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POLEMICHE E SVILUPPO DELL’IDEALISMO

L’Idealismo fu un grande momento storico, e pertanto ha avuto entusiastici seguaci e irriducibili


avversari. I seguaci poi, pur accettando certi presupposti, polemizzano contro altri, e, specialmente,
ne sviluppano solo alcuni, in modo che fondano dei propri sistemi, che arrivano ad essere
diametralmente opposti all’Idealismo stesso (caso tipico Marx).
Avversari dell’idealismo sono da considerare: Herbart, Schopenhauer, Kierkegaard e altri minori.
Herbart critica l’Idealismo in nome del realismo; Schopenhauer contrappone alla Ragione la
Volontà come essenza ultima della realtà; Kierkegaard ridicolizza l’Idealismo, capace di spiegare
tutto, eccetto ciò che realmente esiste: il singolo.
Seguaci (ma che sviluppano l’Idealismo in senso nettamente anti idealistico) sono, evidentemente,
gli aderenti alla scuola hegeliana e in essa in particolare: Feuerbach e Marx.
Le critiche più generali che si levano contro l’Idealismo e in modo speciale contro l’hegelismo sono:
a) Lo spirito esageratamente sistematico e aprioristico, per cui tutto si vuol racchiudere in certe
formulette astratte che hanno la pretesa di spiegare ogni realtà;
b) L’io creatore che tutto trae da sé, e l’oggettività scientifica e lo studio della natura ridotte ad
un’appendice o ad una proiezione dello Spirito (il Positivismo e il Marxismo saranno le reazioni
più radicali in questo senso)
c) Lo Spirito o Idea o Assoluto o Io che, nella loro generalità, tendono a vanificare la concretezza
del singolo, la ricchezza dell’io individuale, che è ciò che invece realmente esiste e che conta
(Kierkegaard e l’Esistenzialismo trovano in questa critica il loro punto di partenza).
d) La piena razionalità del reale, secondo la celebre affermazione di Hegel. Si fa notare, al
contrario, non solo quanto poco sia possibile razionalizzare la realtà ma anche quanto poco tanti
aspetti della realtà siano riconducibili al preconcetto ottimismo sfoggiato dagli Idealisti
(Schopenhauer)

ARTHUR SCHOPENHAUER
“…Amaro e noia la vita, altro mai nulla”
(Leopardi: “A se stesso”)

La filosofia irrazionalistica di Schopenhauer volle essere un’alternativa all’Idealismo imperante


nella prima metà dell’Ottocento. Si può tuttavia notare che, nonostante le intenzioni polemiche di
Schopenhauer, il suo pensiero si muove nell’ambito dell’Idealismo romantico. Anche la sua
filosofia infatti ha la pretesa di cogliere l’Assoluto, concepito però come Volontà, in
un’impostazione filosofica panteistica e fortemente unitaria del mondo.
La filosofia di Schopenhauer occupa certamente un posto centrale nella storia del pensiero e fa capo
a quel filone irrazionalistico, antitetico all’Idealismo hegeliano e al Positivismo, che confluirà, nei
primi decenni del Novecento, nell’Esistenzialismo. Notevole il suo influsso anche in campo
letterario

