Battista Guarini
Corso di Laurea: LINGUE E CULTURE EUROPEE E DEL RESTO DEL MONDO
Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
La seconda metà del Cinquecento, con la progressiva caduta delle signorie italiane a
favore delle grandi potenze imperiali determina anche un sensibile cambiamento nella
figura professionale del letterato di corte. L’istituzione della ‘cortegiania’ rinascimentale
entro la quale il poeta ha il ruolo di celebratore della dinastia dominante è in declino e
l’uomo di lettere perde il suo ruolo nella politica di magnificenza dei signori e deve
sempre contendersi uno spazio e uno stipendio con segretari e ‘parassiti’ di bassissimo
profilo.
In questo frangente della storia della cultura italiana e in corrispondenza degli ultimi anni
del ducato estense, nasce a Ferrara nel 1538 Battista Guarini, della famiglia del grande
umanista veronese Guarino. Dopo un periodo di studi retorici nella città natale si
trasferisce a Padova legandosi, tra l’altro, all’Accademia degli Eterei e stringendo una
sincera amicizia con Tasso.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Ritornato a Ferrara nel ’67, Guarini entra a corte a servizio di Alfonso II; l’ambiente
cortigiano è dominato dall’ambigua figura del segretario ducale Giovanni Battista Niccolini
detto il Pigna che il giovane poeta tenta a più riprese ma inutilmente di rendersi amico. A
Guarini vengono affidate ambascerie di riguardo in Italia mentre nel 1574 è a Cracovia
per sostenere la candidatura di Alfonso d’Este al trono di Polonia; di quest’ ultima
esperienza diplomatica Guarini redige un dettagliato ragguaglio, il Discorso sopre le cose
di Polonia. Nonostante il presigioso cursus honorum all’interno della corte estense e
nonostante, dopo l’allontanamento di Tasso, a Ferrara non ci sia nessun personaggio in
grado di rivaleggiare con lui, alla morte del Pigna Guarini non riesce ad ottenere l’ambita
posizione di segretario (a lui è stato preferito il filosofo Antonio Montecatini). Disilluso
dalla vita di corte e dalle trame di palazzo, Guarini si ritira da Ferrara in una sua proprietà
a San Bellino nel Polesine.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Durante il suo periodo di ritiro dalla vita pubblica, Guarini si dedica principalmente
all’attività poetica occupandosi della stesura del suo capolavoro teatrale, Il pastor fido
(terminato nel 1584) e di un’altra commedia in prosa, L’idropica. La dedizione di Guarini
per il teatro lo mette anche al centro di una vivace polemica con gli ambienti
dell’aristotelismo padovano.
La stagione stagione produttiva di Guarini si conclude alla metà degli anni ’80 quando
può presentare l’opera, ancora manoscritta, a Carlo Emanuele di Savoia in occasione
delle nozze con Caterina d’Austria nel settembre del 1585. Dopodiché, Guarini si occupa
quasi esclusivamente della revisione e della pubblicazione dell’opere già scritte, dando
alle stampe il Pastor fido, le Lettere e, infine le Rime che aveva raccolto fin dalla
giovinezza.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Gli ultimi anni 90’ sono caratterizzati per Guarini da un tentativo di rientro nella vita
pubblica: dopo aver provato ad entrare al servizio dei Savoia, incomincia un periodo di
insicure peregrinazioni tra gli ultimi signori che potevano ancora vantare una corte.
