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Poeti PER Musica - Tatti

Istituzioni di letteratura italiana (Sapienza - Università di Roma)

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POETI PER MUSICA, TATTI.

1.SERENATE E CANTATE NEL SISTEMA CULTURALE ROMANO.

Nell’età di Clemente XI Albani (1700-1721) la guerra di successione spagnola e gli accordi di


Utrecht e Rastadt dominavano tutta l’Europa e lo Stato della Chiesa. → Roma è caratterizzata da
una politica culturale ecclesiastica che promuove una produzione allegorica encomiastico-
celebrativa, infatti la città è animata da moltissime iniziative di questo tipo, al fine di rinsaldare
alleanze con le monarchie europee. l’attività culturale a Roma è molto significativa perché
costituisce, in questi anni, il perno attraverso il quale la Chiesa cerca di mantenere un ruolo centrale,
di esprimere un protagonismo artistico che diventi il suo punto di forza a livello europeo. → Nascita
dell’Accademia dell’Arcadia, che ebbe molta diffusione a livello nazionale. → conflitto tra Giovan
Mario Crescimbeni e Gian Vincenzo Gravina→ grande scisma del 1711 che fece allontanare
dall’Arcadia un gruppo di dissidenti, i quali formarono L’Accademia dei Quirini. → lo scisma crea
uno spartiacque di divisioni di competenze, autori, musicisti, spazi tra i due schieramenti che
operano a Roma in questi anni. Per questi aspetti il dialogo tra poesia, musica, arte, scienza,
filosofia non va considerato come uno scambio tra discipline, ma come un elemento costitutivo nel
sistema dell’Ancien Régime. → infatti a Roma le pressioni legate agli schieramenti interni della
corte papale moltiplicano le occasioni celebrative e ampliano l’offerta dei versi encomiastici.

In questa città esistono numerosi eruditi, scienziati, cardinali per i quali l’arte e la poesia sono parte
integrante della società che è volta a confermare l’autorità della Chiesa: -Clemente XI→ partecipa
alle iniziative culturali prima di diventare papa (nel 1700) quando è ancora un membro dell’Arcadia
(col nome Arete Merello). Ci sono poi figure di eruditi emblematiche:

-Francesco Bianchini→ scienziato di risonanza europea che è anche il Sovrintendente alle antichità
a Roma.

-Giovan Mario Crescimbeni→ governatore dell’Arcadia, ma anche critico letterario di grande


importanza.

-Gian Vincenzo Gravina→ è un giurista responsabile del trattato De iure civile, ma anche scrittore
tragico e teorico.

Questa versatilità dell’uomo di cultura dell’Ancien Régime che non pone barriere tra le attività
scientifiche e quelle culturali, evidenzia la centralità della poesia e della letteratura in quel
periodo→ per esempio nelle forme bucoliche che dominano la poesia per musica il travestimento
pastorale rinvia ad un ordine che suggerisce una cerimoniosità specchio dell’ordine formale della
società contemporanea, dove tutti i dissidi si risolvono in un sistema gerarchico , nel controllo delle
passioni, nella conservazione della dignità ed onore.
La produzione in musica è in primo piano in questo processo dopo il 1700, quando terminò il
periodo di astensione dal carnevale stabilito da Clemente XI nel 1703, cantate, serenate, azioni
sacre costituiscono il perno degli eventi celebrativi di cui tutta la città è seminata.
La dimensione cerimoniale ed occasionale, all’origine di tante serenate ha una funzione
promozionale e incentiva l’uso dell’allegoria→ Saverio Franchi → mappatura delle opere
drammatiche rappresentate e stampate a Roma: si accorge che molti testi erano stampati fuori Roma
per evitare la censura nel caso di allusioni politiche troppo esplicite. Sul piano del Linguaggio
Verbale di questi testi esiste un lessico comune: un vocabolario di base che riprende alcuni temi e
modalità che ricorrono nella produzione occasionale per musica→ si costituisce un linguaggio che
attraversa questa produzione fondato su alcuni topoi declinati in modo diverso a seconda delle

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situazioni:
1) Tema dell’esaltazione della Venere celeste che mantiene gli attributi letterari che le
appartengono, ma diventa una sorta di immagine delle gerarchie ecclesiastiche, a sancire la
centralità della Chiesa. La declinazione platonica dell’amore è un motivo che ricorre nella
letteratura italiana fin dalle sue origini ed è alla base della tradizione petrarchesca; il platonismo
all’inizio del ‘700 è un codice consueto di riferimento letterario; la produzione poetica occasionale è
molto condizionata da questa declinazione retorica del codice petrarchesco, presente nella
produzione poetica del tempo, funzionale per le rappresentazioni aperte a tutti i livelli della società.
Il platonismo petrarchesco è un codice di base ampiamente utilizzato nelle occasioni sociali della
poesia Settecentesca.

2) Motivo della mappatura geografica: si avvale di una serie di personificazioni di luoghi, città,
paesi; è molto diffusa la personificazione di fiumi (Tevere, Senna, Danubio) o di luoghi come
Roma, la Francia, l’Inghilterra che serve a delineare e consolidare una mappa delle alleanze
politiche. Questo topos contiene una strategia comunicativa molto efficace che si percepisce fin dai
titoli delle opere (Il Danubio festeggiante; La ninfa del Tago; La Baviera trionfante ecc…)

3) Motivo della Romanità eroica che salda la Roma imperiale a quella papale. Il motivo della
classicità in genere ribadisce il prestigio delle gerarchie ecclesiastiche ed è funzionale alla
rivendicazione del ruolo centrale della Chiesa a livello europeo. Il riferimento alla Roma imperiale
ha una duplice valenza: per le corti e perla Francia significa una conferma di autorità e prestigio e il
richiamo a equilibri strategici; per la Chiesa stabilisce una centralità della città nel sistema di
alleane europee e la conferma di una presenza anche politica dello Stato della Chiesa.

4) Mito dell’età dell’oro: il vagheggiamento di un mondo ideale acquista una valenza politica, la cui
utilizzazione varia a seconda delle circostanze; anche questo, come gli altri topoi, acquista molta più
risonanza se intrecciato con gli altri temi costanti in questa produzione. Qualche caso concreto
all’interno dei generi più diffusi (serenate, componimenti drammatici, feste, presagi festivi,
cantate):

-Venere Amore Ragione→ scritta a Napoli nel 1696 da Silvio Stampiglia e rappresentata a Roma
nel 1706. gli interlocutori sono Venere Amore e Ragione, Venere cerca suo figlio Amore e lo trova
insieme a Ragione. Motivo dell’amore sottoposto alla ragione reso esplicito dall’utilizzo di un
linguaggio sentimentale in cui tutto si ricompone. L’intento educativo e moralizzante è esplicitato
dall figura di Ragione.

-Amor per Amore→ scritta nel 1696, racconta la storia di due pastorelli e due ninfe innocenti (Iliso,
Eurillo, Lidia, Dorinda). I temi sono: divagazioni sull’amore, la lontananza, la gelosia, la purezza
del sentimento amoroso. Si sottolinea il fatto che l’amore debba essere sempre sottoposto alla
ragione.

COMPONIMENTI LEGATI AGLI ASBURGO NEL PERIODO DI CARLO VI.

-Sacrificio a Venere→ serenata scritta da Paolo Rolli nel 1714; questa serenata inaugura una serie
di componimenti per il compleanno di Elisabetta Cristina di Brunswick, moglie di Carlo VI
d’Asburgo; la rappresentazione avvenne il 28 agosto 1714 in piazza santi Apostoli. La stampa della
serenata avvenne a Napoli e non a Roma, questo ci fa intuire le intenzioni diplomatiche del testo.
Descrizione accurata della serenata→ relazione della rappresentazione inviata a Vienna il 28
novembre 1714, destinata alla cote viennese. l’articolo inizia confermando il legame tra la Vienna e
la Roma antica, suggerendo un’alleanza tra i due stati. Segue la descrizione dell’allestimento e della
scenografia: ogni dettaglio descritto sottolinea il quadro celebrativo dell’evento; la relazione

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sottolinea il fatto che la divisione degli spazi seguiva una logica gerarchica: spazio interno per gli
ospiti illustri, mentre quello esterno per il popolo.

La serenata era una favola pescatoria nella quale due pescatori e due pescatrici che, ragionando
sull’amore, si recano a festeggiare il giorno di Venere nel suo tempio, che si trova dove il Tevere
sfocia. Nella trama si notano alcuni degli elementi del lessico di base della cultura romana di quel
tempo:

1) Venere, che è presentata come divinità madre di Enea e quindi progenitrice dei romani, ma allo
stesso tempo la dea è la Venere celeste, di ispirazione platonica.

2) Invocazione al Tevere, personificato come una divinità.

3) Il gioco della doppia coppia: da una parte Timeta che ama Eurilla e dall’altra l’amore tra Dori e
Alceo. Questi temi, nonostante fossero molto consueti, sono amplificati dal contesto: la musica
solenne venne affidata ad un’orchestra e la situazione era di festa estremamente sfarzosa.

-Componimento da cantarsi nel giorno del gloriosissimo nome della sacra cesarea real Maestà
dell’imperatrice Elisabetta Cristina per comando dell’Eminentissimo e Reverendissimo Signore il
signor cardinal Michele Federico d’Althann, Ministro di sua Maestà cesarea e cattolica alla santa
sede rappresentato nel 1721, scritto da Silvio Stampiglia, tornato a Roma da Vienna; il committente
è il cardinale d’Althann. È dedicato ad Elisabetta Cristina di Brunswick, la grandezza degli Asburgo
è amplificata, attraverso il lessico di base, dal confronto con l’impero romano e dal massiccio
riferimento alle vittorie sui Turchi.

-Componimento da cantarsi nel giorno dell’eccellentissimo nome della sacra cesarea cattolica real
maestà dell’imperatrice Elisabetta Christina, sempre di Silvio Stampiglia, scritto nel 1722; le
allusioni all’attualità, nell’urgenza della storia, sono espresse in modo evidente, lontano da
allegorismi difficilmente capibili. TRAMA: Austria, Pallade e Giove si recano a Vienna per
celebrare Elisabetta. In questo componimento il motivo della mappatura geografica è molto
importante per definire la rete di alleanze e stabilire il ruolo centrale di Roma nella politica europea.

-Componimento da cantarsi nel giorno del glorioso nome della Sacra Cesare Cattolica Real
Maestà dell’imperatrice Elisabetta Cristina, composto nel 1727; TRAMA: Fama celebra le gesta
dell’imperatore contro i Turchi ed esalta la funzione dell’Austria di protettrice della Chiesa e di
Roma, insieme al Tebro la Fama saluta l’arrivo di Venere che sottolinea la sua natura religiosa;
nella seconda parte Venere e Minerva predicono alla famiglia imperiale un futuro di gloria che
ripeterà i fasti dell'antica Roma.→ il lessico di base è facilmente riconoscibile e comprensibile ai
diversi strati gerarchici della società.

PRODUZIONE DI SERENATE E CANTATE PER LA CASATA DEGLI STUART.

Presenza degli Stuart a Roma dal 1719→ incentiva la produzione encomiastica finalizzata a
promuovere il ruolo centrale della Chiesa anche nella diatriba per il trono di Inghilterra.

-Cantata per il giorno natalizio della Sacra Reale Maestà britannica di Clementina regina di
Inghilterra, scritta da Francesco Bianchini. La celebrazione degli Stuart è strettamente legata alla
città: Astrea, dea della Giustizia, predilige Roma in omaggio all’innocenza di Clementina e viene
omaggiata dal Tevere, destinatario dei doni di Astrea perché sede della corte degli Stuart; al Genio
celeste spettano due funzioni: coronare la presenza di Astrea a Roma e stabilire una connessione tra
la coppia Giacomo III-Clementina Sobiescki e Abramo-Sara.

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-La Senna festeggiante→ rappresentata a Venezia il 11726; scritto per Giacomo III Stuart e
commissionato dal cardinale Polignac; non venne mai rappresentato a Roma per l’alleanza tra
Francia e Inghilterra che rendeva poco opportuno sottolineare un’unione tra Francia e Stuart, ancora
pretendenti al trono di Inghilterra. Temi e personaggi fanno parte del lessico di base→l’azione si
svolge in due tempi: nel primo si esalta la reggia di Saint Germain en Laye, a Parigi, dove gli Stuart
trascorsero i loro anni di esilio; nel secondo si fa riferimento alla reggia di Tuileries, sede della
monarchia francese, sempre pronta a sostenere gli Stuart. l’azione si svolge attorno al fiume-divinità
Senna→ assume un rilievo emblematico e colloca gli eventi in uno spazio ben definito.

Il vocabolario comune e l’insieme dei motivi e delle soluzioni retoriche non sono esclusivi della
Roma del primo ‘700: le personificazioni di fiumi e città sono comuni alla poesia classicista; i temi
dell’età dell’oro e il platonismo petrarcheggiante fanno parte della poetica contemporanea.

2.LA CONTESA DE’ NUMI E GLI ULTIMI ANNI ROMANI DI METASTASIO.

Negli anni romani di Metastasio, immediatamente precedenti alla sua partenza per Vienna, egli
scrisse La contesa de’ numi, un componimento che ha goduto fin’ora di una scarsa fortuna critica.
Questo testo sconta il pregiudizio nei confronti delle feste teatrali di Metastasio, considerate un
genere minore, occasionale e quindi di scarso livello critico.

La contesa de’ numi fu scritto fu richiesta dell’ambasciatore francese Melchior de Polignac e


rappresentata a palazzo Altemps il 26 Novembre 1729. l’occasione alla quale è legata la
rappresentazione di questo componimento è la nascita, il 4 Settembre 1729, di Luigi Ferdinando,
delfino di Francia, figlio di Luigi XV e di Maria Leszczynska. Dalla Francia giunse ordine al
cardinale di Polignac di organizzare dei festeggiamenti per celebrare l’evento. Lo scopo dei
festeggiamenti romani era quello di sancire la rinnovata alleanza tra la Francia e il papato, dopo la
crisi durante il regno di Luigi XIV. → evento speciale che andava sottolineato con particolare
enfasi.

Contemporaneamente il cardinale Ottoboni, librettista e protettore dell’arcadia, organizzava, per la


stessa occasione, la rappresentazione dell’opera Carlo Magno, presso la sua residenza il 24
Novembre 1729. Questo componimento in realtà venne scritto dal cardinale l’anno precedente per
celebrare sempre il delfino di Francia, ma la nascita di una femmina aveva frenato i festeggiamenti;
l’anno successivo, con la nascita dell’erede, lo spettacolo poteva essere rappresentato.

I due progetti di Polignac e di Ottoboni vanno di pari passo e sono pensati in un’ottica collaborativa,
nonostante una certa competizione: Polignac ironizza su Ottoboni, mecenate delle arti, ma scrittore
di scarso livello.

[Ottoboni era il delegato del papato per le rappresentazioni teatrali; difensore dell’Arcadia nel 1717,
venne preposto dal papa alla guida del teatro Pace per creare un’alternativa al Teatro Capranica
legato all’Accademia dei Quirini. Ottoboni gioca un ruolo di primo piano nella carriera di
Metastasio, soprattutto negli ultimi anni romani del librettista, nell’ambito della sua riconciliazione
con l’Arcadia.]

