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–#–
Collana diretta da
Adelino Cattani
a cura di
Adelino Cattani
loffredo editore
university press
In copertina:
EAN
Introduzione 9
ADELINO CATTANI
Filosofi e retori 17
1. Filosofia e retorica 17
2. Filosofi contro retori 18
3. Filosofia, retorica e verità 21
4. Filosofia e retorica nel dibattito 22
MANUELE DE CONTI
Gestire i disaccordi 31
PAOLO BOSCHI
Fatti, valori e dibattito 55
1. La situazione 55
2. Casi ricorrenti 56
3. Altri casi 61
4. Parole valigia 65
5. Attenzione, capacità e consapevolezza 67
PAOLA CANTÙ
La formazione al dibattito attraverso l’analisi di ragionamenti tratti dai
quotidiani 75
1. Introduzione 75
2. Tre obiezioni 76
3. La peculiarità dello strumento formativo 77
4. La monnezza rom 78
5. Non desiderare la tesi altrui 80
6. Un modo per zittire il dibattito 83
7. Come ti avveleno la sorgente 85
8. Conclusione 88
ALFRED C. SNIDER
Debate: Critical Method for the 21st Century 91
My background 91
Why the 21st century is different 92
Why current educational methods fall short 93
Debating as important bundle of educational experiences 95
Empirical results 96
Competitive debating 97
Classroom debating 98
Conclusions 99
CATERINA BOTTECCHIA
“Palestra di Botta e Risposta”: un percorso di autentico arricchimento
formativo 139
Premessa 139
Il torneo di disputa filosofica e la quotidiana attività didattica 140
Conclusione 149
ROBERTO FALDUTI
Palestra di botta e risposta al microscopio: considerazioni teorico-prati-
che e analisi di una disputa 153
1. Considerazioni preliminari 153
2. Osservazioni sul percorso di dispute 157
3- Analisi di una disputa 166
SENOFONTE NICOLLI
Non di sole parole. Disputa filosofica e comunicazione non verbale 185
ALBERTO RIELLO
La parola e il gesto 191
Il gesto degli altri, ovvero manipolazioni di pensieri illustri 192
GIULIO ZENNARO
Dialogo e argomentazione: la disputa filosofica come esperienza didattica 195
Introduzione
Messico, Slovenia, Spagna, Stati Uniti) per confrontarsi sul valore e sui limiti
di una formazione al dibattito. Titolo del convegno-laboratorio: Argomentare
le proprie ragioni: come organizzare, condurre e valutare un dibattito. Il volume
è frutto dei colloqui intercorsi durante e dopo quelle giornate, oltre la contin-
genza dell’incontro.
Argomentare e non dimostrare, perché entrambi gli atti, pur avendo il me-
desimo scopo di provare qualcosa per via inferenziale, sono di natura assai
diversa.
Ragioni, e non ragione, perché nel dibattito contano le ragioni plurali,
conta chi ha più ragioni o meno torto dalla sua e contano anche la quantità e
il modo, oltre che la qualità e le pertinenza.
Le proprie ragioni, perché, se è pur vero che “non posso conoscere la mia
verità se non conosco la verità degli altri”, a ognuno il suo compito: io pos-
so comprendere e debbo tenere conto delle ragioni altrui, ma non farmene
necessariamente carico; sarà l’interlocutore-oppositore che saprà/dovrà difen-
derle al meglio, quando, come succede perlopiù, il contesto è controversiale
e polemico.
Questi tre termini caratterizzano e definiscono il dibattito, un atto davvero
vitale, ma poco tematizzato.
Come organizzare, condurre e valutare un dibattito è il sottotitolo: a Padova,
che è stata la prima sede universitaria ad introdurre un corso di Teoria dell’ar-
gomentazione, tuttora unico in Italia; in Italia dove una volta si esercitava la
preziosa logica maior, che è quella sostanziale e discorsiva, e dove un tempo
vivevano “retori felici”, si è voluto riflettere su quell’atto tipicamente ed esclu-
sivamente umano che è il dibattito. Un buon dibattito, per quanto scontroso
e polemico possa essere, consente di far emergere quanto di meglio si possa
dire, quanto di meglio sia mai stato detto e scritto. Un buon dibattito è quello
in cui si confrontano due interlocutori, ciascuno dei quali riconosce il diritto,
accetta il dovere ma gode altresì del piacere di discutere.
«Razionale è una persona a cui importa più di imparare che di avere ragio-
ne» diceva il liberale Karl Popper, per il quale liberale è la persona consapevole
della propria e dell’altrui fallibilità, e della propria e dell’altrui ignoranza.
Argomentare le proprie ragioni 11
Filosofi e retori
Abstract
L’intervento prende le mosse dal duplice quesito: “Se e quanta filosofia ci sia nella
retorica e se e quanta retorica ci sia nella filosofia”. La domanda può suonare sorpren-
dente, perché tra filosofia e retorica c’è sempre stato antagonismo. Lo scontro tra
filosofi e oratori verte essenzialmente sul rapporto pensiero/linguaggio e sulla rispet-
tiva concezione di bene: il parlare “bene” dei filosofi e il parlare “bene” degli oratori/
retori. Per il filosofo il bene dicendi consiste nel dire il vero e il giusto, per l’oratore
consiste nel comunicare in maniera persuasiva. La verità, la “nuda verità”, anche
quella filosofica, dovrebbe parlare da sè e non dovrebbe avere bisogno di orpelli reto-
rici. Ma una considerazione sia storica sia teorica attesta che la retorica non è assente
dalla filosofia. Anzi si può sostenere che ogni argomento filosofico è inevitabilmente
retorico e la retorica è una forma di filosofia. Perché, per dirla aforisticamente: biso-
gna avere ragione e bisogna saperla esprimere, ma non basta; bisogna anche riuscire
a farsela riconoscere.
1. Filosofia e retorica
A tale fine consideriamo in primo luogo che cosa ha fatto/fa chi pratica la
filosofia e che cosa ha fatto/fa chi pratica la retorica.
Che cosa fanno, oggi, i retori? Dopo una lunga eclissi, la retorica è tornata
prepotentemente tornata alla ribalta del sapere in due forme: come “teoria ge-
nerale del discorso e della comunicazione” (retorica come tecnica pregnante e
totalizzante, l’impero della retorica, «più vasto e più tenace di qualsiasi impero
politico» - R. Barthes ) e come “teoria dell’argomentazione” (retorica come
antidoto alla violenza e garanzia della democrazia, la retorica delle «buone
ragioni» - Ch. Perelman).
Che cosa fanno i filosofi? Qualcuno, molto autorevole, ha sostenuto, sem-
plicisticamente e drasticamente, che la filosofia è morta, che non ha più nulla
da dire: ci basta, ci occorre la scienza per spiegare il mondo – lo sostengono,
ad esempio, Stephen Hawking e Leonard Mlodinow nel loro recente volume,
Il grande disegno. Ma per fortuna qualche filosofo in circolazione c’è ancora.
Che cosa fa?
Dimostra? La risposta è chiaramente no, perché la filosofia è storicamente
una sequenza ininterrotta teorie rivali e di pensatori in contrasto fra di loro.
Spiega? La risposta è: cerca di spiegare, ma la sua spiegazione non è mai
definitiva; mai un filosofo risponde con un sì o un no decisivi. E pretenderlo
sarebbe come chiedere ad un tennista di fare goal, per usare una celebre im-
magine di origine neopositivistica.
I filosofi non dimostrano e non spiegano, ma argomentano e l’argomenta-
zione è lo strumento della retorica e della controversia.
Quando poi la retorica si esercita sul dibattito, c’è il timore che essa crei
solo individui brillanti che hanno sempre una risposta apparente per tutto e
in ogni occasione, cioè disputanti capaci di trovare argomenti fasulli e false
ragioni, che sanno sempre come replicare e come mentire.
9. Abbiamo il diritto di essere giudicati per quel che diciamo e non per
quel che abbiamo fatto.
10. Abbiamo il diritto di cambiare d’accordo con la controparte le re-
gole della discussione. Il dibattito è infatti l’unico gioco in cui le
regole possono stabilirle e concordarle i giocatori.
parte dalla conclusione, che è già certezza del retore, per cercare e esplicitare le
premesse che rendano tale conclusione accettabile all’uditorio.
In retorica si assumono le conclusioni che si presume siano sostenute e le-
gittimate da certe premesse, mentre in filosofia si assumono le premesse che si
presume sostengano e legittimino una certa conclusione. Nell’uno e nell’altro
caso si parte da assunzioni che bisogna giustificare, non da dati. E la giustifica-
zione si costruisce nel dibattito o meglio in quella che un tempo si chiamava
la disputatio.
C’era una volta la disputatio, che combinava insieme dialogo e polemica,
ragione e astuzie della ragione, comprensione e persuasione..
Potrà mai la disputa tornare ad essere, come nei tempi passati, la forma del
dialogo e il mezzo di formazione al dialogo? Torneranno ad esserci, oltre che
retori, anche disputanti felici? Anche se mai tornerà un’epoca storica in cui la
retorica sia, con la filosofia, il vertice massimo dell’educazione e del sapere,
una buona teoria e una buona pratica dell’argomentazione possono ricosti-
tuire l’equilibrio del chiasmo ciceroniano sapientia cum eloquentia, eloquentia
cum sapientia.
Sempre sia lodato il dialogo: il dialogo è l’atteggiamento giusto per chi vive
in comunità. Ma sempre sia lodata anche la polemica: la polemica è l’atteggia-
mento giusto per chi vuole comprendere.
L’atteggiamento dialogico-cooperativo è più conforme ad uno spirito di ve-
rificazione: la discussione in ottica cooperativa mira trovare le soluzioni più
accettabili o le conclusioni più condivise. L’atteggiamento polemico-competi-
tivo invece è conforme ad uno spirito di falsificazione, per cui la discussione
funge da filtro per individuare le carenze e i limiti delle proposte.
Concordia o verità? Pax aut veritas? Senza necessariamente dover operare
un rovesciamento dei valori alla Nietzsche, una composizione di queste due
esigenze sembra possibile ed è necessaria.
È possibile se consideriamo gli aspetti dialogici insiti nella controversia e
nel dibattito polemico: chi accetta di discutere con qualcuno riconosce valore
all’interlocutore, lo ascolta e prende in considerazione il suo punto di vista e,
difendendo le proprie idee, insieme cerca di confutare le sue.
28 ADELINO CATTANI
BIBLIOGRAFIA
Grassi, E. (1980), Rhetoric as Philosophy. The Humanist Tradition, University Park, Pennsylvania
State University.
Hawking, St. e Mlodinow, L. (2010), Il grande disegno, Mondadori, Milano..
Kant, I. Critica del giudizio
Kant, I, Critica della ragion pura
Kimball, B.B. (1995), Orators & Philosophers. A History of the Idea of Liberal Education, The
College Entrance Examination Board, New York.
Locke, J. (1988), Saggio sull’intelligenza umana, Laterza, Roma-Bari.
Mill, J. Stuart (1859). On liberty; trad. it. (1999) Saggio sulla libertà. Il Saggiatore, Milano.
Nicolli, S. e Cattani, A. (2008), Palestra di botta e risposta. La disputa filosofica come formazione
al dibattito nella scuola, Cleup, Padova.
Nietzsche, F. (1912), Rethorik, in Werke, XVIII, Kroener Verlag (Lezioni di Basilea sulla
retorica).
Ricoeur, P. (1976), La metafora viva, Jaca Book, Milano.
MANUELE DE CONTI
Gestire i disaccordi
Abstract
Come si sa, il modo in cui fatti e situazioni sono descritti struttura il nostro
modo di percepirli e di reagirvi (Lakoff 2004, p. XV). Anche gli antichi retori
32 MANUELE DE CONTI
1 Questa definizione si può ritrovare nella concezione di «conflitto in senso stretto» pre-
sentata da Emanuele Arielli e Giovanni Scotto (Arielli, Scotto 2003, p. 10).
Gestire i disaccordi 33
Come questi esempi ci indicano spesso gli inganni della nostra facoltà co-
gnitiva, ci inducono a commettere quegli errori di ragionamento che, da un
punto di vista formale o pragmatico, sono chiamati fallacie. Non sto dicendo
che i bias cognitivi siano l’unica causa dei ragionamenti fallaci2. Quello che
sto dicendo è che la possibilità di spiegare i ragionamenti fallaci anche in
termini di bias cognitivi apre la strada a nuove possibilità di comprensione e
nuove strategie di replica. Infatti, se penso che lavare la macchina faccia im-
mancabilmente piovere, forse non ho ancora capito che sto commettendo un
ragionamento fallace che va sotto il nome di post hoc ergo propter hoc, ossia che
confondo una relazione temporale con una relazione causale, ma anche che,
forse, dove lavo la macchina, la probabilità di pioggia è molto alta.
Avendo nuove possibilità di neutralizzare i ragionamenti fallaci perseguire-
mo l’obiettivo di eliminare alcune delle cause che complicano i dibattiti, favo-
rendone uno svolgimento corretto e lineare al fine di minimizzare i disaccordi
e garantire più stabili accordi.
Tuttavia i bias ci permettono di perseguire questo obiettivo anche in un
altro modo. Infatti i bias cognitivi non agiscono solo negli altri. Comprendere
che la nostra stessa conoscenza e il nostro stesso giudizio ne sono minacciati
può permetterci di individuare strategie critiche di verifica dei nostri stessi
processi cognitivi (Vaughn 2008: pp. 4-9). E questo risulta importante poiché
che dei vari errori cognitivi a cui si sarebbe soggetti, uno dei più insidiosi
è l’autocompiacimento. Esso, infatti, condurrebbe a essere sensibilissimi agli
errori cognitivi degli altri ma molto meno ai propri (Pronin 2007, p. 37). In
questo modo la propria capacità d’errore ne risulta sottostimata.
