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Andrea Bozzolo
1
Francesco, Costituzione apostolica Veritatis Gaudium circa le Università e le Facoltà
ecclesiastiche (27 dicembre 2017), LEV, Città del Vaticano 2018. D’ora in poi citata: VG.
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1. La verità
La gioia della verità (Veritatis gaudium) esprime il desiderio struggente che ren-
de inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non
condivide con tutti la Luce di Dio. La verità, infatti, non è un’idea astratta,
ma è Gesù, il Verbo di Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini (cfr. Gv
1,4), il Figlio di Dio che è insieme il Figlio dell’uomo. Egli soltanto, «rivelando
il mistero del Padre e del suo amore, rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione» (VG 1).
2
Utilizziamo intenzionalmente il termine poiché VG lo assume per indicare gli in-
novativi modelli teorico-pratici che gli studi ecclesiastici sono chiamati ad elaborare per
mediare l’accesso al Vangelo in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso:
«ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire,
disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capaci di entrare in
profondità in sistemi culturali diversi» (VG 5, corsivo nostro).
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3
San Tommaso, facendo eco a una lunga tradizione, ricorda che Dio non è l’oggetto
della teologia, come si potrebbe ritenere comunemente, ma più propriamente ne è il sog-
getto: «Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse Deus;
vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Unde sequitur quod Deus vere
sit subiectum huius scientiae» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 7). Rivol-
gendosi ai membri della Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI ha fatto
riferimento a queste parole di Tommaso affermando: «Chi parla nella teologia, il soggetto
parlante, dovrebbe essere Dio stesso. E il nostro parlare e pensare dovrebbe solo servire
perché possa essere ascoltato, possa trovare spazio nel mondo, il parlare di Dio, la Parola
di Dio. E così, di nuovo, ci troviamo invitati a questo cammino della rinuncia a parole
nostre; a questo cammino della purificazione, perché le nostre parole siano solo strumento
mediante il quale Dio possa parlare, e così Dio sia realmente non oggetto, ma soggetto della
teologia» (Insegnamenti di Benedetto XVI. Vol. II.2, LEV, Città del Vaticano 2007, 397).
Le parole del teologo sono chiamate a compiere un percorso di risalita verso la fonte del
sapere teologico, per assumere lo sguardo sulla realtà che Dio ci ha comunicato in Cristo
e che lo Spirito rende presente in noi. In questo senso il sapere su Dio è “responsoriale” e
radicato nel dialogo orante.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 51
Mistero, implicato in tale mistica, la ricerca veritativa non può che essere
esposta al rischio del fallimento. Per dirla con Jean-Luc Marion:
Siccome diventa teologo mirando nel testo al referente, colui che insegna deve
avere del referente una comprensione anticipata, ciò senza di cui egli non potrà
reperire gli effetti di senso nel testo. Non sono pochi gli esegeti o i teologi che
si macchiano di interpretazioni gravemente errate dei testi (biblici o patristici),
non per difetto di scienza, ma per ignoranza di ciò di cui si tratta, per ignoranza
della cosa stessa.4
4
J.-L. Marion, Del sito eucaristico della teologia, in Id., Dio senza essere, Jaca Book,
Milano 1987, 169-189, 185.
5
Pio XI, Costituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus, in AAS 23 (1931) 241-
262; Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Sapientia Christiana, in AAS 71 (1979)
469-499. Un’utile introduzione ai principi ispiratori di Sapientia Christiana è offerta da
G. Baldanza, La teologia fondante e gli elementi costanti di Sapientia Christiana, «Semina-
rium» 44 (2004) 363-401.
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La “cultura” è intesa qui nel suo significato antropologico, come il complesso delle
7
forme simboliche con cui un popolo esprime i significati fondamentali della vita comune.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 53
la Chiesa, che sulla scorta del linguaggio conciliare viene ormai nominata
come “evangelizzazione”.8 È l’evangelizzazione, infatti, che implica il dupli-
ce riferimento alla verità e alla cultura, poiché «il distacco tra fede e cultura
costituisce un grave impedimento all’evangelizzazione, mentre al contrario
la cultura informata da spirito cristiano è un valido strumento per la diffu-
sione del Vangelo».9
Per riferimento a questo nodo le affermazioni fondamentali di Sapientia
christiana sono due. La prima riguarda la necessità intrinseca per la Chiesa di
far riferimento alla cultura, anzi alle culture, per svolgere in maniera appro-
priata la propria missione evangelica; se infatti «i modi di pensare, i criteri
di giudizio, le norme d’azione» non sono penetrate dal Vangelo, l’evange-
lizzazione resta esteriore e di fatto non si realizza. La seconda concerne la
trascendenza del Vangelo di Cristo «che è diretto a tutti i popoli di ogni età e
regione» e «non è legato in modo esclusivo ad alcuna cultura particolare»,10
mentre è in grado di permearle tutte.