Ritornato a Ferrara riesce finalmente a ricoprire, anche se per un breve periodo, la carica
di segretario per poi passare improvvisamente a Venezia e di qui, attraverso altre tappe,
a Mantova. Dopo la parentesi gonzaghesca, viene accolto dai Medici a Firenze entrando
anche nell’Accademia della Crusca con il ruolo di arciconsolo e prestando la sua opera al
granduca di Toscana. Dal 1602 al 1604 si reca ad Urbino dove può contare sull’amicizia e
sulla protezione di Francesco della Rovere, già amico e mecenate di Tasso. Muore infine a
Venezia nel 1612.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
La lunga esperienza di uomo di corte e di diplomazia maturata dal Guarini durante tutto il
corso della sua vita dentro e fuori dall’Italia e le relazioni da lui intrattenute con eminenti
personaggi della scena politica e letteraria del suo tempo si riversano in un ricchissimo
epistolario. L’interesse per le lettere di Guarini è immediato: ancora vivo l’autore, nel
1593 viene pubblicata una prima raccolta della corrispondenza privata del poeta grazie
alle cure del letterato veneziano Agostino Michele dietro al quale si cela comunque la
mano dell’autore. A questa ne segue a breve distanza un’altra che contiene le lettere
scritte da Guarini nelle vesti di diplomatico estense, le cosiddette epistole ‘di negozio’. Da
queste due stampe iniziali deriva una fortuna enorme delle lettere guariniane, più volte
ripubblicate e riordinate nel corso del XVII secolo e utilizzate come un manuale di
scrittura epistolare largamente utilizzato ed imitato.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Il tratto più caratteristico della produzione teatrale cinquecentesca risiede tuttavia nella
commedia. Il genere comico, vivacissimo ed estremamente produttivo nel corso
dell’intero secolo, attinge i propri modelli da due grandi filoni di ispirazione
immediatamente riconoscibili: da una parte si individuano facilmente le situazioni e gli
intrecci (e, volendo, anche i titoli) della commedia latina di Plauto e di Terenzio; dall’altra,
la felice produzione novellistica italiana da Boccaccio in poi, entra a far parte del
repertorio teatrale, offrendo un ricchissimo campionario di personaggi e di nuclei narrativi
facilmente adattabili alle scene.
Dalla tradizione della novella e, più in genere, da tutta la letteratura realistica, il teatro
comico trae anche la sua marca distintiva che è, in maniera del tutto evidente, di
carattere linguistico: essa si individua nella ricerca di una resa espressionista del parlato
che non esclude il ricorso ad un plurilinguismo dove coesistono in perfetta simbiosi lingua
e dialetti.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Questo tipo del teatro italiano, così fortemente individuato da poter essere definito senza
problemi una ‘commedia di caratteri’, dove più che alla trama vera e propria l’autore
presta la sua attenzione alla caratterizzazione del singolo personaggio, presenta una
geografia piuttosto chiara che ha i suoi due poli principali in Veneto e in Toscana.
Una tradizione (già quattrocentesca) di poesia rusticale vivace e ralistica, parodia
sarcastica dei generi bucolici più elevati, sviluppatasi principalmente a Padova ha creato
un terreno fertile di ispirazione a Ruzante, certo il genio comico più produttivo ed
originale del secolo; a Venezia invece tende a svilupparsi un genere di commedia più
cittadino e borghese, caratterizzata da un netto plurilinguismo che, come nei testi di
Andrea Calmo o nella straordinaria e anonima Vieniexiana, riflette la vita cosmopolita e
varia della più ricca potenza commerciale dell’Adriatico.
Di ispirazione sempre popolare e rusticale è il genere di commedia rappresentato a Siena
dalla Congrega dei Rozzi che riserva un particolare e crudele filone satirico nei confronti
del clero corrotto e vizioso come nell’anonimo Pidinzuolo o nelle opere dello Stricca
Legacci.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S1
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Proprio al 1545 risale il primo documento noto che attesta la costituizione a Padova di
una compagnia di attori comici professionisti. Le prime associazioni di teatranti non
dovevano tuttavia presentare strutture determinate o precisi contratti sociali, tuttavia, già
verso la fine del secolo, il fatto di distinguersi con dei nomi precisi (i Confidenti, i Gelosi)
è indicativo di un progressivo autoriconoscimento mirato, con ogni probabilità, a
nobilitare la propria attività professionale.
