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Letterature comparate

Coetzee

Disgrace: “cadere in disgrazia” ed evento tragico. Questione di genere, problema del sesso. Narratore
eterodiegetico, focalizzazione interna. Il modo in cui sono raccontati gli eventi rispecchia il modo in cui sono
vissuti dal personaggio iniziale. Situazione narrativa figurale: genere di narrazione tipico del romanzo
europeo, soprattutto modernismo. Qui l’enunciazione narrativa è eterodiegetico e il narratore non ha
fisionomia profilata, non ci sono osservazioni ne giudizi di qualcuno di esterno, la prospettiva è sempre di
David. Il protagonista sembra seguirsi da un luogo leggermente dislocato rispetto a se stesso, riflette su se
stesso e sugli eventi mentre li vive. La sua autocoscienza è comunque in discussione. Scrittura asciutta,
laconismo maschile (?). il tempo utilizzato è il presente, tempo dell’abitudine (i giovedì). Luxe et voluptè:
cit. dall’invitation au voyage di Baudelaire, cita anche deserto e oasi. L’invitation au voyage e le voyage sono
contrapposte, la prima indica il sogno della felicità, la seconda la realtà del viaggio, la prima opera è citata
direttamente, la seconda indirettamente.

16/09/2021

Il primo capitolo funge anche da prologo, la duplice citazione di l’invitation au voyage e le voyage prelude
alla dissoluzione dell’oasi di lusso dei giovedì con Soraya. La citazione di le voyage coinvolge l’immagine del
deserto e dell’orrore. La stabilità della relazione con Soraya e la soddisfazione fanno sì che David sviluppi
dei sentimenti quasi coniugali nei confronti di Soraya, che li percepisce. David rivela qui la sua tendenza
all’autoinganno, anche nella sua riflessione in cui ritiene che Soraya abbia un carattere simile al suo. Ci si
inizia a rendere conto che David tende all’egocentrismo nell’analizzare e nel comprendere gli altri.
Comprendere gli altri alla luce di se stessi è inevitabile, ma D sembra non analizzare ulteriormente le sue
riflessioni. Gli altri sono sempre mostrati come percepiti da David, nella sua prospettiva. David pensa anche
che il suo temperamento non possa cambiare, data la sua età. Attenersi al proprio temperamento può
essere una regola alla quale attenersi. Nella riflessione sulla felicità si introduce una nuova citazione
indiretta, quella dall’edipo re di Sofocle, che nuovamente getta un’ombra sulla vita felice o quantomeno
tranquilla di David. Il tema della felicità perennemente esposta, a rischio, diventa un tema della filosofia
greca. Aristotele osserva che la persona più prospera può subire delle cadute inenarrabili durante la sua
vita (Priamo). David sembra consapevole del rischio che la sua felicità moderata venga rovesciata (no ironia
tragica), l’autocoscienza di David viene però ampiamente superata. Un altro riferimento minaccioso è
quello a Madame Bovary, mentre D riflette sulla gioia degli incontri con Soraya ma pensa anche alla gioia di
MB dopo il primo adulterio e a come si contrapponga al suo “moderate bliss” e si sente superiore al
personaggio di Emma, definita “poor and ghostly”, due parole che ritornano nel romanzo per associarsi allo
stesso David (quando penserà alla “povera Bev” e si correggerà dicendo che il vero povero è lui).
Fantasmatico lo diventa quando descrive il proprio rapporto con i suoi studenti. La soddisfazione di D
durante gli incontri fa da contraltare alla sua insoddisfazione lavorativa, a opprimerlo è la “great
razionalization”, il processo che ha razionalizzato economicamente l’università e che ha marginalizzato la
cultura umanistica. David descrive l’università come “emasculated”, riflessione che si lega a quella sulla
perdita del sacro espressa nel sentimento di essere “clerk in a post religious time”. D ritiene che il
linguaggio nasca dalla poesia e dal canto inventato per riempire la solitudine dell’anima umana, non per
comunicare con i propri simili come sostiene il libro di testo che usa. D non riesce a stabilire un contatto con
gli studenti, i suoi tre saggi hanno temi che ritornenranno nel romanzo stesso: Wordsworth e il fardello del
passato (del sudafrica), la visione e l’eros, un saggio sull’opera di Arrigo Boito. La great razionalization è
parte del più ampio cambiamento storico che avvolge il Sudafrica, quella del post apartheid. Il romanzo si
svolge nell’arco 1997-98, qualche anno dopo dell’effettiva caduta del regime e della presidenza di Mandela.
Il riferimento all’apartheid si trova nella commedia di Melanie, nelle parole di Rosalind che dice che “in
questi giorni” lui non può contare sulla compassione di nessuno. Similmente D non può cacciare Petrus
dalla proprietà perché appunto i tempi sono cambiati. L’incontro tra Soraya e David richiama nuovamente
una poesia di Baudelaire, che porta con sé la consapevolezza dell’errore da parte di David, il fatto di essersi
incontrati fuori infatti danneggia irrimediabilmente i soliti incontri amorosi. D inizia a immaginarla nella vita
di tutti i giorni, si immagina come padre dei suoi due figli e prova invidia per il vero padre. D comincia a
vedersi come un semplice cliente e un uomo che ormai è costretto a pagare per il sesso. D diventa insicuro
e si sente come uno di quei clienti di cui le prostitute in privato ridono. Soraya effettivamente scompare, D
si chiede che cosa fare del suo desiderio sessuale, si chiede a che età Origene si sia castrato, si chiede
quando arriverà l’età in cui al desiderio sessuale subentrerà la preparazione alla morte (perdita della virilità,
impotenza=morte). Ricorre la formula ought to, dovrebbe fare qualcosa ma non la fa, nonostante la sua
autoconsapevolezza non riesce a imporsi una rinuncia (fa cercare Soraya da un detective). La sua coscienza
rimane superficiale e non arriva a modificare il comportamento o ad attivare la sensibilità morale di D, la
sua è semplicemente un’adesione a una proposizione teoretica ma non ne percepisce intimamente la
verità. Nel rapporto con Melanie D agisce nuovamente contro il proprio giudizio, tutte le volta che vede
Melanie sa che sta facendo qualcosa di sbagliato e tuttavia non si ferma. Rosalind gli dice che avrebbe
dovuto aspettarsi il peggio e in qualche modo è vero che D se lo aspetta effettivamente. Anche durante il
processo D si sente troppo calmo, noncurante ma allo stesso tempo non gli importa. Dopo il processo D
riflette sui suoi pregiudizi sulle donne che non si impegnano per essere attraenti, vorrebbe scacciarli ma
non gli interessa abbastanza. D appare quindi non padrone di se stesso o quantomeno delle sue azioni, D
ammette questo e quasi lo rivendica durante il processo “I became a servant of Eros”, rivendica il fatto di
non poter resistere alla passione. Sono evocati entrambi l’orizzonte lirico e quello tragico, in cui l’eroe viene
portato alla rovina da qualcosa di esterno a lui (epica greca, il demone attraverso il personaggio). D
vorrebbe pensare di essere preda della passione romantica, ma in realtà è anche passione che diventa follia
e innesca la rovina tragica. Posto anche che abbia agito portato dalla passione le sue azioni sono comunque
moralmente discutibili, proprio come nella tragedia l’eroe subisce un fato tragico per cui è responsabile,
anche se solo in parte. D evoca per sé l’orizzonte tragico, come quando evoca Edipo, e più avanti arriverà
anche a considerarsi un personaggio grottesco (Teresa). Nel primo incontro di D e M non emergono atti
violenti ma emerge un discorso imperativo del desiderio, D dice che M “dovrebbe” fare sesso con lui. D
utilizza anche la letteratura per avvalorare questo obbligo (Shakespeare), è chiaro anche che a D non
interessa cosa vuole/prova Melanie. Nel secondo incontro fanno sesso e M non sembra provare piacere,
lascia la stanza distogliendo lo sguardo, o disgustata o vergognosa. D non si interroga mai sui
comportamenti di M, infatti il giorno dopo D si sveglia piacevolmente, l’intera prospettiva è dunque egoista.
Similitudini animali per M, talpa, coniglio. Il processo ricorda da lontano quelli istituiti per l’apartheid, in cui
si fronteggiavano vittime e carnefici.

17/09

Farodia sostiene che la storia fra D (bianco) e M (nera) si inserisca nella storia di oppressione dei neri. D non
è razzista, tuttavia la realtà dell’accaduto non può che essere ancora più problematico, vista la storia
razziale del Sudafrica. Anche l’abuso di potere non è così ovvio, D non ricatta mai utilizzando le proprie
prerogative di professore, il potere di D risiede semmai nel modo subdolo in cui D tenta di sedurre M.
citando Shakespeare D cerca di “mettere in bocca” certe parole o un certo significato alla letteratura, per
ottenere la legittimazione di un obbligo nella realtà. D abusa della sua autorevolezza di docente, più che del
potere vero e proprio, tuttavia la definizione di abuso di potere non è totalmente impropria. Il potere è
un’esperienza fondamentale della società sudafricana, in questo preciso esempio il potere si impone anche
sulla relazione fra D e M. la differenza di età agisce invece nel senso del disgusto, Rosalind dice a D che “è
disgustoso” il rapporto fra un uomo cinquantenne e una ragazza ventenne. R riassume in questo modo il
giudizio di chiunque venga a conoscenza della vicenda. Il disgusto viene usato abbastanza come arma
processuale, nonostante non abbia un vero peso legale ma nemmeno etico. La denuncia di M non viene
spiegata, l’unica spiegazione è quella di D, che pensa che M sia stata istigata/raggirata dal fidanzato e dalla
famiglia. D non accenna mai a un risentimento per la denuncia, durante il processo si comporta con
indifferenza verso le conseguenze, non vuole nemmeno leggere la dichiarazione di M, questo è anche un
modo per non sapere effettivamente che cosa M abbia provato/passato. Verso la fine il fidanzato di M gli
dice che se potesse la ragazza gli sputerebbe in faccia e D è sorpreso: non ha mai pensato di aver fatto
veramente del male a M anche se i fatti dicono il contrario, d’altra parte le parole del fidanzato non sono
attendibili. D rifiuta anche di confrontarsi con gli altri riguardo ai fatti, non si sente in colpa per la forzatura
di M poiché si infrange contro la sua percezione del desiderio sessuale come irrefrenabile. È invece
infastidito dal disgusto che lo colpisce, che riguarda soprattutto la sua età, alla quale D non dovrebbe
dedicarsi al soddisfacimento del desiderio, secondo gli altri personaggi. “la verità è che mi volevano
castrare”. Con Lucy si paragona al cane dei vicini, punito per la sua natura come lui, la decisione di D di non
difendersi al processo collima con la decisione della morte al posto di quella del pentimento (o rinuncia alla
natura) così come riteneva che il cane avrebbe preferito fare. D ritiene di affermare la propria virilità
rivendicando il diritto di essere dominato da Eros, desiderio che però finisce per privarlo delle sue qualità
morali e che determinerà un tragico corso di eventi. Nel processo agiscono dinamiche diverse, etiche,
politiche, emozionali, culturali. Resta sullo sfondo la questione della violenza che D ha compiuto su M, sul
quale D non si sofferma autocriticamente: il processo non gli dà l’occasione per riflettere se ciò che ha fatto
a M sia stupro o meno. Le cose cambiano dopo che parla con la figlia, suo malgrado avvia un processo di
cambiamento e la sua prospettiva inizia ad allargarsi grazie al confronto con Lucy. Coetzee: “c’è un senso in
cui la scrittura è dialogica, la scrittura ha a che fare con il risvegliare le contro-voci dentro se stessi e con
l’impegnarsi in una discussione con esse. Lo scrittore deve ritirarsi dalla posizione di chi pensa di sapere e
dall’idea di individuo coerente e confrontarsi con se stesso”. Nella prima parte del racconto una counter
voice non emerge, né M né Soraya hanno una voce, non discute col comitato. Primo cambiamento: D
mangia senza far rumore perché dice che i figli sono disgustati dalle funzioni corporali dei genitori, in
questo caso non afferma il suo diritto a “mangiare con foga”. In presenza di Lucy D comincia a sentire di
dover fare i conti con la propria età, la relazione con L è anche conflittuale, dovuta anche al rimprovero di D
per la scarsa femminilità di Lucy, così come è perplesso dal suo stile di vita. Tutto questo non sminuisce
l’amore che D nutre per la figlia ma ovviamente inserisce degli elementi di contrasto nella loro relazione, L
si ribella a questi “taciti rimproveri”. Quando L viene stuprata la relazione si sfilaccia ancora di più, non può
parlare con L dell’argomento e si sente escluso dalla questione da Bev e Lucy. L non vuole che lo stupro sia
denunciato o reso pubblico e questo genera un ulteriore conflitto, L e B dicono ripetutamente a D che lui
non può immaginarsi che cosa sia veramente successo, D è indignato dal fatto che B e L pensino che lui non
abbia sofferto o che non si immagini ciò che è successo. L rivendica il diritto a raccontare ciò che è successo
come preferisce, D non è d’accordo e anzi teme che la storia che si diffonderà sarà proprio quella dei
violentatori. L non accetta che D voglia ridurla ad una comprimaria della sua storia. D si interroga sulla sua
capacità di mettersi nei panni dei violentatori, quando la figlia gli chiede se fare sesso con una donna
sconosciuta e “intrappolarla” non sia un po’ come ucciderla, aggiungendo che siccome lui è un uomo
dovrebbe saperlo. Alla luce di questa domanda D inizia a interrogarsi sulla sua relazione con M. L dice di
essere “come morta”, che è lo stesso modo in cui D ricorda l’atteggiamento di Melanie durante il rapporto
che forse è uno stupro. Emerge sia l’analogia tra le due violenze, e la gravità morale della colpa di David sia
l’analogia tra stupro e morte. L non gli parla di queste cose per farlo sentire in colpa ma descrive la sua
esperienza, tuttavia D è inevitabilmente portato a riconsiderare le proprie azioni. D riflette sulla gravità
dello stupro di una donna lesbica, che si traduce in un “far vedere a cosa serve il corpo della donna”, che si
avvicina, seppure dia seguito a un atto estremamente diverso, alla citazione di Shakespeare sul fatto che la
bellezza di una donna e indirettamente la donna stessa non appartiene a se stessa. D si chiede se infine
possa essere in grado di identificarsi con la donna invece che con l’uomo.

20/09/2021

Rabbia contro gli animalisti: sembra che D li associ alle persone che l’hanno “processato”, usa l’espressione
“raping and pillaging”, è idiomatica quindi non ha intenzionalità marcata, però è comunque infelice visti i
fatti della storia. D afferma che gli animali appartengano a un altro ordine della creazione, mentre Lucy
sostiene che uomini e animali condividano la medesima vita e siano molto più intrinsecamente legati. Lucy
non ha la tendenza a ribattere durante le discussioni con David. Alla fine del capitolo D condivide però la
gabbia con Katy la bulldog. L condivide l’idea di D sul desiderio che può diventare così opprimente da
portare alla rovina.

Coetzee: “il corpo non è qualcosa che possa essere messa in discussione. Il corpo esiste e prova dolore, il
corpo obietta il processo continuo del dubbio. In Sudafrica è impossibile negare il corpo e la sua capacità di
soffrire, proprio perché il potere è sempre stato esercitato con la violenza. Non è che uno conceda
l’autorità a un corpo che soffre, il corpo se la prende da solo. Il dolore diventa una realtà innegabile”.