Non è difficile riconoscere sullo sfondo di questi asserti i complessi di-
battiti circa il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana che ave-
vano animato il Sinodo dei Vescovi del 1974. Proprio i nodi irrisolti di quel
Sinodo avevano suggerito l’esigenza di una ripresa chiarificatrice da parte
di Evangelii nuntiandi, alle cui linee attinge Sapientia christiana. L’annun-
cio del Vangelo ha in sé una profonda forza umanizzatrice, che opera nella
storia come principio di trasformazione culturale. Se per un verso l’aper-
tura alla verità di Cristo è necessariamente mediata dalle forme simboliche
che esprimono presso ogni popolo i significati fondamentali dell’esperienza
antropologica, per l’altro il Vangelo offre una luce che eccede ogni conqui-
sta autonoma del pensiero o della prassi umana, ponendosi dunque come
sorgente di ricomprensione critica e di trasformazione innovativa di ogni
civiltà. L’evangelizzazione non può dunque ridursi alla trasmissione di una
dottrina né alla promozione di una cultura, ma deve lasciarsi guidare dal
8
Per un’introduzione alle diverse interpretazioni del termine e un’elaborazione teolo-
gica delle sue implicanze ci permettiamo di rinviare a A. Bozzolo, L’evangelizzazione: le
dimensioni costitutive della missione ecclesiale, in R. Sala (con A. Bozzolo, R. Carelli e P.
Zini), Pastorale giovanile 1. Evangelizzazione e educazione dei giovani. Un percorso teorico-
pratico, LAS, Roma 2017, 85-123. Più ampiamente: A. Bozzolo – R. Carelli (edd.),
Evangelizzazione e educazione, LAS, Roma 2011.
9
Sapientia Christiana, I.
10
Ibid.
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2. L’evangelizzazione
L’articolazione tra verità del Vangelo e storicità delle culture come pure
l’insistenza sul nesso tra la missione evangelizzatrice della Chiesa e la strut-
turazione degli studi ecclesiastici proposte da Sapientia christiana sono pun-
tualmente riprese da Veritatis gaudium.
L’elemento innovativo della Costituzione apostolica di papa Francesco
non concerne dunque il quadro teorico, che è radicato nel tessuto degli
insegnamenti del Concilio e del magistero successivo, di cui il documento
sintetizza i passaggi più rilevanti. Esso consiste piuttosto nell’accentuazione
di alcuni aspetti di tale quadro, che possono giovarsi dell’approfondimento
che le linee conciliari hanno avuto in questi cinquant’anni e delle esperienze
cui hanno dato origine. Tali aspetti riguardano principalmente il modo di
intendere l’evangelizzazione e la portata da riconoscere al momento pratico
dell’esperienza.
11
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in AAS 105 (2013) 1019-
1137. D’ora in poi citata: EG.
12
Per il dibattito sul tema cfr. A. Spadaro – C.M. Galli (edd.), La riforma e le riforme
nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016; A. Marchetto, La riforma e le riforme nella Chie-
sa: una risposta, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 55
propria forma, ma solo riceverla dal Vangelo. Ciò non è avvenuto soltanto
una volta per tutte al suo inizio, ma continua ad avvenire, all’interno della
vincolante continuità della Tradizione, nel mutare storico delle culture.
La Chiesa, dunque, pur avendo una struttura essenziale permanente, ha
la forma flessibile e dinamica propria delle realtà vive. Essa la realizza nel
duplice riferimento alla verità del Vangelo e al succedersi della storia. I due
riferimenti, come si è detto, non vanno intesi come giustapposti e al limite
contraddittori, ma secondo la complessa correlazione asimmetrica, sopra
tratteggiata. L’epoca non costituisce perciò un’obiezione da cui difendersi,
ma è piuttosto la condizione entro cui aprirsi alla verità trascendente. In
questo senso, si può dire che la forma che la Chiesa deve assumere in un
determinato tempo e luogo dipende dalla figura effettiva di testimonianza
alla verità che essa è chiamata a dare nel mutare delle culture.
