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Beethoven soleva mandare avanti più composizioni alla volta, maturandole ciascuna lentamente.

Questo
non va inteso nel senso che il lavoro vero e proprio di composizione durasse molti anni; ma sì la decisione
sui temi fondamentali delle varie opere. Possiamo intenderlo dai numerosi taccuini di appunti musicali che
di lui ci sono rimasti, qualche volta acccompagnati da annotazioni. Questi appunti e annotazioni non
portano date; ma spesso le date possono essere, almeno, delimitate dall'ordine in cui si presentano:
trovando, per esempio, il tema di un'opera eseguita per la prima volta in un dato anno fra appunti relativi a
un'altra apparsa sei ami avanti, possiamo stabilire che quel tema era stato concepito almeno sei anni avanti
alla sua utilizzazione definitiva.

Per quanto riguarda la Prima Sinfonia, abbiamo degli abbozzi che chiaramente (se non letteralmente)
prefigurano il tema principale del suo finale e, un po' meno chiaramente, quello del primo tempo, e che
risalgono a non oltre il 1794-95. Ora questo non ci dice esattamente quando questa sinfonia, per la prima
volta eseguita il 2 aprile 1800, fu composta; ci dice però che non fu scritta al modo delle sinfonie di Mozart,
il quale compose le sue tre ultime, e maggiori, nello spazio complessivo di un mese e mezzo.

L'esecuzione della Prima Sinfonia ci dice anche che Beethoven non ancora trentenne, aveva già conquistato
rinomanza e autorità; perché fu data al Kärtnertortheater (Teatro di Porta Carinzia), cioè all'Opera
Imperialregia; e in un concerto a suo beneficio in cui, oltre a due pezzi dell'oratorio La Creazione di Haydn e
a una sinfonia di Mozart, si dettero dì Beethoven, oltre alla Prima Sinfonia, un concerto per pianoforte e
orchestra (non sappiamo se il primo o il secondo) e il Settimino. Inoltre Beethoven improvvisò al pianoforte
sul tema dell'Inno Imperiale di Haydn.

La Prima Sinfonia, in do maggiore, è assai vicina a Haydn, più che a Mozart; ma già mostra alcuni tratti
innegabilmente nuovi, cioè puramente beethoveniani. Nel primo tempo per esempio, scritto in forma-
sonata, si possono dire di sapore haydniano il tema principale, e anche il fatto che questo tema abbia forti
parentele col secondo tema e con il "ponte" che lega l'uno all'altro: giacché la prassi di derivare il secondo
tema dal primo è tipicamente haydniana. Ma già Beethoven si annuncia nel sorprendente inizio
dell'introduzione ",adagio molto" (un accordo di settima dominante nel tono di fa, dunque diverso dalla
tonalità principale) - nel fatto che nel primo tema il moto ascensionale degli archi è interrotto ogni volta da
un indugio imposto dagli strumenti a fiato - nel breve sviluppo in minore del secondo tema che segue
immediatamente, oscurandola, l'enunciazione del tema stesso - infine in non pochi momenti della seconda
sezione (sviluppo).

Una reminiscenza mozartiana è nel tema principale del secondo tempo (Andante cantabile con moto, in fa
maggiore), che ricorda molto nettamente quello del secondo tempo della Sinfonia in sol minore, uno dei
culmini di tutto Mozart. Mozart è anche evocato in una soavissima modulazione che conduce lo sviluppo in
una tonalità lontana (re bemolle) con casta gentilezza; ma Haydn è ancora presente nel fatto che, anche
qui, il secondo tema deriva nettamente dal primo. Questo tempo è in forma-sonata come il primo; ma
abbiamo già rilevato il diverso carattere che la forma-sonata assume anche in Beethoven, nei brani di
carattere lirico, nei quali ogni contrasto radicale fra tema e tema è esitato: com'è qui il caso. La soluzione
del brano è sorridente, in tono quasi settecentesco.
La gran novità di questa sinfonia è il terzo tempo; che Beethoven intitola minuetto ma che minuetto non è
più. Come abbiamo visto, il minuetto era la stilizzazione d'una sopravvivenza arcaica, un diversivo
",leggero" nella cornice severa della sinfonia. Beethoven porta la stilizzazione oltre, conservando lo schema
formale del minuetto; ma tramuta la sua fisionomia di danza atteggiata e cerimoniosa in un'altra mossa e
scapigliata.

L'evoluzione avviene nelle sonate per pianoforte e in altre composizioni da camera di Beethoven scritte
prima dell'anno 1800, nelle quali sono sia minuetti veri e propri, sia minuetti animati da una vivacità nuova,
sia inequivoci "scherzi". Scherzo è infatti la denominazione che Beethoven dà al suo ritrovato; ma da
principio con qualche incertezza: nelle sue musiche ante 1800 incontriamo infatti il termine "scherzo"
applicato a minuetti, e viceversa il termine minuetto applicato a degli scherzi. E quest'ultimo è il caso, come
abbiamo notato, della nostra sinfonia.

