Sei sulla pagina 1di 358

A mia madre, Francesca

INDICE

Prefazione di Dawson Church . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4


Prefazione: Risvegliarsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Introduzione: L’importanza della mente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

Parte Prima: Informazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31


Capitolo 1: È possibile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
Capitolo 2: Cenni storici sul placebo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Capitolo 3: L’effetto placebo nel cervello . . . . . . . . . . . . . . . 82
Capitolo 4: L’effetto placebo nel corpo . . . . . . . . . . . . . . . . 112
Capitolo 5: Come i pensieri cambiano il cervello e il corpo 138
Capitolo 6: Suggestionabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
Capitolo 7: Atteggiamenti, convinzioni e percezioni . . . . . 189
Capitolo 8: La mente quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
Capitolo 9: Tre storie di trasformazione personale . . . . . . . 233
Capitolo 10: Dalla conoscenza alla trasformazione:
la prova che il placebo sei tu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265

Parte Seconda: Trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295


Capitolo 11: Preparati alla meditazione . . . . . . . . . . . . . . . 296
Capitolo 12: La meditazione per cambiare credenze
e percezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311

Conclusione: Diventare soprannaturali . . . . . . . . . . . . 323


Postfazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 328
L’autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331

3
P R E FA Z I O N E

di Dawson Church

Come la maggior parte dei suoi fan, attendo le riflessioni provo-


catorie di Joe Dispenza con piacere e impazienza. Combinando
valide prove scientifiche con intuizioni stimolanti, Joe allarga gli
orizzonti del possibile estendendo i confini di ciò che conosciamo.
Prende la scienza più seriamente della maggior parte degli scienziati
e, in questo libro affascinante, porta alla loro logica conclusione
le più recenti scoperte nel campo dell’epigenetica, della plasticità
neurale e della psiconeuroimmunologia.
Si tratta di una conclusione straordinaria: ogni essere umano pla-
sma il proprio cervello e il proprio corpo attraverso i pensieri che
formula, le emozioni che prova, le intenzioni che ha e gli stati tra-
scendentali che sperimenta. Placebo Effect ti invita a sfruttare que-
sto concetto per creare un nuovo corpo e una nuova vita.
Non si tratta di un’impresa sovrannaturale. Joe chiarisce tutti i nessi
della catena di causalità che parte da un pensiero e si conclude con
un fatto biologico, come l’aumento del numero di cellule staminali
o di molecole proteiche immunizzanti nel flusso sanguigno.
Il libro inizia con il racconto dell’incidente che gli provocò la frat-
tura di sei vertebre. All’improvviso, in extremis, dovette mettere in
pratica la sua teoria: il corpo possiede un’intelligenza innata, dotata
di un miracoloso potere di guarigione. La sua disciplina nel visua-
lizzare il processo di ricostruzione della colonna vertebrale è di per
sé un esempio di determinazione capace di ispirare tutti noi.
Siamo tutti colpiti da storie di remissione spontanea e guarigioni
“miracolose”, ma quello che Joe ci mostra in questo libro è che
ognuno di noi può sperimentare questi miracoli di guarigione. Il
rinnovamento è insito nella natura del corpo umano, mentre la
degenerazione e la malattia sono l’eccezione, non la norma.

4
Dopo aver capito come si rinnova il nostro corpo, possiamo ini-
ziare a sfruttare in modo intenzionale questi processi fisiologici,
governando gli ormoni che le cellule sintetizzano, le proteine che
costruiscono, i neurotrasmettitori che producono e i percorsi neu-
rali attraverso i quali inviano segnali. Anziché avere un’anatomia
statica, il nostro corpo è in perenne fermento e trasformazione,
attimo dopo attimo. I nostri cervelli sono molto attivi: creano e
distruggono un’infinità di connessioni neurali al secondo. Joe ci
insegna che possiamo guidare questo processo attraverso l’intenzio-
ne, assumendo il ruolo attivo del conducente del veicolo, anziché
quello passivo del passeggero.
La scoperta che il numero di connessioni in un fascio neurale può
raddoppiare, se sottoposto a ripetuta stimolazione, ha rivoluzio-
nato la biologia negli anni Novanta, tanto che il suo scopritore, il
neuropsichiatra Eric Kandel, ha vinto il premio Nobel. In seguito,
Kandel ha scoperto che, se non vengono usate, le connessioni neu-
rali cominciano a ridursi in appena tre settimane. In questo modo,
possiamo rimodellare il cervello tramite i segnali che veicoliamo
attraverso la rete neurale.
Nello stesso decennio in cui Kandel e altri misuravano la neuropla-
sticità, altri scienziati scoprirono che tra i nostri geni, solo pochi
sono statici. La maggior parte (le stime variano dal 75 all’85 per
cento) viene disattivata e attivata da segnali provenienti dall’am-
biente, compreso quello costituito dai pensieri, dalle convinzioni e
dalle emozioni che coltiviamo nel cervello. Una particolare classe
di questi geni, i geni primari rapidi (IEG), impiega solo tre secondi
per raggiungere il picco dell’espressione. Gli IEG spesso sono geni
regolatori, che controllano l’espressione di centinaia di altri geni e
di migliaia di altre proteine in punti remoti del corpo. Questo tipo
di cambiamento rapido e pervasivo offre una spiegazione plausibile
ad alcune delle guarigioni radicali riportate in queste pagine.
Joe è uno dei pochi scrittori scientifici a cogliere appieno il ruolo
delle emozioni nel processo di trasformazione. Le emozioni negati-
ve possono provocare alti livelli di ormoni dello stress, come il cor-
tisolo e l’adrenalina, causando una vera e propria dipendenza. Sia
gli ormoni dello stress sia quelli del benessere, come il DHEA (dei-

5
droepiandrosterone) e l’ossitocina, hanno dei valori di riferimento,
il che spiega come mai ci sentiamo a disagio quando formuliamo
pensieri o convinzioni che spingono il nostro equilibrio ormonale
al di fuori della zona di comfort. Questo concetto è l’ultima fron-
tiera della comprensione scientifica delle dipendenze e delle voglie.
Cambiando stato d’animo, possiamo modificare la realtà esterna.
Joe spiega benissimo la catena di eventi innescata da intenzioni che
hanno origine nel lobo frontale del cervello e che poi si trasformano
in messaggeri chimici, chiamati neuropeptidi, che inviano segnali
in tutto il corpo, attivando e disattivando gli interruttori genetici.
Alcune di queste sostanze chimiche, come l’ossitocina, “l’ormone
delle coccole” che viene stimolato con il tatto, sono associate a sen-
timenti di amore e fiducia. Con la pratica, puoi imparare a modi-
ficare rapidamente i valori limite di riferimento degli ormoni dello
stress e di quelli della guarigione.
Di primo acchito, l’idea che possiamo guarire noi stessi semplice-
mente traducendo i pensieri in emozioni può sembrare incredibile.
Nemmeno Joe si aspettava i risultati che ha riscontrato nei par-
tecipanti ai suoi seminari, quando queste idee venivano applicate
alla perfezione: remissione spontanea di tumori, pazienti costretti
su una sedia a rotelle che ricominciavano a camminare ed emicra-
nie che scomparivano. Con la gioia sincera e l’apertura mentale di
un bambino che sperimenta un nuovo gioco, Joe ha cominciato a
spingersi oltre, chiedendosi quanto sarebbe stata rapida la guarigio-
ne radicale se la gente avesse applicato l’effetto placebo del corpo
con assoluta convinzione. Perciò, il titolo Placebo Effect riflette il
fatto che sono i tuoi pensieri, le tue emozioni e le tue convinzioni a
generare catene di eventi fisiologici all’interno del tuo corpo.
Alcuni passaggi del libro potrebbero indisporti, ma continua a leg-
gere. Se provi disagio è solo perché il tuo vecchio io si oppone all’i-
nevitabile cambiamento trasformativo e i valori ormonali di riferi-
mento vengono smossi. Joe ci assicura che la sensazione di disagio è
spesso l’effetto biologico del dissolvimento del vecchio io.
La maggior parte di noi non ha il tempo o la voglia di studiare
questi processi biologici complessi. Ed è proprio in questo caso
che il libro diventa indispensabile: Joe scava in profondità nella
6
scienza che sta dietro a questi cambiamenti per presentarli in modo
comprensibile e facile da assimilare. Ci illustra i retroscena con
spiegazioni semplici ed eleganti. Utilizzando analogie e casistiche,
dimostra esattamente come possiamo applicare queste scoperte alla
vita quotidiana, e illustra i clamorosi miglioramenti di salute che
sperimenta chi li prende sul serio.
Una nuova generazione di ricercatori ha coniato un termine per
la pratica delineata da Joe: neuroplasticità autodiretta. L’idea alla
base del termine è che siamo noi a guidare la formazione di nuovi
percorsi neurali e la distruzione di quelli vecchi attraverso la qualità
delle esperienze che viviamo. Credo che la neuroplasticità autodi-
retta diventerà uno dei concetti più potenti nella trasformazione
personale e nella neurobiologia della prossima generazione, e que-
sto libro è un precursore di tale movimento.
Nella Parte II di questo libro, i principi metafisici si concretizzano
negli esercizi di meditazione. Puoi svolgerli da solo, sperimentando
personalmente l’ampliamento delle possibilità a tua disposizione
quando agisci da placebo per te stesso. L’obiettivo è cambiare a
livello biologico le tue convinzioni e percezioni riguardo alla vita,
affinché tu giunga ad amare un nuovo futuro e a renderlo material-
mente e concretamente esistente.
Perciò comincia questo viaggio affascinante che amplierà gli oriz-
zonti delle tue possibilità e ti incoraggerà a scegliere un livello di
guarigione molto più elevato. Non hai nulla da perdere se ti lanci
con entusiasmo nel processo e ti sbarazzi dei pensieri, dei sentimen-
ti e dei valori biologici che finora ti hanno limitato. Se credi nella
capacità di realizzare il tuo massimo potenziale e di agire in modo
ispirato, diventerai il placebo che crea un futuro felice e sano per te
e per il nostro Pianeta.

Dawson Church.
Autore di Medicina epigenetica.
Felicità e salute attraverso la trasformazione consapevole del DNA.

7
P R E FA Z I O N E

Risvegliarsi

Nulla di ciò che è successo era nei miei progetti. In un certo senso,
è stato il lavoro che svolgo attualmente in qualità di relatore, autore
e ricercatore a venirmi a cercare. Alcuni di noi hanno bisogno di
un campanello d’allarme per svegliarsi. Io l’ho sentito suonare nel
1986. In una bella giornata di aprile nel sud della California, ho
avuto il privilegio di essere investito da un SUV durante una gara
di triathlon a Palm Springs. Quel momento ha cambiato la mia
vita e mi ha fatto intraprendere questo viaggio. Avevo ventitré anni
all’epoca, svolgevo da poco l’attività di chiropratico a La Jolla, in
California, e mi ero allenato per mesi per quel triathlon.
Avevo concluso il segmento di nuoto ed ero impegnato in quel-
lo del ciclismo quando è successo l’incidente. Stavo per arrivare
a una curva difficile, dove sapevo che ci saremmo immessi nel
traffico. Un agente di polizia, con la schiena rivolta alle vetture
in avvicinamento, mi fece cenno di girare a destra e di seguire il
percorso. Dato che ero molto affaticato e concentrato sulla gara,
non gli staccai mai gli occhi di dosso. Mentre superavo due ci-
clisti in prossimità di quella curva, un Bronco rosso a trazione
integrale che sfiorava i novanta chilometri orari urtò la mia bi-
cicletta da dietro. Fui catapultato in aria e atterrai bruscamente
sulla schiena. A causa della velocità del veicolo e dei riflessi lenti
della donna anziana che lo guidava, il SUV continuò ad avanzare
verso di me, ed ebbi un incontro ravvicinato col paraurti. Mi ci
aggrappai, per evitare di essere travolto e per impedire al mio cor-
po di finire incastrato tra la lamiera e l’asfalto. Così fui trascinato
lungo la strada per un po’ prima che la conducente si rendesse
conto di cosa stava accadendo. Quando finalmente capì e frenò di
colpo, iniziai a ruzzolare senza controllo per una ventina di metri.
Ricordo ancora il rumore delle biciclette che mi sfrecciavano ac-
canto insieme alle urla atterrite e alle imprecazioni dei ciclisti che
mi superavano, incerti se fermarsi per prestare aiuto o proseguire

8
la gara. Mentre giacevo a terra, l’unica cosa che riuscii a fare fu
arrendermi.
Poco dopo scoprii di avere sei vertebre rotte: avevo fratture da com-
pressione all’ottava, nona, decima, undicesima e dodicesima verte-
bra dorsale e alla prima lombare (in pratica dalle scapole alle reni).
Le vertebre sono impilate nella spina dorsale una sopra l’altra come
singoli blocchi e le mie, quando sono atterrato con quella violenza,
sono collassate e si sono compresse per l’impatto. L’ottava vertebra
dorsale, il segmento più alto tra quelli fratturati, era collassata per
oltre il 60 per cento, e l’arco circolare che conteneva e proteggeva
il midollo spinale era rotto in più pezzi che, ricomposti, assomi-
gliavano a un brezel. Quando una vertebra si schiaccia o si rompe,
i frammenti di osso si disperdono. Nel mio caso, molti frammenti
si erano addossati alla spina dorsale. Non era certo un bel quadro.
Come nel peggior incubo, la mattina seguente mi svegliai con nu-
merosi sintomi neurologici: dolore diffuso, vari gradi di intorpi-
dimento, formicolio e perdita parziale della sensibilità alle gambe,
oltre a una preoccupante difficoltà nel controllare i movimenti.
Fui sottoposto a esami del sangue, radiografie, TAC e risonanze
magnetiche. Al termine di tutti gli accertamenti, il chirurgo orto-
pedico mi mostrò i risultati e mi comunicò la triste notizia: al fine
di contenere i frammenti ossei che si trovavano nel midollo spinale,
era necessario un intervento chirurgico per impiantare una barra di
Harrington. Avrebbero rimosso le parti posteriori delle vertebre da
due/tre segmenti sopra e sotto le fratture, e poi avrebbero avvita-
to e fissato due aste di acciaio inossidabile lunghe una trentina di
centimetri su entrambi i lati della colonna vertebrale. Dopodiché,
avrebbero prelevato alcuni frammenti ossei dall’anca e li avrebbero
applicati alle aste. L’intervento era invasivo, ma mi avrebbe per-
messo di tornare a camminare. Malgrado ciò, sapevo che in ogni
caso avrei sofferto di una qualche forma di disabilità, e avrei dovuto
sopportare il dolore cronico per il resto della mia vita. Inutile dire
che questa prospettiva non mi piaceva per niente.
Eppure se avessi deciso di non sottopormi all’intervento, la paralisi
sembrava certa. Il miglior neurologo nella zona di Palm Springs,
che concordava con il parere del primo chirurgo, mi disse che in
9
tutti gli Stati Uniti nessun altro paziente nelle mie condizioni aveva
mai rifiutato l’intervento. L’impatto dell’incidente aveva compresso
l’ottava vertebra dorsale (D8), conferendole un aspetto cuneiforme
che avrebbe impedito alla spina dorsale di reggere il peso del corpo:
se mi fossi alzato in piedi, la colonna vertebrale sarebbe collassa-
ta, spingendo i frammenti ossei nel midollo spinale e causando la
paralisi immediata dal petto in giù. Anche questa prospettiva era
tutt’altro che entusiasmante.
Venni trasferito in un ospedale di La Jolla, più vicino a casa mia,
dove sentii altri due pareri, compreso quello del migliore chirur-
go ortopedico del sud della California. Naturalmente, entrambi i
medici concordavano sulla necessità di applicare la barra di Har-
rington. La prognosi era unanime: fare l’intervento chirurgico o
rimanere paralizzato, condannato a non camminare mai più. Se
fossi stato il medico che consigliava l’intervento, avrei detto la stes-
sa cosa: era la soluzione più sicura. Ma non era la decisione giusta
per me.
Forse in quel momento della mia vita ero solo giovane e audace,
ma andai contro i consigli del medico e le raccomandazioni degli
esperti. Credo che esista un’intelligenza, una consapevolezza invisi-
bile, all’interno di ognuno di noi che ci dona la vita sostenendoci,
preservandoci, proteggendoci e guarendoci in ogni momento. Essa
crea quasi cento trilioni di cellule specializzate (a partire da due
cellule soltanto), fa battere il cuore centinaia di migliaia di volte
al giorno e, tra molte altre incredibili funzioni, organizza tantissi-
me reazioni chimiche al secondo in ogni singola cellula. All’epoca,
pensai che se questa intelligenza era reale e manifestava le sue abilità
sorprendenti in maniera così deliberata, consapevole e amorevole,
forse avrei potuto distogliere la mia attenzione dal mondo esterno
e rivolgerla dentro di me, per connettermi con essa.
Ma se a livello intellettuale avevo capito che il corpo spesso è ca-
pace di autoguarirsi, ora dovevo mettere in pratica quei concetti
filosofici per portare la mia teoria al livello successivo e svilupparla
ulteriormente per vivere una vera esperienza di guarigione. Sicco-
me non potevo andare da nessuna parte, e non facevo altro che
stare sdraiato a pancia in giù, presi due decisioni. In primo luogo,

10
ogni giorno avrei concentrato tutta la mia attenzione cosciente su
questa intelligenza interiore, le avrei dato un piano, un modello,
una visione generale, le avrei impartito ordini ben precisi, e poi
avrei affidato la mia guarigione a questa mente superiore dotata di
un potere illimitato, permettendole di guarirmi. In secondo luogo,
non avrei consentito a pensieri indesiderati di insinuarsi nella mia
consapevolezza. Sembra facile, vero?

UNA DECISIONE RADICALE


Contro il consiglio della mia équipe medica, lasciai l’ospedale
con un’ambulanza che mi portò a casa di due cari amici, dove
restai per i successivi tre mesi. In quel periodo mi concentrai
soltanto sulla mia guarigione. Avevo una missione da compie-
re. Decisi che avrei cominciato ogni giornata dedicandomi alla
ricostruzione della mia spina dorsale, vertebra dopo vertebra
e, se quella consapevolezza interiore avesse prestato attenzione
ai miei sforzi, le avrei mostrato ciò che desideravo. Sapevo che
era necessaria la mia presenza assoluta… dovevo cioè stare nel
presente; senza rimpiangere il passato o preoccuparmi del fu-
turo, senza lasciarmi ossessionare dalle circostanze esterne della
mia vita o concentrarmi sul dolore o sui sintomi che accusavo.
Proprio come succede in qualsiasi relazione: ci rendiamo conto
se l’altro è presente o meno, giusto? Poiché coscienza significa
consapevolezza, consapevolezza significa prestare attenzione e
prestare attenzione significa essere presenti e all’erta, questa co-
scienza interiore avrebbe notato quando ero presente e quando
non lo ero. Avevo intenzione di essere del tutto presente quando
interagivo con quell’intelligenza; la mia presenza avrebbe dovuto
corrispondere alla sua presenza, la mia volontà avrebbe dovuto
corrispondere alla sua volontà e la mia mente avrebbe dovuto
corrispondere alla sua mente.
Così, per due ore, due volte al giorno, entravo dentro di me e co-
minciavo a creare un’immagine del risultato che volevo ottenere:
una spina dorsale completamente guarita. Ovviamente, mi resi su-
bito conto di quanto fossi inconsapevole e non focalizzato. È buffo.
In quel momento capii che di fronte a un trauma o a un momento

11
critico, sprechiamo troppa attenzione ed energia a pensare a ciò che
non vogliamo anziché a ciò che vogliamo. In quelle prime settima-
ne, anch’io avevo avuto questa tendenza, ogni singolo istante.
Mentre ero nel bel mezzo delle mie meditazioni, impegnato a crea-
re la vita che volevo con una spina dorsale completamente guarita,
mi accorgevo all’improvviso che a livello inconscio stavo pensando
a quello che mi avevano detto i medici un paio di settimane pri-
ma: che probabilmente non avrei mai più camminato. Un attimo
prima ero immerso nella ricostruzione mentale della mia colonna
vertebrale, e quello dopo ero in preda all’ansia perché non sapevo
se mettere in vendita o meno il mio studio di chiropratico. Per darti
un’idea, mentre provavo mentalmente a ricominciare a camminare
poco per volta, mi sorprendevo a immaginare come sarebbe stato il
resto della mia vita bloccato su una sedia a rotelle.
Ogni volta che mi deconcentravo e la mente vagava su pensieri
non pertinenti, ricominciavo da capo e ricreavo di nuovo l’intera
sequenza di immagini mentali. Era un processo noioso, frustrante
e, in tutta franchezza, una delle cose più difficili che avessi mai
fatto. Ma sapevo che l’immagine finale che volevo mostrare al mio
osservatore interiore doveva essere chiara, non inquinata e priva di
interruzioni. Affinché questa intelligenza realizzasse ciò che speravo
fosse capace di fare (e io ne ero certo), dovevo rimanere cosciente
dall’inizio alla fine, senza mai perdere consapevolezza.
Finalmente, dopo sei settimane di lotta con me stesso e di sforzi per
essere presente a questa coscienza, riuscii a completare il processo
di ricostruzione interiore senza dovermi fermare e ricominciare da
capo. Ricordo il giorno in cui lo feci per la prima volta: fu come col-
pire una pallina da tennis nel punto giusto. C’era qualcosa di esatto
in tutto ciò. Aveva fatto centro. Io avevo fatto centro. E mi sentii
completo, soddisfatto e integro. Per la prima volta, ero veramente
rilassato e presente: nella mente e nel corpo. Nessun chiacchieric-
cio, nessuna analisi, nessun pensiero, nessuna ossessione, nessuno
sforzo attraversava la mente; qualcosa andò via, lasciando il posto a
una sorta di pace e di silenzio. Era come se non mi importasse più
nulla di tutte le questioni di cui avrei dovuto preoccuparmi riguar-
do al passato e al futuro.

12
Questa consapevolezza consolidò il mio intento: da allora, creare la
visione di ciò che volevo, e cioè ricostruire le mie vertebre, divenne
ogni giorno più facile. Soprattutto, iniziai a notare alcuni cambia-
menti fisiologici piuttosto significativi. Fu in quel momento che
cominciai a mettere in relazione quello che stavo facendo dentro di
me per realizzare il cambiamento desiderato, e quello che avveniva
fuori, nel mio corpo. Non appena mi accorsi di questa correlazione,
iniziai a prestare più attenzione alle mie azioni, mettendoci sempre
più convinzione. Di conseguenza, presi a impegnarmi con gioia e
ispirazione, non più con penosi sforzi e scarsa convinzione. Tutto
a un tratto, riuscivo a portare a termine in breve tempo quello che
prima richiedeva una sessione di due o tre ore.
Avevo parecchio tempo a disposizione, perciò iniziai a immaginare
come sarebbe stato ammirare ancora un tramonto in riva al mare
o pranzare con gli amici seduto al tavolo di un ristorante, e decisi
che non avrei mai più dato per scontato queste cose. In particolare,
immaginavo di fare la doccia e di sentire l’acqua scivolare sul mio
viso e sul mio corpo, di stare seduto dritto sul wc o di fare una pas-
seggiata sulla spiaggia di San Diego, con il vento tra i capelli. Tutte
queste cose, che non avevo mai apprezzato fino in fondo prima
dell’incidente, ora erano importanti; mi presi il tempo per abbrac-
ciarle emotivamente, fino ad avere la sensazione che fossero reali.
All’epoca, non sapevo ancora cosa stessi facendo, ma ora lo so: sta-
vo cominciando a pensare a tutte le potenzialità future che esiste-
vano nel campo quantico, per poi abbracciarle una a una a livello
emotivo. Mentre sceglievo di sposare questo futuro intenzionale
e provavo una forte emozione al pensiero di come sarebbe stato
viverlo, nel momento presente il mio corpo cominciava a credere
di essere davvero all’interno di quell’esperienza futura. Man mano
che la mia capacità di osservare il destino che desideravo si affinava
sempre più, le mie cellule cominciavano a riorganizzarsi. Iniziai ad
attivare nuovi geni in modi diversi, e il mio corpo cominciò davve-
ro a evidenziare rapidi miglioramenti.
Stavo imparando uno dei principi fondamentali della fisica quan-
tistica: mente e materia non sono elementi separati; i nostri pen-
sieri e sentimenti, consapevoli o meno, sono il tracciato che guida

13
il nostro destino. All’interno della mente umana e di quella del
campo quantico dalle infinite potenzialità, risiede la capacità di
manifestare qualsiasi futuro possibile attraverso la perseveranza, la
convinzione e la concentrazione. Entrambe queste menti devono
lavorare insieme per generare una realtà futura che potenzialmente
esiste già. Mi resi conto che in questo modo siamo tutti creatori
divini, indipendentemente dall’etnia, dal sesso, dalla cultura, dalla
posizione sociale, dall’istruzione, dalle credenze religiose e anche
dagli errori che abbiamo commesso in passato. Per la prima volta
nella mia vita, mi sono sentito in estasi.
Presi altre decisioni importanti per la mia guarigione. Elaborai uno
stile di vita (descritto in dettaglio in Evolvi il tuo cervello) che pre-
vedeva una certa alimentazione, visite da amici che praticavano la
guarigione energetica e un complesso programma di riabilitazione.
Ma in quel periodo nulla era più importante per me che entrare in
contatto con quell’intelligenza interiore e servirmene per guarire il
corpo. Nove settimane e mezzo dopo l’incidente, mi sono alzato,
ho ripreso a camminare e sono tornato alla mia vita, senza ingessa-
ture o interventi chirurgici. Dopo dieci settimane, ho ricominciato
a ricevere i pazienti e, dopo dodici settimane, ho ripreso ad alle-
narmi e a sollevare pesi, pur continuando la riabilitazione. Ora, a
quasi trent’anni dall’incidente, posso dire in tutta onestà che non
ho quasi mai sofferto di mal di schiena da allora.

LA RICERCA INIZIA SUL SERIO


Ma l’avventura non era ancora finita. Non c’era da stupirsi se non
riuscivo a tornare alla mia vita di prima nei panni del mio vecchio
io. Ero molto cambiato. Ero entrato in contatto con una realtà che
nessuno di mia conoscenza era in grado di capire davvero. Non
riuscivo più a rapportarmi con molti dei miei amici, e di certo
non potevo tornare alla vita di sempre. Le cose che prima erano
importanti, ora non contavano più, e cominciai a pormi grossi
interrogativi come: “Chi sono?”, “Qual è il significato della mia
vita?”, “Cosa ci faccio qui?”, “Qual è il mio scopo?” e “Cos’è o chi
è Dio?”. Poco tempo dopo, lasciai San Diego e mi trasferii sulla
costa nord-occidentale del Pacifico, dove finii per aprire una clinica

14
chiropratica nei pressi di Olympia, Washington. Ma per un certo
periodo, mi ritirai dal mondo e studiai la spiritualità.
Con il passare del tempo, sviluppai un forte interesse per le remis-
sioni spontanee, che si verificano quando le persone guariscono
da gravi malattie in fase terminale o da patologie croniche senza
ricorrere alla medicina tradizionale, cioè alla chirurgia o ai farmaci.
In quelle lunghe notti insonni e solitarie durante la convalescenza,
avevo stretto un patto con quella coscienza interiore: se mai fossi
tornato a camminare, avrei dedicato il resto della mia vita ad ana-
lizzare e indagare la connessione tra corpo e mente, soffermandomi
sull’idea che la mente prevale sulla materia. E questo è più o meno
quello che continuo a fare da trent’anni a questa parte.
Ho soggiornato in diversi paesi e ho incontrato persone malate che
si erano curate sia in modo convenzionale sia non convenzionale
senza ottenere alcun miglioramento, o addirittura riportando un
aggravamento delle condizioni, ma che poi all’improvviso sono
guarite. Le ho intervistate per scoprire cosa avessero in comune le
loro esperienze, con l’intento di capire e documentare il motivo del
loro miglioramento, spinto dal desiderio di coniugare la scienza
con la spiritualità. Ho scoperto così che in tutte queste guarigioni
miracolose la mente ha giocato un ruolo molto importante.
Una simile scoperta ha solleticato lo scienziato che è in me, facen-
domi diventare ancora più curioso. Ho ricominciato a frequentare
corsi universitari e a studiare le ultime novità nel campo della neu-
roscienza, finché non mi sono specializzato in scansioni cerebrali,
neuroplasticità, epigenetica e psiconeuroimmunologia. Ora sapevo
cosa avevano fatto queste persone per guarire ed ero diventato un
esperto di scienza della trasformazione mentale (o almeno credevo
di esserlo), perciò pensavo di poter riprodurre questo meccanismo,
sia in persone malate sia in soggetti sani desiderosi di realizzare
cambiamenti positivi non solo nel campo della salute, ma anche
nelle relazioni, nel lavoro, nella famiglia e nella vita in generale.
Con quattordici scienziati e ricercatori ho partecipato al documen-
tario Bleep: ma che bip... sappiamo veramente?, che ha fatto molto
scalpore. Il documentario invitava lo spettatore a mettere in di-

15
scussione la natura della realtà e a vedere se il modo di osservarla si
materializzava nella realtà o, per essere più precisi, diventava realtà.
Tutto il mondo parlava del documentario e dei concetti in esso
proposti. Sulla scia di questo fenomeno, nel 2007 pubblicai il mio
primo libro Evolvi il tuo cervello: come uscire dal vecchio programma.
Quando il libro cominciò a diffondersi, la gente spesso mi chie-
deva: “Come si fa? Come si fa a cambiare e a creare la vita che
vogliamo?”. Ben presto, è diventata la domanda più frequente che
la gente mi rivolgeva.
Così, creai un mio staff personale e iniziai a tenere workshop in
tutti gli Stati Uniti e all’estero insegnando come funziona il cervel-
lo e come è possibile riprogrammare i pensieri attraverso principi
neurofisiologici. All’inizio, durante i seminari mi limitavo per lo
più a condividere le informazioni. Ma la gente mi chiedeva di più,
perciò aggiunsi delle meditazioni per creare sinergie e assimilare nel
profondo le informazioni acquisite. Inoltre, offrii ai partecipanti
metodi pratici per apportare cambiamenti a livello mentale e fisico
e, di conseguenza, nella loro vita. Dopo aver seguito i miei seminari
introduttivi in diverse parti del mondo, la gente iniziò a chiedermi:
“Qual è il prossimo passo?”. Allora, cominciai a proporre seminari
di livello superiore.
Così pensai di aver concluso il mio lavoro, di aver trasmesso tutto
ciò che potevo, ma la gente continuava a chiedere di più, perciò
seguitai a studiare, perfezionando le presentazioni e le meditazioni.
Una volta preso il via, arrivarono i primi risultati; la gente riusciva a
eliminare alcune abitudini autodistruttive e a condurre una vita più
felice. Anche se fino a quel momento io e i miei colleghi avevamo
osservato solo lievi cambiamenti (niente di veramente significati-
vo), le persone apprezzavano le informazioni ricevute e prosegui-
vano volentieri la pratica a casa. Perciò, continuai ad andare dove
mi invitavano. Pensavo che quando avessero smesso di farlo, avrei
capito che il mio lavoro era giunto al termine.
Circa un anno e mezzo dopo il primo seminario, io e il mio team
cominciammo a ricevere numerose e-mail da partecipanti che
avevano riscontrato cambiamenti positivi svolgendo le meditazio-
ni con regolarità. Nella loro vita si era manifestata un’ondata di

16
cambiamenti che li riempiva di gioia. I riscontri ricevuti nel corso
dell’anno successivo colpirono molto sia me sia i miei collaboratori.
I partecipanti ai seminari riferivano non solo cambiamenti sogget-
tivi nel loro stato di salute fisico, ma anche miglioramenti oggettivi
emersi dagli esami medici. In alcuni casi, i valori tornavano addi-
rittura normali! Queste persone erano in grado di riprodurre esatta-
mente i cambiamenti fisici, mentali ed emotivi che avevo studiato,
osservato e descritto in Evolvi il tuo cervello.
Fu incredibilmente eccitante assistere a tutto questo: sapevo che
ciò che è replicabile tende a diventare una legge scientifica. Le nu-
merose e-mail che ci venivano inviate cominciavano tutte con la
stessa formula: “Non ci crederai mai…”. Quei cambiamenti erano
qualcosa di più che una semplice coincidenza.
Poco dopo, in quello stesso anno, durante due eventi organizzati a
Seattle, cominciarono ad accadere cose incredibili. In occasione del
primo, una donna affetta da sclerosi multipla (SM), che era arrivata
con un deambulatore, iniziò a camminare senza aiuto prima della
fine dell’evento. Al secondo, un’altra, che soffriva di sclerosi mul-
tipla da dieci anni, si mise a ballare in mezzo alla sala, dichiarando
che la paralisi e il torpore al piede sinistro erano completamente
spariti. (Parlerò in modo più approfondito della storia di una di
queste donne, e di quelle di altre persone come loro, nei prossimi
capitoli). A grande richiesta, nel 2010 condussi un seminario anco-
ra più progressive in Colorado, e la gente cominciò a notare miglio-
ramenti proprio lì, all’evento. I partecipanti si alzavano, prendeva-
no il microfono e raccontavano storie entusiasmanti.
In quel periodo, inoltre, fui invitato a tenere conferenze per im-
prenditori sulla biologia del cambiamento, sulla neuroscienza del-
la leadership e su come trasformare gli individui per modificare
una cultura. Dopo un discorso programmatico, alcuni dirigenti mi
chiesero di adattare le idee a un modello di trasformazione azien-
dale. Così misi a punto un corso di otto ore personalizzabile per
aziende e organizzazioni; il successo fu tale da dare vita al program-
ma aziendale “30 Days to Genius” [Trenta giorni per diventare un
genio]. Mi sono ritrovato a lavorare con clienti come Sony Enter-
tainment Network, Gallo Family Vineyards, la società di teleco-

17
municazioni WOW! (in origine denominata Wide Open West) e
molte altre aziende, fino ad arrivare a offrire un servizio di coaching
privato destinato ai vertici aziendali.
Le richieste di programmi aziendali sono diventate talmente nu-
merose che ho creato uno staff di coaching dedicato; al momento,
dispongo di più di trenta formatori attivi, tra cui ex CEO, consu-
lenti aziendali, psicoterapeuti, avvocati, medici, ingegneri e profes-
sionisti con un dottorato di ricerca che viaggiano in tutto il mondo
per insegnare questo modello di trasformazione a numerose azien-
de. (Ora abbiamo intenzione di certificare formatori indipendenti
che potranno utilizzare il modello di cambiamento con la propria
clientela.) Nemmeno nei miei sogni più sfrenati avrei mai potuto
immaginare questo tipo di futuro per me.
Nel 2012 è uscito il mio secondo libro, Cambia l’abitudine di es-
sere te stesso: la fisica quantistica nella vita quotidiana (My Life),
un manuale pratico di istruzioni che integra e completa Evolvi il
tuo cervello. Il libro non solo approfondisce i concetti della neu-
roscienza del cambiamento e dell’epigenetica, ma contiene anche
un programma di quattro settimane con indicazioni dettagliate per
l’attuazione di questi cambiamenti, sulla base dei seminari che ho
tenuto in quel periodo.
Successivamente ho organizzato un seminario ancora più avanzato
in Colorado; qui abbiamo assistito a sette remissioni spontanee da
varie patologie. Una donna che si nutriva solo di lattuga a causa di
gravi allergie alimentari è guarita proprio in quel weekend. Altre
persone sono guarite da intolleranza al glutine, celiachia, problemi
alla tiroide, dolore cronico e altre condizioni. All’improvviso, ho
cominciato a notare cambiamenti molto significativi nello stato di
salute e nella vita delle persone che si allontanavano dalla loro re-
altà contingente per crearne una nuova. Tutto ciò avveniva proprio
sotto i miei occhi.

DALL’INFORMAZIONE ALLA TRASFORMAZIONE


L’evento del 2012 in Colorado rappresentò un punto di svolta nella
mia carriera: finalmente, vedevo che le persone venivano aiutate

18
non solo a cambiare la loro percezione del benessere, ma manifesta-
vano nuovi geni in modi nuovi proprio lì, durante le meditazioni,
in tempo reale, con riscontri tangibili. Se una persona che soffriva
da anni di una patologia come il lupus iniziava a stare bene dopo
un’ora di meditazione, significava che qualcosa di importante do-
veva essere accaduto nella sua mente e nel suo corpo. Volevo capi-
re come misurare questi cambiamenti nel momento stesso in cui
avvenivano, durante i seminari, per vedere esattamente cosa stava
succedendo.
Così, all’inizio del 2013, organizzai un nuovo tipo di evento che
ha portato rapidamente i nostri seminari a un livello ulteriore. Per
questo evento, tenuto in Arizona, chiesi a un gruppo di ricercatori,
tra cui neuroscienziati, tecnici e fisici quantistici dotati di strumenti
specializzati, di affiancarmi per un seminario di quattro giorni che
prevedeva la presenza di più di duecento partecipanti. Gli esperti
usarono i loro strumenti per misurare il campo elettromagnetico
all’interno della sala per vedere se l’energia si modificava con il pro-
cedere del seminario. Misurarono anche il campo energetico intor-
no ai corpi dei partecipanti e i centri energetici di ogni persona (i
chakra) per vedere se subivano qualche influenza.
Per realizzare queste misurazioni, si avvalsero di una strumenta-
zione molto sofisticata e svolsero analisi come l’elettroencefalo-
grafia (EEG), per valutare l’attività elettrica del cervello, l’elet-
troencefalografia quantitativa (QEEG), per valutare al computer
i dati EEG, la variabilità della frequenza cardiaca (HRV), per
documentare la variazione in un intervallo di tempo tra i battiti
cardiaci e la coerenza cardiaca (una misurazione del ritmo cardia-
co che riflette la stretta relazione tra cuore e cervello) e la visua-
lizzazione a scarica di gas (GDV) per misurare i cambiamenti nei
campi bioenergetici.
Esaminammo l’attività cerebrale di molti partecipanti sia prima sia
dopo l’evento per vedere cosa succedeva nel loro cervello; inoltre,
scegliemmo a caso alcune persone da monitorare durante l’evento
per misurare in tempo reale eventuali cambiamenti negli schemi
cerebrali durante le tre sessioni di meditazione che conducevo ogni
giorno. Fu un evento grandioso. Una persona affetta da morbo di

19
Parkinson smise di avere tremori. Un’altra guarì da un trauma cra-
nico. Soggetti che avevano un tumore al cervello o in altre parti
del corpo, ne constatarono la scomparsa. Molti individui colpiti
da dolori artritici provarono sollievo per la prima volta dopo anni.
Questi sono solo alcuni dei cambiamenti avvenuti.
Durante questo evento incredibile, riuscimmo a cogliere muta-
menti oggettivi in un ambito scientifico di misurazione e a docu-
mentare i cambiamenti di salute soggettivi riportati dai partecipan-
ti. Non credo sia un’esagerazione dire che quanto osservammo e
registrammo ha fatto storia. Più avanti nel libro, ti mostrerò cosa
sei capace di fare, raccontandoti alcune di queste storie; storie di
gente comune che ha fatto cose straordinarie.
Nell’organizzare quel seminario, sono partito da questa idea: vo-
levo offrire alle persone informazioni scientifiche e poi dare loro
le istruzioni necessarie per applicarle al fine di raggiungere livelli
elevati di trasformazione personale. La scienza è, dopo tutto, il lin-
guaggio contemporaneo del misticismo. Mi sono accorto che non
appena inizi a parlare nella lingua della religione o della cultura,
non appena inizi a citare la tradizione, dividi il pubblico. La scienza
invece unisce e demistifica i contenuti mistici.
Volevo avere la possibilità di insegnare alle persone il model-
lo scientifico della trasformazione (introducendo un po’ di fisica
quantistica per aiutarle a capire la scienza delle possibilità), com-
binato con le ultime scoperte nel campo delle neuroscienze, della
neuroendocrinologia, dell’epigenetica e della psiconeuroimmuno-
logia. Se fossi riuscito a dare loro le informazioni giuste e l’oppor-
tunità di applicarle, allora quelle persone avrebbero sperimentato
una trasformazione. Farlo in un contesto che permetteva di mi-
surare la trasformazione nel momento stesso in cui avveniva mi
avrebbe consentito di avere informazioni aggiuntive per spiegare
ai partecipanti ciò che stavano sperimentando. E grazie a quella
conoscenza, avrebbero potuto compiere un’altra trasformazione e
così via, mano a mano che colmavano il divario tra ciò che pensano
di essere e ciò che realmente sono (creatori divini), semplificando
così il processo. Ho definito questo concetto “informazioni per la
trasformazione” ed è la mia nuova passione.

20
Attualmente offro un corso intensivo online di sette ore e tengo
personalmente nove o dieci seminari progressive della durata di
tre giorni in tutto il mondo, più uno o due workshop avanzati di
cinque giorni, dove partecipano gli esperti di cui ho parlato per
misurare con le loro apparecchiature i cambiamenti cerebrali, le
variazioni della funzionalità cardiaca, i mutamenti nell’espressione
genetica e nel flusso energetico in tempo reale. I risultati sono a dir
poco sorprendenti e costituiscono l’argomento di questo libro.

21
INTRODUZIONE

L’importanza della mente

Gli incredibili risultati che ho osservato nei miei seminari avanzati


e i dati scientifici emersi mi hanno portato a soffermarmi sul con-
cetto di placebo: quel fenomeno che si verifica quando una persona
prende una pillola di zucchero o le viene somministrata un’iniezio-
ne di soluzione salina e sta subito meglio grazie alla fiducia riposta
nel rimedio esterno.
Ho cominciato a chiedermi: “Che cosa succederebbe se le perso-
ne iniziassero ad avere fiducia in se stesse invece che in qualcosa
di esterno? E se credessero di poter cambiare qualcosa dentro
di loro mettendosi nello stesso stato mentale di chi prende un
placebo? Non è forse questo che fanno i partecipanti ai nostri
seminari per guarire? C’è davvero bisogno di una pillola o di
un’iniezione per cambiare lo stato mentale? Possiamo insegnare
come raggiungere lo stesso risultato, mostrando come funziona
realmente il placebo?”.
Dopo tutto, il predicatore che maneggia i serpenti e beve stricnina
senza riportare conseguenze ha certamente modificato il suo stato
mentale, giusto? (Ne parlerò più a fondo nel Capitolo 1.) Quindi,
se iniziamo a rilevare ciò che avviene nel cervello e a esaminare
tutte queste informazioni, possiamo anche insegnare alle persone
come farlo da sole, senza dipendere da un elemento esterno, senza
un placebo? Possiamo spiegare che sono esse stesse il placebo? In
altre parole, possiamo convincerle che invece di accordare la pro-
pria fiducia a qualcosa di noto, come una pillola di zucchero o
un’iniezione di salina, possono riporla nell’ignoto, trasformandolo
in qualcosa di conosciuto?
L’intento del libro è proprio questo: permetterti di capire che hai
tutti i meccanismi biologici e neurologici per raggiungere esat-
tamente questo risultato. Il mio obiettivo è demistificare que-
sti concetti attraverso le nuove spiegazioni scientifiche, affinché

22
sempre più persone possano cambiare il proprio stato interiore
e creare cambiamenti positivi nella salute e nel mondo esterno.
Se ti sembra troppo bello per essere vero, sappi che, come ho già
detto, nell’ultima parte del libro troverai alcune ricerche elabora-
te nei nostri seminari che ti mostreranno come tutto questo sia
possibile.

DI COSA NON PARLA QUESTO LIBRO


Vorrei spiegare brevemente di cosa non parla questo libro, per fu-
gare fin dall’inizio eventuali dubbi. Innanzitutto, non faremo con-
siderazioni etiche sull’utilizzo del placebo nei trattamenti medici.
Si discute molto su quanto sia corretto dal punto di vista morale
curare con una sostanza inerte un paziente che non rientra in una
sperimentazione clinica. Chiedersi se il fine giustifica tali mezzi è
una questione che meriterebbe di essere discussa in un dibattito più
ampio sull’uso del placebo, ma è del tutto estranea al messaggio
che questo libro intende veicolare. Placebo Effect ti spiega come
metterti al posto di guida per creare il cambiamento che desideri,
senza interrogarsi se sia giusto o sbagliato che altre persone facciano
altrettanto ricorrendo a un espediente.
Questo libro non parla neanche di negazione. Nessuno dei meto-
di descritti si propone di negare le eventuali patologie da cui sei
afflitto. Al contrario, il tema centrale del libro è la trasformazione
delle malattie e delle patologie. A me interessa misurare i cambia-
menti che le persone rilevano quando passano dalla malattia alla
salute. Placebo Effect non ha intenzione di spingerti a rifiutare la
realtà, ma ti mostra ciò che è possibile quando entri in una nuova
realtà.
Un riscontro attendibile, ottenuto attraverso le analisi mediche, ti
confermerà l’efficacia di quello che stai facendo. Quando vedrai gli
effetti che hai creato, potrai spostare l’attenzione sul percorso che
hai fatto per arrivare a quel punto, e ripeterlo. E se quello che stai
facendo non funziona, è il caso di cambiarlo fino a ottenere ciò
che desideri. Questo significa combinare scienza e spiritualità. La
negazione, d’altra parte, si ha quando non consideri la realtà di ciò
che accade dentro e intorno a te.
23
Questo libro non intende neppure mettere in discussione l’efficacia
delle varie modalità di guarigione. Ne esistono diverse, e funziona-
no quasi tutte abbastanza bene. Tutte hanno un effetto benefico,
per certi versi misurabile, almeno in alcune persone, ma non voglio
condurre una disamina completa di questi metodi nel libro. Il mio
intento è farti conoscere la tecnica che più di tutte ha catturato la
mia attenzione: la guarigione attraverso il pensiero. Perciò continua
pure a utilizzare i metodi di guarigione efficaci nel tuo caso, come
farmaci, chirurgia, agopuntura, chiropratica, biofeedback, massag-
gio terapeutico, integratori alimentari, yoga, riflessologia, medicina
energetica, terapia del suono e così via. Placebo Effect non esclude
nulla, a eccezione delle limitazioni che ti imponi tu stesso.

QUAL È IL CONTENUTO DEL LIBRO?


