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Riassunto del libro "L'ordinamento della Repubblica. Le


istituzioni e la società" di P. Bilancia, E. De Marco - Relazioni
internazionali a.a. 2015/2016
Relazioni internazionali (Università degli Studi di Milano)

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L'ordinamento della repubblica: le istituzioni e la società

CAPITOLO I : Società e diritto


1. Le norme giuridiche
Si definisce norma giuridica una regola di comportamento che
si distingue da altre regole di condotta umana per una serie di
caratteri: l'esteriorità, l'imperatività, la coercibilità, la generalità
e l'astrattezza. Ogni norma giuridica è anche nuova, nel senso
che apporta un'innovazione nel quadro normativo,
introducendo una regola prima inesistente o sostituendo,
modificando o integrando una regola preesistente. Una norma
giuridica è esteriore perchè richiede un adeguamento dei
comportamenti esteriori degli uomini ad essa; è imperativa
perchè si configura come una prescrizione o un divieto di un
determinato comportamento rivolto ai destinatari; è coercitiva
perchè prevede una sanzione per coloro che non rispettano il
suo contenuto. È generale perchè si rivolge ad una collettività o
ad una classe indeterminata di persone; è astratta perchè si
riferisce ad azioni o comportamenti tipo, astratti appunto, che
fungono da esempi standard per valutare azioni o
comportamenti concreti.

2. L'ordinamento giuridico
Si definisce ordinamento giuridico l'insieme delle norme
giuridiche che regolano la vita di una comunità all'interno di
uno stato. Consideriamo elementi indispensabili ai fini
dell'esistenza di un ordinamento, la plurisoggettività (se non ci
fosse, mancherebbero i destinatari delle norme giuridiche,
siano essi persone fisiche o giuridiche), l'organizzazione (se non
ci fosse, mancherebbero gli apparati, le strutture la cui
funzionalità è fondamentale per definire un ordinamento
sociale e destinato a durare nel tempo) e la normazione
(necessaria per il mantenimento di un ordine stabile).

3. Ripartizioni e classificazioni del diritto


 Diritto positivo – Diritto naturale → Il diritto positivo è il
diritto effettivamente vigente in uno stato, il diritto
naturale è un diritto rispondente ai criteri di giustizia e di
equità, quasi un diritto ideale;

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 Diritto oggettivo – Diritto soggettivo → Il diritto oggettivo è


l'insieme delle norme giuridiche che regolano i rapporti di
uno stato-comunità e che comandano o vietano
determinati comportamenti ai soggetti, il diritto soggettivo
è il potere di agire di un soggetto a tutela di un proprio
interesse riconosciuto dall'ordinamento giuridico;
 Diritto pubblico – Diritto privato → Il diritto pubblico è
quella branca del diritto che si occupa dello studio delle
norme che disciplinano l'organizzazione e il funzionamento
di uno stato, delle istituzioni e degli enti pubblici, nonché i
rapporti tra il cittadino e lo stato; il diritto privato è quella
branca del diritto che regola i rapporti tra soggetti singoli.

4. Ambiti del diritto pubblico


Una prima distinzione è quella tra diritto pubblico interno e
diritto pubblico internazionale, come diritto che comprende le
regole di condotta che gli stati devono rispettare durante i loro
rapporti. Il diritto pubblico interno si suddivide in vari rami,
quali principalmente:
 Diritto costituzionale: riguarda l'assetto politico dello
Stato, ha come oggetto l'insieme delle norme che
contengono i principi essenziali dell'organizzazione e del
funzionamento di uno stato;
 Diritto amministrativo: riguarda l'organizzazione, i mezzi e
le modalità di azione della pubblica amministrazione e i
suoi rapporti con gli altri soggetti di uno stato;
 Diritto penale: comprende le norme volte a reprimere
determinati comportamenti umani ritenuti pericolosi per la
vita sociale (reati), attraverso l'emanazione di una
sanzione;
 Diritto tributario: riguarda i rapporti tra cittadini ed enti
pubblici in tema di imposizione e riscossione di tributi;
 Diritto processuale: comprende le norme che regolano
l'amministrazione della giustizia;
 Diritto ecclesiastico: comprende l'insieme delle norme che
regolano i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con
le altre istituzioni religiose.

CAPITOLO II: Lo Stato


1. Lo Stato e i suoi elementi costitutivi
Lo Stato (in senso moderno) si presenta come un gruppo di

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individui con base territoriale definita e fissa, raccolto e


ordinato intorno ad un centro di potere, a sua volta
indipendente da ogni altro potere e preminente all'interno del
gruppo.
I tre elementi costitutivi di uno Stato sono: 1) il popolo, 2) il
territorio, 3) la sovranità.
 Il popolo: è inteso come l'insieme delle persone facenti
parte di uno Stato, legate ad esso da un vincolo di
cittadinanza; per cittadinanza si intende lo status che
ciascun ordinamento assegna secondo criteri da esso
prescelti. In Italia, la normativa in materia di cittadinanza è
contenuta nella legge n° 91 del 5 febbraio 1992; ai sensi
di questa legge, è cittadino per nascita il figlio di padre o
madre cittadini italiani e chi è nato nel territorio della
repubblica italiana da due genitori apolidi o ignoti; è inoltre
considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato
nel territorio della repubblica, se non venga trovato in
possesso di un'altra cittadinanza. È importante distinguere
il concetto di popolo dal concetto di popolazione; si
intende infatti per popolazione il complesso di tutti coloro
(siano essi cittadini o stranieri o apolidi) che in un certo
momento hanno residenza stabile nel territorio dello Stato
e sono sottoposti alle sue leggi. Non fanno invece parte
della popolazione, pur facendo parte del popolo italiano, i
cittadini residenti all'estero.
 Il territorio: nell'ambito del territorio si fanno rientrare la
superficie della terra emersa delimitata dalle frontiere
(naturali o artificiali), il mare territoriale (fascia di mare
adiacente alle coste, sulla quale lo stato esercita la propria
sovranità, entro le dodici miglia), lo spazio aereo nei limiti
dell'atmosfera e il sottosuolo, nonché il territorio mobile
(navi e aeromobili dello stato). Non costituiscono territorio
dello stato le ambasciate e le sedi diplomatiche in
territorio estero: esse godono soltanto dell'immunità
territoriale, nel senso che lo stato ospitante non può
esercitare le sue leggi verso queste istituzioni senza il
consenso degli stessi agenti diplomatici.
 La sovranità: è originaria, nel senso che l'ordinamento
giuridico trova in sé stesso la propria legittimazione, la sua
capacità di affermarsi come stato non deriva in alcun
modo dalla volontà di un ordinamento superiore; è

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indipendente nell'ambito dell'ordinamento internazionale;


prevede la potestà di imperio perchè ha il potere di
imporre ai cittadini di uno stato il rispetto delle leggi
attraverso una forza legale.

CAPITOLO III: Forme di Stato


1. Lo Stato assoluto
Lo Stato assoluto si caratterizza per l'affermazione di un potere
assoluto accentrato nelle mani del Re: la sua autorità è di
origine divina e si trasmette per via ereditaria; egli è titolare
del potere esecutivo e del potere legislativo. I giudici, nominati
dal Re, amministrano la giustizia in nome del Sovrano. La
Corona, simbolo di questa forma di stato, è investita di un
potere assoluto, perpetuo e indivisibile; il Re non riconosce
limiti al suo potere. Il processo di transizione che porterà dallo
Stato assoluto allo Stato liberale è stato scaturito da cause
economiche e sociali; accanto ad un notevole progresso
commerciale, l'affermarsi della borghesia come classe sociale
portò con sé l'idea che la differenza tra gli individui non fosse
dettata dallo status (appartenenza o meno al ceto
aristocratico), ma dalla condizione economica, cioè dal
possesso o meno di capitali. Cresce la competizione, gli
interessi economici e la ricerca di un'egemonia da parte della
borghesia e dei ceti emergenti.

2. Lo Stato liberale
Lo Stato liberale si configura come prima realizzazione dello
Stato di diritto; si registra una separazione tra la sfera pubblica
o del pubblico potere e la sfera privata, area riservata
all'autonomia dei singoli, in cui lo Stato non entrava mai. Nella
sfera pubblica gli organi dello stato esercitano legalmente la
forza di imperio per assicurare il mantenimento dell'ordine
contro i pericoli interni ed esterni allo stato; la sfera privata
rappresenta invece una dimensione nella quale l'individuo è
sovrano, lo Stato deve astenersi da ogni interferenza, esso non
persegue direttamente il bene dei singoli, ma lascia che siano
essi stessi a soddisfare i propri bisogni attraverso l'esercizio
delle libertà e dell'autonomia. Lo stato liberale si definisce
infatti “Stato non interventista”. Sul piano istituzionale, si
caratterizza per alcuni tratti distintivi: la presenza di una
Costituzione, considerata la legge superiore dell'ordinamento;

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vengono riconosciuti i diritti di libertà, basati sul


riconoscimento di una sfera privata dell'individuo che non deve
essere violata da parte di nessuno, neanche delle pubbliche
autorità; il principio della separazione dei poteri (elaborato da
Montesquieu nel 1748) in base al quale lo stato articola le sue
funzioni in tre rami, il potere legislativo, il potere esecutivo e il
potere giudiziario; la rappresentanza politica costituisce l'ultimo
aspetto che caratterizza lo stato liberale, che garantisce la
partecipazione del popolo al governo, sebbene questa
partecipazione resta comunque riservata soltanto ad alcune
classi sociali. La scelta dei rappresentanti avviene tramite
elezioni, gli eletti sono chiamati a curare gli interessi della
collettività.

3. Forme di stato del XX secolo: lo stato di democrazia


pluralista e lo stato sociale
Le contraddizioni che caratterizzavano lo stato liberale
(soprattutto i favoritismi nei confronti della borghesia
capitalistica sia in ambito economico sia nel godimento dei
diritti politici rispetto alle classi subalterne) portarono ben
presto la classe proletaria a prendere coscienza delle
disuguaglianze sociali ed economiche, iniziando un percorso di
rivendicazione dei propri diritti alla ricerca di un principio
democratico. Lo Stato democratico-pluralistico si affermerà nel
corso del XX secolo; il principio democratico riconosce non solo
il valore della persona umana, ma anche la sua dignità: tutte le
persone, indipendentemente dalla loro condizione sociale o
economica, hanno diritto ad una vita dignitosa. Nello stato
democratico la vera libertà si esplica nella partecipazione delle
persone alla vita politica dello stato: la distanza tra stato
apparato e società civile tende ad attenuarsi. Nascono i
moderni partiti di massa, che diventano la struttura
organizzativa di base sia della borghesia sia delle classi operaie
e contadine. Lo stato democratico è anche uno stato sociale,
attento alle categorie economicamente più deboli; attraverso il
sistema tributario, ad esempio, esso cerca di redistribuire la
ricchezza prodotta, poiché inizia ad imporre tributi secondo
criteri di progressività e di proporzionalità. Nella Costituzione di
questa forma di stato, sono presenti più diritti e più libertà
fondamentali rispetto allo stato liberale. È in questo periodo
che si raggiunge il suffragio universale, l'affermazione del

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principio di eguaglianza sostanziale e il referendum.


4. Lo stato federale
Si caratterizza per i seguenti elementi essenziali: 1) Una
costituzione scritta e rigida che istituisce l'ordinamento
federale statale e gli enti territoriali dotati di poteri propri (Stati
membri o Cantoni); 2) il riparto di competenze tra stato
federale e stati membri è fissato dalla costituzione; 3) di
conseguenza, la revisione della costituzione non può essere
fatta senza l'intervento degli stati membri; 4) il Parlamento è
bicamerale e la seconda camera rappresenta gli enti territoriali.

5. Gli stati teocratici


In questo tipo di stato, la religione si interpone nei rapporti tra
governanti e governati; la fede religiosa dominante viene
proclamata come fondamento del potere temporale, i precetti
religiosi diventano norme giuridiche. È una caratteristica tipica
degli stati islamici dove la costituzione è subordinata alla legge
divina; l'Islam è proclamato come religione di stato.

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CAPITOLO IV: Forme di governo

Forme di stato e forme di governo


La forma di stato e la forma di governo che caratterizzano un
ordinamento costituzionale appaiono strettamente correlate; la forma di
stato racchiude i principi e i valori costituzionali su cui si fonda il
rapporto tra governanti e governati, intesi come singoli o forme
organizzate. La forma di governo, a sua volta, rappresenta l'insieme degli
strumenti e dei meccanismi che vengono predisposti dall'ordinamento
costituzionale affinchè lo Stato possa perseguire i propri obiettivi. Forma
di stato e forma di governo si fondano quindi su una matrice comune: la
forma di governo di uno stato democratico, ad esempio, includerà nel
suo sistema organizzativo un organo direttamente legittimato dal
popolo, in grado di rappresentare la pluralità dei cittadini e tutelare i
diritti delle minoranze politiche.

La monarchia assoluta
Contraddistingue l'Europa del XVI secolo; lo stato del principe era
caratterizzato da un sistema di governo posto nelle mani del re, il cui
potere era privo di freni o vincoli. La volontà del monarca era legge,
rappresentava la fonte primaria del diritto, il suo potere assoluto non
incontra limiti legali. Da qui trae origine il termine assolutismo.

Lo stato liberale e la separazione dei poteri


Il costituzionalismo liberale, in seguito, elabora il principio della
separazione dei poteri, al fine di limitare il potere politico concentrato
nelle mani del monarca e di tutelare la libertà degli individui.
Rappresenta sicuramente una novità nella storia, contraddistingue il
concetto di stato moderno. Il primo a teorizzare il principio di
separazione dei poteri fu Locke; egli distingue tre funzioni fondamentali
dello Stato: la funzione legislativa, la funzione esecutiva e la funzione
federativa, intesa come esercizio dei poteri nel campo dei rapporti
internazionali. Attribuisce al re l'esercizio della funzione esecutiva e
della funzione federativa, mentre la funzione legislativa è assegnata al
parlamento. In Francia, con Montesquieu, il principio di separazione dei
poteri assume un significato un po' diverso; egli identifica tre poteri: il
potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giurisdizionale. La
funzione legislativa si fonda sulla volontà popolare espressa dalle
assemblee rappresentative, la funzione esecutiva consiste nel preservare
l'ordine sia all'interno sia all'esterno dell'ordinamento, la funzione
giurisdizionale infine fa capo a un potere che si esplica nella risoluzione
delle controversie tra privati. In Francia si sviluppa anche un altro filone

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di pensiero che si contrappone all'idea della separazione dei poteri, con


Rousseau, che attribuisce un valore assoluto al principio democratico e
identifica nel sovrano la volontà generale della collettività. La forma di
governo ideale, secondo questa corrente, assegna nelle mani
dell'assemblea democratica il potere legislativo ed esecutivo. Tuttavia,
vista l'impossibilità di attuare questa soluzione, Rousseau ammette la
distinzione tra tre poteri statali: una distinzione funzionale che assegna
al popolo riunito in assemblea l'espressione della volontà generale
attraverso le leggi, gli altri organi governativi assumono un ruolo
esecutivo della volontà generale. La dottrina dei tre poteri si afferma
infine nello Stato democratico pluralistico, con la funzione legislativa che
produce norme generali e astratte, la funzione esecutiva che assolve alla
cura degli interessi pubblici e la funzione giurisdizionale che risolve le
controversie mediante l'interpretazione e l'applicazione delle norme.