I testi rappresentati non erano nella maggioranza dei casi messi per iscritto (solo agli inizi
del ’600 andrà a stampa qualche opera): all’autore, che coincideva spesso con uno degli
attori, era richiesto un semplice ‘canovaccio’, la trama minima su cui si esercitava il
virtuosimo della compagnia. Questa parte così larga lasciata all’improvvisazione era resa
possibile dalla caratterizzazione estrema e stereotipata dei personaggi con repertorio
ripetitivo: il soldato fanfarone, il professore pedante, la donnetta leggera, il parassita, il
servo astuto e affamato, figure nelle quali si riconoscono gli archetipi delle ‘maschere’ di
cui sarà debitore anche il grande teatro settecentesco di Goldoni.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo fiorisce nell’Italia nord-
orientale un filone di poesia rusticale fortemente realistica e comica che trova il suo
mezzo espressivo di elezione nel pavano, il dialetto padovano rustico parlato dai
contadini.
Nonostante l’aspetto popolare, le origini e lo svilippo della poesia comica in pavano vanno
cercati in un gioco letterario tra colti, mirato alla parodia del genere bucolico alto di
ispirazione pontaniana. Sebbene infatti quasi tutti i componimenti di questo genere ci
siano pervenuti anonimi, sono possibili alcune attribuzioni a letterati di mestiere come
Marsilio da Carrara o Francesco di Vannozzo oppure a professionisti del diritto come il
giureconsulto padovano Eliseo.
La rappresentazione della campagna e della vita rurale non risente degli stereotipi o delle
astrazioni rarefatte dell’egloga classicheggiante ma fa anzi del realismo più oltranzista
l’elemento fondamentale su cui costruire la poesia: ben si intuisce quindi quell’elogio del
‘naturale’ che si vedrà programmatico nella poetica di Ruzante.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Quello che da molti è considerato il maggiore scrittore comico del Cinquecento, Angelo
Beolco (detto il Ruzante dal nome di uno dei suoi personaggi), paragonato per valore al
Machiavelli letterario e all ’ Aretino, riconosce proprio nel dialetto pavano e nella
rappresentazione realistica della vita rurale i fondamentali della sua arte poetica.
Ruzante nasce a Padova tra il 1496 e il 1500, figlio illegittimo di un professionista (il
padre era stato anche rettore della Facoltà di Medicina). Per quasi tutta la sua vita, fino
alla morte prematura avvenuta nel 1542, rimane legato al nobile veneziano Alvise
Cornaro, amico, protettore e committente di molte opere. Nelle ville del Cornaro,
frequentate anche da letterati di un certo rilevo come Sperone Speroni, Ruzante affianca
l’attività di amministratore terriero con quella principale di autore di commedie, mansione
che prevedeva non solo la stesura del testo ma anche la messa in scena e la recitazione.
Il contatto diretto con la campagna padovana fornisce alla geniale fantasia di Ruzante
una quantità enorme di personaggi; insieme a questo, l’esperienza del dialetto, realmente
parlato dai contadini, si riflette immediatamente nella poetica del naturale (la
«sgnaturalitè», con sue parole) teorizzata nelle sue prime opere.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Una prima fase della produzione ruzantesca, corrispondente alla composizione della
Pastoral e della Betìa, pare infatti particolarmente mirata a perseguire una consapevole
aderenza al ‘naturale’ che non si esprime solamente con il dialetto ma con l’adeguamento
al reale di tutta la rappresentazione, senza stilizzazioni o astrazioni letterarie («tegnìve al
snaturale e no cerchè de strafare; a no ve digo solamén de la lengua e del faelare, ma an
del resto» come afferma nel prologo di un’altra opera, la Fiorina).
La prima delle due commedie, la Pastoral, è una satira che prende di mira il genere
arcadico dell’egloga, ed è costruita sul contrasto linguistico tra dialetto, il pavano e il
bergamasco di alcuni personaggi e la lingua pedantemente letteraria parlata dai pastori e
dalle ninfe.