VITA E OPERE

Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788 e si vantò di aver avuto in eredità dal padre la forza e
dalla madre l’intelligenza (il padre era ricco commerciante, la madre scrittrice di romanzi). In
gioventù viaggiò in Europa, frequentò i circoli letterari. ebbe come maestro Fichte.
Successivamente fu a Jena, dove si laureò. Nel 1818 apparve il suo capolavoro Il mondo come
volontà e rappresentazione. Sostenne gli esami per diventare professore all’università di Berlino. In
quest’occasione ebbe uno scontro con Hegel. I suoi corsi non ebbero alcun seguito. Amareggiato, si
ritirò a vita privata a Francoforte, dove visse dal 1831 fino alla morte.
Soltanto negli ultimi anni della vita poté finalmente rallegrarsi di essere divenuto il filosofo di
moda: Il tramonto dell’Idealismo, lo sbollire del troppo ottimistico razionalismo hegeliano, il cadere
delle illusioni quarantottesche, la reazione da parte di molti intellettuali al nuovo clima scientistico
del Positivismo, portarono in primo piano il pensiero di Schopenhauer.
IL PENSIERO
La polemica antidealistica e il kantismo
Schopenhauer si sentì e volle essere agli antipodi dell’Idealismo, anche se, come abbiamo notato,
risente profondamente di esso (anche sentendosi escluso rispetto ai suoi colleghi)
L’Idealismo è per Schopenhauer una filosofia delle università, cioè accademica e irreale; è una
filosofia farisaica, perché sotto la speciosa apparenza di servire la verità serve lo Stato e la Chiesa;
Fichte, Schelling ed Hegel sono i tre ciarlatani. In particolare i suoi sarcasmi si appuntano contro
Hegel, “ciarlatano pesante e stucchevole.”
i motivi che rendono inaccettabile l’Idealismo agli occhi di Schopenhauer sono prevalentemente due:
a) La concezione ottimistica e razionalistica della realtà. Schopenhauer è, al contrario, un
irriducibile pessimista e concepisce la realtà come espressione di una volontà cieca e
irrazionale.
b) La statolatria hegeliana, per cui lo Stato è tutto, l’individuo nulla: “Quale migliore
preparazione per i futuri impiegati governativi e capi sezione -osserva Schopenhauer- di questa
che insegnava a dare l’intera vita allo Stato e a non avere altra mira che di diventare una ruota
capace di cooperare a mantenere in piedi la gran macchina dello Stato? Il capo sezione e
l’uomo erano così una stessa e medesima cosa…”
La filosofia schopenhaueriana non è solo una reazione anti idealistica. In essa confluiscono influssi
platonici e perfino schellinghiani, agisce l’ambiente romantico dell’epoca, è presente in modo
particolare il pensiero orientale: quello delle Upanishad come quello buddista.
È evidente ancora che la critica anti idealista non converte Schopenhauer al realismo. Al contrario
egli accusa idealismo e realismo di avere posto male il fondamentale problema gnoseologico: per il
primo è il soggetto che produce la rappresentazione dell’oggetto; per il secondo è l’oggetto che
produce la rappresentazione del soggetto. La verità si trova invece nel kantismo.

Il Mondo come Rappresentazione


Schopenhauer inizia la sua opera sostenendo la derivazione della sua filosofia da Kant.Il grande
merito di Kant nella storia del pensiero è, a parere di Schopenhauer, di aver dimostrato infondata la
credenza che le nostre conoscenze abbiano origine dalle cose e siano indipendenti dal soggetto. A
questo proposito, egli accetta la distinzione kantiana di fenomeno e noumeno. Ma mentre per Kant
il fenomeno è la strutturazione scientifica di un dato empirico, oggettivo, in quanto deriva dalla
realtà esterna e può essere oggetto di scienza e il noumeno è il limite invalicabile al conoscere, per
Schopenhauer il fenomeno non deriva dalle cose, cioè non consiste in qualcosa di oggettivo, ma è la
nostra rappresentazione, la quale è, appunto, l’apparire dei fenomeni alla coscienza. Per cui: “Il
mondo è la mia rappresentazione” o, in altre parole, il mondo non esiste se non in quanto ci sia un
soggetto che se lo rappresenti

Questo è il grande merito della filosofia moderna da Cartesio a Berkeley: di aver dimostrato che
l’autentica filosofia non può non essere idealistica: “ nessuno può mai uscire da sé per identificarsi
immediatamente con le cose diverse da lui; tutto ciò di cui egli ha conoscenza sicura, quindi
immediata, si trova dentro la sua coscienza.”. nel mondo della rappresentazione non ci può essere
soggetto senza oggetto, né oggetto senza soggetto. E se anche l’ultimo soggetto venisse annientato,
il mondo, in quanto rappresentazione, svanirebbe.