La monarchia costituzionale
Si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il re e il parlamento;
si fondava sulla coesistenza di due autorità politiche, cui erano affidate
funzioni specifiche. Da un lato il sovrano, che conservava formalmente i
suoi poteri, dall'altro il parlamento cui il sovrano aveva riconosciuto il
potere di partecipare alla produzione delle leggi. Questo tipo di governo,
pian piano, con l'esigenza di una più articolata ripartizione delle funzioni
secondo una concezione del principio della separazione dei poteri, si
evolve in una forma di governo parlamentare, il parlamentarismo;
inizialmente esso si presenta come un parlamentarismo dualista, dove il
potere esecutivo è esercitato dal re e dal suo governo, che deve avere una
doppia fiducia, quella del sovrano e quella del parlamento. Si passa poi
ad una fase monista, dove il rapporto di fiducia tra parlamento e governo
assume caratteri esclusivi; il potere del sovrano diventa sempre più
formale e vuoto, ai margini della politica.

La forma di governo presidenziale degli USA


La forma di governo degli Stati Uniti è classificata come forma di
governo presidenziale, fondata su un principio della separazione dei
poteri molto rigido, che vede da una parte il legislativo con la funzione di
produrre leggi, e dall'altro l'esecutivo incaricato di attuare la legislazione
nella sua azione politica. È centrale la figura del Presidente, eletto
direttamente dal corpo elettorale, resta in carica per tutto il suo mandato
in quanto non è previsto un voto di sfiducia del parlamento. L'equilibrio
tra i poteri del presidente e del parlamento è assicurato dalla loro
separazione dei poteri: il parlamento non può provocare le dimissioni
del presidente revocandogli la fiducia, a sua volta il Presidente non ha il

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potere di sciogliere anticipatamente le camere. Il presidente è sia capo


dello stato che capo dell'esecutivo. Per esercitare le sue funzioni si avvale
di collaboratori di sua fiducia che egli nomina come segretari di Stato. Le
due camere del parlamento hanno ruoli differenziati: il Senato ha il
potere di approvazione delle nomine presidenziali dei funzionari federali
e dei giudici della Corte suprema, la Camera ha il potere di promuovere
la procedura di impeachment per la messa in stato di accusa del
presidente. Il presidente, inoltre, ha il potere di porre il veto sospensivo
sulle leggi approvate dal Congresso. Un ruolo importante è svolto anche
dalla Corte suprema; composta da nove componenti designati dal
Presidente, rappresenta il vertice del sistema giudiziario per le questioni
di diritto federale e per la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra gli
stati membri e tra questi e lo stato centrale.

Forme di governo parlamentari: Gran Bretagna e Germania


La forma di governo parlamentare si fonda sul rapporto di fiducia tra
governo e parlamento, eletto direttamente dal popolo; la permanenza
del rapporto di fiducia assicura la continuità dell'azione di governo. Se
viene meno, il governo è tenuto a dimettersi. Il sistema partitico esercita
una forte influenza sulla stabilità del governo. Il parlamentarismo si
afferma per la prima volta in Gran Bretagna; qui prevale il governo e la
figura del Primo ministro, che dirige il potere esecutivo e si occupa della
struttura e del funzionamento dell'apparato di governo. Il primo
ministro è nominato dal sovrano in seguito ad elezioni politiche; la
struttura del governo è articolata tra Cabinet e Government; il Cabinet è
presieduto dal primo ministro e comprende i responsabili dei principali
dicasteri e altri ministri; il government invece è il governo in senso
ampio, include tutti i ministri. Il parlamento britannico è composto dalla
corona e dalle due camere, la camera dei Comuni e la camera dei Lord.
Le funzioni del sovrano rispetto al parlamento sono formali e ridotte, la
funzione legislativa è nelle mani della Camera dei comuni, che agisce in
stretta correlazione con il governo. Il parlamentarismo britannico è un
parlamentarismo maggioritario, a prevalenza del governo; la
maggioranza parlamentare stabile è in grado di esprimere un governo di
legislatura. Un altro parlamentarismo maggioritario lo ritroviamo in
Germania, il cancellierato della Repubblica federale, che assegna al capo
del governo, il Cancelliere federale, un ruolo politico di spicco e ampi
poteri. Esso è eletto dalla Camera bassa su proposta del Presidente
federale, a maggioranza dei suoi membri. Può essere rimosso quando la
Camera bassa all'atto di votare la sfiducia sia nelle condizioni di
esprimere contemporaneamente e a maggioranza assoluta un nuovo
cancelliere, si parla infatti di sfiducia costruttiva. Il parlamento è

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bicamerale, tuttavia il rapporto di fiducia si instaura solo con


l'investitura del Cancelliere da parte della camera bassa. Il tribunale
costituzionale ha il potere di assicurare un equilibrio tra i poteri,
risolvere i conflitti tra Stato federale e stati membri, controllare la
costituzionalità dei partiti e pronunciarne lo scioglimento, giudicare sui
ricorsi individuali a tutela dei diritti fondamentali, giudicare il
presidente federale nei casi in cui sia messo in stato d'accusa da una dele
camere.

La forma di governo semi-presidenziale francese


Presenta tre elementi costitutivi: l'elezione diretta a suffragio universale
del Presidente della repubblica, che è capo dello stato e capo
dell'esecutivo, l'attribuzione al presidente della repubblica di importanti
poteri, e un governo, guidato da un primo ministro, che deve godere
della fiducia del parlamento. A capo del governo sta il presidente della
repubblica, che riceve un'investitura democratica direttamente dal
popolo, ma nel governo siede anche un primo ministro che ha ricevuto la
sua investitura con la fiducia del parlamento. Il presidente nomina il
primo ministro, nomina e revoca i ministri, sottopone a referendum ogni
progetto di legge concernente l'organizzazione dei pubblici poteri,
scioglie l'assemblea nazionale, invia messaggi al parlamento, esercita
poteri eccezionali e adotta le misure che ritiene necessarie quando
l'indipendenza della nazione o l'integrità del territorio siano minacciati
in maniera grave e immediata.

La forma di governo direttoriale, la Svizzera


La forma di governo direttoriale è tipica della Svizzera; presenta un
parlamento bicamerale, detto Assemblea federale, che elegge i sette
membri del direttorio, il Consiglio federale, il quale svolge funzioni di
governo e di capo dello stato. Non è prevista in alcuna forma la revoca
del mandato o la sfiducia parlamentare.

CAPITOLO V: La Repubblica e l'Unione europea


1. I trattati comunitari CECA, CEE e EURATOM
La crisi degli stati nazionali evidenziata dalla seconda guerra
mondiale e le tensioni che da esse derivarono, fecero
sviluppare il bisogno di una forma di unificazione europea, di
Istituzioni in grado di impedire in futuro guerre intraeuropee.
Innanzitutto venne creata una forma di integrazione
economica: i due paesi che si erano fronteggiati durante la
seconda guerra mondiale, Germania e Francia, possedevano la

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maggior parte delle riserve di carbone e acciaio del Continente


e la loro contrapposizione avrebbe determinato un blocco
dell'economia europea; nel 1951 fu firmato il Trattato istitutivo
della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), con
lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due
materie prime tra sei paesi, Belgio Francia Germania Italia
Lussemburgo e Paesi bassi. Questo rappresentò la base
dell'istituzione della CEE, Comunità economica europea (1957).
Più settoriale appariva la Comunità europea dell'energia
atomica (EURATOM), istituita contemporaneamente alla CEE,
avente come finalità il coordinamento dei programmi di ricerca
degli stati membri relativi all'energia nucleare e l'assicurare un
uso pacifico della stessa. Nel 1967, CEE e EURATOM si sono
fuse in un'unica Comunità.

2. Il trattato di Maastricht, la nascita dell'Unione europea, la


cittadinanza europea
Il processo di integrazione proseguì per tutto il secolo scorso
con un allargamento progressivo del numero dei paesi membri
nel 1973 (Danimarca, Irlanda, Regno Unito), nel 1981 (Grecia),
nel 1986 (Portogallo, Spagna), nel 1995 (Austria, Finlandia,
Svizzera) e con l'assunzione di nuove competenze da parte
della Comunità, tra cui il miglioramento della politica sociale e
il rafforzamento della cooperazione monetaria, l'introduzione di
norme in materia di tutela dell'ambiente. Il vero passo decisivo
si realizza nel 1993, con l'entrata in vigore del trattato di
Maastricht, con il quale, accanto all'esistente CEE, si è creata
l'Unione Europea. Vengono introdotte nuove forme di
cooperazione tra gli stati membri, ad esempio nel settore della
difesa e degli affari interni; il trattato di Maastricht ha creato
una nuova struttura “a tre pilastri”, ha cioè diviso le politiche
dell'Unione europea in tre aree fondamentali: il primo
riguardava le Comunità europee (mercato comune europeo,
unione economica e monetaria), il secondo affrontava la
politica estera e di sicurezza comune (PESC), il terzo riguarda la
cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Viene
introdotto il principio di sussidiarietà come principio regolatore
degli interventi dell'UE anche in ambiti non suoi: secondo
questo principio, essa può intervenire in tali ambiti soltanto se
gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere
sufficientemente realizzati dagli stati membri, ma possono

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essere realizzati in modo migliore a livello comunitario. Nasce il


concetto di cittadinanza europea, che si aggiunge a quella
nazionale: per il cittadino europeo viene garantita la libertà di
circolazione e di soggiorno nel territorio degli stati membri,
viene garantito il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni
amministrative dello stato membro in cui risiede, alla pari dei
cittadini di tale stato; gode di tutela diplomatica e consolare nei
paesi extraeuropei nei quali il suo Stato non è rappresentato da
parte delle autorità diplomatiche e consolari degli altri stati.

3. L'attuale assetto istituzionale dell'UE


La forma di governo attuale dell'UE vede al vertice il Consiglio
europeo, composto dai Capi di Stato e di governo dei paesi
membri e dal presidente della commissione; il consiglio
europeo definisce gli orientamenti generali e politici dell'Unione
ma non partecipa all'attività legislativa; elegge il suo
presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due
anni e mezzo, rinnovabile solo una volta,e si riunisce due volte
a semestre, a Bruxelles. L'attività legislativa dell'UE
(regolamenti, direttive) è affidata alla Commissione europea
con sede a Bruxelles e a un sistema bicamerale composto dal
parlamento europeo assieme al Consiglio dei ministri. Il
parlamento europeo è un organo legislativo composto da 750
parlamentari, viene eletto ogni cinque anni con elezioni che
avvengono in contemporanea in tutti i paesi dell'UE; il Consiglio
dei ministri ha una composizione che varia a seconda della
materia dell'ordine del giorno: abbiamo un Consiglio degli affari
esteri, composto dai ministri degli esteri degli stati membri che
si occupa della Politica estera comune e della politica comune
di sicurezza; un Consiglio degli affari generali, che si occupa
della preparazione del bilancio dell'UE, dei suoi allargamenti e
delle questioni di carattere istituzionale o amministrativo. La
Commissione è l'organo esecutivo dell'Unione, promotrice
anche del processo legislativo; è composta da un delegato per
stato membro, detto commissario; essa propone l'adozione
degli atti normativi comunitari, la cui ultima approvazione
spetta al parlamento europeo e al Consiglio dell'UE, è
responsabile dell'attuazione delle decisioni politiche da parte
degli organi legislativi, vigila sull'applicazione delle disposizioni
dei trattati e delle disposizioni adottate dalle istituzioni. L'alto

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rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di


sicurezza guida la politica estera e di sicurezza dell'UE, in
qualità di mandatario del consiglio dell'UE; è incaricato di
incarnare la politica estera dell'Unione, dirige il Consiglio dei
ministri degli esteri.
La Corte di giustizia è l'istituzione che assicura il rispetto del
diritto europeo, rappresenta l'istanza giudiziaria suprema
dell'UE; La Corte comprende più giurisdizioni: 1) La Corte di
giustizia, appunto, interpreta il diritto dell'UE perché esso
venga applicato allo stesso modo in tutti i paesi dell'UE. Si
occupa inoltre di giudicare le controversie tra i governi dei
paesi membri e le istituzioni dell'UE. Anche i privati cittadini, le
imprese o le organizzazioni possono portare un caso
all'attenzione della Corte se ritengono che un'istituzione dell'UE
abbia leso i loro diritti. Le categorie più comuni di cause sulle
quali la Corte deve pronunciarsi sono cinque: il rinvio
pregiudiziale, ovvero quando i tribunali nazionali chiedono alla
Corte di giustizia di interpretare un determinato punto del
diritto dell'UE; 2) il ricorso per inadempimento, presentato
qualora uno Stato membro non applichi il diritto dell'UE; 3) il
ricorso di annullamento, presentato qualora si ritenga che il
diritto dell'UE violi i trattati o i diritti fondamentali dell'UE; 4) il
ricorso per carenza, presentato qualora un'istituzione dell'UE si
astenga dall'obbligo di prendere decisioni; 5) ricorsi diretti,
presentati da privati cittadini, imprese od organizzazioni contro
le decisioni o le azioni dell'UE
2) Il tribunale e 3) Il tribunale della funzione pubblica.

4. I principi fondanti dell'Unione europea


 Il principio di attribuzione: l'Unione agisce esclusivamente
nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli
stati membri in settori specifici; l'articolo 3 del Trattato sul
funzionamento dell'UE indica come settori di competenza
l'unione doganale, la definizione delle regole di
concorrenza nel mercato interno, la politica monetaria, la
conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro
della politica comune della pesca e la politica commerciale
comune.
 Il principio di leale collaborazione : Gli stati devono
astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere
la realizzazione degli obiettivi previsti e devono facilitare

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all'Unione europea l'adempimento dei suoi compiti.


 I principi di sussidiarietà e di proporzionalità : secondo il
principio di sussidiarietà, l'Unione interviene nei settori
che non sono di sua esclusiva competenza solo se gli
obiettivi dell'azione prevista non possono essere
sufficientemente realizzati dagli stati membri e possono
essere realizzati meglio a livello comunitario; al principio di
sussidiarietà è stato affiancato il principio di
proporzionalità, in base al quale l'Unione deve utilizzare
mezzi legislativi adeguati e proporzionali agli scopi fissati,
salvaguardando in tal modo le competenze degli stati
membri.