La Betìa è invece un esempio chiaro dell’evoluzione della farsa amorosa tipica dei mariazi:
nel prologo di quest’opera si trova anche la celebre dichiarazione di poetica ‘naturale’: «El
naturale infra de gi omeni è la pì bela cossa che sipia, e perzòntena naturalmen e
dretamen ognon de’ andare ché, con cavi la cossa del naturale, la se inrovegia [trad. Il
naturale tra gli uomini e le donne è la più bella cosa che ci sia, e perciò ognuno deve
andare per la via dritta e naturale perché, quando tu cavi la cosa dal naturale, essa si
imbroglia]».
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
A cavallo degli anni ’30 del secolo, con i Dialoghi e due commedie in prosa, la Moscheta e
la Fiorina, sembra potersi notare un cambiamento abbastanza netto nel genere del teatro
di Ruzante, forse esito di una mutazione del quadro storico e sociale. In quegli anni la
repubblica di Venezia era impegnata con la Lega di Cognac in una ormai annosa guerra
contro l’Impero e, esaurite le truppe mercenarie dell’Est, aveva allargato le chiamate di
leva nel contado padovano, in quegli anni devastato da povertà e da carestia. Il
contadino arruolato per fame che, dopo la guerra, ritorna a casa facendosi vanto con
smargiassate esagerate e trova la moglie accompagnata con un altro diventa così un
carattere tipico della produzione di questi anni.
Esemplare di questo personaggio è il Parlamento de Ruzante che, assieme al Menego e
alla Bilora, compone la trilogia dei Dialoghi: in quest’opera il contadino Ruzante (nome
talmente tipico nelle opere dell’autore da essere assunto da lui medesimo) ritorna dal
campo di battaglia e scopre che la moglie Gnua si è trasferita a Venezia sotto la
protezione di un altro uomo, un brao. Nel tentativo di recuperarla, Ruzante, che pur
millanta forza e braverie militaresche, viene preso a bastonate e non gli resta altro da
fare che darsi ad una fuga indecorosa.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Le ultime due commedie di Ruzante, databili tra il 1532 e il 1533 risentono invece molto
degli influssi della commedia classica latina, forse sull’esempio veneziano dove una
tradizione di riscritture plautine e terenziane si lega dagli primi anni del ’500 ad un autore
prolifico attivo in città come Francesco de’ Nobili, detto il Cherea da un personaggio del
teatro di Terenzio
La Piovana e l’Asinaria sono evidentemente il rifacimento satirico di due opere di Plauto
(rispettivamente il Rudens e la Vaccaria) dove sul tema classico viene applicata una
rivestitura rusticale e l’uso del dialetto. Come spiega lo stesso Ruzante nel prologo della
Piovana, le commedie antiche erano state scritte per i «vecchi antichi, per i morti che ora
non sono più» in una lingua incomprensibile e inutilizzabile; quindi dichiara che l’autore
«ha lasciato le loro parole ai morti e il senso di quelle parole lo ha adattato per i vivi»;
Plauto stesso – come si avverte nel prologo della Vaccaria - «non farebbe le sue
commedie di altra maniera che questa medesima».
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Un episodio tardivo della fortuna di Ruzante è costituito dall’attenzione riservata alla sua
poesia da un lettore straordinario come Galileo Galilei.
Il magiore scienziato del Seicento era un ammiratore interessato della tradizione poetica
italiana (da Dante ad Ariosto a Tasso) e apprezzava particolarmente Ruzante per la
ricerca di una rappresentazione del ‘naturale’ che ben si conforma al sistema positivo
della scienza.
Ma l’argomento che pare aver maggiormente stimolato Galilei pare tuttavia quello
linguistico. Il dialetto spontaneo e naturale di Ruzante (in una lettera cita direttamente la
Vaccaria) sembra a Galilei una sorta di icona della reazione, seppure esagerata ed
oltranzista, al latino accademico degli aristotelici che lui andava minando con la scelta del
volgare nelle opere di divulgazione scientifica. In una lettera datata al 1612, Galilei scrive
appunto della sua convinzione di abbandonare il latino per raggiungere tutti, anche quei
lettori che, pur «come dice Ruzzante, forniti di un bon snaturale», non conoscono il latino
perché possano anch’essi «vedere la natura sì come gli ha dati gli occhi per veder l’opere
sue».