Il libretto di Ottoboni contiene una celebrazione tradizionale e sacrale dell’eroe, emblema


dell’alleanza tra la Francia e la Chiesa romana. Anche Metastasio richiama Carlo Magno, paladino
della fede, imperatore, promotore dell’alleanza tra Francia e papato→ presente ne “La contesa de’
numi” in modo generico.

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Ottoboni scrisse Notizia istorica, una premessa del testo che venne inviata ai sovrani francesi; in
questa redazione Ottoboni afferma che Carlo Magno è un principe dotato di virtù e di qualità molto
rare, tanto da superare persino gli eroi classici; l’esaltazione dell’eroe allude in modo esplicito
all’intento celebrativo e contiene un “catalogo” delle qualità del nuovo sovrano. L’intreccio del
libretto si regge su un romanzesco inverosimile che, sullo sfondo di un riferimento storico-politico
poco chiaro, presenta la mescolanza di comico e di tragico→ una prova teatrale inscrivibile in un
tardo-barocco rivestito di contenuti ideologico- politici.

Anche La contesa de’ numi contiene un’esaltazione dei sovrani francesi, in un’ottica attraverso la
quale si evidenzia un percorso di riflessione critica applicato alla natura del potere, della
conoscenza e della saggezza dell’uomo; anche qui (come nel libretto di Ottoboni) è presente la
celebrazione del sovrano che assembla in se tutte le virtù, ma il discorso metastasiano è più
problematico rispetto a quello di Ottoboni.

TRAMA: il libretto rappresenta una festa mitologica, i cui protagonisti sono divinità, allegorie delle
virtù e delle qualità dell’erede; la festa è divisa in due parti:

1) Apollo, Pace, Marte, Astrea e Fortuna espongono i doni che intendono fare al delfino di Francia e
rivendicano di fronte a Giove la superiorità delle rispettive offerte;

2) le stesse divinità, con ordine diverso, espongono i metodi educativi necessari a formare un buon
sovrano, conclude gli interventi Apollo→ aveva iniziato la serie di discorsi nella fase precedente:
alla poesia viene data un’importanza decisiva attraverso questo ordine non casuale. La contesa di
fronte a Giove si conclude con un invito da parte sua a conciliare le rivendicazioni di tutte le
divinità.

I motivi centrali del testo→ natura dell’uomo; educazione del sovrano, che deve raggiungere la
gloria in quanto uomo capace di vincere le passioni e arrivare alla perfezione attraverso la lotta
all’arbitrio dei sensi. Questo interesse antropologico per la natura umana richiama tanti nodi cruciali
di questi anni: passaggio dalla ragione di stato al dispotismo illuminato, conciliazione della nuova
cultura sensistica, naturalistica con la tradizione cattolica→ tutte questioni sottese al testo de La
contesa de’ numi.

L’equilibrio fra i diversi elementi in gioco, in questo libretto, è fragile; le lo sviluppo della diatriba
tra le divinità conduce alla conclusione che la glori si acquisisce unendo prestanza fisica,
formazione letterario- scientifica e senso della giustizia, rimane indeterminato il ruolo della fortuna;
quest’ultima pronuncia il discorso più sfuggente. all’interno del testo si cerca di circoscrivere
l’influsso della fortuna; l’erede deve essere addestrato a moderare l’intervento della sorte; si deve in
parte assecondare il “fato”, ma si deve anche riuscire dominare l’intervento della fortuna. Ne La
contesa de’ numi alla fortuna si contrappone Astrea (dea della giustizia e della legge); fuggita dalla
terra all’epoca della crisi dell’età d’oro (quando le passioni offuscarono la mente degli uomini) vi
aveva fatto ritorno con i sovrani francesi, che governavano con giustizia e benevolenza. Nella
seconda parte della festa Astrea promette di allontanare dal sovrano le passioni nefaste, in modo da
scongiurare ogni arbitrio di potere; l’aria di Astrea è eloquente nel definire un rapporto tra sovrano e
popolo basato sulla responsabilità reciproca e sul desiderio di conseguire il bene comune. Astrea
propone un ritorno all’età dell’oro, mostrando la particolare declinazione metastasiana di questo
tema arcadico→ questo mito metastasiano esprime un ideale di libertà morale che può esistere solo
nel rispetto naturale delle regole all’interno di una concezione dell’umanità e della storia fondata su
una naturale benevolenza. La conclusione del componimento mostra una visione del potere come
meccanismo estremamente complesso, che deve tener conto di tante condizioni; trapela la necessità

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di fondare il potere su costumi di vita civili e su una nuova modalità di comunicazione tra monarca
e sudditi; si afferma la necessità della certezza delle leggi.

Esiste un motivo metaletterario nel testo, che riguarda il ruolo attribuito alla poesia: questo ruolo è
esplicito nella posizione di Apollo nella prima parte del testo: inaugura discorsi delle divinità
rivendicando tra la sua competenza di educare il sovrano e sottolineando la propria funzione
strategica; nella seconda parte della festa Apollo conclude il discorso rivendicando l’importanza
della tradizione e della modernità, trasmesse dall’arte, per la formazione del sovrano. Anche gli
argomenti della Pace sostengono le argomentazioni di Apollo: il discorso della Pace nella seconda
parte della festa delinea un percorso formativo ideale attraverso lo studio dei classici, la morale
pratica ed infine la storia.

La contesa de’ numi → senso di fragilità coerente con il contenuto dei drammi di questo periodo,
dove non manca il contrasto tra uomo ed eroe, la consapevolezza di un difficile equilibrio tra
passioni e volontà, tra condizionamenti legali alla componente corporale e storica dell’uomo e il
controllo esercitato dalla volontà.

3.DA VIENNA A ROMA: IL VIAGGIO DELL’OLIMPIADE.

GENESI ROMANA DELL’OLIMPIADE→ i legami di quest’opera con il classicismo romano


sottintendono la conflittualità interna all’Arcadia (tra Crescimbeni e Gravina), inoltre quest’opera
rivela la capacità di Metastasio di confrontarsi con il linguaggio della classicità, dopo l’esperienza
di realtà molto diverse fra loro (Vienna, Napoli, Venezia, Roma). Quando scrive l’Olimpiade,
Metastasio è un uomo di teatro consapevole della specificità del linguaggio romano, inoltre è un
poeta cesareo (poeta di corte) che aveva sperimentato diverse modalità di committenza aristocratica
e impresariale→ quindi bisogna cercare all’interno dell’ambiente arcadico, che dominava la vita
culturale e politica dei primi decenni del ‘700, le radici dell’Olimpiade. → tra le varie raccolte
periodiche dell’Arcadia ci sono le celebrazioni dei giochi olimpici, numerose per tutto il ‘700. Tutti
i volumi iniziano con un Ragionamento di Crescimbeni, che spiega lo spirito e lo svolgimento dei
giochi: gare poetiche alle quali partecipano arcadi non solo romani, ma appartenenti a diverse
colonie. I giochi moderni sono considerati superiori a quelli degli antichi, per questo 5 giochi
letterari sostituiscono altrettanti esercizi degli antichi: l’oracolo sostituisce le quadrighe
(metaforicamente costituisce una corsa al cielo); le contese sono al posto del lancio del dardo
(indicano la riconciliazione degli animi attraverso uno sfogo innocente); il gioco dell’ingegno
sostituisce il lancio del disco; le trasformazioni sono al posto della lotta, le ghirlande sostituiscono il
salto (esaltano le virtù e rappresentano il regolamento delle passioni). Il premio è la corona di
alloro.

Il Ragionamento di Crescimbeni si concentra, inoltre, sull’elogio al sovrano a cui sono dedicati i


giochi; l’elogio al sovrano attraversa tutto il volume e caratterizza lo svolgimento dei giochi.
Servendosi della rete simbolica degli arcadi e riprendendo il tema del gioco olimpico, Metastasio
(nell’Olimpiade) elabora una formula di linguaggio celebrativo e allusivo, funzionale al suo statuto
di poeta cesareo. → evidente il fatto che era centrale l’esaltazione delle virtù morali, in particolare
quelle del sovrano. Metastasio coniugava le sollecitazioni provenienti dall’Arcadia con un percorso
formativo autonomo: legato agli insegnamenti di Gravina e dalla sua personale esperienza
decennale nei teatri europei.

1. Prima tappa: Vienna agosto 1733 Metastasio per la sua quarta opera viennese sceglie un
argomento romano, infatti l’Olimpiade si ricollega agli scenari e al linguaggio poetico dell’Arcadia.
Dopo la sua prima trionfale rappresentazione viennese, il testo inizia il suo viaggio nei teatri
europei. Quest’opera, fin dalle prime rappresentazioni, effettua un circuito emblematico: da Roma

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(a cui è legata la genesi del testo), a Vienna (luogo della prima rappresentazione), a Genova ( che
riprende il testo nell’autunno del 1733), a Venezia (dove viene rappresentata per il carnevale del
1734), a Roma (dove viene rappresentato con l’intonazione di Pergolesi nel 1735) con un passaggio
per Napoli.→ delle successive rappresentazioni aveva perso traccia persino Metastasio.

2. Seconda tappa: Genova, teatro Sant’Agostino, autunno 1733

Il maestro di cappella è Pietro Giuseppe Sandoni,la dedica è firmata da Francesco Bardella→ la


dedica testimonia il prestigio riconosciuto a Metastasio, anche in una sede decentrata rispetto alla
fortuna metastasiana. Il libretto presenta delle differenza dal testo originale: mancano le didascalie
sceniche, il coro non c’è nei primi due atti ed è presente solo nella battuta finale del terzo atto, il
recitativo è ridotto, vengono inserite molte arie nuove, il linguaggio dei versi introdotti è
stereotipato.

3. Terza tappa: Venezia, teatro Sant’Angelo, carnevale 1734

Rappresentata con musica di Vivaldi, questa è la prima opera di Metastasio intonata da Vivaldi. In
questi anni Metastasio è una celebrità a Venezia, nell’ambito teatrale ed editoriale; i teatri veneziani
si segnalano soprattutto per le prime viennesi (Issipile;Demetrio). Il libretto dell’Olimpiade non
contiene dediche perché il teatro Sant’Angelo non è uno dei più importanti: ha una gestione
impresariale e le famiglie proprietarie lo affittano. Il libretto intonato da Vivaldi e rimaneggiato da
Bartolomeo Vitturi presenta 8 nuove arie: sono arie che si inseriscono bene nell’azione; un quinto
del recitativo (fedele al testo originale) è messo tra virgolette→ segno che non veniva recitato;
didascalie sceniche dimezzate e più sobrie di quelle originali→ il tutto sembra una versione
sintetizzata e più dinamica dell’originale. (le riduzioni del recitativo intervengono sui monologhi
che propongono una chiave di lettura ideologica del testo). Sono, inoltre, cancellati dei versi
elogiativi del potere monarchico che non avevano una funzionalità nel contesto veneziano, Vivaldi
cancella i versi del recitativo che fanno riferimento all’investitura divina del potere monarchico.

4. Quarta tappa: Roma, gennaio 1735

Rappresentazione intonata da Pergolesi. Il libretto è dedicato da Giuseppe Polvini Faliconti a


Ottavia Strozzi Corsini, pronipote di papa Clemente XII, la dedica insiste sull’autorevolezza
dell’autore. Vengono aggiunte solo 5 arie alla fine, la stampa riproduce fedelmente il testo viennese
perché a Roma circolava il testo originario; solo il coro è virgolettato perché le condizioni del teatro
Tor di Nona richiedevano l’eliminazione del coro. Gli intrecci fra Venezia-Vivaldi e Roma-
Pergolesi sono notevoli, infatti esiste una rete di legami tra le due città dove si era mosso Metastasio
prima della partenza per Vienna. Esistono anche degli elementi oggettivi che legano i due libretti→
due cantanti sono presenti in tutte e due le rappresentazioni anche se con due ruoli diversi:
Marianino Nicolini interpreta Aminta a Venezia e Aristea a Roma; Francesco Bilancioni è Megacle
a Venezia e Licida a Roma. Somiglianze a livello testuale tra i due libretti: tre delle cinque arie
introdotte da Pergolesi corrispondono a tre aire che introduce Vivaldi→ necessità comune di
adeguarsi all’esigenza teatrale di arricchire il ruolo dei cantanti minori. Differenze: fedeltà del
recitativo del libretto di Pergolesi mostra un maggior rispetto per l’organicità del testo nella
rappresentazione romana, insomma c’è una maggiore organicità testuale, ideologica e morale;
Vivaldi riduce, di fatto, lo spessore morale e ideologico dell’opera. In tutti e due i casi c’è una
percezione unitaria del rapporto tra aria e recitativo; e molta attenzione nei confronti della qualità
dei versi aggiunti che è più forte in Pergolesi che in Vivaldi.

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5.Quinta tappa: Venezia, teatro San Giovanni Grisostomo, 1738

Rappresentazione di Pergolesi, il libretto risulta un pasticcio, l’editore è Marino Rossetti (aveva già
pubblicato l’edizione dell’Olimpiade del 1734→ spiega il fatto che parte del recitativo è virgolettata
come nell’edizione di Vivaldi). Il rispetto dell’unità drammaturgica del testo viene meno, sia per il
numero di arie nuove, sia per lo stile, il lessico delle stesse arie. Il testo profondamente
rimaneggiato presenta un linguaggio melodrammatico stereotipato, caricaturale, a tratti comico,
lontano dalla perfetta sintesi poetica e drammaturgica metastasiana. A comporre questo testo
concorre la penna di Goldoni, poeta di teatro nel 1738 al San Giovanni Grisostomo→ non è facile
riconoscer la peculiarità del linguaggio di Goldoni che ha rimaneggiato diversi drammi
metastasiani. Al di là dell’intervento dello scrittore veneziano questa microstoria delle prime
rappresentazioni dell’Olimpiade mostra quante siano le variabili legate alle circostanze delle
rappresentazioni.

4.GOLDONI E METASTASIO

Riassunto delle tappe principali del rapporto tra Goldoni e Metastasio.

