative, si legge nel capitolo dedicato a "occhio, malocchio... maghi,
astrologi e cartomanti d'Italia", la maggior parte dei fattucchieri si concentra nell'Italia
settentrionale (41%), mentre le province con il più alto numero sarebbero Milano, Roma, Napoli,
Palermo, Torino, Bari, Bologna, Firenze, Reggio Calabria e Venezia. Sono circa 11 milioni le
persone che si rivolgono a consulti magici: ogni giorno in 33.000 chiedono consulenze magiche,
sortilegi, incantesimi ed esorcismi. L'età media del consultante è 44 anni. Le donne
rappresentano la fetta più grande della clientela dell'occulto (51%), che riesce ad attirare a se
anche una percentuale significativa di minori (6%). I titoli di studio da coloro che, nello
specifico dello studio, si dichiarano vittime di plagio, sono la media inferiore (44%) e la licenza
elementare (37%). Il giro di affati stimato è di 6 miliardi di euro e le pricipali preoccupazioni per
chi cerca un consulto sembrano essere rappresentare dagli affetti (46%), che prevalgono su
salute (22%) e affari (7%).
L'Eurispes ricorda anche che in Italia, come recita l'articolo 121 del Tulps: " E' vietato il mestiere
di ciarlatano, che consiste in ogni attività diretta a speculare sull'altrui credulità, o a sfruttare od
alimentare l'altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che
esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi, o millantano o affettano in pubblico
grande “valentia” nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui
attribuiscono virtù straordinarie o miracolose" (Eurispes, 2012).
Sulla falsariga della già riportata definizione di divinazione secondo Treccani la realtà o meno
dei poteri divinatori rientra nel campo di indagine della parapsicologia, mentre dal punto di vista
storico la divinazione è oggetto di studio della storia delle religioni e della fenomenologia
religiosa. Si potrebbe anche argomentare che divinazione, magia, superstizione e religione come
variabili individuali nella vita delle persone siano argomenti adeguati per la sociologia (Gorsuch,
1988). Con queste premesse bisogna chiedersi se i costrutti trattati siano mai stati considerati
degni di essere campo di studi per la psicologia scientifica. Sicuramente è necessario tenere
allargato lo sguardo, come è stato premesso nel primo paragrafo, su tutti quei fenomeni che
hanno in comune la presupposta esistenza .di entità invisibili e soprannaturali.
Alcuni padri fondatori della psicologia americana come William James e Stanley Hall erano
profondamente interessati alla psicologia della religione e gli inizi del secolo scorso videro un
fiorire di studi che coinvolsero migliaia di persone per studiare argomenti come le modalità della
conversione religiosa (Gorsuch, 1988). Fra gli anni '30 e '60 l'attenzione gradualmente si estinse
per rinascere in seguito. Una interessante spiegazione suggerisce che nell'intervallo delle due
guerre mondiali la psicologia stesse ancora cercando di affermarsi come una disciplina
scientifica emancipandosi dalla filosofia (Meylink, Gorsuch, 1986).
Sono state elaborate scale che misurano la religione come variabile centrale (Strommen, Brekke,
Underwager, Johnson, 1972). Queste scale correlano molto fra di loro, risultando talvolta
intercambiabili, e non permettendo cosi di indagare aspetti particolari di questo costrutto che è
multi sfaccettato e di cui è difficile dare una definizione universale. Sono comunque più
numerosi gli studi in cui la religione è stata usata come costrutto che correla con atteggiamenti e
comportamenti diversi (Gorsuch, 1988). Più in particolare sono state indagate le correlazioni fra
religione, o religiosità (atteggiamento religioso) (Fishbein e Ajzen, 1974), e comportamento
prosociale (Spilka, Shaver, Kirkpatrick 1985), adesione ad associazioni benefiche (Argyle, Beit,
Hallahmi, 1975), atteggiamenti pregiudiziali (Spilka et al.1985), riduzione dell'uso di sostanze
illegali e di sesso extra coniugale (Spilka, Kojetin, Mc Intosh, 1985). Fishbain e Ajzen hanno
utilizzato la religione per documentare un importante principio all'interno della psicologia
sociale, identificando una condizione che avrebbe mostrato una forte correlazione fra
atteggiamento religioso e comportamento conseguente (Fishbein e Ajzen, 1974).
Gli approcci teorici sullo sviluppo religioso includono teorie proiettive, sociali e di sviluppo
cognitivo. Le prime vedono una relazione fra le figure genitoriali e la figura divina, le seconde
indagano correlazioni fra la religiosita dei figli e quella di figure diverse quali genitori,
insegnanti e pari, le terze sono riconducibili alla visione piagetiana secondo cui I bambini più
piccoli hanno una visione concreta degli oggetti di religione mentre adolescenti e adulti si
approcciano in maniera più astratta e simbolica.
Alle persone religiose si attribuisce anche una maggiore salute mentale, laddove salute mentale
significhi minore ansia e senso di colpa (Spilka et al. 1985).
Per quanto riguarda il concetto di superstizione gli psicologi più famosi hanno proposto diverse
teorie in proposito: se Freud associava la superstizione alla proiezione nel mondo esterno di
pensieri, paure e desideri inconsci, Skinner la descrive come una risposta condizionata laddove si
verificasse una connessione causale fra la risposta e l'illusione generata da un rinforzo (Tsang,
2004). Ma è stato un antropologo, Bronislaw Malinowsky, ad avanzare quella che è
probabilmente la più conosciuta teoria psicologica sulla superstizione. Malinowsky soggiornò a
lungo presso I pescatori delle isole Tobriand, al largo della Nuova Guinea e osservò che quando
l'esito di eventi importanti era imprevedibile nell'orizzonte delle conoscenze scientifiche degli
isolani si faceva ricorso alla divinazione per fronteggiare l'incertezza. Trovò conforto alla sua
teoria nell'osservazione delle pratiche di pesca: pescatori che si muovevano in acque tranquille e
conosciute non ricorrevano mai a pratiche magiche, cosa che invece era di regola per coloro che
si avventuravano in acque pericolose o comunque inesplorate (Malinowsky, 2002).
Alcuni studi recenti pongono l'accento sui punti di contatto fra pensiero religioso e pensiero di
tipo schizoide(Lawrence, Peters 2004), mentre un gruppo di neuroscenziati sta indagando le basi
neurologiche di comportamenti e credenze di tipo spiritualmente orientato (Fabbro, 2008).
Nello specifico della divinazione l'attenzione sembra essere rivolta soprattutto agli effetti di
riduzione dell'ansia e alla diffusione all'interno della comunità affaristica cinese e orientale in
genere (Tsang, 2004).
1.4 divinazione, magia, sviluppo umano
1.4.1 Ernesto de Martino e il mondo magico
Ernesto de Martino tratta la divinazione all'interno del più ampio contesto delle pratiche magiche
e rituali, ma risulta di grande interesse il suo contributo in quanto riesce a spostare l'attenzione
dalla questione della vericidità o meno dell'esistenza di entità soprannaturali ad una visione
psicologica, ancorchè si potrebbe dire di stampo psicodinamico, del pensiero magico come
necessità evolutiva.
Ne “Il mondo magico” (De Martino, 1948) egli lega i problemi d'interpretazione dei mondi
culturali "primitivi" di livello etnologico, con i problemi d'interpretazione riguardanti la realtà
dei poteri magici in generale.
Il mondo della magia, di cui le società "primitive" offrono imponenti manifestazioni che sono
assunte a documento, ha per lui una sua realtà precategoriale ed è visto come una primordiale
rappresentazione del mondo, funzionale al bisogno - per usare i termini da lui adottati - di
"garantire la presenza". É avvertibile l'influenza dell’esistenzialismo di Martin Heidegger
(Fusaro, 2005), da cui sono mutuati alcuni concetti-base e in parte il linguaggio (è heideggeriana
la nozione di “esserci”), introducendo nel campo dell'antropologia religiosa nozioni quali quella
di "crisi della presenza" e quella di "riscatto dalla crisi": un riscatto attuato, secondo de Martino,
per il tramite del rituale magico religioso, inteso come tecnica di superamento della crisi e della
"angoscia della storia".