Lo scherzo si distìngue nettamente dal minuetto per il tempo più rapido che porta a doverlo battere in uno
anzi che in tre; in altri termini, è in metro ternario come il minuetto, ma ha un solo accento al principio della
battuta mentre nel minuetto sono percepibili accenti secondari sul secondo e terzo tempo (che infatti
corrispondono, nel danzare, ad altrettanti "passi"). Il minuetto passeggia, lo scherzo vola. E questo implica
un'ispirazione tematica d'altro genere, e sviluppi corrispondenti. Lo scherzo della Prima Sinfonia ha infatti
un tema impetuoso, che nessuno prenderebbe mai per un tema di minuetto; e che modula subito,
capricciosamente e nervosamente, in tonalità lontane, per tornare altrettanto improvvisamente alla
tonalità principale. Il trio (s'è detto che lo schema formale dello scherzo è lo stesso del minuetto, già
descritto nel capitolo sulla "Wienei Klassik", dunque comporta un trio) è nello stesso tono della prima parte
(cioè in do maggiore), e ha ritmo più molle e distensivo, com'è nella tradizione del minuetto; ma
diversamente che in questa conclude in modo energico.

Il finale è in forma-sonata; ma è significativo che vari scrittori dell'Ottocento (anche competentissimi) lo


citino chiamandolo rondò. L'errore si deve al fatto che il suo tema, brillante e incisivo, ha tutte le
caratteristische di un tema di rondò; e anche il modo con cui il discorso ne prepara le riapparizioni è quello
della ",suspense", tipico, come abbiamo visto, di quella forma. La critica ne dà tradizionalmente una
valutazione non alta: sarebbe, fra tutti i tempi di sinfonia composti da Beethoven, il più debole. Ma è
permesso di non condividere questo parere: è soltanto un pezzo dall'assunto più leggero degli altri, ma
tuttavia di grazia e scorrevolezza perfette, non indegne del modello haydniano. E non manca dì intuizioni
tipicamente beethoveniane: per esempio la breve introduzione che distilla lentamente, quasi
parodisticamente, le note della scala ascendente che formeranno l'inizio del tema principale. Difatti questa
introduzione, agli inizi, non fu compresa da tutti, e si trovarono direttori che ebbero l'ingenuità di
sopprimerla.

La Prima Sinfonia è l'unica che appartenga chiaramente alla prima maniera di Beethoven. Che tuttavia non
confonderemo come una fase di apprendistato, di incertezza. Anche se di livello inferiore alle sinfonie
successive, e ai capolavori di Haydn e di Mozart, la Prima Sinfonia è pur sempre una cosa in sé perfetta e
compiuta: l'opera d'un maestro. Per prima maniera di Beethoven non s'intende infatti qualcosa di
manchevole: soltanto, il periodo in cui gli elementi propriamente originali di Beethoven coesistono con
altri, invece, ricevuti, e adottati come tali. Tuttavia l'amalgama fra vecchio e nuovo è completamente
riuscito, non suona mai come eclettismo: noi distinguiamo, oggi, gli elementi vecchi dai nuovi soltanto
perché conosciamo il Beethoven di poi, quello nel quale ogni elemento ricevuto è trasformato e rivissuto
sul piano del ",nuovo". Ma in sé moltissime opere della prima maniera di Beethoven possono essere
tranquillamente riguardate come perfette, e legittimamente formano ancora oggi, per i frequentatori di
concerti, altrettante gioie senza ombra.

Fedele d'Amico

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un monumento rivoluzionario, una vera e propria pietra di paragone ineludibile per tutti i compositori che
volessero cimentarsi nel genere della sinfonia; così fu inteso dai contemporanei e dai posteri il corpus
sinfonico di Ludwig van Beethoven; e non senza motivo, poiché l'impegno di Beethoven nel campo
sinfonico valse a trasformare nel volgere di pochi lustri la sinfonia da genere di intrattenimento, destinato a
un pubblico di ascoltatori specializzati, a veicolo delle più profonde riflessioni dell'autore, rivolto verso
un'utenza idealmente universale.

È noto peraltro che l'ingresso a pieno titolo di Beethoven nel mondo della sinfonia (dopo una prova
giovanile risalente ancora al periodo formativo di Bonn, nota come "Sinfonia di Jena" dal luogo del
rinvenimento del manoscritto; e dopo altri abbozzi minori) avvenne nel segno della continuità con il
passato. Collocata all'apertura del nuovo secolo (la prima esecuzione è del 2 aprile 1800, e si calcola che la
gestazione sia durata circa un anno; la prima edizione a stampa, in parti staccate, fu effettuata a Lipsia nel
1801 da Hoffmeister e Kühnel) la Sinfonia n. 1 guarda in realtà verso il secolo appena concluso, verso
quell'ambiente di squisiti intenditori di estrazione aristocratica e alto-borghese che si riuniva nei palazzi
gentilizi viennesi per dar luogo alle lunghissime e composite "accademie" musicali (alla prima esecuzione la
Sinfonia op. 21 fu preceduta, fra l'altro, da un Concerto per pianoforte, forse il n. 1, e dal Settimino per
archi e fiati).

