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MARIA ELISA SOLDANI

ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI


FRA BARCELLONA E L'OLTREMARE
NEL TARDO MEDIOEVO

ESTRATTO
da
TRIBUNALI DI MERCANTI E GIUSTIZIA MERCANTILE
NEL TARDO MEDIOEVO

A cura di Elena Maccioni e Sergio Tognetti


BIBLIOTECA STORICA TOSCANA
A CURA DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA TOSCANA
LXXV

TRIBUNALI DI MERCANTI
E GIUSTIZIA MERCANTILE
NEL TARDO MEDIOEVO
a cura di
Elena Maccioni e Sergio Tognetti

LEO S. OLSCHKI EDITORE


2016
BIBLIOTECA STORICA TOSCANA
A CURA DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA TOSCANA
LXXV

TRIBUNALI DI MERCANTI
E GIUSTIZIA MERCANTILE
NEL TARDO MEDIOEVO
a cura di
Elena Maccioni e Sergio Tognetti

LEO  S.  OLSCHKI EDITORE


2016
Tutti i diritti riservati

Casa Editrice Leo S. Olschki


Viuzzo del Pozzetto, 8
50126 Firenze
www.olschki.it

Il volume è stato pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di Cagliari


Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio
Fondo per l’attività di ricerca della dottoranda Elena Maccioni e Fondo PRIN 2012

ISBN 978 88 222 6465 7


Maria Elisa Soldani

ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI


FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE
NEL TARDO MEDIOEVO

In una città con una forte vocazione mercantile che vedeva il proprio
destino legato al mare, com’era la Barcellona del tardo Medioevo, la que-
stione della risoluzione delle dispute tra mercanti e, più in esteso, di quelle
riguardanti materie mercantili e legate alla navigazione era di primo piano
tanto dal punto di vista delle istituzioni, di poteri concorrenti che riven-
dicavano il controllo su questo tipo di giurisdizione, quanto da quello dei
mercanti – non soltanto catalani – che frequentavano quella piazza e a cui
era necessario avere garanzie del rispetto dei contratti e delle transazioni.
La richiesta di rappresaglia si configurava, di fatto, come una vera e propria
dichiarazione di guerra tra paesi ed era quindi una soluzione di risarcimen-
to estrema.1
Oltre al tribunale del Consolato del Mare che, dai primi del Quattrocen-
to, a Barcellona esercitava la giurisdizione su tutte le questioni mercantili
di mare e di terra, la giustizia era amministrata dai tribunali ordinari del
baiulo e del vicario, dal tribunale del governatore di Catalogna, dalla curia
del vescovo e dall’audiencia regia, il foro più importante.2 Era il re il prin-

1  Sulle rappresaglie nel mondo catalano-aragonese rimando a M.R.  Martín Fabrega,


Marques i represàlies a la Corona d’Aragó a l’etapa final del regnat de Pere el Cerimoniós (1373-1386),
tesi di dottorato dir. Prof. Antoni Riera Melis (15 maggio 2002). Un riassunto della tesi è pubbli-
cato in «Butlletí de la societat catalana d’estudis històrics» XIV, 2003, pp. 179-188. Si veda anche
E. Maccioni, L’utilizzo della rappresaglia nella Corona d’Aragona alla fine del Trecento: dai registri
Marcarum di Giovanni I il Cacciatore, «Archivio Storico Italiano», CLXXI, 2013, pp. 229-272 e il
suo saggio contenuto in questo volume.
2  M.E. Soldani, Uomini d’affari e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento, Bar-
cellona, CSIC, 2011, pp. 207-262 e Ead., «Madurs consells» o «males suggestions»? Forme di pa-
trocinio, consulenza e consiglio nelle cause tra mercanti a Barcellona (secc. XIV-XV), in Conseiller les
juges au Moyen Âge, a cura di M. Charageat, Tolosa, Presses Universitaires du Mirail, 2014,
pp. 125-148.

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MARIA ELISA SOLDANI

cipale garante di giustizia, sia verso i propri sudditi sia nei confronti degli
stranieri. In teoria tutte queste curie rispondevano a determinati criteri,
come tipicità dei soggetti, materie, distinte procedure e ammissione di pro-
ve, consulenti e testimoni, eppure la mancanza di una netta definizione dei
limiti giurisdizionali portò a un accavallamento nelle competenze che, in
un quadro istituzionale già di per sé molto articolato, lasciava ai personaggi
coinvolti nelle dispute la capacità di portare la causa dinanzi al tribunale che
si poteva ritenere più favorevole o sollecito nella risoluzione del contenzio-
so o, al contrario, dove questa poteva essere protratta in detrimento di una
delle parti. Le liti che coinvolsero mercanti e uomini di mare a Barcellona
s’inserivano quindi in un orizzonte di concorrenza tra giurisdizioni così
come di concorrenza tra diritto consuetudinario – quello degli Els Usatges
de Barcelona, delle Costituzioni di Catalogna e del Llibre del Consolat de Mar –
e diritto comune.3
Nella città comitale il legame tra famiglie mercantili, istituzioni citta-
dine e monarchia si era notevolmente consolidato nel corso del Trecento.
Proprio grazie al peso crescente raggiunto dalle professioni legate al mare
nell’economia della Corona e sempre in un costante rapporto di negozia-
zione con le istituzioni, i mercanti e i loro rappresentanti avevano conti-
nuamente ribadito la necessità che le liti che scaturivano quotidianamente
dall’esercizio della loro professione fossero risolte rapidamente, sulla base
di un accordo o di considerazioni fattuali piuttosto che dottrinarie. La pra-
tica mercantile era ormai considerata un bene comune per la res publica e
quindi il fallimento di un mercante e l’impoverimento che sarebbe derivato
dal dilungarsi di una causa doveva essere considerato un danno per tutta
la comunità. In ambito catalano-aragonese fra Tre e Quattrocento questo
discorso sul rapporto tra ‘bene comune’ e pratica mercantile, ampliamente
formulato dai consiglieri francescani che affiancarono i monarchi, ebbe un
rif lesso importante tanto sulla prassi giuridica e legislativa quanto sull’an-
damento degli equilibri politici tra re e stamento cittadino, il più rappresen-
tativo della componente mercantile.4 Nel contesto di quel sistema pattista

3  Llibre del Consolat de Mar, ed. a cura di G. Colon e A. García, 4 voll., Barcellona, Fun-
dació Noguera, 1981-1987. Sulla ricezione in ambito italiano di questo complesso normativo
M. Ascheri, I diritti nel Medioevo italiano, Roma, Carocci, 2000, pp. 237-238. Su questo tema si
vedano anche: «Col·loqui», en El dret comú i Catalunya. Actes del VII simposi internacional (Barce-
lona, 23-24 de maig de 1997), Barcellona, Fundació Noguera, 1998, pp. 153-163; A. Iglesia Fer-
reirós, Costums de mar, in El dret comú i Catalunya. Actes del V Simposio internacional (Barcelona,
26-27 de maig de 1995), Barcellona, Fundació Noguera, 1996, pp. 243-602; Id., La formación de los
libros de Consulado de Mar, «Initium», II, 1997, pp. 1-372.
4  P. Evangelisti, I Francescani e la costruzione di uno Stato. Linguaggi politici, valori identitari,
progetti di governo in area catalano-aragonese, Padova, EFR, 2006.

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caratteristico del funzionamento istituzionale della monarchia catalano-a-


ragonese, per il Consolato del Mare di Barcellona, che era controllato dal
Consiglio dei Cento della città, difendere la prerogativa del controllo sulle
controversie che nascevano tra mercanti e patroni era un modo di salva-
guardare un privilegio di tipo giurisdizionale, ma anche rivendicare la pro-
pria rilevanza politica.5
A condizionare le procedure di risoluzione dei conf litti mercantili fu-
rono quindi le esigenze imposte dalla professione, dal funzionamento dei
rapporti tra mercanti e dal riconoscimento dell’attività mercantile come
fondamentale per il bene della comunità. Si fosse trattato di cause stretta-
mente legate alla pratica degli affari, alla gestione di un’eredità o alla difesa
di figli non ancora emancipati ponevano il problema dell’analisi delle tran-
sazioni economiche, delle circostanze specifiche in cui si erano verificati
gli eventi e di prove tecniche, ovvero di aspetti che per essere decodifica-
ti richiedevano il possedimento di requisiti specifici o almeno una previa
esperienza negli affari. I mercanti dovevano poi dirimere le liti che scatu-
rivano a livello professionale, potendo però continuare in seguito a man-
tenere quelle relazioni basate sulla fiducia e sulla reputazione; allo stesso
modo dovevano pacificare i conf litti che si creavano tra affini, ad esempio
nella gestione dei patrimoni, senza per questo minare del tutto i rapporti
familiari. Sebbene il passaggio attraverso i fori ordinari garantisse in modo
più risoluto una conclusione definitiva della questione, a questa si preferiva
la composizione amichevole poiché consentiva di rimarginare la frattura
sociale. La stessa procedura consolare adottata sia nei consolati del mare
di Barcellona, Valenza, Maiorca e Perpignano sia nei consolati ultramarini
rispettava queste esigenze ed era di fatto associabile a quella del giudizio
arbitrale.
In quest’occasione vorrei quindi approfondire due diverse modalità di
risoluzione dei conf litti tra mercanti, di fatto le due a cui gli uomini di
mare che frequentarono Barcellona ricorsero di più, una extragiudiziale –
l’arbitrato – e l’altra che prevedeva sia la procedura extragiudiziale sia la
giudiziale – il ricorso alla curia del Consolato del Mare. Queste modalità
di risoluzione dei conf litti saranno confrontate con quelle in uso tra i ca-
talani all’estero in uno dei consolati mediterranei più documentati, quello
di Pisa.6

