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GIUDICATI DALL’AMORE

“Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu” si cantava negli anni ‘60.


Ma di fatto l’uomo è continuamente giudicato: il bambino è osservato dalla mamma che gli insegna la buona
educazione, lo studente è esaminato dall’insegnante, due fidanzati si valutano a vicenda per vedere se siano
fatti l’un per l’altro, il lavoratore è giudicato dal suo capoufficio o dai suoi clienti e così via...
Tutta la vita dell’uomo è, in certo senso, sotto l’insegna di un continuo “giudizio”: senza discernimento,
valutazione, apprezzamento vicendevole non esistono vere relazioni, non è possibile crescere né maturare.
Eppure l’inizio della celebre canzonetta contiene una verità: in ognuno di noi c’è qualcosa gli altri non possono
giudicare. Si tratta del nostro mondo interiore, il luogo della coscienza e delle intenzioni. È lì che l’uomo si
incontra con se stesso. È lì che il credente non si trova solo, ma si incontra con Dio.
Dio guarda al cuore
Dio è “più intimo a noi di noi stessi”, diceva S.Agostino e per questo, a differenza degli uomini che si fermano
all’apparenza e ai comportamenti esteriori, Egli guarda al cuore, cioè ai pensieri e alle decisioni.
Il Suo non è lo sguardo ostile di una spia, che suscita sospetto e paura, ma lo sguardo amorevole di un Padre,
che ci fa esistere, ci desta alla vita e ci chiama a una comunione di amore. È lo sguardo del Creatore sulla sua
creatura, colmo di affetto e di premura.
Per questo la Bibbia parla con gioia del giudizio di Dio sul cuore degli uomini: “Gioisca il monte di Sion, esultino
le città di Giuda a motivo dei tuoi giudizi” (Sal.48,12). Essa anzi rivela che non solo la vita dei singoli, ma
anche tutta la storia dell’umanità si svolge sotto il paterno giudizio di Dio, cioè sotto il suo sguardo benevolo e
la sua azione misericordiosa.
Un’immagine preziosa
L’immagine di Dio come giudice deve perciò essere purificata da tutti quegli aspetti di terrore e di angoscia
che i giudizi degli uomini e il ricordo dei tribunali terreni portano con sé. Il giudizio di Dio è il suo amore per
noi, la sua onnipotente azione di salvezza: Dio giudica compiendo cose grandi per i suoi figli.
Certo il termine si presta a essere frainteso, ma se la Bibbia e la tradizione cristiana hanno fatto ricorso a
questa immagine è perché essa risulta molto preziosa nel mettere in evidenza alcune caratteristiche dell’amore
del Padre.
Esso è veramente un giudizio perché, pur con i contorni di nascondimento imposti dalla condizione terrena:
- è un amore che guida la storia, la governa, la orienta a un fine di bene e di salvezza (in ebraico i verbi
“giudicare” e “governare” provengono dalla stessa radice “spt”);
- è un amore che svela la verità all’uomo, smascherando ogni menzogna;
- è un amore che fa giustizia, dando a ciascuno il frutto delle sue opere;
- è un amore che si oppone a tutte le iniquità e le oppressioni della storia, abbattendo i superbi dai troni e
innalzando gli umili;
- è un amore che costituisce l’elemento decisivo e discriminante per la vita di ogni uomo, poiché dalla sua
accoglienza dipende il nostro destino.
Dio o le stelle?
L’annuncio del giudizio di Dio sull’uomo e sulla storia è dunque un annuncio di gioia. Esso mira innanzitutto a
confortare i nostri passi incerti, assicurandoci che la nostra vita non è nelle mani del fato, della sorte o del
caso, ma di un Padre che veglia su di noi e ci circonda del suo aiuto e della sua protezione.
Dimenticare questa verità pone l’uomo nell’ansioso bisogno di inventarsi qualcosa che gli dia sicurezza. Si
capisce così il diffondersi del ricorso agli oroscopi, a mille forme di superstizione, a maghi e fattucchiere che
promettono (certo ... alla modica cifra di ...) protezione, tranquillità, influsso benefico sugli affari e così via. Tutti
surrogati, miseri e menzogneri, che fanno a pugni con la fede cristiana e la serietà della vita.
Chi crede nel giudizio di Dio coltiva invece un amore tenace per la verità e la giustizia, sapendo che solo
questo edifica l’uomo e che “alla fine della vita saremo giudicati sull’amore” (S. Giovanni della Croce).
Il giudizio particolare e il giudizio universale
Il giudizio di Dio, come lo abbiamo inteso, accompagna istante per istante la nostra vita. Nulla di quanto
facciamo risulta insignificante, perché ogni nostra scelta ci pone già fin d’ora in un certo rapporto con Dio, che
può essere, in diversa misura, di accoglienza o di rifiuto.
Alla luce di questo va compresa la dottrina cristiana del “giudizio particolare” e del “giudizio universale”, termini
tecnici che indicano la “stagione della mietitura” rispettivamente per il singolo con la sua morte e per l’umanità
intera alla conclusione della storia.
Dopo la propria morte “ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne
raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna ” (Gal.6,7-8).
Con la conclusione della nostra vicenda terrena saremo in grado di accogliere in pienezza il giudizio di Dio,
cioè il suo amore. Ma questo in base alle scelte che ora giorno per giorno compiamo. Veramente allora saranno
svelate le intenzioni dei cuori e chi avrà vissuto nell’amore potrà gustare la bellezza dell’abbraccio con Dio,
che risulterà invece insopportabile e terribile a chi avrà fatto dell’egoismo un programma di vita.
Il giudizio definitivo, “particolare” e “universale”, sarà dunque per il giusto (cioè per chi si apre alla giustizia di
Dio) evento di gioia sconfinata, perché ingresso nel Paradiso. Solo l’empio potrà piegare a sua condanna
l’azione di Dio, impedendogli fino in fondo di salvarlo.

Di fronte al lieto annuncio del giudizio non possiamo che far nostre le parole del salmo:
“Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto
contengono, si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare
la terra. Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti” (Sal. 96, 11-13).

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