D comincia a riflettere sugli agnelli di Petrus, con i quali si crea un legame nonostante D confessi di non
saperli distinguere da tutti gli altri. D attraversa poi un momento di crisi dopo l’ultima sessione di eutanasia
alla clinica, non capisce cosa gli stia succedendo ma inizia a riconoscere agli animali la consapevolezza e la
preoccupazione per il proprio destino oltre che la capacità di soffrire. Per questo comincia a bruciare
personalmente i cadaveri dei cani invece di lasciare i sacchi di cadaveri fra la spazzatura. Lo fa per
assecondare la propria idea del mondo in cui “gli uomini non dovrebbero pestare i corpi dei cani in modo
che abbiano una forma più adatta alla bocca dell’inceneritore”. la gratuità del gesto lo fa sentire stupido
eppure il gesto stesso serve l’idea di dignità. L’uomo si contrappone alla bestia a causa della proprietà della
ragione e della razionalità, contrapposizione che partorisce anche quella fra uomo bianco e donna, uomo
nero, bambino. Non si tratta di contestare i diritti della ragione ma di limitarli perché la ragione non
prevarichi altre istanze, non è polemica contro la ragione ma contro un uso improprio della ragione. Il
rifiuto di argomentare di Lucy, durante le discussioni sugli animali col padre, potrebbe essere il segno di chi
non dà valore unicamente alla logica e alla ragione riguardo alle questioni che riguardano la vita vissuta,
sembra incoraggiare D a fare piuttosto delle esperienze a stare con gli animalisti o con gli animali della
clinica. Allo stesso tempo l’evoluzione di D non è continua, spesso D ritorna ai suoi pensieri, alle sue
inclinazioni morali precedenti: si sottrae alla presenza di Desiree quando si accorge di desiderarla, ma
ritorna a cercare Melanie alla commedia. Si dice di nuovo che è troppo vecchio per cambiare, tuttavia si
vergogna di ciò che ha fatto quando commette un errore. Verso la fine D dice di aver imparato a dare
amore ai cani in procinto di morire, un eros che si esprime stavolta con un riguardo verso i sentimenti
altrui, se il primo eros era opposto a tanathos, all’invecchiamento, il secondo è invece non egocentrico,
accetta l’oggetto dell’amore e il passare del tempo. Comunque sia la storia non è la storia di un’evoluzione
o di una redenzione, benchè ci sia un percorso di crescita questo avviene attraverso il dolore e non se lo
lascia alle spalle: la saggezza acquisita è intrisa di dolore e non serve a nulla, non serve a cambiare il mondo
attorno a se. Il modo di pensare di L è più legato alle circostanze e alla vita particolare delle persone,
mentre D ragiona per idee e principi (D dice di aver seguito un’idea nella gestione del processo). L dice
chiaramente che lei non ragiona per astrazioni, è pragmatica e agisce facendo le scelte che più le
convengono riguardo alle proprie volontà: lei vuole a tutti i costi rimanere alla fattoria e si comporta nel
modo più pratico per questa scelta. L viene a patti con la realt ed essendo costretta a confrontarsi con dei
rapporti di forza-potere-violenza che permeano la vita quotidiana prende atto di questa cosa e si adatta ad
accettare le conseguenze del mondo in cui vive. D guarda invece le cose “obiettivamente” cioè
estrapolandole dal contesto e le dice che la sua situazione non è più solo ridicola ma anche sinistra dopo
che L ha accettato la proposta di Petrus. Tuttavia L non fornisce mai una spiegazione chiara o lucida delle
proprie decisioni, e ciò che fa necessita sempre di interpretazione. Opinione di Athol Fugard. Coetzee
codifica la tendenza all’umiliazione presente nella cultura sudafricana, che si articola sui binari forte-debole
o iniziato-non iniziato. Secondo S con le sue scelte Lucy rifiuta tutti i binari di potere della società
sudafricana: è una donna lesbica che sposa un uomo, una donna bianca e atea che sposa un uomo nero e
poligamo, è una vittima di violenza che tiene il bambino nato dallo stupro e chiede che egli venga
riconosciuto dalla famiglia allargata di uno dei violentatori.

23/09/2021
Ricominciare da nulla, “like a dog”, che richiama sia l’esperienza di David che l’explicit del Processo di Kafka.
D fatica ad affrancarsi compiutamente dal passato sudafricano, quando scopre Pollux che spia la figlia o
quando Petrus gli propone di sposare sua figlia, D è tentato dal ristabilire la distinzione fra sé e loro, che
sono neri. Vorrebbe picchiare Pollux e gli viene la tentazione di restaurare quella divisione che sussisteva
durante l’apartheid, quando ridiventa lucido però, D riconosce che i suoi desideri sono inutili e non
migliorerebbero in qualsiasi modo la situazione. Le decisioni finali di L possono essere viste in fondo come
frutto della necessità e della condizione di debolezza in cui L si trova. Se lei rifiuta di andarsene è perché
l’Olanda non è un ‘opzione valida e in Sudafrica lei può restare solo a condizioni di superare ciò che le è
accaduto. Dunque la scelta di L non è politica ma che potrebbe diventarlo, lei stessa dice che la sua scelta è
prima di tutto privata ma il rifiutare tutte le distinzione gerarchicamente intese potrebbe in futuro
diventare una presa di posizione politica. Le decisioni di L restano per lo più oscure, anche quando
interpretate, questo è dovuto anche ai modi della narrazione che adotta la prospettiva di David. La passività
della risposta di L alla violenza è enigmatica, la decisione di L non è da patologizzare ma non è nemmeno
interamente razionale, il compito del lettore è quello di scostarsi dalla focalizzazione di D per fare spazio
alle contro voci offerte dal romanzo, valorizzando la polifonia del romanzo e salvaguardare la dimensione
esperienziale del romanzo che non è una discussione filosofica ove ognuno ha una tesi attribuita
arbitrariamente: ogni voce del romanzo risiede comunque nella sua esperienza di vita, perciò è naturale
che le decisioni di L non siano completamente razionali ma possano essere in parte dovute al trauma. Il
rapporto di D con l’arte sembra essere viziato inizialmente da una certa malafede, usa la letteratura per
cercare di portarsi a letto Melanie e si vede attraverso la letteratura in maniera distorta, di autoinganno. D
si vede attraverso la poesia ma in cattiva coscienza, nella lezione su Byron D afferma che l’uomo Byron si
ritrovo fuso con le proprie creazioni poetiche, gli altri lo vedevano come i personaggi delle sue opere, e
anche D tende a vedersi attraverso i personaggi letterari o gli scrittori: dice a M che Byron fugge in Italia per
fuggire a uno scandalo e lì trova l’ultimo grande amore della sua vita. D si dice che l’inglese è troppo fossile
per il Sudafrica, in questi momenti D misura l’insufficienza della cultura letteraria di cui è portatore. Però D
sta anche arrivando a una più profonda comprensione dell’arte, evidente nel cambiamento di progetto
dell’opera su Byron, che diventa incentrata su Teresa. La nuova versione rifugge dalla personificazione
David-Melanie e sembra invece rifarsi più a David e Bev o a David e Lucy, anche se non è chiaro, la stessa
Teresa potrebbe essere un’immagine di David. La capacità di immedesimarsi in L dopo lo stupro ricalca la
sua capacità di immedesimarsi in Teresa, mentre la figura di Byron uomo appassionato e focoso
impallidisce sullo sfondo. Nella figura di Teresa si proiettano personaggi diversi del romanzo e la proiezione
di Bev e Lucy su Teresa si vede anche nella tenerezza di D per il suo personaggio, “poor Theresa, poor
aching girl”, l’angoscia per l’incapacità di dare la giusta fisionomia a Teresa ricalca quella per non essere
stato un genitore migliore per Lucy. Il secondo cambiamento fondamentale dell’opera è l’abbandono di una
forma progettuale, l’opera cambia da sola fra le mani di D. il terzo cambiamento è l’abbandono del
pianoforte a favore del banjo giocattolo di Lucy, questo implica un cambiamento di registro: da quello
dell’elegia o dell’erotismo a quello comico (il cane ascolta David che suona). L’opera comica è in contrasto
con la tragicità del romanzo: “disgrace” nel senso di “cadere in disgrazia” è presente sia nella storia che in
alcuni usi della parola, così come il significato di “rovina”, “tragedia”. Mr Isaacs vede D come un potente
caduto in disgrazia, questa è un’idea che rimanda alla concezione elisabettiana del tragico, dove all’idea
aristotelica del rovesciamento del potente confluisce una componente cristiano-medievale: il potente cade
perché è colpevole ed è punito da Dio, la caduta assume un senso di esposizione della colpa che non
coincide totalmente con quella classica. D non pensa a sé nei termini di potente, si vede sempre più
fantasmatica e marginale nell’epoca di razionalizzazione dell’università. Il personaggio tragico: Aristotele fa
alcune osservazioni sulla sua levatura morale-sociale. A dice che il personaggio non deve essere malvagio e
non deve cadere dalla buona alla cattiva fortuna per una sua azione completamente colpevole, perché è
difficile che il pubblico empatizzi con chi rovina se stesso per colpa sua, ed è difficile che il pubblico provi
paura pensando che la stessa cosa può succedere a lui. Ugualmente il personaggio non può essere
totalmente virtuoso, perché la caduta sarebbe troppo ingiusta. Quindi il personaggio deve essere
mediamente virtuoso così che il pubblico possa identificarcisi. Alcune riflessioni di D seguono questa
problematica, D si chiede se è buono o cattivo, dopo un crollo emotivo dovuto alla sessione di eutanasia dei
cani si rende conto di non saperlo. Nuovamente, dopo aver passato la notte con una prostituta diciottenne
dice di non essere né buono né cattivo, la sua mediocrità, pur richiamando quella dell’eroe tragico
aristotelico, sembra anche sminuirla di grado e arrivare a una mediocrità comica. Ciò che non si realizza è la
liricità a cui tende D, che spesso tende a vedere la sua vita attraverso lenti liriche che si rivelano false
(“l’amore” per Melanie). Esiste invece un registro comico nel senso di piccola misura dell’umanità, evidente
nella descrizione della commedia di Melanie, che cerca di lavare via la storia di soprusi dell’apartheid
attraverso una serie di personaggi macchiettistici. La colpa: come nella tragedia greca la colpa di David è
imputabile a lui solo in parte, il desiderio erotico è il suo eppure lo trascende e lo possiede e travalica la sua
capacità di dominarsi. La potenza del desiderio eccede la responsabilità di David pur essendo sua la
passione. Dodz: tutte le deviazioni dalla personalità “normale” del personaggio lo si imputa a intervento
divino nella tragedia greca, questa dinamica viene definita “Ate”. D distingue due culture, quella della colpa
e della vergogna, la società descritta da Omero è fondata sulla cultura della vergogna, l’uomo retto non sta
nella buona coscienza ma nel possesso della pubblica stima, nel tempo questa cultura si trasforma in
cultura della colpa e il senso di colpa che gradatamente si accresce trasforma Ate in castigo e infine in
vendetta divina. Al sentimento della propria reputazione subentra il timore di non aver agito moralmente,
anche a prescindere da ciò che pensano gli altri. È difficile individuare un chiaro processo evolutivo, queste
culture sono due modi di intendere il rapporto con gli altri. La vergogna è un sentimento diffuso nel
romanzo, ma c’è anche l’idea di colpa che ricade anche sui discendenti del colpevole, idea che rimanda al
concetto di contagio, contaminazione. D è insieme responsabile e no, perché gli eventi che possono essere
considerati conseguenza delle sue azioni sono una punizione sproporzionata: la molestia di David e lo
stupro di Lucy sono collegati perché è quest’ultima violenza che costringe David a riflettere su ciò che ha
fatto e a vedere se stesso nel ruolo di stupratore. La connessione è tragica anche perché eccede ciò che può
essere imputato a D, a questo insieme di riflessioni si può ricondurre anche il pensiero di D su tutte le
donne della sua vita, che gli fa provare un sentimento di gratitudine per essere stato arricchito da tutte
queste relazioni. D non si vergogna di ciò che ha fatto perché non stima sufficientemente i suoi giudici,
Melanie invece prova vergogna perché gli altri la giudicano senza che lei abbia una colpa. La riprovazione di
cui i due sono oggetto è intrisa anche di disgusto, elemento che rimanda alla cultura della vergogna, più che
la colpa c’è proprio il disgusto che è perdita di stima da parte della comunità. La stessa cosa accade a Lucy,
che si vergogna di ciò che le è successo nonostante non abbia nessuna colpa.

24/09

D immagina che i violentatori di L si compiacciano del fatto che L non voglia rivelare ciò che le è accaduto
perché si vergogna troppo. D cerca di farla uscire da questo stato di vergogna ma senza riuscirci.
Nonostante sia chiaro che L non ha compiuto niente di disdicevole lei si vergogna comunque, perché ha
subito un’umiliazione (vedi Fougar sulla frequenza dell’umiliazione nella società sudafricana): essere
umiliati e trattati come oggetti suscita vergogna, Bernard Raymer: le vittime di episodi estremi provano
sistematicamente senso di colpa e vergogna, emozioni che tipicamente ostacolano la condivisione. La
vittima vive un sentimento di danno, degrado, di un’identità sfigurata e quindi più difficile da esibire agli
altri, effettivamente il rispetto è legato al riconoscimento della forza, perciò il debole fatica a vedersi
rispettato come gli altri. Il fatto di aver vissuto un’esperienza come quella di Lucy inoltre allontana le
persone dalla vittima, un’idea legata a quella di contaminazione della tragedia greca, anche i poliziotti a cui
L denuncia il furto si tengono a distanza da lei, come se lei “fosse una creatura inquinata, contaminata e
potesse macchiarli”. Questa idea appartiene a una dinamica psicologica riconoscibile, di stigmatizzazione e
che risale all’idea che comunque se qualcuno sta soffrendo è perché se lo merita, inoltre chi soffre sta in un
mondo separato da quello degli altri. Le emozioni di D sono quelle della pietà e del terrore, ovvero le
emozioni suscitate dalla tragedia secondo Aristotele. La pietà è il dolore per ciò che è successo ad altri e
non per loro colpa, è più facile provare pietà quando qualcuno appartiene al proprio gruppo, all’inizio D non
prova pietà per le donne o gli animali. Quanto alla paura anche questa è legata al dolore perché l’attesa di
un danno che non può essere evitato, lo spettatore prova paura a condizione di potersi identificare con
l’eroe tragico. la tragedia è l’imitazione di una situazione seria e compiuta, che mediante la pietà e la paura
che attraverso la catarsi porta al superamento delle passioni. Holliwell: è plausibile che per Aristotele le
energie emozionali di pietà e paura non siano semplicemente purificate o drenate ma ciò che accade è che
lo spettatore perfeziona la propria capacità di sentire queste emozioni nei modi giusti e per le cose giuste.
Per D c’è un cambiamento morale, riconosce gli altri come meritevoli della sua comprensione e della sua
cura. D matura una comprensione maggiore tuttavia non lo si può definire una persona felice, non può
sottrarsi al dolore, nonostante la sua condizione disgraziata si può riconoscere a David una migliore
condizione morale.

28/09/2021

La fisionomia morale del narratore non esiste, le morali rappresentate sono molte e ovviamente non viene
offerta una posizione morale finale, complessiva.

Alice Munro. Fatalità- Fra poco- Silenzio

Sono racconti autonomi ma possono essere letti come una trilogia> idea della trilogia tragica greca. I
racconti insistono sui temi di colpa, conflitto, dolore e secondo Franzen culminano in un’azione fatale e
irreversibile. Non c’è intrusione autoriale, la voce narrativa è sempre meno ingombrante. Anche questi
racconti, come Vergogna, si incentrano sull’equilibrio dei destini umani tra felicità e rovina. Il contrasto è
origine anche di un problema etico: la rovina rivela la condizione fragile dell’uomo.