5  Per un approfondimento sull’evoluzione parallela di Consiglio dei Cento e Consolato


del Mare rimando a M.E. Soldani – L. Tanzini, Corporaciones y tribunales mercantiles entre Tos-
cana y Cataluña en torno al siglo XIV, «Hispania», LXXVI/1, 2016, pp. 9-36.
6  Su questo si vedano: M.E. Soldani, «E sia licito a’ mercatanti katelani avere loggia»: presenza
e organizzazione dei mercanti catalani a Pisa e a Siena nel basso Medioevo, in La presència catalana,

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La più frequente forma di conciliazione tra mercanti: l’arbitrato

Nella Barcellona bassomedievale il modo più rapido e frequente per


dirimere le cause commerciali tra mercanti era quello di ricorrere a vie di
composizione extragiudiziale quali gli arbitrati.7
Per le liti che si generavano con frequenza in relazione ai contratti o per
lo scioglimento di società o imprese comuni i mercanti utilizzavano una
modalità di composizione rapida e pacifica, in modo da preservare i legami
sociali e la reputazione professionale, evitando il passaggio dalle corti degli
ufficiali cittadini e la lenta giustizia del re. Le parti potevano rivolgersi a un
arbiter, un giurista o un avvocato associabile al giudice che fosse a cono-
scenza del diritto e, pur eletto liberamente, si appoggiasse a una procedura
giudiziaria imitativa indirizzandosi alla soddisfazione dei soggetti coinvolti.
Nella maggior parte dei casi, però, ricorrevano ad arbitratores: colleghi mer-
canti che agivano in buona fede sulla base dell’esperienza professionale. Di
fatto l’arbitrator in origine si limitava alla lettura dell’accordo raggiunto
dalle parti, ricoprendo prevalentemente un ruolo di mediazione. Gli arbitri
operavano quindi da una parte nell’intento di restaurare la pace, dall’altra
nella necessità di fare giustizia.
La documentazione relativa agli arbitrati si trova nei registri notarili
barcellonesi in modo sparso e frammentato. È frequente imbattersi nel
documento di accordo tra le parti – il compromissum –, negli atti di sostitu-
zione degli arbitri, generalmente dovuti a un mancato rispetto dei termini,
nelle proroghe, nelle sentenze redatte sotto forma di capitoli e, talvolta,
nelle quietanze che attestano la loro esecuzione.8
Nel compromissum i sottoscriventi si obbligavano reciprocamente e vo-
lontariamente, affidando la loro questione a arbitri et arbitratores, laudatores

a l’espai de trobada de la Mediterrània medieval: noves fonts, recerques i perspectives, a cura di L. Ci-
fuentes, R. Salicrú e M.M. Viladrich, IRCVM-Medieval Cultures, Roma, Viella, 2015, pp. 283-
316 e Ead., Comunità e consolati catalani in Toscana, Liguria e Sardegna nel tardo Medioevo, in
Economia e politica tra Italia e Penisola Iberica nel tardo Medioevo, a cura di L. Tanzini e S. Tognetti,
Roma, Viella, 2014, pp. 257-284.
7  Sull’arbitrato rimando allo studio classico di L. Martone, Arbiter-Arbitrator. Forme di giu-
stizia privata nell’età del diritto comune, Napoli, Jovene, 1984. Sull’arbitrato a Barcellona si veda
C. Carrère, Barcelona 1380-1462. Un centre econòmic en època de crisi, 2 voll., Barcellona, Curial,
1977, vol. I, pp. 45-48.
8  Nel gennaio 1453 Ginebra, moglie di Francesc Martì della tesoreria della regina Maria,
riconosceva a Angelina di Giovanni della Seta di aver ricevuto per mano di Jacopo della Seta 60
soldi di Barcellona di quelle 6 lire che era stata condannata a pagarle come vitalizio in una sen-
tenza emanata dai notai Antoni Maruny e Bernat Montserrat, arbitri nella risoluzione di quella
lite. Arxiu Històric de Protocols de Barcelona (da ora AHPB) 193/3, c. 57r.

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et amicabiles compositores eletti in modo concorde dalle parti. Nel medesimo


documento si stabilivano una pena in caso d’inadempienza della senten-
za, un tempo limite per la formulazione della stessa e si impegnavano dei
beni a garanzia del rispetto degli accordi che sarebbero stati proposti dagli
arbitri. La pena – che si aggirava solitamente tra le 50 e le 200 lire di Bar-
cellona – era un elemento fondamentale per la validazione dell’impegno a
rispettare la sentenza arbitrale e a non ricorrere ad altri giudici. Tuttavia
accadeva che una delle parti, non completamente soddisfatta, scegliesse di
pagare la penale e di presentare il contenzioso dinanzi ad altri fori con una
valutazione di rischi e benefici. La rapidità nella risoluzione della contro-
versia era uno dei vantaggi dell’arbitrato. La sentenza doveva, infatti, esse-
re prodotta in un arco temporale che poteva andare dalla settimana ai due
mesi, un tempo che poteva variare a seconda dei documenti da prendere in
esame e della complessità della materia.9
Nel documento contenente la sentenza gli arbitri, questi dichiaravano
di aver preso atto di quanto contenuto nel compromissum e consultato le
parti rispetto alla documentazione che avevano voluto produrre. Prende-
vano le decisioni udite le parti e in base ai documenti prodotti dalle stesse,
tenendo in considerazione il complesso delle relazioni e i loro contesti piut-
tosto che un gruppo di leggi. Trattandosi di un accordo erano le parti stesse
a stabilire la materia del giudizio. Dopo le formule iniziali e le dichiarazioni
d’identità, si esplicitavano le ragioni della lite e si elencavano per paragrafi
le decisioni. La difficoltà nel trovare un accordo e di stabilire le responsabili-
tà poteva talora rispecchiare la complessità delle operazioni mercantili. Dal
formulario utilizzato nelle sentenze arbitrali si evince come non si desse
per scontato che fosse venuta completamente fuori tutta la materia di lite,
né che fossero state presentate tutte le prove: pertanto gli arbitri dichiara-
vano di esprimersi sulle questioni che erano state rese loro note dalle parti.
Questo aspetto doveva essere sottolineato in quanto l’arbitrato non si atte-
neva a una procedura formale e l’omissione di prove o di elementi rilevanti
avrebbe potuto portare alla formulazione di una sentenza iniqua.
Se la sentenza dell’arbiter era teoricamente inappellabile, l’accordo
proposto dall’arbitrator conosceva forme di appellabilità, proprio perché si
basava soltanto sui fatti presentati che venivano valutati sulla base di un
criterio fattuale e di equità. L’equità, nel senso di un sapere pratico, era
l’elemento fondante e legittimante di questo procedimento.10 Giacché l’ar-

9  Il 19 marzo 1411 Tommaso Tecchini, mercante erede universale di Pietro Tecchini, e


Pere Girau ricorsero all’arbitrato per risolvere celermente, nell’arco di quindici giorni, una
controversia sorta tra di loro. AHPB 113/60, cc. 94v-96v.
10  M. Ascheri, Giustizia ordinaria, giustizia di mercanti e la Mercanzia di Siena nel Tre-Quat-

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bitrato non si atteneva a una procedura formale e l’omissione di elementi


rilevanti avrebbe potuto portare alla formulazione di una sentenza parziale,
si ribadiva che, poiché erano state le parti stesse a stabilire la materia del
giudizio, questo avrebbe potuto essere emendato:
E quant les dites coses saben a condempnació, les dites parts condempnam,
e en quant sabem a absolució, absolem. E sobre qualsevol altres differències que
sien entre les dites parts per rahó de les coses demunt dites, imposam a cascuna
part scilenci perpetual. […] Rettenim nós, emperò, plen poder de interpretar, cor-
regir e esmenar si en la nostra present sentència haurà algunes coses scures o
dubioses dignes de interpretació.11

In questa formula si sostanziava la possibilità di correggere la senten-


za in presenza di elementi dubbi e ancora meritevoli di essere interpreta-
ti. Prima di emettere i capitoli dell’accordo, i due arbitratores ponevano di
fronte ai propri occhi i quattro Vangeli affinché il loro giudizio procedesse
dal volto di Dio e i loro occhi potessero vedere con equità, ponendo l’ac-
cento ancora sulla speranza di potere, con quell’intervento, ripristinare la
concordia. Come nelle sentenze emanate dai tribunali ordinari il giudizio
doveva attingere alla legge divina ed esserne conforme. Infine si passava
all’attribuzione del salario degli arbitri e alla definizione del compenso per
la redazione dei documenti notarili, spese da dividere tra le due parti. A
questo seguiva la dichiarazione di accettazione o ricusazione dell’accordo.
La sentenza arbitrale emanata da boni viri poteva quindi costituire sol-
tanto il punto di partenza di lunghi percorsi giudiziari. Ricostruirli a livello
documentale è un lavoro certosino per Barcellona, perché bisogna rintrac-
ciare le cause in molteplici fondi archivistici. In alcuni casi, come in quello
della lunga trafila giudiziaria che coinvolse la vedova del mercante pisano
Pietro Aitanti, è stato possibile e rivela una certa consapevolezza, da parte
dei soggetti coinvolti, della differenza nelle procedure applicate nei distinti
fori che avrebbe potuto favorirli o danneggiarli.12
All’arbitrato si poteva arrivare anche in seconda istanza, su suggeri-
mento delle autorità e dopo essere ricorsi ai tribunali ordinari. I giudici
potevano spingere le parti a cercare una risoluzione pacifica del conf litto
attraverso una via di composizione extragiudiziale. In questo caso, però,
la lite era affidata a uomini di legge. Nel documento di compromissum tra

trocento, in Id.,  Tribunali, giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, il Mulino,
1989, p. 32.
11  AHPB 181/16 (24 febbraio 1467).
12  Soldani, «Madurs consells», cit., pp. 142-147.