CAPITOLO VI: L'ordinamento italiano


1. Dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana
Lo Statuto albertino venne promulgato come legge
fondamentale del Regno di Sardegna nel 1848, divenne Carta
fondamentale del Regno di Italia nel 1861, rimane formalmente
in vigore per circa un secolo, fino all'avvento della repubblica.
Era un tipo di costituzione ottriata, nel senso che non era stata
votata da un corpo legislativo o dal popolo, bensì concessa da
un sovrano già detentore di poteri assoluti; era una
costituzione flessibile, non essendo previste procedure per la
sua revisione o forme di controllo della conformità delle leggi
allo stesso statuto. Lo statuto albertino prediligeva lo Stato
liberale; era enunciato il principio di eguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge ed erano riconosciuti i diritti di
libertà civile, tra i quali un valore particolare era attribuito al
diritto di proprietà, definito diritto inviolabile. Quanto alla
divisione dei poteri, al Re veniva assegnato il potere esecutivo,
al parlamento bicamerale spettava il potere legislativo e ai
giudici il potere giudiziario. Un forte mutamento dell'assetto
istituzionale italiano si ebbe con l'avvento del fascismo;
sebbene formalmente esso persisteva, negli anni del regime
fascista si passò da un regime democratico ad un sistema
sempre più autoritario fino a dare luogo ad uno stato totalitario.
Tralasciando gli eventi che caratterizzarono la storia italiana
dalla caduta del regime fascista 1943 alla liberazione del 1945
e alla fine della seconda guerra mondiale, i due eventi che
hanno segnato la storia istituzionale italiana furono il

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referendum istituzionale del 2 giugno 1946, avente come


oggetto la scelta tra monarchia e repubblica, e l'elezione
dell'Assemblea costituente. L'Assemblea affidò ad una
commissione di 75 suoi componenti (la Commissione dei 75) il
compito di redigere un Progetto di Costituzione il cui testo fu
presentato in assemblea il 31 gennaio 1947. La nuova carta
costituzionale entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

2. La Costituzione italiana e i suoi principi


La nuova Carta del 1948 ha segnato una svolta radicale
nell'assetto costituzionale italiano, soprattutto grazie ad un
complesso di principi caratterizzanti profondamente innovativi:
 Principio democratico della sovranità popolare : enunciato
nel primo articolo della nostra carta costituzionale, nel
quale all'enunciazione di apertura comma 1 “L'Italia è una
repubblica democratica fondata sul lavoro” segue
l'affermazione che “la sovranità appartiene al popolo che
la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
(comma 2), nel concreto attraverso istituti come la
democrazia rappresentativa, la democrazia diretta o la
democrazia partecipativa.
 Principio personalista: ha la sua massima espressione nel
riconoscimento dei diritti fondamentali dell'uomo. Ai sensi
dell'articolo 2 della Costituzione, infatti, la repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni sociali.
 Principio solidarista: correlato al principio personalista,
poiché al riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo è
legata la tutela e la garanzia da parte della repubblica dei
diritti della persona anche all'interno di formazioni sociali,
come la famiglia, la scuola, la fabbrica, al punto che una
loro lesione fa scattare l'intervento dello stato in difesa.
 Principio di uguaglianza: Nel primo comma dell'articolo 3,
che si apre con l'affermazione “tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”, si
proclama l'uguaglianza formale; è vietato attuare
distinzioni basate sul sesso, sulla razza, sulla lingua, sulla
religione, sulle opinioni politiche e sulle condizioni
personali e sociali. Si devono disciplinare allo stesso modo
situazioni simili. L'articolo 3.2 introduce il principio di
eguaglianza sostanziale, che specifica l'impegno della

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repubblica ad un'azione di riequilibrio delle forme di


svantaggio attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando l'eguaglianza tra i
cittadini, impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i
cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale
del paese.
 Principio lavorista: è sancito innanzitutto nell'articolo 1,
dove si stabilisce che l'Italia è una repubblica fondata sul
lavoro; si sottolinea poi nell'articolo 4 che la repubblica
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto. Il principio
lavorista viene sviluppato in una serie di altre norme
costituzionali che prevedono particolari tutele, ad esempio
per le lavoratrici madri, per i minori, gli inabili al lavoro
ecc. E' compito dello stato attuare politiche economico-
sociali in grado di raggiungere obiettivi di contrasto alla
disoccupazione, di salvataggio di imprese in crisi.
 Il principio pluralista: l'articolo 5 sancisce l'unità e
l'indivisibilità della repubblica, con impossibilità quindi di
secessione o acquisizione di indipendenza da parti del
territorio nazionale. Prevede anche un ampio
riconoscimento e la promozione delle autonomie locali,
nell'ottica di una divisione del potere a livello territoriale.

CAPITOLO VII: Le fonti del diritto


1. Definizione e tipologie delle fonti del diritto
Si definiscono fonti del diritto quegli organi, quegli atti e quei
fatti che pongono in essere le norme giuridiche, innovando in
tal modo l'ordinamento giuridico. A seconda del profilo dal
quale vengono considerate, vengono distinte in:
 Fonti di produzione – Fonti di cognizione: Sono fonti di
produzione tutti gli organi, procedimenti, atti o fatti cui
l'ordinamento attribuisce il potere di porre in essere norme
giuridiche; nell'ordinamento italiano la fonte di produzione
per eccellenza è la Costituzione; sono fonti di cognizione i
documenti e gli atti formali attraverso i quali il diritto viene
portato a conoscenza.
 Fonti atto – Fonti fatto: Sono fonti atto quegli atti giuridici a
contenuto normativo risultanti da un'espressa
manifestazione di volontà di un organo competente a
produrre diritto; sono ad esempio le leggi, i regolamenti,

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gli statuti degli enti locali ecc. Sono fonti fatto quei
comportamenti, soprattutto le consuetudini, che
producono diritto ma non si traducono in atti legislativi
formali (non sono scritte).
 Fonti tipiche – Fonti atipiche: sono fonti tipiche quelle fonti
la cui formazione è regolata da procedure tipiche del
genere di fonti a cui appartengono (leggi, regolamenti,
ecc); sono fonti atipiche quelle fonti nel cui procedimento
di formazione devono inserirsi degli elementi non ricorrenti
nel genere cui appartengono (Es. Leggi rinforzate).

2. Rapporti tra le fonti e criteri di risoluzione delle antinomie


Sebbene il nostro ordinamento sia caratterizzato da un
crescente pluralismo delle fonti del diritto, due principi
contribuiscono a dare unitarietà al sistema: innanzitutto la
strutturazione dello stesso in modo gerarchico, con la
distinzione delle fonti in costituzionali, primarie e secondarie;
inoltre, è affidato alla Costituzione il compito di indicare quali
sono le fonti di diritto, soprattutto quelle primarie, legittimate
nel nostro ordinamento a produrre norme giuridiche.
I criteri che disciplinano i rapporti tra le diverse fonti sono
quattro:
 Criterio cronologico: tra fonti dello stesso tipo (tra legge e
legge o tra regolamento e regolamento), quella più
recente prevale su quella antecedente;
 Criterio gerarchico: comporta la prevalenza della fonte
gerarchicamente sopraordinata su quella subordinata; in
questo modo, la Costituzione prevarrà sulla legge ordinaria
e sulla legge regionale, a sua volta la legge ordinaria
prevarrà sul regolamento dell'esecutivo;
 Criterio di separazione delle competenze : disciplina i
rapporti tra fonti di enti diversi, ripartendo le giuste
competenze ad ogni fonte del diritto; in questo modo, una
legge dello stato troverà il proprio limite in una legge
regionale in materia di competenza regionale e viceversa.
 Criterio della concorrenza di competenze: si ha
concorrenza di competenze quando una stessa materia
può essere disciplinata da fonti normative di diverso tipo,
poste sullo stesso piano gerarchico; ad esempio, nelle
materie di competenza Stato-Regione, la legge dello stato
porrà la normativa di principio, mentre la legge regionale

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disciplinerà tutti i dettagli.

3. L'interpretazione delle fonti del diritto


Esistono tipi di interpretazione diversi:
 Interpretazione autentica: Fonte dell'interpretazione è lo
stesso legislatore o comunque lo stesso organo che ha
posto in essere la norma da interpretare;
 Interpretazione giurisprudenziale: Interpretazione di una norma da
parte dei giudici;
 Interpretazione dottrinale: Interpretazione di una norma da parte di
studiosi ed esperti del diritto. Si tratta di un'interpretazione non
vincolante, ma che può influire sugli orientamenti giurisprudenziali.
 Interpretazione estensiva: si ricorre all'interpretazione
estensiva quando una norma esprime meno di quanto il
legislatore abbia voluto; se la lacuna è tale da non poter
essere colmata da questa estensione, si ricorre ai criteri di
integrazione che consentono all'ordinamento di auto-
completarsi e auto-integrarsi.
 Interpretazione analogica: consente di risolvere un caso
concreto non regolato da nessuna norma mediante
l'applicazione di una norma regolatrice di un caso simile;
questo criterio di interpretazione si basa quindi sulla
somiglianza tra le due fattispecie, quella regolata da una
norma giuridica e quella non regolata da nessuna norma
specifica.

4. Le fonti del diritto nazionale: La Costituzione


Il termine Costituzione si presta ad assumere significati diversi
a seconda degli aspetti che si intende considerare: prendendo
spunto dall'etimologia del termine, la Costituzione si pone
come atto fondativo di una comunità che decide di fissare in un
documento i propri valori, che la caratterizzano e la
definiscono. In quest'ottica si configura come legge
fondamentale, insieme delle norme materialmente
costituzionali. Individuare la costituzione come legge
fondamentale di un ordinamento comporta la necessità di
renderla “rigida”; al fine di garantire tale requisito, le
Costituzioni contemporanee sono scritte, sono documenti
normativi soggetti ad immediata applicazione e
interpretazione. Al tempo stesso, la loro natura di legge
fondamentale comporta che presentino anche alcune
formulazioni elastiche, idonee a consentire l'adattamento del

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documento all'evoluzione sociale e politica; rientrano in questa


categoria le consuetudini costituzionali, volte ad adattare alle
dinamiche reali il testo costituzionale. Con il termine
consuetudine costituzionale si indica un comportamento posto
in essere da titolari di organi costituzionali ritenuto
costituzionalmente necessario, in funzione integrativa del testo
scritto. (Es. l'istituzione dei ministri senza portafoglio non è
prevista dalla Costituzione, ma è diventata prassi,
consuetudine per la costanza con cui questa istituzione veniva
fatta nel tempo). Diverse dalle consuetudini sono le
convenzioni costituzionali, intese come quei comportamenti
che non si sviluppano in modo spontaneo ma sono il frutto di
accordi, anche taciti, tra soggetti politici. Esse non sono fonti
del diritto, bensì regole politiche volte a garantire il buon
funzionamento degli organi costituzionali.

5. La Costituzione italiana: struttura e caratteri


La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948,
presenta alcune caratteristiche fondamentali:
 E' democratica: fondata sulla sovranità popolare; ne deriva
che la legittimazione di ciascun potere o organo
costituzionale deriva dal popolo attraverso diverse forme
di rappresentatività diretta.
 È una fonte sulle fonti: legittima tutti i processi di
produzione del diritto, individua in modo tassativo le fonti
primarie, ne disciplina il procedimento, assegna ad ogni
fonte una certa forza e efficacia formale.
 È rigida: può essere modificata solo utilizzando il
procedimento previsto dall'articolo 138 della Costituzione.
 È lunga: contiene sia l'insieme dei diritti inviolabili e dei
doveri fondamentali, sia l'articolazione della forma di
governo e della forma di Stato.

6. Revisione della Costituzione


A differenza delle fonti primarie, che possono essere modificate
senza particolari problemi, la Costituzione italiana presenta la
propensione alla stabilità, è rigida e prevede un procedimento
di revisione “aggravato”, strutturato in modo da favorire una
scelta non solo ponderata (grazie alla duplice approvazione in
ciascuna Camera) ma anche condivisa dalle forze politiche
presenti in parlamento. La revisione costituzionale, però, non è

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utilizzabile per tutte le disposizioni costituzionali: la


Costituzione infatti non è interamente modificabile, alcune sue
parti sono sottratte a modifiche o soppressioni. Un limite
esplicito alla revisione è rintracciabile nell'articolo 139, il quale
stabilisce espressamente che la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale. Vi sono poi diversi
limiti impliciti: devono essere ritenuti immodificabili i primi
articoli della Costituzione, in quanto principi fondamentali, il
principio della separazione dei poteri e il nucleo essenziale dei
diritti e doveri dei cittadini.

7. La riserva di legge
La riserva di legge è lo strumento mediante il quale la
Costituzione individua la fonte abilitata a disciplinare una
determinata materia; rappresenta quindi una regola
distributiva della competenza tra le fonti del diritto. La
Costituzione italiana presenta diversi tipi di riserve:
 Riserva di legge costituzionale – Riserva di legge ordinaria:
si ha una riserva di legge costituzionale quando la
Costituzione prevede che una determinata materia possa
essere disciplinata solo con legge costituzionale; è prevista
per l'attribuzione ad organi ed enti del potere di iniziativa
legislativa, per la revisione degli statuti delle regioni ad
autonomia speciale e per il mutamento delle circoscrizioni
regionali. La riserva di legge ordinaria prevede invece che
in determinate materie debba intervenire una fonte
primaria statale, in modo assoluto, relativo o rinforzato.
 Riserva di legge assoluta – Riserva di legge relativa: Nel
caso di riserva di legge assoluta, la legge o gli atti con
forza di legge disciplinano la materia in tutti i suoi aspetti,
senza margine di intervento per le fonti subordinate; nel
caso di riserva relativa, invece, i principi devono essere
stabiliti dalla legge ordinaria, ma viene lasciato uno spazio
di integrazione della materia al potere esecutivo (governo)
attraverso i regolamenti governativi.

