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TRASFORMAZIONE MISSIONARIA

E RINNOVAMENTO DEGLI STUDI


NEL PROEMIO DI VERITATIS GAUDIUM

Andrea Bozzolo

Salesianum 81 (2019) 47-71

La Costituzione Apostolica Veritatis gaudium1 intende promuovere un


«rinnovamento sapiente e coraggioso» degli studi ecclesiastici, così da ren-
derli più conformi alle esigenze della «trasformazione missionaria di una
Chiesa “in uscita”» (VG 3). L’ispirazione di questa nuova Costituzione, che
aggiorna e integra le prospettive di Sapientia christiana, è saldamente radi-
cata nelle linee programmatiche che Francesco ha esposto nell’Esortazione
Apostolica Evangelii gaudium e ne traduce sul piano educativo e formativo
gli orientamenti pastorali. Il rinnovamento che essa richiede alle istituzioni
accademiche non è pertanto solo di natura organizzativa o giuridica, ma si
situa a un livello più profondo, che chiama in causa il ripensamento del rap-
porto tra fede e cultura e il ruolo che le Facoltà ecclesiastiche sono chiamate
ad avere in una rinnovata visione dell’evangelizzazione.
Intento del presente contributo è far emergere la visione teologica e edu-
cativa che sottende la Costituzione Apostolica e ne ispira le indicazioni.
Il documento pontificio non elabora ovviamente un’articolata “teoria del
sapere”, che fornisca risposte puntuali alle numerose domande implicate
nel ripensamento della missione universitaria. La visione formativa che esso
propone compare sotto la forma di una “linea ispiratrice” che, mentre indi-

1
Francesco, Costituzione apostolica Veritatis Gaudium circa le Università e le Facoltà
ecclesiastiche (27 dicembre 2017), LEV, Città del Vaticano 2018. D’ora in poi citata: VG.
48 Andrea Bozzolo

ca con chiarezza la direzione in cui muoversi, affida al confronto critico gli


opportuni chiarimenti teorici e pratici circa le questioni inerenti al rapporto
tra fede, cultura e società.
L’ampio Proemio che introduce la Costituzione è il luogo in cui la rinno-
vata concezione degli studi viene delineata. Lo esamineremo raccogliendone
gli elementi essenziali intorno a quattro nuclei teorici, ossia (1) la questione
veritativa e il suo nesso con la dottrina cristiana e la cultura dell’epoca; (2)
l’azione evangelizzatrice e la correlazione tra pratica pastorale e teoria della
fede; (3) l’urgenza di “ripensare il pensiero”, superando la frammentazione
dispersiva del sapere; (4) la configurazione che l’istituzione accademica è
chiamata ad assumere per onorare i compiti che le sono affidati. A questi
nuclei corrispondono, di fatto, i quattro criteri di rinnovamento degli studi
formulati dal Proemio. Li prenderemo dunque in considerazione, di volta
in volta, all’interno della questione teorica corrispondente.

1. La verità

La gioia della verità (Veritatis gaudium) esprime il desiderio struggente che ren-
de inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non
condivide con tutti la Luce di Dio. La verità, infatti, non è un’idea astratta,
ma è Gesù, il Verbo di Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini (cfr. Gv
1,4), il Figlio di Dio che è insieme il Figlio dell’uomo. Egli soltanto, «rivelando
il mistero del Padre e del suo amore, rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione» (VG 1).

Fin dall’incipit, la Costituzione Apostolica accosta il tema della verità


con un linguaggio che mostra l’intenzione di ribadirne l’assoluta centralità
per l’esistenza umana e di escluderne un’interpretazione riduttiva di stampo
dottrinalistico. Entrambi gli obiettivi sono evidenziati dalla originale cor-
relazione della questione veritativa con la tonalità affettiva della gioia. La
verità di cui si parla, infatti, non concerne solo l’esattezza delle formule o
il rigore del pensiero; essa corrisponde a un desiderio profondo dell’animo
che è tratteggiato con il linguaggio agostiniano del cor inquietum. L’uomo
può dunque raggiungerla soltanto venendo a capo di sé: l’uomo e la verità
si rapportano in maniera originaria e il loro legame è talmente radicale che
non si può dire dell’uno senza dire dell’altra. Destinandosi all’uomo, infatti,
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 49

la verità lo elegge realmente come interlocutore e gli assegna la sua personale


vocazione.
L’intenzione del testo è poi rafforzata attraverso la relazione stabilita tra
la gioia che promana dall’accoglienza della verità e l’insopprimibile attesa di
giustizia che qualifica l’apertura dell’uomo al legame con altri: l’unità con
Dio e, inseparabilmente, «l’unità con i fratelli e le sorelle nella casa comune
del creato». Alla compiuta attuazione dei legami, resa possibile dalla parte-
cipazione del mistero trinitario, è infatti connesso il segreto di quella gioia.
Fin dalle prime righe, dunque, la Costituzione Apostolica introduce
una «rappresentazione»2 della verità che mostra una consapevole, seppur
implicita, attenzione al contesto culturale nel quale il mondo accademico
è chiamato a svolgere la propria missione: un contesto che per un verso
liquida con disinvolta sufficienza la questione veritativa come un retaggio
ormai inutile e per l’altro presume di sequestrare la competenza circa l’u-
mano all’interno dell’autoreferenzialità insindacabile di saperi specialistici.
Di fronte al rischio che il rigore del pensiero e il suo statuto concettuale
siano intesi senza riferimento alla questione del senso dell’esistere o che la
ricerca della verità si risolva semplicemente nell’interazione disciplinare tra
diversità irriducibili, il Proemio suggerisce la possibilità di riscoprire il rap-
porto con la verità nella forma in un «incontro» che è sorgente di gioia e di
fraternità. La verità, infatti, «non è un’idea astratta, ma è Gesù, il Verbo di
Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini».

1.1. La verità e il kerygma

Questo modo di porre la questione veritativa trova riscontro nel primo


dei quattro criteri che la Costituzione presenta per il rinnovamento degli
studi ecclesiastici:

2
Utilizziamo intenzionalmente il termine poiché VG lo assume per indicare gli in-
novativi modelli teorico-pratici che gli studi ecclesiastici sono chiamati ad elaborare per
mediare l’accesso al Vangelo in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso:
«ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire,
disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capaci di entrare in
profondità in sistemi culturali diversi» (VG 5, corsivo nostro).
50 Andrea Bozzolo

Criterio prioritario e permanente è quello della contemplazione e della introdu-


zione spirituale, intellettuale ed esistenziale nel cuore del kerygma, e cioè della
sempre nuova e affascinante lieta notizia del Vangelo di Gesù «che va facendosi
carne sempre più e sempre meglio» nella vita della Chiesa e dell’umanità (VG 4a).

