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Cantar ottave
e le arie “alla ceciliana” nel Seicento; i cerimoniali in Arcadia durante il
Settecento; alcune rare liriche da camera del primo Ottocento, i libretti e
l’opera a fine secolo e nel Novecento.
Pure, la sequenza dei saggi rende ben evidente come la “gestione” e “frui-
zione” della stanza di ottava rima si siano trasformate sensibilmente, nella
lunga durata – conservandosi inalterati i tratti formali e costante la ne-
cessità di una intonazione cantata – , in coerenza con il mutare dei gusti
e attese dei destinatari, e non avrebbe potuto andare diversamente, in un
arco storico-culturale così esteso.
Saggi di Maddalena Bonechi, Luca Degl’Innocenti, Alessandra Di Ricco,
Cantar ottave
Paolo Fabbri, Cecilia Luzzi, Francesco Saggio, Marco Targa e Santina To-
masello.
a cur a di
Maurizio Agamennone
© 2017 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca
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copiata, registrata o altro senza il permesso dell’editore e degli autori.
ISBN 978-88-7096-890-3
Cantar ottave
Per una storia culturale
dell’intonazione cantata
in ottava rima
a cura di
Maurizio Agamennone
Maurizio Agamennone
Cantar ottave. Una introduzione VII
Cantar ottave
Luca Degl’Innocenti
I cantari in ottava rima tra Medio Evo e primo Rinascimento:
i cantimpanca e la piazza 3
Francesco Saggio
Improvvisazione e scrittura nel tardo-quattrocento cortese:
lo strambotto al tempo di Leonardo Giustinian e Serafino Aquilano 25
Cecilia Luzzi
L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale
e agli esordi del teatro musicale 47
Maddalena Bonechi
Stanze di ottava rima nella monodia accompagnata fiorentina 69
Santina Tomasello
Arie da cantar ottave ceciliane 89
Alessandra Di Ricco
Poeti improvvisatori aulici in età moderna 113
Paolo Fabbri
L’ottava letteraria nella musica italiana di primo Ottocento 135
Marco Targa
Intonazioni di ottava rima nell’opera della “Giovane Scuola” 147
Abstracts 163
Gli autori 173
Indice dei nomi 175
Cecilia Luzzi
1. “Italian Voices. Oral culture, manuscript and print in early modern Italy 1450-1700” è un proget-
to di ricerca concluso di recente, finanziato dal programma ERC (FP7/2007-2013) dell’Unio-
ne Europea diretto da Brian Richardson presso l’Università di Leeds (http://arts.leeds.ac.uk/
italianvoices/). FABRICA (FAux-BouRdon Improvisation et Contrepoint mentAl) è un progetto
sostenuto dall’Agence Nationale de la Recherche (2009-2012) presso l’Università di Toulouse-
Le Mirail diretto da Philippe Canguilhem (http://blogs.univ-tlse2.fr/fabrica/).
∙ Cecilia Luzzi ∙
al 1677, si contano, tra prime edizioni e ristampe, 3621 composizioni musicali pro-
fane intonate sulle stanze di ottava rima: un repertorio che comprende soprattutto
madrigali polifonici e, in misura assai minore, frottole, agli inizi del Cinquecento, e
madrigali monodici e arie nel nuovo secolo.
La Tabella 1, sotto riportata, offre una sintesi dei numeri relativi alla “fortuna mu-
sicale” dei generi della poesia italiana intonata dai compositori tra Cinque e Seicen-
to: in questo quadro, le stanze di ottava rima si collocano in quarta posizione tra i
generi poetici più frequentati dai musicisti nell’arco di due secoli, dopo madrigali
poetici, sonetti e canzonette. La “fortuna” musicale di questi generi varia nel tempo:
sonetti, canzoni e sestine, i generi per eccellenza dei canzonieri del Petrarca e dei
petrarchisti, controllano il mercato della produzione di madrigali soprattutto nei
decenni Quaranta-Sessanta del secolo XVI, mentre madrigali poetici, canzonette,
villanelle e drammi pastorali circolano nelle edizioni musicali soprattutto dopo il
1580 (Bianconi 1986: 329).
Tabella 1. Fortuna musicale dei generi poetici nel Repertorio della Poesia in Musica
(1500-1700)
Se analizziamo la distribuzione delle composizioni musicali sulle stanze di ottava
rima, riportata nella Tabella 2, decennio per decennio, tra 1500 e 1700, notiamo che
mentre per i primi due decenni la produzione è rappresentata da poche unità – al-
cune frottole di Bartolomeo Tromboncino pubblicate a partire dal 1517 nel quarto
libro di Canzoni sonetti strambotti et frottole (Roma, Andrea Antico) e i primi ma-
drigali nei manoscritti di area fiorentina –, tra 1531 e 1540 diviene più significativa
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∙ Cecilia Luzzi ∙
Tabella 2. Stanze di ottava rima nel Repertorio della Poesia in Musica (1500-1700)
(la prima serie riporta il totale delle composizioni, comprese le ristampe, su stanze di ottava
rima; la seconda serie indica il numero delle ottave, la terza serie le ottave di cui non conoscia-
mo l’autore)
La prima grande impennata della produzione musicale sulle stanze di ottava rima
corrisponde al decennio successivo al 1541, e fino al 1570 continua a crescere vistosa-
mente, raggiungendo il picco proprio nel decennio Sessanta del secolo negli stessi
anni in cui il Petrarca e i generi petrarchisti per eccellenza – sonetto e canzone –
dominano nelle raccolte madrigalistiche. Questa crescita esponenziale è tuttavia da
imputare anche alla pubblicazione di raccolte singolari rispetto al consueto libro di
madrigali che ne conteneva da venti a trenta: le Cinquanta stanze del Bembo con la
musica di sopra composta (1545) di Jacques Du Pont, ristampate per ben quattro vol-
te fino al 1567, la raccolta Tutti i principii de’ canti dell’Ariosto posti in musica (1559)
di Salvatore Di Cataldo – quarantasei madrigali, uno per ciascuna stanza iniziale dei
canti del Furioso – e il Primo, secondo et terzo libro del capriccio… sopra le stanze del
Furioso (1561), novantatré stanze messe in musica da Giachet Berchem.
Negli ultimi trent’anni del Cinquecento e per tutto il secolo successivo, la circo-
lazione musicale dell’ottava rima non tornerà più agli esiti del decennio 1561-1570;
tuttavia l’andamento discendente non è regolare, ma distribuito “a picchi e valli”,
in cui si rilevano i picchi corrispondenti ai decenni 1581-1590 e 1611-1620. La lettura
incrociata di questi dati con quelli riportati nella Tabella 3 – in cui sono registrate le
intonazioni musicali, autore per autore, oltre alla cifra sulle ottave adespote – e con
le informazioni sulla produzione letteraria a stampa offre un contributo interessante
alla comprensione del quadro d’insieme sulla fortuna musicale dell’ottava rima.
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∙ L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale ∙
Tabella 3. Stanze di ottava rima per autore nel Repertorio della Poesia in Musica (1500-1700)
(la prima serie riporta il totale delle composizioni musicali intonate sulle stanze di ottava rima,
comprese le ristampe, autore per autore; la seconda serie specifica il numero delle ottave)3
Come in ambito letterario, anche la fortuna musicale dell’ottava è trainata dalla po-
polarità dell’Orlando furioso, «il primo best-seller della tipografia italiana» (Alfa-
no 2011: 36) che, dall’editio princeps del 1516, nell’arco di tutto il Cinquecento, conta
ben 150 edizioni: come registrato nella Tabella 3, le ottave dell’Orlando furioso into-
nate sono 295, per un totale di 921 composizioni musicali, comprendendo anche le
ristampe, che della diffusione del repertorio sono un dato significativo.