I due autori non si conobbero mai personalmente e ci fu uno scambio di lettere esiguo. Però
l’influenza di Metastasio in Goldoni è presente a vari livelli e le testimonianze dirette (di più da
parte di Goldoni) erano destinate ad una circolazione pubblica, quindi legate ad un linguaggio
elogiativo convenzionale. Goldoni si esprime sempre in termini elogiativi nei confronti di
Metastasio→ l’elogio è dato dal desiderio di rendere un tributo al grande autore di fama europea.
Metastasio per gli scrittori del ‘700 rappresenta il sistema: realizza uno statuto di poeta di teatro
destreggiandosi tra teatro impresariale in Italia e cortigiano a Vienna; possiede il mestiere di
drammaturgo a tutti gli effetti; ha svolto una riflessione sui generi e sugli stili che fornisce senso e
completezza al teatro per musica del ‘700, infine è in contatto epistolare con le persone più
importanti dello scenario teatrale contemporaneo. → la sua presenza pesa su Goldoni. Goldoni
esprime il suo giudizio più esplicito nei confronti di Metastasio nei Mémoires, pochi anni dopo la
morte del poeta (1782) in un clima di esaltazione collettiva. Goldoni (maturo) proietta il suo destino
su quello di Metastasio, accreditando, attraverso il confronto con la vicenda parallela del poeta
cesareo, il proprio statuto di scrittore italiano all’estero, divulgatore in Francia della lingua e della
cultura italiana. L’autosconfessione è apparentemente negativa e nasconde la rivendicazione di un
processo autonomo e di un confronto dialettico con il modello metastasiano, che viene attraversato
con esiti discordanti, non esclusivamente emulativi. La digressione più ampia su Metastasio è
inserita verso la fine della prima parte dell’autobiografia degli esperimenti di melodramma serio
(quando prima di rappresentare Gustavo primo re di Svezia G lo aveva fatto leggere ad Apostolo
Zeno che lo giudicò mediocre), quando si apre una parentesi sul dramma serio, che rivela, la
sensibilità dello scrittore attento ai problemi specifici della scrittura teatrale. La figura di Metastasio
accompagna tutta la carriera di Goldoni (Goldoni recitò Metastasio da giovanissimo; gli viene
censurato Amalasunta perché discordante dalla prassi metastasiana).

Descrizione di due periodi per inquadrare il rapporto Goldoni/Metastasio:

1) 1734/1742 periodo della formazione e del lavoro presso i teatri Grimani→ G scrive drammi seri
per musica originali o ripresi da testi di successo. La produzione seria di Goldoni in questi anni:
Cesare in Egitto (1735), La generosità politica (1736), Gustavo primo re di Svezia (1740), Oronte
re de’ Sciti (1740), Statira (1741), Tigrane (1741). → si tratta di testi eterogenei sia per le
implicazioni ideologiche che per i risultati espressivi e drammaturgici. Ogni dramma ha una sua
vicenda autonoma. I condizionamenti esterni influiscono sull’aspetto testuale: alcuni drammi, come

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il Gustavo primo re di Svezia, sono più funzionali; altri risentono maggiormente della marginalità
del testo nel dramma.

-La generosità politica→ qui Goldoni affronta il tema della necessità di un patto tra il sovrano e i
sudditi contro le guerre civili→ tema funzionale ad una nuova stagione politica veneziana. Il
dramma promuove un ideale di teatro che deve correggere i vizi umani e censurare le lotte
fratricide, un’immagine positiva del potere che risolve i contrasti tra i cittadini. Questo dramma,
però, sembra accostare in modo artificioso significati politici e sentimentali all’interno di un
intreccio che procede in modo elaborato e faticoso. Il dramma sconfina nella caricatura. Tutto è
eccessivo e il lieto fine, che avviene dopo colpi di scena e situazioni grottesche, sembra forzato.

-Statira→ affronta un tema più goldoniano: la naturalità del sentimento amoroso. I disegni
matrimoniali della famiglia reale persiana, decisi dal defunto re Dario, non seguono i voleri degli
interessati e si scontrano con le passioni dei singoli che alla fine si affermano. Anche qui il lieto fine
conclude il modo forzato lo sviluppo dell’intreccio e non nasce da un’agnizione che permette di
conciliare amore ed onore, ma è il risultato di uno scontro apparentemente risolto. Negli stessi anni
Goldoni lavora per i due teatri di proprietà della famiglia Grimani: nel teatro San Samuele collabora
con la compagnia Imer e presso il San Giovanni Gristodomo è poeta di teatro e direttore degli
spettacolo (dopo la morte di Lalli, nel 1741, G scriverà anche le dediche. Piero Weiss crede proprio
grazie a questi due incarichi Goldoni abbia avuto il compito di rielaborare i testi dei drammi
rappresentati in questo periodo, tra cui i drammi di Metastasio: Demofoonte (1738), Olimpiade
(1738), Adriano in Siria (1740), Demetrio (1742).

-Demofoonte → nessuna modifica eccessiva da parte di Goldoni.

-Olimpiade→ cambiamenti cospicui anche qua: la maggior parte delle arie sono modificate nella
stesura metrica, ma resta inalterato il contenuto dei versi.

-Adriano in Siria → preceduto dalla dedica di Domenico Lalli, cambiamenti che riguardano alcune
arie e la riduzione della maggior parte delle scene.

-Il Demetrio → dramma in cui ci sono più interventi; Goldoni scrive anche la dedica. Cambiamenti
più significativi del libretto: abolizione del personaggio di Mitrane; taglio id molte scene e arie per
ridurre la durata del dramma; valorizzazione della figura di Barsene, interpretata da Teresa;
interventi e sostituzioni di versi e strofe delle arie e del recitato. Le aire di Barsene, interpretata da
Teresa, vengono equiparate a quelle della prima donna; le altre arie sono rispettate. La produzione
seria goldoniana costituisce un’esperienza percepita come poco congeniale dall’autore stesso e
tuttavia un’esperienza utile all’autore per comprendere le sue potenzialità e i suoi limiti. Nonostante
la scarsa uniformità di questa produzione ecco alcune caratteristiche generali: ridondanza e
dismisura drammaturgica ed espressiva; lieto fine quasi sempre forzato, che conclude il dramma in
modo incoerente; scarsa coesione tra i vari temi affrontati e le situazioni risultano artificiose e
inverosimili. Aria e recitativo contro la lezione di Metastasio, sono disarticolati: nel recitativo
recupero di un eloquio medio a livello sintattico, che contrasta con il lessico ricercato, letterario,
aulico; le arie, invece, esibiscono una sorta di letterarietà passiva con una profusione di immagini
barocche inserite in una struttura spesso metastasiana→ il contrasto tra un registro aulico e
l’immissione di moduli più bassi e realistici sfocia a tratti nella caricatura e nel comico con esiti a
volte di contaminazione tra comico e tragico.

2) 1754/1758 → (quindici anni dopo la scrittura dei drammi citati prima) Questi anni sono
caratterizzati da una forte attitudine alla riflessione critica; anni difficili per la carriera di Goldoni,
che inizia la controversa collaborazione con il teatro San Luca; nel 1758 si reca a Roma. Tappe

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salienti di questi anni: scrittura di Terenzio (commedia in versi con espliciti riferimenti meta
letterari, 1754); riscrittura della Statira che si trasforma in un testo articolato e fatto precedere da
una dedica Alle nobilissime Dame veneziane in cui si parla di Metastasio (1756); dedica della
commedia Terenzio a Metastasio (1758). → Metastasio è qui uno specchio attraverso il quale
Goldoni riflette su se stesso, più che un modello di riferimento. - La seconda edizione di Statira,
composta nel 1756, rispetto alla vecchia versione è un dramma meglio costruito, più dinamico e
articolato dal punto di vista drammaturgico e più coerente; i monologhi e le arie vengono ridotti in
funzione di una maggiore coesione e i personaggi hanno una profondità psicologica. In questa
redazione G spende la competenza nella commedia per la costruzione di personaggi di maggiore
complessità psicologica, all’interno di un intreccio più coerente e coeso, fedele al modello
metastasiano. - dedica Alle nobilissime Dame veneziane → problema della scrittura del dramma
serio confrontando il proprio lavoro con quello di Metastasio, secondo il consueto gioco degli
specchi. - dedica a Metastasio della commedia Terenzio, scritta nel 1758 → Goldoni pronuncia i
soliti elogi, riflette, attraverso divagazioni sui generi e sulla scrittura melodrammatica, sulla sua
scrittura teatrale. → la riflessione sulla scrittura teatrale si confronta con il modello metastasiano
che non si pone esclusivamente come modello da imitare, perché G è consapevole della diversa
indole e formazione, ma anche del diverso contesto all’interno del quale i due autori si trovano ad
operare. L’influenza di Metastasio non si esaurisce col genere melodrammatico→ presenza del
modello metastasiano nella tragicommedia in versi Gli amori di Alessandro Magno, scritta nel
1759. Metastasio è lo specchio attraverso il quale Goldoni si interroga sulla propria scrittura, sulla
fedeltà a un’idea di teatro e anche a un mestiere teatrale che egli sente di condividere con il poeta
cesareo.

GOLDONI PER METASTASIO → Metastasio invia tre lettere a Goldoni, tutte da Vienna tutte per
lodare in modo formale il commediografo / per ringraziarlo dell’invio di sue commedie; un’altra
lettera scritta al fratello Leopoldo a Roma, l’8 gennaio 1759→ Metastasio esprime il suo giudizio
più sincero su Goldoni: il poeta raccomanda al fratello Goldoni sul quel pronuncia parole di stima,
però sembra prendere le distanze, più che da Goldoni, dal teatro impresariale che condiziona in
senso negativo la scrittura teatrale.

5.L’IO “FORESTIERO”: L’AUTORITRATTO GOLDONIANO DE I VOLPONI

La presenza di un autobiografismo attraversa tutta l’opera di Goldoni e ci permette di delineare un


ritratto dell’autore. Il travestimento dell’autore in personaggio in tanti suoi testi induce ad una
confessione più articolata e lineare delle autobiografie ufficiali (Mémoires italiana e francese).
Umori soffocati, perplessità controproducenti per il disegno auto-promozionale, momenti di
riflessione critica e introspettiva e spunti polemici trovano spazio nelle molteplici maschere che
riproducono figure e situazione dell’esistenza di G. Inizio dell’esilio volontario in Francia→ forte
presenza, nella scrittura teatrale dell’autore, di travestimenti autobiografici con cui G comunica le
valutazioni “a caldo” del veneziano trasferitosi a Parigi→ G riflette sul proprio “io artistico” con
tutte le perplessità relative alla sua attività in Francia e la delusione per le prospettive disattese
nell’ambito della sua carriera teatrale; si confronta anche sul proprio “io forestiero”: condizione di
veneziano trasferitosi a Parigi, che osserva la società francese sulla base della propria esperienza
autobiografica. L’istanza confessionale è così forte che tutte le sue tappe del viaggio da Venezia a
Parigi trovano un controcanto puntuale in tutti i testi del periodo, animati da questa forte ispirazione
a raccontarsi: -Si parte da Venezia, dove Angioletto, protagonista di Una delle ultime sere di
Carnovale, sta per partire per Mosca. (primo assaggio dell’”io forestiero”) → l’artigiano si proietta
nel suo destino di straniero; c’è anche il tema del ritorno: Angioletto-Goldoni promette che la sua
partenza non è definitiva e che il suo viaggio sarà di andata e ritorno. -Si prosegue a Bologna con la
maschera di Loran Glodoci, protagonista de La bella vita. Il libretto fu scritto su richiesta di
Albergati Capacelli e racconta la storia del librettista che, venendo meno alla decisione di non

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scrivere più testi per musica, ne compone uno. Loran Glodoci propone un teatro musicale riformato,
più vero e autentico, vicino al mondo, ribadendo la dignità del suo “io artistico”. -Altra tappa Lione,
dove Goldoni viene informato dell’unione, a Parigi, di Opéra comique e Comédie italienne, con
tutte le conseguenze che avrà nel suo lavoro. -Ultima tappa del viaggio, Parigi→ nelle commedie e
scenari dei primi anni parigini→ fisionomia dell’ “io forestiero” che mette a confronto i costumi e
gli usi e rielabora sulla base della propria esperienza personale argomenti costantemente dibattuti
nella cultura dei lumi: il motivo del viaggio in Europa; lo sguardo dei francesi sull’Italia; il
riconoscimento delle differenze tra le nazioni. L’ “io forestiero” si nota in questi due libretti: 1) Il
matrimonio per concorso(1763)→ qui ritroviamo una situazione autobiografica, con la presenza a
Parigi di mercanti veneziani che vogliono maritare le figlie; nell’intreccio (che si conclude con il
doppio matrimonio) è inserita una digressione su come i francesi giudicano gli italiani → in un
giardino un gruppo di francesi discute di cose frivole, vengono rivelate la superficialità e
l’indifferenza nei confronti del teatro italiano e la poca voglia di imparare l’italiano ( ostacolo per
apprezzare il teatro italiano); l’occhio di Goldoni li osserva attraverso la maschera di Anselmo, il
viaggiatore colto, che non si lascia andare ad atteggiamenti ridicoli. 2) Il Genio buono e il Genio
cattivo (1767) → Arlecchino abbandona l’eden dove vive con Corallina e viene trasportato nel
giardino delle Tuileires ; viene subito classificato come “forestiero” dai parigini lì presenti e viene
criticato dal veneziano li presente, Anzoletto (maschera di Goldoni) che polemizza contro la
diffusione di stereotipi negativi sull’Italia prodotti da una letteratura scritta dai francesi che hanno
pregiudizi contro gli stranieri. Nel discorso di Anzoletto (nella scena del suo confronto con
Arlecchino) c’è un messaggio esplicito: esistenza di un impegno reciproco tra l’autore e il suo
pubblico sul quale si fonda la sua condizione di straniero “onorevole”; il discorso si conclude con la
confessione di amore patriottico, per sottolineare il fatto che il viaggiatore dignitoso non rinuncia
alla sua patria. L’Angioletto-Anselmo-Anzoletto ripropone uno stesso tipo di artista-viaggiatore che
rimpiange Venezia, vive in una condizione di esule, difende una dignità di straniero; l’ “io
forestiero”, con l’arrivo a Parigi, elabora un proprio statuto di straniero, basato sul lavoro e sul
rispetto reciproco, critico nei confronti della moda del viaggio mondano e nei confronti delle
chiusure nazionalistiche.

Nel 1765 Goldoni inizia la sua carriera d’insegnate presso la corte e lascia l’attività di
commediografo. Trascorre lunghi periodi a Versailles; nel 1775, dopo periodo a Parigi, richiamato
per insegnare italiano alle sorelle di Luigi XVI: Maria Clotilde Adelaide e Madame Elisabetta. →
Versailles è un’esperienza della condizione del forestiero divenuto cortigiano→ Goldoni lo mette in
scena con Girardino ne I Volponi, del 1777. Circostanze di scrittura de I volponi → ha scritto il
libretto per inviarlo a Venezia e per destinarlo alla troupe di cantanti italiani che era stata inviata a
Parigi nel 1777, però G non viene contattato dalla troupe e quindi l’opera non viene rappresentata
da loro→ duro colpo per Goldoni. Quest’opera è una tappa anomala nella produzione goldoniana→
il libretto ha caratteri di novità: l’obbiettivo di scrivere “parole nuove”.

TRAMA: Girardino, giovane pieno di talento, cerca un posto da segretario nella casa di un
marchese, ma viene raggirato e imbrogliato dal fattore e dal cameriere di questi che temono la
concorrenza del giovane, questi due sono aiutati da una cameriera. Sono appunto “volponi” del
titolo, che sono capaci di usare tutti i mezzi per mantenere i loro privilegi. Aiutato dalla sorte e
dall’apprezzamento delle due donne di casa riesce finalmente ad ottenere il posto, mentre i
cortigiani vengono puniti dal marchese.