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Jacopo Accettanti e Joan Desquer si faceva riferimento a una sentenza ema-


nata da un giudice ordinario della corte del re, a cui il Desquer si sarebbe in
seguito appellato mediante l’arbitrato. Trattandosi dell’appello alla senten-
za di un giudice ordinario non si sarebbe potuto ricorrere ad arbitrium boni
viri, bensì a due dottori in legge.13 Il 29 novembre 1432 Pere Descoll senior,
«llicenciat en ley», e Pere Descoll junior, «doctor en ley», entrambi cittadini
di Barcellona eletti arbitri in modo concorde dalle parti pronunciarono la
sentenza «sedentes more iudicium iudicantium». Visti la precedente sen-
tenza pronunciata da Francesc Castellò, baiulo di Barcellona, e da Bernat
Despont e l’appello che ne era seguito, consultate le parti per tutto quello
che avevano voluto dire, proporre e allegare, veniva pronunciata la senten-
za «per be de pau et de concordia entre les dites partes». Nei fatti questo
nuovo responso sembrava attenersi a quello già pronunciato dal baiulo di
Barcellona. Le parti erano chiamate a dichiarare di accoglierlo entro tre
giorni, pena il pagamento della sanzione prevista dal compromesso.14
In genere a Barcellona gli arbitri erano eletti nel numero di due. Quando
le questioni erano più delicate o riguardavano grandi patrimoni mercantili
potevano, però, essere affiancati da altri arbitri e da consiglieri. Il 16 luglio
1402 i mercanti Guillem Cabanyelles e Pere Casasaja ed il patrono Gherar-
do de Doni dichiaravano di aver emanato la sentenza nella veste di arbitri
eletti da Nastheva de le Morgues, mercante di Marsiglia, insieme ai genovesi
Gabriele Doria e Rosso Portinari da una parte e Joan Boni, patrono di nave
e cittadino di Barcellona, dall’altra relativamente a un contratto di nolo.15
Nell’archivio dei protocolli di Barcellona si conserva poi un piccolo re-
gistro redatto nel 1445, relativo a un contenzioso risolto per via arbitrale
che coinvolse la vedova e il figlio di un importante mercante barcellonese,
Miquel de Manresa, e un tortosano residente ad Alghero.16 Il documento
non soltanto contiene la sentenza arbitrale, ma anche una trascrizione, lun-
ga 14 carte, di alcune pagine della contabilità di entrambi inerente le partite
che reciprocamente li riguardavano. Nella fattispecie gli arbitri, eletti dalle
parti secondo il compromissum datato 30 marzo 1445, erano a loro volta due
mercanti barcellonesi di primo piano: Mateu Savall e Nicolau Viastrosa.
Quest’ultimo si era incaricato personalmente dell’analisi dei libri di conto
e della trascrizione delle parti utili alla causa in esame. Per una lite che
coinvolgeva l’ingente patrimonio di una famiglia mercantile di spicco della

13  AHPB 113/69, cc. 72v-73r.


14  AHPB 113/36, s.n. (29 novembre 1432).
15  Arxiu Històric de la ciutat de Barcelona (da ora AHCB), IX.10 Notarial (16 luglio 1402).
16  AHPB 165/105.

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città comitale, come quella dei Manresa, i consiglieri della città avevano
dato speciale incarico a uno di loro, Mateu Soler, di seguire la questione.
In più era stato nominato dalle parti un terzo arbitro nella persona dell’im-
portante mercante e cittadino onorato Bernat de Junyent. I tre arbitri ave-
vano dunque emanato la sentenza sotto la supervisione del consigliere di
Barcellona basandosi su diversi visa. Dichiaravano infatti di aver preso in
esame: le domande postegli da ciascuna delle parti, che erano state soddi-
sfatte; i conti in dare e avere dei quali era stata appunto redatta una sintesi
dal Viastrosa per volontà di Mateu Savall; le lettere scambiate dalle parti tra
Barcellona e Alghero; i libri e i manuali di vendite, i libri mastri e le partite
di contabilità; tutto ciò che i soggetti coinvolti avevano voluto produrre.
I due arbitratores pronunciavano quindi la sentenza – secondo la formula
consueta – dopo aver ascoltato le parti su quanto avevano voluto dichiarare
e allegare, offrendo loro in cambio un «maturo e digesto consilio» capace
di prevenire futuri litigi. Avevano poi posto dinanzi a sé i Vangeli nel desi-
derio che il giudizio procedesse dalla fede in Dio. Infine ponevano «scilenci
perpetual» non soltanto su quanto deliberato, ma anche su tutte le altre
questioni, azioni, patrocini e domande presentate da ciascuna delle parti
davanti a loro, come pure relativamente ai vecchi conti della Sardegna e per
le cose reinserite e domandate a voce.
Nella città comitale anche i mercanti stranieri ricorsero agli arbitrati sia
per risolvere le questioni interne ai propri gruppi sia per quelle con i sudditi
del re d’Aragona.17 Quando la disputa coinvolgeva un catalano e il membro
di un’altra natio, o due stranieri, accadeva non di rado che gli arbitri eletti
fossero due catalani, scelta che doveva probabilmente assicurare, nel primo
caso, un controllo da parte dei mercanti locali sulle transazioni mercantili
e, nell’altro, una maggiore imparzialità e una composizione che evitasse
fratture tra connazionali. Così, il 7 maggio 1400 il fiorentino Filippozzo
Soldani e il barcellonese Ramon Megre s’impegnarono nelle persone di Ra-
mon de Grio e Antoni Dende, mercanti di Barcellona, per una questione
riguardante la vendita di una partita di lane; in quel caso la pena stabilita
per la validazione del compromesso ammontava a 100 lire di Barcellona.
Nell’estate del 1436 furono i pisani Giovanni della Seta e Francesco Buz-
zaccherini a designare in modo concorde Joan Barqueres e Bernat Bret.
Allo stesso modo, per risolvere una questione commerciale, il 18 settembre
1443 i fiorentini Filippo Strozzi e Francesco Tosinghi elessero come arbitri
i mercanti barcellonesi Joan Llobera e Eimeric de la Via.18

17 Soldani, Uomini d’affari, cit., pp. 222-226.


18 Ivi, p. 224. Rispettivamente: AHPB 87/1, c. 19v (7 maggio 1400), AHPB 166/6, c. 51v (18
settembre 1443) e AHPB 166/6, c. 83r (5 novembre 1443) e AHPB 166/4, c. 46v (24 luglio 1436).

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Nei casi in cui la formulazione della sentenza avesse richiesto l’analisi di


prove tecniche, come la contabilità o scritture private tenute in una lingua
diversa dal catalano, uno dei due arbitri era solitamente scelto tra i membri
della medesima natio delle due parti. Accadeva anche che fossero i catalani,
per la risoluzione delle loro controversie, a designare arbitri appartenenti
ad altre nationes. Era anche questo un segno di come la comunità mercanti-
le che operava intorno alla Loggia della città fosse integrata. Non era infatti
pacifico accettare una sentenza emanata da due arbitri estranei alla propria
natio e, anzi, questa avrebbe potuto rappresentare una scusa per non ri-
spettarla e per dichiararla di parte.19 Il 12 luglio 1458 Joan Pere, mercante
cittadino di Barcellona, e Gabriel Pere suo fratello nominavano arbitri il
pisano Federico Galletti e il barcellonese Joan de Sent Joan per risolvere una
questione molto celermente. Ponevano infatti il termine del 20 di luglio,
soltanto una settimana dopo la redazione del compromissum, asserendo che
gli arbitri, qualora ne avessero avuto bisogno, avrebbero potuto beneficiare
di una proroga fino alla fine del mese.20
Se si compara la documentazione barcellonese con quella prodotta dai
notai del consolato catalano di Pisa ciò che prima di tutto emerge è che nel-
la città toscana non ricorre la formula dell’elezione concorde di entrambi
gli arbitri, bensì veniva dichiarato apertamente come ciascuna parte espri-
messe il proprio. In quella città agli arbitrati ricorsero spesso mercanti e
patroni per questioni legate a viaggi commerciali.21 Quando il fiorentino
Tano Ghinozzi, socio di Niccolò dell’Ammannato Tecchini, a nome della
compagnia di Pisa detta ‘di Niccolò dell’Ammannato e Tano di Ghinozzo
e de compagni di Firenze in Pisa’ ebbe da risolvere una disputa relativa a
un carico di lane con il mercante barcellonese Francesc Melfa, che agiva a
nome proprio e del patrono Nicolau Gueran, furono nominati rispettiva-
mente come arbitri di parte Zanobi del fu Feo, mercante fiorentino abitan-
te a Pisa, e Niccolò di Jacopo Ricciardi, cittadino e mercante di Siena. Agli
arbitri veniva lasciato un mese di tempo per promulgare la sentenza.22 An-
cora, nell’autunno del 1423 Giovanni di Piero, cittadino e mercante di Fi-
renze abitante a Pisa, come socio del fiorentino Bernardo Uguccioni e soci
della compagnia di Pisa chiamata di ‘Bernardo di Uguccione e compagni di

19  Per un caso di questo tipo F. Apellániz, Judging the Franks: Proof, Justice, and Diversity in
Late Medieval Alexandria and Damascus, «Comparative Studies in Society and History», LVIII/2,
2016, pp. 350-378: 369.
20  AHPB 193/5, c. 82v (12 luglio 1458).
21  Per un esempio Archivio di Stato di Firenze (da ora ASF), Notarile Antecosimiano, 18791,
plico 111 (23 giugno 1423).
22  ASF, Notarile Antecosimiano 18794, cc. 214v-215r (10 febbraio 1396).