Se il mondo è rappresentazione, è lecito concludere (e Schopenhauer conclude) che ogni netta


distinzione tra veglia e sonno è da escludere. Il pensiero indiano (di cui Schopenhauer fu
studiosissimo), poeti, la filosofia idealistica…ci hanno insegnato appunto questo: che la vita è
sogno.
Wagner, Kafka, Pirandello, Mann, Freud, il Surrealismo…anche sotto il diretto influsso di
Schopenhauer, non diranno o non vorranno esprimere realtà molto diverse.
I fenomeni rappresentativi vengono collegati e strutturati dal soggetto secondo tre modi:
spazio, tempo e causalità.
Tali modi sono categorie a priori alla maniera kantiana: sono le forme essenziali e universali di
ogni oggetto, pertanto possono stanno a priori nella nostra coscienza.
Il tempo: è la forma a priori, mediante la quale le rappresentazioni appaiono conformi ad una logica
di successione.
Lo spazio: consente alle rappresentazioni di collegarsi a seconda di una determinata posizione.
La causalità: richiama, evidentemente, il rapporto di causa ed effetto tra le rappresentazioni.
Ricordiamo che la causalità è riferita all’ambito delle rappresentazioni, per cui è negata qualsiasi
azione causale del mondo esterno sul soggetto (fenomenismo idealistico). “Ma d’altro lato ogni
causalità è soltanto nell’intelletto e per l’intelletto; quindi tutto quel mondo reale, ossia attivo, è
come tale condizionato ognora dall’intelletto, e non è nulla senza questo. Generalmente non si
può, a meno di cadere in contraddizione, pensare un oggetto senza soggetto. L’intero mondo
degli oggetti è e rimane rappresentativo al soggetto. Tuttavia il mondo non è per questo né
menzogna né illusione: si dà per quello che è, come rappresentazione, e precisamente come una
serie di rappresentazioni, il cui vincolo comune è il principio di ragione.”

Così delle dodici categorie kantiane non rimane che quella della causalità che Schopenhauer chiama
principio di ragion sufficiente e che viene formulato con Wolff: nulla è senza ragione sufficiente
perché sia piuttosto che non sia
Tale categoria può essere considerata l’unica in assoluto, giacché Schopenhauer afferma che tutto
l’apriori può essere ridotto al principio di ragion sufficiente, considerato sotto quattro aspetti (Sulla
quadruplice radice del pensiero di ragion sufficiente), cioè:
- (Principio di ragione sufficiente dell’essere); (spazio e tempo)
- (Principio di ragione sufficiente del divenire); (causa ed effetto)
- (Principio di ragione sufficiente del conoscere);(principio e conseguenza)
- (Principio di ragion sufficiente dell’agire); (motivo della volontà)