Placebo Effect si divide in due parti.
La Prima Parte fornisce le conoscenze specifiche e i dati di riferi-
mento necessari per capire cos’è l’effetto placebo e come funziona
nel corpo e nel cervello; inoltre spiega come creare lo stesso tipo di
cambiamenti miracolosi nel tuo cervello e nel tuo corpo in piena
autonomia, attraverso il pensiero.
Il Capitolo 1 racconta alcune storie fenomenali che dimostrano
quanto sia potente la mente umana. Si parla di come i pensieri
abbiano guarito alcune persone e fatto ammalare altre (talvolta ac-
celerandone persino la morte). Leggerai di un uomo che morì dopo
aver saputo di avere il cancro, anche se l’autopsia rivelò che la dia-
gnosi era errata, di una donna che da anni soffriva di depressione
e che mostrò un netto miglioramento durante la sperimentazione
di un farmaco antidepressivo, nonostante facesse parte del gruppo
trattato con placebo, e di alcuni reduci di guerra zoppicanti a causa
dell’osteoartrite che furono miracolosamente guariti in seguito a
un finto intervento chirurgico al ginocchio. Leggerai inoltre sto-
rie sorprendenti di maledizioni vudù e maneggiatori di serpenti. Il
mio obiettivo, attraverso questi racconti all’apparenza incredibili, è
mostrarti la portata di ciò che la mente umana è in grado di fare da
sola, senza alcun aiuto da parte della medicina moderna. Spero che
alla fine ti chiederai: “Come è possibile tutto questo?”.
24
Il Capitolo 2 presenta una breve storia del placebo, basandosi sui
resoconti delle scoperte scientifiche a partire dal 1770 (quando un
medico viennese usò i magneti per indurre quelle che pensava fos-
sero convulsioni terapeutiche) fino ai giorni nostri, in cui i neuro-
scienziati hanno risolto – e continuano a farlo - misteri affascinanti
sul complesso funzionamento della mente. Farai la conoscenza di
un medico che ha sviluppato tecniche di ipnotismo dopo essere ar-
rivato in ritardo a un appuntamento e aver scoperto che il paziente
in attesa era stato ipnotizzato dalla fiamma di una lampada, in-
contrerai un chirurgo della Seconda Guerra Mondiale che, rimasto
senza morfina, usò con successo iniezioni di soluzione salina come
analgesico sui soldati feriti, leggerai dei primi ricercatori giapponesi
di psiconeuroimmunologia che hanno scambiato foglie di edera
velenosa con foglie innocue e hanno scoperto che il gruppo di con-
trollo reagiva più al racconto dell’esperienza che stavano vivendo
rispetto a ciò che effettivamente stava capitando loro.
Leggerai inoltre di Norman Cousins che ha riacquistato la salute
attraverso le risate, e di Herbert Benson, ricercatore di Harvard,
che è riuscito a ridurre i fattori di rischio delle malattie cardio-
vascolari in pazienti cardiopatici dopo aver scoperto il funziona-
mento della Meditazione Trascendentale. Leggerai anche di come il
neuroscienziato italiano Fabrizio Benedetti, trattando pazienti che
assumevano dei farmaci con determinati effetti, ha somministrato
loro un placebo e ha notato che il cervello continuava a segnalare
ininterrottamente la produzione delle stesse sostanze neurochimi-
che prodotte dal farmaco. Inoltre, troverai il resoconto di uno stu-
dio recente, dalla portata straordinaria: esso mostra come alcuni
pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) abbiano
riportato un netto miglioramento dei sintomi assumendo un pla-
cebo, pur sapendo perfettamente che quello somministrato era un
placebo e non un farmaco attivo.
Il Capitolo 3 esamina ciò che accade nel cervello dal punto di vista
fisiologico quando è in corso l’effetto placebo. Scoprirai che, in un
certo senso, il placebo funziona perché accetti o prendi in consi-
derazione l’idea che puoi star bene, sostituendola a quella che in-
vece dice che sarai sempre malato. Questo significa passare da una

25
mentalità in cui presagisci un futuro simile al passato noto a una
mentalità in cui prevedi e ti aspetti un nuovo risultato potenzia-
le. Se condividerai questa idea, significa che avrai esaminato il tuo
modo di pensare e capito cos’è la mente, e come i suoi meccanismi
influenzino il corpo.
Come vedrai, finché formuli gli stessi pensieri, farai sempre le stesse
scelte, che causeranno gli stessi comportamenti e provocheranno le
medesime esperienze, suscitando in te emozioni sempre identiche,
che a loro volta alimenteranno gli stessi pensieri: in questo modo,
a livello neurochimico tutto rimarrà invariato, e tu continuerai a
ricordare a te stesso chi pensi di essere. Ma stai pur certo che non
sei programmato per rimanere immutato per tutta la vita. Ti spie-
gherò il concetto di neuroplasticità e ti svelerò ciò che sappiamo
sulla capacità del cervello di cambiare nel corso della vita, creando
nuove vie neurali e nuove connessioni.
Il Capitolo 4 parla dell’effetto placebo nell’organismo e spiega il
passaggio successivo della risposta fisiologica. Inizia raccontando la
storia di un gruppo di anziani che, durante un ritiro di una settima-
na organizzato dai ricercatori di Harvard, furono invitati a fingere
di essere più giovani di vent’anni. Prima della fine della settimana,
questi uomini ottennero numerosi cambiamenti fisiologici misura-
bili: invertirono la marcia del tempo sul loro corpo e io ti svelerò il
segreto del loro successo.
Per illustrare il fenomeno, il capitolo spiega cosa sono i geni e come
ricevono i segnali dall’organismo. Imparerai che l’epigenetica, una
scienza entusiasmante e relativamente recente, ha demolito la vec-
chia idea secondo la quale nei geni è scritto il tuo destino, e ci ha
insegnato che la mente, in realtà, può indurre nuovi geni a compor-
tarsi in modi nuovi. Scoprirai che il corpo dispone di meccanismi
elaborati per attivare alcuni geni e disattivarne altri, il che significa
che non sei condannato a esprimere tutti i geni ereditati, ma puoi
imparare a modificare i collegamenti neurali per selezionare nuovi
geni e creare cambiamenti fisici reali. Vedrai inoltre come il corpo
può ricorrere alle cellule staminali (la materia fisica che sta dietro
molti miracoli prodotti dall’effetto placebo) per creare nuove cellu-
le sane nelle aree danneggiate.

26
Il Capitolo 5 sintetizza i due precedenti e spiega in che modo i
pensieri riescano a cambiare il cervello e il corpo. Esso si apre con
la domanda: “Se il contesto in cui vivi cambia e tu istruisci nuovi
geni in altri modi, è possibile dare segnali al nuovo gene prima che
sia l’ambiente a cambiare?”. Ti spiegherò come è possibile utilizzare
una tecnica chiamata “prova mentale” per associare un’intenzione
chiara a un’emozione intensa (per dare al corpo un assaggio dell’e-
sperienza futura) e vivere così nel momento presente ciò che deve
ancora accadere.
La chiave sta nel rendere i pensieri più reali dell’ambiente esterno,
perché a quel punto il cervello non saprà più distinguere le due
cose e cambierà per adeguarsi al pensiero, come se l’evento fosse
già avvenuto. Se riesci a farlo con successo un numero sufficien-
te di volte, trasformerai il corpo e comincerai ad attivare nuovi
geni in altri modi, producendo cambiamenti epigenetici, proprio
come se l’evento immaginato fosse reale. Poi, entrerai in quella
nuova realtà e diventerai tu stesso il placebo. Il capitolo non solo
descrive la scienza che sta dietro questo fenomeno, ma include
anche storie di molti personaggi pubblici, attivi in diversi ambiti,
che hanno usato questa tecnica per trasformare i loro sogni più
sfrenati in realtà, anche se all’epoca non ne erano pienamente
consapevoli.
Il Capitolo 6, dedicato al concetto di suggestionabilità, inizia con
una storia tanto affascinante quanto inquietante: si parla di un
team di ricercatori che avviò un esperimento per verificare se una
persona normale, rispettosa della legge e mentalmente sana, ma
molto suggestionabile con l’ipnosi, potesse essere programmata per
fare qualcosa che di norma avrebbe considerato inconcepibile: spa-
rare a un estraneo con l’intento di uccidere.
Vedrai che le persone hanno diversi gradi di suggestionabilità; più
tu sei suggestionabile, più riesci ad accedere al tuo subconscio. Que-
sta è la chiave per comprendere l’effetto placebo: la mente cosciente
rappresenta solo il 5 per cento di quello che siamo. Il restante 95
per cento è un insieme di stati subconsci programmati in cui il cor-
po assolve la funzione di mente. Imparerai che devi andare oltre la
mente analitica ed entrare nel sistema operativo dei tuoi program-

27
mi subconsci, se vuoi che i nuovi pensieri che formuli diano esiti
nuovi e positivi: devi cambiare il tuo destino genetico e imparare
che la meditazione è uno strumento potente per raggiungere que-
sto obiettivo. Il capitolo si chiude con una breve discussione sugli
stati mentali associati alle onde cerebrali e quali possono aumentare
la tua suggestionabilità.
Il Capitolo 7 spiega come gli atteggiamenti, le convinzioni e le
percezioni possono modificare il tuo stato mentale e plasmare la
tua personalità (ossia la tua realtà personale); inoltre ti indica il
modo per cambiarli al fine di creare una nuova realtà. Leggerai del
potere esercitato dalle convinzioni inconsce e avrai la possibilità
di identificarne alcune che sono nascoste dentro di te senza che tu
ne sia consapevole. Scoprirai inoltre che l’ambiente e i tuoi ricordi
associativi hanno il potere di sabotare la tua capacità di cambiare
le convinzioni.
Ti spiegherò nel dettaglio che, se desideri cambiare le tue con-
vinzioni e percezioni, devi combinare un’intenzione chiara con
un’emozione intensa che induca il corpo a credere che il futuro
potenziale da te selezionato nel campo quantico sia già accaduto.
L’emozione intensa è fondamentale, perché solo quando la scelta
comporta un’ampiezza di frequenza energetica maggiore rispetto
a quella dei programmi installati nel cervello e delle dipendenze
emotive del corpo, puoi modificare i circuiti cerebrali e l’espres-
sione genetica del corpo stesso, oltre a riadattare l’organismo a
una mente nuova (cancellando ogni traccia dei vecchi circuiti
neurali).
Nel Capitolo 8, ti introdurrò all’universo quantico, il mondo im-
prevedibile della materia e dell’energia di cui sono composti gli ato-
mi e le molecole di tutto ciò che esiste. Si è scoperto che l’universo
è riconducibile più all’energia (simile a uno spazio vuoto) che alla
materia solida. Il modello quantico, secondo il quale tutte le possi-
bilità esistono nel momento presente, è la chiave per usare l’effetto
placebo per guarire, in quanto ti autorizza a scegliere un nuovo
futuro per te stesso e a vederlo diventare realtà. Capirai quindi che
è davvero possibile attraversare il fiume del cambiamento e rendere
noto l’ignoto.

28
Nel Capitolo 9, conoscerai la storia di tre partecipanti ai miei se-
minari che hanno raggiunto risultati sorprendenti utilizzando
queste tecniche per migliorare la loro salute. Incontrerai Laurie, a
cui è stata diagnostica una rara malattia degenerativa - incurabile
secondo i medici - all’età di diciannove anni. Nel corso di alcuni
decenni, Laurie subì dodici importanti fratture alle ossa della gam-
ba e dell’anca sinistra, che la costrinsero a usare le stampelle per
muoversi. Oggi, invece, cammina normalmente, senza nemmeno
bisogno di un bastone. Le radiografie non mostrano tracce di frat-
ture ossee.
Poi, ti presenterò Candace, a cui fu diagnosticata la tiroidite di
Hashimoto (una patologia grave con numerose complicazioni) in
un periodo della sua vita caratterizzato da risentimento e rabbia. Il
suo medico le disse che avrebbe dovuto assumere farmaci per sem-
pre, ma lei riuscì a cambiare il corso della malattia, dimostrando
che il medico si sbagliava. Oggi, Candace è follemente innamorata
della sua nuova vita e non prende alcun farmaco per la tiroide, che
dagli esami del sangue risulta funzionare normalmente.
Infine, conoscerai Joann (la donna citata nella Prefazione), madre
di cinque figli, donna d’affari e imprenditrice di successo che molti
consideravano una superdonna, prima che crollasse all’improvviso
e le fosse diagnosticata una forma avanzata di sclerosi multipla. Le
sue condizioni precipitarono rapidamente, fino a farle perdere l’uso
delle gambe. Quando arrivò ai miei seminari, ottenne solo piccoli
cambiamenti, finché un giorno, proprio lei che non muoveva le
gambe da anni, si mise a camminare per la stanza, senza alcun aiu-
to, dopo solo un’ora di meditazione!
Il Capitolo 10 riporta altre storie straordinarie che vedono come
protagonisti i partecipanti ai miei seminari e le analisi cerebrali che
li riguardano. Incontrerai Michelle, che è guarita completamente
dal morbo di Parkinson, e John, un tetraplegico che dopo una me-
ditazione si è alzato dalla sedia a rotelle. Leggerai di Kathy (ammi-
nistratore delegato con uno stile di vita intenso) che ha imparato a
vivere il momento presente e di Bonnie, guarita dai fibromi e dalle
forti emorragie mestruali. Infine, incontrerai Genevieve, che attra-
verso la meditazione raggiunse uno stato di beatitudine talmente

29
profondo da farla piangere di gioia, e Maria, la cui esperienza si può
definire solo come un orgasmo cerebrale.
Ti mostrerò i dati raccolti dal mio team di scienziati che si è oc-
cupato di studiare il cervello di queste persone, affinché anche tu
possa vedere i cambiamenti che abbiamo osservato in tempo reale
durante i seminari. Questi dati dimostrano soprattutto che non
bisogna essere monaci, suore, studiosi, scienziati o leader spirituali
per compiere simili gesta. Non hai bisogno di un dottorato di ricer-
ca o di una laurea in medicina. Le storie raccontate in questo libro
appartengono a persone normali, proprio come te. Dopo aver letto
questo capitolo, capirai che non hanno fatto nulla di magico né di
miracoloso; hanno soltanto acquisito e applicato competenze che
si possono trasmettere e che anche tu puoi utilizzare per realizzare
cambiamenti simili ai loro.
La Parte Seconda del testo è interamente dedicata alla meditazione.
Il Capitolo 11 delinea pochi semplici passaggi per prepararsi alla
meditazione ed esamina alcune tecniche specifiche utili. Il Capitolo
12 offre istruzioni per applicare passo passo le tecniche di medi-
tazione che insegno nei seminari; sono le stesse che i partecipanti
hanno adottato per produrre i risultati straordinari di cui leggerai.
Sono felice di sottolineare che, anche se non abbiamo ancora tutte
le risposte sull’utilizzo del potere del placebo, tantissime persone
stanno applicando adesso queste idee per realizzare cambiamen-
ti straordinari nella loro vita; quel tipo di cambiamenti che molti
considerano impossibili. Le tecniche che condivido non si limita-
no a farti riacquistare la salute fisica: possono essere utilizzate per
migliorare qualunque aspetto della tua vita. La mia speranza è che
questo libro ti spinga a provarle e a realizzare cambiamenti appa-
rentemente impossibili.

Nota dell’autore: le storie di guarigione dei partecipanti ai miei seminari sono


vere, mentre i loro nomi e alcuni dettagli identificativi sono stati cambiati per
tutelare la loro privacy.

30
Parte Prima
INFORMAZIONI
CAPITOLO 1

È POSSIBILE?

Sam Londe, un commerciante di scarpe in pensione che viveva alla


periferia di St. Louis nei primi anni Settanta, cominciò ad avere
problemi di deglutizione.1 Alla fine, si fece visitare da un medico
e scoprì di avere un cancro all’esofago con metastasi. All’epoca, il
cancro esofageo metastatico era considerato incurabile: nessuno era
mai sopravvissuto. Si trattava di una condanna a morte, e il medico
gli diede la notizia con la dovuta mestizia.
Per consentirgli di vivere il più a lungo possibile, il medico consi-
gliò di asportare chirurgicamente il tessuto canceroso dall’esofago e
dallo stomaco, dove il cancro si era diffuso. Fidandosi del suo pare-
re, Londe accettò di sottoporsi all’intervento. L’operazione ebbe il
successo sperato, ma ben presto la situazione peggiorò. Un’ecogra-
fia al fegato rivelò che il cancro si era esteso in tutto il lobo sinistro
del tessuto epatico. Il medico gli disse che purtroppo, nel migliore
dei casi, gli restavano solo pochi mesi di vita.
Così, Londe e la sua seconda moglie, entrambi sulla settantina,
decisero di trasferirsi a Nashville, a quasi cinquecento chilometri
di distanza, dove viveva la famiglia di lei. Subito dopo l’arrivo nel
Tennessee, Londe venne ricoverato in ospedale e assegnato all’in-
ternista Clifton Meador. La prima volta che il dottor Meador en-
trò nella stanza di Londe, vide un uomo esile con la barba lunga,
rannicchiato sotto una montagna di coperte, che sembrava quasi
morto. Londe era burbero e taciturno, e le infermiere spiegarono
che era così da quando era stato ricoverato, qualche giorno prima.
Aveva alti livelli di glucosio a causa del diabete, ma per il resto
le analisi del sangue rivelavano valori normali, tranne per i livelli
leggermente alti degli enzimi epatici, come era prevedibile in un
paziente affetto da cancro al fegato. Un esame medico più appro-

1. C. K. Meador, “Hex Death: Voodoo Magic or Persuasion?” Southern Medical


Journal, vol. 85, n. 3: pp. 244–247 (1992).

32
fondito mostrò che non c’erano altri problemi, una vera fortuna
considerando le condizioni disperate del paziente. Pur con una
certa riluttanza, Londe seguì le disposizioni del nuovo medico e
si sottopose alla fisioterapia e a una dieta liquida ricostituente, ri-
cevendo molte cure e attenzioni dalle infermiere. Dopo qualche
giorno, riacquistò le forze e la sua scontrosità cominciò a placarsi.
Londe iniziò a parlare con il dottor Meador della sua vita.
Era già stato sposato in passato con quella che era la sua vera ani-
ma gemella. Non erano mai riusciti ad avere figli, ma avevano co-
munque vissuto una bella vita. Dato che amavano andare in barca,
una volta in pensione, avevano acquistato una casa nei pressi di
un grande lago artificiale. Poi, una sera, la diga di terra crollò e
un muro d’acqua mandò in frantumi la loro casa, spazzandola via.
Londe sopravvisse per miracolo aggrappandosi a qualche rottame,
ma il corpo della moglie non fu mai ritrovato.
“Ho perso tutto ciò che amavo” raccontò Londe al dottor Meador.
“Quella notte il mio cuore e la mia anima andarono persi nell’i-
nondazione.”
Sei mesi dopo la morte della prima moglie, mentre era ancora in
lutto e profondamente depresso, gli venne diagnosticato il cancro
all’esofago e subì l’intervento. Fu allora che incontrò e sposò la
sua seconda moglie, una donna gentile che sapeva della sua ma-
lattia terminale e che aveva accettato di prendersi cura di lui fino
alla fine dei suoi giorni. Pochi mesi dopo il matrimonio, si erano
trasferiti a Nashville, e il resto della storia il dottor Meador la
conosceva già.
Non appena Londe concluse il racconto, il medico, stupito da quel-
lo che aveva appena sentito, chiese compassionevole: “Cosa vuole
che faccia per lei?”. Il moribondo ci pensò un attimo.
“Vorrei vivere fino a Natale per stare con mia moglie e la sua fami-
glia. Sono stati buoni con me” rispose finalmente. “Mi aiuti solo
ad arrivare a Natale. È tutto ciò che voglio.” Il dottor Meador gli
assicurò che avrebbe fatto del suo meglio.
Poco prima di essere dimesso a fine ottobre, le condizioni di Londe
erano davvero migliorate rispetto a quando era arrivato. Il dottor
33
Meador fu sorpreso e compiaciuto dei suoi progressi. Il medico
continuò a visitarlo una volta al mese e, ogni volta, Londe aveva
un ottimo aspetto. Ma esattamente una settimana dopo Natale (il
giorno di Capodanno), la moglie lo riportò in ospedale.
Con grande sorpresa, il dottor Meador notò che Londe sembrava
in fin di vita. In verità, riscontrò soltanto una leggera febbre e una
piccola macchia da polmonite emersa dalle radiografie al torace,
anche se l’uomo non mostrava difficoltà respiratorie. Gli esami del
sangue sembravano a posto, e le colture richieste dal medico, per
verificare la presenza di altre malattie, risultarono negative. Il dot-
tor Meador prescrisse antibiotici e sottopose il paziente a ossige-
noterapia, sperando per il meglio, ma ventiquattro ore dopo Sam
Londe era morto.
Probabilmente questa vicenda ti sembrerà la tipica storia di una
morte sfortunata per una grave malattia dopo la diagnosi di cancro,
giusto? Be’, non trarre conclusioni affrettate.
L’autopsia del corpo disposta dall’ospedale rivelò una cosa strana.
Il fegato dell’uomo non era pieno di metastasi, ma evidenziava
solo un piccolo nodulo tumorale nel lobo sinistro, mentre una
macchia altrettanto piccola era presente sul polmone. La verità è
che nessuno dei due tumori era abbastanza grande da ucciderlo.
L’area intorno all’esofago era del tutto sana. La scansione epatica
effettuata presso l’ospedale di St. Louis aveva dato un falso risul-
tato positivo.
Sam Londe non è morto né di cancro esofageo né di cancro al fega-
to. E non è morto nemmeno per la lieve forma di polmonite con-
tratta dopo il rientro in ospedale. È morto semplicemente perché
tutti nell’ambiente circostante pensavano che fosse in fin di vita.
Il suo medico a St. Louis pensava che stesse per morire, e anche il
dottor Meador, a Nashville. La moglie e la famiglia di lei pensavano
la stessa cosa. E, soprattutto, Londe era sicuro di essere prossimo
alla morte. È possibile che l’uomo sia deceduto soltanto a causa di
questo pensiero? È possibile che il pensiero sia tanto potente? E se è
così, si è trattato di un caso isolato?

34
SI PUÒ ASSUMERE UNA DOSE ECCESSIVA DI PLACEBO?
Fred Mason (nome fittizio), uno studente universitario di ventiset-
te anni, entrò in depressione quando la sua ragazza lo lasciò.2 Vide
un annuncio in cui si reclutavano volontari per sperimentare un
nuovo farmaco antidepressivo e decise di partecipare. Aveva già sof-
ferto di depressione quattro anni prima, e all’epoca il suo medico
gli aveva prescritto l’amitriptilina (Elavil), un antidepressivo che fu
costretto a interrompere perché gli provocava eccessiva sonnolenza
e intorpidimento. Pensava che quel farmaco fosse troppo forte per
lui e sperava che la nuova medicina avesse meno effetti collaterali.
Dopo un mese di terapia sperimentale, decise di chiamare la sua ex
fidanzata. I due litigarono al telefono e, dopo aver riattaccato, Ma-
son afferrò d’impulso il flacone del trial e ingoiò tutte le ventinove
pillole, tentando il suicidio. Se ne pentì subito. Si mise a correre su
è giù per le scale del condominio dove abitava, chiedendo dispera-
tamente aiuto, ma poi crollò a terra. Una vicina sentì le urla e lo
trovò riverso sul pavimento.
Contorcendosi, Mason le disse di aver commesso un terribile erro-
re, di aver preso tutte quelle pillole ma che in realtà non voleva mo-
rire. La supplicò di portarlo in ospedale e lei acconsentì. Quando
Mason arrivò al pronto soccorso, era pallido e sudato. La pressione
sanguigna era 80/40, e le pulsazione erano centoquaranta al minu-
to. Respirava affannosamente e continuava a ripetere: “Non voglio
morire.”
Quando i medici lo visitarono, non trovarono nulla di grave se
non pressione bassa, battito cardiaco accelerato e respiro affannoso.
Ciononostante, Mason sembrava letargico e i suoi discorsi erano
confusi. L’equipe medica gli mise una flebo di soluzione salina, pre-
levò campioni di sangue e urine e gli chiese quale farmaco avesse
preso. Mason non riusciva a ricordarne il nome.

2. R. R. Reeves, M. E. Ladner, R. H. Hart, et al., “Nocebo Effects with Anti-


depressant Clinical Drug Trial Placebos”, General Hospital Psychiatry, vol. 29,
n. 3: pp. 275–277 (2007); C. K. Meador, True Medical Detective Stories (North
Charleston, SC: CreateSpace, 2012).

35
Disse ai medici che si trattava di un farmaco antidepressivo spe-
rimentale e che lui faceva parte del gruppo su cui lo stavano te-
stando. Poi, consegnò il flacone vuoto, che riportava in etichetta
le informazioni sullo studio clinico, ma non il nome del farmaco.
Non rimaneva altro da fare che attendere i risultati di laboratorio,
monitorare i parametri vitali per assicurarsi che il paziente non peg-
giorasse e sperare che l’ospedale riuscisse a contattare i ricercatori
che stavano conducendo il trial.
Quattro ore più tardi, quando già i risultati delle analisi avevano
evidenziato valori normali, arrivò un medico che aveva preso parte
allo studio clinico sul farmaco. Il ricercatore lesse il codice sull’e-
tichetta del flacone di pillole vuoto, controllò tra i documenti del
trial clinico e annunciò che Mason stava in realtà assumendo un
placebo e che le pillole ingerite non contenevano alcuna sostanza
attiva. Come per miracolo, nel giro di pochi minuti la pressione
sanguigna e il battito cardiaco di Mason tornarono normali. Anche
l’eccessiva sonnolenza sparì. Mason era stato vittima del nocebo:
una sostanza innocua che, a causa delle forti aspettative, provoca
effetti nocivi.
È davvero possibile che Mason avesse manifestato determinati sin-
tomi soltanto perché era ciò che si aspettava di provare ingoiando
una dose massiccia di antidepressivi? È possibile che la sua mente,
come nel caso di Sam Londe, avesse preso il controllo del corpo,
guidata dalle aspettative di quello che sembrava lo scenario futuro
più probabile, al punto da renderlo reale? Può essere successo dav-
vero, anche se ciò significa che la sua mente ha assunto il controllo
di funzioni che normalmente non avvengono in modo conscio?
E se è vero che i pensieri possono farci ammalare, allora possiamo
anche utilizzarli per stare bene?

LA DEPRESSIONE CRONICA SPARISCE PER MAGIA


Janis Schonfeld, un’interior designer di quarantasei anni residen-
te in California, soffriva di depressione fin dall’adolescenza. Non
aveva mai chiesto aiuto finché, nel 1997, non vide un annuncio
su un giornale: l’UCLA Neuropsychiatric Institute, l’Istituto neu-
ropsichiatrico che fa capo all’Università della California, cercava
36
volontari per testare un nuovo antidepressivo chiamato venlafaxi-
na (Effexor). La donna, la cui depressione era giunta a livelli tali
da spingerla più volte a pensare al suicidio nonostante avesse un
marito e dei figli, colse al volo l’occasione di partecipare alla speri-
mentazione.
Quando arrivò all’istituto la prima volta, un tecnico la collegò per
circa tre quarti d’ora a un elettroencefalogramma per monitorare
e registrare l’attività delle sue onde cerebrali; dopodiché la donna
uscì con una boccetta di pillole rilasciata dalla farmacia dell’ospe-
dale. Le avevano spiegato che il gruppo dei cinquantuno volontari
era stato diviso in due sottogruppi: uno avrebbe preso il farmaco,
mentre l’altro avrebbe ricevuto il placebo, ma né lei né i medici
che conducevano lo studio sapevano a quale dei due sottogruppi
era stata assegnata. Nessuno lo avrebbe saputo fino al termine della
sperimentazione. Ma all’epoca la cosa non aveva importanza per
lei. Era entusiasta e sperava che finalmente, dopo anni di lotta con-
tro la depressione clinica, una malattia che le causava improvvise
crisi di pianto senza motivi apparenti, avrebbe ricevuto l’aiuto che
le serviva.
Schonfeld accettò di tornare ogni settimana per tutta la durata
dello studio (otto settimane). Ogni volta, rispondeva a domande
su come si sentiva e spesso veniva sottoposta a EEG. Non molto
tempo dopo aver iniziato a prendere le pillole, iniziò a sentirsi
molto meglio per la prima volta nella sua vita. Purtroppo avverti-
va anche nausea, ma sapeva che era un buon segno, in quanto la
nausea era uno degli effetti collaterali più comuni del farmaco in
fase di sperimentazione. Visto che la depressione si era attenuata
ed erano comparsi gli effetti collaterali del farmaco, si convinse
che stava assumendo il principio attivo. Alla luce dei cambiamenti
osservati, anche l’infermiera con cui parlava a ogni rientro settima-
nale ne era certa.
Finalmente, al termine delle otto settimane di trial, uno dei ricer-
catori rivelò la scioccante verità: Schonfeld, che era ormai libera
da tendenze suicide e si sentiva una persona nuova dopo l’assun-
zione delle pillole, aveva fatto parte del gruppo placebo. La donna
rimase attonita, certa che il dottore avesse commesso un errore.

37
Non poteva credere che, dopo anni di depressione soffocante, si
sentisse meglio solo prendendo un flacone di pillole di zucchero.
E poi aveva manifestato gli effetti collaterali! Dovevano aver fatto
confusione. Chiese al medico di controllare di nuovo. Lui sorrise
bonariamente, assicurandole che il flacone che aveva portato a casa,
il flacone che le aveva restituito la vita, in realtà non conteneva altro
che pillole placebo.
Mentre se ne stava lì seduta sotto shock, il medico le spiegò che il
fatto di non aver assunto un farmaco vero e proprio non significava
che la depressione e i miglioramenti fossero il frutto della sua im-
maginazione; significava soltanto che qualunque cosa l’avesse fatta
stare meglio non c’entrava nulla con l’Effexor.
E non fu l’unica a ottenere questi miglioramenti: i risultati dello
studio mostrarono che il 38 per cento delle persone inserite nel
gruppo placebo stava meglio, rispetto al 52 per cento di quelle che
avevano assunto l’Effexor. Ma quando giunsero gli altri dati, fu-
rono i ricercatori a rimanere sorpresi: i pazienti migliorati grazie
ai placebo, come Schonfeld, non avevano soltanto immaginato di
stare meglio, bensì avevano di fatto modificato gli schemi delle loro
onde cerebrali. Infatti, i risultati degli EEG registrati in tempo reale
nel corso dello studio evidenziavano un netto incremento dell’atti-
vità nella corteccia prefrontale, che nei pazienti depressi di norma
è molto bassa.3
L’effetto placebo non aveva modificato solo la mente di Schonfeld,
aveva apportato cambiamenti reali anche a livello biologico. In altre
parole, la trasformazione non era avvenuta solo nella sua mente, ma
anche nel cervello. Non solo Schonfeld si sentiva bene: stava anche
bene. Al termine dello studio, la donna aveva letteralmente modifi-
cato il suo cervello, senza prendere alcun farmaco o fare qualcosa di
particolare. La mente aveva cambiato il corpo. A distanza di dodici
anni, Schonfeld avvertiva ancora gli effetti di quel miglioramento.

3. A. F. Leuchter, I. A. Cook, E. A. Witte, et al., “Changes in Brain Function


of Depressed Subjects During Treatment with Placebo”, American Journal of
Psychiatry, vol. 159, n. 1: pp. 122–129 (2002).

38
Com’è possibile che una pillola di zucchero possa curare i sintomi
di una depressione profondamente radicata e provocare effetti col-
laterali autentici come la nausea? E cosa significa il fatto che la stessa
sostanza inerte è capace di modificare il modo di attivazione delle
onde cerebrali e di aumentare l’attività del cervello nella parte che
più risente della depressione? La mente soggettiva può creare dav-
vero questo genere di cambiamenti fisiologici e misurabili? Quali
fattori agiscono nella mente e nel corpo per consentire a un placebo
di imitare alla perfezione un farmaco attivo? È possibile ottenere lo
stesso sensazionale effetto curativo non solo nelle malattie croniche
mentali, ma anche nelle patologie mortali, come il cancro?

UNA CURA “MIRACOLOSA”: ORA LA VEDI, ORA NON LA VEDI


Nel 1957, Bruno Klopfer, psicologo dell’UCLA, pubblicò un arti-
colo su una rivista destinata alla comunità scientifica, in cui raccon-
tava la storia di un uomo che chiamò “Sig. Wright”, affetto da un
linfoma, un cancro delle ghiandole linfatiche, in uno stadio avan-
zato.4 L’uomo aveva sviluppato tumori enormi, alcuni grandi come
un’arancia, al collo, all’inguine, alle ascelle, e la malattia non ri-
spondeva ad alcuna terapia convenzionale. Era a letto da settimane,
“febbricitante, con difficoltà respiratorie e incapace di muoversi”. Il
suo medico, Philip West, aveva perso le speranze, ma Wright non
si dava per vinto. Quando scoprì che l’ospedale dove era ricoverato
(a Long Beach, California) era uno dei dieci ospedali e centri di ri-
cerca del Paese che stava testando il Krebiozen, un farmaco estratto
dal sangue di cavallo, fu subito preso dall’entusiasmo. Per giorni,
tormentò il dottor West, fino a quando il medico non accettò di
somministrargli il nuovo rimedio, anche se Wright non poteva par-
tecipare ufficialmente alla sperimentazione, a cui erano ammessi
solo pazienti con un’aspettativa di vita di almeno tre mesi.
Il venerdì, gli fu somministrata un’iniezione di Krebiozen, e il lu-
nedì successivo era già in piedi, passeggiava per l’ospedale e rideva e
scherzava con le infermiere, comportandosi come un uomo nuovo.

4. B. Klopfer, “Psychological Variables in Human Cancer”, Journal of Protective


Techniques, vol. 21, n. 4: pp. 331–340 (1957).

39
Il dottor West riferì che le formazioni tumorali “si erano sciolte
come neve al sole”. Tre giorni dopo, le dimensioni si erano ridotte
della metà. Dopo una decina di giorni, Wright fu mandato a casa:
era guarito. Sembrava un miracolo.
Ma due mesi dopo, i media riferirono che in base ai dieci trial con-
dotti sul farmaco, il Krebiozen si era rivelato un fallimento. Dopo
aver letto la notizia, Wright si convinse che il farmaco fosse inutile.
Ebbe subito una ricaduta e ben presto anche i tumori si riforma-
rono. Il dottor West sospettava che l’iniziale risposta positiva di
Wright fosse dovuta all’effetto placebo e, sapendo che si trattava di
un paziente terminale, pensò di non aver nulla da perdere, ma tutto
da guadagnare, nel mettere alla prova la sua teoria. Il medico disse
a Wright di non credere ai giornali e gli spiegò che la ricaduta era
dovuta al fatto che il Krebiozen somministratogli faceva parte di un
lotto difettoso. Disse che stavano per consegnare in ospedale una
versione del farmaco “nuova, perfezionata e doppiamente efficace”,
così la definì il dottor West, e Wright avrebbe potuto averla non
appena fosse arrivata.
In attesa della terapia, Wright era euforico e, pochi giorni dopo,
ricevette l’iniezione. Ma questa volta, la siringa utilizzata dal dottor
West non conteneva alcun farmaco, né sperimentale né di altro
tipo. C’era solo acqua distillata.
Anche in questo caso, i tumori di Wright sparirono magicamente.
Felice, l’uomo tornò a casa, mantenendosi in buona salute per altri
due mesi, senza recidive. Ma poi la American Medical Association
annunciò che il Krebiozen era del tutto inefficace. La classe medica
era stata beffata. Il “farmaco miracoloso” si era rivelato una bufala:
nient’altro che olio minerale contenente un semplice aminoacido.
Alla fine, i produttori furono denunciati. Dopo aver appreso la
notizia, Wright, non credendo più nella possibilità di star bene,
ebbe una ricaduta definitiva. Tornò in ospedale senza speranze e
due giorni dopo morì.
È possibile che Wright abbia cambiato in qualche modo il suo stato
mentale, non una volta ma due, adottando nel giro di pochi giorni
quello di un uomo non affetto dal cancro? Può essere che il suo cor-

40
po abbia risposto automaticamente a un nuovo modo di pensare?
È possibile che poi sia tornato di nuovo allo stato mentale di un
uomo malato di cancro dopo aver sentito che il farmaco era stato
dichiarato inutile e inefficace? Può essere che il suo corpo abbia
ricreato le stesse reazioni chimiche di prima, ritornando alla con-
dizione di malattia che già conosceva? Si può raggiungere questo
nuovo stato biochimico non solo prendendo una pillola o facendo
un’iniezione, ma anche subendo qualcosa di più invasivo, come un
intervento chirurgico?

L’INTERVENTO CHIRURGICO AL GINOCCHIO


CHE NON AVVENNE MAI
Nel 1996, il chirurgo ortopedico Bruce Moseley, all’epoca membro
del Baylor College of Medicine e uno dei maggiori esperti in orto-
pedia sportiva di Houston, pubblicò uno studio sperimentale con-
dotto su dieci volontari, tutti uomini, che avevano prestato servizio
nelle forze armate e soffrivano di osteoartrite al ginocchio.5 Per la
gravità delle loro condizioni, molti di questi uomini zoppicavano
vistosamente, camminavano con un bastone o necessitavano di as-
sistenza per spostarsi.
Lo studio mirava a esaminare la chirurgia artroscopica, un tipo di
intervento molto diffuso che prevedeva di anestetizzare il pazien-
te, praticare una piccola incisione nella zona da trattare e inserire
uno strumento a fibre ottiche chiamato artroscopio, che il chirurgo
utilizzava per analizzare con attenzione l’articolazione del paziente.
Durante l’intervento, il medico raschiava e risciacquava l’artico-
lazione rimuovendo eventuali frammenti di cartilagine degenera-
ta che si riteneva fossero la causa dell’infiammazione e del dolore.
All’epoca, circa settecentocinquantamila pazienti all’anno si sotto-
ponevano a questo tipo di intervento.

5. J. B. Moseley, Jr., N. P. Wray, D. Kuykendall, et al., “Arthroscopic Treatment


of Osteoarthritis of the Knee: A Prospective, Randomized, Placebo-Controlled
Trial. Results of a Pilot Study”, American Journal of Sports Medicine, vol. 24, n.
1: pp. 28–34 (1996).

41
Lo studio del dottor Moseley prevedeva che due uomini su dieci
avrebbero subito l’intervento chirurgico tradizionale, denominato
“sbrigliamento” (dove il chirurgo raschia via filamenti di cartila-
gine dall’articolazione del ginocchio); tre di loro sarebbero stati
sottoposti a una procedura chiamata “lavaggio” (dove acqua alta-
mente pressurizzata viene iniettata nell’articolazione del ginocchio,
risciacquando e rimuovendo il tessuto artritico degenerato); e cin-
que avrebbero subito un intervento chirurgico simulato, in cui il
dottor Moseley avrebbe abilmente inciso la pelle con un bisturi per
poi ricucirla senza effettuare alcuna procedura medica. Per questi
cinque uomini, non ci sarebbe stata nessuna artroscopia, nessun
raschiamento dell’articolazione, nessuna rimozione di frammenti
ossei e nessun lavaggio, ma solo un’incisione e dei punti di sutura.
La fase iniziale era identica per tutte e dieci le procedure: il paziente
veniva portato in sala operatoria e sottoposto ad anestesia generale,
mentre il dottor Moseley si sterilizzava le mani. Una volta entrato
in sala operatoria, il chirurgo trovava una busta chiusa all’interno
della quale c’era scritto a quale gruppo era stato assegnato in modo
casuale il paziente sul tavolo. Il dottor Moseley non conosceva il
contenuto della busta prima di aprirla.
Dopo l’intervento chirurgico, tutti i pazienti che partecipavano alla
ricerca riferirono un aumento della mobilità e una diminuzione del
dolore. Anche gli uomini che erano stati sottoposti all’interven-
to chirurgico “simulato” erano migliorati proprio come chi aveva
subito lo sbrigliamento o il lavaggio. Non ci fu alcuna differenza
nei risultati; neppure sei mesi dopo. E sei anni più tardi, due de-
gli uomini che avevano fatto l’intervento placebo dichiararono in
un’intervista che camminavano normalmente, senza dolore, e che
avevano riacquistato gran parte della mobilità.6 Raccontarono che
a sei anni di distanza, riuscivano a svolgere tutte le attività quotidia-
ne che erano state loro precluse prima dell’intervento chirurgico.
Avevano la sensazione di aver ricominciato a vivere.

6. Discovery Health Channel, Discovery Networks Europe, Discovery Channel


University, et al., Placebo: Mind Over Medicine? Diretto da J. Harrison, trasmes-
so nel 2002 (Princeton, NJ: Films for the Humanities & Sciences, 2004), DVD.

42
Affascinato dai risultati, il dottor Moseley pubblicò nel 2002 gli
esiti di un’altra ricerca che coinvolgeva centottanta pazienti seguiti
per due anni dopo gli interventi chirurgici a cui si erano sottopo-
sti.7 Anche in questo caso, i pazienti dei tre gruppi riportarono
miglioramenti e cominciarono a camminare senza dolore e senza
zoppicare subito dopo l’intervento. Ma ancora una volta, i pazienti
che avevano subito effettivamente l’intervento chirurgico non mi-
gliorarono più di quelli sottoposti all’operazione placebo; e questo
dato fu confermato anche nei due anni successivi.
È possibile che questi soggetti siano migliorati solo perché avevano
avuto fiducia nelle capacità del chirurgo, nell’ospedale e persino
nella scintillante e modernissima sala operatoria? Avevano immagi-
nato una nuova vita con un ginocchio del tutto guarito e si erano
arresi a questo possibile esito, andandogli letteralmente incontro? E
se il dottor Moseley non fosse stato altro che un moderno stregone
in camice bianco? È possibile raggiungere lo stesso livello di guari-
gione quando la patologia è molto più grave, come nel caso di un
intervento al cuore?

L’INTERVENTO CHIRURGICO AL CUORE


CHE NON C’È MAI STATO
Alla fine degli anni Cinquanta, due gruppi di ricercatori condusse-
ro alcuni studi per confrontare gli effetti dell’intervento chirurgico
standard in caso di angina pectoris e del placebo.8 Questo accade-

7. J. B. Moseley, Jr., K. O’Malley, N. J. Petersen, et al., “A Controlled Trial of


Arthroscopic Surgery for Osteoarthritis of the Knee,””, New England Journal
of Medicine, vol. 347, no. 2: pp. 81–88 (2002); risultati simili furono osservati
anche nel seguente studio indipendente: A. Kirkley, T. B. Birmingham, R.
B. Litchfield, et al., “A Randomized Trial of Arthroscopic Surgery for Osteo-
arthritis of the Knee,””, New England Journal of Medicine, vol. 359, no. 11: pp.
1097–1107 (2008).
8. L. A. Cobb, G. I. Thomas, D. H. Dillard, et al., “An Evaluation of Internal-
Mammary-Artery Ligation by a Double-Blind Technic”, New England Journal
of Medicine, vol. 260, n. 22: pp. 1115–1118 (1959); E. G. Diamond, C. F.
Kittle, and J. E. Crockett, “Comparison of Internal Mammary Artery Ligation
and Sham Operation for Angina Pectoris”, American Journal of Cardiology, vol.
5, n. 4: pp. 483–486 (1960).

43
va molto tempo prima che entrasse in uso il bypass aortocorona-
rico, a oggi l’intervento chirurgico più diffuso. All’epoca, invece,
la maggior parte dei pazienti cardiopatici veniva sottoposta a una
procedura nota come “legatura dell’arteria mammaria interna”, che
consisteva nello scoprire le arterie danneggiate e nell’isolarle. Alla
base c’era l’idea che, bloccando il flusso sanguigno, il corpo sarebbe
stato costretto a produrre nuovi canali vascolari, aumentando l’ap-
porto di sangue al cuore. L’intervento dava ottimi risultati per la
maggior parte dei pazienti operati, ma i medici non avevano prove
concrete dell’effettiva creazione di nuovi vasi sanguigni; per questo
motivo furono condotti i due studi.
Le due équipe di ricercatori, una a Kansas City e l’altra a Seattle,
seguirono la stessa procedura e divisero i soggetti in due gruppi di
studio. Il primo venne sottoposto alla tradizionale legatura dell’ar-
teria mammaria interna e il secondo a un finto intervento; i chi-
rurghi praticavano sul petto dei pazienti le stesse piccole incisioni
eseguite nell’intervento tradizionale, ma poi si limitavano a ricuci-
re, senza fare altro.
Con grande sorpresa, i risultati di entrambi gli studi furono simili:
il 67 per cento dei pazienti realmente operati sentiva meno dolore e
aveva bisogno di assumere meno farmaci, mentre l’83 per cento di
quelli sottoposti all’intervento simulato riportava gli stessi miglio-
ramenti. L’intervento placebo aveva funzionato addirittura meglio
di quello vero!
È possibile che i pazienti sottoposti al finto intervento fossero tal-
mente convinti di guarire da riuscire a guarire davvero solo aspet-
tandosi un esito favorevole? E se questo fosse possibile, che cosa ci
rivela sugli effetti che i nostri pensieri quotidiani, positivi o negativi
che siano, possono avere sul corpo e sulla salute?