Rispetto all’ambito letterario dove «per l’ottava rima intorno agli anni ’30-’50
avviene una vera e propria esplosione» (Calitti 2004: 133) – grazie alle raccolte
poetiche appartenenti al genere elogiativo delle bellezze femminili e a quei poemet-
ti ispirati al modello delle Cinquanta stanze del Bembo –, in ambito musicale, fino
agli anni ’60, l’“esplosione” dell’ottava rima è legata soprattutto alla fortuna musi-
cale delle ottave epiche dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Le ottave di autori
come Bernardo Tasso, Vincenzo Querini, Veronica Gambara, Lodovico Martelli,
Francesco Maria Molza, indicati nella Tabella 3, ma anche Luigi Alamanni e Gan-
dolfo Porrino, circolarono in ambito musicale in seconda istanza, anche attraverso
la fortunata serie delle Stanze di diversi illustri poeti, più volte ristampate tra 1553 e
1590 a Venezia dalle stamperie del Giolito.4 Queste raccolte – che contribuirono a
consacrare l’ottava rima a genere lirico emergente (Gorni 1984: 499) – svolsero
3. Nel grafico sono stati riportati i dati riferiti agli autori di cui siano state intonate almeno dieci
ottave.
4. Un primo volume era stato pubblicato fin dal 1553 a cura di Lodovico Dolce, ristampato poi nel
1556, nel 1558 e col titolo Prima parte delle stanze di diversi illustri poeti nel 1563, con ristampe nel
1569, 1575, 1580 e 1590; a questa era stata aggiunta nel 1563 una Seconda parte curata da Antonio
Terminio ristampata nel 1572, 1580 e 1589 (Luzzi 2003: 51-57).
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∙ Cecilia Luzzi ∙
un ruolo cruciale anche per la diffusione della stanza di ottava rima tra i musicisti
concorrendo al successo del decennio 1561-1570, insieme alle ottave dell’Ariosto. Ad
esempio Filippo di Monte fra il 1580 e 1584 ricavò trentaquattro stanze dai due volu-
mi delle Stanze di diversi illustri poeti curate da Lodovico Dolce e Antonio Terminio,
per buona parte intonate nel Primo libro di madrigali a tre voci del 1582 (Luzzi 2003:
51-57). Il buon esito del decennio 1581-1590 corrisponde invece all’affermazione in
campo musicale delle ottave della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso che af-
fianca le raccolte delle Stanze di diversi: a partire dal 1581 Wert, per primo, intonò
stanze dalla Gerusalemme liberata (quattordici stanze musicate nel decennio Ottan-
ta del secolo); lo stesso fece Marenzio dal 1584, intonando tuttavia anche le stanze
di Bernardo Tasso, Luigi Alamanni e Vincenzo Querini (in tutto ventotto stanze
musicate negli anni Ottanta del secolo). Dopo due decenni di declino, a cavallo del
secolo, corrispondenti al vero e proprio trionfo in musica del madrigale epigram-
matico – di Torquato Tasso, Battista Guarini, Livio Celiano (Angelo Grillo) – e del
dramma pastorale – in particolare dal guariniano Pastor fido –, nel decennio 1611-
1620 letteralmente si triplica la quantità dei dieci anni precedenti. Un exploit che si
spiega con la produzione di scherzi, arie e madrigali monodici, profani e spirituali, di
compositori come Antonio Cifra, Pietro Pace e Sigismondo D’India. Parte dei testi
intonati sono tratti dalla Gerusalemme liberata, ma anche dalle Lagrime del peccatore
di Luigi Tansillo – un poemetto in ottava rima appartenente al genere delle lagrime,
consistente nel racconto di un momento di dolore o di pentimento, della Vergine,
della Maddalena o di Pietro (Alfano 2011: 53) – che riscosse un certo successo
nel clima controriformistico di fine Cinquecento, anche nelle raccolte di madrigali
spirituali. Ne sono la prova Le lagrime di San Pietro, ultima opera composta da Or-
lando di Lasso sulle ottave del Tansillo, pubblicata postuma nel 1595. Tra gli autori
delle ottave intonate dai monodisti va segnalato anche Giovan Battista Marino, con
l’Adone, che otto anni prima di essere stampato, a Parigi nel 1623, venne musicato da
Sigismondo D’India, stentando poi a circolare attraverso le edizioni letterarie e ad
affermarsi tra i musicisti, probabilmente a causa dell’iscrizione nel 1627 nell’Indice
dei libri proibiti (Alfano 2011: 49-52).
5. I dati del RePIM sono riferiti alla produzione a stampa, tranne quelli di un piccolo gruppo di
manoscritti relativi ai primi decenni della storia del madrigale, studiati da Iain Fenlon e James
Haar (1988).
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∙ L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale ∙
dal pubblico aristocratico delle corti a quello eterogeneo delle piazze, da quello
élitario delle accademie fino ai circoli più informali di compagnie e case private.
Questa produzione di ottave raggiunse le stampe musicali solo in minima parte,
intonata nei libri di madrigali, ed è rimasta priva di paternità letteraria, come per
buona parte della produzione di madrigali, di cui i tre quarti dei testi sono adespoti
(Pompilio 2005: 395). Tuttavia la presenza d’intonazioni di stanze di ottava rima
adespote all’interno di raccolte madrigalistiche sembrerebbe segnalare una vici-
nanza a particolari contesti – circoli, ridotti, accademie o compagnie – nei quali
l’improvvisazione poetica e musicale si alternava a dotte conversazioni, ma anche a
convivi e a banchetti.
Testimonianze preziose di questa prassi si trovano negli studi che James Haar ha
dedicato al madrigale arioso, alle arie per cantar stanze ariostesche, alla produzione
di quei poeti e musicisti improvvisatori (cantori, canterini, cantastorie, cantimban-
chi, dicitori all’improvviso), ai capricci di Berchem sull’Orlando furioso o ai madri-
gali giovanili di Orlando di Lasso. A questi si aggiunga un più recente contributo
dedicato al paesaggio sonoro di Ferrara ai tempi dell’Ariosto, dove Camilla Cavic-
chi ha indagato le interferenze fra le diverse tradizioni musicali che adornavano la
corte, le chiese e le piazze della città estense: dal raffinato contrappunto fiammingo,
al genere più popolareggiante della frottola, al canto improvvisato alla lira e a quello
epico-narrativo dei cantastorie come Zoppino (Cavicchi 2012).
Un recente contributo che apre la strada a nuove ricerche e interpretazioni
sull’influenza della produzione estemporanea in ottava rima, o più in generale del
canto estemporaneo di testi poetici, per voce sola e accompagnamento, nella prima
stagione madrigalistica a Firenze, è rappresentato dalla “scoperta” delle eccellenti
abilità improvvisatorie di Niccolò Machiavelli, protagonista non solo della storia
letteraria del primo Cinquecento, ma anche, per la sua collaborazione con Philippe
Verdelot, della prima stagione del madrigale musicale.
Resa nota dall’italianista Brian Richardson (2009: 252 seg.) e sviluppata poi
da Luca Degl’Innocenti nell’ambito del progetto di ricerca europeo Italian voices.
Oral Culture, Manuscript and Print in Early Modern Italy, 1450-1700, diretto dallo stesso
Richardson (2011-2015), la nuova immagine di Machiavelli ottimo improvvisatore
di stanze in ottava rima e abile musicista è delineata nei dettagli nel saggio Machiavelli
canterino (Degl’Innocenti 2015). Il nome di Niccolò Machiavelli compare proprio
a proposito della descrizione della stanza d’ottava rima, in una prima emissione del-
la princeps (Venezia 1558-59) del trattato Del modo di comporre in versi di Girolamo
Ruscelli, poi subito censurato e sostituito da “quel Fiorentino Poeta” durante la pro-
duzione a stampa del volume (per cui si conoscono solo pochissimi esemplari che lo
riportano) in seguito alla messa all’indice dei libri di Machiavelli:
Le leggi di queste ottave rime sono brevissime […] <e> l’ordine della lor testura
[…] è tanto noto, fino al volgo, che ancora all’improviso si truovan molti che ne
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∙ Cecilia Luzzi ∙
compongono, e ancora perfettamente, sì come fra molti s’ha memoria di M. Nico-
lò Macchiavelli, il quale, aprendo qualsivoglia poeta Latino e mettendoselo avanti
sopr’una tavola, egli sonando la lira veniva improvisamente cantando e volgariz-
zando, o traducendo, quei versi di quel poeta e facendone stanze d’Ottava Rima,
con tanta leggiadria di stile et con tanta agevolezza (Degl’Innocenti 2015: 15).
questione fosse stato anonimo, ma si tratta di un testo famoso di autore famoso e di una fonte
primaria per i compositori di madrigali dell’epoca» (Amati-Camperi 2004: XXI).