È precisamente in questo punto che s’innesta la novità proposta da Evan-
gelii gaudium attraverso le formule della “conversione missionaria della Chie-
sa” e della “Chiesa in uscita”. Provenendo da una stagione in cui l’epoca era
stata intesa più come obiezione che come condizione, la forma storica della
comunità ecclesiale ha corso il rischio di una certa autoreferenzialità, che
ha irrigidito le sue strutture e reso meno leggibile la sua testimonianza. Di
fronte al crescente distacco della cultura condivisa dalle forme dell’evangelo,
Evangelii gaudium mette perciò in guardia da due fraintendimenti della mis-
sione. Il primo è quello che si esprime nell’atteggiamento della “riconquista”
ossia del “dominio ecclesiastico” sulla cultura. Si tratta di un atteggiamento
che, a un primo livello, può essere suggerito dalla nostalgia per il regime di
cristianità, ma più profondamente dipende dall’equivoco che identifica la
“verità” con una “cultura cristiana” presuntivamente universale e astorica. Il
secondo fraintedimento è quello che si esprime nell’“inseguimento” della
cultura, ossia nell’adattamento inerte alle sue inclinazioni e alle sue mode.
Ciò dà origine all’illusione che per evangelizzare sia sufficiente cambiare
strumenti, linguaggi, strutture esteriori “aggiornandole” secondo i canoni
dell’epoca; su questa strada, però, si finisce in quella che Francesco chiama
“mondanità spirituale”: uno svuotamento della testimonianza, di cui riman-
gono solo le posture esteriori.
Escluse le linee devianti, è più semplice tracciare il percorso che consente
alla comunità cristiana di configurarsi effettivamente come Chiesa in uscita.
Si tratta del processo che conduce ad assumere gli interrogativi che emer-
gono all’interno di un’epoca, di un popolo, di una cultura, condividendo
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con tutti la fatica della loro interpretazione, per offrire, all’interno di questo
lavoro congiunto, l’apporto insostituibile della testimonianza cristiana. Se
la Chiesa vuole continuare a essere “per tutti”, anche se in Occidente non è
più “di tutti”, essa deve coltivare quella mistica della fraternità che si esprime
nell’apertura verso l’altro, nell’esposizione coraggiosa al dialogo e al con-
fronto, anche qualora vi sia da sostenere la fatica del conflitto. L’edificazione
di un nuovo umanesimo, di cui il mondo ha urgente bisogno, passa dunque
attraverso una paziente e coraggiosa tessitura di relazioni, poiché solo la fi-
ducia antropologica che è alla base del vivere insieme può valere come gram-
matica attraverso cui rendere intelligibile l’annuncio del Regno di Dio.13 Si
tratta dunque di un cammino di compagnia con gli uomini che costituisce
la condizione perché appaia la verità del Vangelo. Tale cammino appartiene
all’evangelizzazione perché prima di tutto appartiene alla verità (cfr. Lc 24).
A questa necessità, corrisponde il secondo dei criteri proposti da Veritatis
gaudium come principi guida per la riforma degli studi ecclesiastici. Esso è
formulato in questi termini:
13
Su questo elemento attira l’attenzione C. Theobald, affermando che «nei testi di
Francesco ci si congeda per la prima volta in maniera chiara dalla classica contrapposizione
tra chiesa e società a favore di una fraternità mai garantita, sempre minacciata dalla violenza
e sempre da concretizzare nuovamente di volta in volta. In primo piano non sta dunque la
questione della verità (anche se non è mai esclusa). Ma al posto di un’autodifesa apologetica
la chiesa offre risorse spirituali specifiche con cui le nostre società, proprio qui in Europa,
potrebbero resistere alle crisi che le sconvolgono. La chiesa viene qui compresa come, per
così dire, una “rabdomante” missionaria che con sensibilità spirituale scova ciò di cui si
parla nel Vangelo come già presente nell’Altro» (Mistica della fraternità. Lo stile nuovo della
Chiesa e della teologia nei documenti programmatici del pontificato, «Il Regno» 60 (2015)
581-588, 587). Mentre sottolinea efficacemente il principio dialogico nel magistero di
Francesco, Theobald tende però ad attrarne l’ispirazione su una linea pragmatico-comuni-
cativa, debitrice del pensiero di Habermas, la cui pertinenza è oggetto di discussione. Cfr.