L’identificazione tra Girandolino e Goldoni è esplicita→ il protagonista si definisce “buon


veneziano”; padroneggia il francese e il veneziano; è un poeta musicista che cerca lavoro in qualità
delle sue qualità professionali; ha un’ideologia anticortigiana; crede nella fedeltà, nell’amicizia e
nella virtù. Ne I Volponi Goldoni esprime la sua condanna contro le lusinghe della corte, dalla quale
ogni virtù è bandita; l’intento polemico e i contenuti ideologici rendono il libretto un testo poco

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coeso, che forza i topoi del genere. I Volponi rispetta le consuetudini del genere: la situazione del
Marchese, della promessa sposa e della sorella del Marchese; le liti dei servi; l’ambientazione divisa
tra spazi interni ed esterni; a livello espressivo il testo presenta una tipologia di arie canoniche. Nel
testo sono presenti anche varie situazioni consuete del melodramma: i dialoghi amorosi; lo scambio
di innamorati; gli equivoci; il plurilinguismo e l’inventiva verbale. → si verifica un superamento, a
livello di forzature tematiche e strutturali, delle situazioni consuete del genere, in funzione di un
discorso che ancora una volta guarda alla verità: denuncia di un disagio dell’ “io forestiero” la cui
professionalità non lo salva dall’emarginazione cui è condannato il “forestiero”. L’intento
confessionale e polemico rompe gli equilibri interni del genere, che si basa su una serie di
convezioni delicatissime, riportando in primo piano la vicenda dell’autore, più di dieci anni dopo il
gruppo di testi nei quali si delinea “io forestiero”. Come si verifica nel testo questo contrasto:
Alcuni elementi topici risultano amplificati con esiti parodici, creando una tensione interna al testo
che mal si risolve nel ritmo dell’azione e delle battute: i duetti amorosi e gli equivoci sentimentali
inseriti quasi forzatamente in un contesto di intrighi professionali, le riprese metastasiane che mal si
conciliano con la trama di relazioni spregiudicate del testo; di timbro parodio sono anche le
canzoncine amorose ricche di ridicole similitudini animali. La sentenziosità che accompagna la
polemica anti-cortigiana non è conforme al registro consueto del genere. Il lessico introduce termini
superati nell’ambito del dramma giocoso. Il comico è inesistente, affidato ai consueti screzi tra i
servi e a un personaggio come il marchese, intontito dall’amore, ingenuo e pasticcione nel turbino
di azione e malefatte che vengono intessute attorno a lui. Prevale una costante amarezza. Il lieto
fine, continuamente rimandato, sembra forzatamente applicato ad un’azione che procede nella
direzione opposta. Il valore professionale del protagonista dovrebbe garantirgli la salvezza, ma il
lieto fine avviene più per l’eccesso di malizia dei volponi e per una serie di circostanze più che per
il merito di Girandolino. Che cosa è divenuto, ne I Volponi, l”io forestiero” dei primi anni parigini?
- “io forestiero” degli anni parigini→ l’esperienza autobiografica reale si coniuga con un modello di
forestiero ideale, quello del viaggiatore colto, che appartiene alla civiltà dei lumi, aperto all’Europa,
lontano da stereotipi e pregiudizi. Il viaggiatore illuminato instaura un rapporto di scambio con lo
straniero, basato sul rispetto reciproco e sul riconoscimento di differenze culturali che devono
essere valorizzate e apprezzate. Nella sua multiforme incarnazione autobiografica, il viaggiatore
diventa l’uomo di teatro rispettato e valorizzato per il suo lavoro. Il rimpianto di Venezia e la
nostalgia conferiscono a questa figura ideale di straniero una cifra umana calorosa che rende più
credibile e vero l’ambiguo ritratto autobiografico. - l’esperienza della corte raccontata ne I
Volponi→ condizione nuova. Girandolino esprime una prospettiva ideale e rappresenta un ritratto
edulcorato, non nella direzione consueta di teatralizzazione dell’esistenza, ma nella definizione di
una condizione onorevole di straniero, che dovrebbe superare l’esclusione e l’ostilità attraverso il
valore professionale. La sua ingenuità, inadeguata a fronteggiare la situazione, lo rende un
personaggio caricaturale e patetico; nel raccontare la sua vicenda, Goldoni, esibisce dei caratteri
ideali: il disinteresse assoluto, la buona fede, la lealtà, ma l’accentuazione di questi elementi e
d’altro canto la presenza di oppositori, come i volponi creano una situazione di disagio e amarezza.
La casa del Marchese allude in modo esplicito alla corte e indirettamente alla Francia della quale
sottolinea l’incostanza e la freddezza con la quale il pubblico parigino aveva accolto le
rappresentazioni delle commedie goldoniane. Girandolino è quindi il viaggiatore disingannato, il
forestiero che riesce solo con fatica a destreggiarsi in un ambiente ostile. → l’ “io forestiero” è
appiattito sulla condizione di “straniero”, spogliato della considerazione onorevole de l’ “io
artistico” avrebbe dovuto garantire.

6.LE MEMORIE PER SERVIRE ALLA VITA DI METASTASIO DI SAVERIO MATTEI E LA


STORIOGRAFIA TEATRALE DEL SUO TEMPO

Nella seconda metà del ‘700 assistiamo ad una riflessione sul teatro musicale e la poesia
metastasiana in generale. Negli anni ‘50 e ‘60 il contesto culturale mette in discussione i

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presupposti della poesia metastasiana. Bettinelli è uno dei primi ad avanzare delle riserve
considerando la poesia metastasiana troppo vicino alla prosa; siamo in presenza di un nuovo clima
culturale dominato dalla consapevolezza che la poesia si rapporta alle incertezze del mondo e si fa
carico di esprimere e raccontare una realtà non archiviabile sotto il segno della ragione e
dell’armonia. La centralità della poesia nella cultura del ‘700 la rende super recettiva nei confronti
alle sollecitazioni che influiscono su codici e linguaggi, poetici e melodrammatici. Dall’osservatorio
viennese Metastasio prende atto di questi passaggi che sono poetici e culturali, ma che riguardano il
mondo delle idee ed esprimono l’esigenza di rappresentare delle trasformazioni sensibili della
cultura contemporanea; egli mostra repulsione per uno stile che si allontana dai necessari
presupposti di chiarezza e armonia. Metastasio registrava le trasformazioni del linguaggio
contemporaneo, insistendo sull’aspetto retorico di un cambiamento che è prima di tutto culturale e
di sensibilità e ingloba la poesia in un sistema di riferimento complesso. Mentre Metastasio prende
atto delle trasformazioni poetiche e melodrammatiche del suo tempo, Mattei fa rivivere la forma
breve metastasiana nelle traduzioni dei Salmi e rende attuale il modello metastasiano con
osservazioni che risentono del dibattito contemporaneo e che funzionano anche come risposta a
possibili obbiezioni sul linguaggio metastasiano. Mattei insiste sulla natura popolare (in senso
comunicativo) dell’opera di Metastasio; prende le distanze dai critici che sottolineano l’abilità
nell’improvvisare di Metastasio perché l’improvvisazione si scontra con l’idea di poesia di Mattei.
Una delle idee forti del discorso di Mattei è il legame tra poesia e musica, che si rifà alla concezione
greca di poesia. Fin dall’inizio delle Memorie, Mattei si distingue dalla biografia contemporanea
relativa a Metastasio per due motivi: 1) Motivo di sostanza e di contenuti → Mattei non intende
scrivere un elogio di Metastasio, ma vuole rendere conto del pensiero e della vita dell’autore; cerca
di tracciare un profilo umano, più che un resoconto delle opere di Metastasio. 2) Motivo
metodologico → Mattei introduce un’analisi comparativa: confronto con altri scritti relativi
all’argomento; utilizzo delle fonti + approccio a una trattazione di tipo filologico, basato su
documenti e informazioni di accertata provenienza. Le riflessioni su Metastasio hanno un ritorno
immediato sull’opera letteraria di Mattei: l’obbiettivo dell’autore è la difesa della forma espressiva
metastasiana e in generale melodrammatica. Affrontare una riflessione sulla poesia contemporanea
partendo dalla prospettiva metastasiana significava ricostruire una mappa geografica della
produzione poetica italiana del ‘700 valorizzando l’apporto Meridionale→ valorizzare la
componente autoctona e classicista della tradizione italiana sottraendola all’eccessiva influenza
delle culture d’oltralpe. All’interno delle Memorie, Mattei dialoga con svariati autori citandone le
opere, ma il confronto più significativo avviene con due nomi che l’autore cita all’inizio del testo:
Ranieri de’ Calzabigi e Aurelio de’ Giorgi Bertola. 1) Calzabigi→ nella sua Dissertazione di
Ranieri di Calzabigi dell’Accademia di Cortona su le Poesie drammatiche del Signor abate Pietro
Metastasio sorvola sulla vita del poeta e si concentra sui drammi con l’obbiettivo di riflettere sulla
storia del melodramma e sulla riforma del genere. Diversa impostazione tra i due scritti; però ci
sono alcune cose in comune: rivendicazione di una funzione specifica degli interventi critici che
devono essere volti a sostenere il modello metastasiano; la presenza dell’auspicio che l’epoca
contemporanea non abbandoni i risultati ottenuti dal poeta nell’ambito drammatico; la convinzione
che i melodrammi derivino dalla tragedia greca. 2) Bertola→ nelle Osservazioni sopra Metastasio
fa un discorso letterario più che melodrammatico attraverso degli elementi critici nuovi: si sofferma
sulla biblioteca di Metastasio e afferma che il poeta cesareo trova riferimenti nei testi di Giovan
Battista Marino, nel Pastor Fido e nella Gerusalemme liberata. Le Osservazioni rientrano nel
genere dell’elogio, ma aggiungono alcuni tasselli significativi: affondo sulla biblioteca dell’autore +
riflessioni sull’indole del poeta che intendeva eccellere in ogni campo + riflessioni sull’importanza
che aveva avuto per Metastasio lo studio della lingua. All’inizio delle sue Memorie Mattei precisa
che vuole raccontare la vita dell’autore, per questo è necessaria la conoscenza di tutto l’epistolario
di Metastasio→ Mattei intende supportare con testimonianze dirette le sue affermazioni e infatti ne
testo riporta ampi stralci delle lettere originali. Obbiettivo principale di Mattei→ sostenere il suo
ideale poetico e culturale attraverso il ricorso all’autorità di Metastasio che viene considerato nel

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quadro complessivo della cultura del tempo come uno scrittore e un intellettuale a tutto campo in
grado di rappresentare lo spirito dell’epoca. → in questo modo Metastasio viene elevato a
esponente massimo del classicismo nazionale e meridionale, in un momento in cui il modello
rappresentato dal poeta era sottoposto a critiche incrociate e indebolito dalla diffusione delle prose
europee. Per giungere a questo obbiettivo Mattei: 1) agiva sulla trasformazione di Metastasio da
figura di spicco della poesia per musica a filosofo e moralista prestato al teatro; 2) insisteva sulla
difesa della forma patetica metastasiana, l’aria breve con grande forza comunicativa. In sintesi gli
elementi di interesse delle Memorie di Mattei, nel quadro della produzione storiografica teatrale
contemporanea, sono: considerazione della natura filosofica dell’uomo Metastasio all’interno di una
valorizzazione del potere formativo della poesia anche teatrale; focalizzazione su aspetti non
consueti della vita del poeta; l’utilizzo di una prospettiva che considera il panorama culturale
espressivo ed è interna al teatro e alle pratiche teatrali; l’attenzione alle dinamiche geografiche e
alle peculiarità territoriali; l’obbiettivo di rilancio della forma breve del poeta; l’approccio filologico
(che Mattei considera come elemento imprescindibile della poesia per musica). Le Memorie
insistono su due punti: 1) la difesa del primato italiano attraverso Metastasio; 2) la prospettiva
meridionale che controbilancia la polarizzazione del dibattito culturale italiano.

7. LA STORIA ANTICA NELL’IMMAGINARIO MELODRAMMATICO TRA 700 E 800 Nei


decenni a cavallo tra 700 e 800 è presente la vitalità e la fortuna del tema storico. Mentre la filosofia
della storia di stampo illuminista metteva in discussione la concezione paradigmatica classica, le
vicende antiche alimentavano un repertorio inesauribile di temi e situazioni. La fortuna teatrale del
tema storico sopravvive anche con l’ondata dissacrante dei romantici. Come transita il tema storico
attraverso la crisi del classicismo e gli eventi di fine secolo e quali significati assume.
Nell’immaginario teatrale la storia sembra potenziare in varie direzioni i suoi significati allegorici e
metaforici e sembra confrontarsi con tematiche e motivi lontani da modelli letterari classicisti.

I motivi presenti nel tardo 700 appartengono alla tradizione del melodramma: compresenza di storie
relative a tradizioni e civiltà non europee; sovrapposizione di motivi sentimentali ed eroici;
ricchezza dei riferimenti allegorici→ motivi presenti già in Metastasio. Monti, agi albori della sua
attività, apprezza Metastasio perché era stato in grado di rappresentare i veri eroi. Rispetto a questo
precedente, quello che si può notare nella produzione di fine ‘700 è un modo più articolato di
interrogare la storia, che non è solo un repertorio di situazioni ad uso dell’educazione civile e
politica del cittadino, ma è anche l’espressione di un destino comune, di sofferenza, di dolore, di
amore e gloria, in grado di veicolare molti significati. Il libretto d’opera è un osservatorio
importante e indicatore significativo della cultura dell’epoca perché ha un notevole livello di
interazione con la cultura europea; inoltre i poemi per musica presentano i fenomeni più amplificati
proprio per il loro basso livello di codificazione tematica e per l’estrema permeabilità che
dimostrano nel subire suggestioni straniere.

EXCURSUS DEI LIBRETTISTI DI FINE SECOLO.

Parini: storia e mito. Parini rappresenta una continuità linguistico-formale e ideologica con il
melodramma metastasiano. È convinto delle potenzialità dello spettacolo, in grado di esaltare gli
apporti delle singole arti e di amalgamarle, sotto la guida della poesia, ai fini di un risultato perfetto.
In Parini la storia serve ad ancorare a un’istanza di verità e solennità un testo encomiastico e
sostanzialmente mitologico, tessuto attorno ad un intreccio quasi inesistente. Testi che scrive: Dei
principi generali delle belle lettere (→ rappresentazione ideale del teatro musicale, valuta la
funzione determinante della poesia); Ascanio in Alba (→ 1771, intreccio si fonda su riferimenti
storico-patetici).

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La romanità nel melodramma veneziano. Venezia in questi anni è un laboratorio diviso tra
influenze letterarie straniere e ferve un’intensa attività di tradizioni, mentre la storia antica romana
ha ancora una grandissima fortuna in chiave di lettura dell’attualità politica. Si è persa la fissità con
la quale, ancora nella parte centrale del 700, si guardava alla storia antica; Roma viene
ridimensionata attraverso la negazione di un’ipotetica virtù appannaggio degli antichi e attraverso
un distacco significativo da un repertorio di immagini, linguaggio, stereotipi. Lo scrittore ridefinisce
infatti anche lo scenario che deve essere realistico, con case, strade normali, non deve presentare
una Roma maestosa e monumentale.