7. Il madrigale risale almeno al 1520, essendo contenuto nel frammento di un libro-parte di tenore
di (Fossombrone, O. Petrucci). La prima stampa completa risale al 1536, nel Secondo libro de’
madrigali.
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∙ Cecilia Luzzi ∙
netta dicotomia tra musica (cultura) colta, alta e musica (cultura) popolare, bassa:
in realtà nel corso delle vicende del madrigale lo stile della tradizione propriamente
italica riemerge in quei contesti dove si intonano stanze di ottava rima e si registra
una prassi improvvisativa (o se ne intuisce la presenza) che influenza significativa-
mente lo stile del madrigale.
Nel segno dell’Ariosto, a Milano e a Roma, ad esempio, s’incontrano mondo au-
lico del madrigale musicale e della polifonia dotta trasmessa in forma scritta, e mon-
do della performance estemporanea, delle occasioni conviviali, dei poeti canterini,
dei cantimbanchi, caratterizzata da una concezione formulare della composizione,
come rielaborazione di melodie-tipo come gli “aeri” o “modi” o “arie”.
Il madrigale di Hoste da Reggio (Bartolomeo Torresano) sulla stanza di apertu-
ra dell’Orlando furioso, “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori” (dal Terzo libro de’
madrigali a quattro voci, 1554) rimanda alle veglie svoltesi a Milano in casa di Massi-
miliano Stampa descritte da Antonfrancesco Doni nel Dialogo della musica (1544).
L’intonazione dei primi due versi è affidata alla declamazione accordale delle tre
voci superiori che procedono con andamento sillabico, in cui il Canto reca una me-
lodia che riflette la struttura intervallare di tante arie per cantar stanze, dapprima
esposta sul Sol, poi reiterata attaccando una quarta sotto dal Re (Es. 1).
Seguono i vv. 3-4 in cui si abbandona il declamato e la struttura melodia-accompa-
gnamento: qui si adotta una scrittura contrappuntistica a quattro voci e si affida l’in-
cipit dell’aria iniziale, il recitativo seguito dall’intervallo di quarta ascendente, nel
terzo verso, proprio al Basso – che viene a perdere la funzione di sostegno armonico
che gli è attribuita nella prassi del canto improvvisato sugli aeri o modi – mentre nel
quarto verso lo stesso motivo (Sol-Sol-Sol-Do) diviene l’incipit del soggetto imi-
tato dalle voci, dapprima Tenore, poi Soprano e Contralto. La stessa aria si ritrova
pochi anni dopo, a Ferrara, nel 1548, nell’«Aere da cantar stantie» di Tuttovale Me-
non (Haar 1981: 37-38), o pressoché immutata, anche a distanza di mezzo secolo,
nell’intonazione di Sigismondo D’India (Le musiche a due voci, 1615) del monologo
della maga Falsirena, dall’Adone del Marino, “Ardo, lassa, o non ardo? Ahi qual io
sento” (canto XII, 128). Qui, tuttavia, si registra una variazione minima, in cui la re-
citazione alla stessa altezza e il salto di quarta ascendente sono interpolati dal movi-
mento melodico di terza maggiore discendente per grado congiunto (Garavaglia
2005: 17).
A Roma l’intonazione delle ottave del Furioso, ma anche di stanze liriche per
lo più adespote, è promossa da Antonio Barrè, cantore, compositore e stampatore
romano di origini francesi. Barrè curò la fortunatissima serie dei Libri delle Muse,
otto sillogi a tre, quattro e cinque voci ristampate poi da Girolamo Scotto, Antonio
Gardano e Francesco Rampazetto a Venezia per i trent’anni successivi, dei quali i
volumi a quattro voci (1555, 1558 e 1562) includono l’intonazione di tredici stanze
dell’Orlando furioso.
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∙ L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale ∙
Es. 1. Hoste da Reggio, “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori”, in Terzo libro de’ madrigali a
quattro voci, 1554 (bb. 1- 14)8
9. Si tratta del primo libro di Antonio Barrè (1552), il secondo di Giovanni Animuccia, il primo di
Filippo di Monte (1554) e la prima antologia di Barrè a cinque voci (1555).
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∙ L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale ∙
ricorso a un andamento sincopato delle voci (Haar 1985-86: 29 e seg.). Questo stile
è chiaramente influenzato dalle scelte poetiche del circolo di musicisti che ruota at-
torno a Barrè, e soprattutto viene adottato rigorosamente nei madrigali sulle stanze
di ottava rima dell’Ariosto e degli autori di quelle stanze concepite per l’intratteni-
mento musicale e destinate a una trasmissione orale o manoscritta.
Diverso è il caso delle Cinquanta stanze del Bembo, intonate da Jacques Du Pont
e stampate nel 1558 che intorno alla metà del secolo rappresentano un nuovo filone
dell’incontro tra ottava rima e madrigale musicale. Il Du Pont, attivo a Roma per
almeno vent’anni come “musico di casa” presso il cardinale Giovanni Salviati, era
stato da questi assunto in Francia a Lione nel 1527, dove aveva ricevuto una prima
formazione probabilmente col fiorentino Francesco de Layolle (Campagnolo,
1999: 85-87). Le Cinquanta stanze rappresentano secondo Campagnolo «assai più
consapevoli tentativi di trasposizione sonora dell’estetica del Bembo» (1999: 87, n.
236) della Musica nova di Adrian Willaert. In sintonia con tale considerazione, si può
sostenere che la direzione intrapresa da Du Pont nello stile dei madrigali sulle stan-
ze del Bembo verso una polifonia dotta e un registro musicale aulico – che diviene
poi quello dominante nella storia del madrigale musicale – discenda dallo stile delle
stanze del Bembo, in origine improvvisate per giuoco nella corte di Urbino duran-
te il carnevale del 1507, ma poi progressivamente riviste e corrette per decenni nel
corso delle varie edizioni. Per Bembo – come per tutta la musica madrigalistica che
intona il Petrarca e i petrarchisti – «l’estemporaneità non è un pregio, non è il sin-
tomo di vera ispirazione poetica, è imperfezione e provvisorietà» (Calitti 2004:
130). La raccolta sulle stanze del Bembo, che conobbe un certo successo editoriale
grazie alle ristampe, costituisce un esempio di ciclo madrigalistico dalle caratteristi-
che ben diverse rispetto ad esempio ai Capricci di Berchem sulle stanze del Furioso
(Glozer 2007: 179-223): se nei Capricci rimane il legame con la tradizione narrativa
dei cantastorie e con uno stile arioso più vicino alla prassi d’improvvisazione sugli
aeri per le stanze di ottava rima, nel ciclo composto da Du Pont si nota l’impiego
diffuso di tecniche imitative e in generale un registro stilistico più aulico. Lo stesso
può dirsi delle scelte compiute da Filippo di Monte nell’intonazione delle stanze di
Bernardo Tasso, Lodovico Martelli, Luigi Alamanni, tratte dai volumi delle Stanze
di diversi per il Primo libro di madrigali a tre voci del 1582. Se apparentemente la scel-
ta del madrigale a tre voci poteva collocarsi in un registro più umile (Luzzi 2003:
51-57) – rinviando alla tradizione della villanesca o di un repertorio madrigalistico
“minore” – all’esame delle trascrizioni attualmente disponibili emerge una scrittura
a tre voci d’impronta contrappuntistica assolutamente lontana dal tenore popolare
della villanesca/canzonetta. Segno che era chiara alla coscienza retorica dei musici-
sti, pur nella condivisione dello stesso schema metrico, l’appartenenza dell’ottava
“lirica” – oltretutto filtrata attraverso il processo di “petrarchizzazione” compiuto
dal Bembo – a un registro stilistico più elevato (Calitti 2004: XVI seg.).