G. Noberasco, La teologia nell’epoca attuale. C. Theobald, I. Dalferth: modelli a confronto,
«Il Regno» 63 (2018) 283-287.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 57
14
EG 88.
58 Andrea Bozzolo
della teologia, il modo di fare e di pensare credente» (VG 2). Più avanti, il
testo mette in guardia da un pensiero chiuso e autoreferenziale, asserendo
che «il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un
mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto,
sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo» (VG 3).
A un primo livello, questo ordine di riflessioni corrisponde a uno dei ca-
pisaldi del pensiero di papa Francesco, espresso nella nota formula secondo
cui «la realtà è superiore all’idea».15 Tale principio rivendica una correlazione
originaria tra il pensiero e la realtà: «Esiste anche una tensione bipolare tra
l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora».16 Tale correla-
zione, però, non è pacifica e scontata, perché il rischio che il pensiero si li-
miti a riflettere sulle formule, anziché fare la fatica di interpretare l’esperien-
za effettiva, è reale e sempre in agguato. La rappresentazione concettuale,
invece, è sempre in debito nei confronti della “concretezza” del reale, ossia
nei confronti del modo in cui i fenomeni si manifestano originariamente
alla coscienza e del senso che esibiscono alla libertà.17 Schemi di pensiero
autoreferenziali, che presumono di scavalcare l’ascolto e l’interpretazione
del vissuto, per ridursi all’elaborazione di connessioni concettuali, impedi-
scono ai fenomeni di mostrarsi nella loro genuinità. Il pregiudizio conduce
all’occultamento di aspetti importanti della realtà, generando forme diverse
di ideologia.18 Il riferimento al nesso tra idea e realtà non va dunque inteso
come una sterile polemica nei confronti di chi coltiva professionalmente
l’impegno riflessivo, che anzi la Costituzione Apostolica intende rilanciare
come vero carisma al servizio della Chiesa, ma piuttosto come un richiamo a
non pretendere di ridurre la complessità del reale in schemi teorici chiusi. Il
pensiero riflesso che esplicita le ragioni di universalità dell’esperienza umana
ha un debito nei confronti del sapere originario, interno a quell’esperienza,
e non può in alcun modo presumere di sostituirlo.
A un secondo livello, l’insistenza sulla mediazione pratica del sapere ri-
15
EG 231.
16
Ibid.
17
Pertinenti considerazioni al riguardo sono svolte da D. Albarello, «La grazia suppo-
ne la cultura». Fede cristiana come agire nella storia, Queriniana, Brescia 2018, in particolare
nelle pagine 113-127.
18
EG 231 nomina «i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi di-
chiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi
senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza».
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 59
19
C. Theobald, Spirito di santità. Genesi di una teologia sistematica, EDB, Bologna
2017, 15. Cfr. sul tema Id., La recezione del Vaticano II,1. Tornare alla sorgente. EDB, Bolo-
gna 2011; Id., L’avvenire del Concilio. Nuovi approcci del Vaticano II, EDB, Bologna 2016.
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zione dello Spirito, che presiede all’attuazione virtuosa della tensione tra i
due poli, ponendosi come il principio dell’armonia ecclesiale.
L’importanza dell’affermazione deriva dal fatto che, a fianco del rischio
di un’univocità soffocante, esiste, non meno gravido di conseguenze perico-
lose, quello opposto del multiculturalismo esasperato. Se il primo, come si è
detto, identifica tendenzialmente la verità con una cultura, il secondo so-
stanzialmente tende a svincolare le culture dalla verità, considerandole come
mere costruzioni convenzionali, riferite al funzionamento della società, ma
sganciate dall’ontologia della coscienza e dalla sua strutturale apertura al
vero. Si tratta indubbiamente di una questione complessa, che ha conse-
guenze rilevanti sul modo di intendere l’inculturazione o piuttosto, come
aveva suggerito l’allora card. Ratzinger nei suoi ripetuti e puntuali interventi
sul tema, l’interculturalità della fede.20
Le culture, infatti, non sono “gusci vuoti”, semplici forme di organizza-
zione sociale dei comportamenti; esse danno orientamento all’esistenza dei
singoli e, come ormai la ricerca antropologica riconosce in modo largamen-
te convergente, hanno un’originaria matrice religiosa.21 Per questo la polari-
tà tensionale dell’incontro tra le culture è impresa tanto necessaria, quanto
complessa. Per quanto riguarda l’Occidente postmoderno, uno degli aspetti
più insidiosi è l’orientamento a veicolare l’astrazione dalla verità come l’u-
nico principio che può fondare la pacifica convivenza all’interno di società
multiculturali e multireligiose. La rinuncia alla verità, però, è la rinuncia
all’uomo. Se la cultura pubblica tende a declinarsi in forme che isolano la
coscienza, inducendo l’oggettivazione asettica dei dati e la privatizzazione
soggettivistica del senso, il cambio di paradigma richiesto va nella direzione
di una cultura che dia voce alle esperienze fondamentali dell’esistenza e pro-
pizi la condivisione del loro significato. È proprio nello sforzo di condivide-
re questo impegno con tutti, che la comunità ecclesiale troverà nuovi spazi
per testimoniare la luce del Vangelo.