In quell’epoca dai contorni ben definiti che è il “mondo magico”, l’esserci nel mondo non è certo
garantito, ma è piuttosto “una realtà condenda”, sempre esposta al rischio della labilità e
dell’annullamento, a cimenti tremendi che “possono mettere a dura prova la resistenza del ‘ci
sono’”, al pericolo di perdere l’anima e di non esserci più. Esattamente in questo risiede il
“dramma storico” che caratterizza il mondo magico. E la volontà di esserci come presenza
davanti al rischio di non esserci è l’angoscia che accompagna sempre e di nuovo l’uomo di quel
mondo e che ne costituisce lo sforzo fondamentale. A questo scopo, è la magia a elaborare
sempre nuove strategie (guarentigie, compromessi, compensi) per garantire la presenza umana
nel mondo, per “agire in esso” anziché essere “agiti da” esso. In particolare, sventare il rischio
della scomparsa della presenza è compito di quello che De Martino chiama“l’eroe della
presenza, il Cristo magico, cioè lo stregone”, il quale vive la dissoluzione e il riscatto della sua
presenza anche per gli altri. Questa concezione della presenza è antitetica rispetto a quella della
cultura occidentale, per la quale l’“io” è un dato che cade al di là di ogni possibile dubbio: dai
Greci in poi, passando per il Cristianesimo, siamo abituati a considerare la presenza come
l’esserci elementare, fondato e condizionato dal principio – tematizzato da Immanuel Kant –
dell’atto della funzione sintetica trascendentale: così intesa, la presenza si mantiene in quanto
capace di trascendere, attraverso l’atto, qualsiasi contenuto esistenziale, qualsiasi accadimento
emozionale della vita individuale o collettiva. A differenza di noi, che riportiamo
immediatamente tutte le nostre percezioni a un “io” trascendentale e stabile, gli uomini del
mondo magico non operano tale sintesi e per loro, in forza di questo mancato riferimento a
un’unità, i contenuti esperienziali diventano pericolosi per la presenza, in quanto caotici e
disordinati, e devono dunque essere disciplinati attraverso la magia. In particolare, la crisi è
plasmata e controllata attraverso la ripetizione di gesti e tecniche che costituiscono il patrimonio
collettivo e storico del “così si fa”.
Scrive de Martino: “L’uomo magico è esposto al rischio della labilità nelle sue solitarie
peregrinazioni, allorché la solitudine, la stanchezza connessa al lungo peregrinare, la fame e la
sete, l’apparizione improvvisa di animali pericolosi, il prodursi di eventi inaspettati ecc., possono
mettere a dura prova la resistenza del ‘ci sono’. L’anima andrebbe facilmente ‘perduta’ se
attraverso una creazione culturale e utilizzando una tradizione accreditata non fosse possibile
risalire la china che si inabissa nell’annientamento della presenza.
Sebbene la divinazione sia solo una delle pratiche tradizionali sciamaniche l'articolo del
neuroscienziato Michael Winkelmann (Winkelmann, 2002) intitolato “sciamanism as
neurothology and evolutionary psicology” va tenuto in conto perchè, come Alejandro
Jodorowski, di cui si parlerà tra poco, apre alla possibilità che pratiche magiche possano essere
usate al giorno d'oggi addirittura in processi terapeutici, legittimando in tal modo un
ragionamento sull'attualità e sui possibili inpieghi di tali pratiche.
Sostiene Winkelmann che lo sciamanesimo stia in qualche modo risorgendo e che il suo
crescente utilizzo da parte di professionisti ponga un problema a coloro che ritengono le pratiche
religiose effimere. La cross culturalità dello sciamanesimo sembra essere radicata in strutture
psicobiologiche e in funzioni base di cervello, mente e coscienza, mentre le similitudini fra le
diverse pratiche sciamaniche sembrano fondarsi su capacità simboliche innate (Laughlin, Mc
Manus, d'Aquili, 1992) . L'universalità dello sciamanesimo permette così di fondare un
paradigma teologico naturale basato su strutture e operazioni fondamentali del cervello, le cui
basi psicofisiologiche gli attribuiscono un ruolo nella sopravvivenza della specie umana e nella
sua evoluzione culturale.
Vi sono, infatti, pochi dubbi sulla diffusione cross culturale dello sciamanesimo, che gioca un
ruolo vitale nelle società arcaiche dedite alla caccia (Winkelmann, 1990). Qui lo sciamano era
un guaritore, un divinatore, dava informazioni utili per la caccia e con I suoi rituali pubblici dava
vita al più importante evento di gruppo, dove si strutturava la relazione fra la piccola comunità e
il cosmo. I rituali assumono inoltre una funzione almeno potenzialmente socioterapeutica, viste
le potenti emozioni che vi si sprigionano.
È centrale nei rituali sciamanici la nozione di stati alterati di coscienza. Tali stati, nella cui
categoria rientrano, ad esempio, visioni, estasi, divinazione e viaggi astrali, possono indurre una
sincronizzazione del cervello su onde corte (Mandell, 1980) le quali, a loro volta, possono
attivare funzioni del cervello paleomammifero inerenti ad attaccamento, percezione di se,
coscienza. Inoltre può verificarsi l'elicitazione di facoltà cognitive poggianti su simbolismo,
analogie e metafore che emergono da strutture preconsce e prelinguistiche (Winkwlmann, 1990).
Da non sottovalutare l'effetto del rilascio di oppioidi endogeni.
L'evoluzione cognitiva umana ha comportato l'acquisizione di una struttura cerebrale modulare
(Mithen, 1996), adatta per indirizzare funzioni base dello stile di vita orientato alla caccia: I
sistemi modulari gestiscono attività come la musica, il linguaggio, il se, la teoria della mente (il
formulare ipotesi sugli altrui processi mentali) e la classificazione delle altre specie animali.
Funzioni arcaiche del cervello paleomammifero sono attivate nei rituali di comunità per produrre
legami affettivi, per evocare processi socioemozionali e psicodinamici, per la formazione della
identità personale e sociale, per la produzione, infine, di serotonina e per l'attivazione del sistema
immunitario.
I poteri di guarigione dello sciamanesimo sembrano derivare dunque dall'integrazione fisiologica
nella gerarchia delle funzioni cerebrali, dalla manipolazione di processi inconsci e dalle
dinamiche di comunità (Frecska, Kulcsar, 1989).
L'appoccio neuroteologico dà ragione del fatto che fenomeni sciamanici si manifestano
spontaneamente e ammette l'uso di tali esperienze come opportunità per lo sviluppo personale.
Lo sciamanesimo enfatizza l'uso di tutto il nostro cervello, sia conscio che inconscio, e ha
applicazioni in problemi moderni di difficile soluzione quali il trattamento delle dipendenze e il
superamento di traumi e violenze (Ingerman 1991).
1.4.4 magia uguale bias?
Lawrence e Peters, verificano, in un quasi esperimento come si possano riscontrare alcuni bias
nel ragionamento deduttivo di individui che riportano di avere forti credenze nei fenomeni
paranormali (Lawrence, Peters, 2004). Fra questi sono inclusi coloro che hanno esperienze extra
corporee, adepti di alcune nuove religioni e coloro che hanno intense esperienze religiose.