Ciò che protegge il sapere cristiano dal rischio di trasformarsi in un’ide-


ologia è la consapevolezza che tutti i concetti attraverso cui il pensiero cerca
di esprimere l’esperienza di Dio offerta nell’evento di Gesù sono superati
infinitamente dalla realtà viva della sua Presenza. Se la verità è pensata come
evento, il pensiero che vi si dedica non può avere la pretesa di delimitare a
priori i confini entro cui il fenomeno veritativo deve offrirglisi, ma può solo
esporsi con la massima disponibilità all’inedito che intende apparire. Il pen-
siero cristiano sarà dunque radicalmente “responsoriale”: tanto più rigoroso
quanto meno pretende di imporsi al proprio “oggetto”, ma si lascia donare
da esso il proprio statuto e si espone al suo appello.3
Nel kerygma, infatti, diviene chiaro che la verità non si destina semplice-
mente alla ragione, ma a tutto l’uomo, chiamandolo a un gesto di accoglien-
za che ha la forma di una nuova misura dell’esistenza. Il Proemio la nomina
con la formula «mistica del noi», ponendone in risalto tanto la dimensione
sociale (l’accoglienza nel cuore e nella mente del grido dei poveri e della
terra) quanto la rigorosa impronta trinitaria. Senza il rapporto vitale con il

3
San Tommaso, facendo eco a una lunga tradizione, ricorda che Dio non è l’oggetto
della teologia, come si potrebbe ritenere comunemente, ma più propriamente ne è il sog-
getto: «Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse Deus;
vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Unde sequitur quod Deus vere
sit subiectum huius scientiae» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 7). Rivol-
gendosi ai membri della Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI ha fatto
riferimento a queste parole di Tommaso affermando: «Chi parla nella teologia, il soggetto
parlante, dovrebbe essere Dio stesso. E il nostro parlare e pensare dovrebbe solo servire
perché possa essere ascoltato, possa trovare spazio nel mondo, il parlare di Dio, la Parola
di Dio. E così, di nuovo, ci troviamo invitati a questo cammino della rinuncia a parole
nostre; a questo cammino della purificazione, perché le nostre parole siano solo strumento
mediante il quale Dio possa parlare, e così Dio sia realmente non oggetto, ma soggetto della
teologia» (Insegnamenti di Benedetto XVI. Vol. II.2, LEV, Città del Vaticano 2007, 397).
Le parole del teologo sono chiamate a compiere un percorso di risalita verso la fonte del
sapere teologico, per assumere lo sguardo sulla realtà che Dio ci ha comunicato in Cristo
e che lo Spirito rende presente in noi. In questo senso il sapere su Dio è “responsoriale” e
radicato nel dialogo orante.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 51

Mistero, implicato in tale mistica, la ricerca veritativa non può che essere
esposta al rischio del fallimento. Per dirla con Jean-Luc Marion:

Siccome diventa teologo mirando nel testo al referente, colui che insegna deve
avere del referente una comprensione anticipata, ciò senza di cui egli non potrà
reperire gli effetti di senso nel testo. Non sono pochi gli esegeti o i teologi che
si macchiano di interpretazioni gravemente errate dei testi (biblici o patristici),
non per difetto di scienza, ma per ignoranza di ciò di cui si tratta, per ignoranza
della cosa stessa.4

Ci troviamo dunque in un orizzonte di pensiero che supera ogni ridu-


zione oggettivante della verità, senza per questo eludere il valore normativo
degli asserti dottrinali e affievolire il contributo speculativo dell’indagine te-
oretica. Sotto tale profilo è interessante confrontare la prospettiva di questo
Proemio con i due documenti ecclesiastici della stessa natura che hanno se-
gnato nel Novecento l’evoluzione della coscienza ecclesiale circa la missione
delle Facoltà e la natura degli studi: la Deus Scientiarum Dominus di Pio XI
e la Sapientia Christiana di Giovanni Paolo II.5
La Deus Scientiarum Dominus fu emanata nel 1931, quando erano anco-
ra vivi gli echi della crisi modernista, che aveva sollevato l’interrogativo circa
il valore veritativo della dottrina, rivendicando all’indagine storica il compi-
to di restituire l’accesso autentico all’evento cristologico. Di fatto le sfide su
cui il pensiero cristiano si trovava sollecitato provenivano per un verso dallo
storicismo e dal positivismo e per l’altro da un pensiero politico segnato dal
liberalismo o da incipienti totalitarismi. A tali sfide la Costituzione aposto-
lica rispondeva rivendicando il compito magisteriale della Chiesa, costituita
da Dio magistra divinae veritatis, e individuando la missione delle istituzioni
accademiche ecclesiastiche nella difesa di tale autorità, nel consolidamento
della dottrina cattolica, nello sviluppo dell’armonia tra fede e ragione. È
chiaro che l’orizzonte in cui si poneva la questione della verità era quello

4
J.-L. Marion, Del sito eucaristico della teologia, in Id., Dio senza essere, Jaca Book,
Milano 1987, 169-189, 185.
5
Pio XI, Costituzione Apostolica Deus scientiarum Dominus, in AAS 23 (1931) 241-
262; Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Sapientia Christiana, in AAS 71 (1979)
469-499. Un’utile introduzione ai principi ispiratori di Sapientia Christiana è offerta da
G. Baldanza, La teologia fondante e gli elementi costanti di Sapientia Christiana, «Semina-
rium» 44 (2004) 363-401.
52 Andrea Bozzolo

della teologia apologetica, tesa a mostrare l’effettiva pertinenza del magiste-


ro ecclesiastico per il riconoscimento della verità rivelata da Dio, ma anche
esposta ai numerosi limiti che ne dovevano presto segnare il tramonto. Tra
questi, in particolare, va rilevata la tendenza a intendere il contenuto della
rivelazione nei termini riduttivi di una verità metastorica, ossia, più precisa-
mente, a identificarlo con l’insieme delle “verità soprannaturali”.
Diversa è l’ispirazione di fondo che caratterizza Sapientia Christiana,
emanata da Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato. In questo testo
confluisce la nuova visione conciliare della presenza della Chiesa nel mon-
do, ma prima ancora della natura della rivelazione divina. Riconoscendo la
rivelazione della verità nella persona e nella storia di Gesù, in cui la Trinità
si autocomunica agli uomini, il Vaticano II «libera la nozione di verità dalla
precomprensione astorica tendenzialmente oggettivante, restituendola alla
sua identità propria di evento storico. La verità infatti è indissociabile dall’e-
vento, pena la deriva formalistica».6
A tale impostazione corrisponde un diverso approccio alla questione
degli studi ecclesiastici, cui ovviamente non viene sottratto il riferimento
vincolante alla verità del Vangelo, ma a cui viene attribuito in modo inno-
vativo il compito di assumere un secondo e decisivo riferimento: quello alla
cultura.7 Tale riferimento, implicato nella riscoperta della qualità storica
della rivelazione, diviene d’ora in poi centrale per l’intelligenza e l’annuncio
della verità.

1.2. La verità e la cultura

Il nesso tra verità (cristologica) e cultura (antropologica) richiede nume-


rose precisazioni, perché costituisce questione assai complessa. Il proemio
di Sapientia christiana lo introduce richiamandosi in larga misura agli as-
serti dell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI, arricchita
dall’ispirazione cristocentrica della prima enciclica di Giovanni Paolo II, la
Redemptor hominis. L’intento non è quello di fornire un’elaborazione teorica
della questione, ma piuttosto di mostrarne la centralità per la missione del-

G. Colombo, La ragione teologica, Glossa 1995, 80.


6

La “cultura” è intesa qui nel suo significato antropologico, come il complesso delle
7

forme simboliche con cui un popolo esprime i significati fondamentali della vita comune.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 53