L’ATTEGGIAMENTO È TUTTO
Oggi esistono molte ricerche che dimostrano come l’atteggiamento
influenzi realmente la nostra salute, compresa la durata della vita.
Per esempio, la Mayo Clinic nel 2002 pubblicò una ricerca con-
dotta su quattrocentoquarantasette persone per più di trent’anni,

44
da cui è emerso che gli ottimisti erano più sani sia dal punto di
vista fisico che mentale.9 Letteralmente, ottimista significa “chi si
aspetta il meglio” e sta a indicare le persone che concentrano la loro
attenzione sul migliore scenario futuro. In particolare, gli ottimisti
avevano meno problemi a svolgere le attività quotidiane grazie alla
loro salute fisica o allo stato emotivo, provavano meno dolore, si
sentivano più attivi, si dedicavamo con maggior facilità alle attività
sociali ed erano quasi sempre più felici, calmi e sereni. Lo studio
nasceva sulla scia di un’altra ricerca della Mayo Clinic che aveva
seguito ottocento persone per più di trent’anni, dimostrando come
gli ottimisti vivono più a lungo dei pessimisti.10
I ricercatori di Yale seguirono seicentosessanta persone, dai cin-
quant’anni in su, per un massimo di ventitré anni, scoprendo che i
soggetti con un atteggiamento positivo riguardo all’invecchiamen-
to vivevano ben oltre sette anni più a lungo rispetto ai soggetti che
avevano un approccio più negativo all’argomento.11 L’atteggiamen-
to influiva sulla longevità più della pressione sanguigna, dei livelli
di colesterolo, del fumo, del peso e dell’esercizio fisico.
Altri studi esaminarono nello specifico la correlazione tra la salute
del cuore e l’atteggiamento. Più o meno nello stesso periodo, una
ricerca della Duke University svolta su ottocentosessantasei pazien-
ti cardiopatici rivelò che chi prova abitualmente emozioni più po-
sitive ha il 20 per cento di probabilità in più di essere vivo undici
anni dopo, rispetto a chi prova abitualmente emozioni più nega-
tive.12 Ancora più sorprendenti sono i risultati di uno studio con-

9. T. Maruta, R. C. Colligan, M. Malinchoc, et al., “Optimism-Pessimism


Assessed in the 1960s and Self-Reported Health Status 30 Years Later”, Mayo
Clinic Proceedings, vol. 77, n. 8: pp. 748–753 (2002).
10. T. Maruta, R. C. Colligan, M. Malinchoc, et al., “Optimists vs. Pessimists:
Survival Rate Among Medical Patients over a 30-Year Period”, Mayo Clinic
Proceedings, vol. 75, n. 2: pp. 140–143 (2000).
11. B. R. Levy, M. D. Slade, S. R. Kunkel, et al., “Longevity Increased by Posi-
tive Self-Perceptions of Aging”, Journal of Personality and Social Psychology, vol.
83, n. 2: pp. 261–270 (2002).
12. I. C. Siegler, P. T. Costa, B. H. Brummett, et al., “Patterns of Change in
Hostility from College to Midlife in the UNC Alumni Heart Study Predict
High-Risk Status”, Psychosomatic Medicine, vol. 65, n. 5: pp. 738–745 (2003).

45
dotto su duecentocinquantacinque studenti del Medical College
della Georgia, seguiti per venticinque anni: trai soggetti più ostili,
l’incidenza di patologie coronariche era cinque volte più elevata.13
Uno studio della Johns Hopkins University, presentato durante le
Sessioni Scientifiche dell’American Heart Association del 2001, ha
dimostrato inoltre che un atteggiamento positivo può offrire la più
forte forma di protezione contro le malattie cardiache in adulti a
rischio a causa della storia familiare.14 Questo studio suggerisce che
avere l’atteggiamento giusto può dare risultati identici o superiori a
quelli prodotti da una dieta salutare, da una adeguata attività fisica
e dal mantenimento del peso forma.
Com’è possibile che il nostro atteggiamento mentale quotidiano
(se in generale siamo più allegri e amorevoli o più ostili e negativi)
contribuisca a determinare la durata della nostra vita? Possiamo
cambiare il nostro modo di pensare attuale? Se è così, possiamo
ignorare i condizionamenti che le esperienze passate esercitano sul-
la nostra mente? Aspettarsi che qualcosa di negativo si ripeta può
effettivamente concorrere a causarlo?

NAUSEATI PRIMA DELL’INIEZIONE


Secondo il National Cancer Institute, una condizione chiamata
“nausea anticipatoria” colpisce circa il 29 per cento dei pazienti sot-
toposti a chemioterapia quando vengono esposti a odori e luoghi
che ricordano loro i trattamenti chemioterapici.15 Circa l’11 per
cento sta talmente male prima del trattamento da vomitare. Alcuni
pazienti affetti da cancro cominciano ad avvertire nausea in mac-

13. J. C. Barefoot, W. G. Dahlstrom, and R. B. Williams, Jr., “Hostility, CHD


Incidence, and Total Mortality: A 25-Year Follow-Up Study of 255 Physicians”,
Psychosomatic Medicine, vol. 45, n. 1: 59–63 (1983).
14. D. M. Becker, L. R. Yanek, T. F. Moy, et al., “General Well-Being Is Stron-
gly Protective Against Future Coronary Heart Disease Events in an Apparently
Healthy High-Risk Population”, Abstract #103966, presentato durante le
Sessioni Scientifiche dell’American Heart Association, Anaheim, CA, (12 no-
vembre 2001).
15. National Cancer Institute, “Anticipatory Nausea and Vomiting (Emesis)”
(2013), www.cancer.gov/cancertopics/pdq/supportivecare/nausea/HealthPro-
fessional/page4#Reference4.2.

46
china mentre si recano alla seduta di chemio, prima ancora di met-
tere piede in ospedale; altri vomitano mentre sono in sala d’attesa.
Uno studio del 2001 condotto presso il Cancer Center dell’Univer-
sità di Rochester e pubblicato sul Journal of Pain e Symptom Mana-
gement [Rivista per la gestione del dolore e dei sintomi] concluse
che aspettarsi la nausea era il più forte fattore predittivo del fatto
che i pazienti ne avrebbero effettivamente sofferto.16 I dati dei ricer-
catori mostrarono che il 40 per cento dei pazienti chemioterapici
che pensava di soffrire di nausea (perché i medici avevano detto
che probabilmente ciò sarebbe accaduto dopo il trattamento) ne fu
colpito prima che la terapia fosse somministrata. Un altro 13 per
cento che si dichiarava incerto su cosa aspettarsi, manifestò segni
di nausea. Invece, tra i pazienti che non se l’aspettavano, nessuno
si sentì male.
Come può essere che alcune persone siano così convinte di stare
male a causa dei farmaci chemioterapici da avvertire il malessere
prima ancora di ricevere il trattamento? È possibile che i loro pen-
sieri siano talmente potenti da far insorgere la nausea? E se questo
è vero per il 40 per cento dei pazienti chemioterapici, è altrettanto
vero che queste persone potrebbero star ben cambiando i pensieri e
le aspettative sulla loro salute e sulla realtà quotidiana? Un singolo
pensiero accettato da una persona può farla stare meglio?

LE DIFFICOLTÀ DIGESTIVE SCOMPAIONO


Non molto tempo fa, mentre stavo per scendere da un aereo a Au-
stin, incontrai una donna che portava con sé un libro che attirò la
mia attenzione. Eravamo in piedi in attesa di sbarcare e vidi il libro
spuntare dalla sua borsa; il titolo menzionava la parola fede. Ci
sorridemmo a vicenda e le chiesi quale fosse l’argomento.

16. J. T. Hickok, J. A. Roscoe, and G. R. Morrow, “The Role of Patients’ Ex-


pectations in the Development of Anticipatory Nausea Related to Chemothe-
rapy for Cancer”, Journal of Pain and Symptom Management, vol. 22, n. 4: pp.
843–850 (2001).

47
“Cristianesimo e fede” rispose lei. “Perché me lo chiede?”. Le spie-
gai che stavo scrivendo un nuovo libro sull’effetto placebo e che il
tema centrale era la fede.
“Allora le racconto una storia” disse. Mi confidò che anni prima
le avevano diagnosticato intolleranza al glutine, celiachia, colite e
moltissime altre malattie; inoltre soffriva di dolore cronico. Si era
documentata su questi disturbi e aveva consultato diversi medici,
che le avevano consigliato di evitare determinati alimenti, prescri-
vendole alcuni farmaci. La donna aveva seguito le indicazioni ri-
cevute, ma continuò ad accusare dolori in tutto il corpo. Inoltre,
non riusciva a dormire, aveva eruzioni cutanee, gravi disturbi di-
gestivi e soffriva di tutta una serie di altri sintomi sgradevoli. Poi,
anni dopo, si fece visitare da un nuovo medico, che le prescrisse
alcuni esami del sangue. Quando le analisi furono pronte, i risul-
tati erano tutti negativi.
“Quando ho scoperto di essere del tutto normale e che non c’era
nulla che non andasse in me, ho pensato: “Sto bene”, e tutti i miei
sintomi sono scomparsi. Mi sono sentita subito in forma e riuscivo
a mangiare tutto quello che volevo” mi disse con un gesto teatrale.
Poi, sorridendo aggiunse: “Cosa ne pensa?”.
Se è vero che apprendere nuove informazioni che conducono a
una svolta radicale in ciò che crediamo di noi stessi può indurre la
scomparsa dei sintomi, quali sono le dinamiche interne al nostro
corpo che rendono possibile questo fenomeno? Qual è l’esatta rela-
zione tra mente e corpo? È possibile che queste nuove convinzioni
siano in grado di cambiare il cervello e la chimica del corpo, ripro-
grammando fisicamente il circuito neurologico relativo a ciò che
pensiamo di essere e modificando la nostra espressione genetica?
Potremmo di fatto diventare persone diverse?

IL PARKINSON E IL PLACEBO
Il morbo di Parkinson è un disturbo neurologico caratterizzato dal-
la progressiva degenerazione delle cellule nervose nella porzione del
mesencefalo chiamata “nuclei della base”, preposta al controllo dei
movimenti del corpo. Il cervello di chi è affetto da questa straziante

48
malattia non produce abbastanza dopamina, il neurotrasmettitore
necessario ai nuclei della base per un corretto funzionamento. I pri-
mi sintomi del morbo di Parkinson, che al momento è considerato
incurabile, comprendono difficoltà motorie come rigidità musco-
lare, tremori e disturbi del linguaggio e dell’andatura, che sfuggono
al controllo volontario.
In uno studio, un gruppo di ricercatori dell’Università della Bri-
tish Columbia a Vancouver comunicò a un gruppo di pazienti
affetti dal morbo di Parkinson che avrebbero ricevuto un farmaco
in grado di migliorare in modo significativo i sintomi della ma-
lattia.17 In realtà, i soggetti ricevettero un placebo: nient’altro che
un’iniezione di soluzione salina. Eppure, anche senza l’ausilio di
un farmaco, il controllo motorio migliorò nella metà dei pazienti
dopo l’iniezione.
I ricercatori analizzarono il cervello dei soggetti inseriti nel trial
per capire meglio cosa fosse successo, e scoprirono che chi aveva
risposto positivamente al placebo stava producendo dopamina in
quantità superiori del 200 per cento rispetto a prima dell’iniezione.
Per ottenere lo stesso effetto con un farmaco, bisognerebbe sommi-
nistrare una dose intera di anfetamina, un farmaco che eleva il tono
dell’umore e aumenta la produzione di dopamina.
Sembrava che il semplice fatto di aspettarsi un miglioramento aves-
se permesso ai pazienti malati di Parkinson di attingere a un potere
in precedenza inutilizzato, in grado di innescare la produzione di
dopamina: proprio ciò che serviva al corpo per stare meglio. Se que-
sto è vero, qual è il processo attraverso il quale il pensiero da solo
può produrre dopamina nel cervello? È possibile che questo nuo-
vo stato interiore, provocato dalla combinazione di un’intenzione
chiara e di uno stato emotivo intensificato, ci renda davvero invin-
cibili in determinate situazioni, attivando la nostra riserva interiore
di “farmaci” e ignorando le circostanze genetiche della malattia che
un tempo consideravamo fuori da un controllo consapevole?

17. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and


Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”,
Science, vol. 293, n. 5532: pp. 1164–1166 (2001).

49
I SERPENTI MORTALI E LA STRICNINA
In alcune zone degli Appalachi sopravvive un rituale religioso
centenario noto come “manipolazione dei serpenti” o pratica del
“prendere in mano i serpenti”.18 La Virginia Occidentale è l’unico
stato dove il rito è ancora legale, ma questo non ferma i fedeli degli
altri Stati, dove la polizia tende a chiudere un occhio sulla pratica.
In queste piccole e modeste chiese, quando le congregazioni si ri-
uniscono per la funzione religiosa, il predicatore fa il suo ingresso
portando con sé una o più cassette di legno a forma di valigetta,
chiuse a chiave e dotate di sportelli a battente di plastica trasparente
con fori di areazione. Le appoggia con attenzione sul palco vicino
al pulpito davanti a tutte le persone riunite nel santuario o nell’au-
ditorio. Poco dopo, parte la musica, un mix energetico di melodie
country-western e bluegrass [Ndr: Branca della country music, in
cui sono confluite tradizioni musicali irlandesi, scozzesi e inglesi], con
testi profondamente religiosi sulla salvezza e sull’amore di Gesù. I
musicisti suonano dal vivo infervorandosi su tastiere, chitarre elet-
triche e persino batterie che farebbero invidia a qualsiasi band di
adolescenti, mentre i fedeli scuotono tamburelli quando si sentono
ispirati a farlo. Mentre l’energia sale, il predicatore a volte accende
una fiamma in un recipiente in cima al pulpito e tiene la mano sul
fuoco, lasciando che le fiamme gli sfiorino il palmo aperto, prima
di prendere il contenitore e passare lentamente il fuoco sugli avam-
bracci scoperti. Si sta solo “riscaldando”.
Subito dopo, i fedeli iniziano a ondeggiare e a stringersi le mani, a
emettere strani suoni e a saltare su e giù, danzando al ritmo della
musica per celebrare il loro salvatore. Sono sopraffatti dallo spirito,
che per loro equivale a “essere consacrati”. È allora che il predicato-
re apre di colpo una delle scatole chiuse, infila dentro una mano e
tira fuori un serpente velenoso (solitamente si tratta di un serpente
a sonagli, di un mocassino acquatico o di un testa di rame). Anche
lui balla e si accalora mentre tiene il serpente vivo, stringendolo a

18. C. R. Hall, “The Law, the Lord, and the Snake Handlers: Why a Knox
County Congregation Defies the State, the Devil, and Death”, Louisville Cou-
rier Journal (21 agosto 1988); vedi anche http://www.wku.edu/ agriculture/
thelaw.pdf.

50
metà del corpo e avvicinando la gola e la testa a quella minacciosa
dell’animale.
Di solito lo solleva in aria, tenendolo sospeso per un po’ e poi lo ri-
avvicina a sé, continuando a danzare, mentre il serpente attorciglia
la parte inferiore del suo corpo intorno al braccio del predicatore e
contorce in aria la parte superiore come più gli piace. L’uomo, allo-
ra, può prendere un secondo o anche un terzo serpente dalle altre
cassette di legno, mentre i fedeli, uomini e donne insieme, possono
unirsi a lui nel maneggiare i serpenti mano a mano che sentono la
consacrazione scendere su di loro. In alcune funzioni, il predicatore
può addirittura ingerire del veleno, come la stricnina, da un nor-
male bicchiere, senza subire alcun effetto nocivo.
A volte i maneggiatori di serpenti vengono morsi, ma considerate le
migliaia di funzioni in cui fedeli infervorati hanno infilato le mani
in quelle cassette di legno con ante battenti senza un attimo di esi-
tazione o paura, si può dire che non capiti spesso. E anche quando
succede, non sempre i malcapitati muoiono, anche se non si pre-
cipitano subito in ospedale, preferendo restare lì con gli altri fedeli
riuniti in preghiera intorno a loro. Come mai queste persone non
vengono morse più spesso? E perché sono così rari i casi di decesso
quando ciò avviene? Come riescono a entrare in uno stato mentale
in cui non hanno paura di queste creature velenose, il cui morso è
notoriamente letale, e come può questo stato mentale proteggerle?
Poi ci sono gli esempi di forza estrema, nota come “forza isterica”,
in situazioni di emergenza. Nell’aprile del 2013, per esempio, a
Lebanon, in Oregon, due ragazzine, Hannah Smith di sedici anni
e sua sorella Haylee di quattordici, sollevarono un trattore di circa
1.300 chili per liberare il padre, Jeff Smith, rimasto intrappolato
sotto le sue ruote.19 E che dire di coloro che camminano sui car-
boni ardenti (indigeni che praticano rituali sacri e occidentali che
studiano queste pratiche)? O addirittura dei fachiri o dei danzatori

19. K. Dolak, “Teen Daughters Lift 3,000-Pound Tractor Off Dad”, ABC
News (10 aprile 2013), http://abcnews.go.com/blogs/headlines/2013/04/teen-
daughters-lift-3000-pound-tractor-off-dad .

51
giavanesi che entrano in trance e sentono l’impulso di mangiare il
vetro (un disturbo noto come ialofagia)?
Com’è possibile compiere tali prodezze, apparentemente sovruma-
ne? Hanno qualcosa di fondamentale in comune? Può essere che
al culmine della loro fede incrollabile, queste persone cambino in
qualche modo i loro corpi diventando così immuni all’ambiente
circostante? Ed è possibile che la stessa fede granitica che infonde
tanta forza in chi maneggia i serpenti e cammina sui carboni ar-
denti agisca anche in senso inverso, inducendoci a farci del male (e
anche a morire) senza essere consapevoli di ciò che stiamo facendo?

LA VITTORIA SUL VUDÙ


Nel 1938, un uomo di sessant’anni residente in una zona rurale
del Tennessee si ammalò sempre più nel giro di quattro mesi, pri-
ma che la moglie lo portasse all’ospedale con quindici posti letto
alla periferia della città.20 Vance Vanders (nome fittizio) aveva perso
più di venti chili e sembrava ormai in punto di morte. Il medico,
Drayton Doherty, sospettava che Vanders fosse malato di tuber-
colosi, o forse di cancro, ma i risultati di esami e radiografie erano
negativi. La visita del dottor Doherty non rilevò nulla che potesse
causare quei disturbi. L’uomo si rifiutava di mangiare, perciò gli
fu applicato un sondino nasogastrico, ma vomitava cocciutamente
tutto ciò che veniva inserito nel sondino. Continuò ad aggravarsi
e a ripetere con convinzione di essere prossimo alla morte, finendo
per riuscire a malapena a parlare. La fine sembrava vicina, anche se
il dottor Doherty non aveva ancora capito cosa affliggesse l’uomo.
La moglie di Vanders, affranta, chiese di parlare con il dottor
Doherty in privato e, facendogli giurare di mantenere il segreto,
gli rivelò che il problema del marito era “un rito vudù”. A quan-
to pareva, Vanders, che viveva in una comunità dove il vudù era
una pratica comune, aveva avuto una discussione con un sacerdote
vudù. Era stato convocato al cimitero a tarda notte, e il sacerdote
gli aveva gettato il malocchio agitandogli una boccetta di liquido
maleodorante di fronte al viso. Gli aveva detto che presto sarebbe

20. Vedi nota 1.

52
morto e che nessuno avrebbe potuto salvarlo. Tutto qui. Vanders si
convinse di avere i giorni contati e iniziò a credere in una nuova e
triste realtà. Mortificato, l’uomo tornò a casa e si rifiutò di mangia-
re. Alla fine, la moglie lo portò in ospedale.
Dopo aver sentito tutta la storia, il dottor Doherty escogitò un
piano poco ortodosso per trattare il paziente. Al mattino, convocò
i familiari di Vanders al suo capezzale e rivelò di sapere con certezza
come curare il malato. La famiglia ascoltò attentamente la storia
architettata dal dottor Doherty. Egli disse che la notte precedente
si era recato al cimitero, dove con un inganno aveva convinto il
sacerdote vudù a incontrarsi con lui per parlargli del rito praticato
su Vanders. Non era stato facile, spiegò il medico. Come si aspetta-
va, il sacerdote non aveva voluto collaborare, ma alla fine, quando
Doherty lo aveva bloccato contro un albero stringendogli il collo
tra le mani, aveva ceduto.
Il sacerdote – continuò il dottore – gli disse di aver strofinato al-
cune uova di lucertola sulla pelle di Vanders, e che le uova avevano
raggiunto lo stomaco dell’uomo, dove si erano schiuse. Quasi tutte
le lucertole erano morte, ma una molto grossa era sopravvissuta e
stava divorando il corpo di Vanders dall’interno. Il medico annun-
ciò che avrebbe dovuto asportare la lucertola per farlo guarire.
Al termine del racconto, chiamò l’infermiera, che diligentemente
portò una grossa siringa piena di quella che il dottor Doherty definì
una potente medicina. In realtà, la siringa era stata riempita con un
farmaco che induceva il vomito. Il medico controllò con attenzione
la siringa per assicurarsi che fosse stata preparata correttamente e
poi, con fare cerimonioso, iniettò il liquido nel corpo del paziente
spaventato. Con aria solenne, lasciò la stanza, senza dire altro alla
famiglia sbalordita.
Non ci volle molto prima che il paziente cominciasse ad avere i
primi conati di vomito. L’infermiera gli procurò un catino e Van-
ders diede di stomaco, lamentandosi e contorcendosi per un po’
di tempo. A un certo punto, quando ritenne che il paziente avesse
quasi finito di liberarsi, il dottor Doherty tornò nella stanza mo-
strando un atteggiamento sicuro. Avvicinandosi al letto, infilò la

53
mano nella sua valigetta da medico nera ed estrasse una lucertola
verde, nascondendola nel palmo della mano senza farsi notare. Poi,
non appena Vanders ricominciò a vomitare, fece scivolare il rettile
nel catino.
“Guardi, Vance!” gridò subito con tutta la teatralità di cui era capa-
ce. “Guardi cosa è uscito dal suo corpo. Ora è guarito. La maledi-
zione vudù è stata annullata!”.
La stanza era in fermento. Alcuni familiari caddero a terra, gemen-
do. Vanders fece un balzo all’indietro allontanandosi dal catino, in
stato confusionale e con gli occhi spalancati. Pochi minuti dopo,
cadde in un sonno profondo che durò più di dodici ore.
Quando finalmente si svegliò, l’uomo era molto affamato e mangiò
così avidamente che il medico ebbe paura gli scoppiasse lo stoma-
co. Nel giro di una settimana, il paziente riacquistò il peso e la forza
di un tempo. Lasciò l’ospedale perfettamente sano e visse almeno
altri dieci anni.
È possibile che un uomo si debiliti e muoia soltanto perché pen-
sa di aver ricevuto una maledizione? Lo stregone contemporaneo,
munito di stetoscopio e ricettario, può essere per noi altrettanto
convincente del sacerdote vudù nel caso di Vanders? E se è vero che
una persona può decidere di morire, allora è altrettanto vero che un
malato terminale può decidere di vivere? Un individuo può cam-
biare in modo permanente il suo stato interiore (abbandonando la
sua identità di malato di cancro, di vittima dell’artrite, di cardio-
patico o di affetto dal Parkinson) entrando in un corpo sano con la
stessa facilità con cui si spoglia di un abito per indossarne un altro?
Nei prossimi capitoli, esploreremo le diverse possibilità esistenti e
la loro applicabilità nel tuo caso.

54
CAPITOLO 2

CENNI STORICI SUL PLACEBO

Come dice il proverbio, “a mali estremi, estremi rimedi”. Mentre


prestava servizio nella Seconda guerra mondiale, Henry Beecher,
chirurgo americano laureato ad Harvard, rimase a corto di morfi-
na. Verso la fine del conflitto, la morfina scarseggiava negli ospe-
dali da campo militari, perciò questa situazione non era insolita.
All’epoca, Beecher si apprestava a operare un soldato gravemente
ferito. Temeva che senza un antidolorifico, il paziente sarebbe stato
vittima di un fatale shock cardiocircolatorio. Ciò che avvenne in
seguito lo sbalordì.
Senza battere ciglio, un’infermiera riempì una siringa con soluzione
salina e praticò l’iniezione al soldato, come se gli stesse sommini-
strando della morfina. Il soldato si calmò subito. Reagì come se
avesse ricevuto davvero il farmaco, sebbene non gli avessero inietta-
to altro che una spruzzatina di acqua salata. Beecher procedette con
l’operazione, incidendo la carne del soldato, facendo le riparazioni
necessarie e ricucendolo, il tutto senza anestesia. Il soldato avvertì
poco dolore e non andò in shock. “Com’è possibile” si domandò
Beecher, “che l’acqua salata possa sostituire la morfina?”.
Dopo quel successo clamoroso, ogni volta che l’ospedale da campo
esauriva la morfina, Beecher faceva la stessa cosa: iniettava soluzio-
ne salina, come se si trattasse di morfina. L’esperienza lo convinse
del potere del placebo e dopo la guerra, quando tornò negli Stati
Uniti, cominciò a studiare il fenomeno.
Nel 1955, Beecher passò alla storia per aver scritto una relazione
clinica di quindici studi pubblicati dal Journal of the American
Medical Association [Rivista dell’Associazione Medica Americana]
in cui non solo parlava dell’enorme importanza del placebo, ma
invocava anche un nuovo modello di ricerca medica che asse-
gnasse casualmente ai pazienti i trattamenti con farmaci attivi
o con placebo (quelli che oggi definiamo studi randomizzati e

55
controllati), in modo che il potente effetto placebo non falsasse i
risultati.21
L’idea che possiamo modificare la realtà fisica con il pensiero, le
convinzioni e le aspettative (a prescindere da quanto ne siamo con-
sapevoli) di certo non è nata in quell’ospedale da campo durante la
Seconda guerra mondiale. La Bibbia è piena di storie di guarigioni
miracolose e, anche in tempi recenti, le persone si riversano perio-
dicamente in luoghi come Lourdes, nel sud della Francia, dove nel
1858 una giovane contadina di quattordici anni di nome Berna-
dette ebbe una visione della Vergine Maria. Giunte sul posto, esse
abbandonano stampelle, tutori e sedie a rotelle come prova della
loro guarigione. Miracoli simili sono stati segnalati anche a Fatima,
in Portogallo, dove nel 1917 tre pastorelli assistettero all’appari-
zione della Vergine Maria, che a trent’anni da quell’evento venne
raffigurata in una statua itinerante, realizzata sulla base della descri-
zione fornita dalla maggiore dei tre pastorelli, diventata suora nel
frattempo, e fu benedetta da Papa Pio XII, prima di essere inviata
in giro per il mondo.
La guarigione grazie alla fede non è certo esclusiva della tradizio-
ne cristiana. Il guru indiano Sathya Sai Baba, considerato dai suoi
seguaci come un avatar (manifestazione di una divinità), era famo-
so per la sua capacità di materializzare una cenere sacra chiamata
“vibhuti” nel palmo della sua mano. Si riteneva che questa sottile
cenere grigia avesse il potere di guarire molte malattie fisiche, men-
tali e spirituali, se ingerita o applicata sulla pelle come una pomata.
Si dice che anche i lama tibetani siano dotati di poteri taumaturgi-
ci: il loro alito, soffiato sui malati, viene usato per guarirli.
Persino i sovrani francesi e inglesi regnanti tra il IV e il IX secolo
usavano l’imposizione delle mani per curare i loro sudditi. Carlo
II d’Inghilterra era famoso per la sua particolare abilità in questa
pratica, che eseguì circa centomila volte.
Qual è il fattore alla base di questi eventi definiti miracolosi, a pre-
scindere dal fatto che lo strumento di guarigione sia la fede in una

21. H. K. Beecher, “The Powerful Placebo”, Rivista dell’Associazione Medica


Americana, vol. 159, n. 17: pp. 1602–1606 (1955).

56
divinità o la credenza nei poteri straordinari di una persona, di un
oggetto o perfino di un luogo considerato sacro? Qual è il processo
mediante il quale la fede e la credenza possono determinare effetti
così profondi? È possibile che il significato attribuito a un rituale
(sia esso recitare il rosario, strofinare un pizzico di cenere sacra sulla
pelle o prendere un nuovo farmaco miracoloso prescritto da un
medico di fiducia) giochi un certo ruolo nel fenomeno del place-
bo? Che cosa succede quando lo stato mentale di chi riceve queste
terapie viene influenzato o alterato dalle condizioni dell’ambiente
esterno (da una persona, da un luogo o da una cosa al momento
opportuno) tanto da suscitare cambiamenti fisici reali?

DAL MAGNETISMO ALL’IPNOTISMO


Intorno al 1770, il medico viennese Franz Anton Mesmer diventò
famoso sviluppando e dimostrando quello che all’epoca fu consi-
derato un modello medico di guarigione miracolosa. Approfon-
dendo un’idea di sir Isaac Newton sull’effetto della gravitazione
terrestre sul corpo umano, Mesmer si convinse che l’organismo
contenesse un fluido invisibile che poteva essere manipolato per
guarire le persone, utilizzando una forza che lui definiva “magne-
tismo animale”.
La sua tecnica consisteva nel chiedere ai pazienti di guardarlo in-
tensamente negli occhi prima di passare dei magneti sui loro corpi,
direzionando e bilanciando questo fluido magnetico. In seguito,
egli scoprì che era sufficiente muovere le mani (senza usare magne-
ti) per produrre lo stesso effetto. Non appena la seduta iniziava, i
pazienti cominciavano a tremare, ad avere spasmi muscolari e poi
convulsioni considerate terapeutiche. Mesmer continuava a bilan-
ciare il fluido finché il paziente non si calmava. Utilizzò questa tec-
nica per guarire diverse malattie, dalle patologie più gravi come la
paralisi e i disturbi convulsivi a problemi di minore entità, come i
dolori mestruali e le emorroidi.
In quello che divenne il suo caso più celebre, Mesmer guarì par-
zialmente la giovane Maria Theresia von Paradis, pianista concer-
tista affetta da “cecità isterica”, una malattia psicosomatica che
l’affliggeva dall’età di tre anni. Mentre Mesmer si occupava del
57
caso, la ragazza rimase a casa dell’uomo per settimane e, con il
suo aiuto, riuscì a percepire il movimento e persino a distinguere
i colori.
Ma i genitori di Maria Theresia non erano molto felici dei suoi
progressi, perché rischiavano di perdere il sussidio, se la figlia fosse
guarita. Inoltre, non appena la giovane riacquistò la vista, le sue
esecuzioni al pianoforte peggiorarono, perché ora riusciva a vedere
le dita che si muovevano sulla tastiera. Cominciarono a circolare
indiscrezioni, mai confermate, di una relazione sconveniente tra
Mesmer e la pianista. I genitori della ragazza la allontanarono con
la forza dalla casa dell’uomo, lei perse di nuovo la vista e la reputa-
zione di Mesmer fu compromessa.
Armand Marie Jacques de Chastenet, un aristocratico francese
conosciuto come il marchese di Puységur, seguì le orme di Me-
smer e portò le sue idee al livello successivo. Puységur induceva
un profondo stato da lui definito “sonnambulismo magnetico”
(simile al nottambulismo), in cui i soggetti avevano accesso ai
pensieri più profondi e scoprivano intuizioni sulla loro salute e
su quella degli altri. In questo stato, essi erano estremamente sug-
gestionabili e seguivano le istruzioni date, anche se non ricor-
davano nulla dell’accaduto una volta usciti dalla trance. Mentre
Mesmer riteneva che il potere fosse esercitato dal terapeuta sul
soggetto, Puységur credeva invece che fosse il pensiero del pazien-
te (guidato dal terapeuta) a esercitare il potere sul corpo; questo
fu probabilmente uno dei primi tentativi terapeutici di esplorare
il rapporto tra mente e corpo.
Nell’Ottocento, il chirurgo scozzese James Braid sviluppò ulterior-
mente l’idea del mesmerismo, dando origine a un concetto da lui
definito “neuroipnosi” (quello che oggi conosciamo come ipnosi).
Braid si interessò a quest’idea quando un giorno, arrivato in ritardo
a un appuntamento, scoprì che il paziente che lo aspettava stava
fissando la fiamma tremolante di una lampada a olio in preda a
un’intensa fascinazione. Braid osservò che il paziente aveva mante-
nuto uno stato di estrema suggestionabilità finché la sua attenzione
era rimasta bloccata in questo modo, “affaticando” così alcune parti
del cervello.

58
Dopo molti esperimenti, Braid imparò a indurre i pazienti a con-
centrarsi su una sola idea, mentre fissavano un oggetto, e a entrare
così in una specie di trance che, a suo avviso, si poteva usare per
curare i loro disturbi, come l’artrite reumatoide cronica, i deficit
sensoriali, nonché diverse complicazioni delle lesioni spinali e degli
ictus. Il suo libro Neurypnology [Neuroipnologia] racconta nel det-
taglio molti dei suoi successi, tra cui la guarigione di una donna di
trentatré anni paralizzata alle gambe e di una di cinquantaquattro
affetta da una malattia cutanea e da forti mal di testa.
Jean Martin Charcot, noto neurologo francese, intervenne sul la-
voro di Braid, sostenendo che la capacità di entrare in un tale stato
di trance era possibile solo in soggetti affetti da isterismo, una ma-
lattia neurologica che lui riteneva ereditaria e irreversibile. Utilizzò
l’ipnosi non per guarire i pazienti, ma per studiare i loro sintomi.
Infine, un rivale di Charcot, un medico di nome Hippolyte Ber-
nheim dell’Università di Nancy, affermò che la suggestionabilità
tanto importante per l’ipnosi non era limitata agli isterici, ma era
una condizione naturale di tutti gli esseri umani. Bernheim incul-
cava delle idee nei suoi pazienti, dicendo loro che al risveglio dal-
lo stato di trance si sarebbero sentiti meglio e che i loro sintomi
sarebbero scomparsi; usò quindi il potere della suggestione come
strumento terapeutico. Il lavoro di Bernheim proseguì nei primi
anni del Novecento.
Sebbene questi primi esploratori della suggestionabilità avessero
tecniche e obiettivi diversi tra loro, riuscirono ad aiutare centinaia
di persone a guarire da un’ampia gamma di problemi fisici e men-
tali, inducendole a pensare in modo diverso alle loro malattie e a
come queste si esprimevano a livello fisico.
Durante i due conflitti mondiali, i medici militari, e in particolare lo
psichiatra dell’esercito Benjamin Simon, utilizzarono il concetto di
suggestionabilità ipnotica (che approfondirò in seguito) per aiutare
i soldati sopravvissuti a superare un trauma inizialmente etichettato
come “shock da granata”, ma che oggi prende il nome di disturbo
post traumatico da stress. Questi reduci avevano vissuto esperienze
belliche talmente orribili che molti di loro avevano spento le emo-
zioni come forma di autopreservazione, oppure avevano sviluppato

59
un’amnesia relativa agli eventi raccapriccianti di cui erano stati pro-
tagonisti o, peggio ancora, continuavano a rivivere quelle esperienze
in flashback improvvisi: tutte condizioni che possono causare una
malattia fisica indotta dallo stress. Simon e i suoi colleghi trovaro-
no l’ipnosi di grande utilità per aiutare i reduci ad affrontare e a
superare i traumi, affinché non riaffiorassero sotto forma di ansia e
disturbi fisici (come nausea, ipertensione e altre malattie cardiova-
scolari, e persino deficit del sistema immunitario). Come i terapeuti
del secolo precedente, i medici dell’esercito che ricorsero all’ipnosi
aiutarono i pazienti a modificare i propri modelli di pensiero, al fine
di guarire e recuperare la salute mentale e fisica.
Queste tecniche riscossero un tale successo che anche i medici ci-
vili mostrarono interesse per l’uso della suggestionabilità; tuttavia
molti di loro non inducevano uno stato di trance nei pazienti, ma
somministravano all’occorrenza pillole di zucchero e altri placebo,
spiegando che questi “farmaci” li avrebbero guariti. I pazienti spesso
stavano davvero meglio, rispondendo alla suggestione come i soldati
feriti di Beecher, convinti di ricevere iniezioni di morfina. Dopo il
pionieristico articolo scritto da Beecher nel 1955 per auspicare studi
randomizzati e controllati con placebo per testare i farmaci, il place-
bo divenne una parte importante della ricerca medica.
La tesi di Beecher fu ben accolta. Inizialmente, i ricercatori si aspet-
tavano che il gruppo di controllo (quello che assumeva il placebo)
rimanesse neutro, cosicché confrontato con quello sottoposto a te-
rapia attiva avrebbe mostrato il buon funzionamento del farmaco.
Ma in moltissimi studi i pazienti del gruppo di controllo mostra-
rono dei miglioramenti spesso dovuti all’aspettativa e alla convin-
zione di ricevere un farmaco o una cura che li avrebbe aiutati. Il
placebo in sé poteva essere inerte, ma il suo effetto non lo era, e
queste convinzioni e aspettative dimostravano quanto fosse poten-
te! Quindi, se i dati avevano davvero un significato, questo effetto
doveva essere chiarito in qualche modo.
A tale scopo, accogliendo l’appello di Beecher, i ricercatori fecero
sì che lo studio in doppio cieco randomizzato diventasse la norma,
assegnando casualmente i soggetti al gruppo attivo o a quello pla-
cebo, e assicurandosi che né i pazienti né i ricercatori sapessero chi

60
stava assumendo il farmaco e chi stava prendendo il placebo. In
questo modo, l’effetto placebo sarebbe stato ugualmente attivo in
ciascun gruppo, escludendo la possibilità che i ricercatori trattas-
sero diversamente i soggetti a seconda del gruppo di appartenenza.
Oggi, a volte, gli studi sono addirittura in triplo cieco: non sono
soltanto i partecipanti e i ricercatori che conducono la ricerca a non
sapere chi prende cosa fino alla fine della sperimentazione, ma non
ne sono al corrente neppure gli esperti di statistica che analizzano i
dati, fino a quando il loro lavoro non si è concluso.

L’EFFETTO NOCEBO
Naturalmente, c’è sempre il rovescio della medaglia. Mentre la sug-
gestionabilità conquistava l’interesse del mondo scientifico per la
sua capacità di guarire, risultò altrettanto chiaro che lo stesso feno-
meno poteva essere utilizzato anche per nuocere. Pratiche come il
malocchio e le maledizioni vudù mostravano il lato negativo della
suggestionabilità.
Negli anni Quaranta, il fisiologo di Harvard Walter Bradford Can-
non (che nel 1932 aveva coniato l’espressione “lotta o fuggi”) stu-
diò la reazione estrema al nocebo, un fenomeno che definì “morte
vudù”.22 Cannon esaminò una serie di aneddoti riguardanti per-
sone che credevano fermamente nel potere di stregoni o sacerdoti
vudù, che si erano ammalate ed erano morte all’improvviso (nono-
stante l’assenza di lesioni apparenti, di tracce di veleno o di infezio-
ne) dopo essere state vittime del malocchio o di una maledizione.
La sua ricerca gettò le basi per gran parte delle attuali conoscenze
sui processi fisiologici che permettono alle emozioni (in particolare
alla paura) di generare una malattia. “La fede della vittima nel po-
tere fatale della maledizione era solo un ingrediente del minestrone
psicologico che ne provocava il decesso” dichiarò Cannon. Un altro
fattore era la conseguente emarginazione sociale e l’esclusione dal-
la propria famiglia. Queste persone diventavano presto morti che
camminano.

22. W. B. Cannon, “Voodoo Death”, American Anthropologist, vol. 44, n. 2: pp.


169–181 (1942).

61
Gli effetti nocivi provocati da fonti innocue non sono circoscritti al
vudù, naturalmente. Negli anni Sessanta, gli scienziati coniarono il
termine nocebo (termine latino che significa “nuocerò”, in contrap-
posizione a placebo, “piacerò”), riferendosi a una sostanza inerte che
provoca un effetto dannoso solo perché qualcuno crede o si aspetta
che gli farà del male.23 L’effetto nocebo può comparire negli studi
farmacologici quando i soggetti che assumono il placebo si aspetta-
no di subire gli effetti collaterali della sostanza testata, oppure quan-
do vengono espressamente avvertiti dei potenziali effetti indesiderati
e li manifestano, perché associano il farmaco alle sue possibili conse-
guenze negative, nonostante non lo stiano assumendo.
Per ovvie ragioni etiche, sono poche le ricerche concepite apposi-
tamente per studiare questo fenomeno, ma ne esistono alcune. Un
esempio famoso è uno studio del 1962 condotto in Giappone su
un gruppo di bambini affetti da una forte allergia all’edera veleno-
sa.24 I ricercatori strofinarono una foglia di edera velenosa sull’a-
vambraccio di ogni bambino, ma dissero loro che si trattava di una
pianta innocua. Come verifica, sfregarono sull’altro avambraccio
una foglia innocua, affermando che si trattava di edera velenosa.
Tutti i bambini svilupparono un’eruzione cutanea sul braccio stro-
finato con la foglia innocua che pensavano fosse velenosa. E undi-
ci dei tredici bambini non manifestarono alcuna eruzione cutanea
dove il veleno li aveva effettivamente toccati.
Fu una scoperta sorprendente: com’era possibile che bambini alta-
mente allergici all’edera velenosa non avessero manifestato un’eru-
zione cutanea quando erano stati esposti alla pianta? E come mai

23. Il termine placebo fu usato per la prima volta nella parte del Salmo 116
che apre i vespri dei Morti nella religione cattolica. Nel Medioevo, la famiglia
del defunto spesso assoldava delle persone per piangere e cantare questi versi
e, dato che il loro lutto finto era a volte esagerato, la parola placebo venne
a significare “adulatore” o “leccapiedi”. All’inizio del IX secolo, i medici co-
minciarono a somministrare ricostituenti, pillole e altri trattamenti inerti per
calmare i pazienti che non potevano aiutare o che cercavano cure per malattie
immaginarie; questi medici presero in prestito il termine placebo, dandogli il
suo significato attuale.
24. Y. Ikemi and S. Nakagawa, “A Psychosomatic Study of Contagious Derma-
titis”, Kyoshu Journal of Medical Science, vol. 13: pp. 335–350 (1962).

62
l’avevano sviluppata a causa di una foglia del tutto innocua? Il nuo-
vo pensiero che la foglia non era nociva aveva sostituito il ricordo e
la convinzione di essere allergici, rendendo innocua l’edera veleno-
sa. Nella seconda parte dell’esperimento, fu vero il contrario: una
foglia innocua divenne tossica solo a causa del pensiero che lo fosse.
In entrambi i casi, era come se il corpo di ogni bambino avesse ri-
sposto all’istante a un nuovo modo di pensare.
In questo caso, potremmo dire che i bambini sono stati liberati in
qualche modo dall’aspettativa futura di una reazione fisica alla fo-
glia tossica, basata sulle loro esperienze passate di soggetti allergici.
In effetti, per qualche ragione, hanno trasceso una successione di
eventi prevedibile. Ciò indica anche che hanno preso il control-
lo delle condizioni del loro ambiente (la foglia di edera velenosa).
Infine, i bambini sono riusciti ad alterare e a controllare la loro
fisiologia semplicemente cambiando un pensiero. Questa prova
strabiliante che il pensiero (sotto forma di aspettativa) può avere
sul corpo un effetto maggiore rispetto all’ambiente fisico “reale”
ha contribuito a inaugurare una nuova era di studi scientifici de-
nominata “psiconeuroimmunologia”: l’effetto dei pensieri e delle
emozioni sul sistema immunitario; un aspetto importante della
connessione tra mente e corpo.
Negli anni Sessanta un altro importante studio sull’effetto nocebo
esaminò un gruppo di persone affette da asma.25 I ricercatori conse-
gnarono a quaranta pazienti asmatici inalatori contenenti soltanto
vapore acqueo, dichiarando però che all’interno c’era un allergene
o una sostanza irritante; diciannove di loro (il 48 per cento) ma-
nifestarono sintomi asmatici, come l’ostruzione delle vie aeree, e
dodici soggetti (il 30 per cento) furono colpiti da attacchi d’asma
conclamati. Poi, i ricercatori diedero loro altri inalatori, afferman-
do che contenevano un farmaco che avrebbe alleviato i sintomi
e, in tutti i casi, le vie respiratorie si aprirono, nonostante anche
stavolta si trattasse solo di vapore acqueo.

25. T. Luparello, H. A. Lyons, E. R. Bleecker, et al., “Influences of Suggestion


on Airway Reactivity in Asthmatic Subjects”, Psychosomatic Medicine, vol. 30,
n. 6: pp. 819–829 (1968).

63
In entrambe le situazioni (provocare i sintomi dell’asma e poi
ribaltarli radicalmente), i pazienti risposero alla sola suggestione,
cioè alla convinzione inculcata nelle loro menti dai ricercatori,
che corrispondeva esattamente alle loro aspettative. Il pensiero di
aver inalato qualcosa di nocivo li fece stare male, mentre l’idea di
aver assunto un farmaco li guarì; questi pensieri ebbero la meglio
sul loro ambiente e sulla realtà, anzi ne crearono una nuova di
zecca.
Che cosa possiamo dedurre a proposito delle nostre convinzioni e
dei pensieri che formuliamo ogni giorno? Siamo più suscettibili a
contrarre l’influenza perché per tutto l’inverno, ovunque guardia-
mo, leggiamo articoli sull’argomento e avvisi sulla disponibilità del
vaccino antinfluenzale, senza il quale ci ammaleremo? È possibile
che sia sufficiente vedere qualcuno con sintomi di tipo influenzale
per ammalarci a causa di un modo di pensare simile a quello dei
bambini dello studio sull’edera velenosa, che reagirono a una fo-
glia innocua con un’eruzione cutanea, o degli asmatici, che ebbero
un’importante reazione bronchiale dopo aver inalato del semplice
vapore acqueo?
Siamo più soggetti a soffrire di artrite, rigidità articolare, scarsa
memoria, carenza energetica e calo del desiderio sessuale con l’a-
vanzare dell’età solo perché questa è la versione della verità con cui
ci bombardano gli annunci pubblicitari, i programmi televisivi e
le notizie riportate dai media? Quali altre profezie autoavveranti
creiamo nella nostra mente senza nemmeno accorgercene? E quali
“verità inevitabili” possiamo invertire con successo semplicemente
formulando nuovi pensieri e scegliendo nuove convinzioni?