Juliet fa una deviazione nel tragitto che la porta a casa per ritrovare Eric, analessi ad un viaggio in treno
precedente, dove J ha appunto incontrato E per la prima volta. La presentazione di J è condotta da un
narratore extradiegetico, privo di fisionomia che però racconta tendenzialmente nella prospettiva di J. Il
racconto è sintetico e insiste sulla reiterazione e sull’abitudine. Spesso i racconti di Munro si aprono con un
analessi e poi descrivono il personaggio attraverso forme iterative, di sommario. Si precisa che J è felice,
nonostante le sue aspirazioni accademiche siano rabbuiate dai timori di genitori e insegnanti, che pensano
tutti che il fatto di essere donna le creerà grosse difficoltà. Il paesaggio osservato da Juliet evoca
un’atmosfera tragica, “un paesaggio da eroina russa che va incontro al suo destino, forse tragico”. il viaggio
evoca un passaggio dagli ambienti civili a quelli della wilderness, dal cortile della scuola dove J insegna alla
foresta, dove ci si immerge in una natura che ignora i destini individuali. Questa considerazione attrae J, il
sentimento estetico dei romanzi sembra agire su di lei, che si illude che possa davvero aspettarla un destino
“letterario” (bovarismo). Viene ripetuta un’allusione alla mancanza di cura, J è attratta dall’indifferenza,
carelessness, della natura, non le importa di non essere sicura che “taiga” sia la parola giusta per definire il
paesaggio. Si inserisce poi nel racconto un nuovo personaggio, un uomo che si rivolge a J come fosse
affamato, inizia a conversare con lei come se volesse “succhiarle via l’anima”. Il personaggio sembra una
figura del regno dei morti, un’ombra. J è infastidita ma gli risponde per educazione e perché subisce
l’accettazione, come donna, di essere interrotta da un uom (riflette sulla sua accettazione nonostante la
infastidisca). Dopo un po’ J lascia lo scompartimento perché vuole leggere, decisione che la turba perché
sembra che per la prima volta si sia ribellata contro un codice di norme non scritte a cui si è lasciata
assoggettare, allo stesso tempo però si rende conto che la sua vittoria è stata riportata su un uomo debole
e triste (soddisfazione per aver affermato se stessa, senso di colpa per averlo fatto su un debole). Per
Franzen, anche questo elemento è tipico, le protagoniste per difendere la propria integrità o per affermarsi
provocano dolore. comunque si risolva il conflitto, a favore della norma sociale o a favore dell’affermazione
personale in ogni caso si perde qualcosa. Dalla nuova carrozza J vede un lupo, indifferente come il
paesaggio precedente, arriva Eric, ancora uno sconosciuto, seguito da una coppia di anziani. Il treno si
ferma e quando riparte accade la tragedia: l’uomo che aveva infastidito J si butta sotto il treno (altro
elemento tipico della tragedia greca, i personaggi si suicidano fuori scena, non si racconta del suicidio ma si
racconta il trambusto e il ritrovamento del corpo). Non appena il treno si ferma i passeggeri tacciono
capendo che è successo qualcosa, torna il tema dell’incertezza della parola, i passeggeri vogliono sapere,
chiedere ai soccorritori e allo stesso tempo si sentono in dovere di rispettare, di rimanere in silenzio. Chiede
a Eric, che era fra i soccorritori, lui non le risponde e lei si sente sanzionata perché pensa che lui voglia
ricordarle il rispetto dovuto alla situazione. La presa di distanza dalla tragedia si trova anche all’inizio in cui J
dice a Juanita che ha interrotto la relazione con Eric perché la moglie di lui è stata investita ed è in
condizioni gravi. Anche il treno sembra riprendere più lentamente la marcia come se volesse esprimere il
proprio rispetto. Il distanziamento tuttavia non è necessariamente forma di rispetto, nel racconto presente
lo è in maggiorparte, in Vergogna ad esempio la distanza è modo per non essere contaminati, come i
poliziotti. La presa di distanza può anche essere disinteresse per l’altro, autodifesa, volontà di non essere
coinvolti.

1/10

Vengono riprese delle citazioni da un saggio di Dodz che parla delle menadi, le circostanze della storia di J
sono simili a quelle delle menadi, J è in un paesaggio innevato, gelato e D dice qualcosa di simile sulle
menadi che si appartano per compiere i propri riti ma sono a volte costrette a chiedere aiuto quando si
trovano esposte alle intemperie. J inoltre è in difficoltà con il ciclo, elemento che richiama i riti delle società
premoderne in cui le donne si allontanano dalla comunità. D dice che la menade sia un tipo umano ancora
osservabile nella realtà. J condivide i rilievi di D e si chiede se le sue studentesse coglieranno il senso
moderno del concetto di menade. Anche J può essere vista sotto la luce del menadismo, lei è il catalizzatore
della morte dell’uomo, potrebbe essere lei ad aver fatto precipitare la situazione già critica dell’uomo,
coerente con la fascinazione tragica di J (Dioniso è inoltre il dio della tragedia, le tragedie venivano messe in
scena durante le dionisie). Inoltre le menadi sono umane la cui personalità è stata sostituita da un’altra,
anche J vive un momento di incertezza identitaria, il suicidio dell’uomo la precipita in una situazione di
vergogna e confusione oltre che di incertezza per la propria condizione morale. J sente il bisogno di
raccontare la sua esperienza ma senza indulgere nel pettegolezzo, cerca quindi di scrivere una lettera ai
genitori dalla prospettiva “superiore” che lei è solita adottare, ma le manca il suo linguaggio abituale poiché
esso presuppone una certezza sulla propria posizione nel mondo, certezza che J non ha più. La situazione di
crisi è caratteristica della narrativa di M. lo scenario sembra mutare in risposta al cambiamento identitario,
l’aria sembra greve di oscurità e J riapre il saggio di Dodz e trova un passaggio sulla cultura della colpa e
della vergogna. D parla della tentazione da parte di demoni maligni, D lo richiama in relazione ai Persiani di
Eschilo in cui Serse sarebbe stato tentato da un demone, tuttavia il fantasma di Dario spiega
successivamente che la tentazione è stata generata non gratuitamente ma per punire l’hybris di Serse.
Queste parole sembrano sconvolgenti a J nonostante l’avesse già letto, il passo sembra suggerire l’hybris di
J stessa, che ha una responsabilità nella morte dell’uomo.

Silence

J è ormai vecchia, ha perso Eric, che è morto, e anche la figlia che ha smesso di parlare con lei ed è
praticamente scomparsa. J è stata accademica, presentatrice alla tv e infine cameriera e ha sempre
proseguito le sue ricerche sui greci (indagine, come Edipo). J spera come le persone “who know better”,
come Eschilo e i morti erano definiti prima, J sembra essere in una posizione di illimitata comprensione ma
di impossibilità di riparare, è la visione di chi ha compreso che esiste una “cosmic justice” ma non è in grado
di ricostruirne le ragioni. Quindi è la posizione di osservatore invulnerabile che aveva una volta, ma stavolta
nel senso che è come una morta, che non può più essere ferita. Quando si soffre per un lutto spesso si
guarda al passato sapendo ora ciò che non si sapeva allora, ci appare come “l’ultima volta”, il lutto di questa
ironia è pieno. Anche la visione di J è ironica, ripensando agli anni passati con la figlia e il compagno ora sa
ciò che non sapeva allora, la brevità del tempo a cui sta pensando. Come per David la nuova
consapevolezza non rende in grado i personaggi di utilizzarla in modo concreto, per riparare gli eventi. Altre
interpretazioni, la speranza di J è irrazionale e lei ne è consapevole, altre voci non interpretano
ironicamente la speranza finale, la vita finale di J non sarebbe tragica ma sarebbe semplicemente un nuovo
genere di vita. Anche Munro stessa in un’intervista dice che è troppo complicato stabilire cosa sia la felicità
e che in ogni caso il finale del racconto non le sembra tragico.

Un altro tema è quello del conflitto generazionale, anche questo presente nel mondo della tragedia greca.
La difficoltà del linguaggio sembra sciogliersi quando Eric si scusa per non averle risposto prima, J scoppia a
piangere e racconta quello che è successo, Eric sembra comprendere l’elemento di imposizione sentito da J
nel discorso dell’uomo così come la sfortuna di J nell’aver ricevuto una “punizione” smisurata a ciò che ha
fato, che può al massimo considerarsi una scortesia. Eric racconta ciò che è successo a sua moglie, le
circostanze della morte della moglie rivelano una colpa, la moglie è stata investita dopo una festa da cui se
ne stava andando senza il marito, ed Eric viene dipinto come un uomo infedele, queste due informazioni
tratteggiano una possibile motivazione delle circostanze della morte. Sembra emergere un’analogia fra le
due morti e le due colpe, le morti sono imputabili a una mancanza di cura degli altri, J non aveva nessuna
responsabilità verso l’uomo del treno, tuttavia ha scelto l’indifferenza. Anche Eric sembra essere piuttosto
insensibile verso lo stato vegetativo della moglie, definendolo semplicemente “un nuovo tipo di vita”. La
reticenza a parlare della sua vita (non dice che ha un figlio che sta andando a trovare) è strategica
(probabilmente vuole sedurre J). Quando J va a trovare Eric scopre con disappunto che lui ha già delle
relazioni, E le fa capire che sa perché è venuta ma allo stesso tempo che non è esattamente la benvenuta. J
oscilla fra umiliazione e determinazione nel conquistare Eric, stessa confusione che c’era stata in occasione
del bacio sul treno. Eric potrebbe richiamare Eracle, J percepisce l’elemento di forza virile anche nella sua
accezione offensiva, di insensibilità e infedeltà nei confronti delle donne, elementi che accendono il
disprezzo di J. Eric comincia a pensare di poter mettersi nei panni di chi ha il coltello dalla parte del manico,
di essere lei a giocare con Eric sempre nei termini della carelessness. J comincia a divagare sulla perdita,
sulla perdita una volta insopportabile e ora vagamente ricordabile=scivolare verso l’indifferenza, J pensa
che sia necessario prendersi cura di ciò che sia ama. Soon diventa la parola che indica il rinvio, la promessa
di cura non mantenuta, e che è anche il titolo del secondo racconto, in cui J dimentica di prendersi cura di
qualcosa che poi perderà (la madre). Come cambia la fortuna: sei mesi prima J ed E erano due estranei e
l’uomo del treno era ancora vivo.

3/10

Juliet torna dai genitori con la figlia Penelope, di un anno. J ritrova la propria comunità di origine, J proviene
da un ambiente diverso, vive una relazione che per la morale tradizionale è problematica (non sono
formalmente sposati). J si sente quindi giudicata>conflitto. J dimostra durezza verso Irene, la ragazza che
aiuta in casa, ha una vita difficile (il marito è morto, lei ha una figlia malata, è stata abbandonata da piccola
dal padre) ma J non riesce a provare compassione per lei, insofferenza verso la litania di sciagure (è
troppo!). J prova avversità anche verso il prete, sente che lui la giudica tuttavia è testimone di una sua crisi
ipoglicemica e lo aiuta. J prova della gelosia per Irene e il prete, che si prendono cura dei genitori anziani.
Successivamente J si mostra insensibile anche verso la madre, la fine del racconto mostra il rimpianto di J
per non aver offerto nessun conforto alla madre. Si rende conto di aver dato ascolto più al proprio fastidio
che al reale bisogno della madre. La solitudine delle due morti dei racconti (la madre e l’uomo del treno)
sono dovute anche al rifiuto di J di parlare con queste persone. I personaggi di M per lo più riescono ad
accedere a forme di vita diverse, ritenute inarrivabili per qualcuno che provenga dalla loro comunità,
questo però ha un costo rileva Franze e in questo senso l’esito del viaggio è tragico, non per forza nel senso
pieno ma perché conciliare tutto è impossibile, non si riesce a mettere insieme la modalità di vita scelta e
l’affetto o la comprensione in questo caso dei genitori. Questo non significa dunque che i personaggi siano
colpevoli per le loro scelte. La colpa dei personaggi non implica che tutto ciò che poi accade loro sia
“meritato”, come nella tragedia classica la punizione eccede la colpa. J sembra rendersi conto nel finale di
come l’abbandono della figlia possa essere considerato un enigma, un incidente in cui J non ha parte, ma
anzi si rende conto che l’abbandono ha a che fare con lei e si inserisce quindi nel concetto di “cosmic
justice” di Dodz. J non arriva però a identificare precisamente una propria responsabilità, in Silence J fa
diverse congetture e si interroga su cosa possa avere indotto la figlia a rifiutarla. La figlia usa il silenzio come
un’arma, lascia la madre in un’interrogazione senza possibilità di risoluzione. Comunque J individua degli
errori che lei potrebbe aver commesso, sempre all’insegna della carelessness, sembra possibile che i tre
racconti illustrino un “crescendo di colpa “ di J che non presta cura inizialmente a uno sconosciuto, poi ai
genitori, infine alla figlia. J immagina un nuovo finale per le Etiopiche di Eliodoro, in cui madre e figlia si
riuniscono, J persegue una sorta di soddisfazione fantastica del proprio desiderio. Il carattere di Penelope
inizialmente è descritto da J come forte e nobile, questa forza è sentita come un vanto da J, ma questa
soddisfazione è destinata ad essere messa in dubbio subito dopo da Joanne che invece le dice che P ha
subito solitudine e infelicità, anche a causa della mancanza di spiritualità cristiana nell’educazione di Juliet
ed Eric. Joanne non risponde alle proteste di Juliet come Penelope. Emerge l’infelicità di Penelope, legata a
solitudine e determinata dal silenzio, dal fatto di non aver detto certe parole. D’altra parte la spiegazione di
Joanne si contraddice: c’è l’accusa di non aver educato secondo i valori religiosi insieme alla giustificazione
dell’abbandono della madre da parte di Penelope. J sembra mancare di autoconsapevolezza e anche una
certa arroganza (nei confronti di Joanne, del prete, delle persone del paese). Sembra sentirsi offesa
nell’orgoglio dal ritiro nella comunità cristiana della figlia e dall’adulterio di Eric (sembra arrabbiata più per
l’orgoglio che per l’amore rovinato). Ribaltamento della solidità della figlia: prima è forte come una statua
greca, poi è dura come la pietra. Nel corso del lutto di Eric J si appoggia a P e si accorge di abusare della
forza della figlia, di gettare addosso a lei il fardello del lutto. Nell’abbandono di P si coglie anche il destino
generazionale: anche J aveva abbandonato la madre Sarah. J ammette con se stessa di non aver mai
protetto la figlia dalle proprie tempeste emotive e di essere stata manchevole dell’autocontrollo che un
genitore deve avere, il che non significa che la colpa sia interamente sua, anche P ha la sua parte. Anche per
l’abbandono di P, così come per le decisioni di Lucy dopo la violenza, non abbiamo una diretta spiegazione
del personaggio. Non c’è nei racconti una riflessione sulla letteratura come c’era in Vergogna, c’è un
complesso orizzonte intertestuale ma non c’è un’elaborazione metaletteraria sulle funzioni della
letteratura. Spesso però nella narrativa di Munro c’è una rappresentazione della colpa come scelta di
scrivere, spesso chi se ne va dal paese lo fa per perseguire una carriera accademica o in generale per
scrivere (vicenda biografica di M). le protagoniste, scrivendo, esemplificano quel sentimento di
realizzazione di sé che poi può avere conseguenze dolorose.

8/10

Todorov parla delle derive indesiderabili dello strutturalismo che sarebbe la perdita dell’interessa nella
letteratura e un’eccessiva concentrazione sui tecnicismi e sugli strumenti utilizzati per studiare la
letteratura stessa, un serpente che si morde la coda.

Frequente richiamo al concetto di tragedia nelle opere affrontate: la rovina, l’infelicit, temi ricorrenti nel
corpus tragico, saggio di Dodz, menadismo, cultura della colpa e della vergogna. Aristotele propone una
teoria strutturata della poesia e in particolare della tragedia. Questa trattazione della poetica si lega anche
alla trattazione che Aristotele svolge nell’etica nicomachea, dove elabora i concetti di eudaimonia (possesso
sicuro di una virtù, felicità) e di fronesis (saggezza) che è la capacità dello spettatore di interpretare l’opera.