Nella direzione delle strategie critiche di verifica dei processi cognitivi si
muovono le proposte del critical thinking. Caratterizzato dall’attenzione alle
modalità di reperimento, valutazione e organizzazione delle conoscenze e cre-
denze, il critical thinking riconosce come spesso l’uomo, assuma le proprie cre-
denze solo perché sono in molti a considerarle vere, o perché queste lo fanno
2 Infatti i ragionamenti vengono considerati fallaci quando presentano vizi formali o vio-
lano alcuni impegni pragmatici.
36 MANUELE DE CONTI
combattimenti tra galli (Holberg 1994), siano rivolte anche ai nostri dibattiti
scolastici.
Le proposte della pragma-dialettica e dell’Informal Logic già tendono a
questi fini. Il riferimento, infatti, alle regole che una discussione deve rispetta-
re per raggiungere risultati validi, di per sé ha come obiettivo di evitare, tra gli
altri, quegli errori di ragionamento e relazionali che consistono nel combat-
tere l’interlocutore anziché la sua tesi. Anche le regole conversazionali di Paul
Grice assumono in questo contesto un nuovo valore pratico, ossia il rispetto
della cooperazione che, come ben sappiamo, non ha come suo contrario la
competizione, bensì il conflitto. Infine, oltre allo sviluppo delle proposte di
Pronin e Kennedy ossia di discutere attraverso strategie che possano motivare
ad intraprendere ulteriori sforzi per una più accurata comprensione del mon-
do e a percepire i propri interlocutori come capaci di obiettività, interessanti
sono le proposte di comunicazione nonviolenta elaborate da Arne Naess. Padre
dell’ecologia profonda, facendo riferimento al satyagraha, ossia al tipo di lotta
nonviolenta principalmente gandhiana, Naess elabora una serie di principi sui
quali la comunicazione dovrebbe basarsi affinché sia uno mezzo per risolvere
problemi, piuttosto che alimentare confitti (Naess 2006: pp. 100-11).
Concludendo, parlare di disaccordo significa continuare a tracciare la stra-
da lungo il solco della nostra tradizione, interessata più al dibattito che alla
violenza, più alla libertà di espressione che alla forza della repressione. Questo
concetto ci permette infatti di individuare un momento precedente all’espres-
sione e all’azione dal quale poter orientare il proprio comportamento. In par-
ticolare la comprensione dei bias cognitivi ci può guidare a individuare nuove
strategie per far fronter agli altrui errori e alle proprie sviste, e a elaborare le
strategie per evitare che un singolo stato cognitivo si traduca in una situazione
reciprocamente conflittuale.
Infine una formazione al dibattito che sia imperniata sull’idea di un’educa-
zione civile e centrata sui concetti di «disaccordo» e «bias cognitivo» ci porterà
non solo a una teoria del dibattito finalizzata allo sviluppo delle capacità criti-
co-argomentative, ossia focalizzata sulla conoscenza del soggetto che dibatte;
non solo a una teoria del dibattito come strumento per orientare le scelte, fo-
38 MANUELE DE CONTI
calizzata su una terza parte rispetto alle due coinvolte nel dibattito, l’uditorio;
ma soprattutto a una teoria del dibattito che, oltre ad includere le altre teorie,
sia centrata sulla capacità di gestire il disaccordo e quindi focalizzata su colui
con il quale stiamo dibattendo.
BIBLIOGRAFIA
Abstract
1. L’argomento ad ignorantiam
1 Sul ruolo costruttivo delle semplificazioni si veda il punto di vista psicologico in Arcuri,
Cadinu 1998: pp.10, 13, 139.
Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili 41
2. Logica e retorica
3. Tipi di cliché
gruppo una qualità che possiedono solo alcuni: pochi, o anche molti, ma non tutti.
Esiste anche il caso in cui nessuno degli individui risponde all’attributo affibbiato,
oppure questi sì, ci sono, ma non è stata quella l’origine del cliché. Questo ci porta
ad un altro fenomeno, anch’esso diverso dallo stereotipo, che possiamo chiamare
errore tassonomico, come pensare che gli iraniani sono arabi, che i rumeni sono slavi,
che i messicani sono sudamericani, che gli scozzesi sono inglesi. Qui non ha senso
parlare di “eccezione” senza ricorrere a cittadinanze acquisite o alla diversa valenza
dell’aggettivo a seconda che significhi una razza, una lingua, una nazionalità.
b. Simbolizzazioni
c. Microfondamentalismo
sue versioni. Ci sono infatti realtà talmente ricche che solo una pluralità di
versioni può esprimere la loro ricchezza, gli argomenti di cui si occupa la fi-
losofia, per esempio, ed è questo il motivo per cui non esiste una filosofia che
possa essere chiamata quella totale, o quella vera. Anche le forme dell’amicizia
presentano una profusione simile, e quelle della società, della famiglia, delle
religioni, delle diverse arti.
Luigi Pareyson fa una distinzione fra la verità e le sue formulazioni, che
risponde con precisione a quanto voglio esprimere2. La pluralità di formula-
zioni della verità può essere assunta come una pluralità di verità. Ci sono molti
sensi in cui certamente esiste una pluralità di verità, ma qui sto segnalando un
malinteso frequente che è una delle forme del relativismo. L’estremo opposto
consiste nel rifiutare quella pluralità prendendo una delle versioni come se
fosse la realtà piena. Questo può essere chiamato fondamentalismo. Si pensi a
ciò che succede se si prende una filosofia fra le molte esistenti, per esempio il
marxismo-leninismo o il tomismo, o la filosofia analitica, e si ritiene “la vera
filosofia”, con esclusione di tutte le altre, il che è chiaramente una posizione
fondamentalista. L’essenziale non è il riconoscimento di validità di ciò che è
stato preso, ma l’esclusione di validità di tutto il resto.
Ci sono ambiti dove di solito non ricorriamo al termine “fondamentali-
smo”, e tuttavia si applica lo stesso schema. Per esempio se uno dice che vera
pittura è quella rinascimentale e tutto il resto è tentativo di arrivare o corru-
zione posteriore; oppure uno che dice che la Sinfonia Incompiuta di Schubert
è quella di Giulini e le altre sono soltanto approssimazioni; o dire che pizza è
la pizza margherita e tutto il resto sono capricci di turisti. Certo, non stiamo
2 “La parola rivela la verità, ma come inesauribile, e quindi è eloquente non solo per quel
ch’essa dice, ma anche per quel ch’essa non dice: l’esplicito è talmente significante che appare
come una continua irradiazione di significati, perennemente alimentata dall’infinita ricchezza
dell’implicito, sì che comprendere significa approfondire l’esplicito per cogliervi l’inesauribile
fecondità dell’implicito, senza mai raggiungere la completa esplicitazione, per la sovrabbondan-
za della verità, cioè non per inadeguatezza della parola, ma proprio per la sua capacità di posse-
dere un infinito, cioè per una pregnanza di rivelazioni che non per il fatto di aumentare di nu-
mero s’avvicinano a una manifestazione totale, di per sé impossibile” (Pareyson 1971, p.115).
44 RAFAEL JIMÉNEZ CATAÑO
d) Eresia
3 “È evidente che un rapporto del genere non si può configurare nei termini di soggetto e
oggetto: né l’interprete è un ‘soggetto’ che dissolva l’opera nel proprio atto o che debba sperso-
nalizzarsi per rendere fedelmente l’opera in sé stessa, ma è piuttosto una ‘persona’ che sa servirsi
della propria sostanza storica e della propria insostituibile attività e iniziativa per penetrare
l’opera nella sua realtà e farla vivere della sua vita; né l’opera è un ‘oggetto’ a cui l’interprete
debba adeguare la propria rappresentazione dall’esterno, essendo essa piuttosto caratterizzata da
una ‘inoggettivabilità’, che le deriva dall’essere inseparabile dall’esecuzione cha la fa vivere e al
tempo stesso irreducibile a ciascuna delle proprie esecuzioni” (Pareyson 1971, p.71).
Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili 45
e) Stereotipo
disposizione ad imparare di più. Quelle nozioni semplici non sono quindi uno
stereotipo.
Qualche anno fa Marcelo Dascal, dell’università di Tel Aviv, esperto in
argomentazione, commentava il suo desiderio di analizzare un giorno la logica
che sta alla base di espressioni come questa: “Gli ebrei sono dei furfanti, ma
devo riconoscere che i miei migliori amici sono ebrei”. L’espressione citata è
un caso molto caratteristico, ma non è difficile trovare altre categorie umane
dove si verifichi questo modo di ragionare. Dal contrasto fra il cliché e l’espe-
rienza personale non si passa alla correzione di uno degli estremi, vale a dire
rivedere il cliché o concludere per deduzione che quei carissimi amici sono
pure dei furfanti. Invece no, lo stereotipo si mantiene e l’esperienza personale
si assume allora come eccezione. Quando ci si trova ad entrare in una di queste
categorie “stereotipate” non è strano che uno si senta dire “Ma tu sei diverso”,
o qualche altra formulazione di eccezionalità.
Lo stereotipo quindi e l’esperienza si contraddicono, eppure era dall’espe-
rienza che si poteva fare un’induzione. Certo, il cliché non è stato ottenuto per
induzione (o si è fatta una generalizzazione indebita). Quando dal cliché si fa
deduzione, si ottiene una conclusione che contraddice l’esperienza, la quale
viene allora considerata un’eccezione. Sono molte le persone che si portano
avanti uno stato irrisolto nella valutazione di una categoria umana. Da una
parte convivono serenamente, forse anche proficuamente, persino in un rap-
porto personale impegnato; e dall’altra, conservano una valutazione negativa
per la categoria nel suo insieme.
f ) Argomento ad verecundiam
4. Risorse disponibili
E così possiamo ora pensare alle possibili risorse per la gestione dello ste-
reotipo. È evidente che contro l’ignoranza c’è la conoscenza, l’informazione.
Questo però si può rivelare una trappola. Bisogna offrire informazione, su
questo non c’è dubbio, ma più rilevante ancora è il modo di farlo. È chiaro che
spesso la disinformazione contiene informazione corretta. È anche assodato
che l’esperienza concreta spesso non riesce a cancellare il cliché che contraddi-
ce. Nei primi messi del 2010 si parlò molto di uno studio che aveva già una
lunga storia e poi pubblicato sulla rivista Political Behavior (Nyhan, Reifler
2010), dove si sostiene che le false informazioni non si superano con le retti-
fiche, anzi spesso le rettifiche le rafforzano. Ciò è dovuto in buona misura al
fatto che l’effetto del chiarimento è governato da posizioni ideologicamente
prese4. Sebbene la ricerca si incentri sul campo politico, le conclusioni rifletto-
no una realtà più ampia, e certamente illuminano la natura degli stereotipi in
generale5. Come si combatte allora l’ignoranza?
In casi particolari, poco numerosi, di persone veramente serie, in grado di
affrontare un’analisi imparziale al modo d’uno studio sociologico, è proponi-
bile una disamina dei dati per chiarire il malinteso. Di solito però l’attenzio-
6 Di questo viaggio egli si rammaricò più tardi perché diventò una specie di baccanale che
nulla aveva a che fare con le convinzioni politiche.
7 Aristotele, Retorica, II, 1378a.
8 Benedetto XVI la formula in una maniera molto indovinata: “quell’anticipo di simpatia
senza il quale non c’è alcuna comprensione” (Benedetto XVI 2007, p. 20).
9 Cfr. anche Aristotele, Retorica, II, 4.
50 RAFAEL JIMÉNEZ CATAÑO
richiedere anni. I già citati Arcuri e Cadinu spiegano che “un eventuale cam-
biamento degli stereotipi si può realizzare solo con lentissime progressioni e
solo nella misura in cui gli attributi che ne segnano la modificazione si inter-
connettono in maniera estensiva e duratura con il nodo concettuale” (Arcuri,
Cadinu 1998, p. 70).
Ho presentato parte di quanto sto proponendo qui come lectio magistralis
all’inaugurazione dell’anno accademico 2010-2011, nella mia università, che
è la realizzazione postuma di un desiderio di san Josemaría Escrivá (1902-
1975). Proprio in alcune sue lettere avevo avvertito suggerimenti dialettici
quanto mai azzeccati e un evento così istituzionale era l’occasione ideale per
andarli a ritrovare. Egli scriveva: “Conversare richiede agire con cortesia, saper
ascoltare, avere fiducia nell’intelligenza, ripudiare la violenza come metodo
per convincere. La violenza non è mai una soluzione, la violenza di per sé è
stupida. Quando una macchina non funziona, la soluzione non è mai darle
botte, ma lubrificarla, oliarla. Nei rapporti umani l’olio è il dialogo amabile,
la giustizia intrisa di carità”10.
Penso che per violenza – respinte senz’altro quella fisica e anche quella
verbale che si traduce in insulti, minacce, ecc. – qui si intenda più verosimil-
mente il discorso che si impone con l’autorità o con la forza di argomenti
forse anche validi ma più ingiunti che proposti alla comprensione dell’inter-
locutore. In ogni caso è probabile che, sebbene non sarà difficile alla maggior
parte dei lettori trovare condivisibile la messa al bando della violenza, tuttavia
rimanga l’impressione che in questa descrizione delle esigenze di una conver-
sazione le risorse dialettiche si riducano. È legittimo domandarsi perché mai
si dovrebbe essere cortesi, o su quale base potremmo fidarci dell’intelligenza
altrui. Dovremmo appellarci ad un’antropologia cognitiva e ad una teoria del
dialogo, ma per il momento basti segnalare che è una questione di fini. Nel
suo celebre manualetto di disputa eristica, Schopenhauer propone stratagem-
mi ben lontani da questa considerazione per la persona dell’interlocutore, ma
10 Escrivá 1965: n.33. La traduzione è mia. Sulla natura di queste lettere, cfr. Illanes 2009:
pp. 246-257.
Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili 51
il suo gioco è chiaro: lo scopo è quello di vincere in una discussione, non quel-
lo di raggiungere o condividere una verità né tanto meno quello di educare
nessuno. Egli spiega che ci sono dialoghi in cui si cerca la verità e dialoghi
in cui lo scopo è “ottenere ragione, dunque per fas et nefas [con mezzi leciti
e illeciti]” (Cfr. Schopenhauer 2004, p. 903), perché, “di regola, chi disputa
non lotta per la verità, ma per imporre la propria tesi”11. Siccome lo scopo del
dialogo di cui parla san Josemaría è la condivisione della verità, e visto che l’in-
terlocutore viene preso nella sua integrità di persona, egli invitava ad esporre
“la verità serenamente, in maniera positiva, senza polemica, senza umiliare,
lasciando sempre all’altro un’uscita dignitosa” (Escrivá 1932: n.70). Questo
mi sembra un modo chiaro di mostrare la propria buona volontà. Ed è anche
una rinuncia a far leva sulla vergogna altrui. Così, quando poi capiterà a me di
avere torto, questo stesso atteggiamento mi aiuterà a scoprirlo e ad accettarlo.
La proposta di applicare questi suggerimenti nella gestione degli stereotipi
risponde al forte radicamento che essi hanno nella nostra mente, il che costi-
tuisce anche un problema di visione: finché un nostro concetto avrà le caratte-
ristiche dello stereotipo, non ci consentirà di vedere altro, donde l’esigenza di
ricorrere alla buona volontà, che sposta il peso dell’attenzione fuori dall’ambi-
to concettuale. Si potrebbe dire che chi ha come scopo vincere in una disputa
può fare uso di risorse più “forti” – la sfida, il sarcasmo, la polemica – di chi
invece vuole condividere una verità e trattare l’interlocutore come un “altro
io” (Etica Nicomachea, IX, 4, 1166a 32). Se però ha l’intenzione di debellare
qualche stereotipo, è probabile che riesca solo ad indurirli ulteriormente.
Perciò san Josemaría scendeva persino allo specifico suggerimento di “non
stravincere” (qui usava il verbo italiano12) come una dimostrazione di delica-
tezza. Schopenhauer – il contrasto è drastico, ma illuminante – proponeva
l’argumentum ad verecundiam proprio come uno stratagemma, con l’esplicito
11 Si spiega pure che in quelle dispute bisogna presupporre slealtà e vanità nei partecipanti
(Cfr. Schopenhauer 2004: pp. 904-5).
12 Escrivá 1965: n.33: “Es necesario tener la delicadeza de no apabullar, de no stravincere,
como dicen en italiano, de no llevar las cosas más allá de lo necesario”.
52 RAFAEL JIMÉNEZ CATAÑO
invito a servirsi dei pregiudizi esistenti e con la consapevolezza che “le autorità
che l’avversario non capisce affatto per lo più producono l’effetto migliore”
(Schopenhauer 2004, p. 932); e con la stessa pragmaticità egli garantisce il
successo in un altro stratagemma – quello di cantare vittoria senza fondamen-
to – “se l’avversario è timido o sciocco”13.
“Lasciare all’altro un’uscita dignitosa”, “non stravincere”, sono strategie
tutt’altro che vincenti nel senso dell’opuscolo di Schopenhauer. Se però si
tiene ben presente la distinzione dei fini, sarà possibile apprezzare un nuovo
giro di vite “perdente” in cui io trovo una risorsa paradossalmente efficace se
lo scopo del dialogo è condividere la verità nel rispetto dell’altro: “A volte la
carità più fine sarà far sì che l’altro rimanga nella convinzione di essere arrivato
per conto suo a scoprire qualche nuova verità” (Escrivá 1932: n. 70).
L’accurata attenzione alla buona volontà nella gestione di concettualizza-
zioni difettive è anche pertinente in funzione preventiva, per evitare il difetto
in contesti che presentano quel rischio, come succede in ogni uso di analogie,
metafore, metonimie14. La distanza fra il senso letterale e ciò che si vuole co-
municare è sempre una non identità e racchiude quindi una certa ignoranza
che deve essere superata, il che richiede altrettanta volontà di vedere e di capire.
BIBLIOGRAFIA
Arcuri, L. Cadinu M. R. (1998), Gli stereotipi. Dinamiche psicologiche e contesto delle relazioni
sociali, Il Mulino, Bologna.
Aristotele, Etica Nicomachea, a cura di C. Natali, Laterza, Bari 1999.
Aristotele, Retorica, trad. di M. Dorati, Arnoldo Mondadori, Milano 1996.
Aristotele, Topici, a cura di M. Zanetta, UTET, Torino 1996.
13 “Schüchtern oder dumm” dice l’originale, ingentilito nella traduzione (Schopenhauer
2004, p.926).
14 Dove le fallacie in agguato sono generalizzazione indebita, falsa analogia, caricatura,
antagonista di comodo (straw man), pio desiderio (wishful thinking), e inoltre i cliché che
abbiamo or ora analizzato.
Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili 53
Abstract
1. La situazione
Terzo aspetto : “dato che muta aspetto per la distanza da cui viene
osservato”.
È noto come una stessa immagine possa dare luogo a interpretazioni anche
molto distanti in persone diverse, o come un medesimo concetto possa con-
cretizzarsi in immagini di significati simbolici fra loro assai lontani. Probabil-
mente questa problematica è nell’esperienza della maggior parte delle persone.
Per averne un ulteriore esempio può essere significativo osservare il quadro di
60 PAOLO BOSCHI
l’aspetto quantitativo;
l’aspetto probabilistico.
irrazionalità;
emozione;
semplificazione.
4. Parole valigia
mo passo verso un’azione forte. Quindi, Per chi tende al risultato, persuadere
più che convincere.
convergenti che concorrono a formare i due lati del triangolo che rappresenta
l’insieme dei rapporti. Nella figura, si tratta del triangolo bianco con la base
dalla parte del lettore.
Da parte sua, l’uditorio reagisce ai segnali che percepisce e risponde con
emanazioni di ritorno, che si insinuano tra i due contendenti, contribuendo a
definirne i rispettivi stati psichici e la conseguente forza dibattimentale. Nella fi-
gura, questo feedback è rappresentato dal triangolo bordato di nero con la punta
rivolta verso il lettore.
Nella configura-
zione di tale feedback
è l’uditorio a stabilire
la qualità dell’argo-
mentazione, poiché
non esiste il discorso
“chiaro e convincente
in astratto”, ma solo
discorsi comprensibili
o non comprensibili,
accettabili o non accet-
tabili per determinate
platee. Il valore della chiarezza, fondamentale per argomentare, passa dunque
attraverso una corretta analisi e definizione preventiva dell’uditorio, diretta a in-
ferire il suo modo di percepire la realtà. Infatti, per decidere di dedicare parte del
proprio tempo all’ascolto di un’argomentazione – e soprattutto per decidere se
accettarla o meno - l’uditorio ha necessità di poter percepire che quell’argomen-
tazione lo riguardi e abbia a che fare con i suoi reali interessi, che possono essere
quotidiani e concreti come il prezzo dei generi alimentari, elevati e morali come
l’abolizione della tortura, culturali e tecnici come il progresso dell’astronomia.
Al fine di ottenere consenso e sostegno da un uditorio occorre poi tenere conto
dei suoi valori e delle sue reazioni, talora variegate. Ad esempio, a un dibatti-
to su nuove forme di sostegno alla disabilità possono presenziare anche persone
normodotate, come familiari, amici e volontari legati a tale contesto. Occorrerà
Fatti, valori e dibattito 71
quindi tenere presente che il pubblico è composto da soggetti diversi con istanze
altrettanto diverse rispetto alla questione handicap. Il tema è tanto più importan-
te quanto più l’uditorio abbia un rilievo rispetto alla conclusione di un dibattito.
Nonostante ciò che la tavola mostra e ad onta del modo in cui le figure
costituite dai vettori di comunicazione sono state definite poco sopra, nello
schema non vi sono triangoli. Risulta allo sguardo, ma si tratta solo di un caso
di percezione amodale. Da qui il quesito: ora che sappiamo che le figure ge-
ometriche utilizzate per esemplificare il concetto non ci sono, il concetto che
essa è stata chiamata a rappresentare risulta ancora valido?
Per tutto ciò, risulta confermata l’importanza di indagare i temi della per-
cezione e della comunicazione, in modo da garantire visioni corrette del dato
di partenza e sviluppare capacità di impatto sugli astanti. I vantaggi per chi
si muovesse in tal senso potrebbero risultare molti e importanti: recupero di
tempo e chiarezza, diminuzione del contenzioso, sviluppo della capacità di ac-
quisire informazioni oggettive e, infine, aprirsi al nuovo come sviluppo fisio-
logico. Lo scambio fra cognitivisti, filosofi e oratori-retori sarebbe vantaggioso
per tutti e per ciascuno poiché , con lo slogan citato da Adelino Cattani, “è il
pensiero degli altri che ci aiuta a pensare con la propria testa”.
CITAZIONI
È difficile trovare persone di buon senso, salvo tra quelle che la pensano come noi. (La
Rochefoucauld)
Il genio è la capacità di vedere dei rapporti dove gli uomini inferiori non ne vedono alcuno.
(William James)
La concentrazione è avere il coraggio di imporre… alle persone e agli avvenimenti la vostra decisio-
ne su cosa è importante e su cosa deve venire al primo posto. (Peter Druker)
La semplice idea che esista un’altra idea è già qualcosa di guadagnato. (Richard Jeffries)
Il linguaggio è un labirinto di strade, vieni da una parte e ti sai orientare, giungi allo stesso
punto da un’altra parte e non ti raccapezzi più. (Ludwig Wittgenstein)
Le si affacciò una lagrima sul ciglio, / sul mio labbro una frase di perdono;
parlò l’orgoglio e si asciugò il suo pianto, / e sul labbro la frase mi morì.
Io vo per una via, lei per un’altra; / ma se pensiamo al nostro muto amore
Io dico ancor: Perché quel giorno tacqui? / E lei: Perché non lagrimai, quel dì?
(Leon Woods)
è impossibile sconfiggere un ignorante durante un litigio. (William Gibbs)
È la dose che fa il veleno. (Paracelso)
Gli ideali di un leader li capisci dalle sue metafore. (Leon Woods)
Fatti, valori e dibattito 73
Non c'è uomo che non erri, né cavallo che non sferri. (Antico proverbio toscano)
Ciascuno chiama idee chiare quelle che hanno lo stesso grado di confusione delle sue. (Marcel
Proust)
Il genio è la percezione dell’ovvio che nessun altro vede. (Ronald Weiss)
Tutto il pensare che fai prima di iniziare un lavoro, abbrevia il tempo per eseguirlo. (Roy L.
Smith)
Se non avete problemi, perdete l’opportunità di crescere. (Thomas Blandi)
È meglio un capitombolo che non provarci mai. (Raffaella Carrà)
L’umorismo è un’affermazione di dignità, una dichiarazione della superiorità dell’uomo su tutto
quanto gli accade. (Romain Gary)
A meno di non essere un genio, conviene puntare alla comprensibilità. (Anthony Hope)
Parlare a qualcuno che non ascolta è sufficiente a irritare il diavolo. (Pearl Bailey)
PAOLA CANTÙ1
Abstract
L’articolo sostiene che la lettura e l’analisi dei quotidiani può costituire un momento
formativo per l’educazione al dibattito dei cittadini, poiché favorisce lo smascheramento
degli errori di ragionamento, lo studio delle mosse strategiche e la distinzione tra mosse
retoriche efficaci e mosse logicamente corrette. In particolare l’interesse dei testi giornali-
stici concerne anche l’analisi dei meta-argomenti, vale a dire dei ragionamenti che hanno
come oggetto la validità dei ragionamenti stessi. Attraverso l’analisi di tre esempi specifici
l’articolo abbozza anche una strategia di difesa contro le mosse che mirano a squalificare
i giornali come falsi e dunque a chiudere anziché aprire la discussione.
1. Introduzione
1 Ringrazio Italo Testa che, pur non avendo avuto modo di collaborare alla preparazione e
alla stesura di questo articolo, ha comunque discusso varie parti dell’articolo, fornendo, come
d’abitudine, preziosi commenti.
76 PAOLO CANTÙ
2. Tre obiezioni
In secondo luogo gli articoli di giornale sono sempre e soltanto testi scritti.
Tuttavia essi sono spesso un’istantanea di argomenti ripetuti nel dibattito pub-
blico, vuoi perché riportano un’intervista o parti di un discorso pubblico, vuoi
perché per avvicinarsi ai lettori gli autori cercano talvolta di imitarne il linguaggio
e gli stili argomentativi. L’analisi e la ricostruzione degli argomenti presenti nei
testi scritti ha il vantaggio di essere più semplice perché il testo può essere riletto
più volte, e garantisce comunque una facile estensione all’ambito del dibattito
orale, che spesso si basa su argomenti simili a quelli riscontrati nei testi scritti.