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Pisa’ da una parte e Mateu Soler, cittadino e mercante di Barcellona abitan-


te a Pisa, dall’altra si presentarono dinanzi agli arbitri da loro incaricati, qui
definiti «sapientes et discretos viros»: Nicolau Ravel, cittadino e mercante
di Maiorca, nominato dal Soler e Niccolò del fu Gherardo Serloti, cittadino
e mercante pisano, nominato da Giovanni di Piero. In questo caso la pena
era stabilita nella cifra piuttosto alta di 500 fiorini.23
A Pisa gli arbitri eletti potevano essere anche tre, due di parte e uno no-
minato in modo concorde, o più.24 Così, il 2 aprile 1417, il mercante pisano
Betto di Piero Vernagalli, a nome proprio e come procuratore di Francesco
suo fratello, il pisano Ranieri di Antonio Boni, per sé e come procuratore
del fiorentino Alamanno di Michele degli Albizzi, e i catalani Guillem Mo-
ragues e Ramon Jordà, come procuratori del perpignanese Guillem Dotre,
nominarono arbitri rispettivamente Benedetto di ser Cecco Cigni e Gaddo
di Ceo de’ Gaetani. Ansaldo di Simone Marabotti, cittadino e mercante di
Genova abitante a Pisa, fu invece designato da entrambe le parti. Gli arbitri
avrebbero dovuto pronunciare una sentenza entro il 15 di maggio. Il 18
agosto 1419, invece, furono ben quattro gli arbitri che pronunciarono la
sentenza sulla lite scaturita tra il patrono Jaume Mari ed il mercante Miquel
Calsena.25 In quel frangente fu rilevante anche ruolo del notaio che si fece
interprete dell’atto, redigendo la sentenza in latino e poi spiegandola parola
per parola in volgare alle parti: «vulgariter explanata tota dicta sententia de
verbo ad verbum».26

Il Tribunale del Consolato del Mare


A Barcellona la contiguità fra istituzioni cittadine e corporazione de-
gli uomini di mare è riscontrabile sin dal principio della storia del munici-
pio, una storia in cui il nesso fra politica e mercatura costituisce una chiave
fondamentale per la comprensione del rapporto fra città e monarchia nel
contesto di un più complesso panorama di poteri.27 Il Consolato del Mare

23  ASF, Notarile Antecosimiano 18836, cc. 75r-v (12 novembre 1423).


24  ASF, Notarile Antecosimiano, 18826, cc. 17v-18v. Per un altro esempio ASF, Notarile Ante-
cosimiano, 18843, cc. 83v-85r (27 maggio 1428).
25  ASF, Notarile Antecosimiano, 18791, plico 41 (18 agosto 1419).
26  ASF, Notarile Antecosimiano, 18841, cc. 80v-81v (18 giugno 1426). Si tratta della sentenza
emanata da Guillem Moragues e Valentì Gibert come arbitri eletti da Joan Jordà e Joan del
Buch.
27  S.P.  Bensch, Poder, dinero y control del comercio en la formación del régimen municipal de
Barcelona, «Barcelona Quaderns d’Historia», IV, 2001, pp. 49-58 e, per un approfondimento su
questo tipo di rif lessione, si veda Soldani – Tanzini, Tribunales, cit.

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

non soltanto nacque per rispondere a necessità specifiche della mercatura e


della navigazione, ma in un mondo organizzato in senso corporativo come
quello medievale, rappresentava anche un organismo per la promozione
degli appartenenti a una determinata universitas e allo stesso tempo era stru-
mento e segno di affermazione politica per uno dei tre stamenti del regno.28
Il controllo da parte del consiglio cittadino del settore trainante dell’e-
conomia barcellonese, così come dell’area mercantile della Ribera, e il con-
solidamento di spazi di autonomia giurisdizionale furono l’effetto dell’alle-
anza fra la monarchia e le famiglie mercantili che costituirono la leadership
politica municipale, un’alleanza che si era consolidata tramite la concessio-
ne di privilegi ottenuti in cambio di supporto finanziario alle imprese della
Corona. Così il Consiglio dei Cento, nel corso XIV secolo, conquistò sem-
pre maggiori spazi di autonomia rispetto agli ufficiali regi, sottraendo loro
competenze insieme al controllo sui consolati dei mercanti a Barcellona e
all’estero. In questa prima fase le funzioni di giustizia dei consoli furono
prevalentemente di tipo arbitrale e periziale. Le ordinanze marittime del
1348, insieme ai conf litti giurisdizionali che si verificarono con il vicario
e il baiulo successivamente a questo privilegio, suggeriscono infatti l’esi-
stenza di commissioni che, affiancate da due probi viri – prohoms – in veste
di arbitri, attuavano occasionalmente su mandato della corporazione per
risolvere questioni conf littuali o situazioni di dubbio scaturite in relazione
al traffico navale.29 Il prologo del Llibre del Consolat de Mar, che si pensa
già redatto in questa epoca, sottolinea come nel mare ci fossero costumi e
usanze di per sé – «costums e usançes per si metexes» – autonomi e diversi
dagli ordinari.30 Proprio nel 1348, su richiesta dei consiglieri e dei prohoms,
Pietro il Cerimonioso conferì  – secondo la consuetudine dei consoli del
mare di Maiorca e stavolta in perpetuum  – una giurisdizione che sarebbe
stata amministrata tramite l’elezione di «personas sufficientes et ydoneas
vestro arbitrio eligendas» con diritto a un salario.31 In questi anni si ribadi-
rono pure le regole per l’elezione dei consoli del mare e dei giudici d’appel-

28 D. Duran Duelt, El context institucional particular de mercaders i homes del mar, in Un mar
de lleis. De Jaume I a Lepant, a cura di D. Duran Duelt, Barcellona, Institut Europeu de la Medi-
terrània, 2008, pp. 195-214: 195-196.
29 J.M. Font Rius, La Universidad de prohombres de Ribera de Barcelona y sus ordenanzas marí-
timas, in Estudis sobre els drets i institucions locals en la Catalunya medieval, Barcellona, Universitat
de Barcelona, 1985, pp. 685-711 e Llibre del Consolat de Mar, cit., vol. III/1, p. 80.
30  Llibre del Consolat de Mar, cit., vol. III/1, p. 77.
31 A. Capmany y de Montpalau, Memorias históricas sobre la marina, comercio y artes de la
antigua ciudad de Barcelona, Barcellona, 1742, ed. a cura di C. Batlle, 2 voll., Barcellona, Cámara
Oficial de Comercio y Navegación, 1961-63, 1961-1963, doc. 156, p. 234; Llibre del Consolat de
Mar, cit., vol. III, doc. 4, pp. 12-13.