I PRIMI GRANDI PROGRESSI


Uno studio rivoluzionario condotto alla fine degli anni Settanta
mostrò per la prima volta che un placebo può innescare il rilascio
di endorfine (antidolorifici naturali prodotti dal corpo), proprio
come fanno alcune sostanze chimiche. In questa ricerca, Jon Le-
vine, docente dell’Università della California a San Francisco,
somministrò placebo, anziché farmaci antidolorifici, a quaranta
pazienti di odontoiatria, dopo l’estrazione dei denti del giudi-
64
zio.26 La maggior parte dei pazienti riferì un sollievo dal dolore,
poiché era ciò che si aspettavano accadesse dopo la somministra-
zione del farmaco. Ma poi i ricercatori diedero ai soggetti un an-
tidoto alla morfina chiamato naloxone, che blocca chimicamente
sia i recettori della morfina sia quelli delle endorfine (morfina en-
dogena) nel cervello. Dopo la somministrazione, il dolore ritor-
nò! Ciò dimostrava che assumendo i placebo, i pazienti creavano
autonomamente le loro endorfine gli antidolorifici naturali. Fu
una pietra miliare della ricerca sul placebo, perché significava che
il sollievo avvertito dai soggetti dello studio non era solo nella
loro testa; era nelle loro menti e nei loro corpi: nel loro modo
d’essere.
Se il corpo umano diventa la farmacia di se stesso, producendo an-
tidolorifici, allora non potrebbe attingere al mix infinito di sostanze
chimiche e composti terapeutici che ha dentro di sé e dispensare
all’occorrenza altri medicinali naturali, che agiscano come quelli
prescritti dal medico, o forse anche meglio?
Un altro studio condotto negli anni Settanta, questa volta dallo
psicologo Robert Ader, dell’Università di Rochester, ha aggiunto
un nuovo affascinante elemento alla discussione sul placebo: il
condizionamento, un concetto reso famoso dal fisiologo russo Ivan
Pavlov. Il condizionamento dipende dall’associazione di una cosa
a un’altra; Pavlov la notò osservando i suoi cani che associavano il
suono del campanello al cibo, dopo che lo psicologo aveva preso
l’abitudine di suonarlo ogni giorno prima di dar loro da mangiare.
Con il tempo, i cani furono condizionati a produrre saliva ogni
volta che sentivano un campanello, come anticipazione del pasto.
Per effetto di questo tipo di condizionamento, il loro corpo imparò
a fornire una risposta fisiologica a un nuovo stimolo ambientale (in
questo caso, il campanello), anche in assenza dello stimolo origina-
rio che di norma suscita quel tipo di reazione (il cibo).

26. J. D. Levine, N. C. Gordon, and H. L. Fields, “The Mechanism of Placebo


Analgesia”, Lancet, vol. 2, no. 8091: pp. 654–657 (1978); J. D. Levine, N. C.
Gordon, R. T. Jones, et al., “The Narcotic Antagonist Naloxone Enhances Cli-
nical Pain”, Nature, vol. 272, no. 5656: pp. 826–827 (1978).

65
Di conseguenza potremmo dire che, in una risposta condizionata,
un programma subconscio installato nel corpo (ne parlerò meglio
nei prossimi capitoli) prevale apparentemente sulla mente conscia
e prende il comando. In questo modo, il corpo è in realtà condizio-
nato a diventare la mente perché il pensiero cosciente non esercita
più un controllo completo.
Nel caso di Pavlov, i cani furono esposti più volte all’odore, alla vi-
sta e al sapore del cibo, dopodiché l’uomo prese a suonare il campa-
nello. Con il tempo, il suono del campanello bastò a indurre i cani
a modificare automaticamente il loro stato fisiologico e chimico
senza pensarci consapevolmente. Il loro sistema nervoso autonomo
(il sistema subconscio che opera al di sotto della consapevolezza co-
sciente) aveva preso il controllo. Quindi, il condizionamento gene-
ra cambiamenti subconsci all’interno del corpo, facendo associare
il ricordo di eventi passati all’aspettativa di effetti futuri (quella che
chiamiamo “memoria associativa”), fino a quando i risultati attesi
o previsti non si verificano automaticamente. Quanto più è forte il
condizionamento, tanto più è debole il controllo consapevole che
esercitiamo su questi processi, e tanto più diventa automatica la
programmazione subconscia.
Ader cercò di capire quanto tempo potessero durare queste risposte
condizionate. Somministrò a topi di laboratorio acqua dolcificata
con saccarina, in cui aveva diluito un farmaco chiamato ciclofosfa-
mide, che provoca mal di stomaco. Dopo aver condizionato i topi
ad associare il gusto dolce dell’acqua al mal di pancia, si aspettava
che presto avrebbero rifiutato di bere l’acqua adulterata. Il suo in-
tento era vedere per quanto tempo avrebbero continuato a rifiutare
l’acqua, misurando così la durata della risposta condizionata.
Ma ciò che Ader non sapeva era che il ciclofosfamide è anche un
soppressore del sistema immunitario, perciò fu sorpreso quando i
topi cominciarono a morire di infezioni batteriche e virali. Cam-
biando la direzione della ricerca, continuò a dare ai topi acqua con
saccarina (alimentandoli con un contagocce), ma senza ciclofosfa-
mide. Anche se non ricevevano più il farmaco immunosoppres-
sore, i topi continuavano a morire di infezioni, mentre il gruppo
di controllo che per tutto il tempo aveva ricevuto solo acqua zuc-

66
cherata continuava a star bene. Collaborando con l’immunolo-
go Nicholas Cohen, dell’Università di Rochester, Ader scoprì che
una volta che i topi erano stati condizionati ad associare il sapore
dell’acqua zuccherata all’effetto del farmaco immunosoppressore,
su di loro l’acqua dolcificata produceva lo stesso effetto fisiologico
del farmaco, segnalando al sistema nervoso di sopprimere il siste-
ma immunitario.27
Come Sam Londe, la cui storia è raccontata nel Capitolo 1, i topi
di Ader morirono solo a causa del pensiero. I ricercatori comincia-
vano a rendersi conto che la mente è in grado di attivare il corpo
a livello subconscio in molti modi potenti che non avrebbero mai
immaginato.

L’OCCIDENTE INCONTRA L’ORIENTE


In quegli anni, la pratica orientale della Meditazione Trascenden-
tale, insegnata dal guru indiano Maharishi Mahesh Yogi, aveva
preso piede negli Stati Uniti, resa popolare da molti entusiasti tra
le celebrità (a partire dai Beatles negli anni Sessanta). L’obiettivo
di questa tecnica, che consiste nel calmare la mente ripetendo un
mantra nel corso di una sessione di venti minuti di meditazione per
due volte al giorno, è l’illuminazione spirituale. Ma la pratica attirò
l’attenzione del cardiologo di Harvard Herbert Benson, interessato
a capire se essa potesse contribuire a ridurre lo stress e i fattori di ri-
schio per le malattie cardiache. Demistificando il processo, Benson
sviluppò una tecnica simile, che definì “risposta rilassante”, descrit-
ta nell’omonimo libro del 1975.28 Scoprì che bastava cambiare i
modelli di pensiero per disattivare la risposta allo stress, abbassando
così la pressione sanguigna, normalizzando la frequenza cardiaca e
raggiungendo stati di profondo relax.
Per quanto la meditazione porti a mantenere un atteggiamento
neutrale, in altri ambiti si cominciò a prestare attenzione ai benefici
che era possibile ottenere coltivando un atteggiamento più positivo

27. R. Ader and N. Cohen, “Behaviorally Conditioned Immunosuppression”,


Psychosomatic Medicine, vol. 37, no. 4: pp. 333–340 (1975).
28. H. Benson, M. Z. Klipper, La risposta rilassante. Rizzoli, 1977.

67
e alimentando emozioni positive. Le basi furono poste nel 1952,
quando Norman Vincent Peale pubblicò il libro Come vivere in
modo positivo, rendendo popolare l’idea che i pensieri che facciamo
possano avere un effetto reale, sia positivo sia negativo, sulla nostra
vita.29 Questa teoria ha suscitato l’attenzione della comunità me-
dica, quando nel 1976 il politologo e direttore editoriale Norman
Cousins pubblicò un articolo sul New England Journal of Medicine
che raccontava come avesse usato le risate per invertire il decorso
di una malattia potenzialmente fatale.30 Scrisse al riguardo anche
nel suo best seller La volontà di guarire: anatomia di una malattia,
pubblicato pochi anni dopo.31
Il medico di Cousins gli aveva diagnosticato una malattia degene-
rativa chiamata spondilite anchilosante (una forma di artrite che
provoca la disgregazione del collagene, la proteina ​​fibrosa che tiene
insieme le cellule dell’organismo), e gli aveva dato solo una pro-
babilità di guarigione su cinquecento. Cousins soffriva di dolori
atroci e faceva così tanta fatica a muoversi che a stento riusciva
a girarsi nel letto. Sotto la pelle erano comparsi noduli granulosi
finché, al culmine della malattia, l’uomo rimase con la mandibola
quasi bloccata.
Convinto che un persistente stato emotivo negativo avesse con-
tribuito alla sua condizione, concluse che un atteggiamento più
positivo avrebbe potuto rimediare al danno. Pur continuando a
consultare il suo medico, Cousins iniziò un regime a base di dosi
massicce di vitamina C e di film dei Fratelli Marx (oltre ad altri film
umoristici e spettacoli comici). Scoprì che dieci minuti di sane ri-
sate si traducevano in due ore di sonno libero da dolori e alla fine si
ristabilì completamente. Molto semplicemente Cousins riacquistò
la salute ridendo.

29. N. V. Peale, Come acquistare fiducia e avere successo. Bompiani, 2000.


30. N. Cousins, “Anatomy of an Illness (as Perceived by the Patient)”, New En-
gland Journal of Medicine, vol. 295, n. 26: pp. 1458–1463 (1976).
31. N. Cousins, La volontà di guarire: anatomia di una malattia. A. Armando,
1982.

68
Come? All’epoca gli scienziati non avevano modo di comprendere
o spiegare una guarigione miracolosa come questa, ma oggi la ri-
cerca ci dice che è possibile che nel suo caso abbiano agito processi
epigenetici. Modificando il proprio atteggiamento, Cousins modi-
ficò la chimica del corpo, che a sua volta influenzò lo stato interno,
consentendogli di programmare nuovi geni in altri modi; non fece
altro che sottoesprimere (o disattivare) i geni causa della sua malat-
tia, e sovraesprimere (o attivare) i geni responsabili della guarigione.
(Nei prossimi capitoli spiegherò più nel dettaglio il concetto di at-
tivazione e disattivazione dei geni.)
Molti anni più tardi, una ricerca di Keiko Hayashi, dell’Università
di Tsukuba in Giappone, confermò questa teoria.32 Nel suo studio,
alcuni pazienti diabetici guardarono per un’ora un programma co-
mico e sovraespressero un totale di trentanove geni, quattordici dei
quali erano collegati all’attività delle cellule killer naturali. Sebbene
nessuno di questi geni fosse direttamente coinvolto nella regolazio-
ne del glucosio nel sangue, i pazienti mostrarono livelli di glucosio
più bassi rispetto a quelli riscontrati dopo aver partecipato a una
conferenza medica sul diabete. I ricercatori ipotizzarono che le ri-
sate avessero influenzato molti geni coinvolti nella risposta immu-
nitaria, che a sua volta aveva contribuito a migliorare il controllo
glicemico. Lo stato emotivo positivo, innescato dai cervelli dei pa-
zienti, aveva provocato variazioni genetiche, che avevano attivato le
cellule killer naturali e, in qualche modo, migliorato la loro risposta
al glucosio, oltre a molti altri effetti benefici.
A proposito del placebo, nel lontano 1979, Cousins disse: “Il pro-
cesso non funziona perché c’è qualcosa di magico nelle pastiglie,
ma perché il corpo umano è il migliore farmacista di se stesso e le
prescrizioni più efficaci l’organismo se le scrive da sé”.33

32. T. Hayashi, S. Tsujii, T. Iburi, et al., “Laughter Up-Regulates the Genes Re-
lated to NK Cell Activity in Diabetes”, Biomedical Research (Tokyo, Japan), vol.
28, n. 6: pp. 281–285 (2007).
33. N. Cousins, La volontà di guarire: anatomia di una malattia. A. Armando,
1982.

69
Ispirato dall’esperienza di Cousins, mentre la medicina alternativa
e quella psicosomatica erano in fermento, Bernie Siegel, chirur-
go dell’Università di Yale, iniziò a capire il motivo per cui alcuni
pazienti oncologici sopravvivevano pur avendo scarsi margini di
recupero, mentre altri con prospettive migliori morivano. Nella sua
indagine, Siegel scoprì che i superstiti avevano uno spirito grintoso
e combattivo e concluse che non esistevano malattie incurabili, ma
solo pazienti incurabili. Nei suoi scritti, Siegel parlava della speran-
za come di un potente fattore di guarigione e dell’amore incondi-
zionato, con la riserva naturale di elisir che fornisce, come del più
efficace stimolante per il sistema immunitario.34

I PLACEBO SUPERANO L’EFFICACIA DEGLI ANTIDEPRESSIVI


L’abbondanza di nuovi antidepressivi apparsi intorno alla fine degli
anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta accese una polemica che
contribuì a far crescere l’attenzione nei confronti del potere del pla-
cebo. Nel 1998, svolgendo una meta-analisi degli studi pubblicati
sugli antidepressivi, lo psicologo Irving Kirsch, che allora lavorava
all’Università del Connecticut, fu sorpreso di scoprire che in di-
ciannove studi clinici randomizzati in doppio cieco condotti su più
di duemilatrecento pazienti, la maggior parte dei miglioramenti
non era riconducibile ai farmaci, ma al placebo.35
Kirsch si avvalse del Freedom of Information Act [Ndr: La legge sul-
la libertà di informazione] per ottenere l’accesso ai dati degli studi
clinici non pubblicati dalle aziende farmaceutiche, che per legge
dovevano essere comunicati alla Food and Drug Administration.
Kirsch e i suoi colleghi condussero una seconda analisi incrociata,
studiando trentacinque sperimentazioni effettuate su quattro dei sei
farmaci antidepressivi più diffusi e approvati tra il 1987 e il 1999.36

34. B. S. Siegel, Amore, medicina e miracoli. Sperling & Kupfer, 1999.


35. I. Kirsch and G. Sapirstein, “Listening to Prozac but Hearing Placebo: A
Meta-analysis of Antidepressant Medication”, Prevention and Treatment, vol. 1,
n. 2: article 00002a (1998).
36. I. Kirsch, B. J. Deacon, T. B. Huedo-Medina, et al., “Initial Severity and
Antidepressant Benefits: A Meta-analysis of Data Submitted to the Food and
Drug Administration”, PLOS Medicine, vol. 5, n. 2: p. e45 (2008).

70
Esaminando i dati provenienti da più di cinquemila pazienti, i ri-
cercatori scoprirono ancora una volta che i placebo erano efficaci
quanto i popolari farmaci antidepressivi Prozac, Effexor, Serzone e
Paxil nell’81 per cento dei casi. Negli altri casi, quando il farmaco si
era rivelato più efficace, il vantaggio fu talmente lieve da non essere
statisticamente significativo. Solo nei pazienti gravemente depressi,
i farmaci prescritti si rivelarono nettamente migliori del placebo.
Naturalmente, lo studio di Kirsch suscitò un putiferio, anche se
molti ricercatori sembravano intenzionati a occultare ogni cosa.
Se gran parte del clamore dipendeva dal fatto che questi farmaci
non erano migliori del placebo, nel contempo i pazienti sottoposti
alla sperimentazione guarivano davvero grazie agli antidepressivi.
I farmaci funzionavano. Ma anche i pazienti trattati con placebo
stavano meglio. Invece di considerare il lavoro di Kirsch come la
prova dell’insuccesso degli antidepressivi, alcuni ricercatori decise-
ro di vedere il bicchiere mezzo pieno e citarono i dati come prova
del successo dei placebo.
In fin dei conti, gli studi furono una dimostrazione sensazionale del
fatto che pensare di guarire dalla depressione può curare davvero
questo disturbo al pari di un farmaco. I partecipanti allo studio,
che erano guariti con i placebo, avevano prodotto i propri anti-
depressivi naturali, proprio come i pazienti di Levine negli anni
Settanta produssero antidolorifici naturali in seguito all’estrazione
dei denti del giudizio. Kirsch portò alla luce ulteriori prove che il
nostro corpo è dotato di un’intelligenza innata in grado di mette-
re a sua disposizione un vasto assortimento chimico di composti
curativi naturali. È interessante notare che la percentuale di perso-
ne che mostra miglioramenti durante l’assunzione di placebo nelle
sperimentazioni sulla depressione è cresciuta nel tempo, così come
la risposta al farmaco attivo; alcuni ricercatori suggeriscono che ciò
sia dovuto al fatto che il pubblico ha maggiori aspettative nei con-
fronti dei farmaci antidepressivi, il che rende i placebo più efficaci
in questi studi ciechi.37

37. B. T. Walsh, S. N. Seidman, R. Sysko, et al., “Placebo Response in Studies


of Major Depression: Variable, Substantial, and Growing”, Journal of the Ame-
rican Medical Association, vol. 287, no. 14: pp. 1840–1847 (2002).

71
LA NEUROBIOLOGIA DEL PLACEBO
Era solo questione di tempo prima che gli scienziati iniziassero a
utilizzare sofisticate scansioni cerebrali per analizzare a fondo ciò
che accade a livello neurochimico quando viene somministrato un
placebo. Ne è un esempio lo studio del 2001 sui malati di Par-
kinson che riacquistarono la capacità motoria dopo aver ricevuto
un’iniezione di soluzione salina che credevano fosse un farmaco
(descritto nel Capitolo 1).38 Pochi anni dopo, il ricercatore italiano
Fabrizio Benedetti, un pioniere nella ricerca sul placebo, condusse
uno studio analogo sul morbo di Parkinson e, per la prima volta,
riuscì a mostrare l’effetto di un placebo sui singoli neuroni.39
I suoi studi esplorarono non solo la neurobiologia dell’aspettativa,
come con i malati di Parkinson, ma anche la neurobiologia del con-
dizionamento classico (quello che Ader aveva intravisto anni prima
con i suoi topi da laboratorio). Durante un esperimento, Benedetti
somministrò ai soggetti dello studio il farmaco Sumatriptan per sti-
molare l’ormone della crescita e inibire la secrezione di cortisolo, e
poi, all’insaputa dei pazienti, lo sostituì con un placebo. Le scansio-
ni cerebrali dei pazienti mostrarono che il placebo attivava nel cer-
vello le stesse aree che si illuminavano con la somministrazione del
Sumatriptan; questa era la prova che il cervello stava producendo
la stessa sostanza (in questo caso, l’ormone della crescita) da solo.40
Il fenomeno fu riscontrato anche in altre combinazioni farmaco-
placebo; le sostanze chimiche prodotte dal cervello ricalcavano
quelle che i soggetti avevano inizialmente ricevuto attraverso i far-
maci somministrati per trattare disturbi del sistema immunitario,

38. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and


Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”,
Science, vol. 293, no. 5532: pp. 1164–1166 (2001).
39. F. Benedetti, L. Colloca, E. Torre, et al., “Placebo-Responsive Parkinson
Patients Show Decreased Activity in Single Neurons of the Subthalamic Nu-
cleus”, Nature Neuroscience, vol. 7, n. 6: 587–588 (2004).
40. F. Benedetti, A. Pollo, L. Lopiano, et al., “Conscious Expectation and Un-
conscious Conditioning in Analgesic, Motor, and Hormonal Placebo/ Nocebo
Responses”, Journal of Neuroscience, vol. 23, n. 10: pp. 4315–4323 (2003).

72
problemi motori e depressione.41 Benedetti arrivò a dimostrare
che i placebo causavano gli stessi effetti collaterali dei farmaci. Per
esempio, in uno studio sul placebo associato ai narcotici, i soggetti
che avevano assunto il placebo manifestavano gli stessi effetti colla-
terali del farmaco, cioè respirazione lenta e poco profonda.42
A dire il vero, il nostro corpo è in grado di creare una vasta gamma
di sostanze chimiche capaci di guarirci, proteggerci dal dolore, aiu-
tarci a dormire profondamente, migliorare il sistema immunitario,
farci provare piacere e, addirittura, incoraggiare l’innamoramento.
Segui il mio ragionamento: se a un certo punto della nostra vita ab-
biamo prodotto sostanze chimiche specifiche in seguito all’espres-
sione di un certo gene, ma poi abbiamo smesso a causa dello stress
o di qualche malattia che lo ha spento, forse possiamo riattivarlo,
perché il nostro corpo sa già come farlo grazie alle esperienze pre-
cedenti. (Tieniti informato sulle ricerche che possono dimostrarlo.)
Vediamo come avviene questo processo. Le ricerche neurologiche
dimostrano una cosa davvero straordinaria: se una persona conti-
nua a prendere la medesima sostanza, il suo cervello attiva sempre
i medesimi circuiti nello stesso modo, memorizzando l’effetto di
ciò che assume. L’individuo può farsi condizionare dall’effetto di
una particolare pillola o iniezione associandola a un cambiamento
interno familiare, frutto di esperienze passate. A causa di questo
tipo di condizionamento, quando prende un placebo, si attivano
gli stessi circuiti preconfigurati che vengono innescati con l’assun-
zione del farmaco. Una memoria associativa induce un programma
subconscio a stabilire una connessione tra la pillola o l’iniezione
e il cambiamento ormonale nel corpo. Dopodiché, il programma
segnala automaticamente all’organismo di produrre le sostanze chi-
miche contenute nel farmaco. Non è sorprendente?

41. F. Benedetti, H. S. Mayberg, T. D. Wager, et al., “Neurobiological Me-


chanisms of the Placebo Effect”, Journal of Neuroscience, vol. 25, n. 45: pp.
10390–10402 (2005).
42. F. Benedetti, M. Amanzio, S. Baldi, et al., “Inducing Placebo Respiratory
Depressant Responses in Humans via Opioid Receptors”, European Journal of
Neuroscience, vol. 11, n. 2: pp. 625–631 (1999).

73
La ricerca di Benedetti chiarisce molto bene un altro aspetto: i
diversi tipi di trattamento placebo sono più o meno efficaci a se-
conda degli scopi. Per esempio, nello studio sul Sumatriptan, dire
ai pazienti che il placebo avrebbe funzionato non ha influito sulla
produzione dell’ormone della crescita. Se usiamo il placebo per
determinare risposte fisiologiche inconsce attraverso la memo-
ria associativa (per esempio per secernere ormoni o modificare il
funzionamento del sistema immunitario), il condizionamento dà
ottimi risultati, mentre bastano un suggerimento o l’aspettativa
a renderlo efficace, se lo utilizziamo per modificare reazioni più
consapevoli (come alleviare il dolore o attenuare la depressione).
Quindi, come sottolineò Benedetti, non esiste una sola risposta al
placebo, ma diverse.

IL DOMINIO DELLA MENTE SULLA MATERIA


È NELLE TUE MANI
Una svolta incredibile nella ricerca sul placebo si verificò grazie a
uno studio pilota condotto nel 2010 da Ted Kaptchuk dell’Univer-
sità di Harvard, specializzato in medicina orientale, per dimostrare
che i placebo funzionavano anche quando le persone erano con-
sapevoli di assumerlo.43 Nello studio, Kaptchuk e i suoi colleghi
somministrarono un placebo a quaranta pazienti affetti da sindro-
me dell’intestino irritabile. Ciascun paziente ricevette un flacone
recante l’inequivocabile dicitura “pillole placebo”, e fu spiegato loro
che il flacone conteneva “pillole placebo simili a caramelle realiz-
zate con una sostanza inerte che, secondo quanto dimostrato dagli
studi clinici, produceva un miglioramento significativo dei sintomi
della sindrome da cui erano affetti, attraverso processi di autogua-
rigione.” Un secondo gruppo di quaranta pazienti con lo stesso
problema, a cui non veniva somministrata alcuna pillola, servì da
gruppo di controllo.

43. T. J. Kaptchuk, E. Friedlander, J. M. Kelley, et al., “Placebos Without De-


ception: A Randomized Controlled Trial in Irritable Bowel Syndrome”, PLOS
ONE, vol. 5, n. 12: p. e15591 (2010).

74
Dopo tre settimane, il gruppo che stava assumendo il placebo ri-
portò un’attenuazione dei sintomi nel doppio dei casi rispetto al
gruppo non trattato; una differenza che secondo Kaptchuk era
paragonabile all’effetto dei migliori farmaci per quella condizione.
Questi pazienti non erano stati indotti con l’inganno ad autogua-
rirsi. Sapevano perfettamente di non assumere alcun farmaco; tut-
tavia, dopo aver appreso che i placebo potevano alleviare i sintomi,
hanno creduto in un esito positivo indipendentemente dalla causa
e il loro corpo è stato influenzato a produrre quel risultato.
Intanto, nelle attuali ricerche sul rapporto tra corpo e mente, si
sta sviluppando un filone parallelo di studi che esamina l’effetto
dell’atteggiamento, delle percezioni e delle credenze, dimostran-
do che anche risultati in apparenza concreti, come i benefici fisici
dell’attività motoria, possono essere influenzati dalle convinzioni.
Ne è un perfetto esempio uno studio del 2007 realizzato ad Har-
vard dalle psicologhe Alia Crum ed Ellen Langer su ottantaquattro
cameriere d’albergo.44
All’inizio dello studio, nessuna delle cameriere sapeva che le attività
di routine svolte nell’ambito del loro lavoro superava la quantità
ottimale di attività fisica quotidiana (trenta minuti) raccomandata
dal Surgeon General [Ndr: Portavoce per la salute pubblica nel gover-
no federale degli Stati Uniti]. In realtà, il 67 per cento delle donne
riferì ai ricercatori di non svolgere un’attività fisica regolare, e il 37
per cento dichiarò di non praticarla affatto. Dopo questa valutazio-
ne iniziale, Crum e Langer suddivisero le cameriere in due gruppi.
Illustrarono al primo gruppo la correlazione tra la loro attività e il
numero di calorie bruciate, aggiungendo che, svolgendo il lavoro
di cameriere, facevano attività fisica in quantità più che sufficien-
te. Queste informazioni non vennero divulgate alle donne appar-
tenenti al secondo gruppo, che lavoravano in alberghi diversi dal
primo, e che quindi non avrebbero potuto apprenderle parlando
con le altre cameriere.

44. A. J. Crum and E. J. Langer, “Mind-Set Matters: Exercise and the Placebo
Effect”, Psychological Science, vol. 18, no. 2: pp. 165–171 (2007).

75
Un mese dopo, le ricercatrici scoprirono che il primo gruppo aveva
perso in media un chilo, la percentuale di grasso corporeo si era
ridotta e la pressione sistolica si era abbassata mediamente di dieci
punti, sebbene nessuna delle cameriere avesse svolto alcuna attivi-
tà fisica supplementare al di fuori del lavoro, né avesse cambiato
abitudini alimentari. Le donne dell’altro gruppo, pur svolgendo lo
stesso lavoro del primo, non subirono alcun cambiamento.
I risultati richiamano quelli di uno studio analogo condotto in
Quebec, dove un gruppo di quarantotto giovani partecipò a un
programma di attività aerobica di dieci settimane, frequentando tre
sessioni di allenamento di novanta minuti a settimana.45 I ragazzi
furono divisi in due gruppi. Gli istruttori comunicarono ai sogget-
ti del primo gruppo (quello sperimentale) che lo studio era stato
appositamente ideato per migliorare sia la loro capacità aerobica
sia il loro benessere psicologico. Agli altri, invece, che costituiva-
no il gruppo di controllo, furono menzionati solo i benefici fisici
dell’attività motoria. Al termine delle dieci settimane, i ricercatori
scoprirono che tutti i soggetti avevano incrementato la capacità ae-
robica, ma solo quelli del gruppo sperimentale avevano riferito un
significativo aumento dell’autostima (un parametro del benessere).
Questi studi dimostrano che la consapevolezza può esercitare di
per sé un effetto fisico importante sul corpo e sulla salute. Ciò
che apprendiamo, il linguaggio che usiamo per descrivere le no-
stre esperienze e il significato attribuito alle spiegazioni che ci
vengono offerte sono tutti fattori che influiscono sulla nostra
intenzione; quando agiamo con maggior intenzione, otteniamo
risultati migliori.
Insomma, più cose impari sul “cosa” e sul “perché”, più il “come”
diventa semplice ed efficace. (Mi auguro che il libro faccia altret-
tanto con te: più conoscenze avrai su cosa stai facendo e perché,
migliori saranno i risultati che otterrai.)

45. R. Desharnais, J. Jobin, C. Côté, et al., “Aerobic Exercise and the Placebo
Effect: A Controlled Study”, Psychosomatic Medicine, vol. 55, n. 2: pp. 149–
154 (1993).

76
Attribuiamo un significato anche a fattori più irrilevanti, come il
colore della medicina che prendiamo e la quantità di pillole che
ingeriamo, come dimostra uno studio datato ma diventato un clas-
sico, condotto all’Università di Cincinnati. In questo studio, i ri-
cercatori somministrarono a cinquantasette studenti di medicina
una o due capsule rosa o blu. Erano tutte inerti, ma agli studenti fu
comunicato che quelle rosa erano eccitanti e quelle blu calmanti.46
I ricercatori riportarono quanto segue: “Due capsule produssero
cambiamenti più evidenti di una, e le capsule blu furono associate
a effetti calmanti maggiori rispetto alle capsule rosa.” Infatti, gli
studenti stimarono che le pillole blu erano due volte e mezzo più
efficaci come calmanti di quelle rosa, anche se erano tutte placebo.
Ricerche più recenti dimostrano che le convinzioni e le percezioni
possono influenzare anche i punteggi delle prestazioni mentali nei
test standardizzati. In uno studio condotto nel 2006 in Canada, a
duecentoventi studentesse vennero presentati rapporti di ricerca fa-
sulli che attribuivano agli uomini un vantaggio del 5 per cento sulle
donne nelle prestazioni matematiche.47 Le ragazze furono divise in
due gruppi: un gruppo aveva letto che il vantaggio era dovuto a
fattori genetici scoperti di recente; l’altro che il vantaggio risultava
dal modo in cui gli insegnanti seguivano degli stereotipi nel modo
di trattare le bambine e i bambini nella scuola elementare. Poi, i
due gruppi ricevettero un test di matematica. Le studentesse che
avevano letto del vantaggio genetico degli uomini ottennero un
punteggio inferiore rispetto alle ragazze dell’altro gruppo, che ave-
vano appreso che la superiorità maschile era dovuta agli stereotipi.
In altre parole, quando le donne furono indotte a pensare che il
loro svantaggio fosse inevitabile, si sono comportate come se si tro-
vassero davvero in una condizione di inferiorità.
Un effetto simile è stato documentato negli studenti afroamericani,
che hanno storicamente ottenuto risultati inferiori rispetto ai bian-

46. B. Blackwell, S. S. Bloomfield, and C. R. Buncher, “Demonstration to Me-


dical Students of Placebo Responses and Non-drug Factors”, Lancet, vol. 299,
n. 7763: pp. 1279–1282 (1972).
47. I. Dar-Nimrod and S. J. Heine, “Exposure to Scientific Theories Affects
Women’s Math Performance”, Science, vol. 314, n. 5798: p. 435 (2006).

77
chi nei test lessicali, di lettura e di matematica, anche quando la
provenienza socio-economica non rientrava tra le variabili conside-
rate. Infatti, mediamente gli studenti neri ottengono punteggi infe-
riori del 70/80 per cento rispetto agli studenti bianchi loro coetanei
nella maggior parte dei test standardizzati.48 Claude Steele, docente
di psicologia sociale presso l’Università di Stanford, spiega che la
causa sta nella cosiddetta “minaccia dello stereotipo”. La sua ricerca
dimostra che gli studenti appartenenti a gruppi bollati con uno
stereotipo negativo realizzano prestazioni peggiori quando pensano
che i loro punteggi verranno valutati alla luce di quello stereotipo,
rispetto a quando non sentono tale pressione.49
Nello studio di riferimento di Steele, condotto insieme al dottor
Joshua Aronson, i ricercatori sottoposero gli studenti del secondo
anno di Stanford a una serie di test di ragionamento verbale. Alcuni
studenti ricevettero istruzioni che attivarono lo stereotipo secondo
cui i neri ottengono punteggi inferiori rispetto ai bianchi: fu detto
loro che il test che stavano per svolgere mirava a misurare le loro
capacità cognitive, mentre agli altri l’esame fu descritto come uno
strumento di ricerca poco rilevante. Nel gruppo in cui era stato in-
nescato lo stereotipo, i neri ottennero punteggi inferiori rispetto ai
bianchi che avevano preso voti simili ai loro in precedenza. Quan-
do invece lo stereotipo non era attivo, le prestazioni dei neri e dei
bianchi con voti pregressi simili furono equivalenti, dimostrando la
notevole rilevanza dell’innesco, o priming.
Il priming si verifica quando una persona, un luogo o una cosa nel
nostro ambiente (per esempio, durante un test) fa scattare tutta
una serie di associazioni che sono presenti nel nostro cervello (nel
caso specifico, si è indotti a pensare che chi valuta il test pensa che
gli studenti neri ottengano punteggi inferiori rispetto ai bianchi),
portandoci ad agire in determinati modi (non prendere voti alti),
senza essere consapevoli di ciò che facciamo. Si parla di priming

48. C. Jencks and M. Phillips, eds., The Black-White Test Score Gap. Brookings
Institution Press, 1998.
49. C. M. Steele and J. Aronson, “Stereotype Threat and the Intellectual Test
Performance of African Americans”, Journal of Personality and Social Psychology,
vol. 69, n. 5: pp. 797–811 (1995).

78
perché il processo è simile all’adescamento di una pompa. L’acqua
deve essere già presente nel sistema di pompaggio affinché venga
convogliata all’esterno. Nell’esempio che abbiamo visto, l’idea o la
convinzione che dagli studenti neri ci si aspetta un punteggio infe-
riore rispetto ai bianchi è come l’acqua già presente nel sistema: è lì
da sempre. Quando fai qualcosa per stimolare il sistema (azioni la
leva della pompa o svolgi il test), scateni i pensieri, le emozioni e i
comportamenti correlati, producendo esattamente ciò che si ritiene
debba uscire dall’impianto: acqua, nel caso di una pompa; punteg-
gi più bassi, nel caso di un test.
Riflettiamoci sopra un attimo: la maggior parte dei comportamenti
automatici che il priming suscita è il frutto di una programmazione
inconscia o subconscia che, per lo più, avviene dietro le quinte della
nostra consapevolezza. Ciò significa che siamo indotti a comportarci
in maniera inconscia di continuo, senza nemmeno rendercene conto?
Steele replicò questo effetto anche con altri gruppi stereotipati. Sot-
topose a un test di matematica un gruppo costituito da uomini
bianchi e asiatici brillanti in matematica; i bianchi a cui fu detto
che gli asiatici erano più bravi non ottennero gli stessi buoni risul-
tati dei bianchi del gruppo di controllo, che non erano stati avvisati
di questo. Esperimenti condotti su studentesse abilissime in mate-
matica mostrarono risultati simili. Ancora una volta, gli studenti
prendevano voti più bassi quando si aspettavano inconsciamente di
ottenere punteggi inferiori.
La ricerca di Steele nasconde un significato molto profondo: quel-
lo che siamo condizionati a credere di noi stessi, e quello che ci
aspettiamo che gli altri pensino di noi, influenza le nostre presta-
zioni, compreso il successo da noi raggiunto. Accade lo stesso con
il placebo: quando prendiamo una pillola, siamo condizionati ad
aspettarci delle conseguenze, le stesse che pensiamo si attenda chi ci
sta intorno (medici compresi). Ciò influenza le reazioni del nostro
corpo alla pillola. È possibile che molti farmaci o persino gli inter-
venti chirurgici risultino più efficaci perché siamo indotti, educati
e condizionati a credere nei loro effetti, ma se invece non fosse per
l’effetto placebo, essi non sarebbero altrettanto validi, o addirittura
non lo sarebbero affatto?

79
PUOI ESSERE IL TUO PLACEBO?
Due recenti studi dell’Università di Toledo fanno luce su come la
mente sia in grado di per sé di determinare ciò che percepiamo e
sperimentiamo.50 Per ogni studio, i ricercatori hanno suddiviso un
gruppo di volontari sani in due categorie (ottimisti e pessimisti),
a seconda delle risposte date a un questionario diagnostico. Nel
primo studio, hanno somministrato ai soggetti un placebo, dicen-
do che si trattava di un farmaco che li avrebbe fatti stare male. I
pessimisti hanno avuto una reazione negativa più forte alla pillola
rispetto agli ottimisti. Anche nel secondo studio, i ricercatori han-
no somministrato un placebo, spiegando ai soggetti interessati che
li avrebbe aiutati a dormire meglio. Gli ottimisti hanno riferito di
aver riposato molto meglio dei pessimisti.
Gli ottimisti sono stati dunque più propensi a rispondere in modo
positivo al suggerimento che qualcosa li avrebbe fatti stare meglio,
perché indotti a sperare nel miglior scenario potenziale. I pessimisti
invece sono stati più propensi a reagire in modo negativo al sugge-
rimento che qualcosa li avrebbe fatti stare peggio, perché consape-
volmente o inconsapevolmente si aspettavano il peggior risultato
possibile. È come se gli ottimisti avessero creato le sostanze chi-
miche specifiche per dormire meglio, mentre i pessimisti avessero
creato una riserva di sostanze che li ha fatti stare male.
In altre parole, a parità di ambiente, chi ha un atteggiamento men-
tale positivo tende a creare situazioni positive, mentre chi ha una
mentalità negativa tende a creare circostanze negative. Questo è
il miracolo della nostra personale ingegneria biologica, dotata di
libero arbitrio.
Anche se non sappiamo con esattezza quante guarigioni siano do-
vute all’effetto placebo (l’articolo di Beecher del 1955 citato in pre-
cedenza sosteneva che la percentuale fosse del 35 per cento, ma la

50. A. L. Geers, S. G. Helfer, K. Kosbab, et al., “Reconsidering the Role of Per-


sonality in Placebo Effects: Dispositional Optimism, Situational Expectations,
and the Placebo Response”, Journal of Psychosomatic Research, vol. 58, n. 2: pp.
121–127 (2005); A. L. Geers, K. Kosbab, S. G. Helfer, et al., “Further Eviden-
ce for Individual Differences in Placebo Responding: An Interactionist Perspec-
tive”, Journal of Psychosomatic Research, vol. 62, n. 5: pp. 563–570 (2007).

80
ricerca moderna dimostra che può variare dal 10 al 100 per cen-
to51), il numero globale è senza dubbio molto significativo. Detto
questo, dobbiamo chiederci quale sia la percentuale di malattie e
patologie ascrivibile agli effetti dei pensieri negativi nel nocebo. Le
ultime ricerche scientifiche in ambito psicologico stimano che circa
il 70 per cento dei nostri pensieri sono negativi e ridondanti: ciò
significa che il numero di malattie create inconsciamente potrebbe
essere davvero impressionante, molto più alto di quanto pensia-
mo.52 Questa idea ha un significato molto profondo, se consideria-
mo che effettivamente numerosi problemi di salute mentali, fisici
ed emotivi sembrino nascere dal nulla.
Anche se può sembrare incredibile che la mente sia tanto potente,
negli ultimi decenni la ricerca ha rivelato alcune verità lampanti: ciò
che pensi si manifesta e, quando si tratta di salute, questo fenomeno
è dovuto al vasto assortimento di farmaci presenti nel corpo, che si
allineano ai tuoi pensieri in maniera precisa e automatica. Questo
dispensario miracoloso attiva le molecole curative naturali che già
esistono all’interno del corpo, offrendo svariati composti destinati a
suscitare effetti diversi in un numero illimitato di circostanze. Ovvia-
mente, tutto questo porta a chiedersi: come ci riusciamo?
I capitoli seguenti spiegano come ciò avvenga a livello biologico e
come questa capacità innata possa essere applicata in maniera con-
sapevole e intenzionale per creare la salute (e la vita) che vogliamo.

51. D. R. Hamilton, How Your Mind Can Heal Your Body. Hay House, 2010,
p. 19.
52. D. Goleman, B. H. Lipton, C. Pert, et al., Measuring the Immeasurable: The
Scientific Case for Spirituality. Sounds True, 2008, p. 196; B. H. Lipton e S.
Bhaerman, Evoluzione spontanea: scopri il nostro futuro positivo e il percorso per
ottenerlo. Macro edizioni, 2010.

81
CAPITOLO 3

L’ E F F E T T O P L A C E B O
NEL CER VELLO

Se hai letto il mio libro Cambia l’abitudine di essere te stesso (My


Life), scoprirai che questo capitolo passa in rassegna molti degli
argomenti lì trattati. Se pensi di avere già una buona conoscenza
di queste informazioni, puoi saltarlo o sfogliarlo velocemente per
rispolverare quei concetti in base alle tue esigenze. Nel dubbio, ti
consiglio di leggerlo, perché una conoscenza approfondita di ciò
che viene illustrato in questa parte è indispensabile per compren-
dere a fondo i capitoli successivi.
Come dimostrano le storie esposte nei capitoli precedenti, quan-
do cambiamo stato d’animo, il corpo risponde a un nuovo modo
di pensare. Perciò per cambiare modo d’essere, dobbiamo innan-
zitutto modificare i nostri pensieri. Avendo un proencefalo dalle
dimensioni enormi, noi esseri umani abbiamo il privilegio di poter
rendere il pensiero reale più di qualsiasi altra cosa; ed è così che agi-
sce il placebo. Per capire come si svolge il processo, è fondamentale
esaminare e rivedere tre elementi fondamentali: il condizionamen-
to, l’aspettativa e il significato. Come vedrai, questi tre concetti
cooperano nell’orchestrare la risposta al placebo.
Ho spiegato il condizionamento, il primo elemento, commentan-
do le scoperte di Pavlov nel capitolo precedente. Per riassumere, il
condizionamento si verifica quando associamo un ricordo passato
(per esempio, prendere un’aspirina) a un cambiamento fisiolo-
gico (liberarsi del mal di testa), perché lo abbiamo fatto molte
altre volte. Pensala in questi termini: se ti accorgi di avere mal di
testa, in sostanza ti rendi conto che nel tuo ambiente interno sta
avvenendo un cambiamento fisiologico (avverti dolore). Il passo
successivo consiste nel cercare qualcosa nel tuo mondo esterno
(in questo caso, l’aspirina) che crei un trasformazione nel tuo am-
biente interno. Potremmo dire che è il tuo stato interno (provare

82
dolore) a spingerti a ricordare le scelte che hai fatto in passato, le
azioni che hai compiuto o le esperienze che hai vissuto nella tua
realtà esterna per cambiare la sensazione provata (prendere un’a-
spirina e ricevere sollievo).
Così lo stimolo, o spunto, proveniente dall’ambiente esterno, de-
nominato aspirina, crea un’esperienza specifica. Quando questa
esperienza produce una risposta fisiologica o ricompensa, modifica
il tuo ambiente interno. Nel momento in cui noti il cambiamento,
presti attenzione a ciò che lo ha provocato nel tuo ambiente ester-
no. L’evento specifico (quando un fattore esterno cambia qualcosa
dentro di te) prende il nome di “ricordo associativo”.
Se continuiamo a ripetere il processo più e più volte, per associa-
zione, lo stimolo esterno può rafforzarsi al punto che, sostituendo
il farmaco con una pillola di zucchero simile all’aspirina, otteniamo
una reazione interna automatica (riduzione del dolore causato dal
mal di testa). Questo è uno dei modi in cui funziona il placebo. Le
figure 3.1A, 3.1B e 3.1C illustrano il processo di condizionamento.
L’aspettativa, il secondo elemento, entra in gioco quando abbia-
mo ragione di prevedere un risultato diverso. Se per esempio ac-
cusiamo dolore cronico provocato da artrite e il medico ci prescri-
ve un nuovo farmaco, spiegandoci con entusiasmo che dovrebbe
alleviare il dolore, accettiamo il suo suggerimento e ci aspettiamo
che, assumendolo, accadrà qualcosa di diverso (non accuseremo
più dolore). In questo modo il medico influenza il nostro grado
di suggestionabilità.
Dopo essere diventati più suggestionabili, associamo un fattore
esterno (il nuovo farmaco) alla selezione di una possibilità diversa
(essere liberi dal dolore). Nella nostra mente, scegliamo un futuro
potenziale diverso, sperando, prevedendo e aspettandoci di otte-
nere quel risultato differente. Se a livello emotivo accettiamo e ab-
bracciamo il nuovo risultato selezionato, e l’intensità dell’emozione
che proviamo è abbastanza forte, il cervello e il corpo non faranno
differenza tra l’aver immaginato di essere passati a un nuovo stato
d’essere, caratterizzato dall’assenza di dolore, e l’evento reale che
ha provocato quel passaggio. Per il cervello e il corpo, essi sono la
stessa cosa.
83
CONDIZIONAMENTO

Figura 3.1  Nella figura 3.1A, uno stimolo produce un cambiamento fisiologico
denominato risposta o ricompensa. La figura 3.1B mostra che, associando
uno stimolo a uno stimolo condizionato un numero sufficiente di volte, si
genera ancora una risposta. La figura 3.1C mostra che rimuovendo lo stimolo e
sostituendolo con uno stimolo condizionato (come un placebo) si può ottenere la
stessa risposta fisiologica.

84
Di conseguenza, il cervello attiva gli stessi circuiti neurali che in-
nescherebbe se il nostro stato fosse cambiato (ovvero se il farmaco
avesse alleviato il dolore), rilasciando le stesse sostanze chimiche nel
corpo. Quello che ci aspettiamo (non provare più dolore) di fatto
accade, perché il cervello e il corpo creano la perfetta combinazione
di farmaci per modificare la nostra condizione interna. Entriamo
in un nuovo stato d’essere, ossia mente e corpo agiscono come un
tutt’uno. Siamo dotati di questo immenso potere.
Assegnare al placebo un significato, il terzo elemento, contribui-
sce a renderlo efficace, perché quando infondiamo nuovo senso a
un’azione, la sosteniamo con l’intenzione. In altre parole, quan-
do impariamo e comprendiamo qualcosa di nuovo, lo affrontiamo
con un’energia più consapevole e intenzionale. Così, per esempio,
nello studio esposto nel capitolo precedente, quando le camerie-
re d’albergo scoprirono quanta attività fisica facevano ogni giorno
con il loro lavoro, e furono messe a conoscenza dei suoi benefici,
attribuirono più significato a quelle azioni. Si resero conto che non
stavano solo passando l’aspirapolvere, strofinando e pulendo con lo
straccio, bensì stavano facendo lavorare i muscoli, aumentavano la
loro forza e bruciavano calorie. Una volta che quelle azioni ebbero
acquisito maggior significato, ovvero dopo che i ricercatori spiega-
rono loro i vantaggi fisici dell’attività fisica, le cameriere lavorarono
non solo con l’intento di eseguire le loro mansioni, ma anche con
lo scopo di fare movimento e migliorare la salute.
Ed è proprio quello che è successo. I membri del gruppo di control-
lo non avevano assegnato il medesimo significato ai loro compiti,
perché non sapevano che quello che stavano facendo era utile alla
loro salute, e quindi non avevano ottenuto gli stessi benefici, pur
svolgendo esattamente le medesime azioni.
Il placebo agisce in modo identico. Più ritieni che una particolare
sostanza, procedura o intervento chirurgico funzionerà perché sei
stato informato dei suoi benefici, maggiori saranno le probabilità
di star meglio e che la tua salute migliori. In altre parole, se attribu-
isci più significato a una possibile esperienza legata a una persona,
a un luogo o a una cosa nell’ambiente esterno al fine di cambiare
quello interno, è molto più probabile che tu riesca a modificare

85
intenzionalmente il tuo stato interno con il solo pensiero. Inoltre,
più accetti un nuovo risultato correlato alla tua salute (perché sei
stato informato dei possibili benefici di ciò che stai facendo), più
il modello che stai creando nella mente sarà chiaro, più riuscirai
quindi a indurre il cervello e il corpo a replicarlo fedelmente. In
parole povere, più credi nella causa, migliore sarà l’effetto.