In terzo luogo gli articoli pubblicati sui quotidiani sono monologici, ad ecce-
zione delle interviste riportate in discorso diretto. Tuttavia l’apparenza monologi-
ca non esclude la presenza di una struttura fondamentalmente dialettica, poiché
molti articoli nascono come risposta a testi (scritti o orali) precedenti oppure
mirano a scatenare una reazione (una risposta, un dibattito, una domanda, una
riflessione) nel lettore, in altri giornalisti, in personaggi pubblici, negli intellettua-
li, nell’editore... In questo senso tali articoli possono essere considerati come delle
istantanee di un vero e proprio dibattito che si muove in un tempo discontinuo
e rallentato, ma che non cessa perciò di avere la funzione di una discussione dia-
lettica tra punti di vista diversi, che interagiscono rispettando ciascuno il proprio
turno di parola. A questo proposito, si potrebbe pensare che i giornali abbiano
il vantaggio, rispetto ai talk-show televisivi, di impedire il mancato rispetto dei
turni di parola, e dunque di favorire uno scambio equilibrato e corretto tra le
parti. Vedremo tuttavia che ogni mezzo ha le sue infrazioni specifiche e che an-
che sui quotidiani è possibile violare le regole di un corretto scambio dialettico,
ad esempio interpretando in maniera scorretta le tesi dell’interlocutore oppure
ignorandole o ancora facendole proprie in maniera tacita (§ 5).
l’analisi e la valutazione dei meta-argomenti, vale a dire dei ragionamenti che han-
no come oggetto la validità dei ragionamenti stessi. La tesi che l’argomento vuole
difendere non riguarda come stanno le cose, ma come devono essere valutate le
ragioni portate a favore di una tesi. In altre parole io produco un meta-argomento
quando porto ragioni a favore della distinzione tra ciò che è legittimo e ciò che
non è legittimo dire nel dibattito pubblico, quando cioè l’oggetto dell’argomento
è a sua volta un argomento (§ 3). In particolare mediante la lettura comparata dei
quotidiani è possibile studiare i meta-argomenti e gli effetti dello stile argomenta-
tivo sull’andamento del dibattito pubblico. Ad esempio (§ 7), è possibile indaga-
re l’effetto di fallacie particolarmente pervasive, come l’avvelenamento del pozzo,
sulla credibilità dei quotidiani come mezzi di informazione. In particolare l’analisi
dello stile argomentativo dei quotidiani permette anche di individuare vari usi del
dibattito pubblico stesso, che può essere volto a chiudere o a riaprire la discussione,
frenando o stimolando la richiesta di ulteriori ragioni nell’interlocutore (§ 6).
Nel seguito dell’articolo analizzeremo alcuni esempi, tratti dal volume E qui
casca l’asino. Gli errori di ragionamento nel dibattito pubblico (Cantù 2011) a so-
stegno delle tesi sopra esposte, prima fra tutte l’idea che gli argomenti presenti
negli articoli dei quotidiani possano avere una natura intrinsecamente dialettica se
considerati come momenti di un dibattito pubblico più ampio. Dapprima analiz-
zeremo uno scambio dialettico basato su meta-argomenti tra un lettore e l’editore
di un quotidiano (§ 4). Quindi considereremo un caso di violazione delle regole
della comunicazione in uno scambio tra una giornalista, una scrittrice e una filoso-
fa (§ 5). In seguito valuteremo un caso di argomento che mira a chiudere o zittire
il dibattito (§ 6). Da ultimo analizzeremo una fallacia di avvelenamento del pozzo
che ha ricadute significative sulla credibilità dell’informazione giornalistica (§ 7).
4. La monnezza rom
Uno scambio dialettico che si è verificato nel maggio 2008 tra Vittorio Feltri,
giornalista e direttore di «Libero», e Alfonso Gianni, lettore e ex onorevole di
Rifondazione Comunista illustra bene il meccanismo dialettico che può instau-
La formazione al dibattito attraverso l’analisi... 79
La mia mente ottusa pensava che Papalia & C. s’impegnassero a disinfestare il Veneto
dalla monnezza rom e assimilati. Sono stato il solito egoista: ho pensato sempre e solo
alla mia grama pellaccia, a non farmi randellare dal primo marocco di strada.2
Come può pensare di ospitare sul suo giornale opinioni di questo genere? Come Lei
può constatare siamo nel più puro e delirante razzismo. Tale è considerare una porzione
di umanità, come il popolo rom (e «gli assimilati» chi e quanti sono?), un rifiuto.3
[Matteo Mion] non ha scritto che i rom sono spazzatura, ha scritto di aspettarsi
che Papalia & C. si impegnino a disinfestare il Veneto dalla spazzatura rom. Cioè
dei rom, che notoriamente non sono rispettosi, nei loro campi abusivi e no, delle
norme igieniche. E anche questo è un dato, non una sensazione. Lei obietterà che
Mion avrebbe potuto esprimersi in forma più delicata. Sono dello stesso parere. Ma
2 Matteo Mion, «L’Espresso e la Verona che non c’è», Libero, 16 maggio 2008, p. 12.
3 Alfonso Gianni, «Che tristezza definire i rom in quel modo», Libero, 23 maggio 2008,
p. 7.
80 PAOLO CANTÙ
aggiungo che chiunque maneggi la penna non è mai abbastanza lieve. Il razzismo,
via, è un’altra cosa.4
Zingari & Cassonetti, monnezza umana e monnezza urbana. Circolano due teorie:
da quando c’è la destra con la Lega al governo, zingari e immigrati sono due capitoli
dell’emergenza rifiuti. L’altra teoria dice: no, la destra e la Lega sono al governo perché
la gente considera zingari e immigrati due capitoli dell’emergenza rifiuti.5
4 Vittorio Feltri, «Ma i fatti contano più di qualsiasi parola», Libero, 23 maggio 2008, p. 7.
5 Marcello Veneziani, «Cacciate i rom che delinquono. Ma attenzione…», Libero, 22
maggio 2008.
La formazione al dibattito attraverso l’analisi... 81
Gira e rigira, tornano sempre al femminismo. Per spiegare la catena funesta di delitti
contro le donne, uno al giorno, Dacia Maraini sul Corriere della sera, Michela Marzano
su la Repubblica e un esercito di donne pubblicanti sui quotidiani d’impegno, ricorro-
no alla solita vecchiotta spiegazione, diversamente modulata: è il maschio spossessato
(...) che non sopporta l’emancipazione femminile e allora torna dispotico, cruento e
6 D. Maraini, «Il sale sulla coda. Quelle ragazze uccise dal bisogno di potere», Corriere
della Sera, 13 luglio 2010.
7 M. Marzano, «Perché gli uomini uccidono le donne», La Repubblica, 14 luglio 2010.
82 PAOLO CANTÙ
primitivo. La tesi è facile, ideologicamente comoda per loro, ma non convince. Perché
non considera tre o quattro cose.
Veneziani non attacca la tesi principale avanzata nei due articoli (gli omi-
cidi in questione non sono l’effetto di un sentimento d’amore ma di un sen-
timento di paura), bensì la tesi che collega la paura di perdere il possesso e il
potere sull’altro alla diffusione di una cultura «androcentrica» o «maschilista».
Le due diverse posizioni sopra menzionate vengono però identificate da Ve-
neziani in un’unica tesi che egli ricostruisce in maniera semplificata per aver
miglior gioco nella confutazione. In questo modo egli viola la decima regola
del decalogo di van Eemeren e Grootendorst (2008, p. 176): «Una parte non
può usare formulazioni non sufficientemente chiare, confuse o ambigue. Una
parte deve sempre interpretare le formulazioni dell’altra parte quanto più at-
tentamente e accuratamente possibile».
Consideriamo la prima obiezione mossa da Veneziani alla tesi di Marzano:
La prima obiezione elementare è che la società era infinitamente più maschilista negli
anni Settanta quando il femminismo era più virulento, mentre delitti di questo gene-
re con questa impressionante sequenza, si vedono invece quarant’anni dopo, quando
molte di quelle rivendicazioni che all’epoca sconcertavano, sono diventate ormai oriz-
zonte comune.8
Si tratta di un’obiezione che Marzano stessa si era posta e cui aveva risposto
suggerendo che si tratti di un tentativo di restaurazione della cultura patriar-
cale-dispotica.9 La scorrettezza dialettica di Veneziani consiste sia nell’usare
un’obiezione già confutata da Marzano ignorando però il controargomento
sia nella dichiarazione di aver confutato la tesi avversaria pur non avendo mos-
I professionisti del fischio sono cupi, arroganti, fanatici. Purtroppo sta diventando una
moda. Ma è un errore essere accondiscendenti con una pessima abitudine, antiliberale
e antidemocratica. Non è vero che ci sia alcunché di spontaneo, in quel dissenso: sono
sempre minoranze molto agguerrite e molto organizzate. Ma non sono il popolo. [...]
Fischiassero pure, ma la smettessero di farlo a nome di un loro inesistente «popolo
indignato». [...] Hanno tutti gli strumenti democratici per dissentire: manifestazioni,
cortei, spettacoli, comizi, sit-in, happening di piazza. Ma la smettano di zittire gli altri
per sentirsi buoni e forti. Non in nostro nome.
dovere di rispondere nei giorni successivi con un’intervista nella quale espone-
va una ragionata difesa delle proprie scelte politiche in Iraq.12
In risposta all’articolo di Battista, Travaglio ribatte con tre diverse strategie:
1) controargomenta mediante un esempio: come Blair ha risposto alle critiche
ritenendole legittime così dovrebbe fare anche Schifani, perché la contesta-
zione dei potenti è uno strumento tipico delle democrazie e i cittadini hanno
diritto di essere presi sul serio come interlocutori, anche quando fischiano o
pronunciano slogan offensivi; 2) denuncia le fallacie di linguaggio pregiudi-
zievole di Battista con un meta-argomento; 3) spiega già dal titolo del suo
pezzo «Giornalisti-estintori» che la strategia argomentativa di Battista mira a
zittire il dibattito pubblico.
13 Inizialmente Massimo D’Avanzo si era riferito alla «macchina del fango» diretta da
Berlusconi contro i suoi oppositori politici, Saviano aveva parlato della «macchina del fango»
orchestrata da Cosentino contro Caldoro, candidato rivale del Pdl in Campania, e Ezio Mauro
aveva usato l’espressione «centrale del fango» nell’analisi del caso Marrazzo. Successivamente
il termine «fango» è stato impiegato per accusare i giornalisti stessi : si è parlato per esempio
del «fango che [Santoro] getta quotidianamente contro il premier», o del fango raccolto nelle
fabbriche dei dossier dal direttore del giornale di Silvio Berlusconi in relazione ai casi Vaudano,
Marini, Boffo, Marcegaglia o delle «paginate di fango su la Repubblica a firma D’Avanzo» o an-
cora del «Metodo “Repubblica”: fango e giustizialismo sempre a senso unico». Cf. M. D’Avan-
zo, «La macchina del fango», La Repubblica, 27 ottobre 2009; R. Saviano, «Dossier, calunnie
e voti comprati. La macchina del fango targata Cosentino», La Repubblica, 17 luglio 2010;
E. Mauro, «La centrale del fango», Corriere della Sera, 23 luglio 2010; AAVV, «Feltri sospeso
sei mesi per caso Boffo e Farina. Il direttore: trattato peggio di un prete pedofilo», Redazione
della versione online de il Giornale, 26 marzo 2010; G. D’Avanzo, «Così colpisce la fabbrica
dei dossier al servizio del Cavaliere», La Repubblica, 11 ottobre 2010; A. Sallusti, «Ecco le vere
fabbriche del fango», il Giornale, 12 ottobre 2010; P. Bracalini, «Metodo "Repubblica": fango
e giustizialismo sempre a senso unico», il Giornale, 12 ottobre 2010.
La formazione al dibattito attraverso l’analisi... 87
ci accontentiamo del giudizio dei nostri lettori, che in questi giorni ci premiano facen-
do schizzare le vendite del Giornale a cifre da record15
Due paginate di fango su La Repubblica a firma D’Avanzo, quello che nel torbido pesca
da anni per costruire teoremi che mai reggono la prova dei fatti.17
Anche se poi si rivela per quel che è: un giornalismo di scorie velenose, un giornalismo
D’Avanzo.18
8. Conclusione
BIBLIOGRAFIA
Cantù, P. (2011), E qui casca l’asino. Gli errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Torino,
Bollati Boringhieri.
Castells, M. (2009), Licenza di uccidere: la politica dell’aggressione, estratto dal volume Comu-
nicazione e potere (Milano, Bocconi Editore, 2009), Micromega, 16 ottobre 2009.
D’Agostini, F. (2010), La verità avvelenata, Torino, Bollati Boringhieri.
Eemeren, F. van, e Grootendorst, R. (2008) A Systematic Theory of Argumentation. The Pragma-
Dialectical Approach, 2004, Cambridge, CUP; trad. it. a cura di A. Gilardoni, Una
teoria sistematica dell’argomentazione: l’approccio pragma-dialettico, Milano, Mimesis.
Walton, D. (2006), Poisoning the Well, Argumentation, 20, pp. 273-307.
ALFRED C. SNIDER
Abstract
Il 21° secolo si distingue dal secolo passato per diversi aspetti: l’enorme quantità di
informazione a cui possiamo aver accesso, ma dalla quale siamo anche investiti e obe-
rati; i veloci cambiamenti sociali; l’interconnessione globale, che vede, ad esempio, in
Cina le conseguenze di ciò che succede in Italia; la capacità argomentativa promossa
attraverso rilevanti risorse economiche. Così com’è, il sistema scolastico non è in grado
di far fronte a queste sfide. Infatti, la concezione della memoria come “deposito” è
inidonea allo scopo e troppo spesso gli studenti hanno un ruolo passivo nel processo
educativo. Inoltre lo sviluppo delle loro capacità è trascurato e sempre più si chiede loro
di ascoltare e non di mettere in discussione. Il dibattito è la possibile soluzione a tutto
ciò: esso è infatti lo strumento adatto per promuovere la capacità di pensare e di dialo-
gare, non può facilmente essere sottoposto al controllo autoritario e inoltre attiva una
serie di processi di adattamento vitali nella società attuale. Tuttavia l’entusiasmo per
questo metodo e i notevoli risultati acquisiti e acquisibili con la sua applicazione non
hanno finora indotto mutamenti sensibili nel sistema scolastico. A tal fine si rendono
necessari anche dati empirici, di cui noi oggi siamo in possesso, che accertino questa
sua validità. Il presente articolo riporta gli esiti di una prima ricerca a riprova della più
alta probabilità di portare a termine gli studi da parte degli studenti che hanno incon-
trato il dibattito lungo il loro percorso scolastico; dei loro migliori risultati accademici;
dell’aiuto che il dibattito può offrire non solo gli studenti più dotati, bensì a tutti quelli
che vi prendono parte, a prescindere dalle doti naturali di partenza.