8. Le fonti primarie statali: leggi formali, leggi rinforzate e


atipiche
[legge formale: legge che nella gerarchia delle fonti occupa lo stesso
gradino della costituzione (legge costituzionale) o il gradino
immediatamente inferiore (legge ordinaria); leggi rinforzate: leggi più
complesse di quelle ordinarie, specializzate per disciplinare determinate

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materie; leggi atipiche: leggi che pur presentando la stessa forma della
legge, hanno una posizione particolare nel sistema delle fonti, perchè
non sono abrogabili dal referendum e non introducono norme capaci di
produrre effetti giuridici nell'ordinamento]
Le fonti primarie statali si pongono, nella scala delle fonti, al di
sotto della Costituzione e delle leggi costituzionali; due organi
sono abilitati a produrre norme primarie, il Parlamento e il
Governo. La principale fonte primaria è la legge ordinaria
formale, approvata dal Parlamento. La legge del Parlamento,
però, nell'ordinamento italiano incontra una serie di importanti
vincoli: il limite principale è rappresentato dalla Costituzione
che, in quanto fonte sulle fonti e rigida, la influenza sia sul
piano formale sia sul piano sostanziale; la legge del parlamento
infatti dev'essere approvata secondo un procedimento
disciplinato dalla Carta costituzionale e deve avere un
contenuto non in contrasto con essa.
La Costituzione ha individuato alcuni casi nei quali la
regolamentazione può essere posta in essere solo con la legge
del Parlamento: l'articolo 72.4 prevede che la legge di delega al
Governo della funzione legislativa debba essere approvata
dalle Camere con procedimento ordinario (riserva di
assemblea); questa legge presenta poi anche un vincolo di
contenuto, dovendo in essa essere indicato l'oggetto della
disciplina, il termine entro il quale il Governo potrà esercitarla e
i principi e criteri direttivi affinchè il conseguente decreto
legislativo rispetti appieno la volontà del parlamento
delegante. Un altro caso di ricorso alla legge formale è
rappresentato dalla conversione del decreto legge, che affida
alle Camere anche la possibilità di regolare con legge gli effetti
di un decreto legge non convertito. È riservata alle legge
formale anche l'autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali, che si presenta come una fonte atipica dal
momento che il suo contenuto è privo della capacità di
innovare l'ordinamento giuridico. Riservata alle Camera è
anche l'approvazione della legge di amnistia o indulto: in
seguito alla riforma dell'articolo 79, tale legge dev'essere
approvata a maggioranza dei due terzi in entrambi i rami del
parlamento. La Costituzione inserisce nel gruppo delle fonti
primarie statali due atti normativi del Governo, il decreto
legislativo e decreto legge, previsti dagli articoli 76 e 77 della
Costituzione. I decreti legislativi e i decreti legge vengono
definiti dalla Costituzione atti con valore e con forza di legge;

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entrambi godono della forza attiva e passiva propria della legge


formale, ossia della capacità di abrogare fonti primarie ad essi
preesistenti e di resistere all'abrogazione da parte di fonti
subordinate successive. Solo il decreto legislativo presenta
anche il valore della legge, inteso come completa
equiparazione giuridica alla stessa, che deriva dalla delega ad
esercitare la funzione legislativa che il parlamento conferisce al
governo. Il decreto legge viene adottato dal Governo, sotto la
sua responsabilità, con deliberazione del Consiglio dei ministri,
in casi straordinari di necessità ed urgenza ed emanato dal
Presidente della repubblica. Entra in vigore il giorno stesso
della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e
contestualmente il Governo presenta in Parlamento il disegno
di legge di conversione. Il decreto legge, infatti, essendo un
provvedimento provvisorio con forza di legge, è destinato a
decadere qualora il Parlamento non lo converta in legge entro
sessanta giorni; la decadenza, a differenza dell'abrogazione o
dell'annullamento, travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto,
con la conseguenza che esso si configura come mai esistito. I
decreti legislativi e i decreti legge sono assoggettati al controllo
di legittimità costituzionale della Corte costituzionale; i decreti
legislativi potranno essere dichiarati incostituzionali qualora
approvati dopo la scadenza del termine stabilito, oppure perchè
l'oggetto disciplinato sia diverso o più ampio di quello indicato;
per i decreti legge, il controllo si concentra soprattutto sul
risulto della conversione in legge, non tanto sui decreti poiché
temporanei.

9. Il referendum
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, mediante
il quale il popolo esercita in modo diretto la propria sovranità.
Nella Costituzione italiana il referendum è previsto come fase
eventuale nel procedimento di revisione costituzionale, dove ha
una finalità confermativa del lavoro svolto dal Parlamento
(articolo 138), con un valore consultivo nel caso di richieste di
modificazioni territoriali (articolo 132), come strumento di
legislazione popolare negativa nella forma del referendum
abrogativo (articolo 75). il referendum abrogativo disciplinato
dall'articolo 75 consente al corpo elettorale di abrogare una
legge o un atto avente forza di legge; il nucleo del referendum
abrogativo è rappresentato dal quesito al quale l'elettore è

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chiamato a rispondere con un sì (volontà di abrogare) o un no


(scelta di conservare la legge) e che ha ad oggetto tutta una
legge o un atto avente forza di legge.
Il procedimento referendario è disciplinato dalla legge
n°352/1970 e si articola in quattro fasi: iniziativa, giudizio di
ammissibilità, indizione e consultazione. Possono presentare
richiesta di referendum 500000 elettori o 5 consigli regionali; la
richiesta di referendum può essere presentata dal 1° gennaio al
30 settembre di ogni anno. La fase del controllo è svolta in
sequenza da due organi: l'Ufficio centrale per il referendum
della Corte di Cassazione verifica la conformità della richiesta
alla legge e il raggiungimento del quorum minimo di firme
valide; conclusasi con esito favorevole questa fase, interviene
la Corte costituzionale, chiamata a giudicare sulla ammissibilità
del quesito referendario. La sentenza della Corte costituzionale
conclude la fase del controllo. Se il quesito viene dichiarato
ammissibile, il Presidente della repubblica indice il referendum
che deve tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il
15 giugno. Per essere valido, alla consultazione devono
partecipare il 50% più uno degli aventi diritto di voto (18 anni);
solo se si raggiunge tale quorum strutturale si procede al
computo dei voti favorevoli o contrari. Se prevalgono i no, il
risultato viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e da quel
momento iniziano a decorrere i cinque anni durante i quali non
è possibile riproporre lo stesso quesito; in caso contrario, si
produce l'effetto abrogativo: spetta dunque al Presidente della
repubblica, con proprio decreto, dichiarare l'avvenuta perdita di
efficacia della legge che decorre dal giorno della pubblicazione
del decreto stesso sulla Gazzetta.

10. Regolamenti governativi e altri regolamenti


dell'esecutivo
Il sistema delle fonti statali prevede anche la presenza di fonti
secondarie, ossia di atti subordinati alla legge; sono fonti
secondarie tre diversi tipi di regolamenti:
 I regolamenti del governo: atti normativi che, pur avendo
la capacità di innovare l'ordinamento giuridico
introducendovi norme generali e astratte, si presentano
formalmente come atti amministrativi;
 I regolamenti ministeriali: atti normativi adottati dal
singolo Ministro o dal Presidente del Consiglio;

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 I regolamenti interministeriali: atti normativi adottati da


più Ministri e riguardanti oggetti che richiedono una
regolamentazione trasversale.

11. Consuetudini, usi e prassi


Nell'ordinamento giuridico italiano, oltre alle fonti classiche di
diritto, esistono anche le consuetudini, gli usi e la prassi. La
consuetudine rappresenta la principale fonte-fatto presente
nell'ordinamento italiano e viene descritta come un
comportamento che si ripete costantemente nel tempo al quale
si associa la convinzione collettiva che quell'azione sia
giuridicamente dovuta. La costanza è l'elemento realmente
determinante della consuetudine, il comportamento deve
ripetersi costantemente nel tempo. Lo spazio di azione della
consuetudine è abbastanza ridotto, soprattutto per la
prevalenza del diritto scritto su quello non scritto. Sono
accettate due forme di consuetudine:
 Secundum legem (secondo legge): svolge una funzione
integrativa di un atto normativo, ad esempio laddove si
sforza di dare un significato particolare ad un elemento
della norma per renderlo più adeguato agli usi locali o alle
mutate esigenze sociali;
 Praeter legem (al di là della legge): regola materie che non
sono disciplinate in modo specifico da leggi o regolamenti.

12. Fonti del diritto degli enti autonomi territoriali: statuti,


leggi e regolamenti delle Regioni
Sono fonti di diritto delle Regioni gli statuti, le leggi regionali e i
regolamenti regionali. Ogni Regione è dotata di un proprio
Statuto ma occorre distinguere tra due tipologie di statuti: gli
statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria e gli statuti delle
Regioni ad autonomia speciale; le regioni ad autonomia
ordinaria sono dotate di statuti ordinari, le regioni ad
autonomia speciale sono invece dotate di statuti speciali che si
distinguono per natura e funzione dai primi. Come previsto
dall'articolo 116, gli statuti delle cinque regioni a statuto
speciale ( Friuli, Sardegna, Sicilia, Trentino e Valle d'Aosta) sono
adottati con legge costituzionale. Per questo motivo, il
procedimento di approvazione e di revisione degli statuti
speciali è assimilabile al processo per l'adozione di leggi
costituzionali e di revisione costituzionale previsto dall'articolo

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138. Esiste un'altra particolare fonte delle Regioni a statuto


speciale, la legge statutaria: si tratta di una legge regionale
rinforzata, poiché richiede una procedura aggravata per la sua
adozione, diversa da quella ordinaria prevista per
l'approvazione di una legge regionale. La legge statutaria
infatti dev'essere approvata dal Consiglio regionale a
maggioranza assoluta e può essere sottoposta ad un
referendum confermativo entro tre mesi dalla pubblicazione. La
procedura di adozione e le funzioni degli statuti delle regioni ad
autonomia ordinaria sono dettate dall'articolo 123 della
Costituzione: lo statuto delle Regioni ordinarie dev'essere
approvato e modificato mediante una procedura aggravata che
prevede l'approvazione a maggioranza assoluta dei membri del
Consiglio regionale, con due deliberazioni successive adottate
ad intervallo non minore di due mesi. Il Governo può impugnare
lo statuto davanti alla Corte costituzionale entro trenta giorni
dalla sua pubblicazione. Lo statuto delle regioni ordinarie deve
innanzitutto determinare la forma di governo ed i principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione;
deve inoltre regolare l'esercizio del diritto di iniziativa
legislativa e del referendum su leggi e provvedimenti
amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti regionali. La legge regionale è una fonte primaria,
che si pone su un piano paritario rispetto alla legge statale, in
base al principio della separazione delle competenze. Il
procedimento legislativo regionale è composto dalla fase
dell'iniziativa, dell'approvazione e della promulgazione;
l'iniziativa legislativa spetta alla Giunta, al Consiglio regionale e
ad altri soggetti individuati dagli statuti (in genere gli elettori
della regione e gli enti locali). La fase dell'approvazione è
disciplinata dagli statuti con modalità molto simili a quelle
previste dal procedimento legislativo statale, con le
Commissioni consiliari in sede referente e il procedimento in
sede redigente. L'approvazione da parte del Consiglio avviene
articolo per articolo e con votazione finale. La promulgazione,
cui segue la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione,
spetta al Presidente della Regione.

13. Fonti del diritto dell'Unione Europea


Il sistema delle fonti del diritto dell'UE si basa innanzitutto sulla
distinzione tra fonti originarie (o primarie) e fonti derivate (o

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secondarie) dell'UE: le fonti originarie sono costituite dai


trattati comunitari, le fonti derivate sono gli atti normativi che
possono essere adottati dal Consiglio e dal Parlamento
europeo. Le fonti derivate sono subordinate alle fonti originarie,
nel senso che gli atti legislativi dell'UE non possono contenere
norme in contrasto con le norme dei trattati. A garanzia del
rispetto di questo rapporto gerarchico opera la Corte di
giustizia dell'UE. Le fonti derivate vanno distinte in atti
normativi vincolanti ed atti normativi non vincolanti, a seconda
della loro capacità o meno di produrre diritti o obblighi nei
confronti dei loro destinatari. Tra gli atti normativi vincolanti
rientrano: i regolamenti (simili alle leggi, hanno portata
generale, sono obbligatori e direttamente applicabili a tutti gli
stati membri), le direttive (stabiliscono ed impongono agli stati
dei risultati da raggiungere entro un termine da esse stabilito,
consentendo allo stato membro di scegliere in maniera
discrezionale come conseguire gli obiettivi) e le decisioni (atti
vincolanti che riguardano solamente specifici destinatari da
esse designati, come ad esempio un singolo stato membro o
un'impresa operante all'interno dell'UE; come i regolamenti,
sono obbligatorie in tutti i loro elementi e direttamente
applicabili, ma a differenza di questi ultimi non hanno portata
generale perchè si rivolgono a soggetti specifici). Gli atti
normativi non vincolanti dell'Unione, invece, sono le
raccomandazioni e i pareri; si tratta di atti non vincolanti che
non producono obblighi o diritti nei confronti dei destinatari. Le
raccomandazioni sono inviti rivolti nei confronti degli stati a
conformarsi ad un determinato comportamento, mentre i pareri
contengono il punto di vista dell'istituzione che li emette in
merito ad una specifica questione.

CAPITOLO VIII: La Repubblica e le sue istituzioni


1. La Repubblica e le sue componenti
L'articolo 114 stabilisce che la Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni
e dallo Stato. Lo Stato, in quanto persona giuridica, per
manifestare ai vari livelli la propria volontà e quindi per agire,
deve avvalersi di strumenti che consentano l'imputabilità ad
esso della propria azione con gli effetti giuridici che questa
comporta. Infatti, mentre una persona fisica può operare nel

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campo del diritto sia in prima persona sia avvalendosi di un


rappresentante, lo Stato, in quanto ente ideale, non può agire
direttamente ma deve avvalersi di una serie di strumenti che
offre il diritto. Si definiscono poteri dello Stato quei complessi
unitari di organi che esercitano le funzioni fondamentali dello
stesso Stato; ai tre classici poteri dello Stato, il legislativo,
l'esecutivo e il giudiziario, rispettivamente rappresentanti nel
nostro ordinamento dalle Camere parlamentari, dal Governo e
dalla magistratura, vanno aggiunti i poteri del Presidente della
repubblica e della Corte costituzionale, a garanzia
dell'ordinamento e del funzionamento del sistema
costituzionale. Il Presidente della repubblica ha una
legittimazione democratica in quanto eletto dai rappresentanti
del corpo elettorale nel Parlamento in seduta comune; ha il
principale compito di intervenire quando il sistema
costituzionale si inceppa: può riavviare il sistema con una
decisione di sciogliere le camere prima della loro naturale
scadenza e indire nuove elezioni, nominare il presidente del
consiglio e i ministri dopo una crisi di governo, vigilare sulla
costituzionalità di atti normativi rinviando alle Camere leggi da
queste approvate. Altro garante dell'ordinamento costituzionale
è la Corte costituzionale, composta da giuristi eletti dal
Parlamento o nominati dal Presidente della repubblica. Essa
può vagliare la costituzionalità delle leggi e degli atti con forza
di legge, giudicare il Presidente della repubblica per reati di alto
tradimento o attentato alla Costituzione.

2. Il corpo elettorale
La sovranità appartiene al popolo (articolo 1) che la esercita in
via sostanziale e non solo ideale, mediante l'elezione dei propri
rappresentanti presso le istituzioni. Si realizza così la
democrazia rappresentativa, in quanto i cittadini, pur non
partecipando direttamente alle funzioni di governo, scelgono le
persone che assumeranno le decisioni politiche nell'interesse
della collettività. Il corpo elettorale rappresenta quella parte del
popolo titolare dei diritti politici, quindi in possesso dei requisiti
(età e status) che lo legittimano ad esprimere la dichiarazione
di voto. Per esercitare il diritto di voto è richiesto il
raggiungimento della maggiore età, che presuppone
l'acquisizione di un grado di maturità personale, culturale ed
ideologica dell'individuo, e il possesso della cittadinanza nello

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Stato in cui si intende votare. La funzione principale del corpo


elettorale è quella di eleggere i componenti delle istituzioni
rappresentative, prima tra tutte il Parlamento, l'istituzione più
vicina al popolo. A livello territoriale, il corpo elettorale è
chiamato ad eleggere gli organi rappresentativi locali (Consigli
regionali, Consigli comunali) e i vertici degli Esecutivi
(Presidente della regione, sindaco). Distinguiamo tra elettorato
attivo e elettorato passivo: l'elettorato attivo indica l'idoneità a
votare, mentre l'elettorato passivo indica l'idoneità a candidarsi
e ad essere eletti.