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∙ Cecilia Luzzi ∙
con l’inganno, e all’ira che segue, in cui l’amore si trasforma in odio e desiderio di
vendetta. Osserva acutamente Garavaglia:
Sebbene le due intonazioni siano musicalmente collegate l’una all’altra, apparten-
gono a due forme compositive distinte: «aria da cantar ottave» è una forma chiusa
che si basa su una formula musicale concepita per la prima quartina e poi adattata
alle successive, «l’ottava in stile recitativo» è invece una forma aperta, durchkom-
poniert. Si tratta in sostanza, di forme ontologicamente differenti, che fanno rife-
rimento a due diverse prospettive di rappresentazione: la prima mira a «intonare
“narrativamente” e non recitativamente ottave epiche» e la seconda a metterle in
musica “drammaticamente” o “scenicamente” (Garavaglia 2005: 23).
Armida «sono tutti personaggi ‘melodrammatici’ […] travolti dalle loro passioni e
in grado di muovere, monteverdianamente, gli affetti» (Brumana 1988: 138-140).
Lo stesso vale anche per il melodramma tra Sette e Ottocento in cui «un rapido
sguardo a un catalogo provvisorio di titoli e date-luoghi di rappresentazione» al-
lestito da Giovanni Morelli ed Elvidio Surian, pone in luce «la grande dimensione
del fenomeno (la ispirazione al Tasso, la tirannia dell’argomento tassesco) a partire
da una data ideale (1700)». (Morelli e Surian 1985: 153-155). Per rispondere alle
esigenze di una vocalità sempre più virtuosistica, la versificazione deve farsi più fles-
sibile e più varia e dunque ricercare soluzioni diverse dalla regolarità e omogeneità
dell’ottava rima, tutta votata all’endecasillabo.
Il dato è indicativo delle tendenze metriche della produzione librettistica nel
Seicento: pur attingendo il soggetto da fonti scritte in ottava rima, i librettisti mar-
ginalizzano progressivamente (e a Venezia integralmente) questo metro. Oltre
agli esempi forniti, basti citare l’Adone del Marino cui Ottavio Tronsarelli attinge
il libretto della Catena d’Adone di Domenico Mazzocchi (Roma, 1626) o, ben più
significativo, il rifacimento italiano in ottava rima delle Metamorfosi di Ovidio, Le
metamorfosi di Ovidio ridotte da Gio. Andrea dell’Anguillara in ottava rima (1554)
ristampato per oltre un secolo per almeno trentacinque volte, cui si attingono i sog-
getti di moltissime opere nel Seicento senza che le scelte metriche della fonte in-
fluenzino la struttura del libretto (Bianconi 1982: 217; Rosand 2013: 58).
Sugli “istituti metrici e formali” acutamente osservati da Paolo Fabbri nel teatro
d’opera del Seicento, le scelte compiute dai librettisti si collocano agli antipodi del
modello rappresentato dalla stanza di ottava rima, che fa ricorso a un unico metro,
l’endecasillabo, il più lungo impiegato nella tradizione poetica della penisola italica,
e a uno schema rimico fisso e assai poco vario. E le proposte di Torquato Tasso, nel
genere lirico e in quello teatrale, nello specifico della favola pastorale, precorrono
proprio queste nuove tendenze drammatiche, anche per ciò che riguarda gli aspetti
metrici e formali del libretto d’opera.
I nuovi canoni di “brevità” e “varietà”, che saranno in prospettiva quelli dell’aria
d’opera secentesca, sono dunque incarnati già nel madrigale, la cui presenza quan-
titativamente rilevante costituisce la novità più importante dei volumi di Rime tas-
siane: attraverso la riduzione del numero complessivo di versi e la preferenza data ai
settenari – i versi più piccoli fino ad allora usati nella tradizione lirica – nell’alternan-
za di endecasillabi e settenari. Quest’alternanza, che è propria dei cosiddetti versi
sciolti, è d’altronde la peculiarità della favola pastorale che dall’Aminta del Tasso
e dal Pastor fido del Guarini passa direttamente nella lingua poetica del teatro mu-
sicale, propriamente nei versi intonati nello stile del recitar cantando. Dalla lirica
anacreontica di Gabriello Chiabrera invece discende la massima varietà nel metro
dei versi impiegati – addirittura fino al quadrisillabo e finanche al trisillabo – e la
loro articolazione in strofe di ampiezza variabile nei testi delle arie (Fabbri 2007:
6-7; 19-21). Tanto che c’è chi grida allo scandalo perché «mentre si addatta non la
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∙ Cecilia Luzzi ∙
musica ai versi, ma questi si accommodano a quella contro ogni dovere, vien la po-
esia, perduta ogni modestia, ogni decoro, quasi a trasmutarsi di pudica donzella in
meretrice lasciva» (cit. in Fabbri 2007: 20). Questa tendenza è denunciata invano
da Ludovico Zuccolo nel 1621 nel Discorso delle ragioni del numero del verso italiano
(1623) assieme al gusto per quelle «canzonette di tante foggie di versi piccioli» che
servono solamente a porgere «commodità ai musici di potervi facilmente addattare
le note loro» (Ludovico Zuccolo, cit. in Fabbri 2007: 20). Nel Corago o vero alcune
osservazioni per metter bene in scena le composizioni drammatiche – saggio sulla messa
in scena dello spettacolo d’opera, compilato intorno al 1630 da un anonimo esten-
sore, forse Pierfrancesco Rinuccini, figlio di Ottavio – questa multimetria e gusto
per “varietà” e “stravaganza” sono invero rilevati, ma senza condanna: «Gran copia
e legiadria di questi metri ha scoperto e rinovato ai nostri tempi il signor Gabriello
Chiabrera, dal quale se ne potranno cavare molte e vaghe forme» (Fabbri 2003:
65).
La scelta del tipo di metro da alternare ai versi sciolti dei dialoghi è spiegata da
Giovan Battista Doni nel Trattato della musica scenica (scritto intorno al 1640; stam-
pato nel 1763), sulla base del registro stilistico e delle funzioni drammaturgiche che
il librettista intende adottare nei vari momenti: sequenze di endecasillabi rinviano
ad un registro stilistico sublime, mentre la scelta di versi inferiori al settenario dà
una connotazione più umile all’eloquio (Fabbri 2003: 68-69).
La funzione della stanza di ottava rima da un lato è destinata al racconto, come
nel quarto atto della Morte d’Orfeo (1619) del compositore romano Stefano Landi,
nell’ottava cantata da Fileno (“Sotto l’ombra di bel crinito alloro”). Oppure all’allo-
cuzione, come nel primo atto dell’Andromeda di Ridolfo Campeggi (1610), musica
di Girolamo Giacobbi, in cui il Messo canta l’ottava “Giocondissima terra, amico
suolo”; o anche alla preghiera, come nel terzo atto della Diana schernita di Giacomo
Francesco Parisani (1629), dove Endimione canta l’ottava “Gran pianeta del ciel,
occhio del giorno” (Fabbri 2003: 21-22, 36-37).