la Chiesa, che sulla scorta del linguaggio conciliare viene ormai nominata
come “evangelizzazione”.8 È l’evangelizzazione, infatti, che implica il dupli-
ce riferimento alla verità e alla cultura, poiché «il distacco tra fede e cultura
costituisce un grave impedimento all’evangelizzazione, mentre al contrario
la cultura informata da spirito cristiano è un valido strumento per la diffu-
sione del Vangelo».9
Per riferimento a questo nodo le affermazioni fondamentali di Sapientia
christiana sono due. La prima riguarda la necessità intrinseca per la Chiesa di
far riferimento alla cultura, anzi alle culture, per svolgere in maniera appro-
priata la propria missione evangelica; se infatti «i modi di pensare, i criteri
di giudizio, le norme d’azione» non sono penetrate dal Vangelo, l’evange-
lizzazione resta esteriore e di fatto non si realizza. La seconda concerne la
trascendenza del Vangelo di Cristo «che è diretto a tutti i popoli di ogni età e
regione» e «non è legato in modo esclusivo ad alcuna cultura particolare»,10
mentre è in grado di permearle tutte.
Non è difficile riconoscere sullo sfondo di questi asserti i complessi di-
battiti circa il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana che ave-
vano animato il Sinodo dei Vescovi del 1974. Proprio i nodi irrisolti di quel
Sinodo avevano suggerito l’esigenza di una ripresa chiarificatrice da parte
di Evangelii nuntiandi, alle cui linee attinge Sapientia christiana. L’annun-
cio del Vangelo ha in sé una profonda forza umanizzatrice, che opera nella
storia come principio di trasformazione culturale. Se per un verso l’aper-
tura alla verità di Cristo è necessariamente mediata dalle forme simboliche
che esprimono presso ogni popolo i significati fondamentali dell’esperienza
antropologica, per l’altro il Vangelo offre una luce che eccede ogni conqui-
sta autonoma del pensiero o della prassi umana, ponendosi dunque come
sorgente di ricomprensione critica e di trasformazione innovativa di ogni
civiltà. L’evangelizzazione non può dunque ridursi alla trasmissione di una
dottrina né alla promozione di una cultura, ma deve lasciarsi guidare dal

8
Per un’introduzione alle diverse interpretazioni del termine e un’elaborazione teolo-
gica delle sue implicanze ci permettiamo di rinviare a A. Bozzolo, L’evangelizzazione: le
dimensioni costitutive della missione ecclesiale, in R. Sala (con A. Bozzolo, R. Carelli e P.
Zini), Pastorale giovanile 1. Evangelizzazione e educazione dei giovani. Un percorso teorico-
pratico, LAS, Roma 2017, 85-123. Più ampiamente: A. Bozzolo – R. Carelli (edd.),
Evangelizzazione e educazione, LAS, Roma 2011.
9
Sapientia Christiana, I.
10
Ibid.
54 Andrea Bozzolo

movimento con cui la verità divina si offre all’incontro, generando nell’uo-


mo la gioia del cuore e la comunione fraterna.

2. L’evangelizzazione

L’articolazione tra verità del Vangelo e storicità delle culture come pure
l’insistenza sul nesso tra la missione evangelizzatrice della Chiesa e la strut-
turazione degli studi ecclesiastici proposte da Sapientia christiana sono pun-
tualmente riprese da Veritatis gaudium.
L’elemento innovativo della Costituzione apostolica di papa Francesco
non concerne dunque il quadro teorico, che è radicato nel tessuto degli
insegnamenti del Concilio e del magistero successivo, di cui il documento
sintetizza i passaggi più rilevanti. Esso consiste piuttosto nell’accentuazione
di alcuni aspetti di tale quadro, che possono giovarsi dell’approfondimento
che le linee conciliari hanno avuto in questi cinquant’anni e delle esperienze
cui hanno dato origine. Tali aspetti riguardano principalmente il modo di
intendere l’evangelizzazione e la portata da riconoscere al momento pratico
dell’esperienza.

2.1. La trasformazione missionaria della Chiesa

Circa l’evangelizzazione, la chiave di lettura di Veritatis gaudium va ricer-


cata nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium e nella richiesta, formu-
lata in quel documento programmatico, di una profonda «trasformazione
missionaria della Chiesa».11 L’interpretazione delle implicanze di tale richie-
sta è tuttora oggetto di vivace dibattito teologico e pastorale, poiché concer-
ne, com’è stato più volte messo in risalto, un percorso di autentica “riforma”
della Chiesa: una riforma che, prima di essere strutturale e organizzativa,
è anzitutto spirituale e pratica.12 La Chiesa, infatti, non può darsi da sé la

11
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, in AAS 105 (2013) 1019-
1137. D’ora in poi citata: EG.
12
Per il dibattito sul tema cfr. A. Spadaro – C.M. Galli (edd.), La riforma e le riforme
nella Chiesa, Queriniana, Brescia 2016; A. Marchetto, La riforma e le riforme nella Chie-
sa: una risposta, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 55

propria forma, ma solo riceverla dal Vangelo. Ciò non è avvenuto soltanto
una volta per tutte al suo inizio, ma continua ad avvenire, all’interno della
vincolante continuità della Tradizione, nel mutare storico delle culture.
La Chiesa, dunque, pur avendo una struttura essenziale permanente, ha
la forma flessibile e dinamica propria delle realtà vive. Essa la realizza nel
duplice riferimento alla verità del Vangelo e al succedersi della storia. I due
riferimenti, come si è detto, non vanno intesi come giustapposti e al limite
contraddittori, ma secondo la complessa correlazione asimmetrica, sopra
tratteggiata. L’epoca non costituisce perciò un’obiezione da cui difendersi,
ma è piuttosto la condizione entro cui aprirsi alla verità trascendente. In
questo senso, si può dire che la forma che la Chiesa deve assumere in un
determinato tempo e luogo dipende dalla figura effettiva di testimonianza
alla verità che essa è chiamata a dare nel mutare delle culture.
È precisamente in questo punto che s’innesta la novità proposta da Evan-
gelii gaudium attraverso le formule della “conversione missionaria della Chie-
sa” e della “Chiesa in uscita”. Provenendo da una stagione in cui l’epoca era
stata intesa più come obiezione che come condizione, la forma storica della
comunità ecclesiale ha corso il rischio di una certa autoreferenzialità, che
ha irrigidito le sue strutture e reso meno leggibile la sua testimonianza. Di
fronte al crescente distacco della cultura condivisa dalle forme dell’evangelo,
Evangelii gaudium mette perciò in guardia da due fraintendimenti della mis-
sione. Il primo è quello che si esprime nell’atteggiamento della “riconquista”
ossia del “dominio ecclesiastico” sulla cultura. Si tratta di un atteggiamento
che, a un primo livello, può essere suggerito dalla nostalgia per il regime di
cristianità, ma più profondamente dipende dall’equivoco che identifica la
“verità” con una “cultura cristiana” presuntivamente universale e astorica. Il
secondo fraintedimento è quello che si esprime nell’“inseguimento” della
cultura, ossia nell’adattamento inerte alle sue inclinazioni e alle sue mode.
Ciò dà origine all’illusione che per evangelizzare sia sufficiente cambiare
strumenti, linguaggi, strutture esteriori “aggiornandole” secondo i canoni
dell’epoca; su questa strada, però, si finisce in quella che Francesco chiama
“mondanità spirituale”: uno svuotamento della testimonianza, di cui riman-
gono solo le posture esteriori.
Escluse le linee devianti, è più semplice tracciare il percorso che consente
alla comunità cristiana di configurarsi effettivamente come Chiesa in uscita.
Si tratta del processo che conduce ad assumere gli interrogativi che emer-
gono all’interno di un’epoca, di un popolo, di una cultura, condividendo
56 Andrea Bozzolo

con tutti la fatica della loro interpretazione, per offrire, all’interno di questo
lavoro congiunto, l’apporto insostituibile della testimonianza cristiana. Se
la Chiesa vuole continuare a essere “per tutti”, anche se in Occidente non è
più “di tutti”, essa deve coltivare quella mistica della fraternità che si esprime
nell’apertura verso l’altro, nell’esposizione coraggiosa al dialogo e al con-
fronto, anche qualora vi sia da sostenere la fatica del conflitto. L’edificazione
di un nuovo umanesimo, di cui il mondo ha urgente bisogno, passa dunque
attraverso una paziente e coraggiosa tessitura di relazioni, poiché solo la fi-
ducia antropologica che è alla base del vivere insieme può valere come gram-
matica attraverso cui rendere intelligibile l’annuncio del Regno di Dio.13 Si
tratta dunque di un cammino di compagnia con gli uomini che costituisce
la condizione perché appaia la verità del Vangelo. Tale cammino appartiene
all’evangelizzazione perché prima di tutto appartiene alla verità (cfr. Lc 24).
A questa necessità, corrisponde il secondo dei criteri proposti da Veritatis
gaudium come principi guida per la riforma degli studi ecclesiastici. Esso è
formulato in questi termini:

Un secondo criterio ispiratore, intimamente coerente con il precedente e da


esso conseguente, è quello del dialogo a tutto campo: non come atteggiamento
tattico, ma come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia
della Verità e per approfondirne il significato e le implicanze pratiche (VG 4b).