3. I sistemi elettorali
Il sistema elettorale è il metodo di trasformazione della volontà
popolare in voti e dei voti in seggi; rappresenta perciò lo
strumento operativo con cui in concreto i cittadini selezionano i
rappresentanti politici a cui affidare la carica istituzionale. La
formula elettorale riguarda le operazioni di calcolo utili a
tradurre i voti espressi in seggi; sono previste due formule
elettorali di base:
 Maggioritaria: attribuisce il seggio al candidato che ottiene
più voti nel collegio elettorale;
 Proporzionale: attribuisce i seggi in proporzione alla
percentuale di voti riportati dai candidati o dalle forze
politiche.

4. Il sistema elettorale per l'elezione della rappresentanza


nazionale nel Parlamento europeo
I cittadini italiani hanno diritto di scegliere i propri
rappresentanti al Parlamento europeo, in occasione del suo
rinnovo. L'Italia è chiamata ad eleggere 73 parlamentari su 751
euro-parlamentari. Il parlamento europeo esprime una
rappresentanza proporzionale degli stati membri, ma ciascuno
stato stabilisce in piena autonomia la procedura elettorale per
individuare coloro che assumeranno il mandato parlamentare
in Europa. In Italia è prevista una formula proporzionale con
voto di preferenza.

5. Il Parlamento
Il termine parlamento ha assunto sin dal medioevo il significato
di assemblea, nella quale inizialmente si dibatteva al fine di
raggiungere un accordo tra le diverse componenti del

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complesso sistema politico medievale, e nel periodo successivo


liberale si discuteva per definire l'interesse generale della
Nazione. Un elemento innovativo si rintraccia nella presenza in
queste assemblee non solo di membri di diritto ma anche di
rappresentanti. Il parlamento italiano riveste un ruolo centrale
nel sistema istituzionale disegnato dalla Costituzione del 1948:
esso infatti è chiamato non solo ad esercitare la funzione
legislativa e di revisione costituzionale, ma anche a sostenere
l'azione del Governo, conferendo ad esso la fiducia dopo la
nomina e ad eleggere il Presidente della repubblica e un terzo
dei giudici della Corte costituzionale, ai quali è affidata la
garanzia della rigidità e della corretta applicazione della
Costituzione. La struttura del parlamento di uno Stato
democratico (monocamerale o bicamerale) trasmette
informazioni circa il tipo di rappresentanza e il ruolo che
l'organo è chiamato a svolgere; la struttura monocamerale
mira a dare un'unica rappresentazione della volontà popolare,
mentre la scelta bicamerale rappresenta la scelta di fondare il
mandato parlamentare su elementi diversi della società.
Il parlamento italiano è composto dalla Camera dei Deputati e
dal Senato della Repubblica, i cui membri in determinate
occasioni si riuniscono in seduta congiunta. Il bicameralismo è
perfetto, poiché le due Camere si trovano a svolgere, in
condizioni di parità giuridica, le stesse funzioni legislative e di
controllo sul Governo. Le uniche differenze tra le due Camere
del parlamento italiano riguardano il numero dei componenti
(la Camera dei deputati è composta da 630 membri, tutti
elettivi, mentre il Senato presenta un numero di componenti
variabile, in quanto ai 315 senatori elettivi si sommano gli ex
presidenti della repubblica [che diventano senatori a vita] e
cinque cittadini, nominati dal presidente della repubblica a far
parte a vita di quest'organo per aver donato alla Patria altissimi
meriti in svariati campi); diversi sono anche i requisiti
anagrafici richiesti per l'esercizio dell'elettorato attivo e passivo
per la Camera e per il Senato. La durata ordinaria della Camera
e del Senato della Repubblica si definisce Legislatura e dura
cinque anni. La Costituzione affida al presidente della
repubblica il compito di indire le elezioni delle nuove camere al
termine della legislatura e di deliberare un eventuale
scioglimento anticipato delle Camere. Ciascuna Camera elegge
il proprio presidente, che ha il compito di rappresentarla

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all'esterno e di organizzarne i lavori, nel rispetto del


regolamento.

6. Le funzioni delle Camere


 Funzione legislativa: la prima fase dell'iter legislativo è
rappresentata dalla presentazione ad una delle due
Camere di una proposta di legge, redatta in articoli; i
soggetti legittimati a tale iniziativa sono il Governo, i
singoli membri del Parlamento, il corpo elettorale (può
presentare una proposta di legge sottoscritta da almeno
50mila elettori e accompagnata da una relazione che ne
illustri le finalità generali e il contenuto delle singole
disposizioni), ogni singolo Consiglio regionale. L'iniziativa
legislativa di maggior rilievo è quella del Governo, che
utilizza tale strumento per realizzare i diversi punti del
proprio programma politico, chiedendo alla maggioranza
parlamentare che ha conferito la fiducia di condividerli e di
trasformarli in legge. La fase di discussione e
approvazione di un disegno/progetto di legge è l'unica fase
che si svolge interamente all'interno delle Camere; il
presidente della Camera, al quale il progetto è stato
presentato, lo assegna ad una Commissione permanente,
competente per materia. Dopo che il relatore ha esposto le
linee generali e le finalità dello stesso, il progetto viene
discusso e vengono votati gli eventuali emendamenti. Alla
fine il testo viene approvato insieme ad una relazione
finale e inviato all'Aula, dove iniziano le tre letture: prima
di tutto una discussione generale, al termine della quale si
passa alla fase lunga e complessa della discussione dei
singoli articoli e degli emendamenti e alla loro votazione
finale (seconda lettura); l'ultima lettura consiste
nell'approvazione finale del testo, volta a consentire ai
componenti dell'Assemblea di esprimere il proprio voto
definitivo su un testo complessivo che può essere anche
molto diverso da quello sul quale si era svolta la
discussione iniziale. Completato l'iter in una Camera, il
testo viene inviato all'altra, dove il procedimento
ricomincia, nell'assoluta libertà per la seconda camera di
apportare al testo tutte le modifiche ritenute opportune. Il
processo si conclude solo quando entrambe le Camere
approvano il testo nella medesima formulazione.

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 La revisione costituzionale: le Camere sono titolari della


funzione di approvazione delle leggi di revisione
costituzionale e delle altre leggi costituzionali; il
procedimento di revisione costituzionale ha l'obiettivo di
sottoporre il disegno di legge di revisione a momenti
diversi di riflessione e valutazione circa la coerenza della
modifica e le conseguenze che essa potrebbe avere, ecco
perchè si divide in più fasi.

7. Il Presidente della Repubblica


Il Presidente della Repubblica non detiene né il potere
legislativo, né il potere esecutivo, né il potere giudiziario, ma
esercita competenze inerenti a tutti e tre i poteri, che
riguardano quindi il Parlamento, il Governo e la Magistratura.
 Nei confronti del Parlamento: l'attribuzione più importante
nei confronti dell'organo parlamento è lo scioglimento, che
può avvenire solo dopo aver sentito i presidenti delle
camere e può essere disposto anche per un solo ramo del
parlamento; il parere dei presidenti è obbligatorio ma non
vincolante. Il presidente non può sciogliere le camere negli
ultimi mesi del suo mandato, il cosiddetto semestre
bianco. Può inoltre nominare senatori a vita cinque
cittadini che hanno servito la Patria per altissimi meriti nel
campo sociale, scientifico, artistico e letterario; può
rinviare le leggi al Parlamento, con messaggio motivato,
chiedendo alle Camere una nuova deliberazione.
 Nei confronti del Governo: Il presidente nomina il
presidente del Consiglio e i Ministri, su proposta del
presidente del Consiglio;
 Nei confronti della Magistratura: il presidente presiede il
Consiglio superiore della Magistratura, ossia l'organo di
autogoverno della magistratura, detenendo i normali
poteri di un presidente di un organo collegiale, quindi il
potere di convocazione e di stilare l'ordine del giorno;
 Nei confronti della Corte costituzionale : il presidente
nomina un terzo dei membri della Corte costituzionale;
 Nei confronti del corpo elettorale: spetta al presidente
l'indizione dei referendum; una volta che il quesito ha
superato il controllo presso la Corte di Cassazione e della
Corte costituzionale, spetta al presidente indirli con
proprio decreto.

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8. La pubblica Amministrazione
La pubblica amministrazione è quella struttura, composta di
pubblici impiegati forniti di specifiche competenze
professionali, che ha il compito da un lato di coadiuvare gli
organi politici centrali e locali nell'azione di governo per la cura
di interessi pubblici, e dall'altro quello di fornire beni ed erogare
servizi in favore delle comunità amministrate. La funzione
amministrativa quindi ha il compito di provvedere alla cura di
interessi pubblici determinati e concreti, in ciò differenziandosi
dalla funzione normativa, che ha invece il compito di
disciplinare situazioni generali e astratte. La Costituzione non
disciplina direttamente la Pubblica amministrazione, ma
stabilisce alcuni principi fondamentali; l'articolo 5, e l'intero
titolo V, della Costituzione sanciscono i principi dell'autonomia
e del decentramento nell'ordinamento: l'amministrazione è
affidata agli enti rappresentativi delle comunità territoriali e le
funzioni amministrative statali sono dislocate sul territorio. La
costituzione prevede anche la diretta responsabilità (civile,
penale, amministrativa e contabile) per gli atti compiuti in
violazione dei diritti e sancisce il diritto generale di ricorrere ad
un giudice contro qualsiasi atto della Pubblica amministrazione
che abbia leso diritti soggettivi o interessi legittimi. L'articolo
97 stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
8. Il Governo
Il governo oggi rappresenta l'organo che impersona il potere
esecutivo e l'organo che lo esercita. Secondo l'articolo 92.2, il
Presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio
dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. All'elezione del
governo da parte del Presidente della repubblica, segue subito
il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della
Costituzione e delle sue leggi. Da questo momento il Governo è
immerso nella pienezza delle funzioni. Esso è composto, come
già detto, dal Presidente del Consiglio, dai Ministri e dal
Consiglio dei ministri; questi tre organi sono necessari
all'esistenza dell'organo costituzionale “Governo della
repubblica”. La legge 400/1988 conferisce direttamente al
Presidente del Consiglio una serie di importanti attribuzioni,
all'interno delle quali vanno distinte quelle:

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 a nome del Governo: chiede inizialmente alle Camere la


fiducia sul programma e pone successivamente
l'eventuale questione di fiducia, sottopone al presidente
della repubblica i disegni di legge di iniziativa governativa
da presentare alle camere affinchè esse li esaminino e li
approvino, controfirma gli atti di promulgazione delle leggi
e quelli di emanazione degli atti con valore o forza di
legge, esercita la facoltà del Governo di richiedere che un
disegno di legge sia discusso e votato direttamente
dall'intera Assemblea, interviene nel giudizio sulle
questioni di legittimità costituzionale;
 come direttore della politica generale del Governo : ha il
potere di indirizzare ai ministri direttive politiche ed
amministrative sia generali sia particolari, di sospendere
gli atti dei singoli ministri, rinviandoli alla valutazione del
Consiglio dei ministri, di adottare direttive per assicurare
imparzialità, efficienza e buona amministrazione nei
pubblici uffici, di istituire particolari Comitati di ministri con
funzione di analisi preventiva, di consulenza e di proposta
al Consiglio dei Ministri;
 come Presidente: ha il potere di proporre al capo dello
Stato la nomina dei ministri, di convocare e presiedere il
consiglio dei ministri , di assumere ad interim la direzione
di un ministero che sia vacante e di reggere la presidenza
del Consiglio.

9. La Magistratura
Alla magistratura è affidato l'esercizio della funzione
giurisdizionale, allo scopo di risolvere una controversia insorta
tra due soggetti. Al fine di assicurare la piena ed effettiva
uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la tutela dei diritti
soggettivi e degli interessi legittimi e la puntuale separazione
tra le diverse funzioni statuali, la Costituzione ha stabilito che
la magistratura dev'essere autonoma e indipendente da ogni
altro potere; questo non significa che possa darsi da sé le
regole organizzative e funzionali, ma che l'ordine giudiziario
non deve subire condizionamenti provenienti da organi
appartenenti ad altri poteri dello Stato. Il magistrato,
nell'esercizio delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione,
opera secondo il proprio libero convincimento e senza
dipendere dagli altri poteri statuali. L'obbligo di fedeltà alle

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legge esclude comunque che il magistrato possa sostituire il


proprio volere autonomo alla volontà generale ed astratta del
legislatore, uguale per tutti, anche quando non ne condivide i
contenuti, oppure che egli possa rifiutarsi di applicare la legge
al caso che gli viene sottoposto. La magistratura ordinaria si
articola nei due rami: giudicante, costituito dai giudici e titolare
della funzione di decidere su una determinata causa, e
requirente, composto dai magistrati del pubblico ministero, che
hanno la funzione di promozione della repressione dei reati, di
esecuzione dei provvedimenti giudiziari e di applicazione delle
misure di sicurezza nei casi stabiliti dalla legge. I giudici sono
organi giudiziari in materia civile e penale. Essi sono: il Giudice
della pace, competente per le cause minori, il Tribunale, organo
competente per tutte le altre cause e in appello per le sentenze
del Giudice di pace rese secondo diritto; la Corte d'appello e la
Corte suprema di Cassazione. In materia penale operano anche
la Corte d'Assise e la Corte d'Assise d'appello. Sempre in
materia penale vi sono poi: il Giudice per le indagini
preliminari, competente nella fase delle indagini preliminari
quando occorre assumere determinati provvedimenti giudiziari
in contraddittorio tra p.m e difesa, e il Giudice per l'udienza
preliminare, che esamina la richiesta di rinvio a giudizio
presentata dal p.m. I magistrati devono fondare la propria
condotta sull'imparzialità, sulla fedele osservanza della legge,
correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto
della dignità della persona. La legge tipizza gli illeciti che essi
possono commettere sia nell'esercizio delle loro funzioni, sia al
di fuori di esse, sia quelli connessi alla commissione di reati. Il
compimento di un illecito disciplinare è fonte di sanzione
disciplinare, variabile in base alla gravità del comportamento
tenuto, può essere un ammonimento, una perdita di anzianità
di ruolo, una sospensione del servizio o addirittura una
rimozione. Distinta dalla responsabilità disciplinare è la
responsabilità civile del giudice, che sorge ogni qualvolta egli
sia chiamato a rispondere a titolo personale del danno
cagionato a una parte processuale da comportamenti
commessi nell'esercizio delle proprie funzioni.

10. Il Consiglio superiore della Magistratura


Il Consiglio superiore della Magistratura è composto da tre
membri di diritto (il Presidente della repubblica, il Primo

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presidente della Corte suprema di Cassazione e il Procuratore


generale) e da un numero di membri elettivi, stabilito dalla
legge, in modo tale che due terzi di essi siano eletti tra tutti i
magistrati ordinari (membri togati) e un terzo sia eletto dal
Parlamento tra i professori ordinari di università in materie
giuridiche e gli avvocati con almeno 15 anni di esercizio
professionale (membri laici); sedici togati e otto laici. I
Consiglieri durano in carica per quattro anni, non sono
immediatamente rieleggibili e durante il mandato non possono
essere iscritti in albi professionali, né appartenere al
Parlamento o a un Consiglio regionale, né essere titolari di
imprese commerciali o di enti pubblici. Al Consiglio superiore
della magistratura spettano i provvedimenti concernenti lo
status dei magistrati, in particolare quelli riguardanti le
assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di
professionalità e le progressioni in carriera, le sanzioni
disciplinari ecc.