La honte-Ernaux

Il materiale è autobiografico, ma l’elaborazione porta alla creazione di un romanzo, fino a La place, dopo il
quale Ernaux non scrive più fiction, oppure scrive bio-fiction. Il racconto si apre sull’evento che ne
costituisce il centro e il punto di avvio: il mancato omicidio della madre di Ernaux da parte del padre, il 15
giugno del 1952. La precisione della data compare alla fine della prima sequenza, dopo il racconto
dell’evento. Inizialmente la determinazione temporale rileva la singolarità dell’evento (una domenica di
giugno) ma in modo impreciso, suggerendo già l’accadere sullo sfondo delle consuetudini della vita
domestica che l’evento interrompe. Alcuni particolari infatti si sono persi, perché erano fin troppo noti,
alcuni dettagli quindi si affidano alla congettura. La modalità iterativa rimanda al tempo collettivo e sociale,
non è solo l’insieme delle abitudini della famiglia di E a emergere come sfondo ma c’è anche lo sfondo
collettivo della Francia del dopoguerra. L’evento rompe la continuità dell’iterativo, il passato prossimo
avvicina improvvisamente l’evento nel racconto. E non riesce a capire o non ricorda cosa dice il padre, ci si
ricorda solo il timbro della voce. I discorsi vengono rappresentati solo in quanto atti linguistici: la madre
dice qualcosa che innesca la lite, non si sa cosa ma si conoscono gli esiti. Il senso di ciò che il padre e la
madre si dicono si perde nel racconto e sembra in fin dei conti irrilevante, ciò che si conosce del dialogo è
solo che ha conseguenze violente. A parte l’urlo di aiuto della madre “figlia mia” tutte le altre testimonianze
uditive sono singhiozzi etc. la situazione poi si sgonfia e l’evento emerso dalla normalità viene riassorbito da
questa stessa normalità. I motivi particolari della lite sembrano irrilevanti, E non sembra preoccuparsi di
ricercare nel dialogo precedente le ragioni particolari della reazione del padre, quello che ci rende è come
in una relazione abitualmente conflittuale ma non violenta il padre ha un momento di furia omicida e di
volontà di uccidere la madre. Il gesto e il volere mancato hanno comunque delle conseguenze, anche se
non mortali. Non tanto per la famiglia, la madre non sembra avere paura per la propria vita, ma per la
stessa Ernaux. Ciò che la terrorizza è proprio la volontà, il fatto che il padre fosse in grado di odiare in quel
modo. Voce sconosciuta=odio sconosciuto. E osserva che l’evento sembra segnare la fine della sua infanzia,
dell’evento non si è mai più parlato ma per lei costituisce uno spartiacque e la prima data che lei ricordi è
proprio quella del 15 giugno. E ha 12 anni, ciò che racconta nel seguito sembra far capire che l’infanzia per
E fosse comunque finita, ma ora c’è una prima storicizzazione, come se sorgesse la capacità di collocare
eventi particolari situandoli in una data precisa. Questo corrisponde a una più ampia modificazione del
tempo di E, sembra che qualcosa si sia frapposto fra lei e la sua vita, come se avesse perso l’immediatezza
dell’approccio infantile alle cose e si rapportasse a queste da una distanza, con iper-autocoscienza. E
osserva che il problema non è la colpa, non vuole stabilire chi è colpa di cosa, non accusa nessuno. Non le
sembra colpevole né la madre né il padre, ciò che la sconcerta è proprio l’odio in se stesso e più
profondamente il fatto che due persone che la amano molto possano aver voluto uccidersi. Per lei la
spiegazione psicologica è cristallina (il padre è succube e fa esplodere la violenza), dal punto di vista morale
però l’odio è incomprensibile. L’impressione di distanza etc non sembra ridursi dopo averla scritta, l’evento
resta comunque incomprensibile e l’evento a cui lei compara tutti gli altri eventi dolorosi per valutarne
l’intensità. C’è ancora l’idea del tragico, malheur, sciagura. nel caso di E il processo di cambiamento del
tempo è innescato non solo dalla crescita ma anche dalla paura che l’evento possa ripetersi, anche perché
diverse cose glielo ricordano nel tempo. L’evento non si ripete, e in un certo senso non poteva ripetersi
essendo un evento spartiacque. L’episodio era irreversibile, una volta che l’odio è stato manifestato è
impossibile tornare indietro. Fotografie: due foto a confronto, in una E è bambina, nella seconda è già
“petite femme”, osserva che non sono ciò che sembrano, ovvero persone chic e in villeggiatura. Arriva la
consapevolezza della propria posizione sociale, la seconda foto inaugura un tempo in cui comincia a
provare vergogna. L’episodio dell’aggressione da una parte è traumatico per l’odio che rivela ma dall’atra
prelude all’emergere di un orizzonte sociale che è quello della vergogna. Perciò il senso dell’episodio va
colto all’incrocio di questi due elementi. La vergogna sembra essere il portato di come ciò che è generato
da quell’episodio una volta che questo venga proiettato sullo sfondo sociale. Non ci si vergogna da soli ma
davanti a qualcuno. Il primo tentativo di racconto dell’evento non è letterario ma avviene oralmente, E
racconta agli uomini di cui è innamorata ciò che è successo. Gli uomini tacciono e mostrano una certa
incapacità di rispondere a una persona che ha vissuto circostanze tragiche, ad es i poliziotti di Lucy, le
persone non sanno come rispondere>stigma. E quindi tenta la diversa via della scrittura, scrive dell’episodio
dopo 43 anni, la vergogna non genera più silenzio ma un testo. E tende anche però all’esposizione verso un
pubblico anonimo, non “presente”, che si raggiunga poi non attraverso l’immediatezza dell’oralità ma
attraverso le mediazioni della scrittura, cosa che presume elaborazioni, velature etc. E è sorpresa che la
scrittura funzioni. Il vissuto viene risituato in un contesto più ampio, in cui si opera un processo di
normalizzazione e di spossessamento, E comincia a pensare a come l’evento sarebbe potuto accadere per
tutti, non solo per lei. Sembra costituirsi una doppia memoria dell’evento.
9/10

E si accorge di essere cambiata dai tempi dell’avvenimento, perciò il senso che ha ora per lei ciò che è
successo è diverso da quello che aveva per lei al tempo. In un certo senso è incapace di ricollocarsi nella se
stessa di allora. Tenta allora un’operazione etnologica, cerca di ritornare a sé osservando le tracce che ha a
disposizione. Non si accontenta di trascrivere le immagini della memoria come se potessero ritrarre
fedelmente la realtà di allora né di fare un romanzo. Il tentativo è di riappropriarsi delle immagini della
memoria anche attraverso la ricostruzione dei linguaggi che la costituivano. Desidera che richiamare
l’evento possa modificare il senso che esso ha avuto per lei, la paura/desiderio si vede anche nella
percezione della scrittura come proibita. Paura anche che la scrittura privi la scena della sua sacralità. Il
fatto di raccontare sembra cambiare l’impatto emozionale che la scena aveva per E, c’è una forte
componente metatestuale. la honte partecipa di due tendenze della narrativa di fine 900-inizio 2000: la
scrittura biografica e il racconto di eventi traumatici. Nella seconda parte c’è il racconto della società e della
famiglia di E, dall’insieme di contesti E individua il provincialismo. Rouen rappresenta già un aldilà del
mondo noto e suscita un sentimento di inadeguatezza e inferiorità. Questi spazi in cui E si muove sono divisi
secondo le distinzioni e le appartenenze di classe, descrivere i luoghi ha il potere di far emergere le
gerarchie sociali. E si inserisce in una serie di ricerche che insistono sul fatto che il linguaggio sia visione del
mondo, E utilizza il linguaggio del paese e della sua giovinezza, in cui esiste un preciso codice linguistico e
non si usa mai una parola per un’altra. Ogni uomo è un ideologo già solo per il linguaggio che usa. E elabora
una scrittura piatta, cerca cioè di non sovrascirvere il proprio linguaggio di ora al linguaggio di allora. E non
ritiene che questo tentativo di riraccontare a posteriori la morale pratica presupponga il raggiungimento di
una morale superiore, perciò rifiuta un atteggiamento di condiscendenza o derisione verso l’ambiente della
sua giovinezza, anche se rivendica o cerca una distanza critica, ma non giudicante. La madre di E desidera
per la figlia un’ascesa sociale che le sembra incompatibile con un atteggiamento troppo sottomesso o
orientato al sacrificio, allo stesso tempo troppa devozione religiosa potrebbe nuocere allo studio.
Comunque iscrive la figlia alla scuola privata cattolica, che già opera una distinzione di livello fra lei e le altre
ragazze. Stranamente la madre è molto devota, anche se per la figlia non desidera la stessa cosa, il padre
invece è estraneo alla religione. Il viaggio che E compie con il padre porta diverse situazioni che sono cause
di vergogna. L’effetto più problematico dell’evento è quello di essere usciti dal gruppo delle persone per
bene che non bevono, si vestono bene etc. è anche l’ambiente del collegio a causare questa vergogna. E
impara a vedersi con gli occhi degli altri, è significativa la scena del ritorno a casa con un’insegnante e le
compagne e intuiscono come possano vederla le altre e la vergogna si insinua ovunque, anche negli atti più
impensati. E dice come nel viaggio lei abbia sofferto della propria inferiorità economico-sociale rispetto agli
altri. Si nota come la vergogna abbia spesso a che fare con il corpo quando è esposto allo sguardo altrui,
non è solo la sessualità ma anche i banali colpi di tosse o il bisogno di andare in bagno o ancora la ferita
infetta sul dito. Tutto questo consolida la sua vergogna, che è in fondo anche ciò che lega la ragazza di
allora alla donna di oggi.

12/10/2021

E torna diverse volte sugli eventi della sua biografia, ogni volta dando una lettura diversa. La scrittura
genera anche la sensazione di non essere soli, rendendo gli eventi della sua biografia non solo suoi ma
anche di tutto il pubblico. L’aspetto peggiore della vergogna è che si crede di essere gli unici a provarla,
scrive. Il discorso si prolunga in una riflessione più sociologica, indagando come la vergogna sia legata a
certe posizioni nella scala gerarchica, a questo punto l’obiettivo letterario del superamento della solitudine
del singolo può anche avere un valore politico. Il suo racconto, che cerca di capire come avvenga la sua
evoluzione e la sua crescita come donna si legano anche a un discorso “impegnato”, superare la vergogna
significa anche superare le barriere sociali. C’è l’idea che la scrittura sia politica perché fa prendere
coscienza di certi problemi. In un certo senso La vergogna è un’opera incompiuta, inizialmente l’evento
chiave è raccontato come un’esperienza traumatica, mentre successivamente è raccontata come causa
della vergogna. Trauma e vergogna sono strettamente correlati quindi lo slittamento non è sbagliato però
sembra comunque che rimanga qualcosa di inelaborato. E è coerente nel proseguire il proprio processo, nel
solco di testi da lei definiti autosociobiografici. Une femme: precede La vergogna, riguarda la madre, si
racconta per prima la morte in un primo capoverso molto privato. Nel seguito della prima parte E parla
delle esequie, vissute con un misto di senso di assurdità per tutte le formalità e il dolore. il racconto delle
esequie è laconico, nella seconda parte il dolore emerge pienamente ed è anche somatizzato. E risale al
tempo della giovinezza della madre e parla anche dei nonni, situati sociologicamente nella fascia popolare.
E offre una serie di osservazioni e ricordi che, parla dell’alienazione della madre in fabbrica, della sua
violenza e della sua abitudine di bruciare ogni cosa. La violenza e la rabbia derivano presumibilmente
dall’ordine sociale e dalla sua appartenenza ad una classe inferiore, la stessa costrizione è avvertita verso le
norme che limitano le donne. La madre è quella che lavora con maggiore determinazione e costanza, in
nome di una promozione sociale, mentre il padre viene a rimorchio. La madre cerca di non restare
confinata nei limiti del linguaggio di classe, si sforza di imparare sull’onda di una grande attenzione a ciò che
pensano gli altri. Il fatto di poter essere vista e giudicata dai clienti la induce a riflettere sul proprio aspetto
e carattere. Complessivamente E racconta come questo sforzo di sottrarsi alla miseria originaria riesca
almeno a strapparli all’instabilità finanziaria e proiettando lei nella condizione agognata dalla madre. La
figlia maggiore muore prima che E possa conoscerla. E dice che le sembra di mettere al mondo sua madre
scrivendo di lei. Doppia memoria: il vissuto individuale resta oggetto della memoria ma nello stesso
momento si crea una memoria diversa, relativa alla scrittura. Raccontando la madre per farne emergere
anche la dimensione sociale e storica riflette sul suo desiderio di elevarsi e su come anche il desiderio di
imparare sia legato al primo. La relazione privilegiata tra E e la madre finisce con l’adolescenza, quando
cominciano i conflitti. La madre non riesce ad accompagnare la figlia nei problemi della sessualità per via
della sua educazione e questo genera un conflitto e in E una visione oscillante, che rende la madre ora
buona ora cattiva. A questo conflitto si unisce anche quello di classe, perché la madre incoraggia E a
educarsi e ad arrivare ad un livello sociale che per quanto ambito è anche problematico, la madre è in
conflitto con la classe borghese. Il conflitto si riduce poi perché E inizia a percepire la sostanziale differenza
che c’è fra loro e le è grata per averle dato una vita che lei non aveva potuto vivere come voleva.

15/10/2021

Nel seguito del racconto E dice che il suo matrimonio apre un periodo in cui lei e sua madre conducono vite
separate. È una distanza definitiva anche se con momenti di convivenza intermittenti. Disagio, vergogna
della madre per la vita borghese della figlia, non sa come comportarsi, ha paura di non essere utile etc. con
l’abitudine la madre sembra estirpare da se stessa tratti del suo carattere che E faceva risalire alla classe
popolare. Poi la madre torna a vivere da sola ma la sua vita diventa composta da abitudini per via
dell’assenza del lavoro, arriva poi l’Alzheimer. Il disagio della malattia non impedisce a E di scrivere, per
quanto unire le due figure della madre, quella malata e quella in salute, sia problematico l’obiettivo della
scrittura è proprio il superamento della discontinuità fra i due momenti e quindi il ritrovamento di un
senso. Sopraggiungono allora anche dei momenti di identificazione con la madre, E sogna di essere tornata
bambina e di essere allo stesso tempo sua madre, sogno in cui lei individua il principio dell’oblio. Il tempo
incomincia ad essere un palinsesto: fatto di momenti sovrapposti, torna a emergere dopo l’immagine della
madre malata quella della donna forte e luminosa che era stata. La trasfigurazione finale dell’immagine ha
una matrice teologica e parlare di “corpo glorioso” fa pensare alla morte e alla risurrezione cristiana come
atti conclusi, accettati. Corpo glorioso è un’espressione usata in teologia per riferirsi al corpo che i defunti
riceveranno dopo il giudizio universale. Il corpo della madre è uno dei modi cronologici per raccontare la
vita. Il bisogno di scrivere emerge quando si attenua il lutto, E si rende conto di come la madre sia stata
fuori dal tempo, priva di storia ed E non sa come sottrarla all’atemporalità. Vorrebbe cogliere anche la
donna non madre, il progetto è letterario, perché ambisce alla verità ma E dice anche di voler restare “al di
sotto della letteratura”, nel senso di restare dentro al suo legame privato con la madre. E parla di come la
scrittura non cambi il senso degli eventi per lei ma aggiunga un senso per i lettori. Torna l’espressione
“mettere al mondo”, il senso del racconto si biforca, uno è per i lettori e uno per la scrittrice. Questa
caratteristica divergente si ritrova nella doppia chiusa del finale, il primo insiste sulla dimensione
storicizzante e pubblica della scrittura mentre l’altro torna nel vissuto più privato con la madre, che ora si è
perso. E non sente più il proprio passaggio alla classe borghese come un tradimento ma come qualcosa che
la situa in un determinato contesto economico e sociale. d’altra parte il fatto di usare la facoltà borghese
della scrittura per ricordare la madre può essere una forma di risarcimento per questo “tradimento”. È una
scrittura che si tiene lontana dal romanzesco e si accosta al terreno delle scritture referenziali. La pratica di
scritture non finzionali caratterizza i primi anni 2000. Ciò che è finzione da ciò che non lo è: prospettiva
semantica, pragmatica, testuale. Quella semantica riguarda il fatto che la fiction racconta di personaggi e
fatti di invenzione, oppure di raccontare a proposito di cose e persone esistite fatti non avvenuti realmente.
Questa prospettiva insiste sugli oggetti del discorso e sulla verità degli enunciati. Diverse teorie filosofiche e
del linguaggio. Prospettiva pragmatica: concentrarsi sulla finzione come attività immaginativa, che si lega
alle esperienze del gioco e dell’esplorazione, questa prospettiva assimila la finzione a tutta la letteratura in
generale, poichè ne facciamo un uso estetico. Prospettiva testuale: Genette e Cohn, quali contrassegni
testuali potessero essere considerati propri della finzione. C nota che il discorso indiretto libero etc
appartengono ai testi di finzione e non si trovano quasi mai in quelli non di finzione. Però non esiste nessun
contrassegno testuale che sia esclusivamente di finzione o non finzione.