Il Mondo come Volontà


La rappresentazione, quindi, cioè la conoscenza, perché fenomenica, è illusoria: fra noi e le cose si
frappone come un diaframma opaco, il velo di Maja, come dice Schopenhauer, riferendosi ancora
alla mitologia indiana. Eppure l’uomo non si contenta, egli vuole giungere alla realtà noumenica. Il
mezzo di rivelazione del noumeno è il nostro corpo. L’uomo infatti non è soltanto soggetto
conoscente, ma è anche individuo, nel quale la conoscenza si svolge attraverso il corpo; se il corpo
non fosse quello che è, anche la conoscenza sarebbe diversa.
Ora il corpo, non veduto dall’esterno (cioè non conosciuto come una qualsiasi altra
rappresentazione) ma veduto dall’interno (cioè sentito esistenzialmente), ci si rivela come brama di
vivere, come sfrenato desiderio di esistere. E questo è ciò che Schopenhauer chiama Volontà.
Volontà, quindi, che non è intesa come determinazione riflessa e cosciente ma come tendenza
impetuosa e cieca ad affermarsi in qualsiasi modo e sempre e nonostante tutto.
La Volontà, rivelataci dal corpo, è la vera essenza dell’universo, è ed agisce al di sotto di ogni
rappresentazione. Essa è il noumeno, evidentemente non inteso nel senso di Kant (come limite negativo
della nostra conoscenza) ma, al contrario, come l’unica conoscenza positiva, reale, perché ci mette a contatto
con l’autentica realtà delle cose.: “Fenomeno è rappresentazione e niente di più: ogni rappresentazione,
ogni oggetto è fenomeno. Cosa in sé, invece, è solamente la volontà.
Attraverso la Volontà, Schopenhauer spiega così non solo l’uomo ma tutta la natura; essa diviene la chiave
di volta per conoscere l’intima essenza della natura. Il parallelo con la fisica speculativa di Schelling è chiaro
in queste idee, che anzi alle volte riproducono quasi alla lettera quelle del grande idealista.
I modi di oggettivazione (cioè di manifestazione) della Volontà sono innumerevoli: gravitazione dei corpi, processi
molecolari, cristalli, piante, istinto animale, volere cosciente dell’uomo…; non solo, ma in ognuno di questi gradi la
Volontà si sparpaglia in miriadi di individui. Ogni grado ed ogni specie costituisce un’idea (simile alle idee platoniche),
che, essendo unica ed eterna, è in qualche modo perfetta. Gli individui vanno e vengono, mentre Volontà e idee
perennemente stanno in un eterno presente. Perché questa è l’autentica realtà: l’eterno presente della vita, passato e
presente essendo soltanto illusioni della nostra rappresentazione
Il pessimismo
Il concetto che Schopenhauer ha della natura è chiaramente vicino a quello di Schelling, come già accennato:
come d’altra parte il concetto di divenire non è molto differente da quello di Hegel. Ma ciò che lo rende del
tutto diverso dai due ciarlatani è il concetto più profondo che ha della realtà: per essi la realtà è Ragione,
quindi perfezione. per Schopenhauer è Volontà irrazionale e quindi senza scopo, sempre inquieta e
insoddisfatta.
E siccome la Volontà è il principio di tutto, è chiaro che l’uomo e l’universo stesso, in forma cosciente e
incosciente, per natura, tendono a soddisfare questa bramosia radicale. Ma soddisfarla realmente è
impossibile, sarebbe la fine della realtà: da cui la frustrazione, la miseria e il dolore, che divengono
condizione metafisica del mondo. Il pessimismo di Schopenhauer si basa sui seguenti motivi:
- La volontà è tutta presente in ognuna delle sue manifestazioni. Ed è proprio per questo che ogni essere
tende all’affermazione esclusiva, potremmo dire animale di se stesso. La legge del mondo è la legge
della giungla. Ci troviamo di fronte all’egoismo più sfrenato, all’homo homini lupus;
- Si potrebbe però pensare che l’uomo, essendo cosciente, possa ergersi al di sopra dell’illusione. Ma
questa è la più grande illusione. La Volontà, infatti, si serve dell’uomo per realizzare se stessa, anche
quando egli crede di realizzare i propri interessi. Il pensare che la vita sia un bene è inganno. L’amore
che spinge alla procreazione è pure inganno, di cui si serve la Volontà per perpetuarsi. Il piacere non è
che la mancanza di dolore (“Piacer figlio di affanno”, dirà Leopardi) o il soddisfacimento di un
desiderio, che è mancanza, cioè negatività. E quando il desiderio è soddisfatto, subentra la noia. Dolore e
noia sono dunque i due poli dell’esistenza, dai quali non si
può sfuggire: “Desiderio, mancanza, è la condizione preliminare di ogni piacere; ma con l’appagamento
cessa il desiderio e quindi anche il piacere;” appagamento = liberazione dal dolore.
- Ma la Volontà, che spinge tutti gli esseri a vivere e a lottare per l’esistenza, ha essa almeno un fine, una
meta razionale che giustifichi tanto soffrire? No, poiché il suo tendere è un tendere brutale, istintivo,
ingiustificato, irrazionale: la Volontà è Volontà cieca. E ciò rende irrazionale l’esistenza in quanto tale:
“Alla sua (della Volontà) essenza appartiene la mancanza di ogni finalità”; ogni meta raggiunta è a sua
volta principio di un nuovo percorso e così all’infinito.