Queste persone mostrano sintomi schizotipici positivi, ma non sintomi negativi, infatti non sono
turbati dalle loro esperienze e rimangono psicologicamente sani. I risultati ottenuti facendo
compilare un questionario sull'ideazione delirante e sul ragionamento deduttivo a 174 membri
della società per la ricerca psichica hanno confermato l'ipotesi che gli individui con forti
credenze facciano molti più errori e mostrino più idee deliranti rispetto agli individui scettici. I
bias, in ogni modo erano limitati a persone che riportavano una credenza nel soprannaturale e
non una esperienza personale definita soprannaturale. Non sono inoltre state trovate differenze
nelle dichiarazioni congruenti con il loro sistema di credenze, a conferma del fatto che le abilità
di ragionamento sono dominio specifiche (Evans, Newstead, Byrne, 1993). Questi risultati
suggeriscono che le anormalità nel ragionamento possano avere un ruolo causale nella
produzione di credenze inusuali.
Ciò che sembra maggiormente interessare a Jung dell'I king e della divinazione in generale,
come spiegherà anche in altre opere soprattutto a proposito del concetto di sincronicità, è la
possibilità di prendere in considerazione, di contattare, la complessità del momento presente
(Jung, 1949).
Dice Jung che alla base dell'I King, che qui assurge a rappresentante di tutti gli oracoli, vi è una
visione della realtà che tiene poco di conto I rapporti causa effetto: “L'istante che stà attualmente
sotto osservazione appare all'antica visione cinese più come un colpo di fortuna che come un ben
costruito risultato di catene causali concorrenti”. Jung argomenta a favore della mentalità cinese
che la pretesa occidentale di riconoscere come vero solo ciò che risponde a meccanismi di causa
effetto comporta, inevitabilmente, una qualche perdita di informazioni:“ per dimostrare la
validità invariabile delle leggi di natura, abbiamo necessariamente bisogno delle restrizioni del
laboratorio. Lasciando che la natura faccia da se scorgiamo un quadro ben differente: ogni
processo subisce interferenze parziali o totali da parte del caso, e ciò in misura tale che un
regolare corso di eventi, rispettoso della legge, forma quasi un eccezione in circostanze naturali.
La mentalità cinese, quale io la vedo all'opera nell' I king, sembra invece preoccuparsi
esclusivamente dell'aspetto accidentale degli eventi”. Ancora: “Un importo incalcolabile di
sforzo umano è destinato a limitare e a combattere i danni o i pericoli rappresentati dal caso.
Spesso la considerazione causale appare pallida e polverosa in confronto agli effetti pratici del
caso” e di seguito:” mentre la mentalità occidentale accuratamente separa, pesa, sceglie,
classifica, isola, l'immagine cinese del momento contiene ogni particolare fino al piu minuto
dettaglio, perchè l'istante osservato è il risultato di tutti gli ingredienti. Accade cosi che quando
succede che si gettino le monete o si contino i 49 steli di millefoglie, questi dettagli causali
entrano nel quadro dell'istante di osservazione formandone una parte, insignificante per noi
eppure colma di significato per la mentalità cinese”. Da chi divina dunque sembra che siano
adottate premesse epistemologiche differenti rispetto all'approccio empirico occidentale
“evidence based”: da un lato, come Jung stesso fa notare all'inizio della sua prefazione, si
rinuncia in questo modo alla possibilità e ai vantaggi di un metodo scientifico, ma dall'altro la
situazione presente può rivelare particolari nuovi. La raccolta di informazioni che prelude alla
presa di decisioni sarà sicuramente meno accurata e meno affidabile, ma anche, probabilmente,
molto più ricca.
Più avanti Jung affronta il problema costituito dal fatto che l'oracolo sembra azzeccarci sempre.
É un fenomeno che accomuna gli oracoli antichi con I moderni astrologi e cartomanti , cioè il
fatto che l'interpretazione dell'ermetico linguaggio della sentenza sembri sempre pertinente, oltre
che convincente, con la domanda dell'interrogante e con la circostanza presente. La questione è
liquidata sbrigativamente:”Ogni persona dalla mente abile e versatile può (…) mostrare come io
abbia proiettato I miei contenuti soggettivi nel simbolismo dell'esagramma. Una simile critica,
pur essendo catastrofica dal punto di vista razionale della mentalità occidentale, non lede affatto
la funzione dell'I King. Al contrario, il saggio cinese mi risponderebbe dicendo: non vede quanto
utile sia l'I King, perchè le fa proiettare I suoi pensieri non ancora realizzati entro il suo astruso
simbolismo?”. La suggestione conseguente alla proiezione di contenuti soggettivi sembra,
dunque, essere la chiave per spiegare certi risultati che possono sembrare sorprendenti. Ma, più
importante ancora, si introduce la possibilità di un utilizzo degli strumenti divinatori che sia
consapevole e compatibile con un atteggiamento scettico: a sentire il saggio cinese infatti poco
importa se il ragionamento occidentale smaschera l'inconsistenza delle entità soprannaturali,
resta comunque la possibilità di usare l'oracolo, se non altro, per indagare se stessi.
Per conludere il paragrafo è parso divertente, oltre che utile, ripercorrere velocemente una
possibile storia del decision making, anche se decisamente orientata alla fonte da un interesse in
area economico finanziaria. Sembra che il presupposto di razionalità cambi I suoi connotati nelle
diverse epoche storiche, e che le vie per prendere buone decisioni siano molteplici e diverse, a
seconda delle circostanze e del momento in cui queste decisioni si richiedono.
Dalla preistoria, per millenni: le decisioni umane sono guidate dall'interpretazione di interiora,
fumo, sogni e similari. Centinaia di generazioni di cinesi si affidano alla poesia delle istruzioni
divinatorie dell' I Ching. I greci consultano l'oracolo di Delfi. Profeti e veggenti di tutti I tipi
predicono il futuro.
Sesto secolo a.C.: Lao tzu insegna il principio dell'azione senza volontà: lasciare che gli eventi
seguano il loro corso naturale. Confucio dice che le decisioni dovrebbero essere conformate alla
benevolenza, alla tradizione, alla reciprocità e alla pietà filiale.
Quinto secolo a.C.: I maschi ateniesi, in una forma primitiva di governo democratico, prendono
decisioni votando.
Quarto secolo a.C.: Platone afferma che tutte le forme sensibili derivano da archetipi eterni e
che sono percepibili meglio con l'anima che con I sensi. Aristotele assume un approccio
empirico alla conoscenza, che valuta le informazioni attraverso I sensi e il ragionamento
deduttivo.
399 a.C.: In un processo-prototipo basato su giuria 500 ateniesi mandano a morte Socrate.
333 b.C. : Alessandro il grande taglia il nodo gordiano, dimostrando come problemi difficili
possano essere risolti con interventi grossolani.
49 a.C.: Giulio Cesare prende l'irreversibile decisione di attraversare il Rubicone, creando una
potente metafora nel decision making.
Nono secolo: il sistema numerico indo arabico, che include lo zero, circola attraverso l'impero
arabo, stimolando lo sviluppo della matematica.
Undicesimo secolo: Omar Kayamm usa il sistema numerico indo arabico per creare un
linguaggio di calcolo, aprendo la strada per lo sviluppo dell'algebra.
Quattordicesimo secolo: un frate inglese propone quello che poi è stato conosciuto come “il
rasoio di Occam”, una regola guida per gli scenziati e coloro che tentano di analizzare dati: la
teoria migliore è quella che, nella maniera più semplice, rende conto di tutte le evidenze.
1602: Amleto, confrontandosi con il maggior dilemma della letteratura occidentale, si chiede:
“Essere o non essere?”
1620:Francis Bacon afferma la superiorità del ragionamento deduttivo nella ricerca scientifica.
1641:Renè Descartes propone che la ragione sia superiore all'esperienza nell'acquisire
conoscenza e stabilisce la struttura del metodo scientifico.