Nel contributo di Claude Palisca, dedicato ai modelli di arie nelle prime espe-
rienze dell’opera di corte, non emergono sostanziali novità rispetto a quanto rile-
vato per la produzione monodica e sin dai primi madrigali. L’ottava “Chi da’ lacci
d’Amor vive disciolto” nella Dafne di Ottavio Rinuccini viene intonata da Jacopo
Corsi (Firenze, 1598) e da Marco da Gagliano (Mantova, 1608) ricorrendo al mo-
dello dell’“aria per cantar ottave”, sebbene Gagliano arricchisca il modello melo-
dico con uno stile fiorito da numerosi abbellimenti; la melodia intonata nei primi
quattro versi viene poi ripresa per i versi successivi. Allo stile delle arie per cantar
ottave s’ispira anche Monteverdi per l’invocazione degli Spiriti a Plutone, “O de gli
abitator de l’ombre eterne”, per l’impiego di note ribattute e un’estensione ridotta
(Palisca 2003: [3]).
La presenza dell’ottava rima nel teatro d’opera s’arresta all’altezza delle esperien-
ze del teatro musicale di corte, rimanendo esclusa dai successivi sviluppi secenteschi
∙ 64 ∙
∙ L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale ∙
del dramma musicale a Venezia, in cui dominano le ragioni della musica e della
vocalità virtuosistica del cantante. A queste il verso deve asservirsi, in tutta la sua
flessibilità e nelle forme più brevi, non lasciando spazio alla tradizione monolitica e
allo schema per sua natura irriducibile della stanza di ottava rima.
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Abstracts
Luca Degl’Innocenti
I cantari in ottava rima tra Medio Evo e primo Rinascimento: i cantimpanca e la piazza
Nell’Italia del Tre, Quattro e Cinquecento, la poesia dei cantastorie (o cantimpanca, o cante-
rini) era il più importante mezzo di comunicazione, informazione e intrattenimento collettivo
per il pubblico ampio e vario dei loro spettacoli; e l’ottava rima era la sua forma più tipica e più
amata. Questo saggio passa in rassegna alcuni profili caratteristici di quei maestri di mille arti
e venditori di mille merci, che erano anche acrobati, saltimbanchi, medici ciarlatani, attori e
buffoni, e – dall’invenzione della stampa in poi – perfino librai ed editori. Il loro talento prin-
cipale e il loro prodotto più pregiato, tuttavia, era comunque la poesia orale: benché i loro testi
siano ormai muti per noi, le testimonianze dell’epoca ci ricordano concordi che le ottave di
racconti cavallereschi, novelle, cronache, storie sacre, contrasti e rime d’amore ammaliavano
ed emozionavano le folle non soltanto col potere della parola, ma anche con quello del canto
e della musica, nonché con la magia, frequente eppure sempre eccezionale, della invenzione
estemporanea di rime e note, spesso cantate “all’improvviso”.
Late-medieval and Early-modern cantari in ottava rima: the cantimpanca and the
piazza.
From the 14th to the 16th century, the poems of cantastorie (or cantimpanca, or canterini)
were the most important medium of communication, information, and collective enter-
tainment for the vast and various audience of their performances; and ottava rima was its
most characteristic and favourite form. This essay examines some typical profiles of these
masters of a thousand trades and sellers of a thousand wares, who were also acrobats and
mountebanks, medical charlatans, actors and buffoons, and – soon after the invention of
print – booksellers and publishers as well. Their main talent and their finest product, ho-
wever, was oral poetry: even though their texts are silent to us today, there is extensive
and consistent evidence that at that time the octaves of chivalric tales, novelle, chronicles,
religious stories, contrasti, and love poems charmed and moved the crowd not only through
the power of words, but also through the power of music and of singing, as well as through
the common and yet exceptional magic of the composition during performance of verses
and notes, that were often sung all’improvviso.
Francesco Saggio
Improvvisazione e scrittura nel tardo-quattrocento cortese: lo strambotto al tempo di
Leonardo Giustinian e Serafino Aquilano
Lo strambotto è la prima, in ordine cronologico e stilistico, delle forme poetico-musicali
ad aver segnato la stagione della musica profana cortese a cavaliere fra il xv e il xvi sec. At-
testato sia nella forma metrica “siciliana” (quattro distici su due rime alterne) sia in quella
∙ Abstracts ∙
“toscana” (tre distici a rime alterne seguiti da un distico a rima baciata), lo strambotto ac-
quista, nella sua versione intonata a tre o più voci, un peso crescente nei manoscritti musi-
cali a partire degli anni Ottanta del Quattrocento.
Ma lo strambotto è in primis il metro tipico del canto improvvisato sul liuto, legato soprat-
tutto alla fama di Leonardo Giustinian e Serafino Aquilano. Di costoro, tuttavia, non ci è
pervenuta neppure una nota, ma solo testi poetici privi di musica. Ciò nonostante, un nume-
ro cospicuo di strambotti musicali, di cui solo pochi attribuiti, è giunto fino ai nostri giorni
grazie alla tradizione scritta. Partendo dall’assunto che tali testimonianze vergate non pos-
sono essere considerate una diretta e semplicistica trascrizione della pratica improvvisativa,
il presente saggio si muove in due direzioni: da un lato si propone di focalizzare la natura di
tale pratica, attraverso una lettura incrociata delle più significative testimonianze indirette
poste a confronto con alcuni esempi musicali concreti, in particolare cercando di enucleare
i possibili modelli operativi; dall’altro, propone un’analisi – concernente forma, sintassi e
contrappunto – di un ristretto specimen di brani, che illustra lo sviluppo compositivo che il
genere strambottistico, apparentemente monocorde, ha subìto nel corso di pochi decenni.
Su tutti i parametri, lo svincolamento da una forma chiusa monopartita, costituita di due
frasi musicali ripetute eguali quattro volte, a una aperta completamente durchkomponiert,
rappresenta l’essenza dell’emancipazione dello strambotto dai semplici contesti improv-
visativi che lo videro generarsi, per divenire un corpus di opere degne di entrare a far parte
della tradizione scritta della musica figurata.
Una prima valutazione di questo percorso mostra una volontà di consolidare lo statuto del
genere, superando le rigidità iniziali e ampliandosi a soluzioni poietiche più sfaccettate e
raffinate.
Improvisation and written composition in the late courtly fifteenth century: the strambot-
to at the time of Leonardo Giustinian and Serafino Aquilano
The strambotto (an eight-line single stanza) is, from a chronological as well as a stylistic
point of view, the first form to mark the season of Italian courtly secular music between
fifteenth and sixteenth century. It is known in two different metric forms: “ottava siciliana”
(four couplets with alternate rhymes), and “ottava toscana” (three couplets with alternate
rhymes followed by a rhyming couplet), and from ca. 1480 it was increasingly set to music
in three or four voices. Above all, the strambotto was the typical meter of songs improvised
on the lute, cultivated especially by Leonardo Giustinian and Serafino Aquilano. The music
of their strambotti is not known, as only the poems were written down; many anonymous
strambotti musicali, however, have survived in music manuscripts. In the present author’s
assumption, notated strambotti are not occasional transcriptions of improvised songs, and
are therefore worthy of study in at least two different perspectives. The first is the compari-
son of their music with the most important indirect witnesses of coeval improvisatory prac-
tice (letters, biographies, theoretical texts etc.) in order to clarify which patterns underlie
that practice. The second is the analysis of form, phraseology and texture of some selected
strambotti in order to describe the evolution of the genre. In fact, during a few decades, the
strambotto musicale passed from a closed form made up of two melodic units repeated iden-
tical four times to an open, through-composed form – that is, from a simple and improvised
to a complex and written composition: a change that can be interpreted as a strong attempt
to situate the genre in the field of art music.