11. Ordinamento giudiziario e riserva di legge


L'articolo 108 prevede una riserva di legge in materia di
ordinamento giudiziario, estesa anche alle giurisdizioni speciali
e al p.m, ai quali dev'essere assicurata l'indipendenza. Questa
riserva impedisce che la magistratura possa essere
condizionata dal Governo attraverso il ricorso alla forma
regolamentare. Le competenze riconosciute al Ministero della
Giustizia sono circoscritte; ad esso spetta l'organizzazione e il
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

12. Giusto processo e principio del contraddittorio


L'articolo 111 fissa i principi fondamentali che devono essere
rispettati nell'esercizio della funzione giurisdizionale sia da
parte del giudice ordinario sia da parte dei giudici speciali
(amministrativi, contabili e tributari). Ogni processo dev'essere
giusto e regolato dalla legge, e si deve svolgere in
contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, davanti a un
giudice terzo e imparziale, secondo una durata ragionevole.
Alle parti spetta portare le prove a fondamento delle loro
ragioni, il giudice deve decidere unicamente sulle richieste
effettivamente avanzate dalle parti.

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13. I principi costituzionali in tema di processo penale


Attraverso il procedimento penale, lo Stato accerta la
responsabilità penale di un soggetto a seguito della
commissione di un fatto costituente reato ed esercita nei
confronti di questo la propria pretesa punitiva. Il processo
penale deve assicurare che la persona accusata di un reato sia
informata della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo
carico, che essa disponga di un tempo congruo e di condizioni
adeguate a preparare la propria difesa, che abbia facoltà di
controinterrogare i testimoni a carico chiamati dall'accusa e di
convocare e interrogare i testimoni a discarico, che possa
ottenere l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo
favore. Il processo penale deve inoltre essere modellato
secondo lo schema accusatorio, nel quale la prova della
consapevolezza, portata dall'accusa, si forma nel
contraddittorio con la difesa.

14. Obbligatorietà della motivazione in tutti i provvedimenti


giurisdizionali
Ai sensi dell'articolo 111, tutti i provvedimenti giurisdizionali
devono essere motivati. L'obbligo di motivazione consente alla
parte soccombente di conoscere le ragioni poste dal giudice a
fondamento della sua decisione, permette una forma di
controllo democratica dell'esercizio del potere giurisdizionale e
assicura l'effettività del principio di legalità nell'esercizio della
funzione del giudice, il quale, essendo obbligato a fornire una
motivazione, deve essere sempre in grado di dimostrare che la
decisione non scaturisce dalla propria arbitraria volontà, ma da
quella della legge, rigorosamente interpretata e applicata al
caso.

15. Il doppio grado di giurisdizione


La Costituzione prevede che, attraverso le sentenze
pronunciate sia degli organi giurisdizionali ordinari sia dagli
organi giurisdizionali speciali, sia sempre ammesso il ricorso in
cassazione per violazione di legge. Dunque, almeno un doppio
grado di giudizio. Qualora rilevi un vizio, la Corte suprema ha il
potere di annullare la decisione impugnata e di enunciare il

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principio di diritto che occorre osservare.

16. Storia delle regioni


Il processo di unificazione dell'Italia portò all'introduzione di un
modello di Stato unitario e accentrato, di stampo francese, con
l'attribuzione di un importante ruolo ai Prefetti, quali
rappresentanti del Governo sul territorio provinciale. I comuni e
le province si configuravano come enti territoriali, dipendenti
però dal potere centrale; essi non disponevano del potere di
decisione autonoma ed erano sottoposti a controlli da parte
dell'amministrazione centrale, attraverso i Prefetti. Con
l'avvento del regime fascista si assistette ad un forte
accentramento politico e amministrativo; con due leggi del
1926 si procedette all'abolizione degli organi elettivi del
Comune e della Provincia. Dopo la caduta del fascismo, però, le
rivendicazioni di autonomia da parte di alcune Regioni italiane
portarono al riconoscimento di forme particolari di autonomia,
in un periodo precedente l'approvazione della Costituzione: alla
Sicilia venne concesso un ordinamento autonomo a statuto
speciale, alla Valle d'Aosta venne dato uno speciale
ordinamento e all'Alto Adige una particolare autonomia
amministrativa.
Il dibattito all'interno dell'Assemblea costituente sulle
autonomie regionali fu molto acceso: mentre la Democrazia
cristiana era a favore all'introduzione di Regioni come enti
autonomi, le forze politiche di sinistra erano inizialmente
contrarie. La scelta del Costituente è stata comunque quella di
riconoscere e valorizzare gli enti territoriali. Le disposizioni più
significative sono state poste negli articoli 5 e 114 della
Costituzione; l'articolo 5, pur affermando il principio di unità e
indivisibilità della Repubblica, individua l'autonomia degli enti
territoriali e il decentramento amministrativo. Alle Regioni
ordinarie, prima della riforma del Titolo V, veniva attribuita una
competenza legislativa concorrente, da esercitarsi nei limiti dei
principi fondamentali dello Stato e una competenza integrativa
delle leggi statali. Il testo originario della Costituzione
prevedeva inoltre il principio del parallelismo, secondo cui nelle
materie di competenza delle Regioni venivano ad esse
attribuite le funzioni amministrative. Alle Regioni veniva anche
riconosciuta un'autonomia finanziaria e la possibilità di disporre
di tributi propri, il tutto ovviamente disciplinato da disposizioni

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costituzionali di controllo del rispetto dei limiti di questa


autonomia concessa. La Costituzione prevede due categorie di
regioni: le regioni ad autonomia ordinaria e cinque regioni a
statuto speciale; tale previsione trovava motivazione
nell'esistenza di fattori storici, geografici e culturali (regioni
insulari, di confine o caratterizzate dalla presenza di minoranze
etniche o linguistiche) che resero opportuno, al momento della
loro istituzione, il riconoscimento di un'autonomia diversa
rispetto alle altre regioni. Tali regioni a statuto speciale sono: la
Sardegna, la Sicilia, la Valle d'Aosta, il Trentino e il Friuli. Le
prime regioni ad essere istituite furono quelle speciali; fu molto
più tardiva l'istituzione delle regioni ordinarie, avvenuta solo
nel 1970, a seguito delle prime elezioni dei consigli regionali.
A partire dagli anni Novanta, si assistette ad un ampio processo
di riforme della legislazione in materia di autonomie territoriali.
Nel 1990 viene approvato l'ordinamento degli enti locali, che
riconosceva a Comuni e Province la possibilità di approvare i
propri statuti. Nel 1993 viene approvata una nuova legislazione
elettorale comunale e provinciale che introduceva l'elezione
diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia, rafforzandone al
contempo il ruolo. La più grande valorizzazione delle regioni e
degli enti locali è stata operata soprattutto attraverso una serie
di leggi che hanno dato il via ad importanti riforme del sistema
amministrativo, note con il nome di Riforme Bassanini (l'allora
ministro della funzione pubblica che le propose); la legge
delega 15 marzo 1997 n° 59, in particolare, ha segnato il
passaggio da un sistema basato sull'amministrazione statale a
un sistema amministrativo il cui perno è rappresentato dalle
autonomie. Si è assistito quindi ad una sorta di federalismo
amministrativo, con un trasferimento delle funzioni
amministrative dal centro alla periferia, attraverso una serie di
decreti legislativi di attuazione della legge delega, tra i quali il
più significativo fu il decreto legge 112 del 1998. Mentre si
attuavano le leggi Bassanini, si è proceduto a modificare il
titolo V della Costituzione e ad innovare la disciplina degli
statuti speciali. In un primo momento, la legge costituzionale
del 22 novembre 1991 n°1 ha modificato la forma di governo
delle regioni ordinarie, ha introdotto l'elezione diretta del
presidente della regione e rafforzato l'autonomia statuaria
regionale; in un secondo momento, invece, si è proceduto ad
una riforma complessiva del titolo V con la legge costituzionale

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n°3 del 2001. Essa ha innescato un processo di valorizzazione


delle Regioni e degli enti locali; in particolare, è stata prevista
una rimodulazione dei pubblici poteri, contenuta nel nuovo
testo dell'articolo 114. Tutti gli enti che costituiscono la
repubblica (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e
Stato) vengono considerati in una posizione di pari dignità
costituzionale, pur essendo caratterizzati da profonde
differenze sotto il profilo dei poteri e delle funzioni. La riforma
costituzionale del 2001 ha rafforzato fortemente la potestà
legislativa delle Regioni ordinarie; la maggiore innovazione
consiste nell'aver mutato il criterio di riparto delle materie di
competenza statali e regionali: prima della riforma del titolo V,
veniva attribuita allo stato una competenza legislativa generale
e alle regioni competenze enumerate, mentre adesso viene
contemplata la competenza dello stato e delle regioni in
determinati settori specifici. Il nuovo articolo 117 prevede: un
elenco di materie su cui lo stato ha potestà legislativa
esclusiva, un elenco di materie in cui le Regioni hanno potestà
legislativa concorrente (lo stato si limita a dettare i principi
generali inderogabili, le regioni dettano i regolamenti specifici
nel dettaglio), una clausola residuale, per cui in tutte le materie
non comprese nei due elenchi precedenti spetta alle regioni la
potestà legislativa. Un altro elemento di rottura con il passato è
costituito dalla presenza di una disciplina che tende ad
equiparare la legge regionale a quella statale; da un lato sia la
potestà legislativa dello stato che quella delle regioni sono
esercitate nel rispetto della costituzione e dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali,
dall'altro lato però la legge regionale non è più soggetta al visto
governativo: il Consiglio regionale approva la legge che viene
pubblicata ed entra in vigore. Il governo può soltanto
promuovere una questione di legittimità costituzionale davanti
alla Corte costituzionale entro 60 giorni dalla pubblicazione, se
tale legge viola la sfera di competenza della regione.

17. L'autonomia finanziaria degli enti territoriali


Ai sensi dell'articolo 119, le Regioni, i Comuni, le Province e le
Città metropolitane hanno autonomia finanziaria, sia sul piano
delle entrate che su quello delle spese, nel rispetto
dell'equilibrio dei relativi bilanci; hanno un proprio patrimonio,
possono ricorrere all'indebitamento, ma solo per finanziare

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spese di investimento. Le Regioni e gli enti locali hanno risorse


che possono essere: risorse autonome, ossia derivanti da
tributi ed entrare propri riferibili al proprio territorio, risorse
derivanti da un fondo perequativo che la legge statale può
istituire per dotare di adeguate risorse gli enti con una bassa
capacità fiscale, risorse derivanti da trasferimenti aggiuntivi
dello Stato per specifiche finalità, in particolare promuovere lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale. Le
risorse proprie degli enti territoriali, di qualunque tipo siano,
devono essere in grado di finanziarie integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite. L'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali deve svolgersi in armonia con la costituzione.

18. La Corte costituzionale


La Corte costituzionale è composta da quindici giudici; per un
terzo, nominati dal Presidente della repubblica, per un terzo
eletti dal parlamento in seduta comune e per un terzo eletti
dalle supreme magistrature, nello specifico tre dalla Corte
suprema di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla
Corte dei conti. I giudici costituzionali devono essere o
professori universitari ordinari in materie giuridiche o avvocati
con almeno vent'anni di esercizio professionale o magistrati
delle giurisdizioni superiori. I giudici costituzionali durano in
carica nove anni, decorrenti dal giorno in cui prestano
giuramento nelle mani del presidente della repubblica di
osservanza della costituzione e delle leggi, e non sono
nuovamente nominabili. I giudici eleggono, al loro interno, il
presidente della corte costituzionale con votazione segreta e a
maggioranza assoluta per il primo e il secondo scrutinio, se al
terzo scrutinio nessuno ha ottenuto il quorum richiesto, si
procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il
maggior numero dei voti. La funzione principale che la Corte
costituzionale è chiamata a svolgere è quella di giudice della
legittimità costituzionale, ossia della conformità alla
Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello
stato e delle leggi delle regioni; il controllo di costituzionalità
può essere attivato per due vie:
 il giudizio in via principale: proposto mediante un ricorso
da parte dello stato contro una legge regionale, qualora
questi violi una qualsiasi delle disposizioni costituzionali,
oppure da parte della regione contro una legge dello stato

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o di un'altra regione, qualora questa incida su una


competenza regionale; il ricorso dev'essere motivato e
viene proposto mediante deliberazione, entro sessanta
giorni dalla pubblicazione dell'atto impugnato. Se la Corte
costituzionale ritiene che l'applicazione dell'atto presenti
rischi di pregiudicare l'interesse pubblico, della repubblica
o dei cittadini, può sospendere gli effetti dell'atto
impugnato.
 Il giudizio in via indiretta: richiede che la questione di
legittimità costituzionale sia sollevata nel corso di un
giudizio già instaurato davanti a un giudice; il giudice
solleva la questione d'ufficio o a istanza di una delle parti,
attraverso un'ordinanza motivata, contenente, oltre
all'indicazione dell'oggetto e del parametro del giudizio,
l'illustrazione dei profili di rilevanza (è richiesto al giudice
di dimostrare che la disposizione di legge oggetto di
giudizio sia rilevante, ossia necessaria per risolvere la
controversia) e di non manifesta infondatezza. L'ordinanza
è notificata alle parti in causa, che hanno la facoltà (non
l'obbligo) di costituirsi davanti alla Corte per far valere il
proprio punto di vista. Svoltasi la trattazione della causa
davanti alla Corte, la decisione è adottata in camera di
consiglio e può assumere la forma tipica della sentenza
oppure dell'ordinanza.