1654: Sollecitati da un problema di scommesse Blaise Pascal e Pierre Fermat sviluppano il
concetto di calcolo probabilistico.
1660:La scommessa di Pascal sull'esistenza di Dio mostra che per lo scommettitore possono
essere più importanti le conseguenze dell'essere in errore piuttosto dell'essere verosimilmente nel
giusto.
1738: Daniel Bernoulli getta le fondamenta dello studio del rischio analizzando eventi casuali
dal punto di vista delle paure e dei desideri individuali.
Diciottesimo secolo: Carl Friederich Gauss elabora la curva a campana, e sviluppa un metodo
per la comprensione dell'occorrenza di eventi casuali.
1886: Francis Galton scopre che, sebbene certi fenomeni tendano ad uscire dall'ordinario,
successivamente tendono a rientrare nei parametri . Il suo concetto di regressione verso la media
influenzerà le analisi statistiche ed economiche.
1900: Il lavoro di Sigmund Freud sull'inconscio suggerisce che le decisioni possano scaturire da
luoghi nascosti della mente.
1921: Frank Knight distingue fra rischio, le cui probabilità di esito possono essere calcolate, e
incertezza, le cui sorti non possono essere calcolate.
1938:Chester Barnard separa I processi decisionali organizzativi da quelli aziendali da quelli
personali per spiegare perchè alcuni impiegati prendano decisioni a favore dell'azienda piuttosto
che di se stessi.
1944: John Von Neumann e Oscar Morgenstern descrivono le basi matematiche per il decision
making in economia. Assumono la posizione che il decion maker agisca con razionalità.
1947: Herbert Simon rigetta la nozione classica che I manager decidano con perfetta razionalità
e afferma che, per il risparmio di energie nell'acquisizione di informazioni, si decide con
razionalità limitata, prendendo decisioni abbastanza buone.
Anni '50: Le ricerche condotte al Carnagie institute of technology e al MIT porteranno allo
sviluppo dei primi strumenti decisionali supportati da un computer.
1952: Harry Markowitz dimostra matematicamente come lo scegliere portafogli di investimenti
diversificati porti notevoli profitti.
Anni '60: Edmund Learner e altri sviluppano il modello di analisi SWOT (strenghts, weaknesses,
opportunities, threats), utile per prendere decisioni quando il tempo a disposizione è poco e le
circostanze complesse.
1965: Grandi aziende usano I computer IBM System/360 per iniziare a implementare sistemi di
informazione manageriali.
Roger Wolcott Sperry inizia a pubblicare ricerche sulla specializzazione dei due emisferi
cerebrali.
1966: Viene coniata l'espressione “opzione nucleare” in riferimento alla possibilità di usare
ordigni nucleari nella risoluzione di conflitti.
Il lavoro di Howard Raiffa “decision analysis” illustra tecniche fondamentali di decision making
fra cui l'albero delle decisioni e il valore atteso del campione.
1972: Irving Janis conia il termine “groupthink” per definire decisioni non accurate che tengono
conto più del consenso che del risultato.
Michael Coen, James March e Johan Olsen pubblicano “a garbage can model of organizational
choice” che invita le organizzazioni a rivalutare le informazioni scartate precocemente.
1973: Fisher Black e Myron Scholes, contemporaneamente a Robert Merton mostrano come
valutare accuratamente le stock option iniziando una rivoluzione nel management.
Victor Vroom e Philip Yetton sviluppano il Vroom-Yetton model che spiega come differenti stili
di leadership possano essere utili per risolvere differenti tipi di problemi.
1979 : Amos Tversky e Daniel Kahnemann pubblicano la loro “prospect teory”, che dimostra i
modelli economici razionali non spiegano come le persone arrivino a prendere decisioni
fronteggiando l'incertezza della vita reale.
1984: Daniel Isenberg spiega che i dirigenti spesso combinano una pianificazione rigorosa con
l'intuizione quando fronteggiano un alto grado di incertezza.
1992: Max Bazerman e Margaret Neale uniscono la ricerca comportamentista e la negoziazione
in “negotiating rationally”
1995: Anthony Greenwald sviluppa lo “implicit association test”, teso a rivelare atteggiamenti
inconsci o credenze che possono influenzare il giudizio.
1966: I frequentatori di internet iniziano a prendere le loro decisioni di acquisto basandosi
sull'opinione di altri acquirenti come loro
2005: in “Blink” Malcom Gladwell esplora l'idea che le nostre decisioni istantanee siano talvolta
migliori di quelle basate su una lenta e razionale analisi.
(Buchanan, O Connell 2006)
Nel mondo moderno generalmente si pensa che politica e religione debbano occupare sfere
separate: l'idea di dare la preferenza alla volontà divina rispetto alla volontà delle persone
sembrerebbe non democratica. Questo approccio pervade anche lo studio del mondo antico e
così, mentre la natura della religione nella grecia antica è stata soggetto di numerosi studi, la
questione dell'influenza che gli dei possono aver avuto nel decision making degli ateniesi
dell'età classica viene spesso negata (Bowden, 2005). Una enfasi sull'obbedienza alla volontà
divina verrebbe probabilmente etichettata come fondamentalista, anche se è difficile
immaginare qualcosa in comune fra un movimento come quello dei talebani e la democrazia
ateniese. Per cominciare, ad esempio, I fondamentalisti contemporanei hanno libri sacri, mentre
gli antiche greci no. questo argomento è, in realtà, una semplificazione, dal momento che testi
come la Bibbia e il Corano richiedono una interpretazione e che spesso I fondamentalisti sono
più interessati alla pratica che alla dottrina, per la quale l'autorità è sufficente. Spesso, infatti,
nella pratica risultano più importanti le norme derivate dalla tradizione (Marty, Appleby, 1991).
Gli ateniesi avevano modi diversi per conoscere la volontà degli dei, sia attraverso la tradizione
che attraverso la divinazione. C'erano, a disposizione, un gran numero di oracoli, scritti e non,
che potevano essere usati nel dibattito politico e che erano considerati divinamente ispirati.
L'interpretazione era considerata una specifica competenza e poteva dar luogo a dibattiti
pubblici.
Nelle società occidentali si assume che le democrazie siano liberali, individualiste, capitaliste e
secolari,mentre la democrazia ateniese non era niente di tutto questo.
Il ruolo della religione nella società tende ad essere spiegato in due maniere: nella prima ipotesi
l'attività religiosa rinforza le norme e aiuta a risolvere le controversie, mentre la divinazione
avrebbe il ruolo di opporsi all'autorità e funzionare come un meccanismo di resistenza, dunque
di assicurare che I leaders non siano lasciati soli di fronte a decisioni dove la discussione sembri
possibile o appropriata. Inoltre l'accettare il segno divino attribuisce grande autorevolezza alla
decisione che viene presa. La divinazione potrebbe essere così vista come uno strumento per
combattere il disordine e stabilire un consenso di opinione in favore di una particolare soluzione
per un problema difficile. Ciononostante, mentre la legittimazione divina può assicurare un
consenso di opinione, dal momento che una comunità ha da vivere con il responso di un oracolo,
l'eventuale successo di una impresa dipende dalle politiche formulate prima della consultazione.
Gli oracoli non sono, dunque, un sostituto del decision making di una comunità (Morgan, 1989).
La divinazione semplificherebbe le decisioni, ristrutturando il problema alla radice e fornendo
una legittimazione esterna per la decisione, favorendo la riconciliazione all'interno della società.
Questo, considerato l'approccio standard nello spiegare divinazione e oracoli nell'antica grecia,
ha preso il posto di una visione precedente che voleva gli oracoli manipolati dai potenti della
società. Va detto che la letteratura usata per supportare questa tesi si basa per lo più sui testi di
Erodoto che, se è la più importante fonte di informazioni sulla storia della Grecia, non è
necessariamente la più credibile (Bowden, 2005).