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MARIA ELISA SOLDANI

lo, sottolineando come tanto i litigi commerciali quanto quelli marittimi


fossero di competenza di questo foro. Si diede pure inizio all’opera di co-
struzione della Loggia che, ultimata nel 1392, avrebbe costituito il punto
di riferimento delle attività mercantili e sarebbe poi stata sede del tribunale
del Consolato del Mare.32
Nel 1394 ai consoli del mare di Barcellona fu concessa la facoltà di con-
vocare, in qualsiasi momento e luogo della città, un consiglio che attuasse
in difesa dei privilegi mercantili.33 Si trattava di un organo deliberativo di
tipo corporativo composto da un massimo di venti persone, che avrebbe a
sua volta designato defenedors de la mercaderia, ufficiali incaricati della difesa
della mercatura locale.34 Ai consoli e al collegio, un organismo autonomo
dalle scelte della politica cittadina, fu accordata una certa indipendenza fi-
nanziaria garantita dalla riscossione di un’imposta indiretta, chiamata dret
del pariatge, e pure da un’eventuale tassa diretta, una taglia. Insieme ap-
punto a questo corredo finanziario si attribuiva ai mercanti la possibilità di
definirlo, di disporne e amministrarlo liberamente.
In seguito, il 15 gennaio 1401, Martino l’Umano ratificò un privilegio
concesso dai suoi predecessori al Consolato del Mare confermandogli l’at-
tribuzione della giurisdizione su tutte la cause civili, relative ad azioni o
contratti mercantili di qualsiasi specie, tanto di mare come di terra sulle
persone di qualsivoglia «legis, status, gradus, preheminencie» presenti nella
città di Barcellona. Il Consolato del Mare passò quindi da una giurisdizione
specifica su un’area, quella della Ribera, e su un gruppo di soggetti a una
giurisdizione ratione materie. Questa si ampliava alle questioni mercantili,
anche di terra, segno di un graduale prevalere dei mercanti sugli uomini
di mare. Nel tribunale mercantile si doveva giudicare mediante processo
sommario – «summarie, de plano, sine strepitu et figura iudicii» – secondo
i criteri del buon senso e dell’equità, per giungere alla «veritas negotii» con
una rapida sentenza, facendo valere le obbligazioni presenti nei contratti,
piuttosto che le solenni formalità del diritto.
Nel Quattrocento erano le autorità municipali a nominare i consoli del
mare di Barcellona, così come quelli dei consolati ultramarini. L’elezio-

32  Llibre del Consolat de Mar, cit., vol. III/2, docc. 2 e 3, pp. 10-12.


33  Mi riferisco a due privilegi di Giovanni il Cacciatore, rispettivamente del 22 aprile e del
14 luglio 1394. Il pagamento dell’imposta indiretta, che inizialmente ricadeva soltanto sui sud-
diti del re d’Aragona, fu esteso con la disposizione del 14 luglio anche agli stranieri. Capmany y
de Montpalau, Memorias históricas, cit., docc. 249 y 250, pp. 367-370.
34  Carrère, Barcelona, cit., pp. 51-70 e D. Duran Duelt, Consolats de mar i consolats d’ul-
tramar. La defensa de l’espai marítim en temps de Martí l’Humà, in Martí I l’Humà, el darrer rey de la
dinastia de Barcelona (1396-1410). L’interregne i el compromís de Casp, a cura di M.T. Ferrer, Barcel-
lona, Institut d’Estudis Catalans, 2015, pp. 565-587.

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

ne aveva luogo nella Loggia dei mercanti, sede del Consolato, il 25 aprile
di ogni anno, giorno di San Marco. Si procedeva nominando una com-
missione di dodici prohoms appartenenti al Consiglio dei Cento composta,
almeno dal 1436, dai rappresentati dei quattro stamenti – quattro cittadi-
ni onorati, quattro mercanti, due artisti e due artigiani – che a loro volta
avrebbero eletto i due consoli, un cittadino onorato e un mercante, e il
giudice d’appello, sempre un mercante.35 Le caratteristiche richieste per
ricoprire questi uffici costituiscono una premessa fondamentale, in quanto
sono chiavi per la comprensione dei criteri con i quali i futuri giudici avreb-
bero dovuto procedere all’emanazione delle sentenze mercantili. Erano
tre le caratteristiche richieste per questa elezione: prima di tutto dovevano
essere elette persone notabili dotate di prohomenia – ovvero di una speciale
considerazione e rispettabilità –, di un bon saber che si doveva certo riferi-
re alla conoscenza pratica generale delle principali questioni connesse al
commercio e alla navigazione e, infine, era necessario che possedessero bo
e ret zel nei confronti della giustizia affinché, si diceva, potessero reggere
gli uffici nell’interesse generale, a lode di Dio, a servizio del re e a vantag-
gio della cosa pubblica. Erano quindi questi tre elementi ad essere conside-
rati discriminanti, in altre parole la rispettabilità pubblica, la buona fama,
la conoscenza di tematiche mercantili e infine un’integerrima volontà di
fare giustizia. Non di rado si aggiungeva il riferimento anche a un quar-
to elemento pure fondamentale della giustizia mercantile, quello appunto
dell’equitat.
Dal momento che lo ius mercatorum avrebbe dovuto garantire il rispet-
to dei contratti anche tra soggetti di diversa origine, si rese necessaria una
normalizzazione delle regole in modo che potessero essere applicate uni-
formemente nelle piazze commerciali del Mediterraneo pur facenti capo
a istituzioni distinte. In ambito catalano-aragonese un forte contributo in
questo senso fu dato appunto dalla compilazione di diritto mercantile chia-
mata Llibre del Consolat de Mar. Questa rispondeva quindi, prima di tutto,
all’esigenza di tradurre in testo scritto questi costumi per sopperire alle
necessità pratiche che venivano dall’applicazione delle norme all’interno
dei consolati stessi. Secondo la prassi del Consolato del Mare barcellonese,
infatti, i giudici si sarebbero dovuti attenere a questa compilazione che con-
teneva le disposizioni principali sulle relazioni tra soggetti e sulle questioni
che potevano scaturire dai negozi mercantili.
Consoli e giudici d’appello erano giudici salariati che esercitano una
giurisdizione gratuita, in cui le parti si facevano carico soltanto delle spe-

35  Carrère, Barcelona, cit., vol. I, pp. 36-37.

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MARIA ELISA SOLDANI

se processuali derivanti dalla redazione dei documenti stilati dal notaio e


dal ricorso ad altro personale di quell’istituzione.36 Come altrove nel Medi-
terraneo anche nel tribunale del Consolato del Mare di Barcellona veniva
applicata una serie di criteri procedurali: la rapidità nella risoluzione dei
conf litti; l’accettazione di un limitato numero di prove; l’ammissione di
prove tecniche come libri mercantili, corrispondenza commerciale, registri
degli scrivani di bordo, contratti notarili; l’esclusione di difensori tecnici
come avvocati, causidici e procuratori; la rapida esecuzione delle sentenze
e, almeno in linea teorica, la loro inappellabilità.
Il giudizio poteva essere affrontato secondo due procedimenti: una
modalità orale – de paraula – e una scritta – de escrit –.37 Il procedimento
orale era il più rapido e consentiva di risolvere la questione di fronte ai con-
soli assistiti dai prohoms, un collegio di uomini rispettabili e di riconosciu-
to prestigio, solitamente convocati in numero dispari e chiamati a dare la
propria opinione. La sentenza era ottenuta a seguito dell’esposizione della
lite e durante la medesima riunione, a meno che uno dei due consoli non
fosse stato assente e una delle parti non avesse richiesto di consultarlo. Si
trattava quindi di una procedura extragiudiziale. Riferendosi a una lite che
aveva in sospeso con i catalani Bernat Quintana e Guillem Iulià, Guido di
Matteo Caccini parlava a Cristofano di Bartolo Carocci proprio della possi-
bilità di ragionarne con i Consoli del Mare «in gudico, o ffuori di gudicio»
informandoli della faccenda nel modo migliore. Dinanzi a quel tribunale e
in causa con un catalano era preoccupato di essere sfavorito perché stranie-
ro: «Vogliate eservi alchuna volta e pregharlli che faccino giustizia e non
guardino perché e’ sia della terra e yo ’strano».38
Quando invece la lite veniva avviata su istanza di parte si procedeva in
forma scritta, una modalità che prevedeva l’analisi delle prove tecniche, da
validare attraverso una perizia. I giudici ricorrevano alla nomina, per pro-
pria iniziativa o su sollecitazione di una delle parti, di periti ovvero di perso-
ne ‘intelligenti e esperte’ che ‘esaminassero’ i conti allo scopo di ‘vedere’ la
verità. L’analisi di queste prove richiedeva una precisa preparazione tecnica

36  Carrère, Barcelona, cit., vol. I, pp. 35-48.


37  «De les demandes que seran posades denant los cònsols, así de paraula con per escrit,
sobre les quals éls donen sentència, prenen abdós los consols per lur salari tres diners de ca-
scuna part per liure, so és que si demanda és posada de C lliures e los cònsols determènan per
sentència que aquel qui demana C lliures no·n deu haver sinó vint o no res, de totes les C lliures
ha III diners per lliura cascuna part, e así segons més e menys»: Llibre del Consolat de Mar, cit.,
vol. I, p. 39.
38  Mercaderies e diners: la correspondència datiniana entre València i Mallorca (1395-1398),
a cura di A.  Orlandi, Valenza, Universitat de Valencia, 2008, doc.  69 (Valencia, 4 settembre
1397-Mallorca, 8 settembre 1397), pp. 226-228.