La vita oscilla quindi come un pendolo, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi
costitutivi…L’uomo, come la più compiuta oggettivazione di quella volontà, è per conseguenza anche
il più bisognoso di tutti gli esseri: è in tutto e per tutto un volere, un bisogno reso concreto. Con questi
egli sta sulla terra, incerto di tutto fuor che della propria penuria e delle proprie necessità. In pari
tempo minacciano l’uomo da ogni parte i più svariati pericoli, per sfuggire ai quali occorre vigilanza.
Con cauto passo, e ansiosamente spiando intorno, va egli per la sua via, perché mille accidenti e mille
nemici lo insidiano…La vita dei più non è che una diuturna battaglia per l’esistenza, con la certezza
della sconfitta finale. Ma ciò che li fa perdurare in questa sì travagliata battaglia non è tanto l’amore
della vita, quanto la paura della morte, la quale nondimeno sta inevitabile nello sfondo e può ad ogni
minuto sopravvenire. La morte è il termine ultimo del faticoso viaggio, e per lui peggiore di tutti gli
scogli, ai quali è scampato.”

Le vie della liberazione


Ci si potrebbe porre l’interrogativo se sia possibile l’azione etica nel contesto del pensiero di Schopenhauer.
L’unica logica conclusione, dato che tutti noi siamo marionette in mano ad un cieco Volere, sarebbe la
passiva acquiescenza a tutto ciò che avviene (stoicismo)
Ma Schopenhauer propone all’uomo un ideale morale: quello della distruzione della volontà di esistere. Un
tale ideale, nel sistema di Schopenhauer, è in parte logico, e in parte del tutto illogico.
È logico, perché se il desiderio di vita è male, è giusto distruggerlo (“se la vita è sventura/perché da noi si
dura?” Leopardi); illogico, perché se siamo autonomi irresponsabili, qualsiasi cosa facciamo, cooperiamo al
trionfo della Volontà.
Ma a questo punto il filosofo pessimista apporta una correzione al suo sistema: “Schopenhauer parla infatti
di una giustizia eterna che domina il mondo, infallibile, ferma, sicura, fuori del tempo: è la giustizia che
la Volontà universale fa di se stessa, assumendo sopra di sé la responsabilità dell’esistenza e della qualità
del mondo, e subentra quindi -come pena per una colpa commessa- il dolore mondiale, sintesi e radice di
tutte le sofferenze degli infiniti esseri. L’essersi affermata nel mondo è per la Volontà di vita un malum
culpae (male di cui siamo responsabili), che appunto per ciò porta connesso con sé un malum poenae
(male di cui non siamo responsabili). La sofferenza non è più soltanto necessaria di necessità fisica -in
quanto cioè è collegata all’essenza stessa della volontà come bisogno- ma risponde anche ad una necessità
etica, ha il valore di pena.”
Nell’introduzione di questi nuovi concetti, si può notare l’influsso non solamente del pensiero indiano, ma
anche della concezione mitica dell’Edda nordica (mitologia norrena), di tutta la tradizione misticheggiante e
panteistica medievale tedesca e della seconda fase del pensiero di Schelling che fa di Dio il principio del
bene (intelletto) ma anche del male (volontà) che è nel mondo.
Come mai la distruzione della Voluntas deve essere un bene? E come mai, conseguentemente, deve essere un
bene la Noluntas, cioè il desiderio di annichilimento? Ma questo, forse, sarebbe un domandare troppo:
esigere, cioè, una giustificazione razionale da un sistema irrazionalistico.
Sta di fatto che Schopenhauer chiede all’uomo etico una conversione radicale, chiede, in altre parole, di
spegnere in sé il desiderio di esistere.
I gradi di questa conversione sono essenzialmente tre:
1) L’arte. L’arte ha una funzione liberatoria per due motivi:
- L’oggetto artistico è strappato dal contesto spazio-temporale e causale; è come isolato dal perenne
fluire delle cose per essere trasportato nel mondo dell’eternità. È tolto quindi al dominio della
Volontà cieca.