My background
I was a very poor student and also a discipline problem until at the age of
eleven. I was invited to be in a debate. It changed my life, and especially my
92 ALFRED C. SNIDER
Our older techniques of education and social organization may have been
satisfactory in the past, but the present is quite different. Many important
changes in the intellectual landscape of our planet took place in the 20th Cen-
tury, and they are all making their mark in the 21st Century. These develop-
ments are already known to you, but bear repeating to make my eventual
point.
Instead of an in-depth explanation, allow me to just outline these
changes:
1. There is more information now that ever. The increase in informa-
tion will continue to increase geometrically, which means that we
Debate: Critical Method for the 21st Century 93
I am sure that we are all familiar with the chorus of criticisms that modern
education faces. Rather than repeat all of them, I would like to briefly sum-
marize those indictments that seem most relevant to this discussion.
1. The old “banking” model is insufficient. We often view students as
a bank account into which the instructor deposits knowledge. The
94 ALFRED C. SNIDER
data is a “thing” or an “artifact,” and once the student has it, they
are then educated. Given the magnitude of current knowledge that
seems impossible as well as ineffective. I tend to agree with Paolo
Freire in this work The Pedagogy of the Oppressed (Freire, 2007). Stu-
dents need to learn how to manipulate and process data more than
just check to see how full their knowledge bank account is.
2. Students are too often in a passive role. They are told to remain
quiet and learn through listening. I am all for listening, but there is
little motivation for it unless the student has a chance to be active,
to participate and express themselves. We need a “noisy classroom”
in the words of the UK’s Debbie Newman, who advocates active
roles for students through debating and similar communicative
roles (Newman, 2010).
3. Skill development is neglected. Skills have been relegated to the
domain of vocational education, whereas multiple skills are essen-
tial for high level intellectual involvement in modern society, such
as organizing research, public speaking, responding to criticism,
thinking on one’s feet, asking and answering questions, note tak-
ing, learning to persuade listeners and other abilities. The current
method of “learn it once and move on” neglects these complex skills
that need to be developed over time and through considerable rep-
etition. Debating does this by, during each iteration, calling on all
of these skills by those participating.
4. Students are taught to “accept” and not to “question.” The truth
comes from the teacher as unassailable fact and the student becomes
a habitual receiver of that information. The student is not taught to
question and find the fault in what is offered. This poorly prepares
students for the real life situation of competing advocates offering
their own perspectives and asking the citizen to wisely choose be-
tween them. Modern education does not train young people to find
faults, ask difficult questions and to test ideas that are being offered
to them. Thus, in life they may find it hard to do what they are
Debate: Critical Method for the 21st Century 95
For each of these five ills, I believe that debate is a possible solution. De-
bate provides the potential for independent vigorous free thought and dia-
logue. Debate cannot easily be policed or controlled, and its process requires
active thinking. Classrooms are increasingly important spaces to teach stu-
dents intellectual survival skills.
I believe that using debate as an educational and/or classroom technique
is valuable in addressing these issues and how citizens deal with them. Debate
teaches content as well as process and requires information acquisition and
management. Different aspects of an issue must be investigated and under-
stood by the debater. Debaters learn how to gather information and marshal
that knowledge for their purposes. The process of debating is dynamic, fluid,
and changing. Every day brings new ideas and new arguments. Every op-
ponent uses some arguments that are expected and some that are not. Con-
nections need to be made between the arguments in every debate as debaters
search for ways to use what others have said against them. Debaters also learn
to compete against others in the realm of ideas while cooperating with team
and class members in their efforts. Debaters learn to cooperate in order to
compete. Debaters must critically analyze and deconstruct ideas presented by
their opponents in preparation for doing the same thing for the rest of their
lives in all of their information transactions.
2. Clash with a critique the arguments of the other. This is rarely done
in modern media, and even more rarely in schools.
3. Defend your own arguments from the critique of opponents. Media
time allocation does not allow this, nor are there many teachers who
are willing to defend their arguments against critical analysis.
4. Develop a perspective on all issues that enables a decision about the
question at hand. The discussion needs to be packaged for a deci-
sion by an audience, which rarely happens today in politics or in
education.
Debate calls to task simplistic public dialogue and foments a kind of glo-
bal critical thinking. By encouraging participants to look carefully at the root
causes and implications of controversies, and by teaching students that ex-
perts often have their own interests in mind when they produce facts and
norms, debate can create a powerful resistance to many problems that seem
to overwhelm us today. Most important, debate teaches a method of critical
questioning and learning that can help anyone who seeks out new interpreta-
tions. Debates encourage students not only to debate about content but also
about the frameworks of problems and how to solve them. Debate heightens
mental alertness by teaching students to quickly process and articulate ideas.
Thinking on their feet, debaters are required to hear an idea and then provide
a response. This pressure-laden scenario enhances the educational outcomes
and spontaneity of debates.
Empirical results
Most of us working in this field believe that debating has a very positive
academic impact on the students who participate. However, the opinions of
committed enthusiasts is not going to influence school systems and ministries
of education. Only rigorous empirical research can do this. Some of the ear-
lier studies of the academic impact of debating were flawed in very important
Debate: Critical Method for the 21st Century 97
ways. However, now we seem to have a series of peer reviewed studies that
suggest that the relationship is quite strong between debating and academic
success.
Competitive debating
Classroom debating
group A.) improved to 20 while group B.) improved to only 14 and group C.)
scores actually declined. At this point parents of those in group C.) demanded
that their students be included in the debate across the curriculum method
and the experiment was discontinued.
In a recent study of students in Hong Kong, Sam Greenland (2010) was
able to show that debate training of high school students showed considerable
promise. He found that many of the issues that had been raised about previous
studies did not seem relevant. He found that it was not true, as some had sug-
gested, that male students learned debating better than females, but that both
gained knowledge and skills equally. He also found that those students, who
were more academically able, based on previous performance, did no better
than their poorer performing comrades, indicating that debate is not just “for
the smart” but can be done by almost all students. Finally, he discovered that
abilities in speaking English (the debating activities all took place in English)
did not influence the amount of debating expertise developed, and that those
with less English speaking ability still performed very well in the debates that
were scored. Thus, these findings may serve to answer some of the concerns
that debating only helps some, or the gifted or the verbally able. The results
in a large controlled study showed that debating helped everyone. As of this
time I am awaiting Greenland’s findings about the future academic success of
these students and whether debating improved their overall performance, and
preliminary analysis of the data indicates that debating did, indeed, improve
overall academic performance significantly.
Conclusions
Those we teach today will spend the rest of their lives in the future. It is
essential that we understand how the present is different from the past and
design our educational experiences accordingly. All over the world educational
systems are being reorganized to emphasize active learning, critical thinking
and creativity. I do not pretend to believe that debating is a magic bullet for all
100 ALFRED C. SNIDER
of the issues we face, but I do think it is a very strong candidate for something
that can be done to better prepare students for the future.
A democracy cannot just be a form of government; it must also be a state
of mind. In democracies we get the governments we deserve, and if your vot-
ers are passive, accepting and lack critical thinking capacities and abilities to
speak out, we will have more of the same, more of what we have now. I believe
that we can greatly improve all of our societies by raising up a generation of
debaters to become a new generation of citizens.
BIBLIOGRAFIA
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Snider, A. Schnurer, M. (2006), Many Sides: debate Across the Curriculum, New York, iDebate
Press.
ANTONIO MARTÍN SANCHEZ
Con Acento
Abstract
Los debates, en los que se celebra sorteo para elegir el tema de entre los
dos posibles y la postura que defenderá cada equipo, tienen una duración de
30 minutos, dividiéndose en cuatro intervenciones para cada equipo alternas;
introducción (4´), primera refutación (4´), segunda refutación (4´) y conclu-
siones (3´). Durante las refutaciones está permitido, siempre bajo la concesión
del orador, interpelar desde el equipo que no está en el uso de la palabra.
El Jurado, formado por un Juez principal (miembro de la organización)
y dos auxiliares (un exdebatiente ajeno a la organización con una trayectoria
reconocida y un profesor universitario) delibera en torno a los siguientes
ítems:
Diseñando debates:
preliminares para un enfoque dialógico y crítico
Abstract
I dibattiti formativi praticati negli Stati Uniti e replicati con forza in America
Latina rappresentano un approccio filosofico antropologico-relativista in quan-
to orientati all’uditorio e alla persuasione. Un approccio al dibattito che faccia
riferimento ad un approccio critico razionalista deve invece confidare nella
forza logica degli argomenti e orientarsi alla riflessione e alla risoluzione dei
conflitti. Pertanto, per condurre gli studenti ad acquisire queste ultime capa-
cità, è necessario un progetto di dibattito formativo che si distingua da quello
antropologico-relativista e non ne perpetui gli errori. La presentazione di tale
modello, in chiave pragma-dialettica, sulla scia di van Eemeren e Grootendorst
e della Scuola di Amsterdam, sarà l’obiettivo di questo articolo. Il modello
di dibattito da noi elaborato si differenzia da quello antropologico-relativista
per due nuovi principi: lo scopo perseguito non è il trionfo personale quanto
invece l’interesse dell’intera collettività che si propone di risolvere un conflit-
to; il modo di perseguire lo scopo è un processo da realizzare attraverso forme
argomentative dotate di validità formale e informale, di rilevanza conoscitiva
e/o di peso probatorio. In questo contesto le quattro fasi della discussione cri-
tica pragma-dialettica permetteranno di capire quando il dibattito soddisferà i
requisiti della discussione critica e quando invece no.
Per evitare che il dibattito si risolva in una discussione tra sordi è introdotta
inoltre una terza squadra che migliorerà il flusso delle informazioni tra le due
squadre antagoniste e limiterà il rischio che siano omesse informazioni rilevan-
ti. Infine, rompendo definitivamente con la tradizione del dibattito retorico,
i partecipanti non dovranno cercare l’adesione del pubblico ma sforzarsi di
112 CLAUDIO FUENTES BRAVO - CRISTIÁN SANTIBÁÑEZ YÁÑEZ
1 Jackson define diseño en sentido general (2002, p. 106), como el empleo de conocimien-
to teórico para resolver problemas prácticos a través de la construcción de cosas o de la “con-
strucción ingeniosa”. En el contexto de la argumentación los autores se refieren a la resolución
de “problemas insolubles” en situaciones de conflicto.
Diseñando debates: preliminares para un enfoque dialógico y crítico 113
4 Una crítica a los argumentos de Albert ha sido expuesta con profundidad por Apel en
The Problem of Philosophical Foundations in Light of a Transcendental Pragmatics of Langua-
ge (1975). Una visión más amplia de la disputa entre los racionalistas críticos y los miembros
de la Escuela de Frankfurt, se puede revisar en un clásico imprescindible, La disputa del positi-
vismo en la socialogía alemana (Appel, K. O. et al. 1972). En la misma línea de Appel, Cortina
y Martínez (2008) sostienen que el profesor de Manheim se encontraría atrapado también en
un “decisionismo dogmático”. En este sentido, los argumentos que defienden la opción de una
racionalidad falibilista aparecerían tan arbitrarios como aquellos que son denunciados.
Diseñando debates: preliminares para un enfoque dialógico y crítico 117
el texto completo de los autores aludidos parece querer fundamentar los bene-
ficios de la práctica del debate académico a partir de un listado de testimonios
y opiniones. No ocurre algo muy diferente en otros reconocidos autores de
texto en el ámbito del debate académico, a saber, Freeley y Steinberg (2009) y
Branham (2001), por citar algunos connotados.
En los libros de texto, aún concediendo que se trataría de manuales que
intentan meramente guiar la práctica y no reflexionar sobre los fundamentos,
no se evidencia un interés por considerar estudios científicos sobre los efectos
positivos y especialmente negativos del uso del debate en contextos educati-
vos5. Digamos de paso, que la literatura al respecto es abundante y accesible
para cualquier investigador precavido6. La fundamentación de la práctica del
debate académico en estos manuales de texto suele dar paso a la persuasión
testimonial sobre sus beneficios, por medio de giros retóricos que suponíamos
debían ser superados por la práctica de la herramienta que se quiere enseñar.
Una referencia muy socorrida en los manuales de texto que tratan sobre
debate académico y en muchos casos, la única que se explicita, es el monumental
estudio de Matlon y Keele (1984) “A survey of participants in the national debate
tournament, 1947-1980”. De cualquier manera, el estudio de Matlon y Keele,
siendo una investigación que ilustra con precisión el impacto positivo del debate
académico en la vida laboral de los participantes, no entrega datos relevantes
para responder el listado de aspectos negativos que el debate produciría o alienta
7 Los informes de evaluación citados fueron elaborados por Paulina Chávez y entregados
al Ministerio de Educación de Chile en el contexto del Programa de Debates Estudiantiles
coordinados por la Unidad de Transversalidad del MINEDUC y el actual Centro de Estudios
Diseñando debates: preliminares para un enfoque dialógico y crítico 123
Esta es –típicamente- una exigencia teórica que con dificultad puede ser
cumplida en los debates concretos. De hecho es una exigencia que no se ob-
serva en los debates académicos tradicionales (CEDA, NDT, Parliamentary
Debate). Incorporar los conceptos descritos por el modelo teórico para la eta-
pa de conclusión al debate que intentamos configurar, implicaría un aporte
muy relevante desde una teoría dialógica de la argumentación a la práctica
del debate académico. El debate, en el diseño que estamos configurando, para
respetar la propuesta del modelo ideal de resolución de disputas de van Ee-
meren y Grootendorst (2003), tendría que cerrarse sin una obligación de rol
en la defensa de un punto de vista. Los participantes de un debate, deberían
entonces, ocuparse en –rompiendo con la tradición retórica del debate aca-
démico- cerrar el debate, ya no intentando ganar la adhesión de la audiencia,
Diseñando debates: preliminares para un enfoque dialógico y crítico 127
sino esforzándose por hacer una propuesta razonable para la resolución del
conflicto de opinión. Esta adaptación culmina por diferenciar un enfoque de
debate orientado a la persuasividad de un enfoque de debate orientado a la
resolución. Derivadamente, la distinción que acabamos de hacer nos permite
aclarar otra diferencia, la persuasión responde naturalmente a un interés pres-
criptivo y la resolución a un interés reflexivo (crítico). La reflexividad, enten-
dida como la acción que un agente racional realiza cuando se vuelca sobre sus
propias operaciones cognitivas para valorarlas, actúa para su corrección con
determinados fines, para su adecuación con el contexto o simplemente para
contemplarlas. El factor reflexivo que incorpora el diálogo-debate es el que le
da el nombre de crítico y lo distingue de un diálogo-debate tradicional. Crítico
es otro nombre (ligado a la tradición filosófica) para denotar la acción reflexiva
que un agente racional vuelva sobre sus operaciones cognitivas. En el ámbito
de la psicología contemporánea se ha denominado a éste mismo fenómeno
metacognición.