La congiuntura che evidenzia la necessità di tale atteggiamento deriva

13
Su questo elemento attira l’attenzione C. Theobald, affermando che «nei testi di
Francesco ci si congeda per la prima volta in maniera chiara dalla classica contrapposizione
tra chiesa e società a favore di una fraternità mai garantita, sempre minacciata dalla violenza
e sempre da concretizzare nuovamente di volta in volta. In primo piano non sta dunque la
questione della verità (anche se non è mai esclusa). Ma al posto di un’autodifesa apologetica
la chiesa offre risorse spirituali specifiche con cui le nostre società, proprio qui in Europa,
potrebbero resistere alle crisi che le sconvolgono. La chiesa viene qui compresa come, per
così dire, una “rabdomante” missionaria che con sensibilità spirituale scova ciò di cui si
parla nel Vangelo come già presente nell’Altro» (Mistica della fraternità. Lo stile nuovo della
Chiesa e della teologia nei documenti programmatici del pontificato, «Il Regno» 60 (2015)
581-588, 587). Mentre sottolinea efficacemente il principio dialogico nel magistero di
Francesco, Theobald tende però ad attrarne l’ispirazione su una linea pragmatico-comuni-
cativa, debitrice del pensiero di Habermas, la cui pertinenza è oggetto di discussione. Cfr.
G. Noberasco, La teologia nell’epoca attuale. C. Theobald, I. Dalferth: modelli a confronto,
«Il Regno» 63 (2018) 283-287.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 57

dall’erosione di una rappresentazione condivisa dei principali nodi antro-


pologici. In regime di cristianità si poteva proporre il Vangelo (la verità)
presupponendo una larga convergenza nell’interpretazione dell’esperienza
umana (la cultura). Il «cambiamento di epoca, segnalato da una complessiva
“crisi antropologica” e “socio-ambientale”» (VG 3) ha però sgretolato quella
convergenza, imponendo un ripensamento radicale che riguarda tutti e che
va attuato insieme. Di fronte alla necessità di cambiare il modello di svilup-
po globale e di ridefinire il progresso, perché sia effettivamente a servizio
dell’uomo, «non disponiamo ancora della cultura necessaria» (VG 3). Per
questo non si può evangelizzare senza fare proprie le domande dell’epoca,
ossia non si può testimoniare la verità, senza condividere la fatica di plasma-
re in modo nuovo la cultura.
Di là dalla congiuntura, però, l’atteggiamento del confronto e della ricer-
ca condivisa riguarda un’esigenza intrinseca all’annuncio cristiano, irriduci-
bile a un atteggiamento tattico o a una strategia comunicativa. Il Vangelo,
infatti, «invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro,
con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con
la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo».14 Per questo la mistica
del vivere insieme, che esclude ogni forma d’isolamento dalla società e ogni
tentazione di consumismo spirituale, è connotazione essenziale dell’espe-
rienza cristiana.

2.2. La mediazione pratica del sapere

Chiaramente, assumere l’istanza del “dialogo” e del “cammino condivi-


so” come momento essenziale della testimonianza della verità, significa attri-
buire una rilevanza veritativa ad un comportamento pratico. Arriviamo così
a uno dei nodi più delicati della visione proposta dalla Costituzione Aposto-
lica in esame e, più complessivamente, dal magistero di papa Francesco. Tale
nodo non è espresso, come già rilevato, nella forma di una teorizzazione
rigorosa, ma traspare in vari punti del documento. In un primo passaggio
il papa afferma che «uno dei contributi principali del Concilio Vaticano
II è stato proprio quello di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra
fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto

14
EG 88.
58 Andrea Bozzolo

della teologia, il modo di fare e di pensare credente» (VG 2). Più avanti, il
testo mette in guardia da un pensiero chiuso e autoreferenziale, asserendo
che «il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un
mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto,
sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo» (VG 3).
A un primo livello, questo ordine di riflessioni corrisponde a uno dei ca-
pisaldi del pensiero di papa Francesco, espresso nella nota formula secondo
cui «la realtà è superiore all’idea».15 Tale principio rivendica una correlazione
originaria tra il pensiero e la realtà: «Esiste anche una tensione bipolare tra
l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora».16 Tale correla-
zione, però, non è pacifica e scontata, perché il rischio che il pensiero si li-
miti a riflettere sulle formule, anziché fare la fatica di interpretare l’esperien-
za effettiva, è reale e sempre in agguato. La rappresentazione concettuale,
invece, è sempre in debito nei confronti della “concretezza” del reale, ossia
nei confronti del modo in cui i fenomeni si manifestano originariamente
alla coscienza e del senso che esibiscono alla libertà.17 Schemi di pensiero
autoreferenziali, che presumono di scavalcare l’ascolto e l’interpretazione
del vissuto, per ridursi all’elaborazione di connessioni concettuali, impedi-
scono ai fenomeni di mostrarsi nella loro genuinità. Il pregiudizio conduce
all’occultamento di aspetti importanti della realtà, generando forme diverse
di ideologia.18 Il riferimento al nesso tra idea e realtà non va dunque inteso
come una sterile polemica nei confronti di chi coltiva professionalmente
l’impegno riflessivo, che anzi la Costituzione Apostolica intende rilanciare
come vero carisma al servizio della Chiesa, ma piuttosto come un richiamo a
non pretendere di ridurre la complessità del reale in schemi teorici chiusi. Il
pensiero riflesso che esplicita le ragioni di universalità dell’esperienza umana
ha un debito nei confronti del sapere originario, interno a quell’esperienza,
e non può in alcun modo presumere di sostituirlo.
A un secondo livello, l’insistenza sulla mediazione pratica del sapere ri-

15
EG 231.
16
Ibid.
17
Pertinenti considerazioni al riguardo sono svolte da D. Albarello, «La grazia suppo-
ne la cultura». Fede cristiana come agire nella storia, Queriniana, Brescia 2018, in particolare
nelle pagine 113-127.
18
EG 231 nomina «i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi di-
chiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi
senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza».
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 59

manda ulteriormente all’assunzione dell’esercizio concreto della missione


come luogo specifico di comprensione del Vangelo. Christoph Theobald
ha nominato questo tema come introduzione del «principio di “pasto-
ralità” nel cuore della dottrina»,19 vedendone l’espressione più compiuta
nell’affermazione di GS 44: «Tale adattamento della predicazione della pa-
rola rivelata [verbi revelati accomodata praedicatio] deve rimanere legge di
ogni evangelizzazione [lex omnis evangelizationis]». Secondo Theobald con
questa formula il magistero cattolico, per la prima volta nella sua storia, ha
esplicitato «la struttura propriamente “ermeneutica” della tradizione evan-
gelica e kerygmatica», riconoscendo, attraverso il riferimento ai recettori
del Vangelo nella loro collocazione storico-culturale, la relazionalità stessa
del mistero cristiano.
Da ciò deriva che la accomodata predicatio del Vangelo, nel suo intrinseco
riferimento alla molteplicità delle culture, dia accesso a forme inedite della
sua comprensione, originando nuovi punti di vista strettamente connessi
alle matrici culturali dei diversi popoli e continenti. L’inclinazione dottri-
nalistica a un pensiero unico, che in realtà era debitrice di una cultura di
riferimento unitaria che nel frattempo si è corrosa, deve dunque lasciare
spazio a un pensiero contestuale, che riconosce di radicarsi nei diversi “con-
tinenti” della teologia. Al riconoscimento della mediazione pratica (et qui-
dem pastorale) del sapere corrisponde dunque la proposta di una forma di
conoscenza, «in cui il modello di riferimento e di risoluzione dei problemi
“non è la sfera […] dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono
differenze tra un punto e l’altro”, ma “il poliedro, che riflette la confluenza
di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità”» (VG 4d,
citando EG 236).
La cattolicità del pensiero, dunque, non corrisponde alla rigidità mo-
nolitica di una sola visione, ma alla «polarità tensionale tra il particolare e
l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire
questa tensione va contro la vita dello Spirito» (VG 4d). Si tratta di un’affer-
mazione importante perché, mentre individua il riferimento all’esperienza
pratica come sorgente di una molteplicità di sguardi, sottolinea parimenti il
riferimento all’unità, ponendo entrambi sotto il comune riferimento all’a-