20
Cfr. J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza, Cantagalli, Siena 2003.
21
«Le culture si appellano alla saggezza degli “antichi”, i quali stavano più vicino agli
dei; si appellano a tradizioni primordiali che hanno caratteri di rivelazione, quindi non
derivano soltanto dall’indagare e dal riflettere dell’uomo, ma da un contatto originario col
fondamento di tutte le cose, da una comunicazione del divino» (J. Ratzinger, Fede, Verità,
Tolleranza, 63-64).
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 61
3. Il sapere
22
M. Horkheimer – T. W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino
1966, 11.
23
P. Sequeri, La cruna dell’ego. Uscire dal monoteismo del sé, Vita e Pensiero, Milano
2017.
62 Andrea Bozzolo
24
G. Pietropolli Charmet, L’insostenibile bisogno di ammirazione, Laterza, Bari 2018.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 63
25
E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Corti-
na, Milano 2000, 112.
26
S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità. Una proposta epistemo-
logica, «Sophia» 1 (2008) 61-70, 63.
27
S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità, 65. La Carta della
64 Andrea Bozzolo
il tema dell’unità del sapere non può limitarsi alla semplice riflessione sull’arti-
colazione che le varie discipline dovrebbero possedere in un progetto di ricerca
o in un programma di formazione universitaria, ma va impostato su basi più
profonde. Essa deve giungere a coinvolgere non solo “le scienze”, ma soprattut-
to “la persona che fa scienza”.28
L’unità del sapere, secondo Veritatis gaudium, trova una sua specifica e
originale forma di attuazione alla luce dell’evento della Rivelazione, poiché
in Cristo «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col
2,3). Ciò non significa, ovviamente, misconoscere la specificità epistemolo-
gica di ogni indagine disciplinare, ma piuttosto identificare il punto in cui
la complessità dell’esperienza storica dell’uomo può essere unificata. Gesù
Cristo è, infatti, l’Alfa e l’Omega di tutta la creazione; egli non si “aggiunge”
all’ordine creato, ma ne è il principio eccedente, poiché «tutte le cose sono
state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
Non vi è da temere che la prospettiva cristocentrica, che è la chiave di
comprensione rigorosa di tutta la teologia, possa in qualche modo sminuire
l’autonomia delle realtà create e, conseguentemente, delle discipline che le
indagano. Il cristocentrismo, infatti, mentre afferma che l’evento di Gesù di
Nazaret è principio e compimento dell’autocomunicazione del Dio trinita-
rio agli uomini, asserisce che la libertà dell’uomo non è destinataria passiva
di tale evento, ma è pienamente coinvolta, con rilievo intrinseco per quanto
asimmetrico, nel suo accadere. Gesù di Nazareth, infatti, non viene solo “dal
cielo”, ma anche e realmente “dalla terra”. Egli è figlio del Padre e di Maria;
figlio dunque del suo popolo, figlio di Davide, figlio di Abramo, addirittura
figlio di Adamo (Lc 3,38) come le genealogie neotestamentarie pongono in
risalto. La sua divinità, ha sempre insegnato il dogma, nulla toglie alla sua
umanità; il carattere eccedente e singolare della sua identità non sottrae si-
gnificato alla storia che lo precede, perché questa concorre realmente a porre
le condizioni di possibilità del suo avvento.
