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La gioia di guardare al Paradiso

“Io guardo al cielo soltanto quando starnutisco”, dice con fierezza l’ateo Basarov nel romanzo “Padri e figli” di
Turgheniev. “Io poco di più!” dovremmo forse rispondere noi, con un certo senso di confusione e di vergogna.
Pare, infatti, che il Cielo, il Paradiso, non sia ai primi posti nei nostri pensieri, ma risulti di gran lunga preceduto
in classifica da ... problemi più urgenti!
I motivi possono essere molti. Tra questi una difficoltà di linguaggio: la parola “Paradiso” evoca in molti più un
mondo di favola, di cui si è sentito parlare nell’infanzia, che una realtà di fede. Le stesse immagini usate
tradizionalmente per descrivere la Vita eterna (arpe, corone, abiti bianchi...) sembrano oggi solo un ricordo di
una cultura passata.
Ma sotto il problema del linguaggio c’è una questione ben più radicale: il clima culturale in cui viviamo propone
un modello di uomo “tutto della terra”, che trova la sua realizzazione nel progresso tecnico e nella produzione
di un sempre maggiore benessere materiale. Non un fantomatico Paradiso, ma una vita dotata di ogni
“comfort” pare la meta verso cui corre l’uomo moderno, ciò a cui orienta i suoi sforzi e le sue fatiche.
La questione in gioco
È facile comprendere come la questione in gioco non sia marginale. Si tratta nientemeno che della risposta
alla domanda centrale della vita di ogni uomo: “Che cosa è decisivo per me? In che cosa consiste radicalmente
la mia riuscita?”
Per quanto si professi cristiano, l’uomo che dimentica la Vita eterna, che non fatica per essa, finisce di fatto
col far sua, magari in modo inconsapevole, la risposta idolatrica data dal paganesimo di oggi e di ieri: “decisivi
per la vita dell’uomo sono la ricchezza, la comodità, il prestigio, la fama, il potere...”. Questo è il vero “paradiso”
! È una risposta che alletta, ma è falsa e miope e come tale deve essere smascherata. Ecco perché è così
urgente che del Paradiso si torni a parlare, che l’eternità beata torni a essere oggetto frequente della nostra
meditazione e termine costante dei nostri desideri!
Il Paradiso è Lui!
Essere cristiani significa credere che ciò che è decisivo per l’uomo è la comunione con il Signore Gesù, che
non a caso viene riconosciuto come il Cristo, cioè l’Assoluto, l’Irrinunciabile. E la fede nella vita eterna attesta
che chi ascolta la sua parola e cerca di praticarla, vivendo come suo discepolo, parteciperà alla condizione
gloriosa che il Signore ha già oggettivamente realizzato con la sua Risurrezione.
Perché il Paradiso dell’uomo è Lui!
È quello che esprimono queste magnifiche parole della Scrittura: “ Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul
mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono” (Ap. 3,21).
Dire che il Paradiso è Gesù significa anzitutto dire che la beatitudine del cielo non è una qualche forma
generica di felicità, ma la partecipazione alla pienezza di vita del Risorto. La nostra vita eterna riproduce,
dunque, i tratti della Gloria di Gesù, ovvero:
- la comunione con il Padre nella verità dello Spirito Santo
- la perfetta armonia con gli altri uomini e con il cosmo
- la piena realizzazione della propria identità.
Un’eterna sorpresa
Di questi tre elementi il più importante è evidentemente il primo. Tutta la gioia del cielo dipende dalla
comunione con Dio, il Padre di Gesù nello Spirito. Si parla a questo riguardo di visione beatifica, perché come
dice l’apostolo Paolo, vedremo Dio faccia a faccia così come Egli è (cf. 1Cor.13,12), avendo ormai acquisito
la capacità di spalancare gli occhi sul suo fulgore. La visione di Dio consiste nella forma più alta di conoscenza
di Lui, una conoscenza fatta di intimità, di immersione nel suo mistero. Dunque un’esperienza da vivere, non
un quadro da contemplare inerti. E poiché l’immensità del mistero di Dio rimarrà pur sempre inesauribile,
passeremo l’eternità a scoprire in modo sempre nuovo e continuamente sorprendente le inimmaginabili
ricchezze del Suo Amore. Il Paradiso sarà una sempre nuova ed estasiante sorpresa, che non finirà di
meravigliarci.
Gerusalemme celeste
Questa immersione in Dio sarà la sorgente della piena comunione tra gli uomini e con il cosmo, trasfigurato
anch’esso in cieli nuovi e terra nuova.
Nella Gerusalemme celeste regnerà la carità perfetta e ciascuno godrà non solo della propria felicità, ma
anche di quella altrui. La vicinanza con le persone care e con tutti i beati ci farà sperimentare che siamo fatti
veramente gli uni per gli altri, unica grande famiglia in cui le differenze non saranno cancellate, ma
concorreranno a costituire un grande mosaico, una stupenda sinfonia.
Moglie e marito, genitori e figli, amici, fratelli, compagni di viaggio terreno, persone di ogni lingua, cultura,
epoca, si troveranno perfettamente purificati nell’amore e uniti in un unico movimento di gratitudine a Dio.
“Nos ipsi erimus”
“Saremo finalmente noi stessi”, così definisce S. Agostino questo ulteriore motivo di gioia eterna. Grazie al
rapporto con Dio, con gli altri e con il cosmo trasfigurato raggiungeremo la nostra piena identità. Saremo in
pienezza quello che ora siamo solo parzialmente: veramente liberi, e in tal senso creature nuove, al di là della
morte e della sofferenza, totalmente appagati nei nostri desideri e capaci di esprimerci in tutte le nostre
potenzialità. Giacché il “riposo eterno” sarà davvero un riposo nel senso di pace perfetta, ma non sarà
assolutamente un’eterna inerzia: mai saremo così attivi come in cielo, perché totalmente coinvolti nel
dinamismo della vita di Dio.
Camminare sulla via del cielo
Se questa è la meta, si capisce perché i santi avevano così presente il pensiero del Paradiso e se ne
lasciavano continuamente guidare, fino a considerare la vita terrena un “camminare sulla via del cielo”. E in
effetti è così, poiché questo è il significato fondamentale della nostra vita: imparare dal Signore Gesù la lingua
che si parla in Paradiso, il linguaggio dell’amore. Tale possibilità ci è continuamente offerta da Dio qui e ora,
in ogni circostanza e situazione. Scegliendo secondo il Vangelo la accogliamo, scegliendo contro il Vangelo
la rifiutiamo: dunque non c’è nulla di più urgente e di più concreto. Tutt’altro che essere l’evasione in un mondo
di sogno, il pensiero della vita eterna è un invito pressante a dedicarci con impegno e fiducia al gravoso
compito della crescita cristiana, alla preghiera, al servizio dei fratelli, alla testimonianza e all’apostolato. Non
c’è niente che aiuti a essere cristianamente con i piedi per terra ... quanto lo sguardo rivolto verso il Cielo.

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