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5. Conclusione
Nell’arco di poco più di un secolo, la vasta regione del Mediterraneo allargato, dal
Nordafrica fino ai territori della penisola araba, è stata sottoposta alla pressione di
forze endogene ed esogene contrapposte sia a livello regionale sia internazionale. Da
una parte, queste si sono ripetutamente scontrate per imprimere senso a un
multiforme mosaico sociale, culturale e religioso. Dall’altra, hanno influenzato sia il
percorso di nascita e sviluppo di diversi movimenti nazionalistici e trans-nazionali sia
la fondazione dei moderni Stati arabi.
I complessi eventi politici del secolo scorso dimostrano la densità di tale processo,
il cui esito finale rimane in larga parte incerto, vivendo oggi un’ulteriore stagione di
confronto, come le attuali crisi raccontano in modo evidente. Di fatto l’odierna fase di
instabilità pare evidenziare che una nuova stagione di cambiamento si stia compiendo,
oltre le semplici categorie della transizione democratica o della resilienza autoritaria,
coinvolgendo in modo radicale tutti gli elementi su cui erano stati fondati in
precedenza i patti sociali vigenti nella regione.
È, quindi, proprio la crisi dello Stato moderno arabo l’elemento attorno cui pare
orbitare l’imponente scontro di potere che sta investendo il Mediterraneo allargato.
La nuova fase di politicizzazione di molte delle tradizionali linee di faglia pare essere
sintomatica di una crisi più profonda che risiede nell’incapacità degli Stati di
corrispondere ai bisogni delle proprie popolazioni, piuttosto che essere l’espressione
di un’impossibilità strutturale di vivere insieme accettando differenze e specificità
che da sempre sono convissute, nonostante le naturali difficoltà e possibili
incomprensioni. Di conseguenza, assecondare tali pulsioni promuovendo in alcuni
contesti la nascita di nuove entità secondo nuove e immaginate omogeneità appare
quanto meno pericoloso, prefigurando il rischio di creare soggetti statuali ancor più
instabili, precari e vulnerabili a quelle ingerenze che difficilmente cesseranno nel
breve periodo e contro cui solo apparati istituzionali solidi possono in qualche modo
contrapporsi efficacemente.
La geopolitica del Mediterraneo allargato continuerà a essere a lungo
caratterizzata da una forte entropia e diffusione del potere. Inevitabile appare anche
la necessità di trovare una nuova centratura in assenza di un’unica potenza egemone,
come avvenuto invece immediatamente dopo la Guerra Fredda. La ricomposizione di
interessi e di percezioni della minaccia profondamente discordanti impegnerà
l’attività diplomatica e politica a livello regionale e internazionale, ma in assenza di
strutture statuali stabili e funzionanti, tale operazione corre il rischio di divenire
episodica e disordinata. In questo senso, il recente percorso politico avviato con i
colloqui di Vienna del 30 ottobre 2015 per la risoluzione del conflitto siriano, in
seguito all’intervento russo e anche alle nuove possibilità offerte dall’accordo sul
nucleare firmato con Teheran, potrebbe essere il primo banco di prova per ricercare
nuove vie e più durature soluzioni.
Le fasi che hanno preceduto e immediatamente seguito le «primavere arabe» hanno
dimostrato che molte delle crisi attuali sono state amplificate dall’incapacità o
indisponibilità ad accompagnare questi Paesi nel percorso di rifondazione delle
proprie istituzioni, se non di vera fondazione. La fine dei tradizionali regimi
autoritari, infatti, ha più frequentemente significato la crisi dell’intero apparato
statuale, sprigionando nuove competizioni e conflittualità per la conquista del potere,
piuttosto che l’avvio di vere e proprie “rivoluzioni” in grado di proporre nuove visioni
e coscienze politiche.
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