CAPITOLO IX – CAPITOLO X: DIRITTI E DOVERI


COSTITUZIONALI
1. Diritti e doveri della persona, Diritti di libertà personale
 La libertà personale: Articolo 13, Titolo I, parte I
La libertà personale è inviolabile, tutti gli uomini sono i soggetti
titolari della libertà personale, senza alcuna distinzione
concernente la cittadinanza o ogni altra qualità personale e
sociale. Il divieto di restringere la libertà con detenzione,
perquisizione e ispezione, tuttavia, non è da intendersi in senso
assoluto: ogni restrizione alla libertà personale può essere
disposta con atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli
casi e modi previsti dalla legge. In tale norma sono rintracciabili
due garanzie: 1) solo la fonte primaria può disporre i casi in cui
è possibile imporre delle restrizioni alla libertà personale e le

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modalità con cui ciò debba avvenire; 2) la norma impone al


giudice l'obbligo di motivazione del procedimento restrittivo.
L'articolo 13 comma terzo prevede che l'autorità di pubblica
sicurezza possa adottare provvedimenti restrittivi della libertà
personale senza la previa autorizzazione del giudice; la
restrizione però può avvenire solo in casi eccezionali di
necessità e urgenza che la legge deve indicare in modo
tassativo; inoltre, tali provvedimenti restrittivi devono essere
comunicati entro le successive 48 ore al giudice, il quale ha
ulteriori 48 ore per decidere sulla loro convalida. Ogni violenza
fisica e morale praticata sulle persone sottoposte a restrizioni
di libertà dev'essere punita da parte del legislatore. L'ultimo
comma dell'articolo 13 si riferisce alla carcerazione preventiva
e rinvia alla legge il compito di individuare i termini massimi;
occorre chiarire che una restrizione della libertà personale non
è sempre solo la conseguenza di una condanna penale
definitiva, bensì può essere anche disposta dal giudice in via
cautelare, cioè prima che sia intervenuta una condanna
definitiva. La Costituzione vieta innanzitutto una restrizione
cautelare senza limiti temporali. Considerazione diversa
rispetto alle misure cautelari meritano le misure di prevenzione
e le misure di sicurezza; le misure di prevenzione sono
restrizioni della libertà personale che possono essere adottate
nei confronti di persone che si ritiene possano commettere dei
reati, hanno una funzione di prevenzione; le misure di sicurezza
hanno lo scopo di attenuare la pericolosità di un soggetto.
 La libertà di domicilio: Articolo 14
La libertà di domicilio è qualificata come inviolabile; da questo
deriva che i soggetti titolari di questa libertà sono tutti gli
uomini, cittadini, stranieri o apolidi. Per capire questo diritto, è
necessario definire il concetto di domicilio; il domicilio può
essere definito come ogni luogo in cui una persona, fisica o
giuridica, abbia legittimamente la disponibilità di compiere
attività legate alla propria vita privata o di relazione; oltre
all'abitazione in senso stretto, la garanzia costituzionale si
estende quindi alla camera d'albergo, allo studio professionale,
ai luoghi di lavoro ecc. Per quanto riguarda le restrizioni
imponibili alla libertà di domicilio (ispezioni, perquisizioni,
sequestri), in via ordinaria solo il giudice sulla base di una
legge può autorizzare, motivando l'atto, ispezioni, perquisizioni
e sequestri; esistono però dei casi eccezionali previsti dal

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legislatore in cui la polizia è autorizzata ad adottare questi


provvedimenti, senza chiederlo prima al giudice, fermo
restando che devono successivamente comunicarlo, pena la
loro decadenza. Per motivi di sanità o di incolumità pubblica,
sono previsti dei casi in cui le autorità amministrative possono
effettuare ispezioni e accertamenti senza l'intervento del
giudice.
 La libertà e la segretezza della corrispondenza :
Articolo 15
Sebbene la norma citi espressamente la corrispondenza, ci si
riferisce ad ogni forma di comunicazione interpersonale; “ogni
altra forma di comunicazione” è la cosiddetta clausola aperta,
cioè la possibilità espressa dall'assemblea costituente che la
norma si adattasse nel tempo a seconda dei mezzi di
comunicazione che fossero nati con lo sviluppo tecnologico. La
tutela si applica a cittadini e stranieri, persone fisiche,
giuridiche e anche minorenni; è tutelato sia il mittente sia il
destinatario del messaggio. Se intendiamo la corrispondenza
come epistolare, ci riferiamo a qualsiasi invio chiuso, ad
eccezione dei pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga
comunicazioni aventi carattere attuale e personale, cioè
biglietti postali, cartoline postali e lettere. Requisito degli invii è
quello di essere stati sottoposti, da parte del mittente, a
precauzioni per evitarne la lettura a terzi (es. sigillare la busta).
La limitazione di questa libertà può avvenire soltanto per atto
motivato dell'autorità giudiziaria.
 La libertà di circolazione e di soggiorno: Articolo 16
I soggetti titolari di questo diritto sono i cittadini; per quanto
riguarda gli stranieri, il loro soggiorno e la loro circolazione sul
territorio italiano sono regolati dalle norme vigenti in materia di
immigrazione. La norma costituzionale riconosce ai cittadini il
diritto di soggiornare in qualsiasi parte del Paese, il diritto di
circolare ossia di muoversi da una parte all'altra del Paese e il
diritto di espatriare, ossia di uscire dal territorio nazionale o di
farvi ritorno. Eventuali limitazioni ai diritti di soggiorno e di
circolazione possono essere stabilite dalla legge, ma devono
consistere in misure di carattere generale, fondate su motivi di
sanità o di sicurezza. Per quanto riguarda la libertà di espatrio e
il diritto di rientrare in Italia, il comma 2 dell'articolo 16
individua come unico limite l'aver adempiuto agli obblighi di
legge.

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 La libertà di riunione: Articolo 17


I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per
riunione si intende la compresenza volontaria di più persone,
aventi uno scopo comune della più varia natura, nel medesimo
luogo. È possibile distinguere tra riunioni private (che si
tengono in un luogo chiuso e con limitazioni di accesso a
persone determinate), riunioni in luogo aperto al pubblico (in
luoghi come sale, cinema, teatri, stadi, in cui l'accesso è
soggetto a modalità determinate) e riunioni in luogo pubblico
(in una strada o in una piazza, in cui l'accesso o il transito è
libero). La norma prevede, solo per le riunioni in luogo pubblico,
un obbligo di preavviso alla polizia che può vietarle solo per
motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
 La libertà di associazione: Articolo 18
I cittadini possono associarsi liberamente, nel senso che la
scelta è il frutto della loro libera volontà, e senza
autorizzazione. Per associazione si intende un'organizzazione di
individui, dotata di una tendenziale stabilità ed orientata al
perseguimento di fini comuni. La Costituzione pone tre limiti al
diritto di costituire delle associazioni: un divieto di associarsi
per fini che sono vietati ai singoli dalla legge penale, un divieto
di costituire associazioni segrete e associazioni che perseguono
scopi politici attraverso un'organizzazione di carattere militare.
 Rapporti che intercorrono tra Stato italiano e
Chiesa: articolo 7 - 8
Lo Statuto albertino definiva la religione cattolica come "la sola
religione di Stato". Gli artt. 7 e 8 della Costituzione
repubblicana vedono il superamento del concetto stesso di
"religione di Stato" e disciplinano i rapporti tra Stato e
confessioni religiose sulla base di due principi: il principio della
distinzione degli ordini e il principio di bilateralità. Alla Chiesa
cattolica vengono comunque riconosciute indipendenza e
sovranità. Il fenomeno religioso viene considerato
sostanzialmente estraneo all'ordinamento dello Stato. Il
principio di bilateralità riconosce comunque alle istituzioni
religiose la possibilità di negoziare accordi con lo Stato,
secondo il modello delle relazioni internazionali, nelle materie
di loro competenza. Con l'art. 7 la Costituzione recepisce i Patti
Lateranensi, cioè gli accordi sottoscritti l'11 febbraio 1929 da
Mussolini (per l'Italia) e dal Cardinale Gasparri (per la Santa

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Sede). Il 18 febbraio 1984 è stato sottoscritto tra il Governo


italiano e la Santa Sede un nuovo accordo, contenente
"modifiche consensuali del Concordato lateranense": si tratta di
un documento che, ispirato ai principi di eguaglianza e
neutralità espressi dalla Costituzione repubblicana, ha
introdotto rilevanti novità nei rapporti tra Stato e Chiesa,
riaffermando il principio di laicità dello Stato. Si è così
concretizzato quel principio pattizio, esplicitato nell'ultima
parte di questo art. 7, in base al quale lo Stato italiano si
impegna a stabilire di comune accordo con la Chiesa ogni
modifica dei Patti Lateranensi.
 Libertà di professare la propria fede religiosa :
Articolo 19
L'articolo 19 riconosce a tutti gli uomini la libertà di professare
il proprio credo religioso sia in forma individuale sia
collettivamente. Rientrano nella libertà religiosa anche il diritto
di propagandare la propria religione, da intendersi come diritto
a compiere quelle attività necessarie al proselitismo e il diritto
di praticare, in privato o in pubblico, il proprio culto. L'unico
limite previsto dalla Costituzione alla pratica del proprio culto
religioso è il buon costume, da intendersi come comune senso
del pudore sessuale.

 Libertà di manifestazione del pensiero: Articolo 21


Quattro dei sei commi dell'articolo 21 sono dedicati alla
manifestazione del pensiero con il mezzo della stampa; solo
due commi, il primo e l'ultimo, si riferiscono a ogni
manifestazione del pensiero, indipendentemente dal mezzo
utilizzato. Si tratta di un diritto dell'uomo, riconosciuto a tutti gli
uomini così come ai soggetti collettivi. Rientrano in questa
libertà tutte le comunicazioni al pubblico, indipendentemente
dal mezzo utilizzato; l'unico limite individuato alla libertà di
manifestazione del pensiero è quello del buon costume, da
intendersi come coincidente con il senso comune del pudore
sessuale. A tutela di tale limite, la norma prevede che la legge
stabilisca provvedimenti atti a prevenire e a reprimere le
violazioni. Come accennato prima, l'articolo 21 si concentra
molto sull'argomento stampa; il comma 2 afferma che la

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stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure;


nel divieto di autorizzazione rientrano tutti i provvedimenti
preventivi che sono idonei ad impedire la pubblicazione, per
censura si intende l'istituto del diritto pubblico che abilita uno o
più organi dello Stato ad esercitare un controllo preventivo
sulla stampa. Il terzo comma disciplina il sequestro della
stampa, successivamente alla pubblicazione; si può procedere
al sequestro solo per atto motivato dal giudice e solo nel caso
di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo
autorizzi e nel caso di violazione delle norme che la legge
prescrive per l'indicazione dei responsabili. Il quarto comma
disciplina anche un sequestro eccezionale, limitato però solo
alla sola stampa periodica; esso può essere eseguito dagli
ufficiali di polizia giudiziaria solo qualora vi sia assoluta urgenza
e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità
giudiziaria. Gli ufficiali di polizia giudiziaria sono tenuti a
informare il giudice entro 24 ore ed egli deve convalidare l'atto,
pena la revoca del sequestro. Il comma 5 prevede che la legge
possa stabilire che siano noti i mezzi di finanziamento.

 Diritti dello straniero


La Costituzione definisce straniero colui che non è cittadino
italiano e disciplina il suo status nell'articolo 10.2, unica
disposizione prevista in relazione a questo argomento. La
limitatezza delle norme esplicitamente riferite agli stranieri
nella Costituzione viene però compensata dalla presenza di
principi costituzionali genericamente destinati alla persona,
quindi rivolti a tutti, cittadini e non. I diritti inviolabili vanno
riconosciuti non soltanto ai cittadini, ma anche agli stranieri,
allo stesso modo. Il legislatore italiano non ha disciplinato
questa materia per decenni; i primi parziali interventi normativi
risalgono alla fine degli anni Ottanta, con la legge n°493 del
1986 e la legge n°39 del 1990 (legge Martelli); con il crescente
sviluppo migratorio anche all'interno del nostro paese, si rende
necessario un intervento organico in materia. La prima legge
organica sull'immigrazione e sulla condizione dello straniero
risale alla legge Turco-Napolitano del 1998, successivamente
confluita nel Testo unico sull'immigrazione, contenente

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l'insieme delle norme di riferimento in materia di immigrazione


e si applica ai cittadini degli stati non appartenenti all'UE e agli
apolidi. Allo straniero presente nel territorio vengono
riconosciuti i diritti fondamentali della persona previsti dal
diritto interno; allo straniero regolarmente soggiornante sono
garantiti i diritti civili riconosciuti al cittadino italiano; per tutti i
lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti e per le loro
famiglie è prevista parità di trattamento e piena uguaglianza
dei diritti rispetto ai lavoratori italiani. Il testo unico disciplina
l'ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio italiano;
al cittadino straniero può essere rilasciato un permesso di
soggiorno di durata limitata, attraverso la stipula di un accordo
di integrazione, in cui lo straniero si impegna a sottoscrivere
specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di
validità del permesso. L'espulsione dello straniero dal territorio
è prevista per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello
stato e come conseguenza dell'ingresso e del soggiorno
irregolare nel territorio dello stato. Qualora non sia possibile
eseguire immediatamente l'espulsione, lo straniero irregolare
può essere trattenuto in un centro di identificazione ed
espulsione, per un periodo massimo di diciotto mesi. Il Testo
unico contiene anche la normativa relativa al ricongiungimento
familiare, orientato alla tutela del diritto all'unità familiare e
finalizzato a favorire il processo di integrazione dello straniero
regolarmente soggiornante. È consentito il ricongiungimento
dei propri familiari (coniuge, figli minori) allo straniero
regolarmente soggiornante titolare di un permesso di soggiorno
della durata non inferiore ad un anno. La legge parifica lo
straniero regolarmente soggiornante al cittadino nell'accesso
alla salute e all'istruzione; sono previste delle forme di tutela
anche per gli stranieri privi di permesso di soggiorno.
L'istruzione si configura come un diritto-dovere di tutti i minori
stranieri presenti sul territorio; il nucleo essenziale del diritto
alla salute è garantito anche agli stranieri irregolari,
prevedendo la gratuità delle cure e il divieto di segnalazione
dello straniero irregolare alle autorità.
 Diritto di asilo e regime dell'estradizione
Si definisce asilo il diritto del cittadino straniero di cercare e di godere in
altri paesi asilo per sottrarsi alle persecuzioni, secondo quanto previsto
dall'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La
Costituzione italiana disciplina il diritto di asilo all'articolo 10.3, in base al

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quale lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto
di asilo nel territorio della repubblica secondo le condizioni stabilite dalla
legge. L'assenza di una legge organica sul diritto di asilo è stata colmata
recentemente dagli interventi del legislatore italiano, che hanno dovuto
recepire la normativa nel frattempo adottata dall'UE in quest'ambito; la
normativa italiana in vigore sul diritto di asilo è dunque di derivazione
europea, fondata sulla figura del rifugiato, il cittadino straniero che
abbandona il proprio paese temendo, a ragione, di essere perseguitato
per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o opinione politica. L'articolo 10.4 fa
riferimento alla questione dell'estradizione dello straniero, ossia della
consegna di una persona ad un altro stato affinchè venga sottoposta a
giudizio o sconti la pena in quel paese. La Costituzione vieta
l'estradizione dello straniero per reati politici; in tale divieto non rientra
però il reato di genocidio, che riguarda qualsiasi atto commesso
nell'intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso; per questa tipologia di reato è ammessa l'estradizione.