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
PROLOGO El ghe n’è assè che sempre mè se smaravegia d’i fati d’altri; a’ dighe mo’, che
çerca de saere e intendere zò che fa i suò’ vesini; e sí farae megio tal fiè a guardarse igi.
Perché mi cherzo che la sipie cossí co’ a’ ve digo: che chi vuò vêre i fati d’altri, n’ha da far
d’i suò’; e se i ghe ha da fare, i n’i fa. E sí i dé avere an igi impegò le calze; e può i vuò
dir d’altri.
E sí gh’è an de ste çerte petegole de femene, sempre, che con le ha vezú un e una a
favelar de brighè, de fato le crê ch’i faghe male. E Dio sa con la va, e si ’l va diganto, po;
e sí farae miegio a tasere.
El m’è stò dito, con a’ ve dirè mo’ mi a vu, che de chialòndena el ghe sta na femena,
mariè int’un bon om da ben da vila, e che la fa e che la briga co questo e co quelo. E mi
a’ no ’l crezo mo’; perché a’ crezo che la sipia na femena da ben, mi, perché assè fiè a’
he provò an mi del’altre femene, e sí a’ no gh’in troviè mè neguna de guaste.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
E con a’ ve dighe rivar da dire, a’ crezo che le sipia tute bone, perché le è stà stampè
tute in su na stampa, e la so natura è tuta a un muò’. E se ben el ghe n’è qualcuna che
faghe qualche cossa, l’è perché la so natura ghe tira de far cossí.
A’ seon cossí an nu uomeni, ch’aon el nostro snaturale che ne fa fare tal fiè quel ch’a’ no
fassàn; e se negun ne diesse niente de quel ch’aon fato fare cossí.
Mo’ chi cancaro no sa che con a un ghe tira el snaturale d’inamorarse, el s’inamora de
fato? E sí el vuò ben essere desgraziò, che ’l no se cate qualcuna da inamorarse.
E in colusion, sto snaturale è quelo che ne fa ficare in tal buso, ch’a’ no se ghe fichessàn
mè, e sí ne fa fare an quelo ch’a’ no fassàn mè.
Disí-me un puoco, per la vostra cara fé, se ’l no foesse elo, mo’ chi serae mo’ quelú sí
poltron e sí desgraziò, che s’inamorasse int’una so comare, e che çercasse de far beco un
so compare; se ’l no foesse el snaturale? Mo’ qual è quela femena sí da poco, che fesse
male con so compare e che çercasse da far i cuorni a so marío, se ’l no foesse la so
natura de ela, che la ghe tira de far cossí? Mo’ an vu, ch’a’ si’ pur saçente e scaltrí, a’ no
a’ sessé zà vegnú chialòndena, se ’l no foesse stò el vostro snaturale, che v’ha tirò de
vegnirghe; gnan nu a’ no fassàn sta filatuoria-chialòndena, a Pava, su sto borgo. Ch’a’
ghe supiè vegnú, mo’ a’ seon continti; mo’, vî, a’ vogion ch’a’ tasí e ch’arscoltè.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
E s’a’ vessé qualche fiè qualcun de quisti che farà sta comielia... o comiegia - ch’a’ no sè
ben dire - che n’andasse col so snaturale derto, no ve smaravegiè, perché i n’è usi a far
cossí (mo’ gi andarà ben usandose-ghe); e ch’andasse diganto de questiè, che sta
chialòndena in sta cà, che s’a’ la veessé fare qualcossa che no ve piasesse, perché a’ ve ’l
diré mi inanzo, mo’ tasí.
A’ no vora’ po gnan ch’a’ cressé ch’a’ foesse qualche sbagiafaore, e ch’andasse çercanto i
fati degi altri, perché a’ no l’he fato mè, questo. Se mi a’ no ’l ve diesse, vu a’ no ’l possé
saere; e mi mo’, perché l’è el fato me ch’a’ ’l sapiè, e ch’a’ tasè, a’ ve ’l vuogio dire. Mo’
stè artinti, ch’a’ scomenzo.