L'altro modo per giustificare il ruolo della religione nella società ed è che questa offrirebbe un
modo per spiegare e trattare le contingenze, come I buoni e I cattivi raccolti, I successi e
fallimenti in guerra. Mentre un sistema religioso preoccupato per l'ordine interno attribuirà agli
dei un interesse per la giustizia e la legge, uno che riconosce la contingenza li presenterà come
capricciosi e potenzialemte pericolosi, sempre bisognosi di essere pacificati. Anche la religione
greca, come la maggior parte delle religioni antiche, mostra queste caratteristiche (Bowden,
2005). Nella Bibbia ebraica la caduta del regno di Babilonia non è attribuita alla sconfitta del dio
di abramo, ma con la punizione che egli stesso infligge al suo popolo, mentre I successi e
fallimenti greci nella guerra di Troia sarebbero dovuti alla capricciosità degli dei
(Gerstenberger, 2002). Gli eventi attribuiti a volontà divina erano quelli inspiegabili per la
ragione umana, come gli eventi climatici. Una conseguenza di questo è l'impossibilità, per una
comunità che si rivolga agli dei, di testarne la correttezza della risposta sulla base di standard
umani: la risposta deve essere presa sulla fiducia, per questo la risposta divina poteva non
sembrare la migliore, se presa in un altro momento. Lo storico ebreo Giuseppe descrive come gli
ebrei fossero svantaggiati nella guerra contro I romani dall'osservanza del sabato (Bowden,
2005).
Nelle pratiche divinatorie si riscontra quasi sempre un certo grado di ritualità. Si possono fare
diversi esempi: il mazzo di carte va alzato con la mano sinistra, non si pone due volte la stessa
domanda ad un oracolo, le donne nel periodo mestruale non sono adatte per certi tipi di
divinazione ecc. Leggendo uno studio proposto da Cristine Legare e Andrè Souza (2012), si può
pensare che gli aspetti rituali contribuiscano ad aumentare la fiducia dei consultanti e la
percezione di efficacia nelle sentenze.
Le due autrici si chiedono quale sia la logica nascosta dei rituali, partendo dalla classica
definizione di rituale fornita da Tambiah (1979) secondo cui: “ I rituali sono sequenze ordinate e
strutturate di parole e atti, spesso espressi attraverso mezzi di comunicazione diversi, i cui
contenuti e la cui organizzazione sono caratterizzati da vari gradi di formalità, stereotipia,
condensazione (fusione di significati diversi) e ridondanza”.
I rituali di fatto rappresentano un paradosso cognitivo: sebbene siano largamente usati come
strumenti di problem solving nei momenti in cui il futuro si fa più incerto, sono opachi da un
punto di vista causale (Legare, Whitehouse, 2011). Ci si chiede dunque come e in base a cosa ne
venga valutata l'efficacia da coloro che vi fanno ricorso. L'ipotesi è che le caratteristiche
descritte da Tambiah siano il prodotto di un sistema cognitivo evoluto e, piuttosto che
concettualizzare i rituali come una forma molto intensa di comunicazione simbolica (Tambiah,
1979) ciò che viene suggerito è che queste procedure esprimano azioni dense di significato
attraverso la destrutturazione dell'obbiettivo e la ridondanza (Humphrey, Laidlaw, 1994). La
previsione conseguente è che una sorta di ragionamento causale intuitivo, più che la familiarità,
sia ciò che determina come l'efficacia del rituale viene valutata.
Per esaminare la questione usando contenuti ecologicamente validi sono stati condotti tre studi in
Brasile, un contesto culturale dove rituali propiziatori chiamati “simpatie” sono strumento per
risolvere un grande assortimento di problemi, dall'asma all'infendeltà (Legare, Souza, 2012).
Alcune simpatie artificiali sono state progettate per poter manipolare sperimentalmente il tipo di
informazioni che influenza la percezione di efficacia. Un quarto studio con stimoli identici è
stato condotto su un campione di soggetti statunitensi, per verificare la generalizzabilità dei
risultati su due diverse culture. I risultati sembrano confermare che principi causali intuitivi
come la ripetizione di procedure e il numero di passi delle stesse, e l'influenza trascendente, cioè
la presenza di icone o espliciti riferimenti religiosi, abbiano un ruolo determinante nel
contribuire alla percezione di efficacia dei rituali.
Le stesse autrici, in un altro studio nuovamente condotto sia in Brasile sia negli Stati Uniti
(Legare, Souza, 2014), suggeriscono come i rituali abbiano un ruolo nel fronteggiare i sentimenti
sgradevoli associati alla percezione di perdita di controllo rispetto a se stessi e all'ambiente
circostante e, d'altra parte, il ristabilire una sensazione di controllo dopo una esperienza di
incertezza sia da sempre considerata una motivazione fondamentale dell'agire umano (Legare,
Souza, 2014). Il riferimento principale è alla già citata teoria di Malinowski (Malinowsky 2002)
elaborata durante lo studio dei pescatori tombriani. L'ipotesi è che quando le persone non hanno
una sensazione di controllo si attivino dei bias attribuzionali ((Keinan, 2002) e si mettano in
pratica strategie per ristabilire la sensazione di controllo. I rituali non hanno nessuna efficacia
dimostrabile ma dal momento che procedure che prevedono un alto numero di passaggi sono
statisticamente associate a risultati positivi, è possibile che, per similitudine, una sensazione di
efficacia, seppur fallace, si produca. Questo tipo di relazione sarebbe verificabile non solo per le
esperienze compiute in prima persona, ma anche nel valutare le esperienze altrui.
Sono stati condotti due esperimenti in cui nuovamente è stato usato lo strumento delle simpatie.
Ai partecipanti è stato chiesto di valutare l'efficacia delle simpatie per obbiettivi di problem
solving in tre condizioni diverse: negatività, incertezza e neutralità. I risultati mostrano che la
percezione di efficacia era significativamente più alta nelle condizioni di incertezza e di
neutralità.
Si ipotizza che i rituali vengano usati per ottenere una illusione di controllo (Langer, 1975),
comunque efficace per alleviare le sensazioni sgradevoli: le persone si comportano come se
esistesse una relazione causale fra il loro comportamento e il risultato ottenuto, anche quando il
risultato è casuale.
Un interessante studio di Erik W.K. Tsang indaga il ruolo della superstizione nei processi
decisionali di uomini d'affari e consigli di amministrazione (Tsang 2004). Per quanto ci
concerne, in questo caso, il termine di superstizione può essere considerato sinonimo di
divinazione, dal momento che ci si riferisce qui a informazioni aggiuntive ottenute da fonti
soprannaturali o comunque non spiegabili scientificamente, usate per prendere decisioni che
abbiano un impatto positivo sul futuro. In ogni caso, per correttezza, nel riportare l'articolo verrà
usato il termine superstizione, come nell'originale. Le pratiche superstiziose prese in
considerazione sono la consultazione di esperti di feng shui o di oracoli riferibili a divinità
venerate.
L'attenzione è centrata sulla comunità affaristica cinese, in cui sembra che la diffusione della
superstizione sia profondamente radicata (63,9 degli intervistati ricorre alla superstizione), anche
se questo parrebbe essere il primo studio ad occuparsi dell'argomento in maniera sistematica.
L'autore segnala come in letteratura il ruolo della superstizione nel decision making sia poco o
punto indagato (Tsang, 2004).