Si comprende dunque come il carattere unificante dello sguardo della
fede non implichi in alcun modo una sottrazione di autonomia ai saperi
della scienza, ma piuttosto lo postuli, tutelandone la specificità nello stesso mo-
mento in cui ne riconosce la collocazione in un orizzonte che li supera. Da que-
sta visione deriva la necessità di riconoscere il ruolo specifico che la teologia,
in quanto sapere critico della fede, ha nel favorire il processo, mai compiuto,
di un’elaborazione del sapere che corrisponda al dono incomparabile della
rivelazione cristologica.30 A questo riguardo afferma Piero Coda:
30
È interessante richiamare a questo riguardo un tratto del discorso che Benedetto
XVI tenne nel 2007 alla Delegazione della Facoltà di Teologia cattolica dell’Università
66 Andrea Bozzolo
In ragione del suo statuto epistemico, la teologia può e deve contribuire a istitu-
ire quello spazio vitale e sapienziale (ultimamente fondato nell’avvento di Dio
nella storia degli uomini che è Gesù) in cui i diversi saperi, ciascuno nell’eser-
cizio del proprio metodo e nell’indagine intorno al proprio oggetto, possano
contribuire a promuovere i sentieri molteplici della verità nell’amore. In con-
formità a ciò, la teologia può e deve di concerto intessere un dialogo bilaterale
e proficuo per entrambe le parti con i diversi saperi.31
attuabile sul modello dell’unità del sapere medievale, in cui le varie scienze dell’epoca erano
ritenute ancelle della teologia quale scienza regina; nell’unitarietà della quale parliamo le
varie discipline dovranno necessariamente godere di una distinzione ed autonomia proprie
nella quale potranno sviluppare la ricerca della verità secondo il loro oggetto formale; ma
allo stesso tempo i diversi piani della conoscenza umana potranno convergere autonoma-
mente nell’unità della persona umana quale unico soggetto dell’impresa scientifica e del suo
aprirsi al trascendente» (S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità, 68).
33
«Il “confine” posto dal Concilio di Calcedonia a distinzione delle due nature nel
Cristo è in fondo non confine che divide, ma possibilità di una diretta unione: di quelle
sante nozze tra Dio e la sua creatura, la cui realizzazione sostanzialmente è rappresentata
dal Cristo, dalla Chiesa, dallo Spirito Santo» (H.U. von Balthasar, Fides Christi, in Id.,
Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1985, 41-74,72).
34
Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, 3.
68 Andrea Bozzolo
ragione teologica, istituita sul fatto che la fede è realmente una forma di
sapere, propriamente “la” forma (singolare) di sapere che corrisponde all’e-
vento (singolare) di Gesù. Ciò permette ulteriormente di precisare che se
alla teologia compete un ruolo specifico nell’unificazione dei saperi, ciò è
vero in seconda battuta. In prima battuta il carattere unificante appartiene
originariamente alla fede, che non è ovviamente esclusiva del teologo, ma ap-
partiene a ogni credente. E ulteriormente permette di precisare che la pos-
sibilità della teologia di onorare effettivamente il proprio compito dipende
ultimamente dall’impegno del teologo a pensare criticamente la fede, ossia
a svolgere criticamente il sapere cui la fede dà origine; egli non lo potrà fare
se non permettendo all’evento che sta al principio della fede, ossia all’evento
di Gesù Cristo, di dominare realmente la sua vita.
4. L’università
35
G. Tanzella-Nitti, Unità del sapere, 1420.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 69
36
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XI.3, LEV, Città del Vaticano 1991, 550-551.
37
P. Sequeri, Università e Chiesa. Per un nuovo umanesimo, «Vivens Homo» 12 (2001)
284-298, 295.
70 Andrea Bozzolo
38
Cfr. gli apporti del fascicolo Sull’idea di Università, «Communio» n. 235 (2013).
39
A. Rosmini, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, cap. II, cit. in VG 4c.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 71
ricola, ma soprattutto della sua visione e del suo spirito – che è indubbia-
mente ardito ed esigente. Proprio per questo Veritatis gaudium ricorda che
«la teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro
missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla
frontiera» (VG 5). Per quanto onerosa e complessa, la rigenerazione delle
Università e Facoltà ecclesiastiche delineata dalla Costituzione Apostolica è
la risposta seria e rigorosa che la comunità ecclesiale intende dare alle sfide
culturali, spirituali e educative che sorgono dal cambio di epoca. L’assun-
zione coraggiosa del rinnovamento della cultura è la frontiera cui non ci si
può sottrarre, perché l’annuncio del Vangelo di Cristo risuoni come parola
luminosa che fa sperimentare la gioia della verità.