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

e linguistica, giacché non di rado le persone coinvolte nelle liti erano stra-
nieri che, come gli italiani, tenevano la contabilità nella propria lingua. La
consulenza che questi soggetti, definiti anche calculadors, offrivano al giu-
dice era basata su conoscenze preesistenti che gli permettevano non soltan-
to di esaminare le prove constatando dati di fatto ma anche di desumere,
di offrire una valutazione su aspetti non espliciti, non fisicamente presenti.
Come per i consoli, il giudice d’appello e la commissione che assisteva, una
delle caratteristiche indispensabili del perito era la sua buona fama.39
Oltre all’analisi delle prove, nel processo consolare si ricorreva all’in-
terrogazione di testimoni ritenuti informati sui fatti sia perché in qualche
modo direttamente coinvolti nelle operazioni mercantili sia perché a co-
noscenza della pubblica fama sugli avvenimenti. Anche da questo punto di
vista era fondamentale la tempistica del processo consolare, in quanto que-
sto tipo di testimoni, non di rado marinai, mercanti e patroni, non erano
reperibili molto a lungo su una stessa piazza. Scriveva preoccupato ancora
Matteo Caccini a Cristofano di Bartolo Carocci a proposito della lite con il
patrono catalano Guillem Iulià, che le carte non sarebbero state sufficienti
a provare le loro ragioni dinanzi ai consoli del mare. Era necessario pre-
sentare i molti testimoni che avevano, ma a quello scopo dovevano avere a
disposizione un po’ di tempo perché si trattava nella maggior parte dei casi
di marinai:
Per lla quistione di Ghuillelmo Iuliano, non fanno mestiere le charte. Se voles-
sino pruova, che que’ danari fossino per vino, fatevi dare 1 lettera a’ consoli di qui
che ricievino e testimoni e abbiate tenpo assai, però e testimoni sono marinay e
non lli potremo avere se non ci fossino, sì che abiate buon tenpo.40

Dal momento in cui l’accusatore si presentava al consolato chiedendo


giustizia venivano inviate a colui che era chiamato in causa fino a un mas-
simo di quattro citazioni a comparire prima di dichiararne la contumacia.
Entro il termine di dieci giorni la parte convenuta avrebbe dovuto fornire
ai consoli la chiamata seguretat de juy, la garanzia di possedere beni mobili
per l’importo dichiarato nel litigio, somma che, a partire dalla sua creazio-
ne nel 1401, sarebbe stata depositata presso la Tavola di Cambio della città.

39  Soldani, «Madurs consells», cit., pp. 131-137. Si tenga presente che l’archivio del Conso-
lato del Mare di Barcellona è andato in gran parte perso e ciò che rimane dei registri è diviso tra
diverse istituzioni, prevalentemente l’Ateneu barcelonès, la Biblioteca Nacional de Catalunya
e l’Arxiu Històric de la Ciutat de Barcelona. Alcuni registri dei notai del consolato a clientela
mercantile sono conservati presso l’Arxiu Històric de Protocols de Barcelona. In questi si può
reperire documentazione relativa alle cause presentate dinanzi ai consoli del mare.
40  Mercaderies e diners, cit., doc. 69 (Valenza, 4 settembre 1397-Maiorca, 8 settembre 1397).

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MARIA ELISA SOLDANI

Altrimenti avrebbe dovuto presentare fideiussori, sempre richiesti nel caso


in cui il giudizio avesse coinvolto stranieri. Dal momento in cui veniva pro-
nunciata la sentenza, alle parti erano concessi dieci giorni per richiedere
l’appello al giudice preposto del Consolato.
Come indicano chiaramente anche alcuni capitoli del Llibre del Consolat
de Mar, i consoli, per privilegio del re, avevano il potere di ascoltare quelle
cause e questioni di giustizia che fossero state portate dinanzi a loro col
dovere di porvi debitamente fine mediante processo sommario e quindi
brevemente, sommariamente «de plano, sine strepitu et figura iudicii, sola
facti veritate attenta», cioè intesa la sola verità dei fatti, secondo l’uso e il
costume del mare.41 Qualora uno dei due consoli, o entrambi, fosse stato
ricusato perché sospetto a una delle parti e le ragioni dei sospetti fossero
apparse evidenti, i consoli avrebbero dovuto essere affiancati da un uomo
dell’arte del mare, per fare insieme i loro discernimenti e per dare sentenza.
Allo stesso modo ci si comportava quando ad essere ricusato era il giudi-
ce d’appello.42 Le sentenze emesse da consoli e giudice d’appello sareb-
bero state espresse mediante i costumi scritti del mare e secondo quanto
dichiarato in diversi capitoli di questi. Laddove la compilazione del Llibre
del Consolat de Mar non fosse stata sufficiente a orientare la sentenza, questa
sarebbe stata data a maggioranza da probiviri mercanti e uomini di mare,
cioè a maggioranza delle voci del consiglio del Consolato.43
Uno dei modi di difendere le prerogative giurisdizionali dei mercanti
fu quello di proibire ai professionisti del diritto, come avvocati e causidici,
oltre che a notai e a procuratori l’accesso al tribunale del Consolato del
Mare. Lungaggini nei tempi processuali e l’eccesso nelle spese – nemici del

41  «Los cònsols per carta del senyor rey han poder que·ls plets e qüestions, que denant éls
se ménan, hojen e aquels, per fi deguda, determenen breument, sumàriament e de pla, sens
brugit e figura juhí, “sola facti veritate attenta”, so és sola veritat del fet entesa, segons que de
ús e costum de mar és acostumat de fer.»: Llibre del Consolat de Mar, cit., vol. I, pp. 38-39.
42  «Quant I dels cònsols ho abdós en alcun fets són recusats per sospitosos per alcuna de
les parts qui pladejaran danant aquels e les rahons de sospita seran apparents, han a·ssi acom-
panyar I hom de la art de la mar, si la I és recusat; e si abdós són recusats, han a·ssi acompanyar
dos bons hòmens de la dita art de mar a les parts no sospitoses, e ab aquels ensemps fan lurs
enentaments e donen sentències en los affers; e no han més salari dels dits tres diners per
lliura de cascuna de les parts, los quals se partéxan enfre els. Lo jutge axí matex, si és recusat
per sospitós, ha a·sci acompanyar I hom de la art de mar no sospitós a les parts, e ab aquel
lo fet de la appel·lació determanar e lo seu salari partir»: Llibre del Consolat de Mar, cit., vol. I,
pp. 39-40.
43  «Les sentències, que per los dits cònsols e jutge són donades, se donen per les custumes
escrites de la mar e segons que en diverses capítols d’aquelas és declarat; e là hon le custumes
e capítols no abasten, donen-sa a conseyl dels dits prohòmens mercaders e de mar, so és tota
hora a les més veus del conseyl, haüt esguart a les presones qui donen aquell»: Llibre del Consolat
de Mar, cit., vol. I, p. 40.

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

processo sommario – erano le ragioni per inibire dai processi mercantili i


professionisti che, percependo un salario dalla parte difesa, avrebbero potu-
to per interesse personale protrarre inutilmente le liti. Le prime limitazioni
si trovano a Maiorca nel 1373 e fino almeno al 1439, quando furono ema-
nate dal re, dal governatore e dai giurati successive proibizioni.44 Nel 1402
il Consolato del Mare di Barcellona e quello di Perpignano consentirono
come sola eccezione alla regola la presenza dei professionisti nei litigi in
cui erano coinvolti pupilli, vedove, malati e assenti. Le eccezioni introdotte
generarono abusi, a causa dei quali la proibizione dovette essere più volte
reiterata.45
Il problema dell’appello fu una questione che si risolse in modo molto
meno chiaro. A chi si fosse rivolto in prima istanza ai consoli si profilava, se
insoddisfatto, la possibilità di un appello di fronte al giudice preposto del
consolato, la sentenza del quale doveva essere considerata definitiva. Sul
piano pratico tuttavia si trovarono delle scappatoie per appellarsi ai giudici
ordinari o per supplicare la giustizia del re. Quando un soggetto si rivolgeva
in seconda o addirittura in terza istanza alla giustizia regia, pure il monarca
però, preoccupato di non violare i privilegi del Consolato del Mare, pote-
va dare istruzione ai suoi giuristi di rimettersi il più possibile ai verdetti
precedenti e suggerire di risolvere la questione attraverso il ristabilimento
della verità, brevemente e semplicemente, considerando la causa come già
giudicata ed entrando il meno possibile nel merito.46
Furono infatti gli stessi monarchi, in diverse occasioni, a riaffermare
che le questioni mercantili dovessero essere risolte da mercanti e da uomi-
ni di mare. Nel 1460 Giovanni II come ricompensa per i servizi pecuniari
ricevuti concesse ai consoli del mare, ai prohoms dei mercanti e ai difensori
della mercanzia la ratifica di un privilegio emanato da Alfonso il Magna-
nimo nel 1453. Il documento si apriva con un preambolo sull’importanza
della mercatura per il bene della res publica e in uno dei quattro punti che
componevano il privilegio si sanciva ancora una volta: «los fets maritims e
de cambis, companyies e fets e negocis mercantivols sien decidits per juy de
mercaders e homes de mar, e no per juristas».47

44 V. Mata i Ventura, El cos dels procuradors de plets de les corts del veguer i batlle de Barcelona
en el segle XIV, Barcelona, quaderns d’història, IV, 2001, pp. 213-223; Llibre del Consolat de Mar, cit.,
vol. III/1, pp. 130-139 e vol. III/2, pp. 70-71.
45  Si veda ad esempio Arxiu de la Corona d’Aragó (da ora ACA), Cancelleria, reg. 2153
cc. 2r-v (25 giugno 1407).
46  Per un esempio di questo tipo ACA, Cancelleria, reg. 2153, cc. 2r-v (25 giugno 1407).
47  Capmany y de Montpalau, Memorias históricas, pp. 535-540 e 561-566.