Il carattere "conservativo" della Prima Sinfonia, riconosciuto da tutti gli esegeti, deve essere considerato
una precisa scelta da parte del compositore che, prima di questo ventunesimo lavoro del suo catalogo,
aveva già dato alle stampe lavori pianistici e cameristici di portata rivoluzionaria, fra i quali basterà citare le
due Sonate per violoncello opera 5 e la Sonata per pianoforte opera 13. Ancora al passato, per molti versi,
guardavano invece i sei Quartetti dell'opera 18; e non a caso il genere del quartetto e quello della sinfonia
erano considerati dai contemporanei come i generi più "alti" concettualmente e più complessi
tecnicamente fra quelli che un compositore poteva affrontare.

Nasce proprio da questa considerazione la cautela del giovane Beethoven nel rinnovare il genere sinfonico.
Prima di cimentarsi nel radicale rinnovamento della sinfonia (i primi abbozzi dell'"Eroica" sono del 1802,
appena due anni più tardi) il compositore doveva dimostrare di essere perfettamente in grado di rispettare
i modelli augusti dell'età del Classicismo, Mozart e Haydn (e va rilevata la dedica della partitura al barone
Gottfried van Swieten, il mecenate olandese che aveva introdotto Mozart allo studio di Händel e Bach e che
aveva fornito a Haydn i testi per i suoi tardi oratori, La Creazione e Le Stagioni), Anzi, più che al forte
soggettivismo delle ultime tre Sinfonie di Mozart, Beethoven si volse ai frutti maturi dell'esperienza
sinfonica haydniana, a quelle Sinfonie "londinesi" che erano nate in stretto contatto con un pubblico
pagante, e che forse anche per questo motivo erano segnate dal gusto del continuo "stupore", della
ingegnosa trovata che tenesse sempre desta l'attenzione dell'ascoltatore (anche l'organico orchestrale della
Prima è lo stesso che nelle ultime Sinfonie di Haydn: archi e timpani più coppie di flauti, oboi, clarinetti,
fagotti, corni e trombe).

E infatti proprio in quest'ottica è giusto leggere la Prima Sinfonia di Beethoven; non senza rilevare che
questo gusto dello "stupore", pur sempre legato all'estetica dell'intrattenimento, varca in realtà non di
poco i confini delle "buone maniere", ai quali si era sempre scrupolosamente attenuto Haydn. Come dire
che, nel riallacciarsi ai modelli di un passato prossimo, Beethoven non mancava di esibire l'intemperanza
verso le regole, l'urgenza dell'evasione verso altre e più ambiziose prospettive.

Esempio lampante di questa logica "ribelle" è l'introduzione lenta al primo movimento, che si apre, contro
ogni regola, su un accordo dissonante (cioè non in una situazione statica, di riposo, ma in una situazione
dinamica), e che evita di affermare perentoriamente la tonalità d'impianto anche nella levigata melodia che
segue, esposta dai violini. Il primo tempo prosegue con un vasto Allegro con brio, che è internamente
innervato dall'energia propulsiva del primo tema (una semplice cellula di tre note presentata dai bassi),
rispetto al quale la seconda idea (esposta da flauto e oboe) costituisce poco più che un diversivo; quasi
interamente al primo tema, infatti, sono affidate la sezione dello sviluppo e la coda fragorosa che chiude il
movimento. Beethoven riprende tutti gli artifici dello stile "sinfonico" dei viennesi, ma secondo una
irruenza peculiare; come peculiare è anche la nitida affermazione dei temi nell'esposizione, la loro massima
elaborazione nella sezione centrale dello sviluppo.

Direttamente legato ad Haydn è il tempo lento, Andante cantabile con moto, aperto da un tema di canzone
esposto dai violini soli; infatti predominano nella pagina una leggerezza di espressione, un garbo espositivo,
una chiarezza assoluta di scrittura in cui manca del tutto l'impronta di soggettivismo; la nitidezza
dell'impulso ritmico è sottolineata in modo ricercato dall'uso del timpano. Ben più personale il Minuetto,
che, con l'irruenta propulsione, il fraseggio asimmetrico, gli sbalzi dinamici, è in realtà il prototipo dello
Scherzo beethoveniano. Il Trio è tutto basato sulla contrapposizione fra archi e fiati.

Come nel tempo iniziale, anche il Finale si apre con un esordio a sorpresa: un forte unisono di tutta
l'orchestra viene seguito da brevi e "singhiozzate" scalette dei violini in pianissimo; un effetto di
sospensione che sfocia infine nel brillantissimo Allegro molto e vivace, un rondò dominato dal carattere
scorrevole del refrain, con episodi diversivi di ambientazione coerente e una coda ad effetto con divertenti
giochi di inseguimenti e scambi fra archi e fiati; e proprio negli accenti vagamente marziali di questa coda
l'esuberanza del giovane maestro prende l'ultima volta il sopravvento sulle "buone maniere" che
costituiscono il modello prevalente di questo ultimo tempo come dell'intera Sinfonia.

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