19/10/2021

Vite che non sono la mia

Appartiene alle opere di non fiction, è un’opera bipartita, comprende una prima parte più breve che
racconta gli eventi avvenuti in Sri Lanka. Il tema che subito emerge è quello della separazione dei destini, il
destino di chi è risparmiato dallo tsunami e quello di coloro che invece hanno perso qualcuno o sono morti.
Due umanità separate che fino al giorno prima non erano divise. Carrere si domanda se Delphine e Jerome
possano provare risentimento per lui ed Helene che non hanno perso nessuno e si sorprende quando si
accorge che non è così e che anzi J e D sono contenti anche per un’altra coppia che ha ritrovato il figlio. La
saggezza in questo caso non può proteggere dalla tragedia. Chi non è personalmente colpito dlla tragedia
sembra immerso nella banalità e nella quotidianità: rappresenta se stesso e la propria famiglia mentre
vivono una vacanza in modo tipico da famiglia borghese di sinistra, si racconta in una condizione di
normalità inquadrandosi sociologicamente. C esibisce l’aspetto di normalità della propria famiglia, anche
perché è un elemento di condivisione con i lettori. Si insinua il sospetto che anche in questa normalità
possa arrivare la tragedia più inaspettata. Il fatto che il tragico irrompa nel banale non significa che esso
venga cancellato, la catastrofe innanzitutto è anche motivo di un litigio fra Carrere e Helene, dopo il quale C
i sente inadeguato di fronte alla tragedia e sentendosi geloso di Helene che ha preso l’iniziativa di aiutare
nelle ricerche di Juliette. L’esibizione delle imperfezioni di C è sempre un modo di accostarsi al lettore. Non
vengono nascosti i difetti: la banalità dei pensieri, il vittimismo, l’egocentrismo etc. C dice di cercare la
sincerità non solo nella rappresentazione di se stesso ma anche in quella degli eventi, insiste
sull’appartenenza dell’opera alla non fiction. C non nasconde che il banale quotidiano possa avere una
funzione positiva, di rifugio dal tragico, si vede nel modo in cui J e D cercano di frenare l’impatto della
tragedia o in quello che accade loro: la difficoltà del funzionario, la telefonata non inoltrata, i litigi con
l’assicurazione. Rifugiarsi nelle piccole attività noiose può essere positivo, inversamente il tragico irrompe
nel quotidiano e agendo come monito o scossa contro lo sgretolamento dal lento insinuarsi della
catastrofe. C confronta la propria inquietudine con il futuro di Ruth e Tom, si rende conto che la relazione
fra lui e Helene sembra finita e viene preso dal panico, decidendo di provare a cambiare le cose.
Rendendosi conto di tutto ciò che ha decide di proteggerlo. C riconosce in se stesso una certa
fossilizzazione, dato anche dal tipo di società, quella europea, in cui è cresciuto, una società in cui la
sicurezza si paga con la sedentarietà o con una vita poco avventurosa. Scrivendo delle vite che non sono la
sua C esplora le “possibilità mancate”, le vite che si sono scostate dalla normalità.
L’inadeguatezza di C riemerge nel momento della malattia di Juliette, non nasconde che nei giorni della
malattia non è toccato dalla tragedia, la sua vita sta sbocciando, c’è il successo letterario etc ed è
completamente diversa dalla vita della sorella della moglie, che sta morendo. Ritorna il tema della
differenza dei destini, Juliette sta morendo, l’amica Cecile è incinta e mentre Juliette piange passa un corteo
di matrimonio. Mentre lei si spegne nella scuola delle figlie di Carrere si festeggia la fine dell’anno
scolastico. C nel raccontare la sua inadeguatezza o la sua ridicolaggine non arriva mai a essere meschino,
anche se la sua sincerità può essere a volte brutale. C dice di aver raggiunto la felicità e quella forma di
saggezza che lo mette al riparo dal distruggere la propria felicità per noia o per capriccio anche se continua
ad essere spaventato dall’incidente, dalla malattia, dal maremoto come evento improvviso. Questa felicità
dura 10 anni, dopo i quali in Yoga Carrere parla della fine della relazione con Helene, della tendenza
all’autodistruzione, della depressione. In Yoga si parla anche del cancro, come qualcosa che colpisce
dall’esterno, questa idea è invece controversa in vite che non sono la mia, Etienne discute a lungo della
questione, dice di essersi identificato con la propria malattia, “il tuo cancro non è un avversario, sei tu”. E si
ammala in giovane età, interrompe la terapia a metà e sembra salvo, il cancro si ripresenta e una gamba
deve essere amputata. E parla dell’illuminazione raggiunta che gli consente di superare la rabbia. Carrere
nega invece la possibilità che il cancro possa essere nient’altro che un incidente. Tre atteggiamenti e tre
storie differenti sul cancro e la malattia: quella di Etienne, quella di Juliette e quella di Carrere.

22/10/2021

La posizione più netta riguardo al cancro è quella di Juliette: la mia malattia mi è estranea, mi uccide ma
non sono io ed è una prospettiva opposta a quella di Etienne. E ha un atteggiamento ambivalente,
contraddittorio, afferma che la malattia può essere descritta come un accidente, ma d’altra parte quando
Carrere cerca di fissare l’illuminazione di Etienne la frase che ottiene è “il cancro sei tu, non è un
avversario”. La posizione di Etienne si presenta come simile a quella di Juliette, ma C la fa emergere in
modo più ambivalente. C cerca un senso alla malattia: cita “il cavaliere, la morte, il diavole” di Fritzhorn (?)
e un’intervista a Pierre Casnard (?) in cui si analizza la malattia in relazione alle nevrosi del malato. C arriva
ad imputare un significato alla malattia, riprende l’analisi psicanalistica di Casnard, la tesi è che i malati di
cancro soffrano di un dolore nascosto e taciuto già prima dall’insorgere della malattia, e che la terapia
debba portare i malati ad affrontare apertamente sia il dolore della malattia che quello originario. Casnard
cerca quindi di far interpretare il cancro come una conseguenza della propria sofferenza. Quando il dolore
originario dà vita al cancro il malato lo riconosce e sa che il cancro è lui. Carrere dubita della tesi, o
quantomeno del fatto che ogni cancro abbia origine psicosomatica. C dice di credere che ci siano persone
che “non riescono a vivere malgrado tutti i loro sforzi” e che il cancro sia uno dei modi in cui la vita cerca di
emergere in queste persone, altri modi sono scrivere libri (come Carrere stesso) o la menzogna. La malattia
può essere compresa come qualcosa che ci dà informazioni sulla personalità di qualcuno, per cui la malattia
può essere un modo per il malato di conoscersi e può essere raccontata. La malattia può quindi essere un
punto di osservazione estremo sulla vita, così come fa Juliette, che dice alla sorella che sente di aver avuto
una vita riuscita. Carrere riflette sull’affermazione e pensa che sia vera, poi pensa allora a quello che lui
avrebbe risposto al suo posto. Carrere dice che per lui è l’amore a dargli il sollievo di una vita riuscita, il
superamento dei limiti del proprio narcisismo rende riuscita l’esistenza. Il sentimento di una vita realizzata
naturalmente non cambia la tragedia. C parla del tempo che le figlie di J hanno trascorso con lui e Helene,
immaginando questo tempo come fossero le anticipazioni di Juliette prima di morire, figurandosi J che si
immagina il tempo delle sue figlie senza di lei. A tormentare J è la sua improvvisa mancanza nella vita delle
figlie, è oppressa dal timore che le bambine non la ricordino o pensino che lei non le ha amate abbastanza
da vincere la malattia e rimanere con loro. C è ammirato da Patrice, il compagno di J, dalla sua capacità di
vivere nel momento senza pensare al futuro per quanto attraversi momenti di angoscia e tormento. Uno
dei modi in cui C rileva la sua fortuna è di dire che vede cose per la prima volta, in Sri Lanka ha visto per la
prima volta dei morti, con Juliette è la prima volta che vede qualcuno morire. Insieme al dolore si
mescolano sentimenti diversi: l’angoscia diventa orrore e anche amarezza, sarcasmo, insofferenza, tutti
sentimenti variamente legati alla rabbia e al sentimento di ingiustizia. Si percepisce ciò che sta accadendo
come la percezione di una mostruosità che sta per rovinare addosso a tutti. Il dolore di chi resta può essere
senza fine, si pone la domanda (in Sri Lanka) guardando Delphine. C pensa a come i giocattoli, le giostrine,
tutto ciò che riguarda i bambini provocheranno un dolore a Delphine fino alla fine della sua vita. Ciò che si
osserva è l’impossibilità di abbandonare l’altro, il rifiuto di rescindere il legame significa anche essere
trascinati dentro alla morte altrui. Verso la fin del libro C è portato inevitabilmente a concludere che la vita
continua necessariamente, Helene e Carrere pensano senza malanimo che Patrice un giorno si risposerà e
avrà una nuova vita. P riconosce che di aver preso le distanze dal lutto, dice di sapere che un giorno gli
capiterà di rimanere un quarto d’ora senza pensare a Juliette, e poi un’ora etc. Carrere torna a confrontarsi
spesso con il problema dell’autorizzazione a scrivere: quando incontra la madre di Patrice questa gli dice di
aver letto “l’avversario” e averlo trovato molto duro, al che Carrere si vergogna un po’, anche se pensa che
solo un lettore “ingenuo” possa considerare negativo il fatto di trattare di “temi duri”. Questo però non
impedisce che lui si domandi se sia giusto scrivere delle tragedie personali di persone a lui vicine, si chiede
che cosa potranno pensare le figlie di J quando leggeranno il libro che sta scrivendo. C dice che si sente di
scrivere sotto il loro sguardo, C mostra però di nutrire dubbi propri riguardo alla scrittura, non è solo per via
delle bambine ma lui stesso non è convinto, perché non è il suo lutto. Etienne però lo incoraggia a scrivere,
anche per liberarsi del senso di colpa, anche Philippe lo incoraggia a scrivere e C sottopone a diverse
persone il test del libro, dicendo di essere disposto a modificarlo. C pensa anche che la parola abbia una
funzione terapeutica riguardo alla tragedia. C si interroga anche sul significato della storia per i lettori:
Etienne racconta che un amico guarito dal cancro aveva dato ai genitori il libro di Carrere perché capissero
meglio cosa fosse stata per lui la malattia. Anche il lettore può trovare la scrittura terapeutica, questo
prospetta un’efficacia della scrittura anche al di là di chi è toccato direttamente dalle esperienze raccontate.
Performatività della scrittura: C dice che ama molto l’idea che la scrittura possa essere performativa,
(racconto erotico pensato per una specifica persona), in generale la scrittura può lenire il dolore di chi è
soggetto alle circostanze raccontate. Passaggio dall’azione sugli altri narcisistico ad altruistico.

22/10/2021

Il libro ha successo a diversi livelli. Il valore di terapia passa dall’esperienza individuale a quella collettiva.
Essenzialità di fronte alla tragedia, lessico non eufemistico, deriva anche dall’ambiente socioculturale.
Semplicità ma ricercatezza dello stile. La semplicità non esclude il romanzesco, che costituisce una via
privilegiata per l’accesso a un sentimento della realtà, costruendo la propria vita come quella del
protagonista di un romanzo porta anche all’intensificazione della vita reale, la ricomprensione carica i toni
dell’emotività che altrimenti sarebbero “scialbamente reali”. Quindi la scrittura è funzionale
all’elaborazione dell’identità. L’orrore in Carrere scaturisce dal banale, come la malattia, C dice che l’effetto
della scrittura non è tanto catartico quanto performativo, l’orrore sostanzialmente è un espediente per
animare la vita che altrimenti sarebbe un po’ amorfa, sempre uguale. Il tentativo di Carrere di raccontare
Roman nasce anche dalla volontà di ricomprendere le azioni assolutamente straordinarie e disumane di
Roman in una dimensione se non quotidiana almeno umana. Spesso accosta le azioni di R a ciò che
plausibilmente lui stava facendo nello stesso momento, producendo contemporaneamente una sensazione
di straniamento e una di avvicinamento. Il riavvicinamento all’umano deriva anche dalla sospensione del
giudizio morale da parte di C, che si interessa anche di psicoanalisi, diritto, religione e ovviamente
letteratura, tutti campi in cui l’esercizio del dubbio è metodico e necessario. C parla di un’esigenza di
apertura di fronte al diverso per capire effettivamente quali siano i nostri condizionamenti. La letteratura
permette di costituire una comunità che duri per il tempo della lettura e che tra l’altro “coadiuva” un certo
avvicinamento sociale in un’epoca in cui i legami sociali sono sempre meno stretti e numerosi.

26

Letteratura delle emozioni


In Vergogna, durante la scena in cui David picchia Pollux, nell’episodio le emozioni sono implicate nella
valutazione. David si vergogna dei suoi atti alla fine, provare una certa emozione verso qualcosa significa
anche valutare, esprimere un giudizio sulla cosa oggetto dell’emozione. Le emozioni possono essere
comprese interamente solo quando siano comprese dentro una storia, le emozioni vanno anche
interpretate, non sono solo comprese automaticamente attraverso l’osservazione dei fatti ma necessitano
di una riflessione morale. Dewey: le azioni legate alle nostre emozioni hanno una grande parte nella
comprensione di quest’ultime. Thompson: ci sono emozioni basilari a partire dalle quali si formano tutti i
sentimenti, le emozioni hanno funzione adattiva, sono risposte innate che l’evoluzione ha programmato per
farci rispondere in modo adeguato in base alle prospettive di sopravvivenza. Le emozioni sono valutazioni
nel senso che attribuiscono un certo valore a ciò che le suscita, valore in relazione alla persona che prova
l’emozione, provare paura per qualcuno significa riconoscere in quel qualcuno una minaccia. Ciò che suscita
la mia emozione è caratterizzato in un certo modo nei miei confronti. Nussbaum descrive le emozioni come
espressioni di valore eudaimonistiche, relative quindi alla nostra felicità o a ciò che riteniamo morale o
meno. Anche lo statuto di giudizio o valutazione delle emozioni è problematico perché le emozioni hanno
un carattere irriflesso, sorprendente per lo stesso soggetto, non lucido. La filosofia inattivista critica la
tendenza a parlare del nostro modo di conoscere la realtà attraverso rappresentazioni, non siamo soggetti
che fruiscono la realtà come fosse una rappresentazione ma come esseri immersi nel mondo, esseri che
hanno una tendenza a creare senso, a dare valore. L’individuo è sempre mosso da un’intenzione e agisce
nel mondo con un’azione che è già conoscenza, una conoscenza che magari non passa per il proposizionale
ma è in un certo senso “automatica” come le emozioni. William James scrive che il sentimento che abbiamo
dei cambiamenti corporei mentre si manifestano è l’emozione, rilevando l’esistenza di dinamiche
fisiologiche che accompagnano l’emozione, la paura di qualcuno che vede l’orso sul sentiero è il sentimento
che reagisce ai cambiamenti del suo corpo che si sta preparando alla fuga etc. le scienze cognitive di
seconda generazione tendono a contestualizzare i fenomeni cognitivi nel corpo piuttosto che in senso
astratto. Damasio formula una teoria Neojamesiana, D descrive le emozioni come uno stato del corpo che
avvengono prima di tutto a livello fisiologico, avere paura dell’orso significa innanzitutto che il mio corpo
risponde in modo irriflesso con certi cambiamenti a ciò che vede; aumenta l’ossigenazione e il cuore batte
più forte etc dopodichè questi cambiamenti trovano una rappresentazione neurale che si congiunge a
quella sensoriale. L’emozione è il cambiamento corporeo, il sentimento è il mio sentimento di quel
cambiamento corporeo in relazione all’immagine che lo ha generato. Doppio binario: fenomeno corporeo e
fenomeno della coscienza. Fernand-Barnett dice che le emozioni non sono soltanto risposte
comportamentali ma sono tentativi di integrare un insieme di risposte e percezioni dell’ambiente, in cui il
linguaggio avrebbe una parte essenziale.

Il fenomeno è complesso, nella pagina di Coetzee si tocca anche il tema per cui l’interpretazione
dell’emozione è diversa quando essa è provata da un personaggio letterario. Parlare delle emozioni dei
personaggi significa trattarli come persone, tutto questo sembra ovvio e non problematico, tuttavia questa
tendenza è stata contestata dallo strutturalismo che sottolineava l’ingenuità di trattare ciò che avviene sulla
pagina come mimetico. Essere consapevoli delle convenzioni dei generi aiuta a mantenere una prospettiva
“imparziale” verso il testo. Comprendere le emozioni dei personaggi chiama in causa la nostra
comprensione delle emozioni delle persone, ma non solo questa.