El cambio de rumbo en la comprensión del debate académico, que despla-
zamos desde una tradición retórica antropo-relativista, hacia una concepción
dialógica crítica racionalista, involucra un impacto no sólo en el diseño de una
modalidad para la práctica del debate, como hemos visto, sino también en la
filosofía de fondo, en los presupuestos cognitivos a la base de nuestras afirma-
ciones, que afectan a su vez la comprensión que tendremos de los procesos
de aprendizaje o de construcción de conocimiento, que dicho sea de paso,
no pueden desligarse del diseño de un modelo de debate adecuado a los fines
declarados y actualizado en relación al estado del arte en filosofía de la mente
y psicología de la cognición.
Al respecto leamos a Leitão (2008):
tres debatientes10, cada uno con un turno de tres minutos para la exposición
alternada de argumentos11 y contraargumentos12. Sumado a los tres minutos se
contempla la adición de dos minutos para realizar y responder a una pregunta
de la contraparte y la adición de un minuto para realizar y responder a una
contrapregunta de la contraparte. Es importante recordar que cada bancada
defiende un punto de vista diferente del punto de vista de su contraparte. Los
puntos de vista son, o afirmativo, o negativo o neutro (éste último, para efec-
tos de este diseño lo llamamos de investigación).
La controversia de opinión se representará a través de una estructura pro-
posicional compuesta de cuatro partes que respetan la gramática castellana y al
mismo tiempo destacan conceptos de lógica modal y pragma-linguística. Un
ejemplo de controversia bien construida es la siguiente:
10 Agente epistémico autónomo inteligente y activo que tiene un rol dentro de un equipo
de trabajo.
11 Un argumento es una estructura lógico-lingüística formada por un conjunto de asun-
ciones (p.e. información a partir de la que se puede obtener una conclusión) y una conclusión
que puede ser obtenida por uno o más pasos de razonamiento. Las asunciones funcionan como
soporte de los argumentos, y su conclusión usualmente es llamada pretensión.
12 Un contraargumento es una estructura lógico-lingüística que dado un argumento A1,
un contra-argumento se define como un argumento A2 tal que o A2 es una refutación para A1
o A2 es un debilitamiento para A1.
Diseñando debates: preliminares para un enfoque dialógico y crítico 133
8. Conclusiones
BIBLIOGRAFIA
Abstract
I vantaggi didattici di “Palestra di botta e risposta” possono essere riassunti in due
categorie fra loro interdipendenti: da un lato la partecipazione al torneo di disputa
contribuisce al raggiungimento stabile degli scopi della formazione liceale e dall'altro
consente di superare molte difficoltà che gli insegnanti di frequente accusano e alcu-
ni difetti di comunicazione del quotidiano processo di insegnamento-apprendimento.
Nell'articolo si propongono esercizi ed attività utili alla preparazione degli studenti
impegnati nel torneo di disputa e riflessioni sulla ricaduta didattica dello stesso torneo,
un'ottima opportunità per i ragazzi di oggi, che vivono in una società in continua e
rapidissima evoluzione.
Premessa
Un confronto onesto tra gli spunti teorici offerti dai testi di didattica - o
dai corsi di formazione - e la pratica non può che far constatare al docente la
difficoltà di motivare e coinvolgere gli studenti per un tempo prolungato col-
tivando in loro la pazienza e la disponibilità a rivedere o correggere il proprio
lavoro. Chiunque insegni sa quante energie vadano disperse nel tentativo di
educare alla costanza, alla precisione e all'impegno e quanta delusione tale
dispersione comporti.
La disputa, che verte spesso su questioni che si collocano a fianco o al di
là dei contenuti disciplinari normalmente affrontati nelle ore di filosofia, con-
sente di acquisire in modo stabile obiettivi che, purtroppo, spesso sono solo
momentaneamente raggiunti.
La variazione degli stimoli, indicata dagli esperti come una delle strategie
funzionali a catturare l’attenzione dei discenti, unita alla dimensione ludica
del torneo, ridesta la curiosità e l'interesse di tutti i ragazzi, agendo su di loro
come propulsore motivazionale e facendoli desistere da facili rinunce. E, an-
cora, il fatto che l'attività proposta non si esaurisca in un unico episodio, ma
implichi, fin dalla fase eliminatoria, una serie di incontri con squadre diverse,
impone di mantenere alti il controllo e l'impegno, pena l'inadeguatezza o la
sconfitta in un incontro successivo. Non servono molte parole del docente
perché i ragazzi si rendano conto che aver vinto (o perso) una disputa su tre
“Palestra di Botta e Risposta”: un percorso di autentico arricchimento... 141
1 “La conoscenza degli autori e dei problemi filosofici fondamentali dovrà aiutare lo stu-
dente a sviluppare la riflessione personale, l’attitudine all’approfondimento e la capacità di
giudizio critico; particolare cura dovrà essere dedicata alla discussione razionale, alla capacità di
argomentare una tesi, riconoscendo la diversità dei metodi con cui la ragione giunge a cono-
scere il reale, e all’importanza del dialogo interpersonale”. (Bozza Indicazioni Nazionali Licei ,
12 marzo 2010).
2 Bozza Indicazioni Nazionali Licei , 12 marzo 2010.
144 Caterina Bottecchia
sanno non tanto cosa non si può fare, ma, fattore ben più importante, cosa
si può fare e in che modo lo si può fare. Inoltre, durante la preparazione
e la revisione degli incontri di disputa, così come durante la disputa vera
e propria, i ragazzi ricevono, dai docenti e dai pari, tutti i tipi di aiuto es-
senziali per il processo di apprendimento: indicazioni verbali, ovviamente
accompagnate da segnali paraverbali e non verbali, ma anche dimostrazioni
di “come si fa” che vengono spontaneamente imitate. Così, nel corso del
torneo di disputa progressivamente il supporto che il docente deve fornire
ai ragazzi diminuisce (o diventa più raffinato), ad ogni tappa gli studen-
ti sono più autonomi e lo dimostrano correggendosi ed avvicinando per
approssimazioni successive il proprio comportamento a quello di oratori
esperti, capaci non solo di individuare un piano strategico, ma anche di ap-
plicarlo, segnalando la propria padronanza della situazione con un contatto
visivo più ampio e costante con interlocutori e pubblico. La percezione di
non avere più bisogno del continuo aiuto del docente e di non necessitare
più di compiti facilitati da qualcuno di più esperto è per i ragazzi chiarissi-
ma e, comprensibilmente, li gratifica. Ma si tratta di una gratificazione che
hanno meritato in pieno – di questo gli studenti sono pienamente coscien-
ti – e che corrisponde ad una loro effettiva crescita e dunque ha un valore
incommensurabilmente più alto di quello della gratificazione che consegue
ad un bel voto “preso per caso”.
Anche dal fatto che le prestazioni degli studenti sono sottoposte non alla
valutazione dei docenti della classe, ma a quella della giuria, riconosciuta come
esperta e soprattutto imparziale dai ragazzi, derivano importanti vantaggi.
Prima di emettere il suo verdetto, la giuria propone una valutazione com-
plessiva delle due squadre ed individua per ciascuno dei disputanti criticità
su cui lavorare e eccellenze, o almeno punti di forza, da coltivare: dunque la
valutazione della giuria è sempre formativa, è ricca di consigli ed indicazioni
potenzialmente utili per i ragazzi.
Al docente è offerta l'opportunità di confrontare il proprio metro di va-
lutazione con quello della giuria ed eventualmente di aggiustarlo, di notare
qualche difetto o pregio che aveva trascurato, di ricevere nuovi spunti di ri-
“Palestra di Botta e Risposta”: un percorso di autentico arricchimento... 147
Conclusione
BIBLIOGRAFIA
Abstract
1. Considerazioni preliminari
Tentare un'analisi di una o più dispute svoltesi durante gli ultimi tornei
"Palestra di botta e risposta" è un'operazione che si è rivelata più difficile, e
soprattutto più problematica, del previsto.
La difficoltà deriva dal fatto che è impossibile pensare di poter analizzare
il materiale grezzo a disposizione solo trascrivendolo e "vivisezionandolo" per
scomporlo negli usuali moduli funzionali e per applicare le consuete categorie
logico-retoriche che riserviamo solitamente all'analisi di testi argomentativi.
Certo, anche tale operazione è necessaria e senz'altro fattibile: ma non si può
mai dimenticare, durante l'analisi, che ci si trova di fronte a un tipo di testo che
ha caratteristiche del tutto peculiari rispetto a qualunque altro testo argomen-
tativo. Si tratta infatti di dispute fra studenti, organizzate per fini soprattutto
154 Roberto Falduti
5 Una rassegna esaustiva e una discussione critica delle varie posizioni si trova in Cantù
e Testa 2006
6 Per la formulazione completa delle regole di Van Eemeren si veda Cantù e Testa 2006,
pp. 88-89
158 Roberto Falduti
hanno caratterizzato le dispute fra studenti in questi anni, e ritengo che le più
importanti da mettere in luce siano quelle qui sotto elencate.
1) La prima riguarda la convinzione, supportata dal riscontro dei pro-
gressi notati nei gruppi di disputa che hanno partecipato ad almeno
3-4 incontri, che la consapevolezza dei meccanismi che regolano la
persuasione aumenti effettivamente in seguito alla pratica argomen-
tativa.
2) La seconda riguarda la grande utilità del momento di botta e risposta
vero e proprio, che non tutti gli altri protocolli prevedono, o alme-
no non con un ritmo così serrato.
3) Queste due prime osservazioni non sono solamente una constata-
zione empirica di "buon funzionamento" del meccanismo di di-
sputa, ma sono strettamente legate ad uno di quei nodi teorici cui
avevo fatto cenno in precedenza: infatti lo sviluppo delle due abilità
sopra descritte rappresenta il principale "antidoto" contro lo strapo-
tere persuasivo della parola. Se infatti, come nota Olivier Reboul,
un discorso retorico ha le caratteristiche (che sono anche quelle
che lo rendono "pericoloso") di essere non parafrasabile in maniera
compiuta e di essere, in maniera più o meno completa, chiuso, cioè
di tendere verso l'esclusione di repliche, "alla non-parafrasi si può
opporre il criterio di trasparenza: che l'ascoltatore sia il più possibile
consapevole dei mezzi attraverso cui si modifica la propria credenza; il
fascino e la poesia del discorso non possono con questo dirsi eliminati,
ma tenuti sotto controllo. Alla chiusura si può opporre il criterio di re-
ciprocità: che la relazione tra l'oratore e l'uditorio non sia asimmetrica,
che l'uditorio abbia diritto di replica. Questi due criteri non rendono
certo l'argomentazione meno retorica, la rendono più onesta"7
4) Una terza osservazione riguarda la progressiva scomparsa, nel corso
del "consolidamento" del progetto di disputa (in questi anni una
piccola "memoria storica" degli incontri effettuati si è venuta a for-
mare nel ricordo di studenti e docenti e nel piccolo archivio del sito
internet) di quello che io considero il difetto principe nella pratica
argomentativa: l'uso di argomentazioni ad hominem / ad personam
invece che ad rem. Dopo il riscontro di qualche caso nelle prime
dispute degli anni scorsi, la pratica dell' "avvelenamento" è stata
dimenticata e non è più, per ora, riapparsa in maniera significati-
va negli incontri più recenti. In questo caso l'azione dei docenti,
dei formatori e dei giudici è parsa particolarmente incisiva e an-
che a questo proposito non si tratta di constatare il semplice "buon
funzionamento" del meccanismo di disputa, se è vero che “la con-
suetudine dello spostamento ad personam diventa un abito retorico-
argomentativo condiviso, che non sorprende più, e non viene valutato
come errore [...] l'avvelenamento è diventato di uso comune, una sorta
di assuefazione generale"8. Lo stesso Schopenhauer, nel suo noto
libretto che cataloga gli stratagemmi di cui servirsi per vincere per
fas et nefas un confronto dialettico, indica il ricorso all'argomen-
tazione ad personam come il sommo "male" e la matrice di tutte le
perversioni argomentative, mettendone allo stesso tempo in luce
l'efficacia9 (per constatare quanto venga utilizzata, per esempio nel
dibattito politico di casa nostra, basta accendere la televisione su
un qualsiasi canale o aprire un quotidiano a caso ad una pagina a
caso...)
5) La quarta osservazione riguarda la progressiva scomparsa delle co-
siddette fallacie esecutive, che invece erano presenti, anche se non
di frequente, nei primi anni di disputa. Le fallacie esecutive sono
perturbazioni - volontarie, anche se più o meno palesi - del normale
svolgimento dello scambio dialettico dovute a gesti, atti, variazioni
del tono della voce, velate "minacce" ecc. che mirano ovviamente a
mettere l'interlocutore in uno stato di disagio o a distogliere l'atten-
neo. Cito invece come esempi due argomenti esecutivi a mio parere
molto originali che si sono verificati negli anni precedenti: nel corso
di una disputa sul tema (assai originale anch'esso) "È appropriato
utilizzare gli episodi dei Simpson nell'insegnamento della filosofia?" gli
studenti della squadra del Liceo "Tito Lucrezio Caro" di Cittadel-
la si sono presentati al pubblico (e agli interlocutori) mascherati e
travestiti come i personaggi della serie televisiva... Ancora, durante
la finale del torneo dell'anno 2007/2008 sul tema "L'applicazione
sistematica e continua della tecnologia nell'educazione dovrebbe sosti-
tuire il sistema delle lezioni in presenza" un alunno della squadra del
Liceo "Tito Livio" di Padova, dovendo difendere la posizione contro,
si è ad un tratto avvicinato ad alcuni docenti presenti in sala e li
ha invitati risolutamente ad alzarsi, dicendo: "La vostra presenza, a
quanto pare, non è più necessaria, siete obsoleti...ecco la vostra liqui-
dazione – l'alunno ha tirato fuori dalla tasca qualche monetina – e
fuori dall'aula!"