IL PLACEBO: ANATOMIA DI UN PENSIERO


Se l’effetto placebo è una funzione del potere che esercita il pensie-
ro sulla fisiologia (potremmo chiamarlo “dominio della mente sulla
materia”), allora forse dovremmo esaminare i pensieri e il modo in
cui interagiscono con il cervello e con il corpo. Cominciamo con
quelli quotidiani.
Siamo creature abitudinarie. Formuliamo qualcosa come sessanta-
mila/settantamila pensieri al giorno53, per il 90 per cento identici
a quelli del giorno precedente. Ogni giorno, ci alziamo dalla stessa
parte del letto, ripetiamo le solite abitudini in bagno, ci pettinia-
mo i capelli nel modo consueto, ci sediamo sulla stessa sedia e
facciamo la solita colazione tenendo la tazza sempre nella stessa
mano, percorriamo lo stesso itinerario per raggiungere il consueto
posto di lavoro e facciamo le solite cose che ormai sappiamo fare
bene rapportandoci sempre con le stesse persone (che ogni volta
premono sugli stessi tasti emotivi). Infine ci affrettiamo a casa così
possiamo cenare velocemente e guardare i nostri programmi TV
preferiti, per poi correre a lavarci i denti, ripetendo la stessa rou-
tine serale e precipitandoci a letto alla solita ora per ripetere tutto
daccapo il giorno seguente.
Se le mie parole lasciano intendere che viviamo gran parte della no-
stra vita con il pilota automatico, sappi che le cose stanno proprio
così. Formulare gli stessi pensieri ci porta a compiere le stesse scelte.
Compiere le stesse scelte ci porta a tenere gli stessi comportamenti.

53. A. Vickers, People v. the State of Illusion, diretto da S. Cervine (Phoenix,


AZ: Exalt Films, 2012), film; vedi anche Laboratory of Neuro Imaging, Uni-
versity of California, Los Angeles, http://www.loni.usc.edu/about_loni/educa-
tion/brain_trivia.php.

86
Tenere gli stessi comportamenti ci porta a creare le stesse esperien-
ze. Creare le stesse esperienze ci porta a produrre le stesse emozioni.
E quelle stesse emozioni determinano gli stessi pensieri. Dai un’oc-
chiata alla Figura 3.2 e segui la sequenza sul come gli stessi pensieri
creino sempre la stessa realtà.

Figura 3.2.  Come creiamo la stessa realtà con il solo pensiero.

Il risultato di questo processo conscio o inconscio è che il tuo stato


fisiologico rimane invariato. Il cervello e il corpo non cambiano in
alcun modo, perché formuli gli stessi pensieri, svolgi le medesime
azioni e vivi secondo emozioni sempre uguali, anche se segreta-
mente speri che la tua vita cambi. Crei la stessa attività cerebrale
che attiva i soliti circuiti cerebrali e riproduce la stessa chimica nel
cervello, che a sua volta influisce in modo identico sulla chimica del
corpo, la quale segnala i medesimi geni con le consuete modalità.
E la stessa espressione genica crea le stesse proteine, i mattoni delle
87
cellule, che mantengono il corpo inalterato (andrò nello specifico
delle proteine in seguito). E poiché l’espressione delle proteine è
l’espressione della vita o della salute, la tua vita e la tua salute ri-
mangono inalterate.
Ora analizza la tua esistenza per un attimo. Cosa significa tutto
questo per te? Se oggi formuli gli stessi pensieri di ieri, è più che
probabile che farai scelte identiche. Le scelte di oggi porteran-
no agli stessi comportamenti domani. I comportamenti abituali
di domani produrranno le stesse esperienze nel tuo futuro. Gli
eventi nella tua realtà futura creeranno emozioni sempre uguali
e prevedibili. E di conseguenza, proverai le stesse sensazioni ogni
giorno. Il tuo ieri diventa il tuo domani e, di fatto, il passato è il
tuo futuro.
Se concordi con me fino a questo punto, allora potremmo dire
che la sensazione familiare che ho appena descritto sei “tu”: la tua
identità o la tua personalità. È il tuo modo d’essere. È rassicurante,
non richiede sforzo ed è automatico. È il “tu” noto che, in tutta
franchezza, vive nel passato. Se porti avanti questo processo ridon-
dante ogni giorno (perché ti svegli la mattina e prevedi e ricordi la
sensazione di “essere te” ogni giorno), con l’andare del tempo quel
modo d’essere conosciuto non può che provocare gli stessi pensie-
ri che ti indurranno a ricadere nel medesimo ciclo automatico di
scelte, comportamenti ed esperienze per arrivare di nuovo a quella
sensazione familiare che identifichi con “te”, lasciando invariata la
tua personalità.
Se questa è la tua personalità, allora la tua personalità crea la tua
realtà personale. È molto semplice. La tua personalità è il risultato
del tuo modo di pensare, agire e sentire. Perciò, la tua personalità
presente, che sta leggendo questa pagina, ha creato l’attuale realtà
personale che è la tua vita: questo significa che se desideri creare
una nuova realtà personale (una nuova vita), devi cominciare a esa-
minare i pensieri che formuli e cambiarli. Devi prendere coscienza
dei comportamenti inconsci che hai deciso di manifestare e che
hanno determinato le stesse esperienze, e poi devi fare scelte, azioni
ed esperienze nuove. La figura 3.3 mostra come la personalità in-
fluenzi la tua realtà personale.

88
LA TUA PERSONALITÀ
CREA LA TUA REALTÀ PERSONALE

Figura 3.3.  La tua personalità è il risultato del tuo modo di pensare, agire e
sentire. È il tuo modo d’essere. Perciò pensieri, azioni e sensazioni sempre uguali
ti rendono schiavo della stessa realtà personale del passato. Quando invece con la
tua personalità abbracci nuovi pensieri, azioni e sensazioni, crei inevitabilmente
una nuova realtà personale nel tuo futuro.

Devi osservare e prestare attenzione a quelle emozioni che hai me-


morizzato e che guidano la tua vita ogni giorno, e capire se basare
la tua esistenza su di esse equivale ad amarti. La maggior parte delle
persone cerca di creare una nuova realtà personale mantenendo la
vecchia personalità, ma questo metodo non funziona. Per cambiare
la tua vita, devi diventare letteralmente un’altra persona. Aggiornati
su dati scientifici comprovati a sostegno di questo processo. Guarda
la Figura 3.4 e segui la sequenza.
Se comprendi questo modello, allora converrai con me che nuovi
pensieri dovrebbero portare a nuove scelte. Nuove scelte dovreb-
bero portare a nuovi comportamenti. Nuovi comportamenti do-
vrebbero portare a nuove esperienze. Nuove esperienze dovrebbero
creare nuove emozioni che, insieme a nuove sensazioni, dovrebbe-
ro spingerti a pensare in modo diverso. Questo processo prende il
nome di “evoluzione”. La tua realtà personale e la tua biologia (i
circuiti cerebrali, la chimica interna, l’espressione genetica e, infine,
la salute) dovrebbero cambiare grazie a questa nuova personalità,
questo nuovo modo d’essere. Il tutto a partire da un pensiero.
89
Figura 3.4.  Come creiamo una nuova realtà con il solo pensiero.

UNA RAPIDA OCCHIATA


AL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO
Fino a questo punto, ho menzionato termini come circuiti cere-
brali, reti neurali, chimica cerebrale ed espressione genetica senza
dare molte spiegazioni sul loro significato. Perciò, nella parte re-
stante del capitolo, vorrei illustrare alcune semplici nozioni scien-
tifiche su come il cervello e il corpo collaborino per costruire un
modello completo che possa farti comprendere come diventare il
tuo placebo.
Il cervello è composto per almeno il 75 per cento di acqua, ha la
consistenza di un uovo alla coque ed è costituito da circa cento
miliardi di cellule nervose, chiamate neuroni, che sono perfetta-
mente disposte e sospese in questo ambiente acquoso. Ogni cellula
90
nervosa assomiglia a una quercia senza foglie, ma elastica, con rami
sinuosi e radici che si connettono e disconnettono ad altre cellule
nervose. Il numero di connessioni di ciascuna cellula nervosa varia
da mille a più di centomila, a seconda del posto che occupa all’in-
terno del cervello. Per esempio, nella neocorteccia (la parte pensan-
te del cervello) avvengono da diecimila a quarantamila connessioni
per neurone.
Eravamo abituati a pensare al cervello come a un computer ma,
pur essendoci delle somiglianze, ora sappiamo che c’è dell’altro.
Ogni neurone è un biocomputer a sé stante, con più di sessanta
megabyte di RAM. È in grado di elaborare enormi quantità di dati
(fino a centinaia di migliaia di funzioni al secondo). Mano a mano
che impariamo cose nuove e facciamo esperienze diverse, i neuroni
creano nuove connessioni, scambiandosi a vicenda informazioni
elettrochimiche. Questi collegamenti vengono denominati “con-
nessioni sinaptiche”, perché il luogo in cui avviene lo scambio di
informazioni tra cellule (lo spazio tra il ramo di un neurone e la
radice di un altro) si chiama “sinapsi”.
Se imparare significa creare nuove connessioni sinaptiche, ricordare
equivale a mantenerle attive. In effetti, la memoria è una relazione
o connessione di lunga durata tra cellule nervose. La creazione di
queste connessioni e i cambiamenti che subiscono nel tempo alte-
rano la struttura fisica del cervello.
Mentre il cervello realizza questi cambiamenti, i pensieri pro-
ducono una miscela di varie sostanze chimiche chiamate neuro-
trasmettitori (serotonina, dopamina e acetilcolina sono alcuni
esempi che probabilmente già conosci). Quando formuliamo dei
pensieri, i neurotrasmettitori sul ramo di un neurone attraversa-
no lo spazio sinaptico per raggiungere la radice di un altro neu-
rone. Una volta che questo spazio è stato attraversato, il neurone
si attiva per effetto di una scarica elettrica di informazioni. Se
formuliamo sempre gli stessi pensieri, il neurone continua ad
attivarsi nello stesso modo, rafforzando la relazione tra le due
cellule, affinché possano trasmettere il segnale con più facilità
alla prossima attivazione. Il cervello fornisce prove concrete che
qualcosa non è stato solo appreso, ma anche ricordato. Questo

91
processo di rafforzamento selettivo prende il nome di “potenzia-
mento sinaptico”.
Quando giungle di neuroni si attivano all’unisono per sostenere un
nuovo pensiero, all’interno della cellula nervosa si crea una nuo-
va sostanza chimica (una proteina) che si fa strada verso il cen-
tro, o nucleo, della cellula ed entra nel DNA. Qui attiva diversi
geni. Poiché il lavoro dei geni consiste nel produrre proteine che
mantengano sia la struttura sia la funzionalità del corpo, la cellula
nervosa forma rapidamente una nuova proteina per creare nuovi
rami tra le cellule nervose. Di conseguenza, quando ripetiamo un
pensiero o un’esperienza un numero sufficiente di volte, le cellule
cerebrali non solo rafforzano le connessioni tra di loro (influendo
sulle funzioni fisiologiche), ma creano anche un maggior numero
di connessioni totali (influendo sulla struttura fisica del corpo). A
livello microscopico il cervello appare arricchito.
Quindi, appena formuli un nuovo pensiero, realizzi un cambia-
mento a livello neurologico, chimico e genetico. In effetti, puoi
creare migliaia di nuove connessioni nel giro di pochi secondi gra-
zie a nuove conoscenze, modi di pensare diversi ed esperienze mai
vissute prima. Questo significa che basta il pensiero per attivare
personalmente nuovi geni all’istante. Per farlo, è sufficiente cam-
biare mentalità; è il dominio della mente sulla materia.
Il premio Nobel Eric Kandel ha dimostrato che quando si formano
nuovi ricordi, il numero di connessioni sinaptiche nei neuroni sen-
soriali stimolati raddoppia, arrivando a duemilaseicento. Tuttavia,
a meno che l’esperienza di apprendimento iniziale non si ripeta
più e più volte, il numero di nuove connessioni ritorna al numero
originario (milletrecento) nel giro di sole tre settimane.
Perciò, se ripetiamo ciò che impariamo un numero sufficiente di
volte, rafforziamo gruppi di neuroni che ci aiuteranno a ricorda-
re quell’informazione la volta successiva. Se non lo facciamo, le
connessioni sinaptiche scompariranno in fretta e il ricordo verrà
cancellato. È per questo che è importante aggiornare, riesaminare
e ricordare continuamente nuovi pensieri, scelte, comportamenti,
abitudini, credenze ed esperienze, se vogliamo che si consolidino

92
nel cervello.54 La figura 3.5 ti aiuterà a familiarizzare con i neuroni
e le reti neurali.

RETE NEURALE

Figura 3.5.  Questa è una semplice rappresentazione grafica dei neuroni in una
rete neurale. Lo spazio piccolissimo tra i rami dei singoli neuroni che ne agevola
la comunicazione prende il nome di “spazio sinaptico” (o fessura intersinaptica).
Circa centomila neuroni con più di un miliardo di interconnessioni occupano lo
spazio di un granello di sabbia.

Per avere un’idea di quanto sia davvero vasto questo sistema, im-
magina una cellula nervosa collegata ad altre quarantamila cellule
dello stesso tipo. Poniamo che essa elabori centomila bit di infor-
mazioni al secondo, condividendole con altri neuroni, che a loro
volta ne elaborano altrettanti. Questa rete, formata da gruppi di
neuroni che lavorano insieme, prende il nome di “rete neurale”.
Le reti neurali formano comunità di connessioni sinaptiche, che
possiamo anche definire neurocircuiti.

54. L. R. Squire ed E. R. Kandel, Come funziona la memoria: meccanismi mo-


lecolari e cognitivi. Zanichelli, 2010; vedi anche D. Church, The Genie in Your
Genes: Epigenetic Medicine and the New Biology of Intention. Elite Books, 2007,
p. 94.

93
Così come avvengono cambiamenti fisici nelle cellule nervose che
compongono la materia grigia del cervello, anche l’hardware fisi-
co del cervello cambia, adattandosi alle informazioni che riceve
dall’ambiente. Lo stesso avviene per i neuroni che sono selezionati
e indotti a organizzarsi in queste immense reti capaci di elaborare
centinaia di milioni di bit di dati. Con il tempo, ogni volta che si
attivano le reti (propagazioni di attività elettrica che convergono e
divergono simili a un tremendo temporale in un cielo denso di nu-
vole), il cervello continua a usare gli stessi sistemi hardware (le reti
fisiche neurali), ma crea anche un software (il programma di una
rete neurale automatica). È così che i programmi vengono installati
nel cervello. L’hardware crea il software, e il sistema software viene
incorporato nell’hardware; ogni volta che utilizziamo il software,
rafforziamo l’hardware.
Se formuli sempre gli stessi pensieri e provi le medesime sensa-
zioni perché non impari né fai nulla di nuovo, il cervello attiva i
neuroni e le reti neurali secondo sequenze, schemi e combinazioni
sempre identici, trasformandoli in programmi automatici che usi
inconsapevolmente ogni giorno. Hai una rete neurale automatica
per parlare una lingua, per raderti il viso o truccarti, per scrivere
al computer, per giudicare i colleghi di lavoro e così via, perché
hai svolto quelle azioni così tante volte che praticamente sono di-
ventate inconsce. Non devi più pensarci consapevolmente e non
richiedono alcuno sforzo.
Hai rinforzato quei circuiti così tante volte da averli fissati. Le con-
nessioni tra i neuroni diventano più strette, si formano circuiti ag-
giuntivi e i rami si espandono diventando fisicamente più robusti
(proprio come se stessi rafforzando e consolidando un ponte, co-
struendo nuove strade o allargando una superstrada per accogliere
più traffico).
Uno dei principi fondamentali della neuroscienza afferma: “Le cel-
lule nervose che si attivano insieme si programmano insieme.”55
Attivando il cervello più e più volte nello stesso modo, riproduci lo

55. Nota anche come regola di Hebb o legge di Hebb; vedi D. O. Hebb, L’or-
ganizzazione del comportamento. F. Angeli, 1975.

94
stesso livello mentale. Secondo la neuroscienza, la mente è cervel-
lo in azione o al lavoro. Quindi, possiamo dire che se ricordi a te
stesso chi pensi di essere ogni giorno riproducendo la stessa dispo-
sizione mentale, induci il cervello ad accendersi nello stesso modo e
attivi le medesime reti neurali per anni e anni. Intorno ai trent’an-
ni, il cervello si è organizzato in una configurazione predefinita di
programmi automatici, secondo uno schema fisso che corrisponde
alla tua identità.
Immaginala come una scatola all’interno del cervello. Ovviamente,
non c’è nessuna scatola nella tua testa, ma è un’immagine efficace
per spiegare il concetto: dire che i tuoi pensieri sono all’interno
della scatola significa che hai configurato fisicamente il cervello se-
condo un modello limitato, come illustrato nella Figura 3.6. Ripro-
ducendo di continuo lo stesso livello mentale, il gruppo di circuiti
innescati e attivati più spesso in senso neurologico predetermina
chi sei, come risultato spontaneo della tua volontà.

NEURORIGIDITÀ

Figura 3.6.  Se pensieri, scelte, comportamenti, esperienze e stati emotivi


rimangono inalterati per anni (e gli stessi pensieri corrispondono sempre alle
stesse sensazioni, rafforzando questo ciclo infinito), allora il tuo cervello assume
una configurazione predefinita. Questo avviene perché riproduci la stessa
disposizione mentale ogni giorno, inducendo il cervello ad attivarsi secondo
schemi sempre identici. Nel tempo, ciò rafforza biologicamente un insieme
specifico e limitato di reti neurali, predisponendo fisicamente il cervello a creare lo
stesso livello mentale; questo significa “pensare nella scatola”. L’insieme di questi
circuiti configurati prende il nome di identità.

95
NEUROPLASTICITÀ
Il nostro obiettivo, quindi, è pensare fuori dalla scatola, ovvero in
modo non convenzionale, per attivare il cervello in modi nuovi,
come illustrato nella Figura 3.7. Ecco cosa significa avere una men-
te aperta: ogni volta che fai lavorare il cervello in modo diverso,
cambi letteralmente mente.

NEUROPLASTICITÀ

Figura 3.7.  Quando impari cose nuove e cominci a pensare in modo diverso,
accendi il cervello secondo sequenze, schemi e combinazioni insoliti, il che
significa attivare una vasta gamma di reti neurali secondo nuove modalità. E
ogni volta che fai lavorare il cervello in modo diverso, cambi la mente. Quando
inizi a “pensare fuori dalla scatola”, nuovi pensieri portano a nuove scelte, a nuovi
comportamenti, a nuove esperienze e a nuove emozioni, e anche la tua identità
inizia a cambiare.

Le ricerche dimostrano che il cervello cresce e cambia mano a mano


che lo usiamo grazie alla neuroplasticità: la capacità di adattarsi e
cambiare quando apprendiamo nuove informazioni. Per esempio,
quanto più a lungo i matematici studiano matematica, tanto più
numerosi sono i rami neurali nella zona del cervello preposta al cal-
colo.56 E dopo anni di esibizioni sinfoniche e orchestrali, i musicisti

56. K. Aydin, A. Ucar, K. K. Oguz, et al., “Increased Gray Matter Density in


the Parietal Cortex of Mathematicians: A Voxel-Based Morphometry Study”,
American Journal of Neuroradiology, vol. 28, n. 10: pp. 1859–1864 (2007).

96
professionisti espandono la parte del cervello associata al linguag-
gio e alle abilità musicali.57
I termini scientifici ufficiali per spiegare il funzionamento della
neuroplasticità sono “pruning” (potatura) e “sprouting” (gemma-
zione), intesi nella loro accezione letterale: sbarazzarsi di un cer-
to numero di connessioni, modelli e circuiti neurali e crearne di
nuovi. In un cervello ben funzionante, questo processo avviene nel
giro di pochi secondi. I ricercatori dell’Università della California
di Berkeley hanno dimostrato il fenomeno in uno studio condotto
su topi di laboratorio. Hanno scoperto che i topi che vivono in un
ambiente arricchito (condividendo la gabbia con fratelli e figli, e
con la possibilità di accedere a vari giocattoli) hanno cervelli più
grandi e con un maggior numero di neuroni e connessioni rispet-
to ai topi che vivono in ambienti meno stimolanti.58 Ancora una
volta, quando impariamo cose nuove e facciamo nuove esperienze,
cambiamo letteralmente il nostro cervello.
Liberarsi dalle catene della programmazione predefinita e dai con-
dizionamenti che non ci fanno cambiare richiede uno sforzo note-
vole. Occorre anche una buona dose di conoscenza, perché quando
apprendi informazioni essenziali su di te o sulla tua vita, realizzi
uno schema del tutto nuovo nel ricamo tridimensionale della tua
materia grigia. Ora disponi di più materie prime per far funzionare
il cervello in modi nuovi e diversi. Cominci a pensare e a percepire
la realtà in un altro modo, perché inizi a vedere la vita attraverso il
filtro di una mente nuova.

57. V. Sluming, T. Barrick, M. Howard, et al., “Voxel-Based Morphometry


Reveals Increased Gray Matter Density in Broca’s Area in Male Symphony Or-
chestra Musicians”, NeuroImage, vol. 17, n. 3: pp. 1613–1622 (2002).
58. M. R. Rosenzweig and E. L. Bennett, “Psychobiology of Plasticity: Ef-
fects of Training and Experience on Brain and Behavior”, Behavioural Brain
Research, vol. 78, n. 1: pp. 57–65 (1996); E. L. Bennett, M. C. Diamond, D.
Krech, et al., “Chemical and Anatomical Plasticity Brain”, Science, vol. 146, no.
3644: pp. 610–619 (1964).

97
ATTRAVERSARE IL FIUME DEL CAMBIAMENTO
A questo punto, capisci che per cambiare devi prendere coscienza
del tuo sé inconscio che, ora lo sai, è solo un insieme di programmi
preconfigurati.
La parte più complicata del cambiamento consiste nell’evitare di
ripetere le stesse scelte che abbiamo fatto il giorno prima. La diffi-
coltà sta nel fatto che ci sentiamo a disagio quando smettiamo di
formulare gli stessi pensieri che ci portano a scelte identiche, a com-
portamenti automatici, a vivere i medesimi eventi e a riaffermare le
emozioni tipiche della nostra identità. Questo nuovo stato d’essere
è sconosciuto, ignoto. Non ci appare “normale”. Non ci sentiamo
più noi, perché non lo siamo più. E dato che tutto sembra incerto,
non riusciamo più a prevedere la sensazione del sé familiare e come
si rispecchia nella nostra vita.
Per quanto spiacevole possa essere all’inizio, è in quel momen-
to che sappiamo di essere entrati nel fiume del cambiamento,
nell’ignoto. Non appena smettiamo di essere il nostro vecchio io,
dobbiamo oltrepassare lo spazio che ci separa dal nuovo io, come
risulta chiaramente dalla Figura 3.8. In altre parole, assumere una
nuova personalità non è una questione di pochi istanti. Ci vuole
tempo.
Di solito, quando una persona attraversa il fiume del cambiamen-
to, ovvero quello spazio vuoto che separa il vecchio io dal nuovo,
si sente talmente a disagio che decide di tornare subito indietro.
Inconsciamente pensa: “Non lo trovo giusto, sono a disagio, non
mi sento bene.” Nel momento in cui accetta questo pensiero o au-
tosuggestione (si lascia suggestionare dai suoi stessi pensieri), tor-
na a fare le solite vecchie scelte, che innescano una sequenza di
comportamenti abituali. Essi, a loro volta, determinano le stesse
esperienze, che automaticamente suscitano le medesime emozioni
e sensazioni. Dopodiché, la persona dirà tra sé: “Lo trovo giusto.”
Ma in realtà intende “familiare”.
Quando comprendiamo che attraversare il fiume del cambiamen-
to e provare quella sensazione di disagio corrispondono alla morte
biologica, neurologica, chimica e persino genetica del vecchio io,

98
possiamo controllare il cambiamento e volgere lo sguardo verso la
riva opposta. Dobbiamo accettare il fatto che il cambiamento è la
denaturazione del circuito innescato da anni di pensieri inconsci
sempre identici. Se comprendiamo che quel disagio è il risultato
dello smantellamento di vecchi atteggiamenti, convinzioni e perce-
zioni impressi nella nostra architettura cerebrale, possiamo tenere
duro. I desideri che contrastiamo nel bel mezzo del cambiamento
sono vere e proprie crisi di astinenza da dipendenze chimico-emo-
zionali del corpo: se ne diventiamo consapevoli, possiamo superar-
le. Se capiamo che abitudini e comportamenti subconsci lasciano
il posto a modificazioni biologiche che cambiano il nostro corpo a
livello cellulare, possiamo continuare e andare avanti. E se teniamo
presente che stiamo modificando i geni che ci sono stati donati da
questa vita e da imprecisate generazioni passate, possiamo rimanere
concentrati, decisi ad andare fino in fondo.

ATTRAVERSARE IL FIUME DEL CAMBIAMENTO

Figura 3.8.  Per attraversare il fiume del cambiamento devi abbandonare il sé


familiare e prevedibile di sempre (collegato a pensieri, scelte, comportamenti e
sensazioni che si ripetono immutate) ed entrare nel vuoto o nell’ignoto. Lo spazio
che divide il vecchio io da quello nuovo corrisponde alla morte biologica della
vecchia personalità. Se il vecchio io è destinato a morire, devi crearne uno nuovo
con pensieri, scelte, comportamenti ed emozioni che non hai mai sperimentato
prima. Entrando in questo fiume, ti avvii verso uno nuovo io, sconosciuto e
imprevedibile. L’ignoto è l’unico luogo in cui puoi creare; non puoi farlo attraverso
ciò che già conosci.

99
Questa esperienza viene spesso definita notte oscura dell’anima.
È la fenice che si dà fuoco riducendosi in cenere. Il vecchio io
deve morire affinché possa rinascere un nuovo io. È normale sen-
tirsi a disagio!
Ma è giusto che sia così, perché l’ignoto è il posto perfetto per
creare; è il luogo delle possibilità. Cosa potrebbe esserci di meglio?
Molti di noi sono stati condizionati a fuggire dall’ignoto, ma ora
dobbiamo imparare a sentirci a nostro agio, anziché temerlo.
Se mi dicessi che non ti piace stare in quel vuoto perché ti senti
disorientato e non sai quello che ti aspetta visto che non sei più
in grado di prevedere il futuro, ti direi che è grandioso, perché il
modo migliore per prevedere il futuro è crearlo, ma non a partire
da ciò che è noto, bensì dall’ignoto.
Con la nascita del nuovo io, cambiamo anche a livello biologico at-
traverso la gemmazione di nuove connessioni neurali, che vengono
sigillate dalla scelta consapevole di pensare e agire in modo nuovo
ogni giorno. Per rinforzarle, dobbiamo ripetere le stesse esperienze
fino a farle diventare un’abitudine. In tal modo, acquisiamo fami-
liarità con i nuovi stati chimici prodotti dalle emozioni collegate a
un numero sufficiente di esperienze. Grazie ai segnali ricevuti, nuo-
vi geni rendono possibile il rinnovamento del nostro modo d’essere
attraverso la produzione di nuove proteine. E se, come abbiamo
visto, l’espressione delle proteine è l’espressione dell’esistenza, che
a sua volta corrisponde alla salute del corpo, allora ne deriverà un
nuovo livello di benessere e di vita strutturale e funzionale. Si svi-
lupperanno una mente nuova e un corpo rinnovato.
Ora, quando un nuovo giorno spunta dopo la lunga notte di oscu-
rità e la fenice risorge dalle sue ceneri, significa che abbiamo in-
ventato un nuovo io, la cui espressione fisica e biologica implica
diventare qualcun altro. È una vera e propria metamorfosi.

SUPERARE L’AMBIENTE ESTERNO


Visto sotto un’altra ottica, il cervello è organizzato per riflettere tut-
to ciò che sai e che hai sperimentato nella vita. Ogni volta che hai
interagito con il mondo esterno, quegli eventi ti hanno plasmato

100
e modellato facendoti diventare chi sei oggi. Le complesse reti di
neuroni che si sono attivate e collegate tra loro da quando vivi sulla
Terra hanno creato miliardi e miliardi di connessioni, perché hai
imparato e hai accumulato ricordi. Dato che ogni punto di incon-
tro tra un neurone e un altro prende il nome di “memoria”, il cer-
vello è una registrazione vivente del passato. Le innumerevoli espe-
rienze vissute in momenti e luoghi diversi nell’ambiente esterno
di riferimento si sono impresse nei recessi della tua materia grigia.
Quindi, per natura, la maggior parte di noi pensa al passato, perché
usa lo stesso hardware e software della memoria storica. E se vivia-
mo la stessa vita ogni giorno facendo le stesse cose alla solita ora,
vedendo le medesime persone negli stessi luoghi, creando esperien-
ze identiche a quelle di ieri, allora il mondo esteriore influenzerà
quello interiore, rendendoci schiavi di questo meccanismo. L’am-
biente in cui viviamo controlla il nostro modo di pensare, agire e
sentire. Siamo vittime delle realtà personali, che creano la nostra
personalità in un processo ormai inconscio. Ciò porta a riaffermare
gli stessi pensieri e sensazioni, creando un connubio tra il nostro
mondo esteriore e quello interiore, che si fondono e diventano la
stessa cosa; così noi restiamo identici.
Se l’ambiente in cui viviamo regola ciò che pensiamo e proviamo
ogni giorno, per cambiare bisognerà che qualcosa riguardo a noi o
alla nostra vita trascenda le circostanze attuali del nostro ambiente.

PENSARE E SENTIRE, SENTIRE E PENSARE


Così come i pensieri sono il linguaggio del cervello, le sensazioni
sono il linguaggio del corpo. Il tuo modo di pensare e di sentire
crea uno stato d’essere, frutto della collaborazione tra mente e cor-
po. Perciò, il tuo attuale stato d’essere è espressione di un autentico
collegamento mente-corpo.
Ogni volta che formuli un pensiero, oltre a creare dei neurotra-
smettitori, il cervello produce anche un’altra sostanza chimica: una
piccola proteina chiamata neuropeptide che invia un messaggio al
corpo, il quale reagisce esprimendo una sensazione. Il cervello, al-
lora, genera un altro pensiero in linea con quella sensazione, pro-

101
ducendo ulteriori messaggi chimici che inducono a pensare in base
a ciò che si prova.
Così, il pensiero crea la sensazione e viceversa. Si tratta di un ci-
clo (che, per la maggior parte delle persone, può andare avanti per
anni). E dato che il cervello agisce in base alle sensazioni del corpo
generando pensieri che produrranno le stesse emozioni, è evidente
che i pensieri ridondanti configurano il cervello secondo uno sche-
ma fisso di neurocircuiti.
Ma cosa succede nell’organismo? Dato che le sensazioni sono il
modus operandi del corpo, le emozioni che provi di continuo sulla
base dei pensieri automatici condizionano il corpo a memorizzare
sensazioni corrispondenti alla configurazione inconscia della mente
e del cervello. Ciò significa che la mente conscia non ha alcun po-
tere. Il corpo è stato inconsciamente programmato e condizionato,
in modo molto concreto, a diventare la mente.
Alla fine, se questo circolo di pensieri e sensazioni e poi di sensa-
zioni e pensieri si ripete abbastanza a lungo, il corpo memorizza le
emozioni che il cervello gli ha segnalato di provare. Consolidandosi
e radicandosi, questo circolo crea un modo d’essere familiare, ba-
sato su vecchie informazioni che continuano a riproporsi. Quelle
emozioni, mere registrazioni chimiche delle esperienze passate, gui-
dano i pensieri e si ripresentano più volte. Finché questo processo
continua, viviamo nel passato. Non c’è da stupirsi se cambiare il
futuro ci riesce così difficile!
Se i neuroni si attivano in modo identico, innescano il rilascio degli
stessi neurotrasmettitori chimici e neuropeptidi nel cervello e nel
corpo. Queste sostanze chimiche iniziano ad abituare il corpo a
ricordare quelle emozioni, riproducendo la stessa alterazione fisica.
Le cellule e i tessuti ricevono questi specifici segnali chimici in siti
recettoriali ben precisi, che funzionano come punti di attracco per
i messaggeri chimici. Lì i messaggeri si incastrano perfettamente,
come nei giochi per bambini in cui certe forme, come un cerchio,
un triangolo o un quadrato, si inseriscono nelle apposite cavità.
Pensa ai messaggeri chimici, vere e proprie molecole di emozioni,
come a trasportatori di codici a barre che permettono ai recettori

102
cellulari di leggere la loro energia elettromagnetica. Quando si crea
l’incastro perfetto, il sito recettoriale si prepara. Il messaggero si
aggancia, la cellula riceve le informazioni chimiche e poi crea o
altera una proteina, che attiva il DNA della cellula all’interno del
nucleo. Il DNA si apre e si snoda, poi viene letto il gene relativo
a quel messaggio extracellulare e la cellula sintetizza una nuova
proteina dal suo DNA (per esempio, un particolare ormone) e la
rilascia nel corpo.
In questo modo, il corpo viene istruito dalla mente. Se per anni alla
cellula giungono gli stessi segnali provenienti dal medesimo livello
mentale (a causa di pensieri, azioni e sensazioni identici ripetuti
ogni giorno), allora è ovvio che verranno attivati gli stessi geni nel
modo consueto, perché il corpo riceve gli stessi dati dall’ambiente.
Non ci sono nuovi pensieri da innescare, nuove scelte da compiere,
nuovi comportamenti da tenere, nuove esperienze da vivere, nuo-
ve sensazioni da provare. Quando gli stessi geni vengono ripetuta-
mente attivati dalle medesime informazioni provenienti dal cervel-
lo, iniziano a deteriorarsi, proprio come avviene per gli ingranaggi
di una macchina. Il corpo produce proteine attraverso strutture più
deboli e funzioni minori. Ci ammaliamo e invecchiamo.
Con il tempo, possono verificarsi due scenari. L’intelligenza della
membrana cellulare, che riceve costantemente le stesse informazio-
ni, può adattarsi alle esigenze e alle richieste del corpo modificando
i suoi siti recettoriali al fine di ospitare una quantità maggiore di
queste sostanze chimiche. In pratica, crea più punti di attracco per
soddisfare la domanda, proprio come i supermercati aprono casse
supplementari quando le file diventano troppo lunghe. Se gli affari
vanno bene (se quelle stesse sostanze chimiche continuano ad arri-
vare), bisogna assumere altri impiegati e tenere aperte più casse. In
questo caso, il corpo coincide con la mente ed è diventato mente
esso stesso.
Nel secondo scenario, la cellula viene talmente sopraffatta dai con-
tinui bombardamenti di sensazioni ed emozioni istante dopo istan-
te da non poter consentire a tutti i messaggeri chimici di agganciar-
si. Poiché le stesse sostanze chimiche restano in attesa davanti alle
porte della stazione di ancoraggio giorno dopo giorno, la cellula

103
si abitua alla loro presenza. Così, solo quando il cervello produ-
ce emozioni molto più intense, la cellula è disposta ad aprire le
sue porte e ad attivarsi. (Più avanti, troverai maggiori informazioni
sull’importanza delle emozioni, una variabile fondamentale dell’e-
quazione placebo).
Nel primo scenario, quando la cellula crea nuovi siti recettoriali, il
corpo prova il desiderio di quelle sostanze chimiche specifiche se
il cervello non ne produce abbastanza e, di conseguenza, le sensa-
zioni determinano i pensieri: il corpo controlla la mente. È questo
ciò che intendo quando dico che il corpo memorizza l’emozione.
Esso è stato condizionato a livello biologico e alterato in modo da
diventare un riflesso della mente.
Nel secondo scenario, non appena la cellula viene travolta dal
bombardamento e i recettori diventano insensibili, il corpo richie-
de uno stimolo chimico maggiore per attivare la cellula, proprio
come accade a un tossicodipendente. In altre parole, affinché il
corpo venga stimolato e risolva il problema, è necessario che tu sia
più arrabbiato, preoccupato, in colpa o confuso dell’ultima volta.
Quindi, può darsi che tu senta il bisogno di innescare un piccolo
dramma urlando contro il tuo cane senza motivo, solo per dare al
corpo la sua sostanza preferita. O magari non puoi fare a meno di
dire quanto disprezzi tua suocera, aumentando così la disponibilità
di sostanze chimiche capaci di attivare la cellula. Oppure ti lasci
ossessionare dall’idea di un esito terribile al solo scopo di ricevere
una scarica di adrenalina. Quando questi bisogni chimici emotivi
non vengono più soddisfatti, il corpo invia segnali al cervello af-
finché produca ancora quelle sostanze: il corpo controlla la mente,
ricalcando i tratti di una dipendenza. Ora, quando userò il termine
dipendenza emotiva, saprai a cosa mi riferisco.
Se le sensazioni diventano strumenti per pensare, e se non riu-
sciamo a trascendere le nostre emozioni con il pensiero, siamo nel
programma. Pensiamo quello che proviamo e proviamo quello che
pensiamo. Le esperienze che viviamo sono una fusione di pensieri e
sensazioni che si confondono a tal punto da diventare pensazioni e
sensieri. Intrappolati in questo circolo, il corpo e la mente inconscia
credono di vivere nella stessa esperienza passata ventiquattro ore

104
al giorno, sette giorni alla settimana, trecentosessantacinque giorni
all’anno. La mente e il corpo sono un tutt’uno, allineati a un de-
stino predeterminato dai nostri programmi inconsci. Per cambiare,
bisogna superare il corpo e i suoi ricordi emozionali, le sue dipen-
denze e le sue assuefazioni inconsce; il che significa non lasciarsi più
definire dal corpo diventato mente.
La ripetizione del ciclo pensare e sentire e poi sentire e pensare è
il processo di condizionamento del corpo che la mente cosciente
mette in atto. Quando il corpo diventa la mente, si parla di “abitu-
dine”. Intorno ai trentacinque anni d’età, il 95 per cento della tua
identità è costituito da un insieme di comportamenti, competenze,
reazioni emotive, convinzioni, percezioni e atteggiamenti memo-
rizzati che funziona come un programma informatico subconscio
e automatico.
Perciò il 95 per cento della tua identità è un modo d’essere subcon-
scio o addirittura inconscio. Ciò significa che la tua mente conscia
rappresenta solo il 5 per cento e lavora contro il 95 per cento di
ciò che hai memorizzato a livello subconscio. Puoi pensare positivo
quanto vuoi, ma quel 5 per cento cosciente avrà la sensazione di
nuotare controcorrente rispetto al restante 95 per cento costituito
dalla chimica inconscia del corpo, che ricorda e memorizza tutte le
negatività che hai assorbito negli ultimi trentacinque anni. Questo
significa che mente e corpo lavorano in opposizione. Non c’è da
stupirsi se non arrivi molto lontano quando cerchi di contrastare
la corrente!
Ho intitolato il mio ultimo libro Cambia l’abitudine di essere te
stesso, proprio perché la principale abitudine che dobbiamo modi-
ficare è questa: pensare, sentire e comportarci sempre nello stesso
modo, rafforzando i programmi inconsci che riflettono la nostra
personalità e la nostra realtà personale. Finché viviamo nel passato,
non possiamo creare un nuovo futuro. È praticamente impossibile.

CHE COSA TI SERVE PER ESSERE IL TUO PLACEBO


Ecco un esempio che ci aiuterà a tirare le fila del discorso. Scel-
go volutamente un evento negativo, perché circostanze del genere

105
tendono a limitarci, mentre quelle più fortunate, incoraggianti ed
esaltanti di solito ci aiutano a creare un futuro migliore. Chiarirò
tra poco questo processo.
Supponiamo che in passato, parlando in pubblico, tu abbia vissu-
to un’esperienza terribile che ti ha segnato emotivamente. (Sentiti
libero di sostituirla con qualunque evento ti abbia lasciato cicatrici
profonde.) A causa di quell’esperienza, ora hai paura di alzarti e
prendere la parola davanti a un gruppo di persone. Ti senti insi-
curo, ansioso e a disagio. Se solo pensi di trovarti di fronte a venti
persone in una sala riunioni, la gola ti si chiude, le mani iniziano a
sudare, il cuore batte all’impazzata, viso e collo diventano paonazzi,
lo stomaco ti si contorce e il cervello si blocca.
Tutte queste reazioni sono innescate dal sistema nervoso auto-
nomo, che agisce a livello subconscio (al di sotto del controllo
cosciente). Autonomo equivale a dire automatico: è la parte del
sistema nervoso che regola la digestione, la produzione di ormo-
ni, la circolazione sanguigna, la temperatura corporea e così via,
senza alcun controllo cosciente da parte tua. Non puoi decidere
di cambiare la frequenza cardiaca, ridurre l’irrorazione sangui-
gna degli arti per abbassarne la temperatura, far arrossire viso e
collo, alterare le secrezioni metaboliche degli enzimi digestivi o
bloccare l’attivazione di milioni di cellule nervose a comando.
Per quanto tu possa provare a modificare in modo consapevole
una qualsiasi di queste funzioni, probabilmente ti accorgerai di
non riuscirci.
Di conseguenza, se il corpo opera questi cambiamenti fisiologici
autonomi, è perché hai associato il pensiero futuro di tenere un
discorso di fronte a un pubblico al ricordo emotivo della disastrosa
esperienza passata. E quando quel pensiero, quell’idea o quella pos-
sibilità futura vengono associati all’ansia, al senso di fallimento e di
imbarazzo provati in passato, con il tempo la mente condizionerà il
corpo a rispondere automaticamente a quella sensazione. È così che
entriamo di continuo in modi d’essere familiari: i pensieri e le sen-
sazioni diventano un tutt’uno con il passato, perché non riusciamo
a trascendere con il pensiero le nostre emozioni.