Bruto e Virginia nel melodramma rivoluzionario. Il melodramma rivoluzionario è legato a


esperienze spesso brevi, come Genova e Roma, e ha come particolarità un ritorno a contenuti, su un
registro quasi argomentativo che contrasta con le regole dello spettacolo operistico, come se
l’urgenza della comunicazione intervenisse a rompere ogni schema e a ridare una nuova dignità al
testo. Nel melodramma rivoluzionario hanno avuto fortuna due personaggi, Bruto e Virginia, che
vengono rivitalizzati dal cotesto repubblicano e riscattati in questo modo dalla banalizzazione
sentimentale della tradizione melodrammatica. 1) Bruto→ precedente ingombrante di Giovanni
Pindemonte che aveva risolto il conflitto tragico dell’eroe romano tra fedeltà e affetti familiari con
un lieto fine che mostrava come il tema storico fosse amplificatore di tematiche sentimentali; nel
dramma di Pindemonte la stessa immagine di Roma è ambivalente: da un lato la città è simbolo
positivo di eroismo e virtù; dall’altro è presente nel testo una polemica antimperiale che mira a
condannare la sete di potere della civiltà romana. Rispetto a questa concessione i melodrammi
repubblicani si rifanno in modo più fedele alla vicenda storica dell’eroe romano; inoltre i
personaggi assumono un’identità aulica e si fanno portavoce di una condanna alle congiure
tiranniche; Roma è immagine di libertà e Bruto assume un’identità di saggio e patriota, la sua
saggezza comprende anche la consapevolezza dei limiti dell’uomo. 2) Virginia→ soggetto dalla
mitografia della Roma repubblicana ed ebbe molta fortuna in epoca rivoluzionaria. Il tema entra a
far parte del repertorio melodrammatico dopo Alfieri. La prima Virginia documentata appare in un
testo anonimo rappresentato a Firenze nel 1785. In epoca repubblicana la Virginia viene presentata
come una fanciulla dedita agli studi, virtuosa e dotta; la virtù coincide con la sapienza e l’istruzione.

Melodramma napoleonico: erudizione e politica. Il melodramma napoleonico diventa, nell’epoca


del “ritorno all’ordine” del governo francese in Italia, il punto di incontro tra erudizione antiquaria e
culto dell’antico. La storia di Napoleone viene piegata a fini spettacolari, rappresentata attraverso
scenari grandiosi e intesa come successione di eventi militari. L’eroe antico non coincide con
un’immagine di virtù intesa come clemenza e saggezza (come nel melodramma austriaco) ma con
un’immagine di eroe saggio e affidabile ma soprattutto guerriero e garante di un ordine ottenuto con
le armi. Gli argomenti di storia ellenistica sostituiscono quelli di storia romana→ perché la storia
greca riesce ad esaltare di più la figura di Napoleone accostandolo ad Alessandro Magno, che era
condottiero e stratega. In questa produzione la ricostruzione filologica delle fonti e la cronaca dei
fatti servono a dare un’identità e a celebrare la storia recente del dominio napoleonico in Italia. La
storia antica è, quindi, un repertorio inesauribile di situazioni che mettono in moto sentimenti e
conflitti; a veste antica è un travestimento necessario che perde gradatamente, nell’immaginario
letterario, un’istanza di verità e di esemplarità assoluta, per trasformarsi in un repertorio di fatti e
situazioni capaci di amplificare le dinamiche politiche della storia contemporanea.

8.NOTE SUL REPERTORIO MELODRAMMATICO A ROMA NELLA SECONDA META’


DEL 700: LA CARRIERA EUROPEA DELL’ARCADE GIUSEPPE PETROSELLINI.

Dall’Arcadia all’Europa: le sorprese del palcoscenico romano


Il teatro musicale romano di metà ‘700 appare un contenitore disorganico animato da vettori
discordanti; ricettivo ma allo stesso tempo segnato da forti condizionamenti. l’opera romana riceve

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suggestioni diverse, dà risalto particolare anche innovazioni provenienti dall’esterno, dall’Italia e


dall’Europa, ma condizionato da censure culturali e da costrizioni legislative che ne limitano
l’autonomia e la capacità di espansione. La cultura romana, in questo periodo, è animata da umori
diversi, da un lato clamorose censure nei confronti del teatro di musica profana, una legislazione
che impediva alle donne di salire sul palcoscenico, e dall’altro lato innegabili potenzialità dovute
non solo alla natura composita di Roma, ma anche alla posizione di crocevia della città, meta di
compositori napoletani e cantanti che portavano in giro per l’Europa opere romane. Per questo
Roma è uno dei palcoscenici italiani dove vengono rappresentati drammi ispirati a motivi
sentimentali e patetici, desunti dalla narrativa europea contemporanea e trasferiti nella struttura del
testo per musica; questo fenomeno fu possibile dall’incontro di compositori e librettisti e di un
pubblico pronto ad accogliere le novità. Il processo di trasposizione dalla fonte letteraria al libretto
implica l’adeguamento ad alcune costanti di ambientazione, il rispetto di modalità prefissate nei
rapporti fra i personaggi, tutti elementi che riducono la complessità dell’intreccio; la diffusione di
un repertorio melodrammatico sentimentale implica, però, l’esistenza di contatti, viaggi di persone e
testi, che creano comunque le condizioni perché temi e motivi di rilevanza europea vengano accolti
e rielaborati. A Roma questo processo avviene in presenza di condizioni specifiche: i librettisti sono
spesso accademici, letterari al servizio della burocrazia papale; spesso lavorare nel teatro
rispondeva ad un’esigenza economica. Gli arcadi romani praticano quella fratellanza tra le arti che
al di fuori delle accademie diventa espediente di affermazione professionale e che spesso costringe
all’assunzione di un registro stilistico basso. Gli abati romani erano molto attivi sulla piazza
romana, il più noto è Giuseppe Petrosellini.

Il repertorio melodrammatico: la scuola romana e la produzione dialettale. Una verifica dei titoli
delle rappresentazioni tra gli anni ‘50 e ‘60 del 700 mostra che il repertorio di opera seria è ancora
metastasiano, segno di una fedeltà all’autore romano. Metastasio è l’unico autore italiano che si può
affiancare agli autori tragici francesi. Per quanto riguarda il repertorio giocoso, esso si basa su
moduli stereotipati e ripetitivi; la produzione librettistica, influenzata da quella napoletana, per tutto
il secolo avrà schemi fissi: travestimenti, equivoci, matrimoni in genere doppi, personaggi ridicoli o
sciocchi caratterizzati da tic linguistici. I personaggi sono privi di spessore e funzionali ad un tipo di
rappresentazione teatrale in cui la componente testuale ha scarso rilievo rispetto ad altre componenti
della rappresentazione operistica. La produzione romana subiva: cesure ecclesiastiche e limiti
imposti dalla legislazione che con un editto del 1755 limitava alle sole sale dell’Argentina e
dell’Alibert la possibilità di rappresentare opere con più di quattro voci. Ciononostante, a Roma la
richiesta di testi per musica è molto alta; attorno ala età del secolo in risposta a questa richiesta è
attivo un gruppo di librettisti romani: Gerolamo Aureli, Gaetano Roccaforte, Angelo Lungi,
Antonio Gatta, Alessandro Pioli, Cesare Cerlons. → giudizi su questi autori sono negativi da parte
della critica contemporanea; per loro ciò che conta è la musica e la messa in scena, dunque il testo
ha una funzione strumentale. All’interno di questa produzione si possono rilevare aspetti peculiari
della produzione romana; l’elemento più significativo da questo punto di vista è la produzione di
libretti di ambientazione linguistica romana. La tradizione dei drammi con una coloritura linguistica
vanno dalla Commedia in Commedia dove Bruscolo parla in romano, alle Furberie di Bruscolo
trasteverino del 1747 di Moscardini, fino alla Pamela maritata di Goldoni (rappresentata nel ‘60)
dove il servo Falloppa parla romano e a La lavandarina in cui Lisetta parla in romanesco e Ciccio
in napoletano. Di questo filone fa parte Il Trasteverino di Pioli→ P. ha una grande abilità
nell’investigare figure curiose e comiche giocando su deviazioni linguistiche, tipiche del dramma
buffo, che sono qui accentuate e caratterizzate dalla coloritura locale. Nel Trasteverino c’è la doppia
coppia, in questo caso di popolani, tra Romanino e Fiammetta, e tra Lansagnone e Nespolina
(Romanino parla in romanesco e usa espressioni dirette). Altro libretto di Pioli: La Scuffiara →
protagonista è Lauretta, amata da Masticone che si esprime in modo ricercato e da Polimante che è
un gentiluomo; interviene anche Arlecchino che parla in veneziano; tutto il testo si regge
sull’alternanza parodica di linguaggi diversi.

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Giuseppe Petrosellini librettista. La fortuna della Bella figliola di Goldoni (che riprende il tema
della Pamela di Richardson) incentivò, in tutta Italia, la fioritura di testi ispirati alle opere di
Goldoni e contribuì a orientare il repertorio giocoso verso temi patetico-sentimentali che si
diffusero nel palcoscenico romano. L’ autore che seppe, più degli altri, fare propria la lezione
goldoniana fu Giuseppe Petrosellini→ figura significativa nell cultura romana della seconda metà
del 700 perché la sua vicenda funziona come interfaccia fra il mondo romano delle accademie, delle
occasioni celebrative, di uno scambio alto tra le arti, e tra il mondo del teatro musicale romano,
internazionale dei drammi giocosi. Ben introdotto nella corte di Pio VI, Petrosellini era
perfettamente inserito nel mondo culturale romano; i primi componimenti risalgono al 1753, inoltre
le poesie dell’abate sono inserite in numerosissime raccolte. Ai componimenti occasionali (la parte
più ampia della sua produzione) si affiancano anche versi redatti in un linguaggio non stereotipato.
Il teatro entra in gioco molto presto nella vita di Petrosellini: viaggio a Vienna nel 1759;
significativa è l’esperienza veneziana ce segue immediatamente i primi esperimenti teatrali romani;
a Venezia scrive due libretti; dopo alcuni anni trascorsi a Roma torna nuovamente a Vienna, dove
aspira (senza speranza) ad un posto di poeta di teatro. Il successo europeo arriva nel 1782 con
Barbiere di Siviglia rappresentato a San Pietroburgo. Petrosellini è un poeta in grado di rielaborare
le diverse tendenze tematiche della librettistica contemporanea, di cogliere motivi ed interessi
diversi e di trasformarli in un prodotto di facile consumo; sfrutta gli espedienti comici tradizionali
del repertorio giocoso come travestimenti, equivoci, scambi di persona, percosse il filone esotico,
riecheggia temi della contemporanea cultura europea. L’ evento che contribuì a caratterizzare in
modo decisivo la carriera di Petrosellini fu l’incontro con Goldoni. P si rifà al modello goldoniano
attraverso tre modalità: 1) riprendendo direttamente dei testi; 2) rielaborando motivi appartenenti al
repertorio goldoniano; 3) stabilendo, attraverso nomi, temi, richiami linguistici e tematici dei nessi
intertestuali che lo spettatore abituato al repertorio contemporaneo coglie facilmente. Rilevante è il
rapporto che legò Petrosellini a Piccini→ il poeta scrisse per Piccini Il cavaliere per amore (1763) e
due testi rappresentati a Venezia, Le contadine bizzarre e L’incognita perseguitata. A Petrosellini
sono legati alcuni dei titoli più significativi dei melodrammi del filone patetico- sentimentale, che si
sviluppa in Italia nella seconda metà del 700 a Venezia e a Roma.

La precoce diffusione del dramma sentimentale. Il primo titolo di questo filone patetico-
sentimentale è L’incognita perseguitata (ispirato a La buona figliola e alla commedia L’incognita
perseguitata di Goldoni) il testo ha un intreccio complesso che riprende il tema della fanciulla,
Giannetta, virtuosa, orfana e sola, riconosciuta alla fine nobile e degna del matrimonio con il conte
Asdrubale innamorato di lei fin dall’inizio. Alternanza di parti serie e buffe; elementi avventurosi,
elementi comici, inserti sentimentali. Il secondo titolo è L’orfana onorata → tema dell’orfana che
ormai circola a livello europeo nel pieno ‘700. Costanza condivide con le altre protagoniste
femminili dei drammi e romanzi , da Richardson in poi, tratti morali comuni: innocente, virtuosa,
modesta, difende la sua onestà contro equivoci, sfugge alla corruzione del mondo, intona monologhi
lamentosi sullo sfondo di scenari campestri o di giardini. Terzo testo: La vera costanza testo di
Francesco Puttini→ figura femminile delineata in modo più complesso : si aggiunge una nota di
maggio effetto patetico data dall presenza di un figlio illegittimo. Il lieto fine non ha bisogno della
nobiltà e del matrimonio con il nobile innamorato della protagonista, ma è dato dall’onesta. Il figlio
diventa interlocutore attivo anche se non parla, con la funzione di scandire pause e movimenti di
grande effetto emotivo. Quarto testo di questo filone è L’italiana a Londra, su libretto di
Petrosellini (1778), che introduce uno scenario urbano (non consueto in questo tipo id
rappresentazione) pur riprendendo il tema della fanciulla innocente. Il testo sviluppa i motivi
sentimentali e patetici sullo sfondo di un sobborgo urbano che accentua la dimensione patetico-
sentimentale dell’insieme. Intreccio: una fanciulla abbandonata va a cercare l’amante a Londra, lo
trova e, dopo aver rischiato l’arresto perché era scapata di casa, lo sposa.→ la società borghese nei
suoi risvolti professionali e sociali, dopo essere stata elusa dai primi drammi sentimentali che
avevano preferito sfondi campestri, penetra ne testi per musica. Genere ibrido nel consesso delle arti

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sorelle, la musica vocale profana, censurata a livello critico e teorico, assume tuttavia, tra
l’accademia e la città, un ruolo importante nella trasmissione di temi e motivi tra Roma e l’Europa.