Come comprendiamo le emozioni altrui: le scienze cognitive di prima generazione tendevano a pensare la
conoscenza come manipolazione di simboli astratti e a pensare la comprensione dell’altro come una teoria,
un ragionamento, una manipolazione di informazioni. La corrente più recente di ricerche neuroscientifiche
insiste sul concetto di simulazione, io comprendo che l’altro ha paura non attraverso l’elaborazione di
informazioni ma perché simulo dentro di me ciò che l’altro sta provando e lo riconosco come paura.
Quando si osserva il dolore altrui i circuiti neurali che si attivano sono gli stessi che si attivano quando siamo
noi stessi a provare dolore. secondo questa teoria la comprensione dell’altro ha un carattere empatico,
però alcuni di questi stessi studiosi osservano che la simulazione non basta alla piena comprensione
dell’emozione altrui, perché non è detto che ne conosca le cause, serve anche una competenza narrativa.
L’interazione è fondamentale per comprendere le emozioni. La competenza narrativa è la capacità di
comprendere l’altro dentro una storia, in un decorso di eventi di cui l’altro è parte.

Nella poetica Aristotele si concentra sulla tragedia, la definizione di essenza della tragedia è: la tragedia è
mimesi di un’azione seria e compiuta (i personaggi sono di alta levatura morale e sociale) in un linguaggio
addolcito da abbellimenti distinti in ciascuna loro specie eseguita da agenti e non raccontata tale che
mediante la pietà e la paura genera la purificazione da suddette emozioni. La definizione di un genere è
sempre problematica, per delle definizioni essenzialiste esisterebbero milioni di casi devianti. Le
osservazioni di Wittgenstein sulle somiglianze di famiglia può fornire un pdv più pratico e aderente alla
realtà, Culler osserva però che le caratteristiche che possono imparentare delle opere non hanno una
medesima origine “genetica”, possono esserci capostipiti di un genere, ma non è sempre il caso. Possiamo
immaginare di attribuire la nascita di un genere alla creazione di un’opera, ma comunque non c’è una
discendenza “esatta” o misurabile. Nel corso del tempo alcune opere non presentano una caratteristica del
genere o ne presentano altre, oltretutto il passato viene ricostruito e reinterpretato dal presente. L’analisi
del genere va quindi condotta anche da una prospettiva storica, oltre che teoretica. Nel momento in cui la
tradizione diventa anche autorità e abbandono del principio di originalità i romantici si ribellano. Il concetto
di tragedia permane ma il genere si è esaurito. Il termine definisce comunque una caratteristica
romanzesca, così come picaresco, nonostante i romanzi propriamente picareschi non esistano più, idem per
il gotico. Il romanzo è un genere cannibalico che tende ad assumere anche le forme di altri generi, così
come può incorporare diverse caratteristiche, perciò il panorama contemporaneo dei generi è definibile
soprattutto tramite l’osservazione del panorama romanzesco. Il processo di trasformazione dei generi è
molteplice: c’è la prospettiva storica, il sistema dei generi complessivamente si modifica, alcuni generi si
definiscono in antitesi ad altri, come la non fiction. In generale poi c’è una perdita della gerarchizzazione,
tanti generi sono scomparsi, come la tragedia. La proliferazione avviene se mai all’interno del romanzesco
in cui diversi sottogeneri sfumano l’uno nell’altro. Aristotele definisce il sistema dei generi concentrandosi
sulla tragedia perché questa rappresenta il genere più importante. La concezione gerarchica si irrigidisce
fino alla teoria letteraria dell’ancien regime, che rispecchiava la rigida struttura sociale. con l’ascesa della
classe borghese anche la gerarchia di generi finisce per smantellarsi. Alla gerarchia dei generi subentra una
diversa distinzione fra opere d’autore e opere di genere, ciò che non presenta originalità è generico e senza
valore artistico. Ciò che ripete una maniera porta i contrassegni del disvalore per una visione nella quale
l’artista è contrapposto al mercantilismo. Con la postmodernità la genericità viene riutilizzata, in un
tentativo di riprendere elementi “bassi” dentro un’ottica artistica.

Saunders pratica a lungo il racconto, scrive ad un certo punto un romanzo dalla forma però atipica,
composta da citazioni e dialoghi. Il romanzo si presenta innanzitutto come romanzo storico, che ha per
oggetto Lincoln e la vita privata della sua famiglia. Sullo sfondo c’è la guerra civile americana, l’azione si
svolge nel 1862, anno difficile sia perché è il secondo della guerra sia per la morte del figlio Willie. Il corpo
del bambino viene portato al cimitero di Washington, in cui Lincoln ritorna ripetutamente a visitare la cripta
del figlio. Numerosi capitoli sono composti da citazioni di fonti, articoli di giornali, testimonianze, lettere,
biografie, tutte messe in sequenza all’interno dei capitoli. Sono fonti storiche per la maggior parte, un terzo
delle citazioni invece sono finzionali, tutte mescolate. Esiste anche una totale o parziale contraddittorietà
tra le citazioni (la luna, le caratteristiche di Willie). Il fatto che le fonti siano frammentarie e per un terzo
finzionali fa sì che esse non conseguano quell’effetto di autorizzazione storiografico che normalmente le
citazioni hanno nell’ambito del romanzo storico. Devono quindi essere interpretate in relazione all’altra
parte del racconto, quella del dialogo dei morti. I personaggi defunti monologano e dialogano, e sembrano
tuttora immersi nella visione dei vivi, non sono “elevati” permangono fra loro le stesse passioni, gli stessi
conflitti. Per cui questo non è un romanzo storico tradizionale che cerchi una credibilità storiografica. Il
fatto che i protagonisti siano personaggi storici è un’altra caratteristica non comune, solitamente nei
romanzi storici i protagonisti sono personaggi d’invenzione e i personaggi storici sono secondari (discorso
sul nucleo del genere e di come le opere si situino rispetto ad esso). Atipico è anche comporre il testo in
forma drammaturgica, il narratore non esiste, tutto ciò che si legge è parola dei personaggi o delle
testimonianze, citazioni etc. non c’è un’enunciazione narrativa. Il testo si presenta quindi inizialmente come
romanzo storico ma che poi deraglia dalle convenzioni di genere. Merrit Mosley ha concluso che Saunders
ha realizzato un progetto “neostorico” combinando una forma di verosimiglianza con una tecnica che
mostra come la verosimiglianza sia una convenzione come tante, l’interpretazione situerebbe quindi
Saunders nell’ambito postmoderno, che mostra la convenzionalità della plausibilità/verosimiglianza. Si può
invece riconoscere in Saunders un’espansione della non fiction, in cui si trova un’inflessione emotiva,
luttuosa e partecipe estranea al clima emotivo dominante del postmoderno. Per cui si può parlare di un
romanzo che sposta il genere storico verso il privato e il dominio della finzione (riassestamento dei generi
all’inizio del nostro secolo). Il disaccordo fra le fonti riguarda soprattutto la figura di Lincoln, per cui il
disaccordo delle voci può tematizzare il disaccordo fra le persone/visioni più che la contraddittorietà storica
e l’impossibilità di arrivare a una verità storica (anche se il disaccordo delle voci può riguardare anche
quest’ultimo punto, come nel caso della luna).

Gli eventi storici sono contemporaneamente lo sfondo sia ciò che è problematizzabile attraverso la
dimensione privata del presidente. Titolo: Lincoln è mostrato nella dimensione del Bardo, un riferimento al
buddhismo tibetano: il Bardo Thodol è il libro dei morti, uno dei testi di riferimento per il buddhismo
tibetano. Il libro parla di stati di transizione, come quello tra sonno e veglia e ovviamente fra vita e morte,
da questo Bardo i defunti possono avviarsi verso il Nirvana oppure, se non riescono a superare la
condizione propria dei vivi, si reincarnano. I fantasmi che si ascoltano nel libro sono tutti fantasmi che non
hanno saputo superare passioni, conflitti, limiti della vita per avanzare verso il Nirvana, per cui sono bloccati
nel Bardo. Tutto questo non è dichiarato da nessun narratore, si inferisce soltanto dal comportamento dei
fantasmi, che non si ritengono nemmeno morti ma malati in qualche senso (eufemismi per gli oggetti della
morte, non superamento della condizione). Altra caratteristica è la ripetizione ossessiva del racconto della
propria vita e particolarmente dei momenti che sono simbolo del sentimento che impedisce loro di andare
oltre. I fantasmi continuano a raccontare ciò che gli è successo, cercano l’ascolto degli altri e perciò a un
certo punto tutti conoscono i racconti altrui, questo non significa che la conoscenza sia profonda, o che ci
sia della compassione fra i fantasmi. Per l’incapacità dei fantasmi di conoscersi davvero, Streele parla della
mancanza di empatia come di una mancanza morale, il principale fallimento morale che caratterizza tutte le
interazioni dei fantasmi è il fallimento dell’empatia, il rifiuto di osservare le proprie responsabilità nei
confronti della comunità. Eccezionalismo americano: idea che l’America sia destinata ad un destino
eccezionale, Streele dice che questa idea è legata alla mancanza di empatia, alla percezione di un privilegio.
L’eccezionalismo porta a una dottrina del potere, il privilegio, la forza, il comando contro la comprensione
dell’altro. Questo limite morale viene superato nel finale, è possibile che il romanzo suggerisca una
posizione morale definita, quasi un romanzo a tesi. Il limite viene superato tramite la visione dell’amore tra
Willie e il padre, visione che induce i defunti ad essere partecipi verso Willie e cercare di aiutarlo. Allo
stesso tempo W costringe tutti a confrontarsi con l’idea di essere morti, aiutandoli a superare la loro
condizione di blocco. Lincoln non fu da subito critico del razzismo tout court ma gli storici sono concordi nel
dire che la sua visione sulla discriminazione raziale maturò in seguito sempre di più. Lo scenario bellico e il
ruolo di presidente di Lincoln aprono ad un registro epico, ma contemporaneamente si trovano il tragico
del lutto personale e bellico e il comico quasi farsa del dialogo dei fantasmi, anche grottesco che si prolunga
nella satira politica, tutti questi registri contribuiscono alla polifonia del romanzo. Streele parla di un grande
coro di voci senza che dall’alto siano imposte gerarchie, questa strategia narrativa corrisponde al tema
dell’empatia. Esistono riserve sulla “letteratura etica” e su quella buonista, ma la letteratura può proporre
una posizione, soprattutto se come in questo caso mostra tutto ciò che c’è dietro questa posizione.
Saunders spiega il proposito morale guida della sua scrittura, S pensa di incoraggiare a distanziarsi da se
stessi, avvicinarsi all’altro e poi “tornare indietro”, l’esperienza della letteratura è quindi un’esperienza di
incontro con l’altro. Ciò che fa sì che una storia non sia la mera affermazione di un precetto morale è la sua
complessità, non ci si ferma alla rappresentazione di un precetto nobile e desiderabile ma si cerchi di
rendere l’idea di un’intera esperienza morale complessa. È necessario lavorare contro l’eccessivo
didattismo o la facile risoluzione, “devo costringere l’universo finzionale a spingere contro i miei assunti
morali più scontati e far sì che la storia metta alla prova le mie posizioni morali più scontate. La letteratura
destabilizza le nostre convinzioni rendendoci più umili” dice Saunders. Si riconosce in questa affermazione
l’esigenza di complessità ma d’altra parte ci si chiede quanto la visione finale del romanzo chieda al lettore
di rivedere le proprie convinzioni morali. Inoltre questa affermazione suggerisce una contrapposizione
morale fra due tesi, l’opera dovrebbe destabilizzare le nostre convinzioni per arrivare o alla loro
“affermazione” o alla loro “negazione”, e non invece a un’elaborazione morale più profonda, un
ampliamento. Sembrerebbe che in questa percezione della letteratura questa debba portare una tesi, in
senso quasi filosofico e non una maggiore complessità, un’elaborazione ulteriore. Saunders dice anche che
la fiction non esiste per dimostrare l’etica, esiste per ricordare la complessità della vita, riassestando un po’
la definizione precedente. S dice anche che per quanto la letteratura possa fare attivismo politico è sempre
importante mantenere dei “toni delicati”, altrimenti il risultato artistico sarebbe nullo, similmente il testo
non deve presentare le idee politiche o morali dell’autore, nell’idea che il testo sia qualcosa in cui il lettore
deve ritrovare il pensiero o l’intenzione dell’autore. L’uomo col megafono: Saunders analizza come il
discorso dei media (soprattutto con argomento politico) si attesti a un livello di intelligenza di molto
inferiore rispetto a quella che le persone dimostrano solitamente e che generalmente l’aggressività sia
terribilmente presente, S dice che forse è per questo che le persone sono attratte da gentilezza e
comprensione (opinione dell’amico di S che parla di come negli anni 80 la gentilezza e la comprensione,
l’empatia siano state considerate virtù minori rispetto al potere, alla forza etc).

Montale

Una delle maggiori figure della poesia del 900, Per finire: understatement, implicita domanda sul significato
della poesia, in qualche modo c’è l’idea che la poesia non affronti la vita in modo costruttivo, che defletta
da un’azione e da un’iniziativa che potrebbero essere più importanti. Ossi di seppia: la retorica del
momento è ancora quella D’annunziana e sul piano politico fascista. Montale si dedica tutt’altro, al
quotidiano e alla vita in un certo senso “umile”, priva di un destino chiaramente glorioso. L’io lirico è un
uomo alle prese con le sue inquietudini private. Non chiederci la parola: l’uomo dichiara la propria
piccolezza, la sua non appartenenza alla prosopopea resa popolare dal fascismo, in questa presa di
coscienza della propria realtà c’è anche una dichiarazione della dignità personale, di una ricerca
dell’autenticità e di accettazione della propria instabilità o vulnerabilità in confronto alla vita e alle
congiunture storiche. La felicità appare come una sospensione dell’esistenza o come qualcosa che si lascia
intravedere, ma in generale l’esistenza è caratterizzata dall’indifferenza, che è propria anche della natura.
Montale descrive la desolazione della realtà, riuscendo a trasmettere una nostalgia e un rimpianto per ciò
che non è stato o è stato solo in misura minore rispetto alle aspettative. M si rivolge anche all’infanzia e agli
affetti umani, Cigola la carrucola del pozzo, dramma del passato, fuggevolezza del ricordo. La poesia è ricca
di assonanze e rime, i suoni si ripetono attraverso diverse variazioni e la ripetizione crea musica, le parole
sdrucciole all’inizio della poesia introducono elementi ritmici non troppo comuni. L’insieme forma la
pregnanza e la bellezza dell’opera. Il motivo degli affetti è presente anche in Casa sul mare: l’incapacità di
vivere si associa alla questione della morte, c’è un profondo interrogativo che non riguarda solo l’individuo
ma è una domanda sul destino dell’uomo, le parole usate sono quasi religiose o metafisiche. Si sottolinea
l’attenzione filosofica della poesia di M, la domanda comporta una riflessione anche sul proprio essere sulla
possibilità che si sia o meno adatti per arrivare all’infinito. Mediterraneo: il tu si rivolge al mare, la volontà
poetica riguarda il diventare un ciottolo qualcosa di compreso nell’infinito marino, qualcosa fuori dal tempo
testimone di una volontà che non passa (quella del mare). L’attenzione alle piccole cose dell’esistenza sono
ciò che affascina il poeta, la vita viene vista come un bollore fugace e il poeta stesso è incapace di agire nei
modi giusti e ritarda all’azione. Tuttavia se è vero che l’agire e il riconoscersi in un progetto può essere
sensato non di meno lo è il riflettere sulla complessità dell’esistenza, M è arrivato ad accettare la propria
esistenza come parte del tutto. La riflessione nasce a contatto della realtà, è guardando quest’ultima che il
poeta si pone delle domande e cerca risposte che la giustifichino, spesso è presente un correlativo
oggettivo di ciò che viene enunciato, correlativo che spesso è misterioso: La speranza di pure rivederti.
Questa poesia è un mottetto, cioè è in due tempi, nella seconda parte di parla di “schermo d’immagini” per
definire la realtà, ha i segni della morte perché impedisce il contatto con l’altro anche se un segno della
persona amata può essere presente in questa stessa realtà. La seconda parte della poesia è difficilmente
interpretabile, M spiega che a Clizia piacevano gli animali buffi, per cui il servo che trascina gli sciacalli gli fa
tornare alla mente Clizia, gli sciacalli sono quindi il correlativo oggettivo di Clizia.