El vegnirà un, el primo che vegnerà, la prima fiè che ’l vegnirà, e ’l no gh’iera pí stò, e
serà el primo che vegnerà da po mi. El vegnerà sustando, malabianto... Mo’ no crî miga
che l’aba perdú gnente; l’è perché l’è inamorò int’una so comare. Mo’ tasí, vî, che l’è
vegnú a star da puoco chialò in sta cà. E ela, perché la so natura no poea star senza, la
se n’ha catò un altro, che giera soldò e sí giera bergamasco, che an elo è alozò
chialòndena, in st’altra cà. Ch’a’ verí ben le bele noele! E sí verí an che la muzerà, sta
traitora, in cà del soldò.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S2
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
E s’a’ vessé ch’i volesse far custion, no v’andè movanto per destramezare; perché nu
contaíni, con seon abavè, a’ dassàn in la Crose. A’ dî pur saere che quando a’ dî letàgnie,
che a’ dî: "A furia rusticorum liberamum Dominum".
E perzòntena no v’andè movanto, e fè che ’l ghe sipia un silenzio, una çita, che no s’a’
sente negun. Perché questa è la prima ch’abiam mè fata, e si a’ farí co’ a’ v’he dito, a’ in
faron dele altre, e fuossi an pí bele. E sí a sto muò arí piaser vu e nu, e sí a’ saron tuti
continti.
A’ ve volea ben dire no so che altro, mo’ a’ me l’he desmentegò... E sí a’ sento ch’a’ ’l ven
sustando, che ’l pare bel’e desperò. El besogna ch’a’ me tuoga’via, ché possàn far parole,
che ’l porae crêre ch’a’ smorezasse so comare; e mi, per no far(ghe) dare qualche crosta,
a’ me vuò trar da un lò.
A’ ve vorae ben dire inanzo quel ch’a’ m’he desmentegò, e no me l’arecordo... Ah, an, da
vera: a’ ve volea dir ch’a’ stassé frimi, assentè zò, inchina ch’a’ verí che gi andarà a far
pase, perché la serà rivà de fato. Mo’ tasí, adonca, ch’a’ me rebute ale Vostre Rilienzie de
vu.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
La commedia letteraria
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Accanto alla produzione comica in dialetto continua, come riflesso dell’amore per la
rappresentazione scenica della società cortese del ’500, una prolifica vena di teatro
comico in lingua di tipo più chiaramente letterario.
Nell’Italia settentrionale delle ultime corti e delle grandi università, il superamento dei
modelli ormai stanchi del teatro rinascimentale conduce ad una graduale riscoperta della
commedia classica di Plauto e di Terenzio. Come sì è gia accennato in precedenza, nel
Veneto di Ruzante (almeno per la Piovana e la Vaccaria) e di Calmo, il teatro plautino
viene ripreso per essere riutilizzato in chiave sarcastica; tuttavia, accanto a questo
fenomeno, esiste anche una tradizione ben attestata di commedie di ispirazione classica,
generalmente in prosa, scritte in un più posato italiano letterario.
Sul modello classico influisce in maniera evidente il modello novellistico (ad esempio, la
Calandria del Bibbiena, costruita sulla falsa riga dei Maenecmi plautini, pare occhieggiare
fin dal titolo al Decameron boccacciano) che, reinterpretato tuttavia senza la pedanteria
dei teorici, fornisce una preziosa casistica di situazioni e di caratteri comici sui quali gli
autori esercitano la loro fantasia rielaborativa.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Il panorama della letteratura teatrale comica in lingua che si osserva lungo tutto il corso
del secolo è quantitativamente molto affollato e rispecchia sia l’interesse che essa
suscitava negli spettatori sia il largo spazio ad essa riservato dall’editoria e dalla stampa.