7) La quinta osservazione riguarda invece i più frequenti errori in cui
gli studenti incappano nel corso delle dispute. Mi pare di poter af-
fermare, in linea generale, che la fallacia più frequente che è dato
di osservare sia il non sequitur, cioè il caso in cui, in un'inferenza, la
conclusione non deriva dalle premesse. Si tratta di una fallacia oltre-
modo insidiosa in quanto, se nelle sue forme più grossolane è molto
facile da individuare, a volte si presenta ben mascherata. Oltretutto,
questa fallacia è in certo modo amplificata dall'impianto dialogico
della disputa: infatti, il risultato di questo errore è quello di produr-
re una diversione dal tema principale; se tale slittamento non viene
immediatamente individuato dalla controparte, che anzi magari si
incammina anch'essa durante il botta e risposta sulla strada sbaglia-
ta, si rischia di allontanare la disputa dal tema esatto e di rimanere
impaniati per tutta la fase di interlocuzione su un punto morto, o
addirittura di compromettere irrimediabilmente la base sulla quale
era stato costruito l'approccio al tema in questione. Questo tipo
162 Roberto Falduti
11 Si veda a tal proposito Iacona 2005, p.15 e soprattutto p.82 e sgg.
12 Reboul 1996, p.191
164 Roberto Falduti
13 Per la distinzione fra uso corretto e scorretto dell'auctoritas, si veda Boniolo e Vidali
2002, p.91 e p.114
Palestra di botta e risposta al microscopio 165
PROLOGO
dimostrare che gli studi che riguardano l'uomo sono da considerarsi scienze.
L'opinione comune è solita considerare come scienze solo le scienze naturali...
ma non è proprio a causa di questa convinzione che in alcuni periodi storici
solo le scienze sono state considerate in grado di rispondere correttamente agli
interrogativi dell'uomo? Non credete che la nostra vita quotidiana non sia gui-
data dalle scienze ma piuttosto da una continua libera scelta che si configura
come un'interpretazione?
CONTRO – "È corretto chiamare "scienze" le scienze umane? No, noi so-
steniamo il contrario. Vediamo il perchè: quelle che vengono chiamate scienze
umane sono a tutti gli effetti "studi" e non scienze. "Scienze" sono solo quelle
che si avvalgono di un metodo rigoroso di tipo galileiano atto a formulare
leggi universali. Per quanto riguarda le discipline umanistiche, applicar loro
il termine di "scienze" serve solamente a tentare di "nobilitare" questo tipo
di studi. Anche gli argomenti che trattiamo in questa disputa sono soggetti a
interpretazioni, non seguono leggi universali. Ora andiamo a considerare la
storia etimologica del termine "scienza". Il termine scienza nasce nell'antica
Grecia, con Platone, e corrisponde al sostantivo epistéme. Ma è nel Seicento
che la scienza si evolve nel senso in cui tutti la intendiamo oggi: scienza galile-
iana, che si avvale di un metodo sperimentale e prevede anche la formulazione
di una legge universale. Nel 1884 Ampère faceva un distinguo fra applicazioni
noologiche e applicazioni cosmologiche, in cui le prime corrispondono agli
studi umani. E sempre nell'Ottocento abbiamo una terza variabile, cioè la
Storia, intesa come evoluzione sociale, da cui poi nascerà la Sociologia. In con-
clusione, possiamo distinguere fra scienze galileiane, dove possiamo riscontra-
re l'uso di un metodo proprio, e studi umani, dove possiamo riscontrare l'uso
di un metodo improprio, modellato sulla base di quello galileiano.
I TURNO DI ARGOMENTAZIONE
PRO – L'opinione comune ritiene che la scienza sia infallibile. Ora, con-
sideriamo l'esempio del caso Morgan: questo noto scienziato riteneva che i
caratteri ereditari trasportati dai geni si presentassero sempre mescolati nello
zigote, e per questo vinse anche un premio Nobel. Molti scienziati successivi
dimostrarono invece che c'è la possibilità che alcuni caratteri vengano tra-
smessi inalterati di generazione in generazione. Dunque, questo esempio ci fa
Palestra di botta e risposta al microscopio 169
capire che ciò che connota la scienza non è la sua certezza ed assolutezza. Al-
lora vogliamo chiederci: che cos'è che rende una conoscenza semplice, di dati
svincolati fra loro, una conoscenza scientifica? Cos'è che fa di una conoscenza
una vera scienza? Bene, ciò che connota la scienza è la ricerca dei rapporti di
causa-effetto tra i fenomeni. Questo è comune sia alle scienze naturali, scienze
esatte, che procedono al reperimento di leggi per spiegare il funzionamento
della natura, sia alle scienze umane, scienze dello spirito, che da un dato indi-
viduale o da un fatto storico tentano di pervenire a una spiegazione. Ciò che
connota la scienza, quindi, non è il metodo. Il metodo è uno strumento per la
ricerca del rapporto causa-effetto, e di metodi sappiamo bene che nella storia
se ne sono susseguiti molti. Nemmeno l'oggetto, in quanto questo distingue
semplicemente una scienza dall'altra. In conlusione quindi, le scienze umane,
in quanto caratterizzate dalla ricerca di rapporti di causa-effetto come le scien-
ze naturali, sono da definirsi scienze.
realtà sono molto diverse fra di loro. Partiamo dalla cosiddetta epistéme. Che
cos'era? Un ragionamento dimostrato, argomentato a parole. I vertici dei ra-
gionamenti di questo tipo sono i teoremi di Euclide, che sono stati appunto
dedotti razionalmente. Con la nascita del metodo scientifico, nel Seicento, la
conoscenza diventa sperimentale, matematizzata e pratica. Il ragionamento
non basta più da solo, serve un esperimento e la sua continua messa in pratica
per poter arrivare a formulare una legge universale. Ora, ed è questo il punto
cruciale della nostra argomentazione, le scienze galileiane mettono in rappor-
to l'uomo con la natura e le sue realtà oggettive. Facciamo un esempio: un
sasso che cade. Qualora un giorno dovessimo dimostrare che l'insieme di leggi
e di formule, come la legge di gravitazione di Newton, fossero fallaci, perchè
frutto dell'interpretazione dell'uomo, il sasso cadrebbe comunque sempre nel-
lo stesso modo. Non così si può dire degli studi umani che si occupano delle
opere umane: in quel caso è l'uomo che studia l'uomo e ne dà un'interpreta-
zione. Gli esempi più importanti che avvalorano la nostra tesi sono la filologia
e la psicologia.
subito una falla nel ragionamento appena concluso e quindi mettere in difficoltà
l'interlocutore. In questo caso però la domanda non fa che richiedere una ripe-
tizione di ciò che è stato appena detto: si tratta di una scelta strategica o sempli-
cemente del tentativo di occupare il turno di domanda senza passare la mano?
L'argomentazione della squadra Contro è basata su un solo argomento,
evidentemente considerato forte, che è la definizione di scienza galileiana, cioè
sperimentale. Viene inoltre introdotta la dicotomia natura-oggettività/uomo-
soggettività per rafforzare la propria argomentazione e poi un esempio, sem-
plice e comprensibile. Attenzione, però: la dicotomia in questione non rap-
presenta esattamente l'oggetto del contendere, e quindi la tesi che la squadra
Contro è tenuta a negare. Se dunque si tratta, come io ho in buona fede per
ora ipotizzato (la presunzione di innocenza vale anche nel campo argomenta-
tivo) di un semplice tentativo di rinforzo della propria posizione, rimaniamo
nel campo del lecito. Se invece si trattasse del tentativo di spostare la confuta-
zione verso questo nuovo elemento, sostituendolo all'oggetto del contendere,
allora si configurerebbe la fallacia dell'uomo di paglia (nella letteratura anglo-
sassone, strawman) che consiste nel "presentare una tesi apparentemente simile
a quella che si vuole negare, ma meno ragionevole, quindi disfacendosi di questa
nuova tesi pretendere che anche l'altra sia da considerarsi non vera"15 Seguiamo
il resto della disputa per sapere come andrà a finire... Per concludere invece
l'analisi dell'intervento della squadra Contro, rimane solo da dire che l'accen-
no alla filologia e alla psicologia come controesempi cade, per ora, nel vuoto e
crea nell'uditorio l'aspettativa che venga ripreso successivamente.
II TURNO DI ARGOMENTAZIONE
15 D'Agostini 2010, p. 126. Su questa fallacia si veda anche la sintetica e chiara definizio-
ne di Boniolo e Vidali 2002, p.106
172 Roberto Falduti
passati, per esempio, dalla teoria tolemaica a quella copernicana. Non era forse
ritenuta esatta e valida la teoria di Tolomeo, che poi è stata confutata? Prima
di essere confutata, non era ritenuta una risposta valida alle esigenze e alle
domande proprie di quel momento storico? Questo ci porta ad ammettere
che anche i risultati dati dalle scienze naturali sono da collocarsi in un deter-
minato contesto storico. Infatti, da cosa deriva la formulazione di una teoria?
Dipende dai mezzi, dagli strumenti a disposizione dell'uomo, dipende dalla
mentalità e dall'ambiente socio-culturale. La scienza, quindi, rappresenta una
risposta valida in un dato momento storico, ed è garanzia di una validità non
assoluta. Inoltre non consiste solo nella pura dimostrazione, ma anche nella
spiegazione. Ora, anche le scienze umane sono da collocarsi in un contesto
storico: quindi, ciò che accomuna scienze naturali e scienze umane è proprio
questo configurarsi all'interno di un contesto storico. Quindi, viene meno
quel carattere di universalità che presupponeva che le scienze umane fossero
in uno stato di minorità rispetto alle scienze naturali. Ogni congettura può
venire confutata. Ciò ci consente di affermare che è corretto chiamare "scien-
ze" le scienze umane.
che fondarsi sulla struttura del reale, quasi la creano, la costruiscono, mettendo
in luce dei legami fra le cose a volte non immediatamente visibili. Da questo
esempio deriva l'affermazione secondo cui le scienze naturali e le scienze uma-
ne sono accomunate dalla storicità (potremmo quasi dire: dall'essere soggette
al tempo, al divenire) e quindi dalla falsificabilità delle loro conclusioni. In
questo caso la squadra Pro, che si era dichiarata contraria alla doxa "del volgo",
si dimostra invece sicuramente imbevuta dell'opinione largamente en-doxa
nell'epistemologia novecentesca (l'esempio è di Khun, alcuni termini usati
sono chiaramente popperiani ecc). Forse, in questo caso, avrebbe giovato avva-
lersi dell'autorità di queste fonti esplicitandole. Un altro elemento, che avreb-
be potuto essere sfruttato ulteriormente, viene solo accennato: è l'argomento
secondo cui anche le scienze naturali non consistono di sola dimostrazione, ma
anche di argomentazione (credo che sia questo il senso da attribuire al termine
spiegazione usato, forse in maniera imprecisa, nel corso dell'intervento). Evi-
dentemente il tempo non ha consentito di sviluppare appieno le potenzialità
dell'argomento (che a mio parere sarebbe potuto risultare decisivo).
La domanda rivolta dalla squadra Contro appartiene alla seconda categoria
di domande, quelle che avevamo definito in precedenza competitive. L'intento
è infatti quello di mettere in difficoltà l'argomentatore. La risposta è in questo
caso precisa e smaschera il tentativo di confondere l'oggetto del contendere
(si conferma l'ipotesi dell'uomo di paglia che avevo avanzato in precedenza...)
La seconda argomentazione della squadra Contro parte dal dichiarato in-
tento di procedere per via di confutazione e cita come oggetto di tale confuta-
zione le teorie positiviste e in particolare quelle di Comte, che hanno tentato
di avvalorare la tesi che la squadra intende negare. Le teorie di Comte sono in
realtà solo accennate, ma le tre "differenze" fra scienze naturali e studia huma-
nitatis sono allineate con ordine e l'argomento risulta essere persuasivo. Ogni
argomento è attaccabile (altrimenti non sarebbe un argomento): si potrebbe
ribattere che anche l'uomo fa parte della natura, che anche sulle cose uma-
ne è possibile praticare esperimenti, che anche le scienze naturali conducono
all'acquisizione di un sapere probabilistico. Vedremo se queste opportunità
verranno sfruttate o meno in fase di replica. Da notare la scelta di aver fin dal
Palestra di botta e risposta al microscopio 175
prologo definito studi umani o studia humanitatis ciò che nella stessa presen-
tazione della questione veniva definito scienze umane: l'uso del termine non è
stato mai contestato dalla squadra avversaria ed è diventato a mio parere un
punto di forza della squadra Contro, che usandolo di continuo ed esclusiva-
mente ha trasmesso un'impressione di compattezza e coerenza rafforzata dalla
reiterazione. Certo la squadra avversaria potrebbe muovere l'accusa di usare
un linguaggio pregiudizievole, o di fornire una definizione pregiudizievole (non
abbiamo ricordato prima che ogni definizione è in realtà un argomento?) o ad-
dirittura ipotizzare la fallacia di petitio principii (presupporre ciò che si intende
dimostrare), ma per il momento non lo fa.
Ho scelto di non trascrivere la domanda rivolta dalla squadra Pro perchè
non apporta novità nell'andamento del dibattito e perchè attraverso i due
esempi di domande della squadra Contro ho già esplicitato le due funzioni
(cooperativa e competitiva) che può avere l'interrogazione all'interno delle no-
stre dispute.