19
C. Theobald, Spirito di santità. Genesi di una teologia sistematica, EDB, Bologna
2017, 15. Cfr. sul tema Id., La recezione del Vaticano II,1. Tornare alla sorgente. EDB, Bolo-
gna 2011; Id., L’avvenire del Concilio. Nuovi approcci del Vaticano II, EDB, Bologna 2016.
60 Andrea Bozzolo

zione dello Spirito, che presiede all’attuazione virtuosa della tensione tra i
due poli, ponendosi come il principio dell’armonia ecclesiale.
L’importanza dell’affermazione deriva dal fatto che, a fianco del rischio
di un’univocità soffocante, esiste, non meno gravido di conseguenze perico-
lose, quello opposto del multiculturalismo esasperato. Se il primo, come si è
detto, identifica tendenzialmente la verità con una cultura, il secondo so-
stanzialmente tende a svincolare le culture dalla verità, considerandole come
mere costruzioni convenzionali, riferite al funzionamento della società, ma
sganciate dall’ontologia della coscienza e dalla sua strutturale apertura al
vero. Si tratta indubbiamente di una questione complessa, che ha conse-
guenze rilevanti sul modo di intendere l’inculturazione o piuttosto, come
aveva suggerito l’allora card. Ratzinger nei suoi ripetuti e puntuali interventi
sul tema, l’interculturalità della fede.20
Le culture, infatti, non sono “gusci vuoti”, semplici forme di organizza-
zione sociale dei comportamenti; esse danno orientamento all’esistenza dei
singoli e, come ormai la ricerca antropologica riconosce in modo largamen-
te convergente, hanno un’originaria matrice religiosa.21 Per questo la polari-
tà tensionale dell’incontro tra le culture è impresa tanto necessaria, quanto
complessa. Per quanto riguarda l’Occidente postmoderno, uno degli aspetti
più insidiosi è l’orientamento a veicolare l’astrazione dalla verità come l’u-
nico principio che può fondare la pacifica convivenza all’interno di società
multiculturali e multireligiose. La rinuncia alla verità, però, è la rinuncia
all’uomo. Se la cultura pubblica tende a declinarsi in forme che isolano la
coscienza, inducendo l’oggettivazione asettica dei dati e la privatizzazione
soggettivistica del senso, il cambio di paradigma richiesto va nella direzione
di una cultura che dia voce alle esperienze fondamentali dell’esistenza e pro-
pizi la condivisione del loro significato. È proprio nello sforzo di condivide-
re questo impegno con tutti, che la comunità ecclesiale troverà nuovi spazi
per testimoniare la luce del Vangelo.

20
Cfr. J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza, Cantagalli, Siena 2003.
21
«Le culture si appellano alla saggezza degli “antichi”, i quali stavano più vicino agli
dei; si appellano a tradizioni primordiali che hanno caratteri di rivelazione, quindi non
derivano soltanto dall’indagare e dal riflettere dell’uomo, ma da un contatto originario col
fondamento di tutte le cose, da una comunicazione del divino» (J. Ratzinger, Fede, Verità,
Tolleranza, 63-64).
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 61

3. Il sapere

Ci troviamo così di fronte alla questione del sapere, che ovviamente è


determinante per l’obiettivo di rinnovamento delle istituzioni accademiche
ecclesiastiche promosso da Veritatis gaudium. La diagnosi proposta dal do-
cumento individua il problema cui porre rimedio riferendosi «al frammen-
tato e non di rado disintegrato panorama odierno degli studi universitari e
al pluralismo incerto, conflittuale o relativistico, delle convinzioni e delle
opzioni culturali» (VG 4).
In effetti il pensiero occidentale moderno ha conosciuto una parabola
che ha virato dalla presunzione della ragione illuministica di poter garan-
tire all’uomo l’emancipazione e la libertà, al riconoscimento condiviso del
suo drammatico fallimento, sancito dalla violenza ideologica perpetrata dai
diversi totalitarismi storici. È nota, per la sua lucida chiarezza, la diagnosi
formulata da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno all’inizio di Dialettica
dell’illuminismo: «L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in conti-
nuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini
la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata risplende
all’insegna di trionfale sventura».22
Il vuoto lasciato dal crollo delle ideologie, peraltro, è stato immediata-
mente colmato dalla vischiosità di un sistema di potere che replica in ma-
niera storicamente inedita, perché per la prima volta globalizzata, la pretesa
di ogni sistema omologante, ossia il controllo totale del mondo. L’omologa-
zione culturale cresce di pari passo con la sollecitazione al continuo esercizio
della scelta, utilizzando l’esaltazione della libertà individuale come grimal-
dello per alimentare il mercato globalizzato dei beni di consumo. Si celebra
la libertà dell’individuo, ma riducendola al potere di scelta dei prodotti che
ottimizzano il godimento. La crisi della ragione procedurale con il crollo
delle ideologie finisce così per porsi al servizio del «monoteismo del sé», os-
sia del culto ossessivo della libertà individuale e dell’affermazione dei propri
diritti e desideri.23 È il trionfo di Narciso e del suo «insostenibile bisogno

22
M. Horkheimer – T. W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino
1966, 11.
23
P. Sequeri, La cruna dell’ego. Uscire dal monoteismo del sé, Vita e Pensiero, Milano
2017.
62 Andrea Bozzolo

di ammirazione»,24 che segnala una disperata assenza di legami e alimenta


senza scrupoli la cultura dello scarto.
La linea su cui procedere per «un radicale cambio di paradigma, anzi
[...] una coraggiosa rivoluzione culturale» (VG 3) è individuata da Veritatis
gaudium in un recupero della dimensione sapienziale del sapere, che non si
limiti alla coltivazione di competenze specialistiche, ma provveda alla loro
integrazione in una visione unitaria e in una sintesi orientativa. «Questa
precisa e orientatrice direttiva di marcia» – dice esplicitamente il pontefice
– «non solo esplicita l’intrinseco significato veritativo del sistema degli studi
ecclesiastici, ma ne evidenzia anche, soprattutto oggi, l’effettiva rilevanza
culturale e umanizzante» (VG 4c).
La raccolta della pluralità dei saperi «nell’unità della sua sorgente trascen-
dente e della sua intenzionalità storica e metastorica, quale è dispiegata esca-
tologicamente in Cristo Gesù» costituisce dunque la prospettiva entro cui
“ripensare il pensiero”. Per questo la Costituzione apostolica individua un
terzo criterio di rinnovamento riferendosi alla «inter- e trans-disciplinarità
esercitate con sapienza e creatività nella luce della Rivelazione» (VG 4c). La
proposta accademica degli studi ecclesiastici, infatti, deve caratterizzarsi sul
piano dei metodi e dei contenuti per l’assunzione del principio dell’«unità
del sapere nella distinzione e nel rispetto delle sue molteplici, correlate e
convergenti espressioni» (VG 4c).
Ciò pone due ordini di questioni. Sul piano metodologico, e prima an-
cora pedagogico, si tratta di chiarire che cosa s’intenda per «unità del sape-
re»; sul piano teologico occorre riflettere sull’apporto specifico che la teolo-
gia – in quanto sapere della fede – può offrire a tale unità.