Anche la tipologia differente degli autori che si misurano con questo genere testimonia la
varia fortuna che la commedia in lingua gode negli ambienti letterari del ’500. Si trovano
infatti sì dei ‘commediografi’ eslcusivi o quasi, specializzati nel genere, ma abbiamo anche
prove teatrali di grande valore da parte di scrittori che si sono cimentati quasi
occasionalmente su questo tipo di letteratura. È il caso, ad esempio, del marchigiano
Annibal Caro: il suo nome si lega soprattutto alla monumentale traduzione dell’ Eneide in
endecasillabi sciolti, ma è anche l’autore di un’unica commedia classicheggiante e di
ambientazione romana, Gli Straccioni, rappresentata nel 1544. L’accademico fiorentino
Giovan Battista Gelli, invece, alternava il suo impegno letterario di lezioni dantesche e di
riflessione filosofica e linguistica con la scrittura di opere comiche come La Sporta del
1543 o L’errore del 1556.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Pietro Aretino nasce nel 1492 ad Arezzo da famiglia di modesta estrazione. Il padre, forse
un Luca Del Tura, abbandona presto la famiglia. Il giovane Pietro, dopo la prima infanzia
passata con la madre, si trasferisce a Perugia dove si dedica alla pittura e
all’apprendistato poetico sui modelli petrarcheggianti del Tebaldeo e di Serafino Aquilano.
Nel 1517 giunge a Roma al servizio del potente banchiere Agostino Chigi presso il quale
ha la possibilità di dar sfogo alla sua dirompente vena poetica, comica e dissacrante. Alla
morte di Leone X, l’Aretino, forse anche perché legato al partito che sosteneva l’elezione
di Giulio de ’ Medici, a causa di ferocissimi componimenti satirici, le cosiddette
‘pasquinate’, contro il nuovo pontefice fiammingo (quello stesso Adriano IV che è causa
anche delle sfortune del Berni) viene allontanato da Roma. Dopo qualche anno passato
tra Bologna, Firenze e Mantova può rientrare a Roma nel 1523 con l’elezione del nuovo
papa mediceo Clemente VII.
Tra il ’24 e il ’25 la composizione di alcuni sonetti osceni a commento dei disegni erotici di
Giulio Romano incisi da Marcantonio Raimondi e la forte opposizione del datario papale
Gian Matteo Giberti lo costringono nuovamente ad abbandonare la città e ad unirsi al
seguito dell’amico condottiero Giovanni dalle Bande Nere.
Corso di Laurea: LINGUE E CULTURE EUROPEE E DEL RESTO DEL MONDO
Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Nell’autunno del 1526, alla morte di Giovanni, l’Aretino matura la decisione di trasferirsi in
via definitiva nella Venezia repubblicana il cui ambiente libero e aperto meglio si adatta al
suo carattere e alle sue aspirazioni. A Venezia, dove si trova dal marzo del ’27, la
frequentazione di personaggi in vista come Tiziano o il Sansovino gli procura un rapido
ingresso negli ambienti artistici e politici che circolavano attorno al doge Andrea Gritti,
della cui protezione l’Aretino può godere con profitto.
Il periodo veneziano è costellato di successi letterari (grazie anche al fortunatissimo
sodalizio con lo stampatore Francesco Marcolini) che interessano generi diversi,
dall’epistolografia alla commedia, dalla letteratura cavalleresca ai componimenti osceni (i
Ragionamenti sono realistici dialoghi tra cortigiane con un gusto ostentato per il
pruriginoso e lo sboccato) ai temi religiosi e spirituali di opere come l’Humanità di Cristo o
la Vita di Maria vergine.
Temuto dai potenti per i suoi scritti feroci al punto di meritarsi il nome di «flagello dei
principi» (così lo apostrofa l’Ariosto nell’ultimo canto del Furioso nella versione definitiva
del 1532) muore a Venezia nel 1556.