∙ 164 ∙
∙ Abstracts ∙
Cecilia Luzzi
L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale e agli esordi del teatro
musicale
Nonostante il considerevole numero di studi intorno alla produzione musicale sulle stanze
in ottava rima, manca a tutt’oggi un compendio espressamente dedicato all’ottava in musi-
ca tra Cinque e Seicento. Il saggio si propone di delineare la “fortuna musicale” dell’ottava,
dal fulmineo e travolgente incontro con il madrigale, al suo declino nelle prime esperien-
ze di teatro musicale di corte fino al divorzio con l’opera “tout court”, dimostrando come
le varietà di stili e tecniche della produzione musicale sulle stanze d’ottava rima dipenda-
no per buona parte dallo stile letterario delle ottave intonate. La natura popolare o dotta,
estemporanea o frutto di labor limae della stanza d’ottava rima e la varietà epico-narrativa o
lirico-descrittiva dei generi in cui si manifesta, influenzano infatti la concezione stessa della
composizione musicale.
Dopo aver fornito i dati riguardanti la circolazione musicale dell’ottava – ricavati dal Re-
pertorio della Poesia Italiana in Musica –, lo studio si sofferma su momenti significativi di
questo percorso: dalla prima stagione del madrigale musicale all’exploit sulle ottave dell’Or-
lando furioso dell’Ariosto, dove prevale una concezione formulare della composizione e un
rapporto neutro tra testo e musica, alla svolta con la Gerusalemme liberata del Tasso in cui
s’impone una dimensione drammatico-rappresentativa, fino alla presenza, sporadica, nelle
manifestazioni del teatro musicale di corte, dove l’ottava s’arresta, esclusa dagli sviluppi del
dramma musicale veneziano.
L’incontro tra il mondo aulico del madrigale musicale e della polifonia dotta trasmessa
in forma scritta, ovvero della corrente dominante rappresentata dal “magistero” di Pietro
Bembo e dalla polifonia aulica dei fiamminghi, da Willaert in poi, e il mondo della perfor-
mance estemporanea, delle occasioni conviviali, caratterizzata da una concezione formulare
della composizione, rielaborazione di melodie-tipo come gli “aeri” o “modi”, è sicuramente
il tema più interessante discusso nel saggio, che apre a nuovi sviluppi. Come ad esempio
le indagini sul “peso” della tradizione canterina nella produzione musicale intonata sulle
stanze in ottava rima da Verdelot a Firenze, o da Hoste da Reggio a Milano o dai composi-
tori che a Roma collaborano alla fortunatissima serie dei Libri delle Muse di Antonio Barrè.
The Ottava Rima Form in Italian Renaissance Madrigal and Early Court opera
Despite the increasing number of studies about Renaissance madrigals and early Baroque
music on ottava rima stanzas, a work fully devoted to musical reception of this poetical form
during sixteenth century and early seventeenth is lacking. This essay offers an overview of
this corpus of works going from frottola to polyphonic madrigal and from monodic and
representative madrigal to aria in early court opera. We argue that composers set an ottava
rima stanza according to its literary style: so, the music style shifted on the basis of different
rhetoric stylistic level and content. There is in fact a wide range of stylistic levels in Re-
naissance literary works adopting ottava rima form – from popular to learned, improvised
or due to scholarly work, depending on literary genre, epic-narrative or lyric – which affects
the style of music.
The paper highlights the widespread of ottava rima in 16th- and 17th-century music in com-
parison with the reception of other poetic forms, the distribution of the musical settings
decade by decade, the composers and editions of this repertoire, featuring them through a
∙ 165 ∙
∙ Abstracts ∙
series of tables, on the basis of data collected by Repertorio della Poesia Italiana in Musica,
1500–1700.
Then, a timeline of the reception of ottava rima is attempted by providing some relevant
instances. From the musical fortune which accompanied Ariosto’s Orlando furioso stanzas
a mere year after the first edition of the poem (1516) in frottola and early madrigals, where
a formulaic conception of music and a neutral relationship between poetry and music pre-
vails; to the turning point of Tasso’s Gerusalemme liberata where a dramatic vision trium-
phs notably in concerted madrigals or monodic compositions from the early 17th-century,
up to early court opera where the frequency of ottava rima stanza decreases significantly
until it disappears completely. Ottava rima monolithic structure and the lack of flexibility
prevents itself from “drama for music”, the libretto of 17th-century Venice opera where, in
particular, brief and varied meters were preferred to go along with the reason of music and
singers.
A key open issue – solicited by recent studies on the role of performance and improvisation
in transmitting texts and the interrelationships between oral and written tradition – is the
search for clues of improvisational practices in written compositions and the influence of
canterini tradition in the style of madrigals composed by Verdelot, may be for the meeting
in Orti Oricellari, or by Hoste da Reggio for entertainment in Massimiliano Stampa hou-
sehold or by musicians who contributed to Libri delle Muse, probably, for banquets and
academic gatherings in Rome.
Maddalena Bonechi
Stanze di ottava rima nella monodia accompagnata fiorentina
All’interno del variegato repertorio della musica vocale da camera a una voce (ma anche
a due o più) con accompagnamento di basso continuo edito tra Firenze e Venezia nel pri-
mo trentacinquennio del Seicento da musicisti fiorentini o attivi nel capoluogo granducale,
l’intonazione di testi in ottava rima è presente in tredici stampe su ventotto, per un totale di
ventidue composizioni. Musicate il più delle volte in modo periodico, riprendendo la tradi-
zione degli aedi del Cinquecento, in ben undici composizioni i musicisti associano a questo
metro il trattamento su un basso ostinato conosciuto (in particolare quello di Romanesca,
seguito da quello di Ruggiero).
Da un punto di vista contenutistico, accanto a componimenti profani, alcuni dei quali di
provenienza scenico-teatrale, quattro testi sono di argomento spirituale e religioso; ele-
mento, quest’ultimo, del resto assai frequente all’interno di questo corpus di musiche a
stampa.
Sebbene si tratti di una forma poetica ampiamente intonata soprattutto in ambito polifo-
nico e a cui i monodisti fiorentini ricorrono solo raramente rispetto a quanto non avvenga
con le forme maggioritarie del madrigale e della canzonetta (ma anche del sonetto e della
stanza di canzone), l’utilizzo dell’ottava rima contribuisce alla varietas poetica caratteristica
di questi libri; il canto a voce sola e basso continuo esalta le peculiarità “serie”, espressive e
narrative, del contenuto, evocando nell’ascoltatore diverse tipologie di affetti.
Santina Tomasello
Arie da cantar ottave ceciliane
Nella seconda metà del XVI secolo, in vari centri della Penisola, era in voga il cosiddetto
petrarchismo siciliano, fenomeno poetico che, anche se con esiti qualitativamente disconti-
nui, contò numerosi e illustri proseliti. La forma utilizzata era l’ottava siciliana (canzuna)
costituita da endecasillabi a rima alternata. Le declinazioni tematiche si incentravano in
prevalenza attorno a quel particolare ethos di tipo patetico, causato dalle pene d’amore non
corrisposto, che ne diverrà il vero e più connotativo tòpos letterario.
Il presente contributo è dedicato alla ricognizione intorno allo stato delle ricerche sulla
produzione musicale scritta legata alla canzuna, alle sue modalità di diffusione e fruizione e
alla sua analisi strutturale e performativa. La prima parte riguarda il repertorio che circolò
tra XVI e XVII secolo, sia sotto forma di intonazione polifonica sia soprattutto come aria
monodica accompagnata dalla chitarra “alla spagnola”. Nella seconda parte si prendono
in esame alcuni esempi di rivestimenti di ottave rintracciabili nel repertorio vocale colto
sei-settecentesco, sia operistico sia da camera, definendone gli aspetti morfologici e chia-
rendone l’effettiva distanza sia dal repertorio colto più tardo sia da quello di ascendenza più
strettamente popolare.
