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A .˙. G . ˙ . D . ˙ . G . ˙ . A . ˙ . D . ˙ . U . ˙ .

LIBERTA’ UGUAGLIANZA FRATERNITA’

GRAN LOGGIA D’ITALIA


DEGLI
A. ˙. L. ˙.A. ˙ . M . ˙.

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DI
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OBBEDIENZA DI PIAZZA DEL GESU’
PALAZZO VITELLESCHI

ORIENTE DI TORINO
R . ˙ . L . ˙ . “ ERIDANIA “

XIII giorno del X mese dell’anno MMXXI E.V.

HANS JONAS E IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA'

Fr . ˙ . III Alessandro Rossi

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Può darsi che non siate responsabili
per la situazione in cui vi trovate,
ma lo diventerete
se non fate nulla per cambiarla.
(Martin Luther King)

Hans Jonas, filosofo e storico delle religioni (Mönchengladbach, 1903 - New


York, 1993), nella sua opera più importante, "Il principio di responsabilità"
(1979), sferra una critica al “Prometeismo” o “Principio di Speranza”, cioè l'idea
di una possibilità illimitata di intervento umano sulla natura mediante lo sviluppo
tecnico-scientifico.
Secondo Jonas il principio di speranza ha condotto ad una concezione relativistica
dei valori e della stessa etica, rendendola soggettiva.
In lui è radicata la convinzione che, nel rapporto alienato dell’uomo con la natura
vada ricercata una delle prime cause della crisi della civiltà occidentale.
L’avvento della tecnologia ha creato le condizioni affinché tale conflitto sia
sfociato nella irreversibile alterazione della condizione umana e nella distruzione
dell’equilibrio della biosfera.
Sorge, quindi, la necessità di assumersi nuove responsabilità, modellandole
sull’archetipo della relazione naturale e non-reciproca padre-figlio.
Il bambino è l’essere naturale più vulnerabile e rappresenta, quindi, il riferimento
primario del principio che intende regolare ed estendere la responsabilità morale
nei confronti delle future generazioni; generazioni la cui esistenza è minacciata
dalle odierne potenzialità nichilistiche della tecnica.
Contro l’irrazionalismo e il nichilismo morale, il “Principio di Responsabilità” di
Jonas intende porsi come la riformulazione dell’imperativo categorico di I. Kant
in termini attuali:
"Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la
permanenza di un’autentica vita umana sulla terra".
Una soluzione si prospetterà solo nel momento in cui l'uomo, posto dinanzi alla
situazione-limite a cui ha condotto lo sviluppo tecnico-scientifico, riuscirà a

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prendere consapevolezza delle trasformazioni irreversibili indotte dallo sviluppo
tecnico sui processi naturali e degli effetti a lungo termine che mettono in forse la
stessa esistenza delle generazioni future.
Questo senso di pericolo e di minaccia condurrà l'uomo ad un nuovo impegno
etico, portando alla nascita del principio di responsabilità: l'uomo si sente
responsabile nei confronti della natura e quindi nei confronti dell'uomo stesso e
della sua esistenza.
A questo punto il “Principio di Speranza” verrà sostituito da una nuova etica
globale, basata essenzialmente sull'”Euristica della Paura”: l'idea che, valutando
gli effetti negativi a lungo termine di determinate scelte, l'uomo prenda decisioni
evitando scelte che portino alla catastrofe.
La nuova etica globale avrà come obiettivo quello di salvaguardare la continuità
della specie e la sopravvivenza delle generazioni future, potendo essere definita
anche “Etica della Conservazione” (contrapposta all'”Etica del Progresso”),
avente come imperativo categorico "Che ci sia un'umanità!".
Perché gli uomini devono esistere nel mondo?
Questa è la domanda alla quale la nuova etica è obbligata a rispondere e di fronte
alla quale le etiche tradizionali risultano, per Jonas, insufficienti.
L’avventura tecnologica ci spinge a riconsiderare le antiche questioni del rapporto
fra essere e dover essere. Per questo la nuova etica, schierata contro il
soggettivismo moderno, non deve soffermarsi esclusivamente sull’uomo, ma deve
meditare sugli effetti a lungo termine del nostro agire, ripudiando “lo spietato
antropocentrismo” e la “strutturale miopia” che caratterizzano l’etica tradizionale
di matrice ellenistica ed ebraico-cristiana. Questo significa che oggi non è più
sufficiente essere “a posto con la propria coscienza” o accontentarsi di regole
formali (ad esempio di tipo evangelico), ma occorre saper prevedere l’influenza
che le nostre azioni potranno avere sulle sorti dell’umanità.
Per quale motivo però, dovremmo sacrificarci per le generazioni future?
Sulla base di quale principio si afferma il dovere far sì che la vita continui?
Jonas afferma che esiste un “dover essere” intrinseco all’essere; un finalismo

