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ARTHUR SCHOPENHAUER
“…Amaro e noia la vita, altro mai nulla”
(Leopardi: “A se stesso”)
VITA E OPERE
Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788 e si vantò di aver avuto in eredità dal padre la forza e
dalla madre l’intelligenza (il padre era ricco commerciante, la madre scrittrice di romanzi). In
gioventù viaggiò in Europa, frequentò i circoli letterari. ebbe come maestro Fichte.
Successivamente fu a Jena, dove si laureò. Nel 1818 apparve il suo capolavoro Il mondo come
volontà e rappresentazione. Sostenne gli esami per diventare professore all’università di Berlino. In
quest’occasione ebbe uno scontro con Hegel. I suoi corsi non ebbero alcun seguito. Amareggiato, si
ritirò a vita privata a Francoforte, dove visse dal 1831 fino alla morte.
Soltanto negli ultimi anni della vita poté finalmente rallegrarsi di essere divenuto il filosofo di
moda: Il tramonto dell’Idealismo, lo sbollire del troppo ottimistico razionalismo hegeliano, il cadere
delle illusioni quarantottesche, la reazione da parte di molti intellettuali al nuovo clima scientistico
del Positivismo, portarono in primo piano il pensiero di Schopenhauer.
IL PENSIERO
La polemica antidealistica e il kantismo
Schopenhauer si sentì e volle essere agli antipodi dell’Idealismo, anche se, come abbiamo notato,
risente profondamente di esso (anche sentendosi escluso rispetto ai suoi colleghi)
L’Idealismo è per Schopenhauer una filosofia delle università, cioè accademica e irreale; è una
filosofia farisaica, perché sotto la speciosa apparenza di servire la verità serve lo Stato e la Chiesa;
Fichte, Schelling ed Hegel sono i tre ciarlatani. In particolare i suoi sarcasmi si appuntano contro
Hegel, “ciarlatano pesante e stucchevole.”
i motivi che rendono inaccettabile l’Idealismo agli occhi di Schopenhauer sono prevalentemente due:
a) La concezione ottimistica e razionalistica della realtà. Schopenhauer è, al contrario, un
irriducibile pessimista e concepisce la realtà come espressione di una volontà cieca e
irrazionale.
b) La statolatria hegeliana, per cui lo Stato è tutto, l’individuo nulla: “Quale migliore
preparazione per i futuri impiegati governativi e capi sezione -osserva Schopenhauer- di questa
che insegnava a dare l’intera vita allo Stato e a non avere altra mira che di diventare una ruota
capace di cooperare a mantenere in piedi la gran macchina dello Stato? Il capo sezione e
l’uomo erano così una stessa e medesima cosa…”
La filosofia schopenhaueriana non è solo una reazione anti idealistica. In essa confluiscono influssi
platonici e perfino schellinghiani, agisce l’ambiente romantico dell’epoca, è presente in modo
particolare il pensiero orientale: quello delle Upanishad come quello buddista.
È evidente ancora che la critica anti idealista non converte Schopenhauer al realismo. Al contrario
egli accusa idealismo e realismo di avere posto male il fondamentale problema gnoseologico: per il
primo è il soggetto che produce la rappresentazione dell’oggetto; per il secondo è l’oggetto che
produce la rappresentazione del soggetto. La verità si trova invece nel kantismo.
Questo è il grande merito della filosofia moderna da Cartesio a Berkeley: di aver dimostrato che
l’autentica filosofia non può non essere idealistica: “ nessuno può mai uscire da sé per identificarsi
immediatamente con le cose diverse da lui; tutto ciò di cui egli ha conoscenza sicura, quindi
immediata, si trova dentro la sua coscienza.”. nel mondo della rappresentazione non ci può essere
soggetto senza oggetto, né oggetto senza soggetto. E se anche l’ultimo soggetto venisse annientato,
il mondo, in quanto rappresentazione, svanirebbe.
Così delle dodici categorie kantiane non rimane che quella della causalità che Schopenhauer chiama
principio di ragion sufficiente e che viene formulato con Wolff: nulla è senza ragione sufficiente
perché sia piuttosto che non sia
Tale categoria può essere considerata l’unica in assoluto, giacché Schopenhauer afferma che tutto
l’apriori può essere ridotto al principio di ragion sufficiente, considerato sotto quattro aspetti (Sulla
quadruplice radice del pensiero di ragion sufficiente), cioè:
- (Principio di ragione sufficiente dell’essere); (spazio e tempo)
- (Principio di ragione sufficiente del divenire); (causa ed effetto)
- (Principio di ragione sufficiente del conoscere);(principio e conseguenza)
- (Principio di ragion sufficiente dell’agire); (motivo della volontà)
La vita oscilla quindi come un pendolo, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi
costitutivi…L’uomo, come la più compiuta oggettivazione di quella volontà, è per conseguenza anche
il più bisognoso di tutti gli esseri: è in tutto e per tutto un volere, un bisogno reso concreto. Con questi
egli sta sulla terra, incerto di tutto fuor che della propria penuria e delle proprie necessità. In pari
tempo minacciano l’uomo da ogni parte i più svariati pericoli, per sfuggire ai quali occorre vigilanza.
Con cauto passo, e ansiosamente spiando intorno, va egli per la sua via, perché mille accidenti e mille
nemici lo insidiano…La vita dei più non è che una diuturna battaglia per l’esistenza, con la certezza
della sconfitta finale. Ma ciò che li fa perdurare in questa sì travagliata battaglia non è tanto l’amore
della vita, quanto la paura della morte, la quale nondimeno sta inevitabile nello sfondo e può ad ogni
minuto sopravvenire. La morte è il termine ultimo del faticoso viaggio, e per lui peggiore di tutti gli
scogli, ai quali è scampato.”
Conclusione
1) Il sistema di Schopenhauer è, metafisicamente, un radicale volontarismo irrazionale e pessimistico.
2) È eticamente, un nichilismo: pone cioè come scopo della vita l’annientamento della brama di esistere.
visse Schopenhauer secondo questi suoi principi così estremistici e così severi? No. Egli scinde il
pensiero filosofico, teorico dalla vita pratica e non si sente affatto impegnato in quella liberazione
ascetica che predicava. Anzi: fu attaccatissimo alla vita con i suoi agi, le sue possibilità e i suoi trionfi; fu
invidioso vedendo il trionfo di Hegel; e quando quest’ultimo morì e l’attenzione del gran pubblico si
rivolse a lui, egli se ne compiacque e ne godette altamente: “Che il santo sia un filosofo -afferma
Schopenhauer- è tanto poco necessario, quanto poco necessario che il filosofo sia un santo.
Rispecchiare universalmente, limpidamente, in concetti l’intera essenza del mondo, e così, quale
immagine riflessa, deporla nei permanenti e sempre disposti concetti della ragione: questo e non altro
è filosofia.”