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MARIA ELISA SOLDANI

Le corti dei consolati ultramarini. Il caso di Pisa


Il ricorso ad arbitratores così come la modalità consolare che prevedeva
l’intervento dei prohoms erano procedure caratterizzate dalla necessità che
la composizione avvenisse mediante il consiglio di uomini di riconosciu-
ta fama, per rimarginare senza sequele la frattura creatasi all’interno del
mondo mercantile. Una procedura assimilabile si riscontra nell’ambito del-
le corti dei consolati catalani ultramarini. Presso il consolato di Pisa, quan-
do ormai era soggetta al dominio fiorentino, si riunivano presso la loggia
dei catalani il luogotenente del console dei catalani a Pisa e Firenze, i due
ufficiali della natio – chiamati sobreposats –, alla presenza di molti mercanti
catalani riuniti collegialiter i quali operavano come consiliarii. Non erano
soltanto il luogotenente del console, a quell’epoca un fiorentino, i sobre-
posats e i mercanti catalani presenti a decidere della controversia, ma «visi
et auditi» i fatti e esaminate le questioni era richiesto un «maturo consilio»
anche a mercanti pisani, fiorentini, genovesi e a sensali «pro bono pacis et
concordie».48
I conf litti che coinvolsero mercanti catalani e uomini d’affari di altre
nationes non sempre si risolsero pacificamente dinanzi al consolato catala-
no di Pisa, nonostante la procedura adottata fosse la stessa, corale in cui si
ricorreva al parere di molti mercanti, di altre universitates mercantili. In que-
sto senso molto interessante è una vicenda che coinvolse i patroni catalani
di una nave, i barcellonesi Guillem Torre e Gracià Amat, e la compagnia
degli eredi di Giovanni Quaratesi e Jacopo Villani e compagni di Pisa. Nella
fattispecie la lite riguardava un viaggio commerciale per cui la nave patro-
neggiata dai due catalani era stata caricata di merci appartenenti a mercanti
di diverse nationes. In questa vicenda la compagnia fiorentina si rifiutava di
attenersi ad una sentenza pronunciata presso la curia dell’universitas catala-
norum di Pisa dal console della stessa e che doveva riguardare, secondo loro,
soltanto i patroni e i mercanti catalani titolari delle merci su di essa caricate.
D’altronde i fiorentini asserivano che la loro società non fosse nemmeno
nominata nella sentenza. La compagnia Quaratesi-Villani proponeva quin-
di di risolvere la questione mediante l’arbitrato, con l’ausilio di due buoni
uomini eletti dalle parti secondo l’uso dei mercanti e validis de iure, oppure
dinanzi ai Consoli del mare di Firenze residenti a Pisa.49 I patroni catalani
però dissentivano e, due giorni dopo, si presentarono dinanzi al medesimo

48  Soldani, «E sia licito», cit., pp. 283-316. Si veda ad esempio Archivio di Stato di Pisa (da
ora ASP), Opera del Duomo, 1304, cc. 566r-568v.
49  ASF, Notarile Antecosimiano, reg. 18845, cc. 227r-228r (13 marzo 1429).

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

notaio, in assenza di Jacopo Villani che in quel momento si trovava a Firen-


ze, affermando che questi si era impegnato a nome della società che rap-
presentava a rispettare quella sentenza emanata dal console dei catalani e
a pagare la parte di spese che gli spettava. Ribadivano che qualora il Villani
non avesse reputato quel verdetto opportuno non avrebbe dovuto prestare
giuramento e, in quel caso, loro non avrebbero avuto niente in contrario
a risolvere la questione mediante l’arbitrato «de bono et equo et de iure et
de facto» o dinanzi ai consoli del mare. Ormai era tardi però: avevano sbri-
gato quasi tutti i loro affari a Pisa e stavano riprendendo il mare poiché, ad
eccezione della compagnia fiorentina, gli altri mercanti li avevano risarciti.
Gli intimavano infine di pagare «amicabiliter et benigne ut est moris bono-
rum mercatorum» oppure minacciavano di accollargli le eventuali spese
che sarebbero derivate dal ritardo nella loro partenza. Bernardo di Donato
Quaratesi, in vece del Villani, negava che quest’ultimo avesse potuto impe-
gnarsi a rispettare quella sentenza nella quale, ribadiva, la compagnia non
era menzionata.50
Un simile procedimento si riscontra anche nell’ambito di un’altra uni-
versitas mercantile presente a Pisa alla fine del Trecento, quella dei mercanti
fiorentini.51 Negli anni che precedettero la conquista di Pisa del 1406, nella
loggia dei fiorentini si riunivano un notaio come sindicus e tre consiglieri,
cittadini e mercanti di Firenze, con lo scopo di dirimere le liti scaturite da
questioni mercantili. La procedura aveva inizio con la raccolta dei docu-
menti presentati dalla parte attrice e con lo stabilirsi di un termine entro
il quale la convenuta, fatta chiamare dal pregone dell’universitas, avrebbe
potuto presentarsi per produrre altra eventuale documentazione. Anche
in questo caso la decisione sarebbe stata presa dal suddetto collegio dopo
aver ricevuto il consiglio di molti mercanti esperti e degni di fede, a cui
seguiva una votazione a maggioranza che si effettuava, invocato il nome di
Cristo, in nome del bene della verità e del diritto. I consiglieri e il sindaco
deliberavano anche in questa sede «visis, auditis, intellectis e consideratis»
testimoni e testimonianze, insieme ai documenti, prodotti, giurati, esami-
nati e pubblicati.

50 Ivi, cc. 228v-229r (15 marzo 1429).


51 Per ulteriori informazioni sulla loggia dei fiorentini a Pisa in quest’epoca si vedano: C.
Quertier, La stigmatisation des migrants à l’épreuve des faits. Le règlement de la faillite Aiutamicristo
da Pisa devant la Mercanzia f lorentine (1390), in «Arriver» en ville. Les migrants en milieux urbain au
Moyen-Âge, a cura di C. Quertier, R. Chilà e N. Pluchot, Parigi, Pubblications de la Sorbonne,
2013, pp. 243-259: 246; Id., Guerres et richesses des nations. La communauté des marchands f lorentins
à Pise au XIVe siècle, tesi di dottorato, 2 voll., tutors L. Feller e G. Pinto, Paris 1 Panthéon-Sor-
bonne – Università degli Studi di Firenze, 2014, vol. I, pp. 353-369, 467-468, 492-502; vol. II,
pp. 58-72, 121, 134.

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MARIA ELISA SOLDANI

Nel 1395 il consiglio composto da Giovanni di ser Andrea Petrini, nota-


io, cittadino di Firenze e sindicus, e dai consiglieri Francesco di ser Nicola,
Oberto di Domenico Oberti e Manno d’Albizo degli Agli, cittadini e mer-
canti di Firenze, si riunì per ascoltare una petizione presentata a quell’uffi-
cio da Niccolò del Barna, cittadino e mercante fiorentino. Questi presentò
un documento stilato da Jacopo suo figlio a nome di entrambi da una parte
e Felice del Pace dall’altra, scritto concordemente per mano di Goro di Sta-
gio Dati e sottoscritto da Jacopo del Barna e da Tano Ghinozzi, cittadino
e mercante fiorentino, per sé e per Niccolò dell’Ammannato Tecchini suo
socio.52 Nel testo, datato 2 aprile 1394, si esprimeva il comune assenso ad
affidare la materia di lite al giudizio del sindaco e dei consiglieri dell’univer-
sitas dei fiorentini di Pisa. Le parti si trovavano inoltre d’accordo sul fatto
che, prodotte le domande, le ragioni e le prove che si fosse inteso produrre,
il sindaco e i consiglieri potessero conoscere la questione e occuparsi della
sua risoluzione. Nel caso in cui i fatti non fossero apparsi abbastanza chiari
e non si fosse giunti a determinare la questione né a produrre un lodo en-
tro i successivi tre mesi, equivalenti alla durata dell’ufficio dei consiglieri, si
lasciava la possibilità al del Barna di presentare istanza ai nuovi consiglieri
o al nuovo sindaco, qualora anch’egli fosse mutato, o a qualunque altro
ufficio, ufficiale o corte a Pisa o a Firenze. Felice del Pace, Niccolò dell’Am-
mannato Tecchini e Tano di Ghinozzo e compagni di Pisa dal canto loro
si impegnavano sin da subito a pagare la quantità di denaro che sarebbe
stata sentenziata contro Felice del Pace fino alla somma di duecento fiorini
d’oro. I del Barna e il del Pace concordavano nell’accettare quanto sarebbe
stato deliberato dal sindaco o da altri uffici e dichiaravano che non avreb-
bero presentato appello. Per maggior chiarezza le parti avevano pregato
Goro di Stagio Dati di redigere di suo pugno questa concordia da loro poi
sottoscritta.
A seguito di quell’accordo il nunzio del consolato, Angelo Pasquini,
convocò dinanzi al sindaco e ai consiglieri Felice del Pace e, in sua assenza, i
fideiussori a presentarsi presso quella corte entro tre giorni. Il 29 settembre
di quello stesso anno il sindaco e i consiglieri dell’universitas f lorentinorum in
civitate Pisis existentium si riunirono per deliberare sulla base di diversi visa.
Innanzitutto era stata considerata la petizione presentata a quell’ufficio da
Niccolò del Barna come principale, da Tano Ghinozzi per sé e per Niccolò
dell’Ammannato e soci come fideiussori di Felice del Pace. Erano state pre-
se in esame anche certe carte e lettere prodotte dal del Barna. Quindi era

52  ASF, Notarile Antecosimiano 18794, cc. 182v-183v (28 settembre 1395). Sui rapporti tra
Goro Dati e Felice del Pace si veda L. Pandimiglio, I libri di famiglia ed il Libro segreto di Goro
Dati, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, p. 104.