 I diritti della famiglia


La famiglia è il nucleo fondamentale su cui lo Stato si fonda;
l'articolo 29 definisce la famiglia come società naturale ed
attribuisce alla repubblica il compito di riconoscere ai suoi
componenti e alla sua dimensione collettiva alcuni diritti. La
Costituzione attribuisce rilevanza costituzionale alla famiglia
legittima, cioè quella fondata sul matrimonio. Il matrimonio in
Italia può essere di tipo civile, interamente regolato dalle leggi
dello stato, o concordatario, disciplinato dal diritto canonico, i
cui effetti sono riconosciuti in base all'Accordo tra lo stato
italiano e la Chiesa cattolica. Il matrimonio civile è annullabile
per effetto della sentenza di divorzio, mentre la nullità del
matrimonio concluso con rito canonico è di esclusiva
competenza dei tribunali ecclesiastici. L'ordinamento italiano
riconosce anche i rapporti familiari non fondati sul matrimonio,
attraverso le garanzie di cui agli articoli 30 e 31. L'articolo 29.2
fonda la relazione coniugale sul principio di uguaglianza
giuridica e morale: il rapporto tra i coniugi si svolge su un piano
di parità, nel reciproco rispetto delle personalità individuali e
nel sostegno reciproco.
 Diritti e doveri dei genitori nei confronti dei figli
La Costituzione rende corresponsabili i genitori a mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio,

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alla sola condizione che ne siano capaci. Il figlio è soggetto alla


responsabilità dei genitori fino al raggiungimento della
maggiore età.
 Tutela della maternità e dell'infanzia
Esistono istituti creati a tutela della maternità, dell'infanzia e
della gioventù; i congedi e i riposi giornalieri, introdotti negli
anni Settanta a salvaguardia della maternità, non hanno più
come in passato lo scopo di adattare le esigenze familiari delle
donne alle esigenze lavorative delle stesse, nel presupposto
che la cura dei figli spettasse naturalmente ed esclusivamente
alla donna; oggi sono interpretati come una equa distribuzione
dei ruoli familiari. Con la legge n°151 del 2001, viene introdotto
il periodo di congedo concesso alla madre (5 mesi in tutto) di
astensione dal lavoro; il congedo di paternità deve essere
esercitato obbligatoriamente dal padre lavoratore dipendente
entro cinque mesi dalla nascita del figlio per la durata di un
giorno. L'astensione obbligatoria dal lavoro connessa alla
maternità non nega il diritto alla retribuzione, ovviamente
grazie al rispetto del diritto alla maternità. La Repubblica
protegge anche l'infanzia e la gioventù, tutelando lo status
costituzionale del minore al quale si riconosce il diritto a
crescere e a svilupparsi sotto il profilo psico-fisico.
 Diritto alla salute: Articolo 32.1
L'articolo 32.1 prevede che la Repubblica tuteli la salute, quale
diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività.
Nella tutela alla salute sono racchiusi diversi significati e
contenuti; da una parte, la salute intesa come diritto
all'integrità psico-fisica, ad un ambiente salubre e alle cure
necessarie, dall'altra parte salute come dovere dell'individuo di
non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la
salute altrui. Il diritto alla salute è quindi riconosciuto dal nostro
ordinamento sia come diritto di libertà sia come diritto sociale.
Come diritto all'integrità psico-fisica, considera una tutela
integrale della persona umana, dove il corpo e la mente sono
componenti inscindibili dell'individuo; la sua concreta
applicazione sta nel diritto al risarcimento di un danno
biologico, inteso come danno derivante dalla lesione della
salute. Il diritto all'integrità psico-fisica si traduce anche nel
diritto alla salubrità dell'ambiente; è necessario che lo stato
intervenga affinchè l'ambiente dove l'individuo vive non

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subisca degenerazioni tali da compromettere la sua


sopravvivenza. Il bene ambiente è essenziale perchè incide
profondamente sulla qualità della vita. Nel diritto alla salute
rientra anche il diritto ad essere curati; la repubblica deve
garantire cure gratuite agli indigenti. Spetta al legislatore
operare le scelte relative alle modalità di erogazione delle
prestazioni sanitarie e dei soggetti beneficiari; ovviamente
questo è condizionato dalla capacità economica dello stato. La
tutela della salute dev'essere intesa anche come libertà dalla
cura e libertà di cura; nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge; la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana. La libertà di cura, invece,
dev'essere interpretata nel senso di diritto alla libera scelta del
luogo della cura e non come libertà di scelta terapeutica.
 Libertà dell'arte, della scienza e dell'insegnamento :
Articolo 33.1
L'articolo 33.1 garantisce la libertà dell'arte e della scienza e
del loro insegnamento; alla base di questa norma vi è il
principio del pluralismo culturale, strettamente legato alla
libertà di manifestazione del pensiero e alla libertà di
istruzione. La libertà di insegnamento dev'essere intesa come
la libertà del docente di esprimere il proprio pensiero nella
scuola; ciò non significa però anarchia: il docente è tenuto ad
attenersi ai programmi o ai contenuti delle materie oggetto di
insegnamento. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole
ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato, grazie al
principio del pluralismo scolastico. La repubblica ha il compito
di promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica.
 Diritto all'istruzione e diritto allo studio : Articolo 2 e
articolo 3
La repubblica ha il dovere di tutelare questi diritti, riconoscendo
a tutti (cittadini e stranieri) il diritto-dovere di ricevere
gratuitamente l'istruzione inferiore, prevedendo l'erogazione di
borse di studio, assegni alla famiglie e altre forme di sostegno a
favore dei più capaci e meritevoli, al fine di far raggiungere loro
i gradi più alti dell'istruzione.
 Tutela del lavoro e diritti dei lavoratori: Articoli 35-40

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Gli articoli 35-40 contengono norme relative alla tutela dei


lavoratori; la tutela è rivolta prevalentemente ai lavoratori
dipendenti: retribuzione proporzionata alla quantità e alla
qualità del lavoro, sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla
sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (articolo 36), la
durata massima della giornata lavorativa, il diritto al riposo
settimanale e alle ferie annuali retribuite. Una particolare
attenzione è dedicata alla donna lavoratrice, alla sua parità di
diritti e di retribuzione, ma anche alla funzione familiare della
donna, soprattutto della lavoratrice madre. Le tutele
costituzionali si estendono anche agli inabili al lavoro e
sprovvisti dei mezzi necessari per vivere per i quali lo stato si
deve assumere il mantenimento e l'assistenza sociale (articolo
38).
 La libertà sindacale e il diritto di sciopero : Articolo 39
- 40
L'articolo 39 configura una norma che difende la libertà
dell'organizzazione sindacale e prevede un obbligo per i
sindacati di registrazione presso gli uffici locali o centrali,
rinviando ad una legge le modalità di registrazione; peccato
che questa legge non sia mai stata approvata dal parlamento!
La stessa norma costituzionale impone, come condizione della
registrazione, l'obbligo di adozione di statuti che sanciscano un
ordinamento interno su base democratica. Altra garanzia per il
lavoratore è costituita dal diritto di sciopero (articolo 40); viene
garantita la sospensione dal lavoro per la tutela degli interessi
dei lavoratori, consentendo al lavoratore la libertà di non
effettuare le prestazioni di lavoro senza che vi siano
conseguenze sul piano civile, penale o amministrativo, tranne
la sospensione della retribuzione.
 Le libertà economiche: articolo 41
Le libertà economiche non sono configurate in Costituzione
come diritti assoluti, ma come libertà protette, nei cui confronti
il legislatore può intervenire con norme di carattere generale.
La libertà di impresa, ad esempio, non è presente tra i diritti
fondamentali. L' art 41 tutela l' iniziativa economica privata, e
contemporaneamente pone limiti ad essa. Dalla lettura di tale
articolo si trae che il costituente ha voluto delineare un sistema
economico in cui l' iniziativa economica non è soltanto
pubblica, né soltanto privata. La legge può indirizzare e

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coordinare " a fini sociali" tanto " l' attività economica pubblica
quanto quella " privata", le quali vengono cosi' a porsi in
posizione di pari subordinazione all'attività regolativa pubblica.
Dall'affermazione che " l' iniziativa economica privata è libera"
si trae la garanzia in base alla quale neppure la legge può
obbligare il privato ad intraprendere una qualsiasi attività di
natura economica.
Rispetto alle altre libertà costituzionalmente garantite, però, la
costituzione ha approntato forme di tutela meno intense. Basti
pensare all'utilità sociale, contemplata dall' art 41.2 come
principio nei cui confronti l' iniziativa privata nel suo svolgersi
non può porsi in contrasto , ovvero ai fini sociali verso i quali la
legge può indirizzare e coordinare l' attività economica. Se,
quindi, l' iniziativa economica è libera, il concreto svolgimento
dell' attività che ne deriva incontra i citati limiti negativi e
positivi. L' art. 41 conferisce al legislatore il compito di ricercare
il giusto equilibrio tra l' esercizio della libertà di iniziativa
economica privata e altri valori costituzionalmente rilevanti.
 La proprietà pubblica e privata : Articolo 42 - 43
La tutela e la garanzia dell'iniziativa economica sono tutelate a
quelle della proprietà privata; la proprietà è pubblica o privata,
i beni economici appartengono allo stato, ad enti o a privati. La
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne
determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo
di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a
tutti. La sua espropriazione per motivi di interesse generale
comporta un indennizzo; ogni proprietà ha un valore economico
e la sua espropriazione comporta un danno economico che
dev'essere risarcito con una somma equa.
 Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione
Al termine di un percorso europeo che ha assoggettato i bilanci
degli stati membri ad un controllo preventivo della
Commissione europea, sono stati ratificati anche dal nostro
paese due trattati internazionali che hanno ridotto la sovranità
nazionale anche in campo economico-finanziario dei paesi che
hanno adottato l'Euro; il Fiscal Compact ha previsto che la
posizione di bilancio dei paesi che vi aderiscono dev'essere in
equilibrio o in surplus; allo stesso tempo è prevista una
codificazione del principio di pareggio del bilancio negli
ordinamenti costituzionali nazionali, al fine di responsabilizzare

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maggiormente gli stati e assegnare alle Corti costituzionali


nazionali un importante ruolo di sorveglianza.
 Il diritto di voto: Articolo 48
Il diritto di voto è lo strumento che permette ai cittadini di
partecipare all'organizzazione politica del paese sia in via
diretta (mediante il referendum) sia in via indiretta (mediante
libere elezioni dei rappresentanti degli organi decisionali dello
stato e degli enti locali). L'articolo 48, dopo aver affermato il
principio del suffragio universale (sono elettori tutti i cittadini,
uomini e donne, che hanno conseguito la maggiore età),
prevede al comma 2 quattro requisiti fondamentali per rendere
libera l'espressione del voto. Il voto è:
1. Personale: l'esercizio del voto spetta soltanto a chi ne abbia
maturato il diritto secondo le disposizioni di legge, non può
essere ceduto a terzi o delegato; sono previste eccezioni a
favore di elettori fisicamente menomati che non potrebbero
esercitare il diritto di voto senza l'assistenza di persone di loro
fiducia, è quindi permesso il voto assistito.
2. Eguale: ogni voto di ogni elettore ha lo stesso valore, al di là
del sesso e delle condizioni personali, sociali ed economiche.
3. Libero e segreto: le votazioni non potrebbero essere libere se
non fossero segrete, e proprio perchè segrete, sono libere; la
segretezza del voto costituisce una condizione fondamentale
per l'esercizio di un voto libero.
4. E' un dovere civico-morale: non solo un diritto, i cittadini
hanno il dovere di partecipare attivamente all'organizzazione
politica del paese e in particolare alle votazioni elettive. In ogni
caso, non è obbligatorio.
 Diritto di associazione in partiti: Articolo 49
Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in
partiti per concorrere con metodo democratico alla
determinazione della politica nazionale. I partiti politici però
non vanno considerati come poteri dello stato, ma come
organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono
attribuite alcune funzioni pubbliche. Secondo l'articolo 18, un
partito non deve perseguire fini vietati al singolo dalla legge
penale, non può essere segreto, non può perseguire i propri
scopi politici mediante un'organizzazione di carattere militare.

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L'articolo 49 afferma che il metodo attraverso cui i partiti


politici concorrono alla determinazione della politica del paese
dev'essere democratico, al fine di garantire un confronto aperto
e pacifico delle idee politiche presenti nella società. La pluralità
dei partiti è un aspetto fondamentale della democrazia perchè
riflette la varietà delle opinioni politiche dei cittadini di una
società.
 Diritto di petizione: Articolo 50
Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per
chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
La petizione è un istituto che attua la democrazia partecipativa;
è utilizzabile da tutti i cittadini con una forma libera. Può
espletarsi sia individualmente sia in adesione con altri. Poiché
poco utilizzata, le Camere non hanno l'obbligo di procedere
all'esame della petizione.
 Accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive :
Articolo 51
Tutti i cittadini, uomini e donne, possono accedere agli uffici
pubblici e alle cariche pubbliche in condizioni di uguaglianza,
secondo i requisiti stabiliti dalla legge. I limiti che il legislatore
può fissare per l'accesso all'ufficio o alla carica considerata
devono trovare fondamento in un interesse pubblico
riconosciuto dalla Costituzione.
 Difesa della patria e fedeltà alla Repubblica : Articolo
52 e articolo 54
Tra i doveri costituzionali spettanti ai cittadini, gli articoli 52 e
54 prevedono rispettivamente quello di difendere la patria e
quello di essere fedeli alla repubblica.
 Obblighi tributari: Articolo 53
Tutti sono soggetti ai doveri tributari, utili per ottenere le
risorse finanziarie sufficienti per realizzare i fini che lo stato si
propone di perseguire; il criterio di riparto degli carichi fiscali
cui tutti sono obbligati è quello della capacità contributiva, a
difesa della sfera individuale, e il criterio della progressività.
 I nuovi diritti
Sebbene la nostra Costituzione preveda una dettagliata e
puntuale regolamentazione dei diritti e dei doveri dei cittadini
nella Parte prima, molte elencazioni costituzionali finiscono per

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apparire inadeguate e non al passo con l'evoluzione naturale


della società. Ecco da dove nascono quelli che sono stati
definiti come “nuovi diritti”, tra cui i diritti alla vita e
all'integrità fisica, all'onore, all'identità personale, alla libertà
sessuale e al libero orientamento sessuale, alla privacy,
all'ambiente, alla pace. Rientrano in questa categoria anche i
diritti relativi alle biotecnologie, come ad esempio il diritto
all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita, oggetto di un'apposita disciplina legislativa (legge
n°40/2004), confermata da un referendum. Il ricorso a questa
tecnica è consentito qualora non vi siano altri metodi
terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o
infertilità, a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o
conviventi, in età potenzialmente fertile. Importante anche il
diritto alla protezione dei dati personali, in materia di
trattamento dei dati genetici.
 La tutela multilivello dei diritti
La tutela dei diritti impegna più ordinamenti, in primis quello
nazionale, ma anche quello comunitario e quello
internazionale; i tre ordinamenti operano su livelli diversi con
diversi strumenti di tutela. Ecco perchè si parla di una tutela
multilivello dei diritti dell'uomo. La Convenzione europea dei
diritti dell'uomo prevede una forma di tutela diretta da far
valere nei confronti degli stati che vi hanno aderito. L'accesso
diretto alla Corte europea dei diritti dell'uomo per la tutela dei
diritti consente ai singoli di far valere la lesione di un diritto
solo dopo aver esperito i possibili ricorsi interni a livello
nazionale.
 La Corte di giustizia europea
La Corte di giustizia interpreta il diritto dell'UE perché esso
venga applicato allo stesso modo in tutti i paesi dell'UE. Si
occupa inoltre di giudicare le controversie tra i governi dei
paesi membri e le istituzioni dell'UE. Anche i privati cittadini, le
imprese o le organizzazioni possono portare un caso
all'attenzione della Corte se ritengono che un'istituzione dell'UE
abbia leso i loro diritti.

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