106
Ora, diamo uno sguardo più da vicino a quello che succede nel
cervello. L’evento specifico che, a livello neurologico, si è impres-
so come un ricordo del passato (ricorda: l’esperienza arricchisce
i circuiti cerebrali) s’imprime nel cervello, proprio come un’im-
pronta. Perciò, puoi ripercorrere i tuoi passi e rievocare l’espe-
rienza negativa, ricordandola sotto forma di pensiero. Perché sia
possibile richiamarla a comando, l’esperienza deve avere una ca-
rica emotiva abbastanza intensa. In questo modo, puoi rievocare
emotivamente tutte le sensazioni legate al tentativo fallimentare
di essere un bravo oratore, perché è come se quell’esperienza ti
avesse alterato chimicamente.
Voglio sottolineare che le sensazioni e le emozioni sono i prodotti
finali delle esperienze passate. Quando sei coinvolto in una situa-
zione, i sensi catturano l’evento e poi trasmettono tutte quelle in-
formazioni vitali al cervello attraverso cinque diversi percorsi senso-
riali. Non appena questi nuovi dati raggiungono il cervello, milioni
di cellule nervose si organizzano in nuove reti per riflettere l’evento
esterno appena successo. Nel momento in cui tali circuiti prendo-
no forma, il cervello produce una sostanza chimica per indurre il
corpo a modificare la sua fisiologia. Tale sostanza chimica prende il
nome di sensazione o emozione. Quindi, se conserviamo memoria
degli eventi passati, è perché possiamo ricordare le sensazioni che
abbiamo provato.
Quando il tuo discorso in pubblico è andato male, tutte le in-
formazioni che i cinque sensi stavano raccogliendo nell’ambiente
esterno hanno modificato le sensazioni nel tuo ambiente inter-
no. Le informazioni che i sensi stavano elaborando (i volti tra il
pubblico, l’ampiezza della sala, le luci accese sopra di te, l’eco del
microfono e il silenzio assordante dopo il tuo primo tentativo
di fare una battuta, l’improvviso aumento di temperatura in sala
nel momento in cui hai cominciato a parlare, l’odore della tua
vecchia acqua di colonia che evaporava insieme al sudore) hanno
cambiato il tuo modo d’essere interno. E nel momento in cui hai
collegato questo particolare evento che si è verificato nel mondo
esteriore dei sensi (la causa) ai cambiamenti in corso nel tuo mon-
do interiore, fatti di pensieri e sensazioni (l’effetto), hai creato

107
un ricordo. Hai associato una causa a un effetto, dando inizio al
processo di condizionamento.
Dopo la tortura autoinflitta di quel giorno, che per fortuna si è
conclusa senza lanci di ortaggi e frutta marcia verso di te, sei torna-
to a casa. Lungo il tragitto, hai continuato a rievocare l’evento. E in
diversa misura, ogni volta che hai ricordato l’esperienza, riprodu-
cendo cioè lo stesso livello mentale di quel momento, hai innescato
gli stessi cambiamenti chimici nel cervello e nel corpo. In un certo
senso, hai riaffermato più volte il passato, portando avanti il pro-
cesso di condizionamento.
Dato che il corpo agisce come la mente inconscia, quando hai ri-
cordato l’episodio, non ha fatto distinzione tra l’evento reale che
aveva creato quello stato emotivo e le emozioni originate solo dal
pensiero. Il corpo ha creduto di rivivere la stessa esperienza più vol-
te, anche se in realtà eri da solo, comodamente seduto in macchi-
na, e ha risposto fisiologicamente come se stessi davvero rivivendo
l’esperienza nel presente. Attivando i circuiti cerebrali derivanti dai
pensieri legati a quell’evento, hai dato sostegno fisico alle connes-
sioni sinaptiche e hai stabilito legami ancora più duraturi all’inter-
no di queste reti, creando una memoria a lungo termine.
Arrivato a casa, hai raccontato ciò che ti è capitato al partner, agli
amici e forse anche a tua madre. Nel descrivere il trauma nei detta-
gli più penosi, hai alimentato uno stato di estrema agitazione. Ri-
vivendo le emozioni di quella brutta avventura, dal punto di vista
chimico hai allineato il corpo all’evento di quel giorno, abituando-
lo, a livello subconscio, inconscio e automatico a essere fisiologica-
mente la tua storia personale.
Nei giorni seguenti sei stato di malumore. Gli altri non poteva-
no fare a meno di notarlo, e ogni volta che qualcuno ti chiedeva:
“Cosa c’è che non va?”, non potevi resistere. Approfittavi della do-
manda per cedere alla scarica chimica indotta dal passato. Lo sta-
to d’animo provocato da questa esperienza è diventato una lunga
reazione emotiva durata giorni. Quando le settimane trascorse a
provare le stesse emozioni ogni volta che ricordavi l’evento si sono
trasformate in mesi, e poi in anni, quella reazione emotiva è diven-

108
tata persistente tanto che, ormai, è diventata parte non solo del tuo
temperamento, del tuo carattere e della tua natura, ma anche della
tua personalità. È quello che sei.
Se qualcuno ti chiede di nuovo di parlare in pubblico, automatica-
mente rabbrividisci, indietreggi e diventi ansioso. L’ambiente ester-
no controlla quello interno e non riesci ad andare oltre. Mentre
prevedi che il tuo futuro (tenere un discorso in pubblico) susciterà
in te sensazioni simili a quelle del passato (un tormento insosteni-
bile), come per magia, il tuo corpo, agendo come se fosse la mente,
reagisce automaticamente e inconsciamente. Per quanti tentativi tu
possa fare, è come se la mente cosciente non riuscisse a controllarlo.
Nel giro di pochi secondi, si manifestano milioni di risposte con-
dizionate provenienti dal cervello e dalla riserva farmaceutica del
corpo: sudorazione abbondante, secchezza della bocca, ginocchia
deboli, nausea, vertigini, mancanza di respiro, stanchezza incon-
trollabile; tutto a causa di un unico pensiero che cambia la tua
fisiologia. Mi ricorda tanto l’effetto placebo!
Se potessi, declineresti l’invito a tenere il discorso, dicendo cose
del tipo: “Non sono capace”, “Sono insicuro di fronte alla gente”,
“Sono un pessimo presentatore” o “Ho troppo paura di parlare
davanti a così tante persone.” Quando dici: “Io sono…” (comple-
ta la frase come preferisci), dichiari che la mente e il corpo sono
allineati rispetto a un certo futuro, o che i tuoi pensieri e le tue
sensazioni sono tutt’uno con il tuo destino. Stai rafforzando uno
stato d’essere memorizzato.
Se per caso ti chiedessero perché hai deciso di farti definire dal tuo
passato, così come dalle tue limitazioni autoimposte, sono certo
che racconteresti una storia che ricalca i ricordi e le emozioni vis-
sute, ribadendo a te stesso di essere in quel modo. Probabilmente
ci ricameresti anche un po’ sopra. Da un punto di vista biologico,
riveli in realtà di essere stato alterato fisicamente, chimicamente
ed emotivamente da quell’evento diversi anni fa, e di non essere
cambiato molto da allora. Hai scelto di farti definire dai tuoi limiti.
In questo esempio, si potrebbe dire che sei schiavo del corpo (per-
ché ora è diventato la mente), sei bloccato dalle condizioni del

109
tuo ambiente (perché l’esperienza legata a persone e cose in un
determinato luogo e tempo continua a influenzare il tuo modo di
pensare, agire e sentire) e ti perdi nel tempo (perché vivendo nel
passato e anticipando il futuro, la mente e il corpo non sono mai
nel momento presente). Perciò, per cambiare il tuo modo d’essere
attuale, dovresti essere superiore a questi tre elementi: corpo, am-
biente e tempo.
Se ora rileggi l’inizio del capitolo, dove si dice che il placebo è de-
terminato da tre elementi (condizionamento, aspettative e signi-
ficato), puoi comprendere il motivo per cui sei tu il tuo placebo.
Perché? Perché tutti e tre gli elementi entrano in gioco nell’esempio
precedente.
In primo luogo, come un talentuoso addestratore di animali, hai
condizionato il corpo a entrare in un modo d’essere subconscio in
cui diventa tutt’uno con la mente (pensieri e sensazioni si fondo-
no). Il corpo è stato programmato a essere automaticamente, biolo-
gicamente e fisiologicamente la mente, solo con il pensiero. E ogni
volta che ricevi uno stimolo dall’ambiente esterno (come l’invito a
parlare in pubblico) condizioni il corpo, proprio come aveva fatto
Pavlov con i suoi cani, a rispondere inconsciamente e automatica-
mente al ricordo dell’esperienza passata.
Dato che la maggior parte degli studi sul placebo mostra che un
solo pensiero può attivare il sistema nervoso autonomo del corpo
e produrre cambiamenti fisiologici rilevanti, possiamo dire che è
sufficiente associare un’idea a un’emozione per controllare il pro-
prio mondo interiore. Tutti i sistemi autonomi subconsci vengono
rinforzati a livello neurochimico dalle sensazioni familiari e dalle
percezioni fisiche legate alla paura, e la nostra biologia riflette alla
perfezione questo meccanismo.
In secondo luogo, se ti aspetti che il futuro assomigli al passato,
allora non solo pensi a ciò che è già accaduto, ma selezioni anche
un futuro già noto basato solo sul passato, e accogli emotivamente
questo evento tanto che il tuo corpo (in veste di mente inconscia)
crede di vivere in quel futuro già nel momento presente. Concen-
tri tutta l’attenzione su una realtà nota e prevedibile, che ti porta

110
a limitare nuove scelte, nuovi comportamenti, nuove esperienze e
nuove emozioni. Aggrappandoti fisiologicamente al passato, preve-
di inconsciamente il futuro.
Infine, se attribuisci un certo significato o un’intenzione consape-
vole a un’azione, il risultato si amplifica. Sono le cose che ripeti
quotidianamente a te stesso (nella fattispecie, che non sei un buon
oratore e che parlare in pubblico suscita in te una reazione di pa-
nico) che hanno significato per te. Diventi sensibile alle tue auto-
suggestioni. E se le tue conoscenze attuali si basano su conclusioni
tratte da esperienze passate, senza informazioni aggiuntive, con-
tinuerai a produrre conseguenze che rispecchiano la tua disposi-
zione mentale. Cambia significato e intenzione e, proprio come le
cameriere d’albergo dello studio descritto nel capitolo precedente,
otterrai risultati diversi.
Quindi, sia che tu stia cercando di attuare un cambiamento positi-
vo per creare un nuovo modo d’essere o che abbia inserito il pilota
automatico, rimanendo bloccato nel tuo vecchio stato d’essere, la
verità è che sei sempre tu il tuo placebo.

111
CAPITOLO 4

L’ E F F E T T O P L A C E B O N E L C O R P O

Nel 1981, in una fresca giornata di settembre, otto uomini tra


i settanta e gli ottant’anni salirono su un paio di furgoni e si di-
ressero al monastero di Peterborough, nel New Hampshire, due
ore a nord di Boston. Dovevano partecipare a un ritiro di cinque
giorni in cui gli era stato chiesto di fingere sulla loro età, dichia-
rando almeno ventidue anni in meno. Il ritiro era organizzato da
una squadra di ricercatori capeggiata da Ellen Langer, psicologa
di Harvard, che la settimana successiva avrebbe portato un altro
gruppo di otto anziani nello stesso posto. Agli uomini del secon-
do gruppo – il gruppo di controllo – avrebbe chiesto di rievocare
ricordi risalenti a ventidue anni prima, senza però chiedere loro di
fingere di avere un’età inferiore.
Quando gli uomini del primo gruppo arrivarono al monastero, si
trovarono circondati da vari tipi di stimoli ambientali che li aiu-
tarono a rivivere il periodo in cui erano più giovani. Sfogliarono
vecchi numeri di Life e del Saturday Evening Post, guardarono film e
programmi televisivi che andavano per la maggiore nel 1959, ascol-
tarono Perry Como e Nat King Cole alla radio. Parlarono anche di
eventi “attuali”, come Fidel Castro che prende il potere a Cuba, la
visita negli Stati Uniti del premier russo Nikita Krusciov e persino
le prodezze della star del baseball Mickey Mantle e del grande pu-
gile Floyd Patterson. Tutti questi elementi erano stati astutamente
pianificati per aiutare i soggetti a immaginare di essere davvero di
ventidue anni più giovani.
Dopo i cinque giorni di ritiro, i ricercatori effettuarono parecchi
rilevamenti e confrontarono i dati con quelli emersi dalle analisi
effettuate prima della sperimentazione. I corpi degli uomini di en-
trambi i gruppi erano fisiologicamente più giovani, sia sul piano
strutturale, sia su quello funzionale, ma i soggetti del primo gruppo
(che avevano finto di essere più giovani) presentavano migliora-

112
menti più significativi di quelli del gruppo di controllo, che aveva
solo rievocato i ricordi.59
I ricercatori riscontrarono cambiamenti nell’altezza, nel peso e
nell’andatura. Gli uomini erano più alti grazie alla postura più
eretta, le articolazioni erano più flessibili e le dita si erano allungate
perché l’artrite era diminuita. La vista e l’udito erano migliorati.
La presa era più salda. La memoria si era affinata e avevano otte-
nuto punteggi più alti nei test cognitivi (il primo gruppo aveva
migliorato i punteggi del 63 per cento, rispetto al 44 per cento del
secondo). In cinque giorni, quegli uomini erano letteralmente rin-
giovaniti, proprio davanti agli occhi dei ricercatori.
Langer riferì: “Alla fine dello studio, giocavo a calcio – con un toc-
co leggero, ma comunque a calcio – con quegli uomini, alcuni dei
quali avevano smesso di usare il bastone.”60
Com’è accaduto? È evidente che quegli uomini sono riusciti ad
accendere i circuiti cerebrali in grado di riportare alla mente la loro
identità di ventidue anni prima, e la chimica del corpo magica-
mente ha risposto. Non si sono limitati a sentirsi più giovani, ma
lo sono diventati, come dimostrano le scrupolose misurazioni ef-
fettuate. Il cambiamento non si è verificato solo nella mente, bensì
nel corpo. Ma che cosa è accaduto a livello fisico per produrre una
trasformazione così stupefacente? A quale fattore possiamo attribu-
ire tutti quei cambiamenti misurabili nella struttura fisica e nella
funzionalità? La responsabilità è da attribuire ai geni, che non sono
così immutabili come si pensa. Quindi soffermiamoci ad analizzare
cosa sono i geni e come agiscono.

DEMISTIFICARE IL DNA
Immagina una scala o una cerniera che si avvolge a spirale e avrai
un’idea abbastanza verosimile dell’acido desossiribonucleico (me-

59. E. J. Langer, La mente consapevole. Corbaccio editore., Milano, 2008; E. J.


Langer, In senso antiorario. Corbaccio editore, 2010.
60. C. Feinberg, “The Mindfulness Chronicles: On the ‘Psychology of Possi-
bility’”, Harvard Magazine (settembre-ottobre 2010), http://harvardmagazine.
com/2010/09/the-mindfulness-chronicles.

113
glio noto come DNA). Il DNA, che è immagazzinato nel nucleo
di ogni cellula vivente del nostro corpo, contiene le informazioni
grezze, o le istruzioni, che ci rendono quelli che siamo (anche se,
come scopriremo presto, queste istruzioni non costituiscono un
rigido modello che le nostre cellule dovranno seguire per tutta la
vita). Ogni metà della cerniera del DNA contiene acidi nucleici
corrispondenti che, insieme, vengono chiamati coppie di base e
sono circa tre miliardi per cellula. I gruppi di lunghe sequenze di
questi acidi nucleici vengono chiamati geni.
I geni sono piccole strutture peculiari. Se dovessi estrarre il DNA
dal nucleo di una cellula del tuo corpo ed estenderlo da un capo
all’altro, sarebbe lungo circa un metro e ottanta. Se prendessi tutto
il DNA contenuto nel tuo corpo e lo estendessi da un capo all’al-
tro, arriverebbe fino al Sole e tornerebbe indietro centocinquanta
volte.61 Ma se prendessi tutto il DNA dei quasi sette miliardi di
individui che vivono sul Pianeta e lo accartocciassi, occuperebbe
uno spazio piccolo quanto un granello di riso.
Il nostro DNA usa le istruzioni impresse all’interno delle sue singole
sequenze per produrre proteine. Proteina deriva dal greco proteion,
che significa “di primaria importanza”. Le proteine sono le materie
prime che il corpo utilizza per costruire non solo strutture tridi-
mensionali coerenti (la nostra anatomia), ma anche per svolgere le
complesse funzioni e interazioni che formano la nostra fisiologia. Il
corpo, di fatto, è una macchina che produce proteine. Le cellule dei
muscoli producono actina e miosina, quelle della pelle producono
collagene ed elastina, le cellule immunitarie producono anticorpi,
quelle della tiroide producono tirosina, alcune cellule dell’occhio
producono cheratina, le cellule del midollo osseo producono emo-
globina e quelle pancreatiche producono enzimi come la proteasi,
la lipasi e l’amilasi.
Tutti gli elementi prodotti da queste cellule sono proteine. Esse
hanno la funzione di controllare il nostro sistema immunitario, di-
gerire il cibo, guarire le ferite, catalizzare le reazioni chimiche, sup-

61. J. Medina, The Genetic Inferno: Inside the Seven Deadly Sins. Cambridge
University Press, 2000, p.4.

114
portare l’integrità strutturale del nostro corpo, fornire molecole so-
fisticate per la comunicazione tra cellule e fare molto altro ancora.
In sintesi, le proteine sono l’espressione della vita (e della salute del
nostro corpo). Osserva la Figura 4.1 e vedrai una rappresentazione
molto semplificata dei geni.

LA CELLULA

Figura 4.1.  Questa è una rappresentazione molto semplificata di una cellula e


del DNA contenuto all’interno del suo nucleo. Il materiale genetico, quando si
estende in singoli filamenti, somiglia a una cerniera o a una scala attorcigliata
chiamata elica del DNA. I pioli della scala sono gli acidi nucleici accoppiati, che
fungono da codici per la produzione di proteine. Una particolare estensione e
sequenza del filamento di DNA si chiama gene e si esprime quando produce una
proteina. Le cellule del corpo producono diverse proteine che servono sia per la
struttura, sia per la funzionalità dell’organismo.

Nei sessant’anni trascorsi da quando i ricercatori James Watson e


Francis Crick scoprirono la doppia elica del DNA, ha continuato

115
a prevalere quello che Watson, in un numero di Nature62 uscito nel
1970, definì il “dogma centrale”, ovvero che i geni di un individuo
determinano tutto. Quando spuntavano delle prove contradditto-
rie, i ricercatori tendevano a liquidarle come mere anomalie all’in-
terno di un sistema complesso.63
Oggi, a distanza di quarant’anni, la teoria del determinismo gene-
tico è ancora dominante nella mentalità della gente comune. Molte
persone condividono l’idea errata che il nostro destino genetico sia
predeterminato e che, se abbiamo ereditato i geni di certe forme
tumorali, di malattie cardiache, del diabete o di altre patologie, non
possiamo farci nulla, così come non possiamo cambiare il colore
dei nostri occhi o la forma del naso (se non ricorrendo alle lenti a
contatto colorate e alla chirurgia plastica).
Le notizie riportate dai media rafforzano questa convinzione sugge-
rendo di continuo che certi geni causano una determinata patolo-
gia o malattia. Ci hanno programmato a credere che siamo vittime
della nostra biologia; pensiamo che i geni esercitino un potere asso-
luto sulla salute, sul benessere e sulla personalità e che siano addi-
rittura loro a governare le vicende umane, determinando le nostre
relazioni interpersonali e plasmando il futuro. Ma davvero siamo
quel che siamo e facciamo quel che facciamo perché siamo nati
così? Questa concezione è il segnale di come il determinismo ge-
netico sia profondamente radicato nella nostra cultura; inoltre essa
prevede che esistano geni per la schizofrenia, per l’omosessualità,
per la leadership e così via.
Sono tutte convinzioni datate, che si fondano su vecchie teorie. In-
nanzitutto, non esiste un gene per la dislessia né uno per i disturbi
dell’attenzione o per l’alcolismo: non tutte le condizioni di salute o
le variazioni fisiche sono associate a un gene. E in tutto il Pianeta,
le persone affette da una malattia genetica – come il diabete di tipo
1, la sindrome di Down o l’anemia falciforme – sono meno del 5

62. F. Crick, “Central Dogma of Molecular Biology”, Nature, vol. 227, n.


5258: pp. 561–563 (1970).
63. M. Ho, “Death of the Central Dogma”, comunicato stampa dell’Institute
of Science in Society (9 marzo 2004), http://www.i-sis.org.uk/DCD.php.

116
per cento. Il restante 95 per cento, se sviluppa delle malattie, si am-
mala a causa del proprio stile di vita e dei propri comportamenti.64
Viceversa, non tutti coloro che nascono con i geni associati a una
patologia (per esempio il morbo di Alzheimer o il cancro al seno)
finiscono per svilupparla. I nostri geni non sono come delle uova
che prima o poi si schiuderanno. Non funzionano così. Bisogna
chiedersi, invece, se un gene che portiamo è già stato espresso e cosa
stiamo facendo per segnalargli di accendersi o spegnersi.
Una svolta fondamentale si è verificata quando gli scienziati sono
riusciti a mappare il genoma. Nel 1990, all’inizio del progetto, i ri-
cercatori si aspettavano di scoprire che abbiamo centoquarantamila
geni diversi. Avevano pensato a quel numero perché i geni pro-
ducono proteine e sovrintendono alla loro produzione, e il corpo
umano produce centomila proteine diverse, oltre a quarantamila
proteine regolatrici che servono a produrne altre. Gli scienziati che
hanno mappato il genoma umano si aspettavano di trovare un gene
per ogni proteina, ma alla fine del progetto, nel 2003, sono rimasti
sbalorditi poiché hanno scoperto che in realtà il corpo umano ha
solo 23.688 geni.
Nella prospettiva del dogma centrale di Watson, quel numero non
è sufficiente a creare i nostri corpi complessi e a farli funzionare,
né tantomeno a mantenere l’efficienza del cervello. E allora, se non
sono contenute nei geni, da dove arrivano tutte le informazioni
richieste per creare così tante proteine e perpetuare la vita?

64. S. C. Segerstrom, G. E. Miller, “Psychological Stress and the Human Im-


mune System: A Meta-analytic Study of 30 Years of Inquiry”, Psychological
Bulletin, vol. 130, n. 4: pp. 601–630 (2004); M. S. Kopp, J. Réthelyi, “Where
Psychology Meets Physiology: Chronic Stress and Premature Mortality—The
Central-Eastern European Health Paradox”, Brain Research Bulletin, vol. 62, n.
5: pp. 351–367 (2004); B. S. McEwen, T. Seeman, “Protective and Damaging
Effects of Mediators of Stress. Elaborating and Testing the Concepts of Allosta-
sis and Allostatic Load”, Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 896:
pp. 30–47 (1999).

117
IL GENIO DEI TUOI GENI
La risposta a questa domanda ha fatto nascere una nuova teoria:
i geni devono lavorare insieme in una cooperazione sistemica in
modo tale che, all’interno della cellula, molti vengano espressi (ac-
cesi) o soppressi (spenti) allo stesso tempo; è la combinazione dei
geni che vengono accesi in un dato momento a produrre tutte le
diverse proteine da cui dipende la vita. Immagina una fila di luci
intermittenti sull’albero di Natale: alcune si accendono e altre si
spengono. O pensa al panorama di una città di sera, con le luci
delle case accese o spente con il passare delle ore.
Tutto questo non accade in modo casuale, ovviamente. L’intero ge-
noma o filamento del DNA sa bene quello che sta facendo ogni
parte e opera in una modalità interconnessa che segue una sua pre-
cisa coreografia. Ogni atomo, molecola, cellula, tessuto e apparato
del corpo funziona a un livello di coerenza energetica che equivale
al modo d’essere intenzionale o non intenzionale (conscio o incon-
scio) della personalità individuale.65 Perciò è chiaro come i geni
possano essere attivati (accesi) o disattivati (spenti) dall’ambiente
esterno alla cellula, che in alcuni casi è l’ambiente interno al corpo
(il modo d’essere emotivo, biologico, neurologico, mentale, ener-
getico e persino spirituale), mentre in altri è l’ambiente esterno al
corpo (traumi, temperatura, altitudine, tossine, batteri, virus, cibo,
alcol e così via).
I geni, infatti, sono classificati in base al tipo di stimolo che li ac-
cende e li spegne. Per esempio, i geni che dipendono dall’esperien-
za o dall’attività si accendono quando viviamo esperienze insolite,
apprendiamo nuove informazioni e guariamo. Questi geni produ-
cono sintesi proteiche e messaggeri chimici che istruiscono le cellu-
le staminali a trasformarsi nel tipo di cellula che in quel momento
serve a guarire. Tra poco parleremo meglio delle cellule staminali e
del loro ruolo nei processi di guarigione.
I geni che dipendono dal comportamento si accendono in periodi
di agitazione emotiva, in presenza di stress o anche quando suben-

65. J. L. Oschman, “Trauma Energetics”, Journal of Bodywork and Movement


Therapies, vol. 10, n. 1: pp. 21–34 (2006).

118
trano diversi livelli di consapevolezza (per esempio sognando). For-
niscono un collegamento tra i pensieri e il corpo, ovvero formano
la connessione tra corpo e mente. Questi geni ci permettono di
comprendere come possiamo influenzare la nostra salute adottando
stati mentali e corporei che promuovano il benessere, la resilienza
fisica e la guarigione.
Gli scienziati ora ritengono possibile che la nostra espressione ge-
nica fluttui addirittura di secondo in secondo. Le ricerche rivelano
che i pensieri, le emozioni e le attività – cioè le scelte, i comporta-
menti e le esperienze – hanno profondi effetti curativi e rigeneranti
sul corpo, come dimostra lo studio condotto sugli uomini in ritiro
nel monastero. Perciò i tuoi geni subiscono l’influenza delle tue
interazioni con la famiglia, gli amici e i colleghi, delle tue pratiche
spirituali, delle tue abitudini sessuali, dell’attività fisica che svolgi e
del tipo di detergenti che utilizzi. Le ricerche più recenti mostrano
che il 90 per cento dei nostri geni si attiva cooperando con i segnali
provenienti dall’ambiente.66 E se è l’esperienza ad attivare un buon
numero di geni, ciò significa che la nostra natura è influenzata dalla
nostra educazione. Allora perché non imbrigliare il potere di queste
idee e fare tutto il possibile per migliorare la nostra salute e limitare
al minimo la dipendenza dalle prescrizioni mediche?
Come scrive il dottor Ernest Rossi in The Psychobiology of Gene
Expression [La psicobiologia dell’espressione genica], “i nostri stati
mentali soggettivi, i nostri comportamenti motivati dalla coscienza
e la nostra percezione del libero arbitrio possono modulare l’espres-
sione genica per ottimizzare la salute”67 Secondo le teorie scientifi-
che più recenti, gli individui possono alterare i loro geni nell’arco
di una singola generazione. Se il processo di evoluzione genetica
può durare migliaia di anni, un singolo gene può modificare con
successo la sua espressione in pochi minuti, grazie all’acquisizione

66. K. Richardson, Che cos’è l’intelligenza. Einaudi, 1999, cit. in. E. L. Rossi,
The Psychobiology of Gene Expression: Neuroscience and Neurogenesis in Hypnosis
and the Healing Arts . W. W. Norton and Company, 2002, p. 50.
67. E. L. Rossi, The Psychobiology of Gene Expression: Neuroscience and Neuroge-
nesis in Hypnosis and the Healing Arts. W. W. Norton and Company, 2002, p. 9.

119
di un nuovo comportamento o di una nuova esperienza, per poi
essere trasmesso alla generazione successiva.
È utile immaginare i nostri geni non come tavolette di pietra sulle
quali è stato inciso solennemente il nostro destino, ma come magaz-
zini che contengono enormi quantità di informazioni codificate,
o come immense biblioteche piene di possibilità per l’espressione
delle proteine. Ma quando vogliamo utilizzare quelle informazioni,
non possiamo ordinarle con la stessa semplicità con cui un’azienda
ordina una merce dal magazzino. È come se non sapessimo cosa
contiene il nostro deposito né come accedervi, perciò finiamo per
utilizzare solo una piccola percentuale di ciò che è veramente di-
sponibile. Infatti esprimiamo solo l’1,5 per cento del nostro DNA,
mentre il restante 98,5 per cento giace dormiente nel corpo. Gli
scienziati lo chiamano “DNA di scarto”, ma non è materiale inuti-
le: gli studiosi non sanno ancora come viene utilizzato, ma hanno
appurato che almeno in parte esso sia responsabile della produzio-
ne di proteine regolatrici.
“In realtà, i geni contribuiscono alle nostre caratteristiche, ma non
le determinano” scrive il dottor Dawson Church in Medicina epi-
genetica. “Gli strumenti della mente conscia – comprese le convin-
zioni, le preghiere, i pensieri, le intenzioni e la fede – hanno una
correlazione molto più forte con la salute, la longevità e la felicità di
quanta ne abbiano i geni.”68 Il fatto è che, così come il nostro corpo
è molto più di un sacco di carne e ossa, i nostri geni sono molto più
che semplici informazioni depositate.

LA BIOLOGIA DELL’ESPRESSIONE GENICA


Ora esaminiamo il modo in cui vengono attivati i geni. (I fattori
responsabili dell’attivazione sono molteplici, ma ai fini della nostra
discussione sul rapporto corpo e mente, ci limiteremo a delineare i
tratti essenziali.)

68. D. Church, Medicina epigenetica. Felicità e salute attraverso la trasformazione


consapevole del DNA. Edizioni mediterranee, 2008.

120
Quando un messaggero chimico (per esempio un neuropeptide)
che proviene dall’esterno della cellula arriva nel punto d’attracco e
attraversa la membrana cellulare, si fa strada verso il nucleo, dove
incontra il DNA. Il messaggero chimico modifica o crea una nuova
proteina; poi il segnale che ha trasportato si traduce in un’infor-
mazione all’interno della cellula. Dopodiché, l’informazione entra
nel nucleo della cellula attraverso una piccola finestra e, a seconda
del contenuto del messaggio relativo alla proteina, cerca un cromo-
soma specifico (un frammento delle spire del DNA che contiene
molti geni), proprio come si cerca un certo libro tra gli scaffali di
una biblioteca. Ogni filamento è rivestito di un involucro proteico
che agisce da filtro tra l’informazione contenuta nel filamento e
il resto dell’ambiente intracellulare. Affinché il codice del DNA
venga selezionato, l’involucro deve essere rimosso o disfatto, pro-
prio come il libro scelto tra gli scaffali della biblioteca deve essere
aperto per poterlo leggere. Il codice genetico del DNA contiene
informazioni che attendono di essere lette e attivate per creare una
particolare proteina. È un deposito potenziale di informazioni co-
dificate che necessitano solo di essere aperte. Puoi immaginare il
DNA come un serbatoio di ingredienti potenziali che attendono
istruzioni per costruire le proteine, che regolano e sostentano ogni
aspetto della vita.
Quando la proteina seleziona il cromosoma, lo schiude rimuo-
vendo l’involucro esterno che ricopre il DNA. A quel punto,
un’altra proteina regola e predispone un’intera sequenza di geni
all’interno del cromosoma (immaginala come un capitolo di un
libro) affinché sia letta per intero, dall’inizio alla fine. Quando il
gene è esposto e l’involucro proteico rimosso e letto, la proteina
regolatrice produce un altro acido nucleico, chiamato acido ribo-
nucleico (RNA).
Ora il gene è espresso o attivato. L’RNA esce dal nucleo della cellula
per assemblarsi in una nuova proteina in base al codice che traspor-
ta. La proteina creata dal gene ora può costruire, assemblare, intera-
gire, ripristinare, mantenere e influenzare molti aspetti diversi della
vita, sia all’interno che all’esterno della cellula. La Figura 4.2 ti offre
una visione generale del processo.

121
SEGNALE EPIGENETICO

Figura 4.2A.  La Figura 4.2A mostra il segnale epigenetico mentre entra nel
sito recettoriale della cellula. Quando il messaggero chimico interagisce con la
membrana cellulare, viene inviato un altro segnale, sotto forma di una nuova
proteina, al nucleo della cellula affinché selezioni una sequenza di geni. Il gene
ha già un rivestimento proteico che lo protegge dall’ambiente esterno e che va
rimosso per essere letto.

SELEZIONE GENICA

Figura 4.2B.  La Figura 4.2B mostra come viene aperto l’involucro proteico che
avvolge la sequenza genica del DNA, in modo che un’altra proteina, chiamata
proteina regolatrice, possa schiudere e leggere il gene in un punto specifico.

122
LETTURA DEL GENE

Figura 4.2C.  La Figura 4.2C mostra come la proteina regolatrice crea un’altra
molecola, chiamata RNA, che organizza la traduzione e la trascrizione del
materiale geneticamente codificato in una proteina.

PRODUZIONE DELLA PROTEINA

Figura 4.2D.  La Figura 4.2D mostra come avviene la produzione della proteina.
L’RNA assembla una nuova proteina a partire da singoli ammassi proteici chiamati
aminoacidi.

123
Come un architetto trae da un progetto tutte le informazioni ne-
cessarie per costruire una struttura, così il corpo ricava dai cromo-
somi del DNA tutte le informazioni necessarie per creare molecole
complesse che ci mantengono in vita e garantiscono la nostra fun-
zionalità. Ma prima di leggere il progetto, l’architetto deve estrarlo
dal tubo e srotolarlo. Fino a quel momento, è solo un’informazione
latente che attende di essere letta. Lo stesso vale per la cellula: il
gene è inerte fino a quando non viene rimosso l’involucro proteico
e la cellula decide di leggere la sequenza genica.
Fino a qualche tempo fa gli scienziati credevano che al corpo ser-
vissero solo le informazioni (il progetto) per cominciare a costruire,
perciò molti di loro si concentravano su quelle. Prestavano scarsa
attenzione al fatto che tutta la catena di eventi comincia con un
segnale proveniente dall’esterno della cellula che, di fatto, è respon-
sabile della scelta dei geni selezionati dalla cellula all’interno della
sua biblioteca. Quel segnale, come sappiamo, include i pensieri, le
scelte, i comportamenti, le esperienze e le emozioni. Perciò è chiaro
che se puoi cambiare questi elementi, puoi anche determinare la
tua espressione genica.

L’EPIGENETICA: IN CHE MODO NOI COMUNI MORTALI


POSSIAMO AGIRE COME DEI
Se i geni non predeterminano il nostro destino, e se davvero con-
tengono un’enorme biblioteca di possibilità che aspettano soltanto
di essere prelevate dagli scaffali e lette, cosa ci permette di accedere
a quelle potenzialità, che potrebbero esercitare un grande effetto
sulla nostra salute e sul nostro benessere? Di sicuro sono riusciti ad
accedervi gli anziani sottoposti alla sperimentazione nel monastero,
ma come hanno fatto? La risposta è data da un nuovo campo di
studi chiamato epigenetica.
Epigenetica significa letteralmente “sopra il gene”. Il termine si ri-
ferisce al controllo esercitato sui geni non da ciò che accade all’in-
terno del DNA, bensì dai messaggi provenienti dall’esterno della
cellula; in altre parole, dall’ambiente. Questi segnali inducono un
metile (o gruppo metilico, composto da un atomo di carbonio le-
gato a tre atomi di idrogeno) ad attaccarsi a un gene in un punto
124
specifico, e questo processo (chiamato metilazione del DNA) è uno
dei processi principali che accendono o spengono un gene. (Anche
altri due processi, la modificazione covalente degli istoni e l’RNA non
codificante producono lo stesso effetto, ma ai fini della nostra di-
scussione non è necessario analizzarli nel dettaglio.)
L’epigenetica ci insegna che in realtà non siamo condannati dai
nostri geni e che un cambiamento nella coscienza può produrre
alterazioni fisiche nel corpo, sia a livello strutturale, sia funzionale.
Possiamo modificare il nostro destino genetico, accendere i geni
che vogliamo e spegnere quelli che non vogliamo, intervenendo
sui vari fattori ambientali che li programmano. Alcuni di quei se-
gnali arrivano dall’interno del corpo, come le emozioni e i pensieri,
mentre altri derivano dalla risposta del corpo all’ambiente esterno,
come il tasso di inquinamento o la luce del sole.
L’epigenetica studia tutti i segnali esterni che dicono alla cellula
cosa fare e quando, osservando sia le fonti che attivano, o accen-
dono, l’espressione genica (regolazione verso l’alto), sia quelle che
la sopprimono, o spengono (regolazione verso il basso), oltre alle
dinamiche energetiche che regolano il processo della funzionalità
cellulare istante per istante. L’epigenetica suggerisce che, anche se il
nostro codice genetico resta immutato, in un unico gene sono pos-
sibili migliaia di combinazioni, sequenze e variazioni sistematiche
(proprio come sono possibili migliaia di combinazioni, sequenze e
schemi di reti neurali nel cervello).
Considerando l’intero genoma umano, le possibili variazioni epige-
netiche sono talmente numerose – milioni e milioni – da far girare
la testa solo a pensarci. Lo Human Epigenome Project [Progetto
per l’epigenoma umano] avviato nel 2003 quando volgeva al termi-
ne lo Human Genome Project [Progetto per il genoma umano], è
attualmente in corso in Europa69 e alcuni ricercatori hanno dichia-
rato che, quando sarà ultimato, “farà sembrare lo Human Genome
Project un gioco da ragazzi”70 Tornando all’esempio della progetta-

69. Si veda http://www.epigenome.org.


70. J. Cloud, “Why Your DNA Isn’t Your Destiny”, Time Magazine (6 gennaio
2010), http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,1952313,00.

125
zione di un edificio, noi possiamo cambiare il colore della facciata,
il tipo di materiali usati, le dimensioni della costruzione e persino il
posizionamento della struttura – creando un numero quasi infinito
di variazioni – senza mai modificare il progetto iniziale.
Un ottimo esempio di epigenetica all’opera riguarda due gemelli
identici che hanno esattamente lo stesso DNA. Se accogliamo l’i-
dea del determinismo genetico, secondo la quale tutte le malattie
sono genetiche, allora i gemelli identici dovrebbero avere la stessa
espressione genica. Ma i gemelli non sempre manifestano la stes-
sa malattia nello stesso modo, e a volte uno dei due presenta una
malattia genetica che l’altro non svilupperà mai. I gemelli possono
avere geni identici ma esiti diversi.
Uno studio condotto in Spagna lo illustra perfettamente. I ricer-
catori del Laboratorio di epigenetica del cancro al CNIO (Centro
nazionale per gli studi oncologici) di Madrid hanno analizzato qua-
ranta coppie di gemelli identici di età compresa tra i tre e i settanta-
quattro anni. Hanno scoperto che i gemelli più giovani che avevano
stili di vita simili e avevano passato più anni insieme mostravano
anche modelli epigenetici simili, mentre i gemelli più anziani, in
particolare quelli che avevano stili di vita diversi e avevano passato
meno anni insieme, avevano anche modelli epigenetici diversi.71 I
ricercatori hanno scoperto che i geni espressi diversamente in una
coppia di gemelli cinquantenni erano il quadruplo dei geni espressi
diversamente in una coppia di gemelli di tre anni.
I gemelli erano nati con un DNA identico, ma quelli che condu-
cevano stili di vita differenti (e vite diverse) con l’andare del tempo
erano arrivati a esprimere i loro geni in modo molto diverso. Per
ricorrere a una similitudine, i gemelli più anziani erano come copie
esatte dello stesso modello di computer. Sui computer erano stati
installati gli stessi programmi di partenza ma, con l’andare del tem-
po, ciascuno dei due aveva scaricato programmi aggiuntivi molto

html#ixzz2eN2VCb1W.
71. M. F. Fraga, E. Ballestar, M. F. Paz, et al., “Epigenetic Differences Arise
During the Lifetime of Monozygotic Twins”, Proceedings of the National Aca-
demy of Sciences USA, vol. 102, n. 30: pp. 10604–10609 (2005).

126
diversi. Il computer (il DNA) rimane lo stesso, ma le sue funzioni
e il modo in cui viene usato possono variare in misura sostanziale a
seconda dei programmi che una persona ha scaricato (le variazioni
epigenetiche). Così, quando formuliamo pensieri e proviamo emo-
zioni, il nostro corpo risponde con una formula complessa di varia-
zioni e alterazioni biologiche, e ogni esperienza preme i pulsanti di
vere e proprie modificazioni geniche all’interno delle nostre cellule.
Questi cambiamenti possono verificarsi a una velocità notevole. In
soli tre mesi, trentuno uomini con un basso rischio di cancro alla
prostata sono riusciti a regolare verso l’alto quarantotto geni (per lo
più legati alla soppressione del tumore) e a regolare verso il basso
4.532 geni (per lo più legati alla progressione del tumore) seguen-
do un regime intensivo basato su una particolare alimentazione e
stile di vita.72 Nel corso della sperimentazione, condotta dal dot-
tor Dean Ornish alla University of California di San Francisco, gli
uomini hanno ridotto il peso, l’obesità addominale, la pressione
sanguigna e il profilo lipidico. Ornish ha notato: “Non si tratta solo
di riduzione dei fattori di rischio o di prevenzione di eventi spiace-
voli. Questi cambiamenti possono verificarsi così in fretta che non
bisogna aspettare anni per vederne i benefici.”73
Ancora più impressionante è la quantità di cambiamenti epigene-
tici riscontrati nell’arco di sei mesi in uno studio condotto in Sve-
zia su ventitré persone in leggero sovrappeso, uomini sani che, da
una vita relativamente sedentaria, sono passati a svolgere esercizi di
spinning e aerobica non più di due volte alla settimana. I ricercatori
dell’Università di Lund scoprirono che i soggetti avevano operato
alterazioni epigenetiche su settemila geni: quasi il 30 per cento di
tutti i geni del genoma umano!74

72. D. Ornish, M. J. Magbanua, G. Weidner, et al., “Changes in Prostate Gene


Expression in Men Undergoing an Intensive Nutrition and Lifestyle Inter-
vention”, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 105, n. 24: pp.
8369–8374 (2008).
73. L. Stein, “Can Lifestyle Changes Bring out the Best in Genes”, Scienti-
fic American (17 giugno 2008), http://www.scientificamerican.com/article.
cfm?id=can-lifestyle-changes-bring-out-the-best-in-genes.
74. T. Rönn, P. Volkov, C. Davegårdh, et al., “A Six Months Exercise Interven-

127
Queste variazioni genetiche possono addirittura essere trasmesse
a figli e nipoti.75 Il primo ricercatore che è riuscito a dimostrarlo
è stato il dottor Michael Skinner, allora direttore del Center for
Reproductive Biology [Centro di biologia riproduttiva] della Wa-
shington State University. Nel 2005, Skinner condusse una ricerca
esponendo ai pesticidi un gruppo di tope gravide.76 I figli maschi
delle madri esposte riportarono tassi di infertilità molto più alti e
una produzione di sperma inferiore, con alterazioni epigenetiche
in due geni. Queste stesse alterazioni erano presenti anche nel 90
per cento circa dei maschi di ognuna delle quattro generazioni suc-
cessive, anche se nessun topo di queste generazioni era mai stato
esposto ai pesticidi.
Le esperienze vissute nel nostro ambiente esterno, però, sono solo
uno dei fattori in gioco. Come abbiamo visto, anche il significato
che assegniamo a quelle esperienze implica una serie di reazioni fisi-
che, mentali, emotive e chimiche che attivano i geni. Il modo in cui
percepiamo e interpretiamo i dati recepiti dai nostri sensi, che siano
reali o meno, e il significato che attribuiamo a quelle informazioni
producono rilevanti cambiamenti biologici a livello genetico. Così,
i nostri geni interagiscono e intrattengono rapporti complessi con
la nostra coscienza consapevole. Potremmo dire che il significato
influisce continuamente sulle strutture neurali che influenzano la
nostra essenza a livello microscopico, la quale a sua volta influenza
la nostra identità a livello macroscopico.
Lo studio dell’epigenetica ci porta anche a chiederci: “Che cosa
accade se nell’ambiente esterno non cambia nulla? Che cosa accade
se facciamo sempre le stesse cose con le stesse persone esattamente
alla stessa ora tutti i giorni, vivendo così le medesime esperienze,

tion Influences the Genome-Wide DNA Methylation Pattern in Human Adi-


pose Tissue”, PLOS Genetics, vol. 9, n. 6: p. e1003572 (2013).
75. D. Chow, “Why Your DNA May Not Be Your Destiny”, LiveScience (4
giugno 2013), http://www.livescience.com/37135-dna-epigenetics-disease-
research.html; si veda anche la nota 12.
76. M. D. Anway, A. S. Cupp, M. Uzumcu, et al., “Epigenetic Transgeneratio-
nal Actions of Endocrine Disruptors and Male Fertility”, Science, vol. 308, n.
5727: pp. 1466–1469 (2005).

128
che generano le solite emozioni, che istruiscono gli stessi geni in
modo identico?”.
Potremmo dire che, finché guardi la vita attraverso le lenti del pas-
sato e reagisci alle circostanze con la stessa architettura neurale e
con il medesimo modo di pensare, ti proietti verso un destino ge-
netico molto specifico e predeterminato. Inoltre, le tue convinzioni
su te stesso e sulla tua vita, e le scelte che compi di conseguenza,
continuano a inviare messaggi sempre identici agli stessi geni.
Solo quando la cellula si accende in un modo nuovo, con un’in-
formazione diversa, può creare migliaia di variazioni nello stesso
gene per riscrivere una nuova espressione di proteine, attivando il
processo in grado di cambiare il corpo. Forse non sei in grado di
controllare tutti gli elementi del mondo esterno, ma puoi gestire
molti aspetti di quello interno. Le convinzioni, le percezioni e il
modo in cui interagisci con l’ambiente esterno influiscono su quel-
lo interno, che è pur sempre l’ambiente esterno della cellula. Ciò
significa che tu – non la biologia preprogrammata – hai in mano
le chiavi del tuo destino genetico. Si tratta solo di trovare quella
che entra nella serratura giusta per sprigionare il tuo potenziale.
E allora perché non considerare i geni per quello che realmente
sono? Fornitori di possibilità, risorse di potenzialità illimitate, un
sistema codificato di comandi personali; in verità, non sono altro
che strumenti di trasformazione, che letteralmente significa “cam-
biamento di forma”.