Lo studio, che si colloca nella cornice teorica delineata dalle ipotesi di Malinoski, fa ricorso a
diverse fonti di cui la principale è costituita da questionari inviati a compagnie cinesi e restituiti
compilati per il 66% del totale. Dal momento che questa fonte non è stata considerata
sufficentemente attendibile viene integrata da interviste semistrutturate rivolte specificatamente a
gruppi di esperti di feng shui selezionati casualmente dalle pagine gialle, manager selezionati
dagli elenchi della camera di commercio di Singapore, manager individuati fra I frequentatori di
un tempio di Singapore e uno di Hong Kong. Per compensare il fatto che le persone spesso
provano imbarazzo nel parlare delle proprie pratiche superstiziose vengono anche condotte un
piccolo numero di interviste semistrutturate a contatti personali dell'autore.
I risultati, in linea con la teoria di Malinowski (Malinowsky, 2002), riportano che circa l'80%
degli intervistati si appella all'incertezza per giustificare le proprie pratiche. Inoltre, la maggior
parte di coloro che si dichiarano credenti o praticanti proviene da aziende edili o agenzie
immobiliari, cioè da un settore in cui, a causa dell'estrema volatilità dei mercati asiatici,
l'incertezza è qualcosa con cui confrontarsi quotidianamente.
Il ricorso alla superstizione sembra corrispondere a due diverse maniere per fronteggiare
l'incertezza: da una parte alcuni semplicemente rifiutano l'incertezza e cercano una maniera per
sostenere l'ansia collegata, dall'altra chi è convinto della efficacia delle pratiche superstiziose
riferisce di voler ottenere in questo modo maggiori informazioni per poter prendere poi decisioni
accurate.
Un altro risultato, inaspettato, emerge quando viene chiesto cosa accade se le risposte oracolari
sono in contraddizione con le analisi personali o dello staff: nel caso si sia fatto ricorso a esperti
di feng shui si ignora il responso o si cambia esperto (unanimità degli intervistati), ma se invece
si sono interrogati gli dei cinesi presso un tempio allora l'indicazione divina viene rispettata.
Qualcosa di analogo succede nel caso in cui la previsione o l'indicazione ottenuta con pratiche
superstiziose si riveli errata: l'esperto di feng shui viene solitamente sostituito con un altro e si
prendono provvedimenti per rimediare, mentre se a sbagliare è stata una qualche divinità l'errore
viene attribuito all'interpretazione del consultante.
Questi ultimi dati sembrerebbero suggerire che, per lo meno in questa particolare popolazione, vi
sia una cosiderazione diversa se l'indicazione viene da una fonte religiosa o da un oracolo senza
riferimenti religiosi precisi: nel primo caso la parola divina è considerata normativa e infallibile,
l'eventuale errore viene attribuito all'umana interpretazione, nel secondo la sentenza rimane
opinabile, può essere messa alla prova ed eventualmente ignorata. Come dire che la divinazione
potrebbe risultare meno pericolosa, rispetto alla possibilità di prendere decisioni fondate su
informazioni fallaci, ove non si appoggi alla sfera religiosa.
Lo studio riesce anche a isolare una categoria definita “half believers”: soggetti che dichiarano di
non credere all'efficacia della superstizione ma che la praticano perchè questo li fa sentire
meglio. Alcuni di loro ammettono esplicitamente di far ricorso alla superstizione per gli aspetti
funzionali legati alla riduzione dell'ansia.
Infine, il ruolo degli esperti di feng shui viene ricondotto, in linea con l'analisi di Saxton (1995),
a quello di esperti, nel produrre informazioni non altrimenti reperibili, di provocatori, mettendo
in risalto l'assenza di sufficienti informazioni, e di legittimatori, nel verificare le informazioni già
in possesso dell'azienda.
Gli antropologi che hanno studiato la relazione fra intenzionalità e casualità, afferma Eitan Wilf
(2013), hanno sempre teso a concettualizzare la prima come pervasa dalla seconda:
l'imprevedibilità sembra essere la vera stoffa di cui sono fatti I nostri progetti, che sono sempre
in continua evoluzione e si schiudono nel tempo (Csordas 1993; Ingold and Hallam 2007;
Jackson, 1989). Se generalmente l'obiettivo di tali analisi è di disegnare modelli per aumentare la
predicibilità delle intenzioni in situazioni conflittuali si possono individuare contesti culturali in
cui la prevedibilità delle intenzioni costituisce un problema e in cui una casualità che sia
contestualmente ricca di significato è usata come strumento culturale per “negoziare problemi di
intenzionalità”. Così è in molti casi di divinazione meccanica praticata da comunità africane,
quale, ad esempio, il rituale legato al “poison oracle” del popolo Azande, documentato da Evans-
Pritchard (1937), in cui l'efficacia di un certo veleno sul pollame dirime questioni legate ad
accuse stregoneria. In quel caso, in assenza di informazioni che permettano di rilevare
meccanismi causali, la prevedibilità dell'intenzionalità cosituisce un problema, perchè porterebbe
a condanna certa dell'accusato, e la casualità dell'azione del veleno permette di ottenere risultati
dieversi da quelli che si otterrebbero dalla volontà umana, che potranno essere poi discussi.
Certamente gli Azande non definirebbero il loro oracolo come un randomizzatore ma di fatto le
possibilità che il veleno faccia effetto o meno sono equivalenti.
Alla stessa maniera degli azande anche gli studenti di musica jazz coinvolti nello studio da Wilf
hanno un problema con la prevedibilità delle intenzioni, infatti la pratica della improvvisazione
richiede sia di saper allineare le intenzioni private con I comportamenti pubblici, sia di disporre
effettivamente di idee su cui lavorare. Quando uno di questi prerequisiti non è soddisfatto le
improvvisazioni sono agite secondo le regole formali della didattica musicale, che le rendono
largamente prevedibili e di basso tenore artistico (Wilf, 2013).
L'autore mette alla prova gli studenti usando un produttore computerizzato di frasi musicali
casuali e verifica l'impatto della casualità sulla bontà delle interazioni fra musicisti durante
l'improvvisazione. Del resto, argomenta l'autore, l'arte non è nuova al concetto di casualità, basti
citare John Cage, Stephane Mallarmè e Daniel Duchamp, nei cui lavoro questo tipo di estetica,
secondo Margaret Iversen, ha la funzione di limitare il controllo autoritario e bypassare
l'intenzionalità (Iversen, 2010).
L'autore, dunque, teorizza l'uso della casualità come risorsa culturale per coltivare una creatività
frustrata da problemi di intenzionalità e si pone il problema di verificare se le pratiche indicate
siano efficaci.
Il materiale presentato in questo articolo suggerisce, in definitiva, che l'incertezza non sempre
deve essere minimizzata per raggiungere I propri scopi: gli individui potrebbero comprendere
che il loro mondo, talvolta, è problematico perchè non è abbastanza contingente. Non afferma
comunque che l'uso della casualità funzioni sempre, soprattutto se supera la capacità umana di
attribuirgli un senso. In tal caso la contingenza può vertere verso l'insensatezza, almeno per gli
umani che con questa si devono confrontare (Wilf, 2013).
Prendere decisioni non è affare di poco conto, e la situazione si complica se a dover prendere
una decisione è un intero gruppo sociale. Le decisioni spesso nascono per vie che sfuggono alla
comprensione di coloro che le dovranno assumere e che ne subiranno le conseguenze. Una
distinzione popolare è quella fra testa e cuore: prendere decisioni con la testa, cioè
razionalmente, garantirebbe decisioni ben ponderate, più funzionali al raggiungimento
dell'obbiettivo perseguito mentre affidarsi al cuore, cioè alle emozioni, esporrebbe al caos e,
tuttalpiù, potrebbe andare bene per questioni sentimentali. Ma anche quando si prendesse la
decisione preventiva di assumere solo decisioni razionali, rispondenti a criteri logici, un grande
numero di fattori, fra cui emozioni, contesto, dinamiche di gruppo, andrebbe a determinare, a
priori, ciò che verrebbe poi giudicato razionale(citazione), rendendo così vano qualsiasi
proposito di “usare la testa”. Le decisioni umane, cioè, sembrano talvolta essere quanto di più
antitetico vi possa essere alla intenzionalità , per assomigliare piuttosto a processi automatici di
cui si potrebbe pensare di conoscere gli esiti in anticipo, se solo fosse possibile conoscerne tutti
gli elementi in gioco. Questi elementi, del resto, si nascondono, restando per lo più estranei alla
coscienza e rendono difficile la consapevolezza del fatto che, spesso, non si è deciso
assolutamente niente ma, anzi, la decisione è nata ed è cresciuta, indipendentemente dalla nostra
volontà e dall'oggetto a cui si rivolge, all'interno di un processo di cui siamo ingranaggi.