Sono inoltre considerati alcuni esempi di arie operistiche e di cantate, denominate “Sici-
liane”, che, pur non utilizzando la forma poetica in questione, presentano stilemi maggior-
mente assimilabili a quelli delle arie per cantar ottave ceciliane piuttosto che a quelli della
forma omonima, copiosamente presente nel repertorio tardo barocco, stilizzata imbriglian-
do la libertà di accenti in una regolare metrica composta e il percorso melodico tortuoso
e imprevedibile in una impalcatura armonica tonale. L’insieme di questi preziosi reperti,
alcuni dei quali inediti, è analizzato attraverso una comparazione intesa a tracciare di volta
in volta fisionomia, ascendenze morfologiche, peculiarità compositive e tratti performativi.
Alessandra Di Ricco
Poeti improvvisatori aulici in età moderna
Oggetto del contributo è l’impiego dell’ottava rima nell’improvvisazione aulica, un feno-
meno letterario e culturale tipicamente italiano, che nel Settecento tocca l’apice della sua
fortuna, e nel cui ambito anche al «cantar ottave» è richiesto, come testimoniano le pre-
se di posizione teoriche di Giovan Mario Crescimbeni, di emanciparsi da quei connotati
di popolarità che ne caratterizzano la tradizionale pratica orale. Il canto in ottava rima è
dunque osservato nei contesti cerimoniali dell’Arcadia romana, studiando in particolare la
funzione che esso svolge nelle occasioni in assoluto più solenni della vita dell’Accademia:
le due celebri incoronazioni poetiche, esemplate su quella ricevuta in Campidoglio da Pe-
trarca, che vengono concesse, rispettivamente nel 1725 e nel 1775, a Bernardino Perfetti e a
Maria Maddalena Morelli Fernandez. Quest’ultima, meglio nota sotto il nome pastorale
di Corilla Olimpica, la più famosa tra le improvvisatrici di ogni tempo, è l’ispiratrice del
personaggio di Corinne, protagonista del romanzo cui Madame de Staël affidava, all’inizio
dell’Ottocento, la rappresentazione stereotipa del ‘carattere’ degli italiani.
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history of the Accademia: the two poetic coronations — modelled on the one performed
for Petrarch in the Capitol — bestowed on Bernardino Perfetti and Maria Maddalena Mo-
relli Fernandez in 1725 and 1775, respectively. The latter poet, better known under her pa-
storal name of Corilla Olimpica, the most celebrated female improviser of all times, served
as an inspiration to Madame de Staël for the heroine of her novel Corinne, who is charged
with the task of typifying, early in the nineteenth century, the Italian national character.
Paolo Fabbri
L’ottava letteraria nella musica italiana di primo Ottocento
Già modulo-principe dei poemi narrativi e didascalici in versi, l’ottava rima non era scom-
parsa nella letteratura italiana di primo Ottocento, nonostante il crescente interesse per il
romanzo in prosa. Continuavano a praticarla poeti improvvisatori colti, come Francesco
Gianni e Teresa Bandettini, e letterati quali Tommaso Grossi e Giacomo Leopardi.
Diversa è la situazione in campo musicale: nei libretti d’opera, l’ottava era tradizionalmente
un corpo estraneo. Eventuali sue presenze rivelano un intento di deliberato citazionismo.
Lo si constata in un paio di libretti di Iacopo Ferretti: Matilde di Shabran per Rossini (1821),
e soprattutto Torquato Tasso per Donizetti (1833).
Neppure nella musica vocale da camera l’ottava figura nella tavolozza metrico-morfologica
delle scelte abituali dei musicisti. Fa eccezione Gaspero Pelleschi, che verosimilmente nel
1825 pubblicò una sua intonazione di Tre ottave nel Canto primo della Gerusalemme liberata
di Torquato Tasso.
Le sue soluzioni musicali confermano però la difficoltà di conciliare canto periodico e un
metro oscillante come quello dell’endecasillabo. Con un oggetto letterario di ben otto en-
decasillabi, poi, era fatale che il compositore italiano di primo Ottocento dovesse rasse-
gnarsi a più di un compromesso.
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∙ Abstracts ∙
Marco Targa
Intonazioni di ottava rima nell’opera della “Giovane Scuola”
Il libretto d’opera italiano fra Ottocento e Novecento è un campo di sperimentazione di
soluzioni metriche e formali della più ampia libertà e inventiva. All’interno della varietà di
forme e di metri poetici impiegati trova luogo anche il ricorso a paradigmi poetici di deri-
vazione letteraria, difficilmente rinvenibili nella librettistica ottocentesca precedente. Fra
di essi vi sono interessanti casi di utilizzo della forma dell’ottava rima siciliana e toscana.
Il recupero di questa forma poetica tradizionale è da inserirsi nel più ampio fenomeno di
crescente impiego del verso endecasillabo quale verso lirico, da utilizzare all’interno dei
cantabili dall’andamento fraseologico tendenzialmente regolare. L’utilizzo di questa forma
poetica aulica in alcuni casi è un mezzo per allargare alla sfera poetica il tentativo di rico-
struzione, più o meno fedele, dell’ambiente storico in cui è inserita la vicenda. Il recupero di
antiche forme poetiche diventa infatti un elemento che contribuisce alla pittura del “colore
locale” peculiare di una data opera. Per questo motivo uno dei titoli più ricchi di riesuma-
zioni di forme poetiche antiche, fra cui diverse ottave rime toscane, è rappresentato da I
Medici di Leoncavallo (1893), il cui libretto contiene, all’interno della rievocazione stori-
camente informata della Firenze medicea, numerosi omaggi alla poesia del Magnifico e di
Poliziano. Un caso simile è rappresentato dalla Parisina di Mascagni (1913), dal dramma di
D’Annunzio, nel quale il Vate inserì uno strambotto del Panfilo Sasso, come contributo alla
definizione dell’ambiente della corte ferrarese di Nicolò III d’Este (con una licenza storica,
essendo il Sasso nato trent’anni dopo la vicenda rappresentata).
Diverso è invece il caso dei due utilizzi di ottava rima nelle opere di Puccini. Le tre strofe in
ottava rima che Ferdinando Fontana compone quale programma poetico dell’intermezzo
sinfonico de Le Villi (1884) sono un omaggio all’epica cavalleresca italiana, attraverso il
quale il poeta tenta di gettare un ponte tra l’universo mitologico nordico del soggetto, di
chiaro stampo wagneriano, e la tradizione letteraria latina: un proposito poetico per nulla
infrequente in quegli anni. L’ottava rima cantata da Cavaradossi nel terzo atto della Tosca
(1900) forma invece, insieme alle successive due terzine cantate da Tosca, un sonetto: un
chiaro omaggio del librettista Giacosa al celebre sonetto cantato da Fenton nel Falstaff di
Verdi e insieme un tentativo di inserire un momento di effusione lirica all’interno di un’o-
pera caratterizzata da un ritmo drammatico serratissimo.
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“strambotto” by Panfilo Sasso, which contributes to defining the ambient of the court of
Nicolò III d’Este in Ferrara (although Sasso was born thirty years after the events narrated
in the opera).
Puccini also made use of the “ottava rima”, but with a different intent. The three stanzas
in “ottava rima”, written by Ferdinando Fontana as musical programme of the symphonic
intermezzo of Le Villi (1884), are a homage to epic Italian poetry, through which the poet
tried to build a bridge between the Nordic mythological universe of the plot, indebted with
the Wagnerian world, and the tradition of Italian literature: a poetical aim that was very
frequently followed in those years. The “ottava rima” sung by Cavaradossi in the third act of
Tosca (1900), on the other hand, which forms a sonnet with the following tercets sung by
Tosca, is a homage to the sonnet of Verdi’s Falstaff. The presence of this rare poetic form
in this opera can be explained by the attempt of the librettist, Giuseppe Giacosa, to create
a moment of lyrical distension within a libretto characterized by a very fast dramatic pace.