3.1. L’unità del sapere

La questione dell’unità del sapere e dell’esigenza di una riforma del pensiero


è al centro di un vivace dibattito culturale, che trova nelle riflessioni di Edgar
Morin un significativo luogo di confronto. La denuncia espressa dall’autore
s’indirizza contro l’esasperata ripartizione disciplinare del sapere, che impedi-
sce di affrontare problemi che richiedono approcci multidisciplinari ed espone
al rischio della oggettivazione dei dati indagati. Secondo Morin

24
G. Pietropolli Charmet, L’insostenibile bisogno di ammirazione, Laterza, Bari 2018.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 63

l’istituzione disciplinare comporta un rischio di iperspecializzazione del ricer-


catore e un rischio di “cosificazione” dell’oggetto studiato, del quale si rischia
di dimenticare che è estratto dal contesto o costruito. L’oggetto della disciplina
sarà allora percepito come una cosa autosufficiente; i legami e le solidarietà di
questo oggetto con altri oggetti, trattati da altre discipline, saranno trascurati,
così come lo saranno i legami e le solidarietà con l’universo di cui l’oggetto fa
parte. La frontiera disciplinare, il suo linguaggio e i suoi concetti isoleranno una
disciplina rispetto alle altre e rispetto ai problemi che scavalcano le discipline.
Lo spirito iperdisciplinare diventerà lo spirito del proprietario che impedisce
ogni incursione di estranei nel suo frammento di sapere.25

Poiché, secondo l’efficace formula di Montaigne che Morin fa propria,


«una testa ben fatta è meglio che una testa ben piena», ripensare il pensiero
– le sue forme e la sua trasmissione – è divenuta un’esigenza cruciale. La Co-
stituzione apostolica invita a farvi fronte, impegnandosi a favorire il dialogo
tra i saperi, «non tanto nella sua forma “debole” di semplice multidiscipli-
narità […] quanto nella sua forma “forte” di transdisciplinarità» (VG 4c).
La multidisciplinarità, spiegano gli esperti, «è comunemente intesa come
un approccio “orizzontale” tra discipline che permette una comprensione
più adeguata di un dato oggetto il cui studio, per la sua complessità, diffi-
cilmente potrebbe essere colto con un singolo metodo disciplinare».26 Si ha
così l’interazione tra discipline e metodi diversi che, consapevoli della par-
zialità di ogni approccio e dell’indispensabile apporto di altri saperi, danno
origine a nuove aree integrate di indagine, che si giovano della trasposizione
di modelli e di strutture in nuovi metodi comuni di ricerca. La transdisci-
plinarità, invece, costituisce un livello di unificazione dei saperi più elevato,
poiché punta non solo all’interazione tra le discipline, ma a una vera inte-
grazione all’interno di un sistema aperto. Essa è intesa come «una indagine
caratterizzata da una dipendenza “verticale” che il metodo e l’oggetto di una
data disciplina possono assumere quando vengono compresi alla luce di un
sapere più generale e fondante, dal quale può acquisire princìpi operativi,
asserti o modelli esplicativi».27

25
E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Corti-
na, Milano 2000, 112.
26
S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità. Una proposta epistemo-
logica, «Sophia» 1 (2008) 61-70, 63.
27
S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità, 65. La Carta della
64 Andrea Bozzolo

In questo senso i diversi approcci analitici al reale sono chiamati a svolge-


re una riflessione metadisciplinare che li conduca a riconoscere la loro collo-
cazione in una visione più ampia, che ultimamente non può che rimandare
a quella conoscenza integrata della vita, che la tradizione biblica nomina
come “sapienza”. Non a caso, con il termine hokma la Scrittura designa
diversi livelli di sapere tra loro integrati, che riguardano tutte le dimensioni
dell’umano. Anzitutto la perizia tecnica, la competenza nel lavoro, l’abilità
organizzativa, l’esperienza accumulata. In secondo luogo, e più profonda-
mente, la capacità di discernimento, l’attitudine a distinguere il bene dal
male, l’abilità nel riconoscere il giusto cammino e nel trovare i mezzi per
perseguirlo. Infine e soprattutto un dono interiore che nasce dall’ascolto
della parola di Dio e dall’adesione alla sua legge, poiché «principio della
sapienza è il timore del Signore» (Pr 9,10).
Restituire al sapere delle specializzazioni il suo radicamento nella visione
sapienziale, significa dunque riconoscere che

il tema dell’unità del sapere non può limitarsi alla semplice riflessione sull’arti-
colazione che le varie discipline dovrebbero possedere in un progetto di ricerca
o in un programma di formazione universitaria, ma va impostato su basi più
profonde. Essa deve giungere a coinvolgere non solo “le scienze”, ma soprattut-
to “la persona che fa scienza”.28

Se è vero, come affermava Agostino, che «in interiore homine habitat


veritas»,29 le procedure e i metodi con cui ogni disciplina indaga il proprio
oggetto di studio non possono né debbono rimuovere l’appello con cui la
verità si indirizza all’uomo nel profondo del suo essere. La presenza di tale
appello invita a riconoscere che ogni indagine dell’uomo chiama in causa
più profondamente la ricerca sulla sua identità e sul mistero che lo abita. Il
sapere della scienza non può dunque essere dissociato dal sapere della coscien-
za, luogo originario in cui la verità si dona e ci interpella.

transdisciplinarità, redatta nel 1994 da B. Nicolescu, E. Morin e L. De Freitas, è acces-


sibile su http://disf.org/carta-transdisciplinarieta.
28
G. Tanzella-Nitti, Unità del sapere, in G. Tanzella-Nitti – A. Strumia (edd.),
Dizionario interdisciplinare di scienza e fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, Urbania-
na University Press – Città Nuova, Città del Vaticano – Roma 2002, vol. II, 1410-1431,
1424.
29
Agostino, De vera religione, XXXIX, 72.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 65

3.2. La teologia e l’unità del sapere

L’unità del sapere, secondo Veritatis gaudium, trova una sua specifica e
originale forma di attuazione alla luce dell’evento della Rivelazione, poiché
in Cristo «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col
2,3). Ciò non significa, ovviamente, misconoscere la specificità epistemolo-
gica di ogni indagine disciplinare, ma piuttosto identificare il punto in cui
la complessità dell’esperienza storica dell’uomo può essere unificata. Gesù
Cristo è, infatti, l’Alfa e l’Omega di tutta la creazione; egli non si “aggiunge”
all’ordine creato, ma ne è il principio eccedente, poiché «tutte le cose sono
state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
Non vi è da temere che la prospettiva cristocentrica, che è la chiave di
comprensione rigorosa di tutta la teologia, possa in qualche modo sminuire
l’autonomia delle realtà create e, conseguentemente, delle discipline che le
indagano. Il cristocentrismo, infatti, mentre afferma che l’evento di Gesù di
Nazaret è principio e compimento dell’autocomunicazione del Dio trinita-
rio agli uomini, asserisce che la libertà dell’uomo non è destinataria passiva
di tale evento, ma è pienamente coinvolta, con rilievo intrinseco per quanto
asimmetrico, nel suo accadere. Gesù di Nazareth, infatti, non viene solo “dal
cielo”, ma anche e realmente “dalla terra”. Egli è figlio del Padre e di Maria;
figlio dunque del suo popolo, figlio di Davide, figlio di Abramo, addirittura
figlio di Adamo (Lc 3,38) come le genealogie neotestamentarie pongono in
risalto. La sua divinità, ha sempre insegnato il dogma, nulla toglie alla sua
umanità; il carattere eccedente e singolare della sua identità non sottrae si-
gnificato alla storia che lo precede, perché questa concorre realmente a porre
le condizioni di possibilità del suo avvento.
Si comprende dunque come il carattere unificante dello sguardo della
fede non implichi in alcun modo una sottrazione di autonomia ai saperi
della scienza, ma piuttosto lo postuli, tutelandone la specificità nello stesso mo-
mento in cui ne riconosce la collocazione in un orizzonte che li supera. Da que-
sta visione deriva la necessità di riconoscere il ruolo specifico che la teologia,
in quanto sapere critico della fede, ha nel favorire il processo, mai compiuto,
di un’elaborazione del sapere che corrisponda al dono incomparabile della
rivelazione cristologica.30 A questo riguardo afferma Piero Coda:

30
È interessante richiamare a questo riguardo un tratto del discorso che Benedetto
XVI tenne nel 2007 alla Delegazione della Facoltà di Teologia cattolica dell’Università
66 Andrea Bozzolo

In ragione del suo statuto epistemico, la teologia può e deve contribuire a istitu-
ire quello spazio vitale e sapienziale (ultimamente fondato nell’avvento di Dio
nella storia degli uomini che è Gesù) in cui i diversi saperi, ciascuno nell’eser-
cizio del proprio metodo e nell’indagine intorno al proprio oggetto, possano
contribuire a promuovere i sentieri molteplici della verità nell’amore. In con-
formità a ciò, la teologia può e deve di concerto intessere un dialogo bilaterale
e proficuo per entrambe le parti con i diversi saperi.31

Il beneficio reciproco dell’integrazione e del dialogo dovrebbe a questo


punto risultare persuasivo. Così come e perché il compimento cristologico
non annulla il movimento della libertà antropologica che lo anticipa e lo
rende possibile, allo stesso modo la teologia non può intendere la rivelazione
scavalcando l’apporto delle discipline che s’interessano alle diverse forme in
cui si articola l’esperienza umana. E viceversa, così come e perché l’uomo
non giunge a capo di sé se non per un dono che lo precede e lo supera,
allo stesso modo le scienze e le discipline umanistiche sono strutturalmente
chiamate a restare aperte nei confronti del darsi di un «fenomeno saturo»
quale è la rivelazione divina, dalla cui luce possono ricavare orientamento
per l’intelligenza dei fenomeni cui mira, secondo metodi specifici, il loro
sguardo.32 Gli avverbi inconfuse e indivise con cui Calcedonia ha definito i

di Tübingen, richiamando i suoi ricordi personali relativi all’assegnazione delle cattedre


universitarie: «Era molto interessante che quando, per esempio, doveva essere assegnata
una cattedra di Matematica, o di Assiriologia, o di Fisica dei corpi solidi o qualunque altra
materia, il contributo da parte delle altre Facoltà era minimo e tutto si risolveva piuttosto
rapidamente, perché quasi nessuno osava dire la sua. Già un po’ diversa era la situazione
nelle Discipline umanistiche. E quando si trattava delle cattedre di Teologia in entrambe le
Facoltà, in fin dei conti, tutti dicevano la loro, sicché si vedeva che tutti i docenti dell’Uni-
versità si sentivano in qualche modo competenti in Teologia, avevano la sensazione di pote-
re e di dovere partecipare alla decisione. Ovviamente la Teologia stava loro particolarmente
a cuore. Così, da una parte, si percepiva che i colleghi delle altre Facoltà in qualche modo
consideravano la Teologia come cuore dell’Università e, dall’altra, che la Teologia, appunto,
è qualcosa che riguarda tutti, di cui tutti si sentivano coinvolti e in qualche modo si sape-
vano anche competenti. In altre parole, a pensarci bene, questo significa che proprio nel
dibattito sulle cattedre di Teologia l’Università poteva essere sperimentata come Università»
(Insegnamenti di Benedetto XVI. Vol. III.1, LEV, Città del Vaticano 2008, 540-543, 541).
31
P. Coda, Il sapere di Dio e i saperi dell’uomo. Per una teologia in dialogo, «Sophia» 1
(2008) 35-46, 42. Sul tema cfr. anche C. Giuliodori (ed.), Ordo sapientiae. Per un dialogo
fecondo tra teologia e saperi, Vita e pensiero, Milano 2017.
32
Proprio per questo, l’unitarietà transdisciplinare di cui si parla, «non sarà certamente
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 67

rapporti tra la natura e la natura umana in Gesù Cristo, possono illuminare


anche il rapporto tra i saperi, con l’avvertenza però che, come ha notato
Balthasar, essi non identificano confini da non valicare, ma distinzioni da
custodire nell’unità.33
Va notato peraltro che il ruolo peculiare della teologia per l’unità del
sapere implica due precisazioni. La prima riguarda l’effettivo riconoscimen-
to della fede come sorgente di sapere e quindi come principio non solo di
contenuti, ma anche di una forma della ragione: la ragione teologica. Tale
dato va richiamato perché è stato a lungo misconosciuto. Lo schema del
duplex ordo, su cui è stata edificata la teologia nell’epoca moderna, presup-
poneva infatti un’idea di ragione alternativa alla fede. Era l’idea di “ragione
separata” propria dell’epoca, che la teologia, nel suo intento apologetico, ha
accolto come interlocutrice, senza verificarne criticamente la consistenza.
L’apologetica moderna, infatti, si è limitata a difendere l’autentica possibi-
lità di uno spazio per la fede «oltre» la ragione; il prezzo dell’impresa però è
stato altissimo ed è consistito nel dar corso a un assetto teorico secondo cui
il credere inizia dove il sapere finisce. Da ciò è derivata, nel sentire diffuso,
una concezione riduttiva della fede, intesa «come un salto nel vuoto che
compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una
luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazio-
ne privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune
per rischiarare il cammino».34
Il rinnovamento della teologia della rivelazione avvenuto nel Novecento
ha naturalmente implicato il tramonto dell’apologetica e il ripristino della

attuabile sul modello dell’unità del sapere medievale, in cui le varie scienze dell’epoca erano
ritenute ancelle della teologia quale scienza regina; nell’unitarietà della quale parliamo le
varie discipline dovranno necessariamente godere di una distinzione ed autonomia proprie
nella quale potranno sviluppare la ricerca della verità secondo il loro oggetto formale; ma
allo stesso tempo i diversi piani della conoscenza umana potranno convergere autonoma-
mente nell’unità della persona umana quale unico soggetto dell’impresa scientifica e del suo
aprirsi al trascendente» (S. Rondinara, Dalla interdisciplinarità alla transdisciplinarità, 68).
33
«Il “confine” posto dal Concilio di Calcedonia a distinzione delle due nature nel
Cristo è in fondo non confine che divide, ma possibilità di una diretta unione: di quelle
sante nozze tra Dio e la sua creatura, la cui realizzazione sostanzialmente è rappresentata
dal Cristo, dalla Chiesa, dallo Spirito Santo» (H.U. von Balthasar, Fides Christi, in Id.,
Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1985, 41-74,72).
34
Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, 3.
68 Andrea Bozzolo

ragione teologica, istituita sul fatto che la fede è realmente una forma di
sapere, propriamente “la” forma (singolare) di sapere che corrisponde all’e-
vento (singolare) di Gesù. Ciò permette ulteriormente di precisare che se
alla teologia compete un ruolo specifico nell’unificazione dei saperi, ciò è
vero in seconda battuta. In prima battuta il carattere unificante appartiene
originariamente alla fede, che non è ovviamente esclusiva del teologo, ma ap-
partiene a ogni credente. E ulteriormente permette di precisare che la pos-
sibilità della teologia di onorare effettivamente il proprio compito dipende
ultimamente dall’impegno del teologo a pensare criticamente la fede, ossia
a svolgere criticamente il sapere cui la fede dà origine; egli non lo potrà fare
se non permettendo all’evento che sta al principio della fede, ossia all’evento
di Gesù Cristo, di dominare realmente la sua vita.