La piccola e simpatica azienda dove chi scrive lavora ha un giovane titolare che ha di recente
preso il timone dopo che il padre, tuttora attivo, ha pensato che era meglio lasciare alla
generazione successiva gli oneri del comando. Il vecchio titolare è comunque depositario di un
know how tecnico e gestionale che rendono indispensabile la sua consultazione per molte
questioni. Egli, inoltre, forte dei successi conseguiti e della stabilità economica in cui verte
l'azienda, non è sicuramente il tipo di persona che è disposta a tacere, nel caso in cui abbia una
opinione propria dell'eventuale problema in questione. Rispetto al coinvogimento del padre nelle
decisioni aziendali il giovane titolare mantiene un atteggiamento ambivalente: da una lato nutre
l'ambizione di imprimere alla governance aziendale una sua chiara impronta, dall'altro è
consapevole di non peter fare totalmente a meno dell'esperienza del genitore e, quand'anche
potesse, di non volerne ferire I sentimenti.
Le vie della decisione, così, all'agrigarden l'olivo, si incardinano su due concetti chiave:
innovazione, rapprentata dal giovane titolare, e tradizione, sostenuta dal padre.
Lo scontro è permanente.
Il figlio sostiene I valori della crescita, del rinnovamento, del rischio (seppur ragionato) e della
velocità. Il padre si trova più a suo agio con concetti come sicurezza, parsimonia, riduzione dello
stress, consolidamento. Seppure di solito si riesca a trovare una sintesi che permette all'azienda
di prosperare capita pure che siano adottate decisioni che non riassumano gli aspetti migliori
delle due diverse posizioni, data la situazione attuale, ma che siano semplicemente la risultante
di forze contrastanti. In buona sostanza capita che uno dei due riesca a prevalere semplicemente
perchè, quel giorno, alza la voce più dell'altro, o perchè si offende, o, ancora più banalmente,
perchè ha avuto torto il giorno precedente e dunque gli spetta una rivalsa.
Vediamo dunque che la natura delle soluzioni adottate non sempre è aderente al problema per
cui una soluzione si richiede ma, anzi, spesso risponde a tutt'altre logiche.
Può accadere che una tradizione ben consolidata abbia valore normativo, lasciando così poco
spazio alla valutazione di differenti ipotesi, ma riuscendo a consolidare una struttura sociale che
potrebbe sentirsi minacciata dall'introduzione di nuove idee.
È il leader, d'altro canto, che generalmente, in un contesto di gruppo, porta l'onere e l'onore del
decidere. Se già questo fatto limita di molto le soluzioni adottabili all'insieme di quelle soluzioni
che sono prendibili in considerazione dal leader stesso, bisogna anche considerare che
potrebbero avere un peso obbiettivi non espliciti, come la ricerca del consenso, che ne
influenzino le riflessioni (citaz).
Anche le emozioni sono un elemento che, sebbene spesso indesiderato, non è possibile eliminare
completamente dalle forze agenti sul campo e che tende a restringere il numero delle opzioni
disponibili. Un esempio banale: in una condizione di intensa paura, per un gruppo o un
individuo, risalteranno maggiormente alla coscienza due opzioni, cioè l'attacco e la fuga, mentre
una terza opzione, come il dialogo, sembrerà, a prescindere, impraticabile (citaz).
Il group think è un fenomeno in base al quale l'espressione di idee diverse viene sacrificata
sull'altare della coesione e della denegazione dei conflitti. È stato analizzato ed è citato in tutti I
manuali di psicologia sociale il famosissimo episodio della crisi dei missili a Cuba, in cui lo staff
del presidente Kenney arrivò molto vicino ad ordinare un attacco, rischiando di innescare un
conflitto su scala globale (citaz).
In ogni caso soluzioni diverse hanno diverse chances di essere adottate. Una idea presentata con
intento persuasivo, da una fonte autorevole, tenendo conto delle condizioni del ricevente, con
argomentazioni adeguate, potrebbe prevalere su un'altra idea senza essere necessariamente più
efficace (citaz). Una minoranza in un gruppo sociale, allo stesso modo, può riuscire ad imporre
alcune proprie posizioni, sulla base della coerenza, dell'investimento e della continuità (citaz).
Una soluzione intuitiva può essere scartata, indipendentemente dalla sua bontà, per il fatto di non
scaturire da un ragionamento deduttivo (citaz), come può accadere l'esatto contrario: riporre una
fiducia aprioristica nell'istinto, nell'intuito o in forze soprannnaturali può portare a scelte che non
hanno niente a che vedere con l'oggetto in questione (citaz).
A volte la situazione non lascia alternative e sembra non ci sia niente da decidere.
A volte non si hanno informazioni a sufficenza.
A volte non si hanno idee e non si sa che pesci prendere.
Capitolo 3 la ricerca
3.1 un nuovo framework per la modellizazione della pratica divinatoria nel decision making
gruppale
L'obiettivo di questa ricerca è identificare e isolare aspetti della pratica divinatoria che
potrebbero intervenire in maniera adattiva nei percorsi decisionali di un gruppo sociale.
Ripercorrendo rapidamente la letteratura fin qui rappresentata possiamo riassumere alcuni indizi,
provenienti da vari ambiti disciplinari, che fin qui abbiamo raccolto: Alcuni professionisti usano
tecniche divinatorie con intenti terapeutici, o comunque legati alla crescita personale, sostenendo
che, in una sintesi grossolana, le capacità di insight risulterebbero potenziate.
Abbiamo anche visto che, a fronte del rischio corso, la divinazione sembra essere efficace nel
gestire le sensazioni sgradevoli associate all'incertezza (citaz).
Teorie antropologiche ed etnologiche evidenziano il ruolo di calmiere che la divinazione
potrebbe aver assunto nei confronti del potere dei leader nelle società antiche e la funzione di
coagulo del consenso intorno alla decisione adottata attraverso una legittimazione esterna (citaz).
Come pratica ancestrale, nel novero delle arti sciamaniche, la divinazione potrebbe essere una
modalità conoscitiva profondamente radicata in strutture psicobiologiche umane e permettere
l'attivazione di funzioni del cervello paleomammifero inerenti ad attaccamento, percezione di
se, coscienza (citaz). Gli aspetti simbolici caratterizzanti tecniche diverse permettono la
proiezione di contenuti soggettivi che aumentano la pertinenza delle sentenza rispetto alle
vicende individuali (citaz) e la presenza di rituali aumenta l'efficacia percepita (citaz).
L'elemento della casualità diventa contestualmente denso di significato (citaz), in quanto
permette di prendere in considerazione soluzioni non valutate o scartate a priori, per
consuetudine, tradizione o incapacità di esprimerne I contenuti.
infine, a meno che non si entri in una sfera specificatamente religiosa che chiama in causa
l'intervento, e quindi l'esistenza, di una divinità, la sentenza oracolare sembra essere
generalmente discutibile e sottoponibile ad ulteriori indagini (citaz).