LO STRESS CI COSTRINGE A VIVERE


IN MODALITÀ DI SOPRAVVIVENZA
Lo stress è una delle maggiori cause di cambiamento epigenetico,
perché allontana il tuo corpo dal suo equilibrio. Ne esistono tre
forme: lo stress fisico (trauma), lo stress chimico (tossine) e lo stress
emotivo (paura, preoccupazione, senso di sopraffazione e così via).
Ogni tipo di stress può innescare più di millequattrocento reazio-
ni chimiche e produrre più di trenta ormoni e neurotrasmettitori.
Quando si scatena la valanga di ormoni dello stress, la mente in-
fluenza il corpo attraverso il sistema nervoso autonomo e tu speri-
menti la più intensa connessione tra corpo e mente.
129
Ironia della sorte, all’origine la condizione serviva per favorire l’a-
dattamento. Tutti gli organismi in natura, inclusi gli esseri umani,
sono programmati per gestire momenti di stress a breve termine
in modo da avere le risorse per affrontare situazioni di emergenza.
Quando avverti una minaccia nel tuo ambiente esterno, il sistema
nervoso simpatico (un sottosistema del sistema nervoso autono-
mo) innesca la reazione di lotta o fuga, così il battito cardiaco
accelera, la pressione sanguigna aumenta, i muscoli si contraggono
e si sprigiona una raffica di adrenalina e cortisolo in tutto il corpo
per prepararti a fuggire o ad affrontare il nemico in uno scontro
diretto.
Se vieni inseguito da un branco di lupi affamati o da una squadra di
guerrieri violenti, e tu riesci a correre più veloce di loro, il tuo cor-
po tornerà all’omeostasi (la sua normale condizione di equilibrio)
dopo che ti sarai messo in salvo. È questo il modo in cui il nostro
organismo è congegnato per operare quando viviamo in modalità
di sopravvivenza. Il corpo si allontana dal suo equilibrio, ma solo
per brevi periodi, finché il pericolo è passato. Almeno così era nel
progetto originario.
La stessa cosa accade nel mondo moderno, anche se il contesto di
solito è leggermente diverso. Se qualcuno ti taglia la strada quando
guidi in tangenziale, magari ti spaventi per un attimo ma, appena
ti accorgi che sei incolume e la paura di fare un incidente è passata,
il tuo corpo torna alla normalità, a meno che quella non sia solo
una delle innumerevoli situazioni stressanti che ti sono capitate in
quella giornata.
Se sei come la maggioranza delle persone, una sfilza di situazioni
snervanti innesca continuamente dentro di te la reazione di lotta
o fuga, tenendoti lontano dalla tua omeostasi per gran parte del
tempo. Forse nell’arco della giornata l’automobile che ti taglia la
strada è l’unica situazione che davvero mette in pericolo la tua vita,
ma guidare nel traffico per andare al lavoro, l’impellenza di una
relazione importante da preparare, il litigio con tua moglie o con
tuo marito, l’estratto conto della carta di credito che hai trovato
nella casella della posta, l’hard disk del computer che si è rotto e
il nuovo capello bianco che hai notato guardandoti allo specchio

130
continuano a far circolare nel tuo corpo ormoni dello stress per la
maggior parte del tempo.
Combinate al ricordo di esperienze stressanti che hai vissuto in
passato e all’aspettativa di quelle che vivrai in futuro, tutte queste
fonti di nervosismo a breve termine si fondono in uno stress a lun-
go termine. Benvenuto nella versione contemporanea del vivere in
modalità di sopravvivenza.
Nella modalità di lotta o fuga, l’energia che sostiene la vita si mo-
bilita affinché il corpo possa scappare o combattere. Ma quando
non c’è un ritorno all’omeostasi (perché continui a percepire una
minaccia), l’energia vitale si perde nel sistema. Se l’energia viene
incanalata altrove, il tuo ambiente interno ne ha a disposizione di
meno per far crescere e riparare le cellule, per progetti di costruzio-
ne cellulare a lungo termine e per i processi di guarigione. Le cellule
si chiudono, non comunicano più tra loro e diventano “egoiste”.
Non c’è tempo per occuparsi di manutenzione ordinaria (tanto
meno per fare migliorie); è il momento di difendersi. Ogni cellu-
la bada solo a se stessa, perciò la comunità collettiva delle cellule
che lavorano insieme si frantuma. Il sistema immunitario e quello
endocrino (tra gli altri) si indeboliscono: i geni delle loro cellule,
infatti, sono compromessi, quando i segnali contenenti le informa-
zioni che provengono dall’esterno si spengono.
È come vivere in un paese in cui il 98 per cento delle risorse è desti-
nato alla difesa e non resta nulla per le scuole, le biblioteche, la ma-
nutenzione stradale, i sistemi di comunicazione, la produzione del
cibo e così via. Le strade si riempiono di buche che nessuno ripara.
Le scuole soffrono per i tagli ai finanziamenti, perciò gli studenti
finiscono per imparare di meno. I programmi di assistenza sociale
rivolti ai poveri e agli anziani vengono sospesi. E non c’è abbastanza
cibo per nutrire la popolazione.
Allora non c’è da meravigliarsi se lo stress a lungo termine è stato
collegato all’ansia, alla depressione, ai problemi digestivi, alla per-
dita di memoria, all’insonnia, all’ipertensione, alle malattie cardia-
che, agli ictus, al cancro, all’ulcera, all’artrite reumatoide, alle sin-
dromi influenzali, all’accelerazione dei processi di invecchiamento,

131
alle allergie, al dolore fisico, alla stanchezza cronica, all’infertilità,
all’impotenza, all’asma, agli squilibri ormonali, alle eruzioni cuta-
nee, alla caduta dei capelli, agli spasmi muscolari e al diabete, per
nominare solo alcuni tra i disturbi più diffusi (tutti, tra l’altro, de-
rivanti da cambiamenti epigenetici). Nessun organismo in natura
è progettato per sopportare gli effetti dello stress a lungo termine.
Molti studi offrono prove lampanti di come le istruzioni epigene-
tiche per la guarigione si chiudano nelle situazioni di emergenza.
Per esempio, i ricercatori dell’Ohio State University Medical Cen-
ter hanno scoperto che più di centosettanta geni (molti dei quali
producono proteine per facilitare il giusto tipo di guarigione da
una ferita) sono compromessi dallo stress, tanto che cento di essi
si chiudono completamente. I ricercatori hanno riscontrato che
le ferite dei pazienti stressati hanno impiegato il 40 per cento in
più del tempo per guarire e che “lo stress ha deviato l’equilibrio
genomico in favore dei geni che codificavano proteine responsabi-
li dell’arresto del ciclo cellulare, della morte e dell’infiammazione
delle cellule”77 In un altro studio, condotto sui geni di cento citta-
dini di Detroit, sono stati isolati ventitré individui che soffrivano
di stress postraumatico78. Questi soggetti hanno manifestato varia-
zioni epigenetiche sei/sette volte superiori a quelle degli altri, molte
delle quali implicavano compromissioni del sistema immunitario.
I ricercatori dell’AIDS Institute dell’Università della California,
hanno scoperto non solo che l’HIV si diffondeva più facilmente nei
pazienti più stressati ma anche che, quanto più alti erano i livelli
di stress del paziente, tanto più debole era la sua risposta ai farmaci
antiretrovirali. I farmaci erano quattro volte più efficaci nei pazien-
ti relativamente calmi, rispetto a quelli che, in base alla pressione
sanguigna, al tasso di sudorazione e al battito cardiaco a riposo,

77. S. Roy, S. Khanna, P. E. Yeh, et al., “Wound Site Neutrophil Transcriptome


in Response to Psychological Stress in Young Men”, Gene Expression, vol. 12, n.
4–6: pp. 273–287 (2005).
78. M. Uddin, A. E. Aiello, D. E. Wildman, et al., “Epigenetic and Immune
Function Profiles Associated with Posttraumatic Stress Disorder”, Proceedings of
the National Academy of Sciences, vol. 107, n. 20: pp. 9470–9475 (2010).

132
risultavano più stressati.79 Sulla base di queste scoperte, i ricercatori
hanno concluso che il sistema nervoso ha un effetto diretto sulla
replicazione virale.
Anche se in origine la reazione di lotta o fuga era altamente adat-
tiva (perché favoriva la sopravvivenza dei primi essere umani), ora
è chiaro che, quanto più a lungo il sistema di sopravvivenza resta
attivato, tanto più a lungo il corpo sottrae le risorse che servono
a creare condizioni di salute ottimali. Alla fine, quindi, il sistema
diventa disadattivo.

L’EREDITÀ DELLE EMOZIONI NEGATIVE


Mentre continuiamo a produrre gli ormoni dello stress, generiamo
una moltitudine di emozioni negative che creano dipendenza, tra
cui rabbia, ostilità, aggressività, competizione, odio, frustrazione,
paura, ansia, gelosia, insicurezza, senso di colpa, vergogna, tristez-
za, depressione, disperazione e senso di impotenza, per nominarne
solo alcune. Quando ci focalizziamo su pensieri collegati a ricordi
spiacevoli oppure a terribili scenari futuri, escludendo tutto il re-
sto, impediamo al corpo di ripristinare la sua omeostasi. Siamo
capaci di innescare la risposta dello stress solo con il pensiero. Se
l’accendiamo e non riusciamo più a spegnerla, finiamo per svilup-
pare qualche tipo di malattia – che può essere un raffreddore o un
cancro – perché i geni continuano a regolarsi verso il basso con un
effetto domino, fino al compimento del nostro destino genetico.
Per esempio, se riusciamo a prefigurare uno scenario futuro, possi-
bile e noto, e poi ci focalizziamo su quel pensiero escludendo tutto
il resto anche solo per un istante, il corpo inizia a cambiare a livello
fisiologico per prepararsi a quell’evento. Nel presente, il corpo sta
già vivendo in quel futuro noto. Come conseguenza di questo fe-
nomeno, il processo di condizionamento comincia ad attivare il
sistema nervoso autonomo, che crea in modo automatico le sostanze

79. S. W. Cole, B. D. Naliboff, M. E. Kemeny, et al., “Impaired Response to


HAART in HIV-Infected Individuals with High Autonomic Nervous System
Activity”, Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 98, n. 22: pp.
12695–12700 (2001).

133
chimiche dello stress corrispondenti. È così che la connessione tra
corpo e mente opera a nostro svantaggio.
Quando questo accade, i tre elementi dell’effetto placebo sono in
perfetta simmetria. Per prima cosa, iniziamo a condizionare il cor-
po a scatenare una raffica di adrenalina per ricaricarci di energia. Se
riusciamo ad associare una persona, una cosa o un’esperienza vis-
suta in un particolare momento e luogo della nostra realtà esterna
a quella raffica di sostanze chimiche dentro di noi, cominciamo a
condizionare il corpo ad attivare quella risposta già solo pensando
allo stimolo ricevuto. Con l’andar del tempo, riusciremo a condi-
zionare il corpo a ricordarsi di quello stato emotivo al solo pensiero
che si verifichi una situazione potenziale con una persona o cosa in
qualche momento e luogo. Se ci aspettiamo un esito futuro in base
all’esperienza del passato, allora l’aspettativa dell’evento, quando la
accogliamo emotivamente, altera la fisiologia del corpo. E se asse-
gniamo un significato ai comportamenti e alle esperienze, la nostra
intenzione consapevole andrà a sostegno del risultato, così il corpo
cambierà o meno in base a ciò che pensiamo di sapere su noi stessi
e sulla nostra realtà.
A prescindere da quanto sei convinto che lo stress della tua vita sia
giustificato o legittimo, gli effetti che esso produce sul corpo non
sono mai vantaggiosi o benefici per la salute. Il tuo corpo crede di
essere inseguito da un leone, di stare in bilico su un dirupo o di
dover lottare contro un gruppo di cannibali inferociti. Ecco alcuni
esempi di studi scientifici che hanno dimostrato gli effetti dello
stress sul corpo.
I ricercatori dell’Ohio State University College of Medicine hanno
misurato quanto incide lo stress sulla velocità di guarigione delle
ferite lievi, eloquente indicatore dell’attivazione genica, e hanno
confermato che le emozioni legate allo stress scatenano risposte or-
monali e geniche.80 A un gruppo composto da quarantadue coppie
sposate sono state praticate piccole bolle da suzione e poi, per tre

80. J. Kiecolt-Glaser, T. J. Loving, J. R. Stowell, et al., “Hostile Marital Interac-


tions, Proinflammatory Cytokine Production, and Wound Healing”, Archives of
General Psychiatry, vol. 62, n. 12: pp. 1377–1384 (2005).

134
settimane, sono stati monitorati i livelli delle tre proteine comu-
nemente espresse nella guarigione delle ferite. Gli studiosi hanno
chiesto alle coppie di intrattenere una conversazione neutrale per
avere una linea di riferimento e poi di parlare di un argomento che
in precedenza aveva scatenato una lite coniugale.
I ricercatori hanno scoperto che, dopo aver parlato del litigio, i li-
velli di proteine legate alla guarigione risultavano leggermente sop-
pressi (i geni quindi erano regolati verso il basso). La soppressione
era più sensibile – intorno al 40 per cento – nelle coppie in cui la
discussione era sfociata in un conflitto significativo, inasprito da
commenti sarcastici, critiche e schiaffi morali.
Le ricerche documentano anche l’effetto inverso: ridurre lo stress
con emozioni positive innesca cambiamenti epigenetici che mi-
gliorano la salute. Due studi fondamentali, condotti dai ricercatori
del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine, che fa capo
al Massachusetts General Hospital di Boston, hanno osservato gli
effetti prodotti sull’espressione genica dalla meditazione, che no-
toriamente induce stati di calma o addirittura di beatitudine. Nel
primo studio, condotto nel 2008, venti volontari hanno ricevuto
una formazione su varie pratiche mente-corpo (tra cui diversi tipi
di meditazione, yoga e preghiere ripetitive) che portano al rilassa-
mento, ossia a uno stato fisiologico di profondo riposo (discusso
nel Capitolo 2).81 I ricercatori hanno anche seguito diciannove sog-
getti che da tempo praticavano queste tecniche su base quotidiana.
Alla fine del periodo di studio, i novizi mostravano un cambiamen-
to in 1.561 geni (874 regolati verso l’alto per favorire la salute e 678
regolati verso il basso per ridurre lo stress); inoltre avevano ridotto
la pressione sanguigna e la velocità del battito cardiaco e della respi-
razione. I praticanti esperti, invece, avevano espresso 2.209 nuovi
geni. Molti dei mutamenti genetici implicavano il miglioramento
della risposta del corpo allo stress psicologico cronicizzato.

81. J. A. Dusek, H. H. Otu, A. L. Wohlhueter, et al., “Genomic Counter-


Stress Changes Induced by the Relaxation Response”, PLOS ONE, vol. 3, n. 7:
p. e2576 (2008).

135
Il secondo studio, condotto nel 2013, ha dimostrato che sollecitare
la risposta di rilassamento aveva prodotto cambiamenti significativi
nell’espressione genica già dopo una sessione di meditazione sia
tra i principianti, sia tra i praticanti esperti (anche se questi ultimi
ne avevano tratto benefici maggiori).82 I geni che si erano regolati
verso l’alto comprendevano quelli coinvolti nelle funzioni del siste-
ma immunitario, nel metabolismo energetico e nella secrezione di
insulina, mentre i geni che si erano regolati verso il basso compren-
devano quelli legati alle infiammazioni e allo stress.
Studi come questi sottolineano con quanta rapidità possiamo cam-
biare i nostri geni. È per questo che l’effetto placebo può produrre
modificazioni fisiche nell’arco di pochi istanti. Nei seminari che
tengo in giro per il mondo, io e i miei colleghi abbiamo assistito a
cambiamenti significativi e immediati nella salute dei partecipanti
già dopo una sola sessione di meditazione: hanno attivato nuovi
geni in altri modi solo con il pensiero.
Quando viviamo in modalità di sopravvivenza, con la reazione allo
stress sempre attivata, possiamo focalizzarci solo su tre cose: il no-
stro corpo fisico (Sto bene?), l’ambiente (Dove posso essere al sicuro?)
e il tempo (Per quanto tempo ancora questa minaccia graverà su di
me?). Concentrarci sempre su questi tre aspetti ci rende meno spi-
rituali, meno consapevoli e meno attenti, perché ci induce a essere
assorbiti dai noi stessi e focalizzati sul nostro corpo, sulle cose ma-
teriali (cosa possediamo, come viviamo, quanto denaro abbiamo
e così via) e su tutti i problemi che sperimentiamo nell’ambiente
esterno. Questa condizione ci porta a essere ossessionati dal tem-
po – a prepararci al peggior scenario possibile in base a esperienze
traumatiche che abbiamo vissuto in passato – perché il tempo non
è mai abbastanza e sembra che tutto ne richieda troppo.
Perciò potremmo dire che gli ormoni dello stress, non solo indu-
cono le cellule del corpo a diventare egoiste e ad assicurare la mera
sopravvivenza, ma spingono anche noi a essere più individualisti

82. M. K. Bhasin, J. A. Dusek, B. H. Chang, et al., “Relaxation Response In-


duces Temporal Transcriptome Changes in Energy Metabolism, Insulin Secre-
tion, and Inflammatory Pathways”, PLOS ONE, vol. 8, n. 5: p. e62817 (2013).

136
e materialisti, in quanto definiamo la realtà solo con i nostri sen-
si. Finiamo per sentirci staccati da ogni nuova possibilità, perché
quando non usciamo mai dallo stato di emergenza cronica, quella
mentalità da “prima io” che pervade tutti i nostri pensieri si rafforza
e si perpetua, portandoci a diventare più egocentrici e centrati su
noi stessi. In ultima analisi, il nostro io si definisce come un corpo
che vive in un determinato ambiente e in un dato momento.
Come hai appena appreso e come comprenderai meglio tra poco, la
verità è che in una certa misura tu puoi controllare la tua ingegneria
genetica attraverso i pensieri, le scelte, i comportamenti e le emo-
zioni. Come Dorothy nel Mago di Oz, che, senza saperlo, aveva già
dentro di sé il potere di cui era in cerca, anche tu sei dotato di un
potere che forse non sapevi di possedere: si tratta delle chiavi che
possono liberarti dalle catene che ti tengono legato alle limitazioni
della tua espressione genetica.

137
CAPITOLO 5

COME I PENSIERI CAMBIANO


IL CER VELLO E IL CORPO

Ora puoi comprendere che sei tu l’ingegnere epigenetico delle tue


cellule attraverso i pensieri che formuli, le emozioni che provi, le
esperienze che vivi, siano essi portatori di gioia o di stress. Sei tu
che controlli il tuo destino. E questa verità solleva un’altra doman-
da: se il tuo ambiente cambia e quindi tu programmi nuovi geni in
altri modi, è possibile programmare il gene prima che l’ambiente
cambi, basandosi sulle proprie percezioni e convinzioni? Di solito,
sensazioni ed emozioni sono i prodotti finali delle esperienze, ma è
lecito chiedersi se sia possibile associare un’intenzione chiara a un’e-
mozione, in modo da offrire al corpo un assaggio dell’esperienza
futura prima che l’evento si verifichi.
Quando ti focalizzi davvero sull’intenzione di raggiungere un risul-
tato futuro, durante il processo puoi rendere il tuo pensiero interno
più reale dell’ambiente esterno, perché il cervello non è in grado
di distinguere le due cose. Allora il tuo corpo, agendo da men-
te inconscia, comincerà a sperimentare il nuovo evento futuro nel
momento presente. Istruirai nuovi geni in altri modi, affinché si
preparino all’esperienza futura che hai immaginato.
Se continui a praticare mentalmente questa nuova serie di scelte,
comportamenti ed esperienze un numero sufficiente di volte, ri-
producendo sempre lo stesso livello mentale, allora il tuo cervel-
lo comincerà a modificarsi fisicamente e a installare nuovi circuiti
neurologici per predisporsi a pensare con quel nuovo livello men-
tale, come se l’esperienza si fosse già verificata. Produrrai variazioni
epigenetiche che determineranno cambiamenti strutturali e fun-
zionali nel corpo solo con il pensiero, come accade alle persone che
reagiscono a un placebo. Allora, il cervello e il corpo non vivranno
più nel passato immutabile, ma nel nuovo futuro che hai creato
nella mente.

138
È possibile attuare questo processo con la prova mentale. Questa
tecnica consiste nel chiudere gli occhi e immaginare più volte di
svolgere un’azione, rivedendo mentalmente il futuro che desideri
e tenendo sempre ben presente chi non vuoi più essere (il vecchio
io) e chi invece vuoi essere. Il processo richiede di pensare alle azio-
ni future pianificando mentalmente le tue scelte e focalizzando la
mente su una nuova esperienza.
Analizziamo nel dettaglio questo procedimento in modo da com-
prendere con esattezza cosa accade in una prova mentale e come
funziona. Facendo le prove mentali di un certo futuro o sognando
di conseguire un nuovo risultato, lo immagini di continuo fino a
quando non ti diventa familiare. Quanta più conoscenza ed espe-
rienza accumuli sulla nuova realtà che desideri, tante più risorse
hai a disposizione per creare un modello migliore di ciò che hai
immaginato, e tanto più intense sono le tue intenzioni e aspettative
(come nel caso delle cameriere d’albergo). Ti “ricordi” di come sarà
la tua vita e di come ti sentirai dopo aver ottenuto ciò che desideri.
Ciò significa infondere intenzionalità alla propria attenzione.
Poi associ i pensieri e le intenzioni a uno stato emotivo intenso,
come la gioia o la gratitudine. (Tra poco parleremo più a fondo
dell’intensità degli stati emotivi). Quando accogli questa nuova
emozione con grande entusiasmo, immergi il corpo nella neurochi-
mica che si scatenerebbe se quell’evento futuro si stesse già verifi-
cando. Potremmo dire che gli stai dando un assaggio dell’esperienza
futura. Il cervello e il corpo non conoscono la differenza tra vivere
un’esperienza reale e pensarla soltanto: a livello neurochimico, è la
stessa cosa per loro. Perciò iniziano a credere di vivere davvero una
nuova esperienza nel presente.
Continuando a focalizzarti su questo evento futuro senza lasciarti
distrarre da nessun altro pensiero, nell’arco di pochi istanti abbassi
il volume dei circuiti neurali connessi al vecchio io, che cominciano
a spegnere i vecchi geni, e inneschi e attivi nuovi circuiti neurali,
che inviano i segnali giusti per attivare nuovi geni in altri modi.
Grazie alla neuroplasticità di cui abbiamo già parlato, i circuiti
del cervello iniziano a riorganizzarsi per riflettere l’evento che stai
provando mentalmente. Mentre continui ad associare i tuoi nuovi

139
pensieri e le immagini mentali a quella intensa emozione positiva,
la mente e il corpo lavorano all’unisono e tu entri in un nuovo
modo d’essere.
A questo punto, il cervello e il corpo non sono più un archivio del
tuo passato, ma una mappa per il futuro, un futuro che hai creato
tu stesso nella mente. I pensieri sono diventati la tua esperienza e
tu sei diventato il tuo placebo.

STORIE DI PROVE MENTALI BEN RIUSCITE


Forse qualche tempo fa avrai sentito la storia di quel maggiore
dell’esercito che era stato rinchiuso in un campo di concentramen-
to in Vietnam e, per mantenersi sano di mente, ogni giorno imma-
ginava di giocare a golf; poi, quando fu liberato e tornò finalmente
a casa, giocò una partita perfetta. O forse avrai sentito del sovietico
Anatolij Ščaranskij, noto come Natan Sharansky, un attivista dei
diritti umani che negli anni Settanta trascorse nove anni in carce-
re in Unione Sovietica, accusato ingiustamente di essere una spia
al servizio degli Stati Uniti. Sharansky, che durante la prigionia
restò quattrocento giorni in un’angusta cella d’isolamento, buia
e gelida, giocava mentalmente a scacchi contro se stesso tutti i
giorni, tenendo sempre a mente le coordinate della scacchiera e la
posizione di ogni pezzo. Questa pratica gli permise di preservare
molte delle sue mappe neurali (che normalmente richiedono una
stimolazione esterna per restare intatte). Dopo la liberazione emi-
grò in Israele e diventò ministro del governo. Nel 1996, quando
il campione di scacchi Garri Kasparov andò in Israele per giocare
una partita simultanea contro venticinque israeliani, Sharansky ri-
uscì a batterlo.83
Aaron Rodgers, lanciatore dei Green Bay Packers, immagina dei
movimenti che poi esegue con precisione sul campo. Ha portato
i Packers alla vittoria nel Super Bowl del 2011, in un incontro a
eliminazione diretta durante il quale i Packers, che erano sesti in

83. S. Schmemann, “End Games End in a Huff”, New York Times (20 ottobre
1996), http://www.nytimes.com/1996/10/20/weekinreview/end-games-end-in-
a-huff.html.

140
graduatoria, hanno vinto quarantotto a ventuno contro gli Atlanta
Falcons, teste di serie. Rodgers ha completato trentuno lanci su
trentasei (l’86,1 per cento), la quinta percentuale migliore di com-
pletamento di tutti i tempi nelle gare poststagionali.
“A scuola, al sesto anno, un insegnante ci aveva spiegato l’importan-
za della visualizzazione”, raccontò Rodgers a un cronista sportivo
di USA Today.84 “Quando sono in riunione, sto guardando un film
o sono a letto prima di addormentarmi, visualizzo sempre quelle
giocate. Molte delle tattiche che ho messo in pratica nelle partite le
avevo pensate prima. Mentre stavo sdraiato sul divano, visualizzavo
di farle.” Nella stessa partita, Rodgers riuscì anche a liberarsi da tre
potenziali placcaggi, dichiarando in seguito a proposito di quelle
giocate: “Le avevo visualizzate quasi tutte prima di farle.”
Molti altri atleti professionisti hanno utilizzato la prova mentale
con risultati sbalorditivi, dal golfista Tiger Woods alle stelle della
pallacanestro Michael Jordan, Larry Bird e Jerry West, al lanciatore
di baseball Roy Halladay. Nel suo libro Il mio golf, il campione Jack
Nicklaus ha scritto:
Non faccio mai un tiro senza averne in testa un’immagine mol-
to nitida e precisa, neanche quando mi alleno. È come un film
a colori. Prima ‘visualizzo’ dove voglio che vada a finire la palla,
che con il suo biancore si staglia sul verde brillante dell’erba. Poi
la scena cambia rapidamente e io ‘vedo’ la palla che va a finire
proprio lì: il percorso che compie, la sua traiettoria e la sua
forma, persino il modo in cui atterra. In seguito, c’è una sorta
di dissolvenza e nella scena successiva ci sono io che trasformo
quelle immagini in realtà. Solo alla fine di questo breve e pri-
vato spettacolo hollywoodiano, scelgo la mazza e mi avvicino
alla palla.85
Come possiamo constatare da questi esempi (e ce ne sono moltis-
simi altri dello stesso tenore), numerose testimonianze dimostrano

84. J. Corbett, “Aaron Rodgers Is a Superstar QB out to Join Super Bowl


Club”, USA Today (20 gennaio 2011), http://usatoday30.usatoday.com/sports/
football/nfl/packers/2011-01-19-aaron-rodgers-cover_N.htm.
85. J. Nicklaus, Il mio golf. Sperling e Kupfer, Milano, 1984.

141
che la prova mentale è efficace per acquisire un’abilità fisica senza
fare pratica.
Non resisto alla tentazione di aggiungere un altro esempio, che que-
sta volta riguarda Jim Carrey e la storia straordinaria di quello che
fece verso la fine degli anni Ottanta quando, appena arrivato a Los
Angeles, faticava a trovare un ingaggio come attore. Su un foglio
di carta, scrisse un’affermazione lunga un paragrafo sull’incontrare
le persone giuste, trovare gli ingaggi giusti, lavorare nel film giusto
con il giusto cast, avere successo, dare un contributo importante e
fare la differenza nel mondo.
Tutte le sere andava a Mulholland Drive, sulle Hollywood Hills,
si appoggiava allo schienale della sua decappottabile e guardava il
cielo. Ripeteva quelle frasi tra sé, mandandole a memoria, imma-
ginando che quello che descrivevano stesse accadendo davvero. E
non si allontanava da quel luogo in cui poteva osservare il panora-
ma di Hollywood fino a quando non sentiva di essere già la persona
che stava immaginando, fino a quando la sensazione non diventava
reale. Un giorno si intestò un assegno del valore di dieci milioni di
dollari, scrivendo come causale “Lavori di recitazione”, e datandolo
“Giorno del Ringraziamento 1995”. Lo conservò nel portafoglio
per anni.
Finalmente, nel 1994, recitò in tre film che lo resero una stella
del cinema. Il primo fu Ace Ventura - L’acchiappanimali, che uscì
a febbraio, seguito da The Mask. Da zero a mito. E per il ruolo nel
terzo film, Scemo e più scemo, uscito a dicembre, Carrey ricevette un
assegno di diecimila dollari esatti. Riuscì a creare esattamente quello
che aveva visualizzato per se stesso.
Ciò che accomuna queste persone è che hanno eliminato l’ambien-
te esterno, travalicato il proprio corpo e trasceso il tempo tanto
da riuscire a compiere notevoli cambiamenti neurologici dentro di
sé. Quando si sono presentate al mondo, sono state in grado di
indurre la mente e il corpo a lavorare insieme creando, nella realtà,
esattamente quello che avevano concepito nel regno mentale.
Tutto questo è avvalorato da studi scientifici. Tanto per cominciare,
molti esperimenti sulle prove mentali dimostrano che quando ti

142
concentri su una parte del corpo, i tuoi pensieri stimolano l’area del
cervello che la governa86 e, se continui a farlo, in quell’area interver-
ranno mutamenti fisici. È normale che questo accada: se continui a
indirizzare la tua consapevolezza nello stesso luogo, accendi e attivi
le stesse reti neurali. Di conseguenza, costruisci mappe cerebrali
più forti in quell’area.
In uno studio condotto ad Harvard, soggetti che non avevano mai
suonato il pianoforte svolsero mentalmente un semplice esercizio
a cinque dita, due ore al giorno per cinque giorni; alla fine, senza
aver mosso un dito, manifestarono gli stessi cambiamenti cerebrali
riscontrati nei soggetti che avevano svolto fisicamente l’esercizio.87
La regione del cervello che controlla i movimenti delle dita si era
notevolmente potenziata e aveva subito delle trasformazioni come
se l’esperienza immaginata si fosse verificata davvero. Avevano in-
stallato un hardware neurologico (i circuiti) e dei software (i pro-
grammi), creando nuove mappe cerebrali solo con il pensiero.
In un altro studio condotto su trenta persone per un periodo di
dodici settimane, alcuni soggetti svolsero regolarmente esercizi con
il mignolo, mentre altri si limitarono a immaginare di fare la stessa
cosa. Alla fine della sperimentazione, mentre il gruppo che si era
realmente esercitato aveva aumentato la forza del dito del 53 per
cento, il gruppo che aveva solo immaginato di farlo aveva aumen-
tato la forza del 35 per cento.88 Il loro corpo era cambiato come
se avessero davvero vissuto più volte l’esperienza fisica nella realtà

86. H. H. Ehrsson, S. Geyer, E. Naito, “Imagery of Voluntary Movement of


Fingers, Toes, and Tongue Activates Corresponding Body-Part-Specific Motor
Representations”, Journal of Neurophysiology, vol. 90, n. 5: pp. 3304–3316
(2003).
87. A. Pascual-Leone, D. Nguyet, L. G. Cohen, et al., “Modulation of Muscle
Responses Evoked by Transcranial Magnetic Stimulation During the Acquisi-
tion of New Fine Motor Skills”, Journal of Neurophysiology, vol. 74, n. 3: pp.
1037–1045 (1995).
88. V. K. Ranganathan, V. Siemionow, J. Z. Liu, et al., “From Mental Power
to Muscle Power: Gaining Strength by Using the Mind”, Neuropsychologia, vol.
42, n. 7: pp. 944–956 (2004); G. Yue and K. J. Cole, “Strength Increases from
the Motor Program: Comparison of Training with Maximal Voluntary and
Imagined Muscle Contractions”, Journal of Neurophysiology, vol. 67, n. 5: pp.
1114–1123 (1992).

143
esterna, mentre ciò era avvenuto solo a livello mentale. La mente
ha cambiato il corpo.
In un esperimento analogo, dieci volontari dovettero immaginare
di flettere un bicipite con tutta la forza che avevano, cinque volte
a settimana. I ricercatori registrarono l’attività elettrica del cervello
durante le sessioni e misurarono la loro forza muscolare ogni due
settimane. Alla fine, i soggetti che avevano solo immaginato di flet-
tere il muscolo avevano aumentato la forza del bicipite del 13,5 per
cento in poche settimane, e mantennero questo livello per tre mesi
dopo la fine della sperimentazione.89 Il loro corpo aveva risposto a
un nuovo modo di pensare.
L’ultimo esempio riguarda uno studio francese basato sul confronto
tra soggetti che avevano sollevato manubri di pesi diversi e quelli
che avevano solo immaginato di farlo. Chi aveva visualizzato di
sollevare i carichi più pesanti aveva attivato i propri muscoli più di
chi aveva immaginato di sollevare pesi più leggeri.90 In tutti e tre
questi studi sulla prova mentale, i soggetti riuscirono a incrementa-
re in modo misurabile la loro forza corporea usando solo il pensiero.
Forse ti starai chiedendo se esistono studi che mostrano cosa ac-
cade quando eseguiamo l’intera sequenza, ossia quando non solo
immaginiamo cosa vogliamo creare, ma vi associamo anche una
forte emozione positiva. In effetti esistono e li conoscerai tra poco.

ISTRUIRE NUOVI GENI NEL CORPO CON UNA MENTE NUOVA


Per comprendere meglio perché le prove mentali sono così effica-
ci, dobbiamo soffermarci per un attimo sull’anatomia del cervello
e poi fornire qualche nozione di neurochimica. Cominciamo dal
lobo frontale, situato proprio dietro la fronte, che è il nostro centro
creativo. Si tratta della parte del cervello predisposta all’apprendi-

89. P. Cohen, “Mental Gymnastics Increase Bicep Strength”, New Scientist,


vol. 172, n. 2318: p. 17 (2001), http://www.newscientist.com/article/dn1591-
mental-gymnastics-increase-bicep-strength.html#.Ui03PLzk_Vk.
90. A. Guillot, F. Lebon, D. Rouffet, et al., “Muscular Responses During Mo-
tor Imagery as a Function of Muscle Contraction Types”, International Journal
of Psychophysiology, vol. 66, n. 1: pp. 18–27 (2007).

144
mento di nuove cose: sogna altre possibilità, prende decisioni con-
sapevoli, stabilisce le nostre intenzioni e così via. Si potrebbe dire
che è il nostro amministratore delegato e, più precisamente, ci per-
mette di osservare chi siamo e di valutare ciò che stiamo facendo e
come ci sentiamo. È la sede della nostra coscienza. Svolge un ruolo
importante perché, quando diventiamo più consapevoli dei nostri
pensieri, possiamo guidarli meglio.
Quando pratichi la prova mentale e ti concentri davvero sul risul-
tato che desideri ottenere, il lobo frontale è il tuo alleato, perché
abbassa il volume del mondo esterno in modo che tu non sia di-
stratto dalle informazioni provenienti dai cinque sensi. Le scan-
sioni cerebrali mostrano che in uno stato di forte concentrazione,
come durante una prova mentale, la percezione del tempo e dello
spazio si attenua.91 Questo accade perché il lobo frontale abbassa
gli input dei centri sensoriali (che ti permettono di sentire il corpo
nello spazio), dei centri motori (responsabili del movimento fisico),
dei centri associativi (dove risiedono i pensieri sulla tua identità) e
dei circuiti del lobo parietale (dove elabori la cognizione del tem-
po). Dal momento che sei in grado di trascendere l’ambiente, il tuo
corpo e persino il tempo, sei anche in grado di rendere i pensieri
che formuli più reali di qualunque altra cosa.
Nel momento in cui immagini un futuro diverso per te, pensi a
nuove possibilità e cominci a porti domande specifiche (per esem-
pio: Come sarebbe vivere senza questo dolore o questa limitazione?) il
tuo lobo frontale scatta sull’attenti. In pochi secondi, crea l’inten-
zione di stare bene (così hai ben chiaro cosa vuoi creare e cosa non
vuoi più provare) e un’immagine mentale dell’essere sano, così puoi
vedere come sarà.
In qualità di amministratore delegato, il lobo frontale è in contatto
con tutte le altre parti del cervello. Quindi comincia a selezionare
reti di neuroni per creare un nuovo stato mentale che risponda a

91. I. Robertson, Il cervello plastico. Come l’esperienza modella la nostra mente.


Rizzoli, 1999; S. Begley, “God and the Brain: How We’re Wired for Spirituali-
ty”, Newsweek (7 maggio 2001), pp. 51–57; A. Newburg, E. D’Aquili, V. Rau-
se, Why God Won’t Go Away: Brain Science and the Biology of Belief. Ballantine
Books, 2001.

145
quella domanda. Si può dire che diventa un direttore d’orchestra:
riduce al silenzio tutti i vecchi impianti (utilizzando la funzione
della neuroplasticità chiamata pruning) e seleziona diverse reti neu-
rali in varie parti del cervello. Poi le collega per creare un nuo-
vo livello mentale che rifletta ciò che stai immaginando. È il lobo
frontale che cambia la tua mente: ovvero fa funzionare il cervello
utilizzando sequenze, schemi e combinazioni diversi. Quando rie-
sce a selezionare diverse reti di neuroni e le accende per creare un
nuovo livello mentale, nel tuo occhio della mente, o lobo frontale,
appare un’immagine o rappresentazione interna.
Ora aggiungiamo qualche nozione di neurochimica. Se il lobo
frontale riesce a orchestrare un numero sufficiente di reti neurali
affinché si accendano all’unisono mentre ti focalizzi su un’inten-
zione chiara, arriverà un momento in cui nella tua mente il pensie-
ro diventa l’esperienza: ciò avviene quando la realtà interna è più
forte di quella esterna. Quando il pensiero diventa l’esperienza,
cominci a sentire l’emozione che proveresti se l’evento fosse rea-
le (ricorda: le emozioni sono configurazioni chimiche delle espe-
rienze). Il cervello produce un messaggero chimico particolare,
un neuropeptide, e lo invia alle cellule del corpo. Il neuropeptide
cerca i giusti siti recettoriali o punti d’attracco su varie cellule, così
potrà inviare il suo messaggio ai centri ormonali e, infine, al DNA;
a questo punto le cellule riceveranno il messaggio che segnala che
l’evento si è verificato.
Quando il DNA di una cellula riceve questa informazione dal neu-
ropeptide, risponde accendendo (o regolando verso l’alto) alcuni
geni e spegnendone (o regolando verso il basso) altri, per suppor-
tare il tuo nuovo modo d’essere. Pensa alla regolazione verso l’alto
e verso il basso come al processo con cui le luci si riscaldano e si
fanno più intense o si raffreddano e si affievoliscono. Quando un
gene viene acceso, si attiva per creare una proteina. E possiamo
riscontrarne gli effetti nei cambiamenti misurabili che si verificano
nel corpo a livello fisico.
Osserva la Figura 5.1A e la Figura 5.1B. Ti aiuteranno a seguire
l’intera sequenza del cambiamento fisico innescato dal solo pen-
siero.

146
CAMBIARE IL CORPO CON IL SOLO PENSIERO

Figura 5.1A

GUARIRE IL CORPO CON IL SOLO PENSIERO

Figura 5.1B. 
  Nella figura 5.1A, il diagramma dimostra come i pensieri inneschino una cascata
di semplici meccanismi e reazioni chimiche in una causalità discendente che
cambia il corpo. Per deduzione, se nuovi pensieri possono creare una nuova
mente attivando nuove reti neurali, rilasciando neuropeptidi e ormoni più sani
(che istruiscono le cellule in modi nuovi e, a livello epigenetico, attivano nuovi
geni per produrre nuove proteine), e se l’espressione delle proteine è l’espressione
della vita, che equivale alla salute del corpo, allora, come illustra la Figura 5.1B, i
pensieri possono guarire il corpo.

147
LE CELLULE STAMINALI: IL NOSTRO POTENTE
BACINO DI POTENZIALITÀ
Il passaggio successivo che dobbiamo comprendere in questo puz-
zle è costituito dalle cellule staminali. Queste ultime sono responsa-
bili almeno in parte del processo che rende possibile ciò che appare
impossibile. Ufficialmente si tratta di cellule biologiche indiffe-
renziate che poi si specializzano. Sono potenzialità allo stato puro.
Quando questi elementi neutri vengono attivati, si trasformano in
qualunque tipo di cellula di cui il corpo ha bisogno (cellule dei
muscoli, delle ossa, della pelle, del sistema immunitario e anche
cellule nervose), per sostituire quelle lesionate o danneggiate nei
tessuti, negli organi e negli apparati dell’organismo. Puoi immagi-
narle come un piatto di pasta prima che venga versato il condimen-
to; come un mucchio di argilla sul tornio del ceramista che attende
di essere trasformato in un piatto, in una ciotola, in un vaso o in
una tazza; o magari un rotolo di nastro adesivo telato color argento,
che un giorno potrà essere usato per riparare un tubo che perde e il
giorno dopo potrà essere abilmente modellato per trasformarlo in
un abito da sera.
Ecco un esempio di come funzionano le cellule staminali. Quando
ti ferisci un dito, il corpo ha bisogno di riparare la lesione. Il trauma
fisico locale invia dall’esterno un segnale ai geni, che si accendono e
producono la proteina appropriata, la quale istruisce le cellule sta-
minali affinché si trasformino in cellule della pelle che funzionino
in modo sano. Il segnale del trauma è l’informazione che serve alla
cellula staminale per differenziarsi e diventare una cellula epidermi-
ca. Nel nostro corpo sono costantemente in atto milioni di processi
come questo. Processi di guarigione attribuibili a questo tipo di
espressione genica sono stati documentati nel fegato, nei muscoli,
nella pelle, nell’intestino, ma anche nel cervello e nel cuore.92
Negli studi sulla guarigione delle ferite, è emerso che, quando il
soggetto è in uno stato emotivo fortemente negativo come la rab-
bia, le cellule staminali non ricevono il messaggio con chiarezza. Se
c’è un’interferenza nel segnale, come avviene nelle comunicazioni

92. Rossi, The Psychobiology of Gene Expression.

148
radio a causa dei disturbi atmosferici, la cellula potenziale non ri-
ceve il giusto stimolo per trasformarsi in una cellula utile. Come
hai appreso leggendo la parte sulla reazione allo stress e sul vivere
in modalità di sopravvivenza, la guarigione è più lunga perché gran
parte dell’energia del corpo è impegnata a gestire la rabbia e i suoi
effetti chimici. Non c’è tempo per occuparsi della creazione, della
crescita e dello sviluppo: è il momento dell’emergenza.
Perciò, quando l’effetto placebo è in atto e riesci a creare il giu-
sto livello mentale con un’intenzione più chiara, associata a un’e-
mozione edificante ed elevata, la cellula del DNA può essere rag-
giunta dal segnale adeguato. Il messaggio influenza non solo la
produzione di proteine utili affinché migliorino la struttura e la
funzionalità del corpo, ma anche la creazione di cellule nuove e
benefiche, nate dalle staminali latenti che aspettano solo di essere
attivate dal segnale giusto.
Puoi immaginare queste cellule staminali come le carte del Mono-
poli che indicano “esci gratis di prigione”, perché quando vengono
pescate o attivate sostituiscono le cellule nelle aree lesionate del
corpo, permettendo una completa rigenerazione. Infatti, le cellule
staminali sono tra i fattori che spiegano come si verifica il processo
di guarigione in almeno la metà dei casi in cui una finta operazione
chirurgica, per l’artrite al ginocchio o per un bypass coronarico,
innesca l’effetto placebo (come descritto nel Capitolo 1).

COME INTENZIONE ED EMOZIONE INTENSA


CAMBIANO LA NOSTRA BIOLOGIA
Abbiamo già accennato alle emozioni e al ruolo vitale che svolgono
nella guarigione del corpo, ma ora dobbiamo approfondire l’argo-
mento. Associare una reazione emotiva intensa a pensieri nuovi su
cui ci concentriamo nella prova mentale è come inserire il turbo ai
nostri sforzi, perché le emozioni aiutano a compiere cambiamenti
epigenetici in modo più rapido. La componente emotiva non è
indispensabile; dopotutto, i soggetti che hanno rafforzato i loro mu-
scoli solo immaginando di sollevare dei pesi non hanno avuto bi-
sogno di entrare in uno stato di beatitudine per modificare i propri
geni. Però si sono ispirati usando l’immaginazione, pensando: “Più
149
forte! Più forte! Più forte!” a ogni sollevamento mentale. L’emozio-
ne è stata il catalizzatore energetico che ha potenziato il processo.93
Mantenere un’emozione così elevata ci permette di ottenere risul-
tati migliori molto più in fretta, gli stessi risultati eccezionali che si
riscontrano con la reazione al placebo.
Ricordi lo studio sull’effetto della risata spiegato nel Capitolo 2? I
ricercatori giapponesi hanno scoperto che guardare un programma
comico per un’ora regola verso l’alto trentanove geni, quattordici
dei quali, in quel caso specifico, erano collegati all’attività delle
cellule natural killer (predatori naturali delle cellule dannose) nel
sistema immunitario. Altri studi hanno dimostrato un aumento
del numero di anticorpi nei soggetti che avevano guardato un film
comico.94 Una ricerca condotta alla University of North Caroli-
na di Chapel Hill ha dimostrato che l’intensificarsi di emozioni
positive produce un aumento del tono vagale, parametro con cui
si misura il livello di salute del nervo vago, che svolge un ruolo
fondamentale nel regolare il sistema nervoso autonomo e nell’o-
meostasi.95 In uno studio giapponese, si è visto che quando i topi
neonati venivano solleticati per cinque minuti al giorno, cinque
giorni di fila, stimolando così emozioni positive, il loro cervello
generava nuovi neuroni.96
In ognuno di questi casi, forti emozioni positive hanno aiutato
i soggetti a innescare veri e propri cambiamenti fisici che hanno

93. Yue, Cole, Il cervello infinito. Ponte alle Grazie, 2007.


94. K. M. Dillon, B. Minchoff, and K. H. Baker, “Positive Emotional States
and Enhancement of the Immune System”, International Journal of Psychiat-
ry in Medicine, vol. 15, n. 1: pp. 13–18 (1985–1986); S. Perera, E. Sabin, P.
Nelson, et al., “Increases in Salivary Lysozyme and IgA Concentrations and
Secretory Rates Independent of Salivary Flow Rates Following Viewing of Hu-
morous Videotape”, International Journal of Behavioral Medicine, vol. 5, n. 2:
pp. 118–128 (1998).
95. B. E. Kok, K. A. Coffey, M. A. Cohn, et al., “How Positive Emotions
Build Physical Health: Perceived Positive Social Connections Account for the
Upward Spiral Between Positive Emotions and Vagal Tone”, Psychological Scien-
ce, vol. 24, n. 7: pp. 1123–1132 (2013).
96. T. Yamamuro, K. Senzaki, S. Iwamoto, et al., “Neurogenesis in the Dentate
Gyrus of the Rat Hippocampus Enhanced by Tickling Stimulation with Positi-
ve Emotion”, Neuroscience Research, vol. 68, n. 4: pp. 285–289 (2010).

150
migliorato la loro salute. Le emozioni positive fanno prosperare il
corpo e il cervello.
Ora analizziamo lo schema di molti studi sul placebo: quando qual-
cuno comincia a nutrire l’intenzione chiara di un nuovo futuro (la
volontà di vivere senza dolore o malattia) e la associa a un’emozione
intensa (entusiasmo, speranza e aspettativa di vivere davvero senza
dolore o malattia), il corpo non vive più nel passato. Sta già vi-
vendo in quel nuovo futuro, perché, come abbiamo visto, il corpo
non conosce la differenza tra un’emozione creata da un’esperienza
reale e una suscitata solo dal pensiero. Perciò, quello stato emotivo
intenso, in reazione al nuovo pensiero, è un elemento vitale del
processo, perché è una nuova informazione che arriva dall’ester-
no della cellula; e per il corpo, l’esperienza dell’ambiente esterno e
quella dell’ambiente interno si equivalgono.
Ricordi il signor Wright che abbiamo incontrato nel Capitolo 1?
Era entusiasta di prendere il nuovo potente farmaco di cui aveva
sentito parlare e immaginava che l’avrebbe aiutato a guarire. Era
così eccitato che ha insistito affinché il medico gli permettesse di
prenderlo. Quando ha cominciato ad assumerlo, non sapeva che
fosse inerte. E siccome il suo cervello non conosceva la differenza
tra l’immagine mentale della guarigione dotata di una forte cari-
ca emotiva e la guarigione effettiva, il corpo ha reagito come se
quello che il signor Wright aveva immaginato fosse già accaduto.
La mente e il corpo hanno lavorato in sinergia per istruire nuovi
geni in altri modi. È stato questo processo, e non il “nuovo farmaco
potente”, a far regredire il tumore e a ripristinare la salute, creando
un nuovo modo d’essere.
Quando il signor Wright ha saputo che le sperimentazioni aveva-
no dimostrato l’inefficacia del farmaco, è tornato alle sue vecchie
convinzioni ed emozioni, cioè al suo vecchio programma, e non c’è
da meravigliarsi se il tumore si sia riformato. Il suo modo d’essere
è cambiato ancora. Quando i medici gli hanno detto che poteva
prendere una versione potenziata del farmaco, Wright si è entusia-
smato di nuovo. Ha cominciato a credere davvero che questa nuova
versione potesse funzionare, perché l’aveva già fatto in precedenza
(o almeno così pensava).