Le occasioni è il secondo libro di M, la casa dei doganieri: anche qui c’è uno stacco, una lacuna incolmabile:
“tu non ricordi”, lo sguardo alla realtà è sempre amaro, le cose non trovano un fine, un compimento, così
come “tu non ricordi”, altre cose si sono frapposte fra l’io lirico e la persona a cui la poesia si rivolge. Gli
elementi che dovrebbero confortare, come la luce nell’oscurità, il varco non portano la consolazione
sperata. Ciò che si affaccia anche se non prepotentemente è il motivo dell’amore, molte delle poesie del
libro hanno per interlocutrice o come oggetto Clizia, simbolo di ciò che non si è concretizzato. La figura
femminile diventa ciò che si oppone al male, anche il male globale della guerra, in Poi che gli ultimi fili di
tabacco i due protagonisti sono uno di fronte all’altro, i grandi meccanismi della storia sono ignari
dell’amore, sembra che la donna, l’ispiratrice possa ricomporre il senso di una scacchiera che è anche
politica. La follia del mondo del resto non può placarsi grazie ad un’unica vita, per chi non la conosce lei non
conta nulla. Da una parte c’è il valore dell’amore fra uomini, dall’altra la capacità di esporre tutto questo
nella forma del canto, il fascino di M risiede nell’unione di etica ed estetica.

Satura è la quarta raccolta di Montale, le poesie che la compongono risalgono agli anni 60, gli semina sono
del 1964-65. Ci sono degli anni di attesa tra la terza e la quarta raccolta,mouse ti anni sono stati variamente
interpretati come una crisi creativa o come pausa di riflessione che avrebbe fatto nascere una poesia
diversa da quelle delle prime raccolta. La critica evidenzia la discontinuità tra satura e le raccolte precedenti
lo stesso Montale ha proposto una considerazione che analizza gli elementi di continuità e discontinuità:
satura sarebbe l'altra faccia della poesia di Montale, parlare di una sorta di rovescio non è parlare di
negazione o estraneità rispetto alla produzione precedente. Satura si compone di quattro sezioni, le prime
due sono gli xenia a cui seguono satura uno e due. Anticipate da due poesie proemiali. Xenia uno e due
sono costituite da quattordici componimenti ciascuna, la struttura esibita dalla raccolta e quella di un
canzoniere, di un organismo poetico. Questo rilievo sembra confliggere con l'allusione al genere satirico del
titolo Satura. Si tratta di un titolo rematico e non tematico, quindi sarebbe l'informazione nuova su un tema
secondo la linguistica, genette parla di criteri di letterarietá rematici per dire che questi sono criteri formali
secondo cui si può organizzare e classificare la letteratura. Quindi il titolo satura allude alla dimensione
formale e generica delle poesie prima ancora che ai temi specifici, è un titolo che rimanda al genere della
satira e alla satura lanx dei romani che evoca l'idea di eterogeneità dei materiali. Teoria rafforzata dalla
scelta di satura invece di satira. Viene osservato come questo sia uno dei rari titoli rematici della poesia del
novecento, anche le precedenti raccolte di Montale avevano titoli tematici. Raccolte dal titolo rematico
sono il canzoniere di Saba, diario d'algeria di sereni. Tematicamente si potrebbe alludere a un sentimento di
saturazione e fatica verso il mondo dei consumi e dei media, legato anche al l'interruzione della scrittura di
Montale. Il carattere satirico si può cogliere invece nel lessico, molto ampio comprende latinismo,
forestierismi, tecnicismi, neoformazioni. Questo lessico si presenta in misure versali eterogenee, nella terza
e quarta sezione Questo si coglie in modo particolare. Il verso principale resta l'endecasillabo a cui si
aggiungo settenario, quinario, versi ipermetri. Si trovano rime sparsi, accentuazione della tendenza di
Montale a non utilizzare uno schema merito fisso o delle rime perfette ma nell'arte starsi su una posizione
media, più imprecisa preferendo alla rima l'assonanza, l'allitterazione etc. Blasucci rileva come
l'eterogeneità del lessico (anche colloquiale) sia in contrappunto a una strumentazione di figure retoriche
ricca e articolata, quindi poesie semplici solo in parte. Diversamente dalle prime tre raccolte qui il
plurilinguismo non si articola solamente nel registro alto ma anche in quello medio e basso, producendo
quindi un pluristilismo.
Il tu

I primi tre versi parlano di Montale attraverso le opinioni dei critici, il discorso poetico si riferisce a un
discorso critico, tratto ricorrente nella raccolta in cui spesso "si divaga", o si riprendono discorsi altrui o di
argomento diverso. Questo discorso oggetto della poesia di Montale e Asia volta un discorso della poesia,
quindi doppio rispecchiamento. Essendo il poeta responsabile del depistaggio parlando di se stesso come di
un'immagine rifranta in cui non sa più riconoscere se stesso il rischio è quello che si invischi nel proprio o
altrui discorso. La metafora venatoria finale verte sulla poesia e sulla posizione del discorso poetico rispetto
al discorso altrui. L'ironia si presenta non meramente come antifrasi e ironia sul discorso altrui ma anche
come un flettersi del discorso su se stesso in senso dubitativo, scettico, con un'ironia sul discorso che il
discorso stesso è costretto a rappresentare. C'è quindi un'ambivalenza che non si risolve in una sentenza
chiara. La metafora finale verte anche sulla posizione da cui il discorso poetico sembra svolgersi, sul fatto di
essere tanti in uno, si affaccia quindi il tema dell'incertezza identitaria. I primi tre assetti a emergere sono la
metaletterarietà, l'ironia e l'incertezza della propria figura, quindi se vogliamo postmoderna. Montale dice
che i critici sostengono che il tu sia un istituto mentre in lui il tu sono tante figure, perché queste due
affermazioni si contraddicono? Potrebbe essere un suggerimento perché si dia una comprensione
empatico, una comprensione dell'altro invece che oggettivarlo in modo verticale. In questo senso si
schiererebbe un elemento non postmoderno. Botta e risposta è un testo bipartito, la botta è una lettera
dove si ritrova un riferimento ad Arsenio, poesia degli ossi di seppia, l'interlocutrice usa il nome per
rivolgersi direttamente al poeta con l'invito formale a smettere di fuggire l'inganno mondano, è un rimando
critico ma questo non significa che la voce sia un'altra voce che non comprende e debba essere smentita, la
risposta non confuta semplicemente la posizione dell'interlocutrice. La botta non è falsa per forza. La
risposta infatti non è l'affermazione di una verità ma l'affermazione che l'epoca storica in cui vive Montale
deve essere tenuta in conto. Nella risposta si percepisce una resa, la clausola che suggella la risposta non è
l'affermazione di una verità che smentisce la botta, ma l'affermazione di una condizione storica che sopraffà
l'individuo ma anche la consapevolezza che l'individuo (il poeta) è topo. Nell'opera si trova una polemica
sulla critica storica marxista. Montale non si astiene dal dirsi topo e dalla mettere di non essere aquila,
mentre rappresenta una condizione storica che non solo quella fascista ma anche quella del dopoguerra, M
nasce nel 1896. Quegli anni sono richiamati da un lessico disgustoso è grottesco fatto di feci e letame,
"gettato" nel mondo come heidegger. M elabora l'attacco sul fascismo osservando come lui non fosse "mai
veduto", lui potrebbero essere Mussolini o Hitler, o dio. La rivelazione in ogni caso non c'è stata. Vengono
elencati anche i temi della poesia montaliana precedente come non portatori di rivelazioni o cambiamenti,
sono richiamati dentro l'ambiente grottesco e scatologico del fascismo. Dopo il crollo del fascismo ciò che
segue non è niente di diverso da prima, ossimoro "altre ed eguali", "formiconi"=società di massa.
Poi Montale torna a rivolgersi all'interlocutrice, il dialogo non sembra mai articolarsi davvero, si prospetta
l'idea che forse lei non stia più ascoltando. Gli a parte sono una figura ricorrente in Montale e contribuisce a
dare un effetto di sordina, di soliloquio uscendo dal dialogo o dal tema principale.

Caro piccolo insetto...

Dedicata alla moglie morta Drusilla detta Mosca, il titolo degli xenia è anch'esso rematico, rimanda infatti
agli xenia di marziale, doni per gli ospiti e doni forse per Mosca. C'è anche un possibile rimando agli xenien
scritti a quattro mani da Goethe e schiller con l'utilizzo del lessico zoologico come parte di una satira
sociale. Più diffusamente si riallaccia la via della polemica col presente, inoltre negli xenien si compie un
viaggio nell'oltretomba e in un certo senso anche qui con la dedica a Mosca. L'esordio è una locuzione
affettuosa, è n introdotto il tema dell'assenza paradossale dei morti, del loro mancare ma del loro essere
presenti nella memoria e nel desiderio. Mosca non può essere vista né vedere il poeta, perciò in che senso
Mosca è ricomparsa? Ciò che è presente è il ricordo, il desiderio di qualcuno che non può davvero essere
presente. In questo senso si suggerisce un sentimento di impotenza, anche il secondo verso rimanda
all'opera (mi chiamano Mimi ma non so perché), perciò torna il tema dell'amore romantico in minore. C'è
un allusione anche alla Bibbia con il deuteroisaia, in cui si parla dell'affermazione del regno dei cieli, una
possibile allusione alla salvezza? In un altro passo di isaia si parla di balbuzie, presente negli xenia.
Pietà di se, infinita pena e angoscia

C'è una citazione alla fine della poesia (il trovatore). Qui non si rivolge a Mosca e castellani lo definisce
quindi una pausa di sospensione in cui il poeta prova pietà per se e non per Mosca. Montale utilizza
ampiamente il lessico religioso e quasi solleva questioni teologiche, ma la sua poesia non comprende il
sentimento religioso, dio non c'è e se c'è è un essere indifferente, bestiale. I tre sentimenti del primo verso
sono sentimenti romantici che però è subito raggiunto da un elemento di ironia. Il romanticismo è sia nei
sentimenti sia nel riferimento intertestuale al trovatore, l'opera è il genere romantico per eccellenza.
Montale conosceva il trovatore anche perché aveva studiato lirica, Montale si riferisce anche altre volte al
trovatore, in cui allo stesso tempo si afferma l'amore per un certo repertorio operistico romantico e la
consapevolezza dei suoi limiti. Anche qui c'è l'elemento postmoderno della citazione è più nello specifico
nella difesa ironica del suo "pietà di sé, infinita pena e angoscia" citando un'opera lirica (Umberto Eco). La
pietà e reale ma è anche ironizzata. Per quanto sia ridicola o imbarazzante la pietà esiste, rilettura in
minore dell'idea del miracolo che ricorre nella poesia di Montale. Questo xenion è anomalo perché manca
l'allusione a Mosca, gli unici altri in cui manca il riferimento sono il decimo della prima serie, l'ottavo della
seconda (anche se sesto della seconda). La forma dominante e quindi quella dell'allocuzione, del tentativo
di dialogo. Tipica è anche l'allocuzione alla donna nella separazione. Attraverso un vocativo si apre il primo
xenion "caro piccolo insetto".

Senza occhiali ne antenne


La memoria di chi se n'è andato torna a chi resta nei momenti più diversi, la memoria di Mosca emerge
nella notte ma il colloquio si rivela impossibile, l'attesa è frustrata, ripetizione di senza, solo, povero. Le
spezzature contribuiscono al sentimento di aspettativa o speranza frustrata in particolare ai versi 6,7,8. Con
questa serie di frustrazioni si conclude la figura ellittica dell'elencazione di elementi, castellani nota
L'intertestualità con Tempesta di Emily Dickinson, il colloquio continua anche se forse è soliloquio perché il
desiderio rimane.