3.2.1 ipotesi
Sulla base di specifiche osservazioni come riportate al paragrafo 3.1, della restante letteratura
citata nelle pagine precedenti e delle considerazioni sin qui esposte, in questa tesi viene
teorizzato che il sottoporsi ad un intervento di tipo divinatorio, non chiamante in causa divinità
specifiche, possa avere una influenza positiva sulla qualità dei processi decisionali gruppali, in
termini di:
• Maggior numero di opzioni analizzabili e vagliabili.
• Maggiore espressione di idee e posizioni individuali.
• Attenuazione dell'influenza della tradizione.
• Attenuazione dell'ansia nei membri del gruppo e degli agiti emozionali ad essa associati.
• Riduzione della conflittualità interna e incremento della collaborazione.
• Maggior tempo dedicato all'analisi della situazione e alla raccolta di informazioni.
Se, come è stato affermato più volte, divinare equivale a prendere in considerazione la casualità
(citaz), e se è vero che i processi decisionali dei gruppi, come affermano gli psicologi sociali,
possono essere viziati da bias legati a leadership, tradizione e dinamiche di gruppo, oltre che al
contesto ambientale (citaz), l'ipotesi qui considerata è che l'introduzione di un elemento di
casualità faccia tabula rasa di, o quanto meno metta in sospensione, tutti quei processi che
esulano dalla precisa intenzione di prendere una decisione adeguata alla soluzione di uno
specifico problema. La casualità, infatti, non tiene conto del prestigio del leader, delle
consuetudini, della desiderabilità sociale e di mille altre variabili che sono umane e che
definiscono, cioè in qualche modo delimitano e limitano, l'azione umana.
Includere la divinazione in un processo decisionale richiede dunque, potenzialmente, di dover
valutare, e allo stesso tempo mettere in discussione, qualsiasi possibile soluzione. Includere
casualità esige un ripensamento e un conflitto, dal momento che difficilmente la soluzione
suggerita dal caso sembrerà la migliore e la più ovvia.
Certamente si potrebbe porre la domanda, che darebbe origine a nuove ricerche, se divinare e
casualizzare siano processi intercambiabili, per lo meno per i significati assumibili nei contesti
umani. A questo livello di indagine si può solamente supporre che l'ambito sacro attinga ad una
sua simbologia che diventa patrimonio comune di una certa cultura, che genera significato e che,
se evocata, tocca la sensibilità di ognuno, indifferentemente credenti e scettici. Per chiarire con
un esempio: in uno degli arcani maggiori dei tarocchi è rappresentato il diavolo. Non è
necessario credere all'esistenza del diavolo o al potere della carta perchè alcune emozioni si
attivino alla sua vista, dal momento che questo simbolo è un patrimonio condiviso dalla cultura
occidentale.
Divinare, quindi, sembrerebbe più interessante, e più vincolante del tirare a caso. Così era per gli
ateniesi della Grecia classica e così è oggi per la comunità affaristica cinese (citaz).
3.2.2 il campione
La procedura di reclutamento del campione, data la numerosità richiesta, avrà natura di
censimento volontario e sarà operata dai ricercatori del progetto opportunamente formati per la
consegna delle istruzioni generali. Il nostro campione conprenderà idealmente 384 soggetti di età
compresa fra i 18 e i 50 anni selezionati negli atenei italiani. A coloro che si saranno resi
disponibili sarà sottoposta una apposità survery on line che permetterà di collezionare in maniera
automatica i dati, di mitigare i costi e i tempi della ricerca, e di garantire una maggiore privacy ai
soggetti. Si ritiene fondamentale che il campione individuato sia bilanciato per la variabile
credulità/scetticismo, per ragioni meglio dettagliate nel paragrafo successivo, in maniera da poter
formare gruppi sperimentali e di controllo, composti ognuno da 8 soggetti, di tre diversi tipi:
maggioranza di scettici (5 scettici), maggioranza di credenti (5 credenti), bilanciato (4 scettici, 4
credenti). Le condizioni scettico credente saranno ulteriolmente bilanciate sulla varibile sesso,
fornendo dunque un eguale numero di maschi e femmine sia nel campione generale, sia nei
gruppi sperimentali e di controllo, sia nei sottogruppi scettici/credenti.
Tipologia compito
Credulità Sperimentale facile difficile
scetticismo controllo
creativo Non creativo creativo Non creativo
Maggioranza sperimentale 8x2 8x2 8x2 8x2
credenti controllo 8x2 8x2 8x2 8x2
bilanciato sperimentale 8x2 8x2 8x2 8x2
controllo 8x2 8x2 8x2 8x2
Maggioranza sperimentale 8x2 8x2 8x2 8x2
scettici controllo 8x2 8x2 8x2 8x2
Di seguito riportiamo gli strumenti che si intende utilizzare durante l'assessment preliminare e
nelle misurazioni post test.
Nella survey on line:
- raccolta di informazini socio demografiche e anamnesi psicopatologica.
nella prima misurazione:
– Personalità: attraverso la scala Fast Five ideata da Giannini, Pannocchia, Lauro-Grotto e
Gori (2012), la quale rappresenta uno strumento di veloce somministrazione strutturato
sul modello Big Five della personalità.
– Senso di comunità: attraverso la scala italiana creata da Prezza, Costantini, Chiarolanza, e
di Marco (1999).
– Self-efficacy e Social Self-efficacy: mediante la scala ideata da Sherer, Maddux,
Mercandante, Prentice-Dunn, Jacobs e Rogers (1982), che comprende 17 item per la
Self-Efficacy e 6 per la Social Self-Efficacy.
– State trait anxiety inventory Y-1 di Spielberg et al. Adattamento italiano a cura di
Pedrabissi e Santiniello (1989).
nella seconda misurazione:
– analisi quantitativa del numero di opzioni considerate e scartate da ciascun gruppo
(attraverso regisrazione o videoregistrazione e successiva check list da completare dopo
sbobinatura/visualizzazione del materiale).
– Senso di comunità: attraverso la scala italiana creata da Prezza, Costantini, Chiarolanza, e
di Marco (1999).
– Interaction process analysis (IPA), nella versione aggiornata di Bales del 1970 che
prevede 12 categorie di classificazione del comportamento interattivo.
– Analisi quantitativa e qualitativa a mezzo osservazione registrazione del tempo dedicato
alla raccolta delle informazioni.
– Self-efficacy e Social Self-efficacy: mediante la scala ideata da Sherer, Maddux,
Mercandante, Prentice-Dunn, Jacobs e Rogers (1982), che comprende 17 item per la
Self-Efficacy e 6 per la Social Self-Efficacy.
– Software ATLAS.
– State trait anxiety inventory Y-1 di Spielberg et al. Adattamento italiano a cura di
Pedrabissi e Santiniello (1989).
3.4 risultati
I risultati che potrebbero emergere da questa ricerca fornirebbero una prima indicazione sulle
possibilità e modalità di un utilizzo controllato della divinazione nell'ambito del decision making
di gruppo. Sarà possibile osservare se la manipolazione prodotta abbia una sua influenza sui
processi di interazione all'interno dei gruppi e sulla percezione soggettiva della partecipazione
alle attività del gruppo. Pur rilevando differenze statisticamente significative fra le condizioni
sperimentali e di controllo la rappresentazione del fenomeno rimarrebbe comunque incompleta,
aprendo alla necessità di indagare altre modalità e possibilità di implementazione del costrutto in
esame. Eventuali risultati negativi o non statisticamente significativi porrebbero dei dubbi non
solo, come è ovvio, sulla fondatezza delle ipotesi sopra esposte, ma anche sulla correttezza della
manipolazione operata. Non avendo trovato in letteratura dati provenienti da esperimenti simili
non si può escludere che i risultati non vadano addirittura in direzione opposta a quella prevista,
cosa che senza dubbio desterebbe comunque grande interesse e spingerebbe a ulteriori ricerche.
Amen.
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