9.FILIPPO PANANTI, POETA DI TEATRO E GIACOBINO

Profilo biografico di Filippo Pananti

Pananti vive a pieno i difficili passaggi storici di fine ‘700. Nasce a Ronta (nel Mugello) nel 1766,
la componente toscana è decisiva per la scelta di una poesia popolaresca e convive con una
vocazione cosmopolita dovuta alla formazione familiare e intellettuale di Filippo. Egli appartiene a
quella generazione di intellettuali che arrivano non più giovanissimi al triennio rivoluzionario, di
cui diventano però subito protagonisti, spinti da motivazioni ideali e politiche, ma anche dalla
volontà di trovare una collocazione storica in un tempo di trasformazioni radicali. Panati lavora
attivamente ai moti rivoluzionari in Toscana; anche se all’inizio è molto cauto nei confronti dei
francesi in nome dell’autonomia toscana e del governo granducale, egli si entusiasma all’idea di una
futura repubblica italica unitaria, esprimendo però una certa disillusione per gli esiti che i governi
repubblicani avevano avuto tra il 1797 e il 1798. nel 1799 è tra coloro che accolsero i francesi,
pronto a intervenire ad Arezzo quando scoppiarono le insorgenze controrivoluzionarie. In seguito a
questi fatti preferì trasferirsi in Francia dal 1799 al 1802, qui insegna lingua ed eloquenza nella
scuola di Sorèze, dove vive in condizioni agiate. Nel 1802 parte per Londra, dove rimane fino al
1813 quando decide di tornare in Italia via mare e viene catturato dai pirati. Viene condotto
prigioniero ad Algeri, ma subito liberato per intercessione del console inglese. Il suo patrimonio, la
sua biblioteca e molti suoi manoscritti andarono perduti in questa disavventura, che Panati racconta
nelle Avventure e osservazioni sopra le coste di Barbiera, pubblicate nel 1814. Una volta tornato in
Italia Panati compierà viaggi in Inghilterra e Germania nel 1819, ma vive in Toscana. P nel corso
del suo lungo soggiorno in Inghilterra diventa un protagonista della vita teatrale di Londra, dove
assume l’incarico di poeta per il King’s Theater, qui inizia una fase legata al successo del
melodramma italiano all’estero, all’ambiente di teatro, alle sue consuetudini che costruiscono un
capitolo essenziale della cultura italiana in Europa nel ‘700. la scelta di lavorare come poeta di
teatro è stata dettata da motivi economici, come molti autori italiani. I titoli giunti fino a noi di
Panati librettista sono quasi inesistenti: il testo di una Zaira. Sono poche anche le testimonianze
dirette di adattatore di testi: un’aria di Smeramide, alcuni versi encomiastici poi cantati da Michael
Kelly. Panati esercitò una funzione di librettista marginale: adattò libretti di altri in funzione
dell’intonazione, della troupe, del teatro, senza nemmeno firmare i testi. Di fronte alla scarsità dei
risultati diretti dell’attività di librettista di Panati, rimane sul suo lavoro una testimonianza
ricchissima→ poema Il poeta di teatro, scritto a Londra nel 1808. → è un romanzo in versi (sestine)
diviso in 110 canti, che segue un filo narrativo e racconta le peregrinazioni del protagonista,
Filippo, dall’Italia all’Inghilterra; è anche un intervento polemico sul teatro e sul ruolo del poeta di
teatro e del letterato in generale; pieno di accenni ala storia contemporanea, per lo più antifrancese e
antinapoleonica, con insistenza sul tema dell’esilio. Centrale è il tema della difesa della poesia sullo
sfondo di un ripensamento complessivo del ruolo del letterato nella società contemporanea. Il poeta
di teatro inizia come un percorso di formazione al contrario in cui a vicenda del giovane abate che
decide di abbandonare la famiglia e la carriera per seguire una compagnia di attori costituisce il filo
conduttore che sostiene una narrazione frammentaria, giocata in chiave parodica. Nei canti
successivi al primo (→ introduttivo) si ha una descrizione della vita del poeta ; libero dalla
compagnia, Filippo si sofferma sul teatro che è specchio del mondo, parla della condizione del
letterato contemporaneo, che cerca una collocazione ai margini dei grandi eventi politici dell’epoca
napoleonica. Nei canti successivi questo tema è svolto ulteriormente, attraverso il tema del
viaggiatore, metafora della condizione del poeta, di cui si propongono varie identità possibili: poeta

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improvvisatore, estemporaneo, poeta ciabattino (il massimo del degrado), avvocato che pratica il
tribunale, e infine la maschera dell’“autore” che prova inutilmente a vivere dei diritti ce derivano
dalla pubblicazione delle proprie opere. Assunto nuovamente dall’impresario perché muore il poeta
che doveva scrivere una nuova opera per la compagnia, Filippo percorre la Toscana vivendo
innumerevoli avventure legate alla vita dei comici, finché decide di tornare a casa. Anche
l’ennesima maschera del poeta idillico gli calza poco. Raggiunto dalla solita compagnia che si
stabilisce a casa sua, Filippo decide alla fine di ripartire e dopo altre peregrinazioni in Toscana
prende la decisione di andare all’estero.→ si conclude la prima parte del poema, che si svolge in
Italia e che è una metafora della condizione del letterato, in cui Panati denuncia la condizione
precaria e lo statuto di debolezza dell’uomo di lettere. L’ 80esimo canto contiene un saluto all’Italia
agitata dai sentori di guerra e rivoluzioni, ricco di accenti patriottici. La seconda parte del poema si
svolge tutta all’estero, dove viene presentata un’altra maschera del poeta contemporaneo→ quella
del Maestro di musica (→ titolo del canto 83) che è costretto a dedicarsi a questo impiego per una
questione economica; in mancanza di alternative, Filippo ridiventa poeta di teatro e i canti
successivi sono dedicati alla descrizione della difficile vita dei teatranti anche all’estero. In tutto il
poema la scrittura torna continuamente su alcuni temi ricorrenti (il viaggio, la difficile vita dei
teatranti, conflitti tra poesia e musica l’esilio, la critica contro la società) e diventa metafora essa
stessa di una dimensione irresoluta del letterato. Il riscatto della poesia avviene negli ultimi canti
quando la scena si sposta in Galles→ qui, dove la musica non è ostacolo all’eccellenza poetica ma
nasce dalle stesse parole in una sintesi di perfetta armonia, la poesia riceve la sua consacrazione
assoluta e assume un ruolo sociale prestigioso e centrale che le circostanze storiche e le condizioni
di vita professionale di fatto negano. Il poema si conclude sulle orme della massoneria→ Il poeta di
teatro svolge alla fine una riflessione quasi storico saggistico sugli antichi bardi (→ antico poeta-
cantore dei popoli celti); i versi sono accompagnai da lunghe note in cui l’autore racconta le regole
del mondo dei bardi i cui principi sono: pace, uguaglianza, verità, luce, bene, penitenza,
provvidenza. L’ultima maschera del poeta è dunque quella del bardo, è la maschera più prestigiosa
che dà una collocazione sociale al letterato e lo riscatta dalle umiliazioni raccontate
precedentemente.

10.”A TUTTI GL’ITALIANI”. LETTERATURA, MELODRAMMA E POLITICA DA PIO IX


ALLA REPUBBLICA

Poco dopo essere giunto a Roma, nel 1832, Filippo Meucci (nato nel 1805 presso Frosinone) venne
arrestato con l’accusa di congiura politica e fellonia, venne mossa questa accusa nei suoi confronti a
causa del ritrovamento di una copia dell’Ortis, libro vietatissimo, e una copia della tragedia La Pia,
di argomento dantesco. Meucci venne scarcerato un mese dopo l’arresto; da questo momento in poi
fu più cauto nell’attività politica, infatti negli anni successivi si hanno scarse notizie su di lui→ nel
1834 è iscritto alla facoltà di legge della Sapienza; nel 1836 è attivo a livello teatrale e musicale. Da
giovane Meucci (prima del trasferimento a Roma) aveva composto alcune tragedie e poesie: Il
tradimento punito dall’innocenza(1826), Temisto(1827), Ode in onore di S. Maria Salome(1828).

La produzione di testi successiva è incentrata su temi politici e anche l’approdo al melodramma è


condizionato da scelte di tematiche suscettibili di una possibile attualizzazione. Il caso di Meucci,
ovvero un intellettuale che costruisce la sua carriera letteraria sull’agenda politica, non è isolato→
esiste una bohème carbonara romana molto radicata negli anni ‘30, composta da un gruppo di
giovani politicamente impegnati, presenti nelle Accademie e teatri, ma attivi per lo sviluppo di una
cultura patriottica e militante, fortemente limitata dalla censura, ma ben visibile e riconoscibile. È
una generazione che si colloca tra quella tardo arcaica e accademica del periodo della Restaurazione
e quella postrepubblicana dei tardo romantici e vagamente sentimentali. Pietro Sterbini, di una
generazione anteriore a quella di Meucci, nasce a Vico nel Lazio nel 1793→ è uno dei membri
fondatori dell’Accademia Tiberina, fu implicato nei moti del 1831, era ricercato ed esule in Corsica

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e a Marsiglia dopo il 1833. Nel 1827 Sterbini aveva rappresentato una tragedia: la Vestale→ Tullia,
sacerdotessa di Vesta, e Silvio, sono disposti al sacrificio per amore l’uno dell’altro e sono animati
da una travolgente passione che sconfigge ogni vincolo; il sacerdote Fabio, padre di Silvio, è
l’emblema della corruzione, ed è mosso da una sete di potere e da un desiderio di vendetta che lo
rende il motore di un’azione torbida. La tragedia fu proibita dopo essere stata rappresentata per
quattro sere. Gli anni ‘30e ‘40 dell’800 sono anni esplosivi a Roma, dominati da questa
generazione, nata tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, che ha vent’anni e anima la
vita politico-culturale della città; questa generazione viene decimata dall’esilio e dalla prigione, ma
assume poi un ruolo da protagonista nella Repubblica romana e nei mesi che la precedono,
continuando ad usare la comunicazione letteraria e teatrale in chiave militante. È una generazione
pronta ad emergere non appena si allentano i controlli della censura: dopo l’amnistia del Luglio
1846 e dopo la libertà di stampa promulgata da Pio IX pochi mesi dopo, molti esuli torneranno in
patria. In questo momento i patrioti letterari sono impegnati in un processo di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica attraverso un’intensa produzione letteraria nella quale si incrociano modalità
rivoluzionarie, fenomeni della tradizione letteraria e realtà specifiche legate al costume locale. Le
divisioni e la divaricazione tra l’azione dei riformisti e del papato erano già mature nella seconda
metà del 1847; però per tutto il 1847 prevale un generico consenso a Pio IX: nei testi è presente una
retorica politica che si avvale di temi e topoi consueti, classicheggianti e tipici della poesia di
occasione. Negli anni 1846/47 il linguaggio è encomiastico, l’intento celebrativo si riduce man
mano che ci avviciniamo all’esplosione dei contrasti che porteranno all’uccisione di Pellegrino
Rossi nel Novembre del 1848 e alla partenza del papa per Gaeta. L’ inizio del pontificato di Pio IX
è salutato da Meucci con un Inno popolare intonato dal maestro Magazzari, improntato ad una
retorica patriottica classicheggiante basata sul parallelismo tra la gloria di Roma antica e di Roma
moderna. Per il primo anniversario dell’amnistia, Meucci scrive Il dì 17luglio 1847 […] dove il
testo è preceduto da uno scritto che propone una visione progressista della società e una riflessione
sulla virtù dei regnanti incline al perdono e non più alla conquista e alla lotta. Pietro Sterbini fu uno
dei primi a tornare dall’esilio dopo l’amnistia. L’ amnistia era stata celebrata dall’autore con
un’ode, Il ritorno dell’esule, scritta a Livorno nel 1846 sulla strada del ritorno dalla Francia a
Roma→ qui Sterbini celebra Pio IX in termini marziali mutando la retorica rivoluzionaria per un
elogio del papa. I frequentissimi banchetti per celebrare ricorrenze erano spesso l’occasione per
pronunciare i versi patriottici e per dare risonanza a un tipo di retorica politica celebrativa consueta
in questi anni per i patrioti di tutta Italia, ma che nel contesto romano assume delle caratteristiche
specifiche. Esempi di banchetti: -Banchetto pubblico sul Monte Esquilino alle Terme di Tito il 21
aprile 1847 per celebrare il Natale di Roma; - un altro banchetto si tenne il 29 settembre 1847 per
l’onomastico di Angelo Brunetti, patriota di origine popolare vicino a Pietro Sterbini.→ elementi
costanti in tutta la produzione del periodo: riferimento patriottico alla romanità come patrimonio
locale; la gloria di Roma e le recenti speranze di rinnovamento associati in un processo emulativo;
l’uso strumentale e attualizzato della classicità.

Banchetti, declamazioni di versi, feste, accademie musicali accompagnano ogni occasione nel 1847,
l’anno della convergenza dei progetti riformatori con la politica papale, e nel periodo che va dalla
fine del 1848 e l’inizio del 1849, dopo la fuga di Pio IX per Gaeta quando la censura si è allentata.
Nella poesia pubblica, del periodo, discorsi e versi sono tesi a sensibilizzare l’opinione pubblica su
temi patriottici, di esaltazione di Roma e di appoggio al papato in una prospettiva nazionale; e
tuttavia l’intento politico esprime un comune sentire patriottico basato su motivi di orgoglio
nazionale, di esaltazione della storia della città e comunica un senso di progresso e rinascita. La
poesia romana di questo periodo ha una spiccata componente locale e il discorso sul rinnovamento
delle istituzioni politiche e sul progresso sociale è fortemente ancorato al recupero della virtù
romana antica; è un tipo id retorica che ebbe un’efficacia indubbia, vista l’insistenza con cui fu
perseguita dai riformati, che miravano a coinvolgere il popolo anche attraverso le manifestazioni
poetiche e le occasioni pubbliche di festeggiamenti vari. MELODRAMMA e teatro fanno la loro

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parte in questo processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e sono particolarmente centrali


per le potenzialità propagandistiche e comunicative. Il melodramma nel Risorgimento funziona
come espressione militante perché c’era un’enorme circolazione degli spettacoli, che da Roma
raggiungevano tutti i teatri d’Italia. → attraverso il melodramma circolano temi e motivi. Roma
anima un teatro operistico di rilievo nazionale: vi passano e lavorano, in questo periodo, diversi
musicisti e librettisti. Bisogna ricordare, però, che il controllo della polizia non cessò del tutto, anzi
interveniva anche sulla scelta degli argomenti che doveva privilegiare soggetti di storia romana,
meno suscettibili di interpretazioni in chiave indipendentista e patriottica. Filippo Meucci scrisse
uno dei testi più interessanti da questo punto di vista: La lega lombarda composto nel 1846 e
pubblicato alla macchia, il melodramma ebbe una vicenda tormentata per l’opposizione di Pio IX.
Nella Lettera dell’autore a un suo amico che serve da Prefazione M espone una polemica presso i
poeti melodrammatici del periodo, dopo passa al problema della censura che era intervenuta
impedendo la rappresentazione del melodramma per i suoi contenuti antiaustriaci e per il
parallelismo che la situazione dei comuni del XII secolo poteva rappresentare per la realtà italiana
contemporanea. Riflette poi sull’unità italiana, spiegando che mangano i fattori naturali ed
economici a costruire un paese radicalmente unitario; la soluzione ideale per lui è una
confederazione, una lega dei principi italiani sotto la guida del papa, indipendente dall’Austria. Un
melodramma con una prefazione così può essere letto solo come un dramma politico. Lo
svolgimento mette al centro l’azione politica e in secondo piano lo svolgimento sentimentale,
questo testo insiste sull’eroismo dei lombardi contro la corruzione e le insidie degli imperiali. Il
trionfo del melodramma politico a Roma si ebbe con la rappresentazione de La battaglia di
Legnago di Verdi-Cammarano il 27 gennaio al teatro Argentina. All’attività letteraria si affiancò e
subentrò il giornalismo. → tra il 1848 e i cinque mesi della Repubblica romana l’attività politica
assorbe quasi totalmente i letterati. Tra le lettere degli autori e la politica il rapporto era stato e
continuò ad essere strettissimo: le lettere ricoprono un ruolo fondamentale nella formazione politica
di questi protagonisti della Repubblica romana. l’epilogo della vita di questi patrioti e comune:
Sterbini visse in Svizzera dal 1849 al 1851, dal 1852 visse a Parigi per 7 anni, nel 1860 giunge con
Garibaldi a Napoli dove muore nel 1863; Meucci si diresse a Genova dopo la fine della Repubblica
e qui scrisse vari opuscoli di satira politica, trascorre gli anni seguenti ricoprendo il ruolo di
insegnante in Piemonte e a Pisa, scrisse ancora dei drammi storici, muore a Pisa nel 1865. si
concludeva così, lontano dalla patria, la vicenda di questi e altri patrioti e protagonisti della
Repubblica romana che avevano risolto interamente la loro attività letteraria nell’esperienza
politica. Le lettere e il teatro, anche quello musicale, avevano conferito una dimensione nazionale ai
patrioti, fornendo loro un linguaggio, dei temi, una piattaforma comunicativa comune che
esprimeva un’idea di progresso, di rinascita, di valorizzazione delle risorse autoctone; si superava in
questo modo il mondo chiuso delle accademie pontificie e il rischio di marginalità culturale di
Roma rispetto al resto d’Italia.