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interno all’ordine delle cose, che fa sì che la vita richieda la conservazione della
vita stessa.
“Il bene è concettualmente definibile come quella cosa la cui possibilità include
l’esigenza della sua realtà, diventando così un dover essere”.
Se questo è vero, il dover essere dell’umanità risulta deducibile dall’idea
dell’uomo.
Dunque prima di essere responsabili verso gli uomini, “siamo responsabili verso
l’idea dell’uomo”.
In altre parole, dal momento che l’esistenza dell’umanità futura è implicita
nell’essenza ideale dell’uomo, è l’idea dell’uomo che va salvata, prima ancora dei
singoli individui.
Da ciò: “Il primo imperativo categorico è che ci sia un’umanità”.
Jonas formula poi un nuovo imperativo categorico per il nostro presente, la cui
manifestazione concreta è proprio il senso di responsabilità:
”Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la
sopravvivenza della vita umana sulla terra”.
La nuova etica non è interessata a realizzare un paradiso terrestre attraverso il
progresso, ma si costruisce sul più modesto imperativo della sopravvivenza.
La responsabilità si nutre sia della speranza sia della paura, ed è valorizzando
quest’ultima che Jonas parla di una “Euristica della Paura”, ovvero una ricerca
stimolata da tale stato d’animo di fronte ad una possibile apocalisse tecnologica.
Il compito specifico di questa ricerca è quello di individuare i nuovi principi etici
che devono tutelare l’umanità da scelte irresponsabili.
L’etica tecnologica fa della responsabilità il centro del discorso filosofico,
concentrandosi sugli effetti a lungo termine delle azioni umane.
Si tratta quindi di un’etica (non utopica) della responsabilità, incentrata sul
compito modesto, ma efficace (perché dettato dalla paura e dal rispetto), di
conservare l’integrità dell’essere dell’uomo e del suo mondo.
Nel contesto esoterico di crescita interiore, questo messaggio assume una valenza
ben precisa nella necessità che abbiamo di andare oltre la conoscenza profana e

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non soggiacere né ai pregiudizi, né alle credenze.
Noi cerchiamo sempre, perchè in noi cresce il germe del dubbio e il dubbio si
alimenta con la paura di sbagliare.
La certezza non ha paura, ma non ha dubbi.
Noi siamo legati alla scienza come siamo legati alla filosofia e alla spiritualità.
Nessuna di queste cose prevale sull'altra, ma sono molteplici facce dell'universo
che ci circonda.
Abbiamo la responsabilità di usare gli strumenti in nostra mano per cercare
l'equilibrio che permetta il corretto svolgersi del progetto originario; che permetta
a noi uomini, intesi come umanità, di progredire.
Senza dimenticare, però, che anche scoprire cosa sia il Progresso dell'Umanità è
parte del nostro cammino.
Questo perchè il G.A.D.U. ha progettato l'Universo, ma noi non abbiamo
conoscenza del progetto, ed è quello l'obiettivo della nostra ricerca, da portare
avanti con Responsabilità verso noi stessi, chi ci circonda e le generazioni future.
In una parola, verso l'Umanità.
Ho detto.
A .˙. G . ˙ . D . ˙ . G . ˙ . A . ˙ . D . ˙ . U . ˙ .

Fr . ˙ . III Alessandro Rossi

Fu solo la paura che


al principio del mondo
creò gli dei.
(Ben Jonson)

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