Corso di Laurea: LINGUE E CULTURE EUROPEE E DEL RESTO DEL MONDO
Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Nella sterminata produzione di un poligrafo come l’Aretino, al teatro viene riservato uno
spazio tutt’altro che secondario. Sono sicuramente dell’autore almeno cinque commedie:
La Cortigiana, Il Marescalco risalenti agli anni giovanili, e La Talanta, Lo Ipocrito e Il
Filosofo del periodo veneziano.
Nelle opere aretiniane per il teatro è forse possibile tracciare un percorso abbastanza
ineare iniziato con le prime due, La Cortigiana e Il Marescalco, dove abbondano i temi
novellistici con un gusto per la beffa e lo scherzo e dove non si riscontra ancora
quell’adesione ai modelli classicheggianti e plautini caratteristici delle tre commedie della
maturità. In queste ultime, infatti, si riconoscono chiaramente elaborazioni di personaggi
della tradizione comica latina come il soldato fanfarone (il capitano Tinca della Talanta) o
il filosofo pedante (l’improbabile Plataristotile del Filosofo, appunto)
Alle commedie va aggiunta infine un’unica tragedia classicheggiante di argomento liviano,
l’Orazia ambientata nella Roma della guerra contro gli Albani nel momento del duello tra
Orazi e Curiazi.
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Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
Un altro esponente illustre della commedia letteraria in lingua che, insieme all’Aretino, si
distingue in maniera singolare nella produzione congenere, è il cardinale Bernardo Dovizi
detto il Bibbiena dal paese di origine nel Casentino dove nasce nel 1470.
Dopo i primi studi, avvenuti con ogni probabilità negli ambienti della corte medicea
presso la quale otterrà poi anche rilevanti incarichi diplomatici, si avvia alla carriera
ecclesiastica che lo porta, grazie all’appoggio di Giovanni de’ Medici divenuto papa con il
nome di Leone X, ad esserxe eletto cardinale nel 1513. Negli ultimi anni della sua vita è
impegnato in importanti legazioni pontificie e muore nel 1520 dopo una missione in
Francia.
L’inclinazione letteraria del Bibbiena è favorita da un circolo di amicizie estremamente
stimolanti tra le quali sono da ricordare quelle con Bembo e con Castiglione che include il
Dovizi tra gli interlocutori del Cortegiano. Nel seguito del Bibbiena è ammesso anche un
poeta licenzioso e pungente come Francesco Berni - con lui a Roma dal 1517 - fatto che
testimonia la libertà nei gusti letterari del cardinale che si ritroveranno nell ’ unica
commedia da lui scritta, La Calandria.
Corso di Laurea: LINGUE E CULTURE EUROPEE E DEL RESTO DEL MONDO
Insegnamento: LETTERATURA ITALIANA 2
Lezione n°: 19/S3
Titolo: Teatro nel '500
Attività n°: 1
La Calandria, rappresentata per la prima volta ad Urbino il 6 febbraio del 1513 e replicata
nel 1515 in Vaticano alla presenza di Leone X, è una commedia che trae ispirazione dal
teatro plautino (evidenti sono gli spunti derivati dalla Casina e dai Maenecmi) sui quale
viene esercitato quasi sistematicamente un innesto di situazioni novellistiche di
provenienza boccacciana.
La vicenda narrata è complicatissima e vede, al centro dell’intreccio i due fratelli Lidio e
Santilla, separati violentemente nel momento della conquista di Modena da parte dei
Turchi. La storia presenta un andamento assai intricato, reso ulteriormente ambiguo dal
fatto che la sorella si veste da uomo facendosi credere Lidio mentre il fratello si camuffa
da donna (sotto il nome di Santilla) per potersi recare dall’amata Fulvia, moglie del
vecchio Calandro dal cui nome quale deriva il titolo dell’opera. Dopo una serie di equivoci
e di situzioni assurde che ripetono modelli novellistici, la vicenda si conclude con il
riconoscimento dei due fratelli (l’agnizione tra i doppi, topica del teatro plautino) e con un
lieto fine che risarcisce i protagonisti di tutte le traversie che si sono trovari ad affrontare.