11.DANTE NEL MELODRAMMA DELL’800 E IL SORDELLO DI TEMISTOCLE SOLERA.


Nella complessa ricerca di identità unitaria attorno la quale si costruisce il discorso nazionale, Dante
diventa il perno attorno al quale si costruisce la linea italiana di un eroismo civile espressione
dell’amor patrio e dell’impegno, la linea che, nell’800 preunitario, funziona da elemento di
riconoscimento e aggregazione attorno all’idea di Italia. D’ altro canto la figura di Dante evidenzia
la presenza di tensioni e conflitti: nei giudizi di Gioberti emerge il nodo di Dante guelfo, nel quale
si celebra l’idea cattolica, o di un Dante ghibellino, di foscoliana memoria, espressione della lotta
contro la corruzione e simbolo della nazione i chiave liberale. Le discussioni interpretative che
caratterizzano la fortuna critica di Dante nel primo ‘800 sono un terreno di confronto tra le due
identità italiane egualmente riconducibili alla figura di Dante: quella laica che promuove
l’immagine del poeta-cittadino e quella cristiana che insiste sulla natura escatologica
dell’esperienza conoscitiva dantesca. La grande fortuna del poeta sottintende dunque un alto livello
di implicazioni culturali e politiche. Emerge la presenza sporadica di Dante nel melodramma

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preunitario. Molte critiche e studi di Dante vengono fatti fuori dall’Italia, spesso a cura di esuli
politici. Fuori dall’Italia Gustavo Modena porta Dante a teatro, nelle sue “dantate”, spettacoli
militanti nei quali la Commedia veniva ridotta a monologhi, recitati con grande trasporto dal
patriota attore. Gli scarsi titoli Danteschi rivelano una ridotta comunicazione tra cultura ufficiale e
melodramma; d’altro canto il teatro in prosa appare estremamente recettivo nei confronti del tema
biografico dantesco e i titoli presentano Dante personaggio sono numerosi. → difficoltà di
individuare percorsi univoci, tra melodramma e cultura risorgimentale e cultura in senso lato, in
termini di rispecchiamento o di esplicito allegorismo politico, soprattutto in un quadro di vincoli
istituzionali e, a un livello più interno, di scelte tematiche e interpretative difficilmente classificabili
e soggette a molteplici variabili. La disponibilità del libretto d’opera sembra venir meno di fronte
alla figura di Dante, al sistema Dante nella sua veste di auctor/agens. La mitizzazione di Dante ha
una storia postunitaria, legata alla celebrazione più che alla costruzione del paese. Prima dell’Unità
c’è anche l’indubbio timore a confrontarsi con una poesia e un autore privi di una tradizione di
intonazioni come invece esisteva per gli altri tre grandi scrittori del canone primottocentesco:
Ariosto, Tasso e Petrarca. La materia dantesca, nella sua architettura così calibrata, con un
allegorismo troppo sottile, presentava un materiale sentimentale ed eroico che poteva essere solo
utilizzato in modo frammentario. Anche un tema tipicamente dantesco come l’esilio non sembra
agganciarsi in questo momento al rinnovato favore nei confronti di Dante, ma è mediato da drammi
francesi che insistono sull’attualità contemporanea oppure da episodi della storia romana. In questa
fase, l’interpretazione in chiave storica dell’esilio dantesco non sembra sfondare come tema cruciale
nel melodramma. Dante è un monumento che suscita una indubbia soggezione. Solo alcuni temi
hanno fortuna nel melodramma primottocentesco e tra questi emergono decisamente Pia de’
Tolomei e Francesca da Rimini→ perché isolate dal contesto le due storie, con protagoniste eroine
femminili ambientate nel Medioevo, rispondono al gusto per le storie tragiche di amore-morte, di
scenari tenebrosi, di sacrifici, di eroismo al femminile tipici del romanticismo. -Pia de’ Tolomei:
rappresentata per la prima volta nel 1835 a Firenze da Alessandro Orsini su libretto di Giovanni
Mario Marini; poi rappresentata la Pia de’ Tolomei scritta da Cammarano a Venezia nel 1837. -
Francesca da Rimini: rappresentata due volte→ quella di Strepponi su libretto di Felice Romani del
1823; quella di Pietro Generali su libretto di Paolo Pola. Un altro episodio gode di fortuna per le sue
caratteristiche funzionali all’immaginario tenebroso romantico: il conte Ugolino. A decretare il
successo di questi personaggi sono stati il tessuto sentimentale patetico, il legame forte amore-
morte, la storia di amori infelici, di conflitti familiari visti sullo sfondo di lotte politiche e contrasti
militari.→ sono gli stessi ingredienti che circoscrivono i temi del melodramma primottocentesco.
Due episodi meno noti, più tardi rispetto a quelli già citati, da un lato anticipano quella che sarà poi
la mitizzazione in epoca unitaria di Dante, e dall’altro mostrano anche il recupero in chiave politica
nel melodramma dello spirito dantesco.

Il primo titolo della seconda fase della fortuna melodrammatica dantesca, post romantica è anche il
primo titolo della tradizione melodrammatica in cui Dante è personaggio→ Dante e Bice : testo di
Serafino Torelli e fu rappresentata a Milano nel 1852; l’intreccio è sentimentale e politico. I primi
due atti si svolgono a Firenze dove nasce l’amore tra Dante e Beatrice, la quale confida alle amiche
di aver ricevuto da Dante una lettera che è una parafrasi di Tanto gentile e onesta pare. Dante si
esprime attraverso citazioni della Commedia. L’ amore è ostacolato dal capo dei patrizi, il conte
Gabrielli, che insidia Beatrice e che condanna Dante a morte, pena poi commutata in esilio. In
questa duplice opposizione sentimentale e politica Dante è presentato come un paladino del popolo,
allontanato da Firenze per il suo ruolo pubblico; l’esilio diventa subito il tema centrale del dramma,
attorno al quale si costruisce la seconda parte. La parte che segue questa prima trama è puramente
fantastica. → l’Atto terzo si apre con Dante assorto a scrivere a un tavolino in uno scenario
campestre; arriva poi Virgilio che, assieme a Dante, entra nel Pantheon della gloria dove ci sono
tutti i maggiori poeti; qui appare Beatrice che esprimendosi concitazioni tratte dal Purgatorio XXX
promette al poeta fiorentino eterno amore, mentre Omero precede tutti i poeti nel rendere omaggio a

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Dante. Il secondo titolo e caso più interessante relativo alla fortuna dantesca nel melodramma è
Sordello di Temistocle Solera. (librettista che appare vicino a tematiche romantiche e dantesche) -
BIOGRAFIA DELL’AUTORE- Appartiene a una famiglia di patrioti, fornì un valido supporto ai
patrioti ospitandoli nella sua casa, come risulta dalla sua corrispondenza con Mazzini. Era uno
scrittore eclettico, deve la sua fama alla collaborazione con Verdi, iniziata nel 1839. del 1841 è Il
contadino di Agliate, melodramma romantico che arriva al palcoscenico della Scala. Nel 1842
conobbe la cantante Teresa Rusmini che sposò a Brescia, con lei andò in Spagna nel 1845 e ci restò
fino al 1853, qui scrive libretti in italiano, collabora con il librettista spagnolo Emilio Arrieta. Gli
anni più significativi sono quelli che seguono il rientro in Italia, avvenuto nel 1853→ è ospite per
un periodo di Pier Ambrogio Curti a Milano. In questi anni svolge attività politica al servizio della
causa risorgimentale. Pare che in Francia Solera fosse un agente segreto in vista della guerra con
l’Austria del 1859; viaggiò molto tra Torino e Parigi come corriere segreto tra Napoleone III e
Cavour. Dopo l’armistizio di Villafranca dell’11 luglio 1859 si ritirò dal compito e tornò a Milano,
dove entrò nell’amministrazione di pubblica sicurezza. → sono questi gli anni in cui scrive Sordello
rappresentato a Milano, alla Scala nel 1856. → scelta dell’argomento tipicamente dantesca, dovuta
da sollecitazioni provenienti dal mondo culturale e teatrale. Si trattava di un personaggio e di una
vicenda al centro di tanti interessi che era già stato ripreso nel tardo ‘700 come un eroe della patria
che si era dedicato al bene comune→ secondo la fonte dantesca lo si incontra nel Purgatorio, nel VI
atto, dove incontra Virgilio e dove segue un’apostrofe dell’autore sull’Italia. Sordello diventa,
dunque, il tema di un melodramma dai contenuti politici e patriottici. La prima rappresentazione del
Sordello ebbe scarso successo, ma dopo l’Unità l’opera venne ripresa (1862) con il titolo più
accattivante: L’indovina a Piacenza ed ebbe più successo. La trama è politica; la vicenda è
ambientata a Verona e l’intreccio ha al centro la lotta contro il tiranno Ezzelino da Romano. Nel
primo atto Sordello afferma di voler salvare l’Ausonia dalla discordia civile; i cittadini veronesi da
lui sollecitati giurano di rinunciare ad ogni conflitto e di combattere solo per la patria. Il motivo
sentimentale e quello politico si intrecciano in una storia che ha come filo conduttore la lotta dei
cittadini contro il tirano Ezzelino. L’ azione sentimentale si svolge attorno tre storie amorose: Azzo
d’Este vuole sposare Bice, sorella di Ezzelino; il conte di San Bonifacio chiede in sposa Cunizza,
sorella di Ezzelino; Sordello vorrebbe sposare Alba, creduta figlia di Ezzelino, ma in realtà figlia di
Bianca Della Porta. Nell’atto II entra in scena l’indovina (si tratta in realtà di Bianca Della Porta,
moglie di un avversario condannato a morte da Ezzelino, che trama contro il tiranno e spinge gli
schiavi alla rivolta in nome dell’amore di patria) Ezzelino si presenta dall’indovina, che crede
amica, e le svela i suoi piani politici: vuole impossessarsi di tutta l’Italia e sposare Alba, che in
realtà rivela non essere sua figlia ma la figlia di Bianca Della Porta che così apprende che sua figlia,
sequestrata dal tiranno dopo l’uccisione del padre, è viva. Arrivano voci di guerra; Ezzelino
costringe l’indovina a dare un veleno ad Alba per non farle sposare Sordello. Alba beve il veleno
ma muore solo apparentemente in modo da sottrarla ad Ezzelino: i due giovano possono ora
incontrarsi e giurarsi amore eterno a casa dell’indovina. La situazione politica precipita nell’atto
III→ i congiurati giurano di opporsi ad Ezzelino che li minaccia di morte; intercede Alba che si
offre di sposarlo in cambio della salvezza dei congiurati, mentre Bianca trattiene Sordello che vuole
impedire il matrimonio. Nella battaglia di Cassano contro i ribelli Ezzelino viene sconfitto e
nell’atto IV appare in ritirata, scortato da un armigero che si scopre essere Alba che lo uccide. Il
dramma si conclude con l’arrivo di Sordello, Bianca e dei veronesi che esaltano la patria e le donne.
Topoi del discorso nazionale→ religiosità, patria, vendetta e sacrificio. Il profilo di Sordello fa da
reagente a tematiche patriottiche, innestando tutta una serie di riferimenti all’attualità. Emblematico
è anche il riferimento alle donne che rispecchia l’eroismo al femminile che si diffonde soprattutto
nei fatti del ‘48 che avevano visto una massiccia partecipazione femminile.

La celebrazione solenne, a livello musicale, di Dante avverrà nel 1865 a Piazza Santa Croce a
Firenze, in occasione dell’anniversario della sua nascita, quando nel corso di tre giorni si eseguono

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molteplici inni, cori e cantate per lo scrittore, consacrato definitivamente come padre della patria→
riprese della Commedia e celebrazioni dedicate all’autore + testi patriottici.

12.SALVATORE CAMMARANO, UN LIBRETTISTA NEL RISORGIMENTO

Il 1848 è l’anno in cui il conflitto politico è permeato nell’immaginazione del melodramma, del suo
linguaggio e delle sue forme comunicative. I tipi letterari che nei primi decenni dell’800 in Italia si
confrontano e danno voce alla conflittualità politica preunitaria attingono ad esperienze molteplici,
difficilmente assimilabili: dall’eroe antico al martire cristiano, al giacobino, al patriota, all’esule.
Spesso gli eroi sono vittime che cercano un riscatto nella morte e nel martirio; figure di tipi
popolari, pronti al sacrificio e devoti. Trasporto ideale, abnegazione, sacrificio, denuncia delle
ingiustizie, enfatizzazione della componente naturale istintiva e passionale della natura umana sono
le costanti di questo immaginario melodrammatico che fornisce modelli ideali di comportamento e
mostra uomini che si confrontano con i legami familiari, con i sentimenti di affetto e amicizia, con
il costo umano dell’azione eroica, ,infondendo al tipo dell’eroe tradizionale la componente di
umanità che lo avvicina agli uomini dell’800 e lo rende più credibile. Consideriamo il caso di un
librettista; un caso che conferma l’esistenza di un legame tra cultura letteraria, politica e
l’immaginario melodrammatico, ma che solleva anche delle questioni che riguardano lo specifico di
un discorso letterario e teatrale, che va analizzato in relazione ai tempi lunghi e alle diverse realtà
locali del Risorgimento e valutando la specificità del linguaggio melodrammatico, condizionato dai
legami con la tradizione, dai vincoli del genere, dal contesto delle rappresentazioni, dalla presenza
di un codice espressivo che permane con maggiore intensità proprio per la molteplicità di fattori che
entrano in gioco.→ È il caso di Cammarano che è estremamente interessante per diversi motivi: per
la formazione culturale dello scrittore che dimostra una capacità di muoversi con disinvoltura tra le
molteplici sollecitazioni italiane e straniere del periodo; per la sua statura di librettista che imprime
un suo personale stile ai testi per musica; per la consapevolezza storico-politica dello scrittore e per
la sua attenzione al momento della ricezione dello spettacolo, a centro del suo lavoro di scrittore.
Collaborò con compositori come Donizetti e Verdi. Mima dal romanzo moderno la consuetudine di
intitolare i capitoli (nel suo caso gli atti) e questi titoli, in Cammarano, imprimono molta tragicità
alla vicenda nella loro capacità di sintesi.( es. la morte- il martirio- il supplizio). Cammarano si può
richiamare a Victor Hugo, dal quale prende spunti tematici e con il quale condivide anche alcune
dichiarazioni programmatiche della cultura romantica. Un altro aspetto interessante della carriera di
Cammarano riguarda la scelta dei soggetti, una componente estremamente problematica del genere
operistico, determinata da fattori diversi e da condizionamenti esteri e che è quasi sempre il risultato
di una mediazione complessa tra scelte del librettista e del compositore e esigenze di teatro, della
rappresentazione e del contesto storico. Le scelte di Cammarano rispecchiano la sua grande cultura
letteraria e dimostrano la sua familiarità con il mondo del teatro e mostrano la volontà dello scrittore
di avvicinarsi con i suoi drammi all’attualità politica. Cammarano era un uomo di teatro in grado di
mediare con il potere istituzionale e con la censura. Drammi di argomento romano: ne scrive 3

1) La vestale→ scritto nel 1840; tributo al tema di matrice classica della sacerdotessa romana che
tradisce la sua natura sacra per amore. TRAMA: Emilia, la vestale condannata a essere sepolta viva
perché ha incontrato il suo antico amante Decio presso l’ara sacra a Vesta, facendo spegnere il
fuoco sacro alla dea mostra tutta l’assurdità di una legge rigida e di un’idea di fedeltà scisse dai
sentimenti e dalla ragione.