- Chi contempla l’oggetto artistico a sua volta si sprofonda talmente in esso che perde la propria
individualità. Osserva ancora Schopenhauer che contemplando :” si dimentica la propria
individualità, la propria volontà.”
Nell’arte quindi l’uomo perviene alla dimensione dell’eterno e in essa egli si sente liberato dal
perpetuo fluire delle cose legate ai limiti dello spazio e del tempo. In questo contesto sarà bene
ricordare una delle formule fondamentali dell’estetica kantiana, a cui tutto il discorso estetico
schopenhaueriano si rapporta: “Bello è ciò che piace senza interesse” o, anche, “Bello è ciò che
piace universalmente”.
La musica è stimata da Schopenhauer come più elevata fra le arti, perché esprime direttamente la
volontà; essa: “narra la storia più segreta della volontà, ne dipinge ogni emozione”
2) La giustizia e la compassione. L’arte, più che liberarci, ci dà l’illusione momentanea della
liberazione, estraniandoci per un momento da noi stessi.
Giustizia e compassione ci liberano stabilmente, anche se non radicalmente. Come abbiamo visto, la
Volontà è presente tutta in ciascun individuo e in ciascun individuo si vuole tutta affermare,
calpestando tutti gli altri. La coscienza dell’unicità della Volontà e quindi il riconoscimento dei
diritti altrui, è la giustizia: l’uomo malvagio, cioè ingiusto, è tormentato più che tormentatore, perché
ignora la realtà e non fa altro che torturare se stesso mentre crede di trionfare tormentando gli altri.
Quando poi arriviamo a sentire i dolori altrui come nostri, quando ci si accorge di essere accomunati
nello stesso triste destino, si ha la compassione.
3) L’ascesi. L’ascesi è il grado supremo di liberazione, anzi l’autentica Noluntas: se il vivere è il male,
l’estinzione completa del desiderio di vivere è il bene. È soppressione, quindi, di ogni desiderio,
fisico e morale: castità, povertà, penitenza…estinzione di sé. La Noluntas non dunque nel suicidio
che è affermazione di vita nella sua negazione: “colui che si uccide vorrebbe vivere, ma in altre
condizioni” ma nella completa indifferenza, che è negazione di vita, pur continuando a vivere.
In questo stato -afferma Schopenhauer- “in luogo dell’incessante agitato impulso, in luogo del
perenne passare dal desiderio al timore e dalla gioia al dolore, ci appare quella pace che sta più in
alto di tutta la ragione, quell’assoluta quiete dell’animo pari alla calma del mare, quel profondo
riposo, in cui la volontà è svanita.”
Giunti a questo stadio finale comprendiamo che “questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi
soli e le vie lattee, questo, propriamente questo è il nulla.”
E il nirvana buddista, è -a detta di Schopenhauer- la meta del misticismo cristiano.

Conclusione
1) Il sistema di Schopenhauer è, metafisicamente, un radicale volontarismo irrazionale e pessimistico.
2) È eticamente, un nichilismo: pone cioè come scopo della vita l’annientamento della brama di esistere.
visse Schopenhauer secondo questi suoi principi così estremistici e così severi? No. Egli scinde il
pensiero filosofico, teorico dalla vita pratica e non si sente affatto impegnato in quella liberazione
ascetica che predicava. Anzi: fu attaccatissimo alla vita con i suoi agi, le sue possibilità e i suoi trionfi; fu
invidioso vedendo il trionfo di Hegel; e quando quest’ultimo morì e l’attenzione del gran pubblico si
rivolse a lui, egli se ne compiacque e ne godette altamente: “Che il santo sia un filosofo -afferma
Schopenhauer- è tanto poco necessario, quanto poco necessario che il filosofo sia un santo.
Rispecchiare universalmente, limpidamente, in concetti l’intera essenza del mondo, e così, quale
immagine riflessa, deporla nei permanenti e sempre disposti concetti della ragione: questo e non altro
è filosofia.”

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