FASE DI REPLICA
Durante la fase di replica l'ordine dei turni di parola vie-
ne invertito: si comincia dunque dalla squadra Contro
I TURNO DI REPLICA
DIFESA PRO – Rispondo alle domande... È chiaro che un aereo vola. Noi
non abbiamo voluto mettere in dubbio la realtà, ma la posizione dell'uomo
rispetto alla realtà. Noi riteniamo che sia l'uomo che fa la scienza. Il modo in
cui l'aereo vola non può cambiare, il modo in cui spiego che l'aereo vola può
cambiare. Per quanto riguarda la seconda domanda, non posso sapere cosa stai
pensando adesso, però quando avrai compiuto un'azione, potrò risalire alla
causa, potrò spiegarmi perchè l'hai fatto.
PRO – Comincerei col dire che parlare di concezione galileiana della scien-
za dopo tutti i dibattiti che ci sono stati durante l'Ottocento e il Novecento...
è un po' antiquato... Partiamo dal punto sulla sperimentazione. La sperimen-
tazione galileiana è finalizzata alla verificabilità. La verificabilità è stata con-
testata dalla tesi sulla falsificabilità di Popper. Per citare le sue parole, "mille
esperimenti non provano una tesi, ma basta uno per falsificarla". In secondo
luogo, un esperimento presuppone una congettura fatta dall'uomo, un'ipotesi
formulata in precedenza, che ha come caratteristica proprio quella della falsifi-
cabilità, perchè proprio l'esperimento stesso potrebbe falsificarla. Inoltre, dob-
biamo sottolineare come anche il risultato di un esperimento abbia bisogno
di un'interpretazione dell'uomo. Poi, avete parlato della matematizzazione e
del metodo matematico. Io posso dirvi che le scienze umane usano il metodo
statistico, se quello della quantificazione è il problema che voi ci ponete. Ma
non sta scritto da nessuna parte che il metodo quantitativo debba essere il me-
Palestra di botta e risposta al microscopio 177
todo delle scienze. Piuttosto, esse devono averne uno. Se il metodo fosse solo
quello matematico, né la medicina clinica né la biologia sarebbero scienze.
Per finire: il sasso che cade. Certo, il sasso cade sempre nello stesso modo, ma
non è il sasso che cade a rappresentare la scienza, ma il modo in cui l'uomo lo
conosce. In sostanza si torna al problema dell'oggettività. Pensiamo a Kant: la
centralità del soggetto conoscente. Noi conosciamo in base alle nostre struttu-
re conoscitive. La scienza non vuole essere lo specchio della realtà, ma tentare
di spiegarla all'uomo.
II TURNO DI REPLICA
DIFESA PRO – Volevo dire che noi non abbiamo mai tirato fuori la que-
stione dell'infallibilità della scienza, al massimo lo avete fatto voi. Parlando di
oggettività, universalità, matematizzazione, siete stati voi a tirar fuori questa
questione.
Segue una fase piuttosto frammentata di scaramucce verbali che non è agevole
(né utile) trascrivere, fin quando la giuria interviene e decreta il passaggio al turno
di parola successivo.
PRO – Nel vostro secondo turno di argomentazione avete detto che ciò
che distingue le scienze naturali dalle scienze umane sono la materia, il meto-
do e il risultato. Per quanto riguarda la materia, cioè l'oggetto di studio, avete
Palestra di botta e risposta al microscopio 179
detto che le scienze naturali studiano l'universo, tutto ciò che ci circonda.
Bè, a dieci centimetri da me c'è un altro essere umano, anche lui fa parte
dell'universo e ha la dignità di oggetto di studio. Per quanto riguarda il meto-
do, penso che nessuno possa dire con certezza che l'unico metodo scientifico
sia il metodo galileiano. E comunque, per esempio, la psicologia sperimentale
usa il metodo galileiano e fa parte delle scienze umane. Per quanto riguarda il
risultato, avete detto che la scienza per essere tale deve portare a un risultato
universale... universale vuol dire che va bene sempre, in ogni tempo e in ogni
luogo. Successivamente però avete accolto la nostra affermazione secondo la
quale la scienza va calata in un preciso periodo storico. Allora: o è universale,
o va calata nel contesto storico...
usato nel corso delle nostre dispute; ne abbiamo un altro esempio poco dopo.
Si tratta di un argomento considerato molto forte per via della sua forma "lo-
gica" (si rifà al principio di non contraddizione e al principio del terzo escluso)
ma è molto facile che si cada nella fallacia di falsa disgiunzione, che consiste nel
creare una "falsa dicotomia di due opzioni contrapposte, che non esauriscono tutte
le alternative"17 . Un momento veramente singolare è quando la squadra avver-
saria viene accusata di aver volontariamente spostato la discussione sul tema
della oggettività della scienza: la responsabilità dell'allestimento dell'uomo di
paglia è stata addirittura rovesciata sull'avversario! Una retorsio in piena regola
(ovviamente fallace). Per finire, vengono espressi giudizi di disapprovazione
sulle argomentazioni dell'altra squadra, senza però spiegare il perchè siano
da considerare negativamente. Si potrebbe quasi configurare un tentativo di
replica ad hominem invece che ad rem, in quanto la replica non viene rivolta
contro l'argomento (non c'è traccia di controargomentazione) quanto piutto-
sto contro la persona che l'ha pronunciato.
La difesa della squadra Pro è pronta, ma il risultato finale è che la disputa
"degenera" verso la scaramuccia (è la parte che ho omesso di trascrivere) e il
tranello-provocazione ha sortito l'effetto che forse era quello desiderato.
La seconda replica della squadra Pro ha il pregio di essere ordinata e di
replicare punto per punto, specularmente, al secondo turno di argomenta-
zione degli avversari, anche se le espressioni contestate agli avversari vengono
riformulate in modo leggermente distorto. Anche in questo caso non si tratta
di un comportamento cristallino, ma non so quanto si tratti di un atteggia-
mento volutamente fraudolento o quanto invece sia dovuto agli effetti che la
"perturbazione" precedente ha causato sull'andamento della disputa. Si osser-
va spesso nel corso dei nostri incontri, infatti, come il momento cruciale in
cui si decidono le sorti della disputa (o anche in cui più facilmente si perde il
bandolo della matassa) sia proprio la fase di replica con la successiva interlo-
cuzione botta e risposta: è in questo frangente che si rischia la diversione, la
perdita della lucidità argomentativa, lo stallo su argomentazioni secondarie e
EPILOGO
PRO – Buon giorno a tutti, sono Camilla, del liceo scientifico Tito Livio...
Abbiamo sviluppato un'argomentazione secondo la quale le scienze umane
sono da considerarsi "scienze" a pieno titolo. I nostri interlocutori hanno por-
tato una definizione di scienza che a noi sembra un po' riduttiva, in quanto
l'hanno circoscritta a quella basata sulla matematizzazione, la formalizzazione,
la deduzione. A noi sembra che, dopo la rivoluzione epistemologica di Popper
e di Kuhn, si possano considerare scientificamente valide le conoscenze che
possono definirsi adeguate in un certo momento storico. Adeguate, non uni-
versali. Universali vorrebbe dire che sono al riparo dallo spazio e dal tempo,
cioè si sottraggono a quella che potrebbe essere la loro falsificabilità nel futu-
ro... Poi, i nostri interlocutori hanno sostenuto che le scienze umane non pos-
sono essere vere scienze perchè studiano l'uomo... noi sosteniamo che proprio
per questo possono giungere a conclusioni ancora più valide. Che cosa l'uomo
può conoscere meglio dell'uomo stesso e delle cose che egli stesso produce?
È la famosa frase del filosofo Vico: "verum ipsum factum", e questo è proprio
l'ambito di studio delle scienze umane.
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loro modalità comunicative, soprattutto quelle non verbali. Come se, in qual-
che modo, anche il loro corpo non parlasse. Il corpo, invece, parla. Eccome.
E lo fa in modo molto più eloquente delle parole che usiamo per descrivere i
nostri pensieri.
Uno dei luoghi comuni più diffusi in termini di comunicazione è quello
che questa passi prevalentemente per il verbale. Può sembrare che a comuni-
care siano soltanto le parole, che siano solo queste a trasferire i concetti del
nostro pensiero. Le parole non sono, invece, l’unico mezzo che ci permette
di comunicare efficacemente; in realtà trasmettiamo pensieri anche attraver-
so gesti e atteggiamenti del nostro corpo. Approfondendo la conoscenza di
questa forma di linguaggio possiamo arrivare ad utilizzarlo per comprendere
meglio i messaggi che ci vengono trasmessi dalle altre persone, così come per
persuaderle per ottenere ciò che desideriamo. Bisogna, infatti, tenere presente
che noi siamo responsabili dell’esito della comunicazione; una gestione consa-
pevole della gestualità, della prossemica e di alcuni segnali, può permetterci di
migliorare la qualità della relazione.
Il linguaggio verbale è quello a cui tutti pensiamo quando sentiamo la
parola comunicazione, eppure essa rappresenta solo il sette per cento della co-
municazione stessa. Le parole, quindi, incidono solo in maniera marginale
durante un discorso. Imparare, invece, a rendere coerente la comunicazione
verbale e quella non verbale consente di essere più persuasivi e chiari.
Conosciuta anche come linguaggio del corpo, la comunicazione non verbale
svolge importanti funzioni nel comportamento sociale dell'uomo. Quando
dobbiamo farci un'idea di una persona, per esempio, facciamo riferimento, ol-
tre a quello che dice, ai segnali non verbali che ci manda: il tono di voce, la mi-
mica del volto, i movimenti, i gesti. Il linguaggio del corpo, conosciuto come
"comunicazione non verbale", ha perciò un peso decisivo in tutti gli scambi
comunicativi. Si pensa che il corpo sia determinante in almeno il settanta per
cento (fino al novanta per cento) del messaggio trasmesso. Ciò significa che
le nostre parole colpiscono l’attenzione in misura minore di quanto possiamo
pensare. Le parole, dunque, rappresentano solo una piccolissima fetta della
comunicazione che si alimenta, in gran parte, di cose non dette, di toni di
Non di sole parole. Disputa filosofica e comunicazione non verbale 187
La parola e il gesto
Abstract
o meno di, come recitava un topico, “rinchiudere gli animali negli zoo”), ma,
nello stesso tempo, i diritti umani costituivano una guida che permetteva loro
di individuare nei distinguo non tanto dei cavilli ma delle possibili interpre-
tazioni riduttive del topico da evitare; per rivendicare alla fine un punto di
vista integrale che sempre ha come punto di riferimento profondo l’insieme di
valori dell’uomo che chiamiamo diritti umani. Il riferirsi ad essi ha permesso
di evitare gli stereotipi e i luoghi comuni in quanto i diritti umani sono sentiti
come valori corrispondenti alle esigenze dell’io e implicati, perciò, nelle va-
rie argomentazioni. Questo riferimento assiologico ha impedito di assumere
posizioni ciniche o nichilistiche, ma ha sempre spinto a confrontare con se
stessi le affermazioni da trovare per difendere la propria tesi e vincere la di-
sputa. Vincere non è mai stato a prezzo della verità: questo ha reso personali e
convincenti le posizioni sostenute, ha permesso di spiegare la loro razionalità
interna e impedito di assumere pose estreme o artefatte. Tutto a vantaggio
della spontaneità e della naturalezza. Questo è un grande esito della razionalità
critica che è stata fatta propria e dispiegata nella tenzone.
E perché non partire da questa esperienza per mettere in piedi un laborato-
rio di pensiero e di metodo razionale argomentativo per aiutare i giovani stu-
denti ad imparare questo metodo, partendo dalla peer education? Gli studenti
più esperti nella disputa hanno fatto da tutor ai loro compagni indicando
anche a loro quanto hanno appreso in questa esperienza. È questa la scoperta
della vera modalità di filosofare e della capacità di comunicare e di persuadere
gli altri, non con la forza, ma con gli argomenti e le ragioni. La filosofia come
maieutica che un maestro, che può anche essere un quasi coetaneo, come nella
scuola di Barbiana, aiuta a fare emergere il pensiero libero che c’è in ognuno
e che spesso non emerge per condizionamenti e paure. Il dialogo come meto-
do. L’argomentazione come regola: mai imporre, ma sempre spiegare e pro-
porre all’assenso. La disputa è stata l’occasione di un dialogo come incontro
di diversità che non si sconfessano ma che, riconoscendosi, si accettano e si
confrontano. Il dialogo esige il confronto di due diversità, non per sopraffarsi
reciprocamente, ma per scoprire che nella diversità c’è un aspetto affascinante
della realtà e dell’uomo che non ho ancora scoperto. Quindi, nel confronto
200 Giulio Zennaro
aperto io posso uscire non solo vincitore, come vuole la regola della disputa,
ma, soprattutto, ricco di una meta-esperienza, quella della scoperta dell’altro,
della sua ricchezza, della sua umanità. Così la mia non è una posizione rigida,
ma una ricerca dell’essere attraverso la diversità fattami scoprire dal tu. Scopro
che nella dialettica delle posizioni, se queste sono riflessi dei valori umani che
io sperimento, io posso scoprire quello che da solo non posso scoprire: che
siamo tutti implicati nell’essere e tutti attingiamo alla stessa fonte di valore e
di significato, pur nella diversità delle sfumature. Nell’esperienza della disputa
abbiamo potuto aprirci alla attualità e scoprire come la razionalità sviluppata
nella filosofia è una guida, insieme ai diritti umani, al nostro difficile orientar-
ci nel mondo. Non è poco questo apprendimento per dei giovani in una età
di crisi come quella che viviamo. La disputa è stata una grande esperienza di
scuola nuova e di protagonismo: una interrogazione sotto forma di disputa as-
sume un interesse e una energia sconosciute. Vale la pena sperimentare. Quel-
lo che risulta è un diverso modo di intendere l’apprendimento e la sua verifica.