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2) Orazi e Curiazi→ scritto nel 1841; il senso di disfacimento di ogni prospettiva è assoluto e
inappellabile, così come è innegabile la percezione dell’assurdità di una legge disumana. I giovani
si smarriscono e fuggono; Camilla promessa sposa a Curiazio, alla vista del corpo dell’amato ucciso
dai suoi fratelli inveisce contro Roma e viene uccisa dal fratello Orazio. Anche il vecchio Orazio,
figura del romano rigido e inflessibile, si dispera per l’orrore ella morte dei figli. Il dramma si
conclude con un senso di sgomento generale.

3) Virginia→ dramma della prepotenza e dell’arroganza che sembrano precluder qualsiasi via di
uscita e finiscono per negare anche i risvolti eroici della vicenda, che non emergono con
determinazione; il motivo politico e la lotta antitirannica perdono la centralità all’interno del testo
ed entrano in gioco come uno sbiadito riferimento storico. In entrambi i drammi prevale in realtà un
senso di disfacimento, di orrore, di abbandono di ogni valore e certezza; da un lato la romanità
sembra ancora una tappa obbligata perché risponde ad alcuni presupposti fondamentali, dall’altro
certe asprezze e rigidità del tema romano si scontrano con una sensibilità contemporanea aperta a
una rappresentazione più articolata e mossa dei contrasti tra passione e dovere, che non trovano
riscontro nell’assoluta compattezza del mondo romano. La legge inoppugnabile del mos maiorum
nel contesto contemporaneo risulta gratuita e incomprensibile. Storie ambientate nel tardo impero,
di argomento sacro o politico.

1) Belisario → scritto nel 1832 è uno degli esempi più rappresentativi di una nuova sensibilità
arcana e barbarica. Il tema viene rielaborato secondo la tipologia del saggio proscritto e sfortunato,
vittima degli intrighi. Belisario, reduce da una vittoriosa guerra contro i barbari per il controllo
dell’Italia, viene accusato di tramare contro Giustiniano; in realtà la congiura organizzata contro di
lui appartiene alla moglie Antonia. Il generale, apparentemente colpevole, viene quindi condannato
all’esilio dopo essere stato accecato. Il riscatto dell’eroe che viene scoperto innocente dall’accusa di
tradimento e prima di morire può riabbracciare il figlio scampato dall’uccisione e la moglie pentita,
non bastano a cancellare l’orrore. Lo scontro tragico e drammatico di Belisario contro il destino
avverso mette a nudo la tragedia della sorte umana, ma mostra anche una strada di redenzione nella
costanza, nella purificazione del sacrificio estremo. Belisario è la prima figura, in Cammarano, del
martire che si oppone fino alle conseguenze estreme alle circostanze avverse.

2) Poliuto → interessante per la delineazione del tipo letterario del martire, ma anche per l’utilizzo
delle fonti, il gioco dei prestiti e dei debiti fra fonti originarie, rielaborazioni, traduzioni, ritorni; è
anche un dramma significativo per la storia politica del melodramma ottocentesco dal momento che
fu al centro di una vicenda di censura assai importante. La fonte principale è il Polyeucte martyre di
Corneille (1641) basato su due temi: l’amore e le dinamiche del potere; contrasto tra sentimenti e
ambizione, tra la ragione del cuore e la ragione politica, con un trionfo finale di buoni sentimenti e
con un orrore che viene edulcorato, come conviene alla tragedia classica. → questo soggetto era
molto diffuso in Italia e in particolare a Napoli. Il testo di Cammarano è diverso dalla fonte
francese. l’intreccio è rispettato, ma muta profondamente la caratterizzazione dei personaggi e la
centralità dei motivi. TRAMA: la vicenda è ambientata a Mitilene, capitale dell’Armenia, nel 257
d.C. e racconta un doppio intreccio→ Paolina, innamorata di Severo condottiero romano creduto
morto, convinta dal padre, sposa Poliuto, un nobile del luogo e rimane a lui fedele anche quando
Severo giunge a Mitilene, inviato da Roma per perseguitare i cristiani. A questa azione si intreccia
quella della conversione di Poliuto al cristianesimo e del suo battesimo, seguito dall’arresto e dalla
condanna al martirio, al quale si vota anche Paolina, convinta alla fine della fede del marito e
disposta a morire con lui. Attorno a questo intreccio si costruisce un dramma basato
sull’istituzionalizzazione del sacrificio e del martirio, sulla devozione assoluta a una passione, a un
progetto. Le passioni sono isolate nella loro intensità, assunte brutalmente senza alcun tentativo di
ingabbiarle in un sistema, in un ordine. Nel 1838 l’opera fu censurata con l’intervento diretto di
Ferdinando di Borbone, che rifiutava che in un’opera si parlasse di argomenti sacri. Non fu una

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censura politica,ma morale. Nemmeno la proposta di trasferire la vicenda in India e trasformare i


cristiani in seguaci di Zoroastro riuscì a salvare l’opera dalla censura. Quello che spaventò il potere
fu la figura dell’eroe pronto a fare di tutto, disposto al sacrificio estremo. Il dramma fu, allora,
esportato in Francia e fu adattato con il titolo Les Martyrs → le scene e i dialoghi sono molto
diversi, nella versione francese ci sono molti colpi di scena, verbosità, apparati scenici grandiosi, e
l’intreccio si sofferma di più sulla lotta dei romani contro i cristiani e sugli intrighi di potere. In
Italia il dramma fu rappresentato solo nel 1848 al San Caro di Napoli, in un momento in cui veniva
meno la censura.

Drammi di argomento storico moderno. È strano che testi come L’assedio di Calais e Il Proscritto
siano sfuggiti alla censura→ strategico spostamento nel tempo e nello spazio delle vicende da
raccontare, ma le dinamiche politiche rinviano a un tipo di patriota e di cittadino devoto alla causa
che nel contesto risorgimentale non potevano lasciare spazio a interpretazioni ambigue.

1) Assedio di Calais → ispirato ad un evento storico del 1347, ci cono due eroi protagonisti: un
anziano e un giovane. Il giovane, il figlio di Eustachio, Aurelio, vive intensamente e tragicamente il
contrasto delle passioni, l’assurdità di una legge di morte e distruzione che si contrappone agli
affetti e alla tenerezza familiare; decide di sacrificare la propria vita per salvare la città. l’eroismo
dei sei cittadini, tra cui Eustachio, pronti a morire per la città, è accompagnato dalla partecipazione
dolente di tutta la popolazione e suscita la commozione della stessa regina inglese che supplica re
Edoardo di perdonare e salvare la vita agli eroi: il lieto fine celebra il perdono e la pietà, che si
conciliano con virtù e onore. L’ ideale patrio si carica di una nota di umanità e non è appannaggio
solo degli eroi inflessibili, ma di un intero popolo, un patriottismo popolare che sostituisce gli eroi
integerrimi.

2) Il Proscritto → racconta la vicenda dei napoleonici costretti alla fuga dopo i Cento giorni,
sottoposti alle vendette della reazione realista. Libretto scritto nel 1842, la vicenda viene trasferita
nella prima metà del XVII secolo → la vicenda si svolge ad Edimburgo ai tempi di Cromwell. Il
martire perseguitato diventa, in questo dramma, unta figura più familiare agli spettatori: quella del
proscritto e del perseguitato politico, tratteggiato con le stesse caratteristiche del martire. Si impone
la forza delle passioni che combattono contro il destino: il tema centrale della lotta politica,
antitirannica è un pretesto per mostrare la lotta dell’uomo contro il destino, l’impeto della forza di
volontà, lo scontro tra passioni intense e totalizzanti. Il destino dei protagonisti si gioca anche nella
dimensione interiore, nell’impossibile conciliazione tra forze e volontà opposte. Nelle scene finali
Giorgio e Arturo, il marito e il nuovo innamorato di Malvina si trovano di fronte l’uno all’altro e si
sfidano a duello, prima dell’arrivo della donna che sta morendo per aver assunto del veleno; è lo
scontro di sue forti personalità votate fino alla morte al rispetto degli ideali in cui credono. La
produzione risorgimentale di Cammarano si avvale di tipi eroici diversi che contribuiscono a creare
una sensibilità risorgimentale, fatta di spirito e sacrificio, di martirio. Ci troviamo di fronte a un
teatro che mette in scena l’immersione dell’uomo nella storia e la lotta contro il destino, al quale
l’eroe contrappone l’intensità delle passioni e l’impegno per la sorte collettiva. I tipi letterari sono
caratterizzati da un’energia positiva e da una sorta d’accettazione tragica del proprio destino
purificato solo dalla morte e dal supplizio. La questione del rapporto tra melodramma e lotte
politiche rimane aperta. Il contributo di Cammarano è innegabile, per il livello allusivo di alcuni
testi e per l’utilizzo di argomenti di cronaca contemporanea. Originale è la sua capacità di
rielaborare autonomamente le fonti, tra tradizione e modernità, è notevole la sua abilità a percepire
gli umori del tempo e ad adeguare la sua scrittura agli eventi, captando il richiamo di una storia che
si configura ormai nettamente come storia nazionale.

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13.FRANCESCO MARIA PIAVE SCRITTORE E LIBRETTISTA

1. La coscienza autoriale.

La vicenda di Piave sposta su Venezia la tipologia di letterato del pieno ‘800. Appartiene ad una
famiglia di vetrai, compie gli studi prima a Murano e poi a Venezia; nel 1827 segue il padre a
Pesaro e poi a Roma, da dove ritorna in patria nell’estate del 1838; di li a poco entra in contato con
il teatro La Fenice e incomincia la carriera di librettista. Nei primi anni della formazione svolge
lavori diversi. Gli anni del soggiorno romano sono per lo scrittore di grande importanza per la sua
futura carriera di librettista. Nei sette anni a Roma diventa membro dell’Accademia Tiberina, entra
a far parte di un circolo di amici tra i quali spiccano Jacopo Ferretti e Giuseppe Gioacchino Belli.
nell’epistolario Belli-Ferretti, Piave è spesso nominato. L’ ambiente culturale che Piave frequenta a
Roma favorisce l’avvicinamento del veneziano al teatro per musica. La centralità di tale esperienza
nel curriculum di Piave è rafforzata dal ruolo strategico che l’attività teatrale e melodrammatica
hanno a Roma in questi anni; vita accademica e teatrale dialogano tra loro e il teatro interpreta e
registra le tensioni culturali e politiche di questi anni. Anche l’Accademia Tiberina ingloba figure
dal profilo irregolare, pur in un contesto di rigido controllo e di censura. Al 1837 risale una lettera
indirizzata a Piave dalla poetessa parmense Adele Curti, musa di Vincenzo Bellini→ nella lettera è
delineato l’ambiente romano e sono citati vari amici comuni e letterati di Parma e di Reggio Emilia.
Il 19 giugno 1837 lo scrittore, in procinto di lasciare Roma temporaneamente declama
all’Accademia Tiberina i versi dell’Addio a Roma. Il motivo consueto del passaggio dai fasti di
Roma imperiale al prestigio di Roma papale è declinato con uno sguardo all’attualità, in cui il ruolo
di Roma ha una valenza esclusivamente culturale. Piave torna a Venezia nel 1838, ricomincia a
lavorare nella tipografia Antonelli dove svolge il lavoro di correttore di stampe, con l’ambizione di
migliorare la sua condizione→ di li a poco promozione ad autore del Compendio di storia del
Cristianesimo dell’abate di Berault Bercastel + collaborazione dal 1840 con la “Gazzetta
privilegiata di Venezia”. In questi anni Piave avvia la scrittura del suo primo libretto: Don Marzio
nel 1841. Tra il 1836 (ancora a Roma) e il 1845 Piave pubblica regolarmente versi nella rivista
“L’Ape”, che esce annualmente. La serie è inaugurata dalla canzone inedita A Clori che appare nel
numero del 1836 e che declina in modo convenzionale il tema amoroso. La produzione giovanile di
Piave: ripresa di modalità accademiche, che costituiscono una sorta di linguaggio standard,
declinato in chiave patetico-sentimentale, con affondi nell’ambito della produzione veneziana, e con
la presenza di influssi metastasiani, consueti nel linguaggio del tempo. l’attività di librettista di
Piave è accompagnata da un’indubbia coscienza editoriale. 2. Prefazioni e interventi autobiografici.
L’ inizio della carriera da librettista di Piave è controverso; ben tre volte in quelli che dovrebbero
essere i primi tre libretti, Piave ripete, con una forzata modestia, che si tratta della prima opera da
lui composta. Il Don Marzio dovrebbe essere la prima opera da lui composta nel 1841. Se Don
Marzio è il primo libretto scritto, l’Ernani potrebbe essere la prima opera effettivamente
rappresentata e anche qui Piave sottolinea il fatto che per lui si tratta di un’iniziazione. Primo lavoro
il Don Marzio, ma primo lavoro, secondo Piave, anche l’Onore Castigliano, infine sarebbe
un’iniziazione anche la conclusione del libretto Duca d’Alba. Nei testi autobiografici è interessante
vedere come Piave riflette sulla sua storia a uno stadio maturo della carriera, dopo più di un
decennio di grandi successi all’ombra di Verdi. Nella nota autobiografica scritta in terza persona,
con data 17 luglio 1853, su invito dell’erudito veneziano Emanuele Antonio Cicogna, Piave si
rappresentava non come un poeta per musica, ma come un letterato a tutto tondo, diviso tra valori
eruditi e commerciali, versificazione popolareggiante e librettistica. Nel suo autoritratto il lavoro da
librettista non riveste un posto privilegiato; Piave intende ricostruire un profilo di sé letterato
polivalente, attivo su più fronti, in grado di acquistare la popolarità anche con i versi in dialetto.

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