destinazione editoriale: DieciCaffè, Rerum scriptores n.
8 mese di: Aprile
OLTRE L’UMANO
Le foto più toccanti di un’epoca denigratrice
Nella prima foto non ci sono altro che macchioline.
Punti luce appannati dal grigiore del cielo, dal torpore degli animi. Righe nere verticali si intersecano alle recinzioni attraverso il bianco sporco delle vesti. Piedi nudi e sporchi sulla terra umida e triste. Privati di capelli, vestiti, libertà: persone che diventano numeri. Ed è con un’ intensa mostra fotografica sulla Shoah che il Liceo Zoli ricorda lo sterminio del popolo ebraico; per non dimenticare. Hitler fece dell’odio razziale la base del suo potere. Circa sei milioni di ebrei sarebbero morti nei campi di sterminio, a Auschwitz, Treblinka, Buchenwald, per citare solo i più noti. Il risultato doveva essere quello di una società in cui non vi fosse dissenso politico; senza criminali, malati di mente, omosessuali, zingari: tutti soggetti che vennero rinchiusi nei lager perchè considerati inferiori e contaminatori della perfetta e superiore razza ariana. Sebbene quello del Nazismo sia solo un ricordo lontano di montagne di scarpe sequestrate, di fedi requisite e di forni crematori che offuscavano la luce del sole; sebbene i campi di concentramento non esistano più, ideali di superiorità, di sdegno, di sottomissione brulicano ancora tra di noi. Il razzismo non è scomparso con Hitler, poiché esso non è proprio di un’istituzione politica, bensì di un pensiero malato germogliato nelle coscienze comuni e che dilapida le conquiste democratiche ed ugualitarie dell’ultimo secolo. Le intolleranze infatti non sono state limitate alla popolazione ebraica ma ricordiamo anche quelle Sudafricane dell’ apartheid sancite a livello istituzionale e legislativo, quelle Statunitensi riguardo le etnie di colore o più in generale quelle verso gli extracomunitari, che oggi forse più che mai piagano la società mondiale. Nello scorso mese di Febbraio Luca Traini ha sparato a sei persone, tutte di origine africana, ferendole più o meno gravemente. Il ventottenne incensurato ha fatto fuoco dalla sua auto in diversi punti della città, concludendo la sua corsa davanti al monumento dei caduti in Macerata, dove è stato arrestato con il tricolore al collo. E’ questo il vero amore per la patria, il rispetto per la bandiera? E soprattutto, in nome di eventi come questi, deve l’Italia essere considerata un paese razzista? Sullo spettro del fascismo, è facile confondere il patriottismo con il nazionalismo che diventa poi disprezzo, denigrazione, xenofobia a causa delle incertezze per la globalizzazione e la modernità. L’accoglienza non governata porta infatti ad un’insoddisfazione generale, perché la popolazione non si sente più protetta socialmente e scarica la propria rabbia sullo straniero come capro espiatorio. Eppure non è sminuendo l’altro che si dimostra la propria forza. Essa è invece racchiusa nell’ orgoglio e nella fierezza di farsi portavoce delle proprie tradizioni e particolarità di fronte allo straniero, non più visto come barbaro da sottomettere ma come il miglior strumento per imparare ed arricchirsi. Essere fieri della propria Italianità è fondamentale, ma calpestare la bandiera altrui corrisponde all’offendere la propria, sancendone l’inferiorità morale e umana. Nonostante la storia passata, nonostante le cronache di ordinario razzismo, questo rimane solo e per fortuna un sintomo collaterale, combattuto quotidianamente con bontà ed altruismo, le migliori medicine. Mario, Gaetano ed Ugo, seduti fuori al bar del corso in queste prime giornate di caldo, sono ben felici di farsi servire il caffè dal giovane Shi, cinese, lasciandogli talvolta anche qualche euro di mancia. Renato, il panettiere, scambia sempre due chiacchiere sorridenti con Tierno, senegalese, che fuori dal suo negozio vende accendini. Matteo, il bimbo dagli occhi verdi figlio del segretario comunale, non vede l’ora di tornare da scuola per poter giocare nella villa con il suo amico Cid, marocchino. E sono mano per mano, stretti in una forza ritrovata. Braccia dietro alzate con un treno che parte. I volti scarni e pallidi commossi, increduli, finalmente liberi. E questo è l’ultimo scatto della mostra: prigionieri ebrei destinati ai campi di concentramento liberati vicino ad Elba, 1945.