13/11/2021

Nel terzo xenion è evidente il desiderio del poeta di ritrovare la moglie. Lo scenario è caratteristicamente
montaliano, è uno scenario urbano dei grandi alberghi. Alcuni critici hanno interpretato la scelta
dell’ambientazione anche da un punto di vista di classe, gli scenari da grande albergo sono sempre anche
ironizzati, anche attraverso l’autoironia (quando deve chiedere una camera singola), con le virgolette
Montale riprende la lingua d’uso e i suoi luoghi comuni con una misura di lucidità ironica. C’è anche un
riferimento al futuro, come sarà la vita ora che non c’è più? Una delle esperienze del lutto è osservare come
le situazioni quotidiane cambino per via dell’assenza dell’altro. Un riferimento simile c’è anche nel
dodicesimo xenion della prima serie. Il futuro è il tempo del desiderio frustrato, intorno al dodicesimo della
prima serie si dispongono una serie di ricordi. Ci sono una serie di poesie epigrammatiche, Ascoltare era il
solo tuo modo di vedere mette in scena la comicità del quotidiano in minore, insieme alla constatazione d a
quanto poco si sia ridotta la realtà.
Nella poesia del prete la religiosità di mosca appare superficiale ma è in realtà una religiosità pietosa che
tiene conto prima di tutto dei cari e dei morti, gli oggetti smarriti fanno parte in un certo senso della schiera
familiare e della quotidianità vissuta con gli altri, è una religiosità dimessa ma fondata in affetti autentici.
Ancora sul ricordo verte lo xenion successivo Ricordare il tuo pianto.
Qui il tema interessante è quello del giudizio universale, nella raccolta, nonostante il tema luttuoso e
l’inflessione satirica si senta un amore per la vita, tanto che il ricordo delle lacrime della moglie non serve a
spegnere il ricordo delle sue risate, anticipo per il poeta di un suo giudizio universale, ascrivendo la moglie a
una dimensione religiose, aggiungendo che però questo giudizio non si è mai verificato.
Tuo fratello morì giovane
L’allocuzione è a mosca ma la poesia riguarda suo fratello, suicida. La precarietà della condizione umana si
esemplifica anche attraverso la musica composta da Silvio, mai ascoltata. Il poeta riflette su come sia inutile
far ricerche su di lui perché è lui stesso, morta mosca, l’unico a ricordarlo senza mai neanche averlo
conosciuto. Per quanto riguarda la memoria si vede come non sia più quella memoria da cui scaturiscono
immagini che illuminano il presente come una folgorazione ma come una memoria legata a un passato
quotidiano, aneddotico che si lega anche al passaggio dal registro lirico a quello narrativo. La narratività di
Satura non era presente nelle raccolte precedenti. Un altro tema è il sentirsi separati dalla vita dopo la
separazione da chi è morto, questa è una riscrittura in minore della morte in vita, cioè della vita insensata e
inautentica che forse attraverso un miracolo potrebbe essere riscattata. Qui si riconosce qualcosa di simile
ma senza l’afflato della denuncia dell’insensatezza e senza la speranza del miracolo, anzi nella poesia più
tarda questa condizione postuma appare perfino desiderabile. Nel quarto xenion della prima serie si
esprime la volontà scoprire che in realtà si è già morti, questo segno di riconoscimento è una trasposizione
in minore di ciò che si trovava in precedenza nelle poesie allegoriche. “giusto era il segno, chi lo vede non
può fallire dal ravvisarti”, il segno che era quello della potenza salvifica della donna diventa ora un fischio,
un segno di riconoscimento per ritrovare la moglie nell’aldilà che si spera sia sopraggiunto. Lo stesso nome
di “Mosca” potrebbe richiamare l’angelo alato ma in un senso più umile e spartano. Spesso emerge l’idea di
essere già morti o in una simile condizione, ad esempio quando si descrive l’impossibilità del peta e della
donna di vedersi e riconoscersi, sottolineando un’impotenza. Anche nel dialogo col prete il poeta dice che
mosca pregava “per i morti e per me”. La possibilità desiderata di appartenere già al mondo dei morti
rimanda all’idea dell’incertezza di sé e della propria identità incontrata nella poesia proemiale, in cui il
poeta non sa più se è sè stesso o uno dei suoi duplicati. Rimanda anche ai primi due xenia in cui non ci si
riesce a riconoscere nel buio e al quinto xenion in cui “non ho mai capito se io fossi il tuo fedele cane
incimurrito o lo fossi tu per me”, dove l’immagine del cane che esprime il topos della fedeltà degli amanti è
comicamente degradato. Si usa la rima al mezzo blablà-società, anche questo stilema viene riutilizzato in
modo dimesso da Montale, come fa spesso in Satura, in cui il discorso in generale subisce una
facilizzazione. C’è diffusamente l’idea di un’identità debole, labile, di un soggetto che non ha sostanza ma
c’è anche la presenza di una memoria che evoca un passato che dà una qualche consistenza a questa vita
apparentemente priva di eventi, quasi a suggerire appunto la possibilità di salvezza, non per mezzo del
miracolo ma per mezzo della quotidianità incarnata da mosca. Si trovano ancora gli oggetti caratteristici di
Montale che però non hanno più una funzione salvifica nel senso di miracolosa ma come correlativi di un
affetto quotidiano. Correlativo oggettivo: saggio di Eliot in cui E scrive che il solo modo per scrivere
l’emozione in una forma artistica è di trovarle un correlativo oggettivo, un insieme di oggetti che saranno la
formula di quella particolare emozione. Il poeta non deve nominare il sentimento ma riuscire a trasfonderlo
in un’immagine sensibile che possa poi suscitarla nel lettore. Anche per M si è spesso usata questa formula
del correlativo, che ad esempio diceva per le occasioni di aver cercato di parlare degli eventi solo
indirettamente tramite gli oggetti. Nella prima poesia di Montale gli oggetti partecipano della visione
luminosa del poeta, mentre in satura gli oggetti sono molto più dimessi, logori a testimonianza sia della
quotidianità di mosca sia per il generale tono minore della poesia. Perciò non sono gli strumenti a cambiare
ma l’interpretazione. A questo contribuisce anche la tramatura fitta di figure retoriche non
immediatamente evidenti.
Non ho mai capito se io fossi introduce il tema della demistificazione del linguaggio, tema svolto
ampiamente anche nelle sezioni di Satura e portatore della vena ironica. Quella che si mostra non è la
superiore intelligenza di mosca quando si parla della società che la esclude, ma è una sorta di sensibilità
prelinguistica per il nonsenso, lei percepisce l’inconsistenza dei discorsi “dell’alta società” con l’umiltà di un
animale cieco che si muove al buio. Il linguaggio è visto come discorso mistificatorio, del quale fa parte
anche la poesia, nello xenion numero sei si legge di come mosca non abbia lasciato dietro di sé nulla di
scritto, torna la particolar sensibilità linguistica di mosca che si manifesta come repulsione della tentazione
di eternarsi nella poesia o nella prosa. L’idea di lunga durata della parola scritta è vista alla luce di un
narcisismo ridicolo, torna l’idea di mosca giudicante, giudice infernale, l’idea di essere ricacciato nel fango è
dantesca ed evoca l’idea di essere condannato da mosca, facendo intravedere un certo senso di colpa e una
certa vergogna. Però il silenzio di mosca lo terrorizza anche, perché lei non ha lasciato nulla di sé ed è
quindi facile che scompaia. Si dice anche che mosca è l’unica la cui parola abbia appagato il poeta, l’eloquio
di mosca è limitato, in un certo senso balbuziente perché stentata. Il poeta si ritrova a pensare di sentirla
nei rumori dell’ambiente, sembra che il poeta abbia compreso le potenzialità di questo linguaggio, la loro
verità. L’ultima poesia è un lungo elenco di cose capite da Mosca e ignorate dagli altri, si insiste sulla figura
dell’ossimoro, ciò che viene rappresentato è la sensibilità di mosca alla falsa sicurezza degli apparati
concettuali comunemente accettati, e una sua capacità a saper vivere le contraddizioni della realtà. Il poeta
riesce a vedere la saggezza di mosca, l’ossimoro è la figura dominante della raccolta, non si tratta di una
celebrazione dell’incoerenza della realtà risolvendo due antitesi in una sintesi, ma è la celebrazione di un
atteggiamento antidialettico, gli opposti convivono e sono l’espressione di un buio intellettuale umano. È la
comprensione del mondo di mosca che infine Montale pensa di aver condiviso sentendo di essere una sola
cosa. Giusti parla di un apprendere il linguaggio di mosca attraverso gli xenia, con il confronto con la moglie
si elabora una voce poetica che rimarrà anche nella produzione successiva.
Fenomenologia del lutto
Sentimento di mancanza e di assenza che si manifesta nella memoria intermittente e nell’anticipazione di
un futuro in cui il tessuto della vita è lacerato dalla morte.
Desiderio frustrato della moglie, speranza che suscita angoscia. I defunti agiscono come presenze assenti, le
allocuzioni restano sospese nel vuoto. Il tono è ironico e autoironico.
In virtù dell’affetto, dell’ironia che si uniscono alla pietà e al desiderio frustrato formano un canzoniere che
partecipa della vitalità di Mosca, simbolo di resistenza interstiziale agli ossimori della vita. Questo permette
a M di utilizzare anche lo scherzo, la filastrocca. La morte di Mosca non è solo un evento della biografia di
M, ma anche un mito poetico che si elabora anche oltre il dato biografico. Il clima non è soltanto tragico
perché rimane la convinzione che la vita che se ne va lasci qualcosa dietro di sé, non è consolazione ma
nemmeno solo disperazione. L’ironia tragica entra nel discorso del lutto per una certa “superiorità” in
consapevolezza rispetto a se stessi prima del lutto, c’è l’ironia affettuosa su mosca, al modo in cui si
interagisce nella vita.

Gruppi
Nel primo xenion c’è una situazione di confine, la morte rappresenta un momento di passaggio, evidenziato
anche dalla spezzatura del verso 16, che dà sia l’idea dello strappo sia della frustrazione dell’io che non sa
farsi una ragione dell’incomprensibilità della morte. Paradosso della morte: in quanto morta niente più
riguarda mosca, eppure la morte la riguarda è soggetta ai suoi riti etc, questo sembrerebbe richiamare il
fatto che Mosca sa vivere i suoi ossimori.
Xenion ?: fiere di vanità, fiere come animali feroci, homini lupus di Hobbes. In continuità con la poesia
precedente si può leggere la poesia di nuovo come la dimostrazione di come mosca sappia vivere negli
ossimori.
Xenion 2: si parla del Signore Kup (?) che apprende della morte di Mosca, e fa parte insieme a Celia e alle
telefoniste del gruppo di persone “inverosimili” che sono riusciti a comprendere Mosca. C’è una
commistione fra comico e tragico nel ricordare una persona “stramba” e la morte di Mosca. È una scena
quasi da operetta “tace a lungo, farfuglia, … e si inchina” sembra quasi una descrizione teatrale.
Xenion 3 della seconda sezione: lo sfondo è quello dell’hotel Danieli, il calzascarpe diventa un oggetto
stratificato affettivamente, di nuovo il suo valore non è astratto o ideale ma è semplicemente
rappresentante della quotidianità, le piccole miserie o le piccole vergogne del quotidiano sembrano
diventare tenere, motivo di complicità nel vergognarsi insieme di qualcosa che è misero, ma che ha
accompagnato l’individuo in tutta la sua vita. L’oggetto poi è smarrito, la quotidianità quindi subisce un
cambiamento radicale, sembra ricalcare in modo abbastanza scoperto la morte di mosca. In più l’oggetto
perso non può neanche più essere cercato, almeno pubblicamente, può solo essere ricordato o vagheggiato
in privato. Anche ingresso del calzascarpe arrugginito fra i similori del Danieli, che sembra però far
emergere così la falsità del luogo (un po’ come Mosca con la società).
Xenion 4: è un testo che si ricollega al 14 xenion della prima parte, dove c’è il riferimento al ricovero in
clinica di mosca a Firenze, imprigionata fra le bende e i gessi. Il 4 xenion è un piccolo frammento che
caratterizza la capacità di mosca di comprendere la realtà circostante attraverso modalità diverse rispetto a
quelle della maggior parte delle persone. Attraverso la riunificazione degli opposti mosca sembrerebbe in
grado di superare la sofferenza. Il finale sembra sottolineare questa capacità anche nel preludio alla morte.
Nella prima strofa l’accenno di tragedia e di atmosfera infernale è subito stemperata dal “dentiera”,
tragico-comico.
Xenion 5: mosca ascolta più che vedere, e così demistifica una visione superficiale della realtà. Quattr’occhi
rimanda sia a un altro soprannome di mosca sia alla fusione degli occhi di Montale e mosca. Milione di
scale, iperbole di grandezza ma anche linguaggio quotidiano “ho fatto un milione di cose”.
Xenion 5: attraverso la morte di mosca, M sembra guadagnare un modo per vedere la vita, la discesa viene
descritta come un viaggio, non in senso di percorso che ha per meta l’aldilà ma come viaggio attraverso la
banalità quotidiana. I milioni di scale sono simbolo di tutto ciò che mosca e il poeta hanno vissuto, il poeta
prende consapevolezza del vuoto e dell’inconsistenza delle cose dopo la morte di mosca. A M rimane la
visione di mosca sulla realtà, o la sua capacità demistificatoria.
xenion 7: spie che rimandano all’unione io-tu, c’è la rima io-io, dove il primo io è quello di Montale e il
secondo quello di mosca. C’è un richiamo al 7 xenion della prima sezione, attraverso i puntini di
sospensione.

Mosca-montale, confronto fra una persona immersa nella letteratura e qualcuno che invece dà valore a
cose più concrete, possibilità per la prima persona di intravedere il pericolo della retorica della parola
letteraria, questo anche con David-Lucy, Juliet-Eric (in questo caso è il lettore a problematizzare il discorso
letterario di Juliet), in Erneaux l’autrice dice di voler scrivere “al di sotto della letteratura”.
La poesia di Montale, allude alla necessità di una verità denunciando la finzione, ma non fornisce essa
stessa la verità desiderata.
Satura 1 e 2
La prima poesia ritrova la teologia negativa, c’è un uso della simbologia sacra in tutta la poesia di Montale,
in Satura la riflessione teologica consiste nell’interrogarsi sulla non esistenza di Dio, e nell’idea che se Dio
esiste non è antropomorfo come lo immaginiamo ma è lontano, diverso da noi. Rimando al genere satirico
con i termini gastronomici. Mosca, cadendo dalle scale, interrompe la riflessione altisonante del poeta
proiettando la poesia nella quotidianità. Si ritorna poi alla questione teologica con la menzione del papa.
Lettera: scena veneziana, i nomi non imparati e dimenticati sono allusione all’incertezza identitaria, tema
dell’errore felice, crescendo comico dello spuntare dei grandi dimenticati ma di esseri correlati a loro non
dei grandi veri, i frequentatori sembrano superstiti. Idea di spegnarsi progressivo delle persone che
conservano la memoria di mosca.
Piove: allude alla pioggia nel pineto. Ironia sulla presunzione intellettuale dell’uomo che crede di dominare
il mondo. Considerazione dell’assenza di mosca e del vuoto.
Gli ultimi spari: ricorda il tempo della malattia di Mosca tornando al suo soprannome, la guerra è una
dimensione evocata ma non esplicitamente (la batteria...da concerto). Mosca è ricordata attraverso i
soprannomi.
Le revenant: i puntini di sospensione ricordano di nuovo l’assenza del nome, si assommano imagini
negative nei primi due versi, persona ignota senza dubbio morta. Le virgolette, riuso consapevole ma
distanziato della lingua comune. Occasione persa: artista morto giovane senza fiorire, già dimenticato, per
cui forse la moglie era stata una musa.
Al pianterreno: tema della maglia rotta nella rete, abbassato comicamente (rima al mezzo comica) perché
ha a che fare con i porcospini.
Pasqua senza weekend: idea del segnale convenuto per ritrovarsi nell’aldilà. Di nuovo tema della balbuzie
costruttiva, non è un uso stupidamente inconsapevole del linguaggio ma è un distanziamento dalle stupide
certezze.
Trittico finale per Mosca:
nel silenzio: dimensione di stasi, produzione interrotta, sciopero generale. Sembra tutto vano perché mosca
non c’è più, assenza che è paradossale perché lei sembra comunque presente “risvegliarti non vale perché
sei sempre desta”. La persistenza del ricordo dei defunti si ritrova anche in “Luci e colori”. “il grillo di
strasburgo”: figure comiche elencate, Montale si chiede se queste figure siano state ricordate da Mosca
prima della morte, rovesciando subito il tono da comico a tragico, cosa si pensa prima di morire? Forse solo
cose senza importanza. le ultime parole di Mosca sono per il poeta.
Botta e risposta 2: la missiva suggerisce al poeta di considerare un’apertura al mondo anche se è orribile,
perché tuttavia qualcosa regge. La risposta richiama botta e risposta 1 con “formicone”, si racconta un
episodio biografico dell’attività giornalistica di M, in cui era andato a cercare un musicologo, ma c’è anche
un’eco storica agli anni del fascismo, alle prospettive pessime poi concretizzate. Di nuovo lessico
gastronomico. Allusione di nuovo a Mosca con il tema dell’unione riscritto anche come tema della
confusione. Il Proto potrebbe essere una figura divina. La poesia mostra l’atteggiamento scettico del poeta
rispetto alla storia e a qualsiasi sua interpretazione come progresso, linea di pensiero che percorre satura. Il
fatto che la catena non si snodi come una catena ininterrotta è ripresa come fosse un ripensamento a
correggere in altro senso l’interpretazione precedente, l’atteggiamento che M esibisce davanti alla storia è
di sradicamento ed estraneità (Mengaldo). Non solo la storia del fascismo ma anche quella successiva. Nella
poesia che usa l’abbassamento comico e la satira si trovano temi come il senso della storia, l’esistenza di
dio, la funzione della poesia, la civilizzazione. Temi d’impegno che però non sono veicolati da una forma
seria ma da una forma che critica ogni tentativo di elevazione non ironica.
Le parole: la poesia rifiuta la veste nobile o pretenziosa e anche quella esoterica, così si ridestano
presupponendo un addormentamento del linguaggio.
Incespicare: diverse possibilità della lingua, incespicare è d nuovo errore, la lingua è addormentata e deve
essere svegliata, il linguaggio del mondo è rumore, mutismo. D’altra parte all’uomo è inaccessibile la parola
di chi una volta parlò per intero, è un linguaggio divino precluso agli uomini. Gli uomini si devono quindi
accontentare di un mezzo parlare, la parola spenta di mosca a cui bisogna rassegnarsi. M non mette in
ridicolo l’uso ma lo utilizza criticamente, distanziandosene, usando il linguaggio in modo che non configuri
la superiorità del poeta riguardo alla lingua d’uso ma rappresenti una contaminazione.

26/11/2021

Le letture del corso si sono incentrate soprattutto sulle emozioni in generale, non solo il senso di colpa, la
vergogna e il lutto. Le emozioni possono essere considerate anche forme di giudizio e di comprensione del
mondo per come esso è per noi, le emozioni si dispiegano in contesti diversi, osservato soprattutto per la
vergogna, intesa in senso sociale. la letteratura sembra prestarsi a osservare e comprendere le emozioni
nelle situazioni in cui si presentano, mentre altre discipline coprono altri aspetti del fenomeno delle
emozioni. Rispetto al lutto si è osservato come le emozioni abbiano la propria temporalità e un proprio
carattere processuale, che è anche un evolversi nel tempo. Il tragico è il contrassegno di alcune esperienze
ed è anche una categoria estetica. Le emozioni e le passioni sono anche dinamiche della follia tragica. Della
tragedia si è parlato anche come genere letterario, si è osservato come possa scomparire il genere della
tragedia e tuttavia conservarsi in forme diverse di letteratura come categoria estetica. C’è stato un discorso
intermittente sull’uso e la funzione della parola di fronte agli eventi vergognosi, luttuosi, tragici da parte di
chi li vive. Diritto di scrivere della tragedia in Erneaux, Carrere. Coetzee suggeriva: “il sentimento dello
scrivere fiction è un sentimento di libertà o irresponsabilità o meglio ancora di responsabilità verso
qualcosa che non è ancora emerso e si trova da qualche parte alla fine del percorso”.

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