4. L’università

Le indicazioni relative al volto che devono assumere le Università e le


Facoltà ecclesiastiche non possono che essere la logica conseguenza del dise-
gno fin qui emerso. Dalla tensione evangelizzatrice di una Chiesa in uscita e
dall’aspirazione al superamento della dispersione dei saperi deriva l’esigenza
di pensare l’università in una logica di comunione intellettuale e di rete
istituzionale. Così si esprime, difatti, il quarto e ultimo criterio per il rinno-
vamento degli studi ecclesiastici:
[vi è] la necessità urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni che, in ogni
parte del mondo, coltivano e promuovono gli studi ecclesiastici, attivando con
decisione le opportune sinergie anche con le istituzioni accademiche dei diversi
Paesi e con quelle che si ispirano alle diverse tradizioni culturali e religiose,
dando vita al contempo a centri specializzati di ricerca finalizzati a studiare i
problemi di portata epocale che investono oggi l’umanità, giungendo a propor-
re opportune e realistiche piste di risoluzione (VG 4d).

Circa la comunione intellettuale, è chiaro che l’unità del sapere è possi-


bile soltanto se «il campus universitario viene compreso come un luogo di
incontro non accidentale, un’area definita da un’architettura intellettuale,
ancor prima che da un disegno logistico, urbanistico o funzionale».35 La ten-

35
G. Tanzella-Nitti, Unità del sapere, 1420.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 69

sione verso l’unità del sapere, difatti, dovrebbe appartenere strutturalmente


alla stessa idea di università. Come ebbe a ricordare Giovanni Paolo II nel
1988, in occasione del suo incontro con il mondo della cultura presso la
sede dell’Ateneo torinese:

È proprio caratteristica dell’università, che è per antonomasia “universitas stu-


diorum” a differenza di altri centri di studio e di ricerca, coltivare una conoscen-
za universale, nel senso che in essa ogni scienza dev’essere coltivata in spirito
di universalità, cioè con la consapevolezza che ognuna, seppure diversa, è così
legata alle altre che non è possibile insegnarla al di fuori del contesto, almeno
intenzionale, di tutte le altre. […] Si esige quindi che l’università diventi un
luogo di incontro e di confronto spirituale in umiltà e coraggio, dove uomini
che amano la conoscenza imparino a rispettarsi, a consultarsi, a comunicare, in
un intreccio di sapere aperto e complementare, al fine di portare lo studente
verso l’unità dello scibile, cioè verso la verità ricercata e tutelata al di sopra di
ogni manipolazione.36

L’invito è tanto più pressante, quanto più è matura la consapevolezza


della crisi di un’istituzione accademica intesa come cittadella anarchica del-
le specializzazioni, in cui l’equivalenza formale di tutti i saperi ammessi si
traduce nell’autoreferenzialità insindacabile dei dipartimenti. Tale modello
infatti, secondo la lucida diagnosi di Sequeri, fonda la legittimazione teorica
del sapere su

una competenza istituita e regolata corporativamente dalla omologazione profes-


sionale, più che dal merito specifico dell’oggetto e dalla qualità generale delle
argomentazioni. Nessuno può intervenire credibilmente, per definizione, su un
oggetto che appartiene ad un campo professionalmente diverso dal proprio.
Nemmeno se ci riesce. In compenso, tutti possono intervenire autorevolmente
su tutto, purché dichiarino di farlo entro i limiti della propria qualificazione
professionale.37

Il superamento dell’assuefazione a questo regime “politico” di riparti-


zione del potere culturale, richiede ovviamente un notevole investimento

36
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XI.3, LEV, Città del Vaticano 1991, 550-551.
37
P. Sequeri, Università e Chiesa. Per un nuovo umanesimo, «Vivens Homo» 12 (2001)
284-298, 295.
70 Andrea Bozzolo

creativo, perché comporta l’elaborazione convergente dei grandi nuclei


dell’esperienza umana – estetici, etici e religiosi – sui quali poggia il sapere
(e prima ancora l’esistenza) di tutti.38
È significativo dunque che Veritatis gaudium richiami esplicitamente le
grandi intuizioni di Newmann e di Rosmini circa le forme del pensiero e
i luoghi dell’educazione. Rosmini, infatti, individuava già nell’Ottocento
la necessità di ripristinare nell’educazione cristiana i quattro pilastri su cui
poggiava nei primi secoli del cristianesimo l’edificio educativo: «l’unicità di
scienza, la comunicazione di santità, la consuetudine di vita, la scambievo-
lezza di amore». Nella sua visione, l’ammaestramento esemplare dato dagli
antichi «non finiva in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in una
continua conversazione che avevano i discepoli co’ maestri».39 L’unità di te-
oria e pratica, di scienza e santità era per lui il nucleo del sapere cristiano da
trasmettere alle giovani generazioni. Il rinnovamento delle istituzioni uni-
versitarie non può che provenire da tale nucleo, ossia dall’esperienza vitale
di una verità che genera autentica comunione.
Circa l’attivazione di reti istituzionali, Veritatis gaudium ne individua
l’opportunità soprattutto in vista di due obiettivi. Il primo concerne la qua-
lità del sapere richiesto in un’epoca di difficile transizione, in cui le istitu-
zioni accademiche sono chiamate a essere veri laboratori culturali capaci
di elaborare nuovi paradigmi di pensiero e di azione. Il secondo riguarda
la presa di coscienza dell’interdipendenza planetaria, connessa alla crescita
della responsabilità verso la casa comune del creato, e della molteplicità dei
modelli culturali. L’elaborazione di «sistemi di rappresentazione della reli-
gione cristiana» capaci di entrare in profondità in mondi culturali diversifi-
cati e di rendere possibile l’annuncio in un mondo segnato dal pluralismo
etico e religioso richiede una sinergia di sforzi e un confronto di visioni che
è possibile solo attraverso un’interazione istituzionale di alta qualità. Per
rispondere alle esigenze di una Chiesa in uscita, quindi, anche gli studi ec-
clesiastici devono poter godere di centri specializzati per l’approfondimento
delle più rilevanti questioni all’ordine del giorno in rapporto con i diversi
ambiti scientifici.
L’impegno che deriva da tali indicazioni impone un processo di ripen-
samento dell’istituzione accademica – delle sue articolazioni e dei suoi cur-

38
Cfr. gli apporti del fascicolo Sull’idea di Università, «Communio» n. 235 (2013).
39
A. Rosmini, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, cap. II, cit. in VG 4c.
Trasformazione missionaria e rinnovamento degli studi 71

ricola, ma soprattutto della sua visione e del suo spirito – che è indubbia-
mente ardito ed esigente. Proprio per questo Veritatis gaudium ricorda che
«la teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro
missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla
frontiera» (VG 5). Per quanto onerosa e complessa, la rigenerazione delle
Università e Facoltà ecclesiastiche delineata dalla Costituzione Apostolica è
la risposta seria e rigorosa che la comunità ecclesiale intende dare alle sfide
culturali, spirituali e educative che sorgono dal cambio di epoca. L’assun-
zione coraggiosa del rinnovamento della cultura è la frontiera cui non ci si
può sottrarre, perché l’annuncio del Vangelo di Cristo risuoni come parola
luminosa che fa sperimentare la gioia della verità.

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