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

stata considerata la contumacia di Felice del Pace e dei suoi fideiussori,


che non si erano presentati entro i termini, insieme alla relazione fatta da
Felice, Niccolò, Tano e soci al nunzio della natio, udite e comprese le ri-
sposte del Ghinozzi per sé e per il Tecchini e soci, viste e udite e comprese
le testimonianze e i testi prodotti ai giurati. Su queste basi veniva dunque
pronunciata la sentenza:
habita sollicita et matura deliberatione et sollicito consilio et tractatu cum pluri-
bus et pluribus mercatoribus fidedignis et huiusmodi bene expertis et bene sagaci-
bus, partitu facto inter nos ad fabas albas et nigras, sicut moris est nostrarum pro
bono et subsidio veritatis et iuris ne ius ullo modo pereat omni iure, via, modo et
forma quibus melius possumus ex arbitrio nobis concesso occasione dicte scripte
et vigore et bailia nobis concessis ex nostro officio et omni alio iure, via, modo et
forma quibus melius possimus, Christi nomine invocato, dicimus, sententiamus et
declaramus in hunc modum videlicet quod […].53

Nei processi consolari, come anche in quelli inquisitori riguardanti que-


stioni mercantili, il giudice selezionava un certo tipo di testimoni reperiti in
luoghi specifici della città cui poteva richiede di dare un’opinione sui fatti,
un’interpretazione di alcuni eventi sulla base della propria esperienza di-
retta o piuttosto di riferire le voci che circolavano nei loro ambienti profes-
sionali e familiari, il gossip raccolto negli spazi della sociabilità mercantile,
facendo quindi riferimento a una conoscenza acquisita per ‘pubblica fama’
e socialmente considerata degna di fede. Questo tipo di testimoni poteva
poi decodificare simboli, come i segni mercantili apposti sulle merci e por-
tare come prova in giudizio lettere mercantili contenenti informazioni ri-
cevute attraverso canali propri, che indirettamente interessavano la materia
del processo, ma che erano considerate attendibili.54 Queste testimonianze
erano fondamentali soprattutto quando i consolati, del mare o ultramarini,
dovevano ricostruire le vicende legate al naufragio o al sequestro di navigli,
per occuparsi poi dell’eventuale risarcimento dei danneggiati.
Il primo settembre 1423, fu il notaio del consolato dei catalani a Pisa,
ser Giuliano di Colino da San Giusto, a raccogliere questo tipo di deposi-
zioni relativamente a una nave sequestrata nei mari di Piombino. Mateu

53  ASF, Notarile Antecosimiano 18794, cc. 183v-185r (29 settembre 1395).
54  Per alcuni esempi del reperimento di testimoni presso il consolato dei catalani a Pisa:
ASP, Opera del Duomo, 1304, cc. 336v-339v. Testimoni erano consultati dai sobreposats anche per
sapere se, per pubblica fama, un mercante o un patrono si trovavano o meno in città quando
erano destinatari di lettere di cambio ASF, Notarile Antecosimiano, 18845, cc. 43r-44r e 45v-46r.
Si veda anche la testimonianza dei mercanti Rafael Oller e Pere Viner nel processo a Leonardo
Gualandi a Barcellona ACA, Real Patrimoni, Batllia General de Catalunya, Processos 1 C (1449).

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MARIA ELISA SOLDANI

Soler, cittadino e mercante di Barcellona abitante a Pisa, si presentò per re-


gistrare la propria testimonianza su istanza di Jaume Roquemaure dell’isola
Brescon di Martigues in Provenza, anch’egli mercante, per la causa contro
Joan Fabregas di Barcellona. «Delato de veritate dicenda» e prestato giura-
mento, rilasciò le proprie dichiarazioni a proposito di una nave appartenuta
prima a Joan Fabregas e poi a Gabriel Abella di Barcellona che, noleggiata
in Sardegna dal cagliaritano Guillem Arenx per un viaggio verso Porto Pi-
sano, era stata catturata nei mari di Piombino dal genovese Jacopo Fornari.
Il Soler era informato sui fatti perché era stato il tramite nella vendita della
nave dal Fabregas all’Abella, transazione che era stata realizzata a Barcello-
na nella Loggia del mercanti «ubi conf luerunt mercatores». Del nolo, inve-
ce, dichiarava di aver saputo dall’allora scrivano della nave, il barcellonese
Pere Lazagnes. La seconda testimonianza era invece di Vicenç Colomer,
cittadino e mercante di Valenza abitante a Pisa. Questi affermava di sapere
che la nave fosse di Joan Fabregas per averlo sentito dire tre mesi prima,
a Cagliari, dal mercante barcellonese Joan Castell, mentre del nolo aveva
parlato il giorno prima anche a lui lo scrivano Pere Lazagnes, nell’ospedale
nuovo di Pisa dove questi giaceva ammalato.55
Da queste deposizioni ben si comprende come nelle testimonianze si
raccogliessero e mescolassero informazioni recepite attraverso vari canali:
quelle derivate dall’aver partecipato di persona agli eventi, ma anche le in-
discrezioni udite presso la loggia dei mercanti e sulle spiagge, per colloquio
diretto con colleghi, personale dei porti, amici e parenti riportando conver-
sazioni di terzi.

La giustizia mercantile. Alcune considerazioni

A Barcellona la giustizia dei mercanti si mantenne sostanzialmente


distinta da quella dei tribunali ordinari, lontana dalle solennità del dirit-
to e salvaguardata nelle sue prerogative grazie all’importanza politica che
ebbe il ceto mercantile in città per il legame che aveva consolidato con i
monarchi sin dalle prime imprese di conquista della Corona. Il Consolato
del Mare di Barcellona sarebbe passato poco dopo la sua nascita, insieme
ai consolati ultramarini, sotto il controllo del Consiglio dei Cento che ne
avrebbe difeso reiteratamente i privilegi.
Nel corso del Trecento, si assistette al passaggio da una giurisdizione
sulle persone esercitata dalla corporazione di mercanti e uomini di mare

55  ASF, Notarile Antecosimiano, 18791, plico 117 carta sciolta (1 settembre 1423).

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ARBITRATI E PROCESSI CONSOLARI FRA BARCELLONA E L’OLTREMARE

della Ribera, a una giurisdizione sulle materie, che avrebbe incluso anche
le transazioni terrestri, affidata al Consolato del Mare e caratterizzata da un
netto prevalere dei mercanti sugli uomini di mare.
Alcuni criteri comuni alla risoluzione dei conf litti mercantili, sia per via
di arbitrium boni viri sia per ricorso al tribunale del Consolato del Mare o
dei consolati ultramarini, furono la necessità che il contenzioso fosse risol-
to rapidamente, su base fattuale, attraverso una composizione amichevole
e mediante il maturo consiglio, il più possibile collegiale, di uomini saggi
ed esperti. La buona fama era una caratteristica sostanziale di coloro cui
era affidato il giudizio delle cause, prohoms che, ispirati dalla legge divina,
avrebbero dovuto proporre una soluzione capace di evitare litigi futuri.
Infine, nelle città commerciali dell’Europa mediterranea e presso diver-
se universitates mercantili è riscontrabile la necessità di operare attraverso
procedure simili per facilitare la risoluzione dei conf litti tra mercanti di di-
versa origine, rifacendosi a regole generali e richiamando un ‘uso dei mer-
canti’ universalmente riconosciuto. In questo senso, e proprio con finalità
pratiche, lo stesso Llibre del Consolat de Mar conobbe un’ampia diffusione e
traduzioni ben al di fuori dei confini della Corona d’Aragona.

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INDICE

Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. V

Sergio Tognetti, Ser Bartolo di Neri da Ruffiano, Giovanni Villa-


ni e il fallimento della compagnia Perugini. . . . . . . . . . . . . . . . . » 1
Francesco Bettarini, La giustizia mercantile nella Ragusa (Du-
brovnik) basso-medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 29
Cédric Quertier, Entre nation, diplomatie économique et cor-
saires: les conf lits marchands au sein de la communauté f loren-
tine de Pise dans la seconde moitié du XIVe siècle. . . . . . . . . . . . . » 51
Maria Elisa Soldani, Arbitrati e processi consolari fra Barcellona
e l’oltremare nel tardo Medioevo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 83
Lorenzo Tanzini, Gli arbitrati del vescovo. Giustizia vescovile e
controversie private a Firenze fra Tre e Quattrocento. . . . . . . . . . » 107
Elena Maccioni, Una rappresaglia contro mercanti genovesi gesti-
ta dal Consolato del Mare di Barcellona (1417-1422). . . . . . . . . . » 127
Lorenz Böninger, Gli uomini e le donne d’affari tedeschi e la Mer-
canzia di Firenze nei primi decenni del XV secolo . . . . . . . . . . . . » 157
Luca Boschetto, L’ufficio del ricorso presso la Mercanzia fiorenti-
na tra Quattro e Cinquecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 183

Indice dei nomi di persona e delle aziende. . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207


Indice dei nomi di luogo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 217

— 221 —
FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • SESTO FIORENTINO (FI)
NEL MESE DI SETTEMBRE 2016
ISSN 0391-819X

ISBN 978 88 222 6465 7

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