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Gli autori
Maddalena Bonechi ha compiuto gli studi universitari presso l’Università degli Studi di
Firenze laureandosi in DAMS e successivamente in Musicologia e Beni Musicali. Presso la
stessa Università ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia delle Arti e dello Spettacolo
con una tesi dottorale dal titolo “Nuove musiche” nella Firenze di primo Seicento: luoghi, occa-
sioni, prassi esecutive, musiche e testi. Ha conseguito inoltre il Diploma accademico di primo
livello in Pianoforte presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Rinaldo Franci” di Siena.
Luca Degl’Innocenti ha lavorato finora presso le Università di Firenze e Leeds (UK), par-
tecipando a progetti di ricerca nazionali ed europei grazie ai quali si è potuto occupare di
letteratura cavalleresca del Rinascimento, di poesia orale, di edizioni illustrate, di iconogra-
fia mitologica, di comunicazione popolare e di autori come l’Altissimo, Ariosto, Aretino,
Boiardo, Dolce, Machiavelli e Pulci, oltreché di pittori come il Beccafumi e l’Allori. Ha
pubblicato e curato diversi saggi e volumi in tema di oralità, e sta ultimando una monografia
sui cantastorie.
Alessandra Di Ricco è professore associato di Letteratura italiana presso il Dipartimen-
to di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Le sue ricerche, inizialmente di ambito
ottocentesco, si sono poi concentrate, a partire dalla monografia L’inutile e maraviglioso
mestiere. Poeti improvvisatori di fine Settecento (Mlano, Franco Angeli, 1990), sul Settecento,
con contributi (volumi, saggi in rivista, relazioni a convegni, edizioni di testi) relativi ai
generi dell’idillio e dell’elegia, all’encomiastica, alla satira, alla commedia, al giornalismo,
alla favola e ad altri aspetti della cultura letteraria di questo secolo. Gli studi sugli autori
sono soprattutto dedicati a Parini, Bertola, Monti, Goldoni, Bettinelli, Martello, Manzoni,
Casti. È membro del Consiglio scientifico della Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII.
Pubblicazioni principali: Studi su letteratura e popolo nella cultura cattolica dell’Ottocento,
Pisa, Giardini, 1990; Tra idillio arcadico e idillio ‘filosofico’. Studi sulla letteratura campestre
del Settecento, Lucca, Pacini Fazzi, 1995; L’amaro ghigno di Talia. Saggi sulla poesia satirica,
Lucca, Pacini Fazzi, 2009; Scorci di Settecento, Lucca, Publied, 2012.
Paolo Fabbri. Professore ordinario all’Università di Ferrara, dal 1997 è direttore scienti-
fico della Fondazione Donizetti di Bergamo, e presidente dell’Edizione Nazionale delle
Opere di Gaetano Donizetti. Dirige la collana “ConNotazioni” (Lucca, LIM) e il periodico
“Musicalia”. È membro dei comitati scientifici di “Il Saggiatore musicale” e della Deutsche
Rossini Gesellschaft. Fa parte dei comitati scientifici per le Edizioni delle opere di Andrea
Gabrieli, di Vincenzo Bellini, e di Giovan Battista Pergolesi, nonché delle collane Works of
Gioachino Rossini e Opera. Spektrum des europäischen Musiktheaters, entrambe pubbli-
cate a Kassel da Bärenreiter. Nel 1989 la Royal Musical Association gli ha assegnato la Dent
Medal. Già visiting professor alla University of Chicago (1992), nel 2001 è stato nominato
socio onorario dell’American Musicological Society. Nel 2015 la Societé Suisse de Musico-
logie gli ha conferito il Premio Glarean.
Cecilia Luzzi ha conseguito la Laurea in Discipline musicali e il Dottorato di ricerca in Mu-
sicologia presso l’Università di Bologna, rispettivamente con Angelo Pompilio e Lorenzo
∙ Gli autori ∙
Bianconi. È stata docente a contratto di Storia della musica rinascimentale presso l’Uni-
versità di Firenze (2006-2011) e di Storia delle teorie musicali a Parma (2004). Dal 1997
insegna Storia della musica presso il Liceo musicale “Francesco Petrarca” di Arezzo. Tra i
suoi prevalenti interessi di ricerca si pongono: la poesia per musica del XVI secolo, la lessi-
cografia musicale e le Digital Libraries. Ha collaborato con il Repertorio della Poesia Italiana
in Musica, il Lessico della musica italiana, e ha curato l’Archivio Petrarca in Musica finanziato
dal programma europeo Cultura 2000. Ha pubblicato numerosi articoli, il volume Poesia e
musica nei madrigali a cinque voci di Filippo di Monte (1580-1595) [Firenze, Olschki, 2003] e
gli atti del convegno Petrarca in musica (Lucca, LIM, 2005). Attualmente sta lavorando a un
progetto sulla circolazione manoscritta della poesia in musica.
Francesco Saggio ha conseguito il Dottorato di ricerca in Musicologia presso il Diparti-
mento di Musicologia e Beni culturali dell’Università di Pavia, con cui collabora per attività
di ricerca e di didattica integrativa. Nel 2016 è risultato vincitore del concorso per l’inse-
gnamento di Storia della musica presso i Licei musicali. I suoi interessi si concentrano sulla
musica profana cinquecentesca (in particolare le forme musicali, la tradizione dei testi e
i problemi di bibliografia testuale), sulla notazione mensurale bianca e i problemi relati-
vi al tactus, sull’analisi delle forme della musica sacra dei secoli xvi-xvii. Cura la redazione
di “Philomusica on-line”, rivista del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali (Pavia-
Cremona). Oltre ad articoli, saggi, e voci di dizionario, ha pubblicato l’edizione critica del
Primo libro di madrigali a quattro voci (1533) di Philippe Verdelot (Pisa, ETS, 2014) e ha in
preparazione l’edizione del Terzo libro di madrigali a cinque voci (1595) di Carlo Gesualdo,
per la New Gesualdo Edition (Kassel, Bärenreiter).
Marco Targa. Diplomato in Pianoforte, ha conseguito il Dottorato in discipline musicolo-
giche presso l’Università di Torino. È autore del volume Puccini e la Giovane Scuola (Bo-
logna, De Sono, 2012) e di numerosi saggi sull’opera italiana fra Ottocento e Novecento.
Altri suoi ambiti di ricerca sono la teoria della forma-sonata e la musica nel cinema muto.
Nel 2013 è stato insignito dal Teatro La Fenice del premio “Arthur Rubinstein – Una vita
nella musica” per gli studi musicologici. È docente di Storia della musica presso l’Istituto
Superiore di Studi Musicali “Gaetano Braga” di Teramo.
Santina Tomasello è docente di Teoria, lettura e formazione audiopercettiva presso il
Conservatorio di musica “Luigi Cherubini” di Firenze. Si è formata presso il Conservatorio
di musica “Arcangelo Corelli” di Messina, conseguendo i Diplomi di Pianoforte e Canto,
e il Conservatorio di Firenze, dove ha conseguito il Diploma di Clavicembalo e il Diplo-
ma Accademico di II livello in Musica Vocale da Camera. Si è inoltre laureata in Lettere
Moderne presso l’Università di Firenze con una tesi in Storia della musica. Accanto all’in-
segnamento ha sempre praticato l’attività di musicista, come strumentista e cantante, esi-
bendosi in Italia e all’estero con repertori che spaziano dalla musica di età barocca a quella
contemporanea, sotto la guida di prestigiosi Maestri quali Giovanni Acciai, Francesco Cera,
Alan Curtis, Roberto Gabbiani, Gabriel Garrido, Andrew Lawrence-King, Renato Rivolta.
È inoltre attiva come musicologa, dedicandosi specialmente allo studio di repertori legati
alla Sicilia rinascimentale e barocca, oltre a operare nel campo della ricerca etnomusicolo-
gica con particolare riferimento alla trascrizione e all’analisi di musiche di tradizione orale
siciliane e collaborando alle indagini dell’etnomusicologo Sergio Bonanzinga (Università
di Palermo).
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