151
Ovviamente, quando ha accolto ancora una volta l’intenzione di
guarire e ha iniziato a pensare a quella possibilità, il suo cervello
ha cominciato a innescare e ad attivare altre connessioni neurali,
creando una mente nuova. Questo stato emotivo, caratterizzato da
entusiasmo e speranza, ha generato nel corpo le sostanze chimiche
a sostegno di nuovi pensieri. Il suo corpo non conosceva la diffe-
renza tra i pensieri e le emozioni relativi al guarire e all’essere guarito
davvero. Ancora una volta corpo e cervello hanno reagito come se
ciò che lui aveva immaginato fosse già accaduto, e i tumori sono
scomparsi di nuovo.
Dopo aver letto che questo “farmaco miracoloso” in realtà era una
bufala, Wright è tornato definitivamente alle vecchie convinzioni
ed emozioni; così è tornata anche la sua vecchia personalità, con i
suoi tumori.
La verità è che non c’è stato nessun farmaco miracoloso: era lui il
miracolo. E non c’è stato nessun placebo: era lui il placebo. Perciò
dobbiamo sforzarci non solo di evitare le emozioni negative, come
la paura e la rabbia, ma anche di coltivare profonde emozioni po-
sitive, come la gratitudine, la gioia, l’esaltazione, l’entusiasmo, la
fascinazione, lo stupore, l’ispirazione, la meraviglia, la fiducia, la
riconoscenza, la gentilezza, la compassione e la consapevolezza del
nostro potere, per ottenere ogni beneficio possibile quando otti-
mizziamo la nostra salute.
Le ricerche dimostrano che quando attingiamo a emozioni positi-
ve, come la gentilezza e l’empatia, che peraltro sono dentro di noi
fin dalla nascita, tendiamo a rilasciare un particolare neuropeptide
(chiamato ossitocina), che spegne naturalmente i recettori nell’a-
migdala, la parte del cervello che genera ansia e paura.97 Quando
eliminiamo queste due emozioni, ci sentiamo infinitamente più fi-
duciosi, propensi al perdono e aperti all’amore. Passiamo dall’egoi-
smo all’altruismo. E quando incarniamo questo nuovo modo d’es-
sere, i nostri neurocircuiti spalancano le porte a infinite possibilità

97. T. Baumgartner, M. Heinrichs, A. Vonlanthen, et al., “Oxytocin Shapes the


Neural Circuitry of Trust and Trust Adaptation in Humans”, Neuron, vol. 58,
n. 4: pp. 639–650 (2008).

152
che prima non avremmo nemmeno immaginato, perché ora non
spendiamo più tutta la nostra energia per cercare di sopravvivere.
Gli scienziati stanno scoprendo aree del corpo – come l’intestino,
il sistema immunitario, il fegato, il cuore e molti altri organi –
che contengono siti recettoriali per l’ossitocina. Questi organi sono
molto reattivi agli effetti curativi di questo neuropeptide, collegato
allo sviluppo di nuovi vasi sanguigni nel cuore,98 alla stimolazione
delle funzioni immunitarie,99 all’aumento della motilità intestina-
le100 e alla normalizzazione dei livelli di glucosio nel sangue.101
Torniamo per un attimo alla prova mentale. Ricorderai che il lobo
frontale è il nostro alleato quando ne svolgiamo una. Questo acca-
de perché ci aiuta a staccarci dal corpo, dall’ambiente e dal tempo:
i tre elementi su cui è focalizzato chi vive in modalità di sopravvi-
venza. Esso ci aiuta a trascendere noi stessi e a entrare in uno stato
di pura coscienza in cui siamo privi di ego.
In questo nuovo stato, quando visualizziamo ciò che desideriamo,
il nostro cuore è più aperto e le emozioni positive possono scorrere
attraverso di noi, in modo tale che il circolo del sentire ciò che
pensiamo e pensare ciò che sentiamo finalmente opera in nostro fa-
vore. L’assetto egoista che avevamo assunto quando vivevamo nella
modalità “lotta o fuggi” non esiste più, perché l’energia che prima
era incanalata per soddisfare i bisogni legati alla sopravvivenza ora

98. M. G. Cattaneo, G. Lucci, L. M. Vicentini, “Oxytocin Stimulates in Vitro


Angiogenesis via a Pyk-2/Src-Dependent Mechanism”, Experimental Cell Rese-
arch, vol. 315, n. 18: pp. 3210–3219 (2009).
99. A. Szeto, D. A. Nation, A. J. Mendez, et al., “Oxytocin Attenuates
NADPH-Dependent Superoxide Activity and IL-6 Secretion in Macrophages
and Vascular Cells”, American Journal of Physiology: Endocrinology and Metabo-
lism, vol. 295, n. 6: pp. E1495–501 (2008).
100. H. J. Monstein, N. Grahn, M. Truedsson, et al., “Oxytocin and Oxyto-
cin-Receptor mRNA Expression in the Human Gastrointestinal Tract: A
Polymerase Chain Reaction Study”, Regulatory Peptides, vol. 119, n. (1–2): pp.
39–44 (2004).
101. J. Borg, O. Melander, L. Johansson, et al., “Gastroparesis Is Associated
with Oxytocin Deficiency, Oesophageal Dysmotility with HyperCCKemia,
and Autonomic Neuropathy with Hypergastrinemia”, BMC Gastroenterology,
vol. 9: p. 17 (2009).

153
è stata liberata e possiamo disporne per creare. È come se qualcuno
ci pagasse l’affitto o una rata del mutuo per un mese e noi avessimo
denaro extra da utilizzare a piacimento.
Ora possiamo comprendere perché, se manteniamo chiara l’inten-
zione di un nuovo futuro, se l’associamo a uno stato emotivo ele-
vato e se ripetiamo il processo in continuazione fino a creare un
nuovo stato mentale e un nuovo modo d’essere, questi pensieri ci
sembreranno più reali della visione limitata della realtà che aveva-
mo prima. Finalmente siamo liberi. E quando accogliamo davvero
quell’emozione, possiamo innamorarci più facilmente della possi-
bilità che stiamo immaginando.
Il direttore d’orchestra (il lobo frontale) si sente come un bambino
in una pasticceria: con entusiasmo e gioia, vede ogni tipo di connes-
sione neurale possibile per formare nuove reti di neuroni. E mentre
ci fa staccare dal vecchio modo d’essere, accendendo i circuiti di
quello nuovo, la nostra neurochimica comincia a inviare messaggi
diversi alle cellule, che ora sono pronte ad attuare cambiamenti
epigenetici per istruire nuovi geni in modi nuovi e benefici. Inoltre,
dal momento che abbiamo usato emozioni intense per convincere
il nostro corpo che tutto questo è già accaduto, riusciamo a istruire
il gene prima dell’ambiente. Non dobbiamo più aspettare il cambia-
mento e sperare in esso: il cambiamento siamo noi.

TORNIAMO AL MONASTERO
Torniamo alla ricerca esposta all’inizio di questo capitolo, dove al-
cuni anziani hanno finto di essere più giovani e sono ringiovaniti
davvero nel fisico. Ora abbiamo risposto alla domanda “Ma come
hanno fatto?” e abbiamo risolto il mistero.
Quando sono arrivati al monastero, si sono allontanati dalla loro solita
vita. Intorno a sé non avevano elementi che vincolavano la percezione
della loro identità all’ambiente esterno. Hanno cominciato il ritiro
mantenendo un’intenzione molto chiara: fingere di essere più giovani
(usando la prova sia fisica, sia mentale, perché entrambe cambiano
il cervello e il corpo) e rendere la simulazione il più reale possibile.
Guardando film, leggendo riviste e ascoltando programmi radiofonici

154
e televisivi che erano in voga quando avevano ventidue anni di meno,
senza interferenze del mondo contemporaneo, sono riusciti a liberarsi
della loro realtà di settantenni e ottantenni.
Hanno cominciato a vivere davvero come se fossero più giovani.
Sperimentando pensieri ed emozioni nuove legate all’età che finge-
vano di avere, il loro cervello ha iniziato ad attivare sequenze, sche-
mi e combinazioni neurali nuove, alcune delle quali non venivano
attivate da ventidue anni. Oltre alla loro immaginazione entusiasta,
tutto ciò che li circondava era uno stimolo gioioso a vivere l’espe-
rienza come se fosse reale: perciò il loro cervello non colse nessuna
differenza tra essere più giovani di ventidue anni e fingere di esserlo.
Nell’arco di pochi giorni, questi uomini sono riusciti ad attivare
proprio quei cambiamenti genetici che riflettevano l’identità che
avevano assunto.
In questo processo, il loro corpo ha prodotto neuropeptidi adeguati
alle nuove emozioni, che sono stati inviati alle cellule del corpo per
consegnare nuovi messaggi. Una volta entrati nelle cellule giuste,
hanno avuto accesso al DNA racchiuso nel nucleo. A quel punto
sono state create nuove proteine, che hanno cercato geni conformi
all’informazione che stavano trasportando. Quando li hanno tro-
vati, hanno tolto l’involucro del DNA, hanno acceso il gene che
era lì ad attenderle e hanno innescato cambiamenti epigenetici, che
a loro volta hanno innescato la produzione di nuove proteine che
somigliavano a quelle di uomini ventidue anni più giovani. Se il
corpo di questi uomini non avesse avuto i componenti necessari
per attuare i cambiamenti epigenetici richiesti, l’epigenoma avreb-
be utilizzato le cellule staminali per produrre ciò che serviva.
Man mano che questi uomini attuavano cambiamenti epigenetici e
attivavano nuovi geni, innescavano miglioramenti fisici a profusione
tanto che, quando sono usciti dai cancelli del monastero con il busto
eretto e il passo leggero, non erano più gli stessi uomini che una set-
timana prima avevano varcato quella soglia trascinando i piedi.
E se il processo ha funzionato per queste persone, ti assicuro che
può funzionare anche per te. Tu quale realtà scegli di vivere e chi
fingi di essere (o di non essere)? Può essere così semplice?

155
CAPITOLO 6

S U G G E S T I O N A B I L I TÀ

Il trentaseienne Ivan Santiago era in paziente attesa in una via di


New York, insieme a un gruppo di paparazzi ammassati dietro a
un cordone di velluto vicino alla porta di servizio di un albergo a
quattro stelle del Lower East Side. Stavano aspettando un dignita-
rio straniero che di lì a poco sarebbe uscito dall’edificio per salire
su una delle due limousine nere che lo attendevano accostate al
marciapiede. Ma Santiago non brandiva una macchina fotografica.
Con una mano frugò all’interno del suo zaino rosso nuovo fiam-
mante ed estrasse una pistola dotata di silenziatore. Santiago, guar-
dia carceraria della Pennsylvania con un fisico imponente e una
testa così pelata da far invidia a Vin Diesel, ne sapeva qualcosa di
armi mortali. Non aveva mai dovuto sparare quand’era in servizio,
ma quel giorno era pronto a farlo.
Pochi istanti prima, Santiago stava tornando a casa senza pensare
minimamente alle pistole, agli zaini, ai dignitari stranieri o all’o-
micidio. Ma adesso era lì, con il dito sul grilletto, le sopracciglia
aggrottate e l’espressione truce, e nel giro di pochi secondi sarebbe
diventato un assassino. La porta dell’albergo si aprì e il suo bersa-
glio uscì vestito di tutto punto, con una camicia candida e inami-
data, occhiali da sole e ventiquattrore di pelle. L’uomo aveva fatto
solo due o tre passi in direzione della limousine, quando Santiago
sparò tre colpi. L’uomo cadde a terra esanime e una macchia rossa
si allargò sulla camicia.
Qualche secondo dopo, un uomo di nome Tom Silver apparve
dal nulla, posò una mano sulla spalla di Santiago e l’altra sulla sua
fronte e disse: “Adesso conterò fino a cinque e dirò ‘pienamente
ristorato’. Apri gli occhi e svegliati. Uno, due, tre, quattro, cinque!
Pienamente ristorato!”.
Santiago era stato ipnotizzato e indotto a sparare a uno sconosciu-
to (in realtà uno stuntman) usando un’arma che si scoprì essere

156
un’innocua pistola a salve, in un esperimento condotto da alcuni
scienziati che volevano verificare l’impensabile: usando l’ipnosi, è
possibile programmare una brava persona rispettosa della legge a
diventare un assassino a sangue freddo?102
Nascosti nella limousine, gli occhi puntati sulla scena, c’erano i ri-
cercatori che lavoravano con Silver: Cynthia Meyersburg, borsista
di ricerca ad Harvard specializzata in psicopatologia sperimentale,
Mark Stokes, neuroscienziato a Oxford che studiava le vie neurali
nei processi decisionali e Jeffery Kieliszewski, psicologo forense
della Human Resource Associates di Grand Rapids, in Michigan,
che aveva lavorato in carceri di massima sicurezza e ospedali psi-
chiatrici giudiziari.
Il giorno prima, i ricercatori avevano cominciato il lavoro con un
gruppo di centottantacinque volontari. Silver (un ipnoterapista cli-
nico ed esperto di ipnosi forense che aveva aiutato il Dipartimento
della Difesa di Taiwan a sventare un traffico internazionale di armi
da 2,4 miliardi di dollari) esaminò tutti i soggetti per determinare
quanto fossero suggestionabili con l’ipnosi. Solo una piccola per-
centuale della popolazione, compresa tra il 5 e il 10 per cento, è
considerata molto ricettiva all’ipnosi. Nel gruppo sperimentale, i
sedici che risultarono idonei furono sottoposti a una valutazione
psicologica per scartare chi rischiava di subire un danno permanen-
te a seguito dell’esperimento. Undici persone passarono alla fase
successiva, che mirava a determinare se, sotto ipnosi, avrebbero ri-
cusato norme sociali profondamente radicate: questo test serviva
per individuare i soggetti più suggestionabili.
Divisi in gruppi più piccoli, i candidati furono portati a pranzo in
un ristorante abbastanza affollato ma, a loro insaputa, gli fu indotta
una suggestione postipnotica: sedendosi, sentirono la sedia roven-
te, tanto che per il caldo cominciarono a spogliarsi nel bel mezzo
del ristorante. In varia misura, tutti i partecipanti si comportarono
secondo le istruzioni, ma i ricercatori eliminarono i sette soggetti
che sembrava stessero giocando o che non erano risultati sufficien-

102. Discovery Channel, “Brainwashed”, stagione 2, episodio 4 della serie Cu-


riosity, trasmesso il 28 ottobre 2012.

157
temente suggestionabili da seguire per intero le indicazioni. Gli
altri si spogliarono fino a rimanere in mutande in pochi secondi;
pensavano davvero che le sedie fossero incandescenti.
I quattro che passarono al livello successivo furono invitati a fare un
test in cui nessuno poteva fingere. Dovevano entrare in una profon-
da vasca metallica piena d’acqua a 1,6 gradi, temperatura prossima
al congelamento. Uno alla volta, i soggetti furono collegati ad ap-
parecchiature che monitoravano ritmo cardiaco, velocità del respi-
ro e pulsazioni, mentre una speciale telecamera termografica mo-
nitorava la temperatura corporea e quella dell’acqua. Dopo averli
ipnotizzati, Silver disse che non avrebbero sentito alcun disagio per
l’acqua fredda; anzi, avrebbero avuto la sensazione di entrare in
un piacevole bagno caldo. L’anestesista Sekhar Upadhyayula super-
visionò l’esperimento alla presenza di personale medico pronto a
intervenire in caso di emergenza.
La prova avrebbe decretato la riuscita o il fallimento della speri-
mentazione. Di solito, quando una persona si immerge in un’acqua
così fredda, boccheggia a causa di un riflesso involontario quando
l’acqua arriva all’altezza dei capezzoli. Il ritmo cardiaco e la velocità
della respirazione si impennano e l’individuo inizia a tremare e a
battere i denti. È il sistema nervoso autonomo che prende il so-
pravvento nel tentativo di mantenere l’equilibrio interno; si tratta
di un processo che sfugge al controllo della mente conscia. Anche
se la persona si trovasse in un profondo stato di ipnosi, in queste
circostanze estreme la quantità di sensazioni inviate al cervello sa-
rebbe troppo schiacciante per poter mantenere lo stato ipnotico. Se
alcuni di questi soggetti avessero passato il test, di sicuro si sarebbe
trattato di persone altamente suggestionabili.
Tre soggetti erano in un profondo stato di ipnosi, ma non tanto da
resistere al freddo estremo senza perdere l’omeostasi. Nessuno dei
tre riuscì a restare in acqua per più di diciotto secondi. Ma il quarto
soggetto, Santiago, rimase in acqua per due minuti prima che il
dottor Upadhyayula sospendesse l’esperimento.
Il ritmo cardiaco di Santiago era veloce prima dell’esperimento, ma
quando entrò in acqua si calmò subito. Il suo elettrocardiogramma

158
non riportò fibrillazioni né anomalie nella frequenza respiratoria.
Santiago stava nell’acqua ghiacciata come se fosse immerso in un
bagno caldo; infatti era proprio questo che credeva di fare. Non
ebbe mai un fremito, né il suo corpo andò in ipotermia, perciò i
ricercatori trovarono in lui il soggetto che stavano cercando.
Dal momento che Santiago si era rivelato un soggetto altamente
suggestionabile sotto ipnosi, tanto che il suo corpo aveva supera-
to un ambiente estremo per tutto quel tempo e la sua mente era
riuscita a controllare le funzioni automatiche, era pronto per il
test finale.
Le verifiche sul suo passato dimostrarono che Santiago era una bra-
va persona. Era un lavoratore affidabile, un figlio devoto e uno zio
affettuoso. Di certo non era il tipo d’uomo che avrebbe mai accet-
tato di uccidere qualcuno a sangue freddo. Silver sarebbe riuscito a
trasformare un uomo del genere in un assassino?
Affinché questa fase dell’esperimento fosse valida, Santiago dove-
va restare all’oscuro di tutto; non doveva fare alcun collegamento
tra i test a cui aveva partecipato e la scena davanti all’albergo, che
si trovava vicino al luogo in cui si svolgeva la ricerca. In base al
piano, i produttori televisivi che dovevano filmare gli esperimenti
gli dissero che era stato selezionato per continuare il program-
ma, ma volevano che tornasse l’indomani per un breve colloquio
finale. Prima di andare via, gli fu detto che non l’avrebbero più
ipnotizzato.
Santiago tornò il giorno dopo. Mentre chiacchierava con una pro-
duttrice, la squadra si mise all’opera per allestire la scena all’aperto.
Lo stuntman indossò sacche di sangue finto, la pistola a salve (che
aveva lo scoppio e il rinculo di una vera arma da fuoco) fu inserita
in uno zaino rosso e depositata sul sedile di una motocicletta par-
cheggiata fuori dall’edificio. Un cordone di velluto fu posizionato
fuori dall’entrata di servizio dell’albergo, che era proprio lì accanto,
e finti paparazzi presero posto con le loro telecamere e macchine
fotografiche. Due limousine furono parcheggiate in strada con l’a-
ria di essere pronte a partire con a bordo il “dignitario straniero” e
il suo entourage.

159
Al piano di sopra, Santiago rispose felicemente alle domande della
sua “intervista finale” fin quando la produttrice non si assentò per
qualche istante, scusandosi e dicendo che sarebbe tornata subito.
Poco dopo entrò Silver, che disse di volerlo salutare. Mentre gli
stringeva la mano, diede un piccolo strattone al braccio di Santia-
go, condizionato a rispondere a questo stimolo, per farlo cadere
immediatamente in uno stato di trance ipnotica. Santiago zoppicò
fino al divano.
Silver gli disse che di sotto c’era “un tizio cattivo”, aggiungendo:
“Deve essere eliminato. Dobbiamo sbarazzarci di lui e sarai tu a far-
lo.” Spiegò a Santiago che doveva prendere lo zaino rosso, cammi-
nare fino al cordone di velluto e restare lì ad attendere il dignitario
che sarebbe uscito dall’albergo con una ventiquattrore. Gli ordinò:
“Non appena esce dalla porta, tu gli punti la pistola al petto e spari:
Bang! Bang! Bang! Bang! Bang! Appena l’avrai fatto, dimenticherai
nella maniera più totale e assoluta che sia mai accaduto.”
Infine, Silver impiantò uno stimolo acustico e uno fisico che avreb-
bero fatto entrare Santiago in uno stato ipnotico, nel quale avrebbe
seguito la suggestione postipnotica che Silver gli aveva dato: gli
disse che, fuori dall’edificio, avrebbe riconosciuto uno dei produt-
tori. Quell’uomo gli avrebbe stretto la mano dicendo: “Ivan, hai
fatto un lavoro spettacolare.” Silver chiese a Santiago di annuire se
intendeva fare quel che gli era stato chiesto e Santiago obbedì. Poi
lo fece uscire dallo stato di trance e si comportò come se davvero si
stessero solo salutando.
Quando Silver uscì, la produttrice tornò nella stanza e ringraziò San-
tiago, dicendogli che il colloquio era terminato e che era libero di an-
dare. Poco dopo, Santiago lasciò l’edificio pensando di tornare a casa.
Una volta fuori, uno dei produttori gli andò incontro, gli strin-
se la mano e disse: “Ivan, hai fatto un lavoro spettacolare.” Ecco
lo stimolo scatenante. Subito dopo, Santiago si guardò intorno,
vide la motocicletta, la raggiunse, prese con calma lo zaino rosso
appoggiato sul sedile. Avvistò il cordone di velluto e i paparazzi
e, mentre andava in quella direzione, aprì adagio la cerniera dello
zaino. Dopo qualche istante, un uomo con la ventiquattrore uscì

160
dalla porta. Senza esitazioni, Santiago estrasse la pistola dallo zaino,
mirò al petto di quell’uomo e sparò diversi colpi. Le sacche di san-
gue finto sotto la camicia del “dignitario” si lacerarono e la vittima
cadde a terra.
Silver apparve quasi subito sulla scena e chiese a Santiago di chiu-
dere gli occhi. Lo stuntman si allontanò in tutta fretta mentre
Silver fece uscire Santiago dallo stato di trance. A quel punto, lo
psicologo Jeffery Kieliszewski si avvicinò e chiese a Santiago di en-
trare nell’edificio insieme agli altri per un debriefing [Ndt: Colloquio
psicologico a seguito di un evento potenzialmente traumatico]. Lì, i ri-
cercatori spiegarono a uno stupefatto Santiago che cos’era accaduto
e gli chiesero se avesse qualche ricordo di ciò che aveva fatto o di
quanto era successo fuori dall’edificio. Santiago rispose di no, fino
a quando Silver non lo suggestionò a ricordarsene.

PROGRAMMARE IL SUBCONSCIO
Nei primi capitoli hai letto di molte persone che hanno accettato
uno scenario immaginato e, come per magia, il loro corpo ha rea-
gito alla visione che avevano in mente: persone che soffrivano da
anni dei tremori involontari del morbo di Parkinson sono riuscite
a far salire i loro livelli di dopamina solo con il pensiero, vedendo
sparire misteriosamente la paralisi spastica; una donna affetta da
depressione cronica che, con l’andar del tempo, ha cambiato il suo
cervello e ha trasformato il suo stato emotivo debilitante in gioia e
benessere; soggetti asmatici che hanno sperimentato una crisi respi-
ratoria inalando del semplice vapore acqueo, ma poi hanno lenito
la costrizione bronchiale con lo stesso metodo; infine uomini con
forti dolori al ginocchio e mobilità limitata che sono migliorati
dopo un finto intervento chirurgico e hanno mantenuto i progressi
per anni.
In tutti questi casi e in molti altri, si può dire che ogni soggetto
ha accettato e creduto alla suggestione di una salute migliore, ar-
rendendosi all’esito senza ulteriori approfondimenti. Una volta che
questi individui hanno accettato una potenziale guarigione, si sono
allineati con una possibile realtà futura e in questo processo hanno
cambiato la mente e il cervello. Credendo in quell’esito, hanno ac-
161
colto emotivamente l’idea di una salute migliore e di conseguenza
il loro corpo, agendo da mente inconscia, ha cominciato a vivere in
quella realtà futura già nel presente.
Hanno condizionato il corpo a rispondere a una mente nuova, così
hanno cominciato a istruire nuovi geni in altri modi e a esprimere
nuove proteine per una salute migliore; dunque sono entrati in un
modo d’essere diverso. Arrendendosi a un nuovo possibile scenario,
non si sono interrogati su come o quando si sarebbe manifestato;
hanno semplicemente creduto in un modo d’essere migliore e han-
no mantenuto quel nuovo stato mentale e corporeo per un periodo
prolungato. È quel modo d’essere prolungato che ha attivato i geni
giusti e li ha programmati per restare accesi.
Sia che abbiano preso pillole di zucchero per settimane o mesi, sia
che abbiano ricevuto un’unica iniezione salina o un intervento chi-
rurgico finto, questi individui hanno affermato la loro accettazione,
la loro convinzione e la loro resa per tutta la durata della sperimen-
tazione a cui hanno preso parte. La pillola che prendevano tutti i
giorni per alleviare il dolore o la depressione era un costante prome-
moria del condizionamento, dell’aspettativa e dell’assegnazione di
un significato alla loro attività intenzionale, che andava costante-
mente a rafforzare il processo interiore. Se si recavano in ospedale
ogni settimana per incontrare il medico e riferire i loro migliora-
menti, la scelta d’interagire con un particolare ambiente pieno di
dottori, infermieri, attrezzature mediche e sale d’attesa scatenava
una serie di reazioni sensoriali e, attraverso la memoria associativa, i
soggetti richiamavano alla mente un nuovo futuro possibile. Per via
delle esperienze passate, erano condizionati a credere che il posto
chiamato “ospedale” fosse il luogo in cui le persone vanno per gua-
rire. Cominciarono ad aspettarsi cambiamenti futuri e per questo
infusero una forte intenzionalità a tutto il processo di guarigione.
Vista l’importanza di questi fattori, ognuno di essi concorse a ren-
dere i pazienti che assumevano il placebo più suggestionabili agli
esiti che sperimentavano.
E ora sveliamo ciò che è ovvio: nessun meccanismo fisico, chimico
o terapeutico ha provocato questi cambiamenti. Nessuna di queste
persone si è sottoposta a un vero intervento chirurgico, ha preso

162
farmaci contenenti principi attivi o ha ricevuto una terapia capa-
ce di influire significativamente sulla salute. È stato il potere del-
la mente a condizionare la fisiologia del loro corpo tanto da farle
guarire. Non è azzardato affermare che la vera trasformazione si
sia verificata indipendentemente dalla loro consapevolezza. Essa
potrebbe aver avviato il processo, ma il lavoro vero e proprio si è
svolto a livello subconscio, perciò i soggetti sono rimasti totalmente
inconsapevoli di come sia accaduto.
Lo stesso vale per Ivan Santiago. Il potere della sua mente sotto ip-
nosi ha influenzato a tal punto la sua fisiologia che, anche quando
era immerso in una vasca d’acqua gelida, non ha avuto neanche un
fremito. Il responsabile di questa impresa non è stata la sua men-
te conscia, ma il potere del suo subconscio, alterato da una mera
suggestione. Se lui non avesse accettato questa suggestione, l’esito
sarebbe stato molto diverso. Invece lo ha fatto senza pensare a come
riuscirci: nella sua mente, infatti, non era immerso in una vasca
d’acqua gelida, bensì in un piacevole bagno caldo.
Come nell’ipnosi, l’effetto placebo è creato dalla coscienza che
in qualche modo interagisce con il sistema nervoso autonomo. Il
conscio si fonde con il subconscio. Quando i pazienti assumono
il placebo, accettano un pensiero come se fosse realtà e credono e
confidano emotivamente nel risultato finale. L’esito è che comin-
ciano a stare meglio.
Tutto il cambiamento biologico è dato da una cascata di eventi
fisiologici che si svolgono in modo automatico, senza che la men-
te conscia sia coinvolta. I soggetti riescono a entrare nel sistema
operativo in cui queste funzioni si svolgono già su base quotidiana
e, quando lo fanno, è come se piantassero un seme in un terreno
fertile. Il sistema assume il comando al posto loro. Nessuno deve
fare nulla. Il processo accade da sé.
Nessuno di questi soggetti avrebbe potuto intervenire coscientemen-
te per aumentare i livelli di dopamina del 200 per cento e control-
lare i tremori, produrre nuovi neurotrasmettitori per combattere
la depressione, istruire le cellule staminali a trasformarsi in globuli
bianchi per predisporre una risposta immunitaria o riparare la car-

163
tilagine del ginocchio per ridurre il dolore, così come Santiago non
avrebbe potuto evitare coscientemente di avere un fremito quando
si è immerso in quella vasca. Chiunque cerchi di compiere queste
imprese di certo non ci riuscirebbe. Dovrebbe ricorrere all’aiuto
di una mente che sa già come avviare tutti questi processi. Per ri-
uscirci, dovrebbe attivare il sistema nervoso autonomo, la mente
subconscia, e poi assegnargli il compito di produrre nuove cellule e
proteine salutari.

ACCETTAZIONE, CONVINZIONE E RESA


Nelle pagine di questo libro ho parlato di suggestionabilità come
se essere suggestionabili fosse qualcosa che tutti noi possiamo fare
volontariamente a comando. Come hai letto all’inizio del capitolo,
in realtà non è così facile. Ammettiamolo. Alcuni di noi – di certo
Ivan Santiago – sono più suggestionabili di altri. E anche i soggetti
più suggestionabili rispondono meglio ad alcune suggestioni che
ad altre.
Per esempio, nell’esperimento sull’ipnosi, alcuni soggetti non han-
no avuto problemi a spogliarsi in pubblico quando hanno ricevuto
quella suggestione postipnotica, ma non sono riusciti ad accettare a
livello subconscio l’idea che una vasca d’acqua gelida fosse un pia-
cevole bagno caldo. Hanno reagito diversamente, anche se le sug-
gestioni postipnotiche (compresa quella data a Santiago di sparare
allo sconosciuto) di solito sono più difficili da impiantare rispetto
a quelle che alterano temporaneamente lo stato di una persona du-
rante la trance ipnotica.
Come l’ipnosi, anche la reazione al placebo non funziona per chiun-
que. I pazienti placebo che sono riusciti ad attuare cambiamenti
positivi durati anni (come gli uomini sottoposti al finto intervento
al ginocchio) hanno reagito proprio come i soggetti sottoposti a
ipnosi a cui erano state date suggestioni postipnotiche. Per alcuni,
suggestioni di questo tipo funzionano magnificamente. In altri casi
non succede granché.
Per esempio, molte persone, quando stanno male o soffrono di una
malattia, non accettano l’idea che un farmaco, una procedura, una

164
terapia o un’iniezione possano aiutarle, figuriamoci un placebo.
Perché no? Perché crederci richiederebbe nuovi pensieri che tra-
scendono la loro condizione e che alimentano nuove sensazioni, le
quali a loro volta rafforzerebbero quei pensieri, fino a generare un
altro modo d’essere. Ma se le sensazioni conosciute sono diventate
lo strumento di un pensiero familiare, e l’individuo non riesce ad
andare oltre quell’abitudine, allora rimarrà nello stesso stato men-
tale e corporeo e tutto resterà identico.
Tuttavia, se le persone che non ammettono l’idea che un farmaco
o una procedura possa farle stare meglio riuscissero a raggiungere
un nuovo livello di accettazione e convinzione, per poi arrendersi a
quel risultato senza agitarsi, preoccuparsi né fare continue analisi,
potrebbero ottenere ricompense ancora più grandi da questo pro-
cesso. La suggestionabilità è proprio questo: trasformare un pensie-
ro in un’esperienza virtuale e far sì che il nostro corpo risponda in
un modo nuovo e coerente con quell’esperienza.
La suggestionabilità combina tre elementi: accettazione, convinzio-
ne, resa. Quanto più accettiamo quello che stiamo facendo per cam-
biare il nostro stato interiore, ce ne convinciamo e ci arrendiamo a
esso, tanto migliori saranno i risultati che possiamo ottenere. Ana-
logamente, quando Santiago era sotto ipnosi e il suo subconscio
aveva assunto il controllo, riuscì ad accettare senza riserve quanto
gli disse Silver sul “tizio cattivo” da eliminare: Santiago si convinse
che quella fosse la verità e riuscì ad arrendersi a essa tanto da ese-
guire le istruzioni che aveva ricevuto, senza analizzare o riflettere
criticamente su quanto stava per compiere. Non si è tormentato
e non ha chiesto dimostrazioni. Non ci ha pensato due volte. L’ha
fatto e basta.

AGGIUNGERE L’EMOZIONE
Quando ci si prospetta l’idea di una salute migliore e possiamo
associare questa speranza o pensiero - che qualcosa fuori di noi stia
per cambiare ciò che è dentro di noi – a un’anticipazione emotiva
dell’esperienza, diventiamo suggestionabili al risultato finale imma-

165
ginato. Forniamo il condizionamento, l’aspettativa e l’assegnazione
di significato a tutto il sistema di erogazione.
Ma la componente emotiva è la chiave di questa esperienza: la
suggestionabilità non è solo un processo intellettuale. Molte
persone riescono a pensare razionalmente di stare meglio, ma
se non riescono ad accogliere emotivamente il risultato, non
possono accedere al sistema nervoso autonomo (come ha fatto
Santiago con l’ipnosi), che è fondamentale in quanto sede dei
programmi subconsci che assumono il comando (come abbia-
mo visto nel Capitolo 3). Infatti, nell’ambito della psicologia, è
comunemente accettato il fatto che una persona che sperimenta
emozioni intense tende a essere più ricettiva alle idee e quindi
più suggestionabile.
Il sistema nervoso autonomo è controllato dal cervello limbico,
chiamato anche “cervello emotivo” o “chimico”. Il cervello limbi-
co, illustrato nella Figura 6.1, è responsabile delle funzioni subcon-
scie, come l’assetto chimico e l’omeostasi, per mantenere il naturale
equilibrio fisiologico del corpo. È il tuo centro emotivo. Quando
sperimenti sensazioni diverse, attivi questa parte del cervello che
crea le molecole chimiche corrispondenti alle emozioni. E siccome
il cervello emotivo sta sotto la soglia della coscienza e sfugge al suo
controllo, nel momento in cui senti l’emozione, attivi il sistema
nervoso autonomo.
Così, se l’effetto placebo ti chiede di accogliere un’emozione inten-
sa prima che si verifichi la reale esperienza di guarigione, allora am-
plificando la tua risposta emotiva (e uscendo dal tuo normale stato
di inerzia), attivi il tuo subconscio. Concederti di sentire le emozio-
ni è un modo per entrare nel sistema operativo e programmare un
cambiamento, istruendo il sistema nervoso autonomo affinché crei
l’assetto chimico corrispondente al miglioramento, come se stessi
già meglio. E il corpo riceve una miscela di quei naturali elisir al-
chemici prodotti dal cervello e dalla mente. Grazie alle emozioni, il
corpo diventa la mente.

166
MOVIMENTO DELLA COSCIENZA

Figura 6.1.  Quando provi un’emozione, riesci a superare la neocorteccia – la


sede della coscienza – e ad attivare il sistema nervoso autonomo. Perciò, quando
travalichi la mente pensante, entri in una parte del cervello in cui vengono
regolati, mantenuti e realizzati i processi relativi alla salute.

Come abbiamo visto, non tutte le emozioni producono lo stesso


effetto. Quelle che proviamo quando siamo in modalità di soprav-
vivenza turbano l’equilibrio del cervello e del corpo e regolano ver-
so il basso (o spengono) i geni necessari per una salute ottimale. La
paura, la superficialità, la rabbia, l’ostilità, l’impazienza, il pessimi-
smo, la competizione e il timore non istruiscono i geni necessari al
miglioramento della salute. Fanno proprio il contrario. Attivano
la reazione di lotta o fuga nel sistema nervoso e preparano il corpo
all’emergenza. In questo modo, l’energia vitale utile alla guarigione
viene dispersa.
La stessa situazione si verifica quando provi a far accadere qualcosa.
In quel momento, entri in conflitto con qualcosa perché ti sforzi
di cambiarlo. Combatti perché tenti di forzare un risultato, anche
se non ti accorgi di farlo. Anche questo turba il tuo equilibrio,

167
proprio come le emozioni legate alla sopravvivenza, e quanto più
diventi frustrato e impaziente, tanto più ti allontani dal tuo equili-
brio. Ricordi quando Yoda, ne L’Impero colpisce ancora, dice a Luke
Skywalker che non si tratta di provare, ma solo di fare (o non fare)?
Lo stesso vale per la reazione al placebo: non si tratta di provare, ma
solo di lasciar accadere.
Tutte quelle emozioni stressanti e negative sono così familiari e si
legano a così tanti eventi conosciuti che, quando ci focalizziamo su
di loro, tengono legato il corpo alle stesse condizioni del passato,
che in questo caso sono cattive condizioni di salute. Non arrivano
nuove informazioni che possano programmare i tuoi geni in altri
modi. Il passato rafforza il futuro.
D’altro canto, emozioni come la gratitudine e la riconoscen-
za aprono il cuore e innalzano l’energia del corpo per dirigerla
verso un posto nuovo, lontano dai centri ormonali inferiori. La
gratitudine è una delle emozioni più potenti nell’aumentare il
livello di suggestionabilità. Insegna emotivamente al tuo corpo
che l’evento per cui sei grato è già accaduto, perché di solito
esprimiamo riconoscenza dopo che si è verificata una situazione
auspicabile.
Se accendi l’emozione della gratitudine prima dell’evento effettivo,
il tuo corpo (agendo da mente inconscia) comincia a credere che la
circostanza futura è già accaduta, o sta accadendo nel presente. Per-
ciò la gratitudine è lo stato ricettivo più avanzato. Osserva la Figura
6.2 per comprendere la differenza tra l’espressione delle emozioni
legate alla sopravvivenza e l’espressione di quelle più elevate.
Se riesci a coltivare l’emozione della riconoscenza o della gratitudi-
ne e ad associarla a un’intenzione chiara, cominci a incarnare emo-
tivamente l’evento auspicato. Cambi il cervello e il corpo. Nello
specifico, istruisci chimicamente il tuo corpo affinché sappia ciò
che la mente sa a livello teorico. Potremmo dire che nel presente
stai già vivendo un nuovo futuro. Non usi più sensazioni primitive
e familiari che ti tengono ancorato al passato, ma emozioni elevate
che ti proiettano verso un nuovo futuro.

168
EMOZIONI ELEVATE VS. EMOZIONI LIMITATE

Figura 6.2.  Le emozioni legate alla sopravvivenza derivano soprattutto dagli


ormoni dello stress, che tendono ad alimentare stati mentali e fisici egoisti e
limitati. Quando accogli emozioni più elevate e creative, innalzi la tua energia e
la dirigi verso centri ormonali diversi, il cuore comincia ad aprirsi e tu ti senti più
altruista. È a questo punto che il corpo inizia a rispondere a una mente nuova.

I DUE VOLTI DELLA MENTE ANALITICA


Torniamo all’idea cui accennavamo poco fa, ovvero che ciascuno
di noi ha un diverso livello di ricettività a una suggestione: esiste
quindi un ampio spettro di suggestionabilità. Ognuno di noi ha un
proprio livello di sensibilità nei confronti di pensieri, suggestioni
e comandi provenienti dalla realtà interna o esterna, che dipende
da molte variabili. Il tuo livello di suggestionabilità è inversamente
proporzionale al pensiero analitico (come illustra la Figura 6.3):
quanto più è presente la mente analitica (quanto più tendi ad ana-
lizzare), tanto meno lo è la tua suggestionabilità; e viceversa.

169
MENTE ANALITICA E SUGGESTIONABILITÀ

Figura 6.3.  Rapporto inversamente proporzionale tra mente analitica e


suggestionabilità.

La mente analitica (o mente critica) è la parte della mente che usi


a livello conscio e di cui sei consapevole. È una funzione della ne-
ocorteccia, la parte pensante del cervello in cui ha sede la coscienza
consapevole; si tratta della parte che riflette, osserva, ricorda le cose
e risolve i problemi. Analizza, confronta, giudica, ripensa, esamina,
mette in discussione, distingue, vaglia, ragiona, razionalizza e pen-
sa. Prende le nozioni apprese dalle esperienze passate e le applica a
evenienze future o a qualcosa che non ha ancora vissuto.
Per esempio, nell’esperimento sull’ipnosi esposto all’inizio di que-
sto capitolo, sette degli undici soggetti a cui era stata data la sug-
gestione ipnotica di togliersi i vestiti in pubblico al ristorante non
hanno eseguito il comando. La loro mente analitica li ha “riportati
alla ragione”. Nel momento in cui hanno cominciato ad analizzare
la situazione – È giusto farlo? Davvero dovrei? Che impressione
darò? Chi mi vedrà? Cosa penserà il mio fidanzato? – la suggestione
non si è rivelata sufficientemente potente e i soggetti sono tornati
al loro familiare modo d’essere. Quelli che si sono spogliati subito,
fino a restare in mutande, invece, hanno agito senza mettere in
discussione quanto stavano facendo. Si sono rivelati meno analitici
(e quindi più suggestionabili) degli altri.
Dato che la neocorteccia è divisa in due metà chiamate emisferi, è
naturale che per la maggior parte del tempo analizziamo e pensiamo
in termini dualistici: buono o cattivo, giusto o sbagliato, positivo o
negativo, maschio o femmina, eterosessuale o omosessuale, destra o

170
sinistra, passato o futuro, logica o emozione, vecchio o nuovo, testa
o cuore… Credo che ti sia fatto un’idea. E se viviamo in condizioni
di stress, le sostanze chimiche che pompiamo nel nostro organismo
tendono ad accelerare ancor di più il processo analitico. Diventia-
mo più razionali per prevedere esiti futuri al fine di proteggerci dal
peggiore scenario potenziale, basandoci sulle esperienze passate.
Non c’è nulla di sbagliato nella mente analitica. Essa ci offre un
grande servizio nell’arco della nostra vita cosciente e vigile. Ci ren-
de umani. Il suo compito è creare significati e coerenza tra il nostro
ambiente esterno (le esperienze combinate di persone e cose in mo-
menti e luoghi diversi) e quello interno (i pensieri e le emozioni).
La mente analitica funziona meglio quando siamo calmi, rilassati
e focalizzati. È in queste condizioni che lavora per noi. Esamina
simultaneamente molti aspetti della vita e ci fornisce risposte piene
di significato. Ci aiuta a scegliere tra una miriade di opzioni per
farci prendere decisioni, imparare nuove cose, valutare se dobbia-
mo credere in qualcosa, giudicare le situazioni sociali in base alla
nostra etica, individuare con chiarezza il nostro scopo nella vita,
distinguere ciò che è morale da ciò che non lo è e vagliare impor-
tanti dati sensoriali.
Essendo un’estensione dell’ego, la mente analitica ci protegge per
permetterci di affrontare il nostro ambiente esterno e sopravvivere
al meglio. Infatti, uno dei compiti principali dell’ego è proteggerci.
Essa valuta le situazioni che si verificano nell’ambiente esterno e
analizza il contesto in base agli esiti più vantaggiosi che può offrire.
Si prende cura dell’io e cerca anche di preservare il corpo. Ti avvisa
quando c’è un potenziale pericolo e ti incita a reagire a quella circo-
stanza. Per esempio, se cammini per la strada e vedi delle auto che
viaggiano troppo vicino al lato del marciapiede su cui ti trovi, sarai
indotto a spostarti più verso l’interno per proteggerti: è il tuo ego a
darti questa indicazione.
Ma quando l’ego non ha più il suo equilibrio a causa dell’aumento
degli ormoni dello stress, la mente analitica può entrare in uno
stato di accelerazione e stimolazione eccessiva. In questi casi non
lavora più per noi, ma contro di noi. Diventiamo troppo analitici. E

171
l’ego diventa troppo egoista in quanto vuole assicurarsi che i nostri
bisogni abbiano la priorità, perché questo è il suo compito. Pensa
e sente come se dovesse controllare tutto per proteggere la nostra
identità. Cerca di esercitare il proprio potere sugli eventuali risul-
tati, predice quello che gli serve per creare una situazione di mas-
sima sicurezza, resta aggrappato a ciò che gli è familiare e si rifiuta
di lasciar andare, perciò trattiene i rancori, sente dolore e soffre,
oppure non riesce a uscire dal suo vittimismo. Eviterà sempre ogni
condizione sconosciuta e la considererà potenzialmente pericolosa,
perché per l’ego non bisogna mai fidarsi dell’ignoto.
L’ego farà di tutto per rafforzare il proprio potere con l’impeto di
emozioni che generano dipendenza. Sa quel che vuole e si darà da
fare per conquistarlo, sgomitando per mettersi in prima fila. Nella
sua funzione protettiva può essere scaltro, manipolatore, competi-
tivo e falso.
Così, quanto più la situazione è stressante, tanto più la mente
analitica è indotta ad analizzare la tua vita all’interno del quadro
emotivo che sperimenti in quel dato momento. Quando questo
accade, la tua coscienza si allontana ancor di più dal sistema ope-
rativo della mente subconscia, dove si possono attuare i veri cam-
biamenti. Analizzi la tua esistenza sulla base del passato emotivo,
anche se la risposta ai tuoi problemi non è dentro quelle emozioni,
che ti stanno inducendo a pensare sempre più intensamente all’in-
terno di uno stato chimico limitato e familiare. Stai “pensando
nella scatola”.
Poi, a causa del circolo di cui abbiamo già discusso, quei pensieri ri-
creano le stesse emozioni e così allontanano ancora di più il cervello
e il corpo dal loro assetto. Solo superando quell’emozione stressan-
te e vedendo la tua vita da uno stato mentale diverso, riuscirai a
trovare le risposte. Lo scoprirai tra poco.
Quando la mente analitica incrementa la sua attività, diventi meno
suggestionabile ai nuovi risultati. Perché? Perché un’emergenza im-
pellente non è il momento giusto per essere mentalmente aperti,
considerare nuove possibilità e accettare scenari potenziali. Non è
il momento giusto per credere in nuove idee, per lasciarsi andare

172
e arrendersi a esse. Non è il momento giusto per fidarsi; è il mo-
mento di proteggere l’io valutando l’ignoto in base ai parametri di
ciò che è già noto, al fine di determinare la massima probabilità di
sopravvivenza. È il momento di fuggire da ciò che non si conosce.
Perciò è comprensibile che, quando la mente analitica è alimentata
dagli ormoni dello stress, pensi in modo più ristretto, sei meno
incline a credere e a fidarti delle novità e sei meno suggestionabile a
confidare nella forza del pensiero o ad accogliere un’idea ignota per
conoscerla. In ultima analisi, puoi usare la mente analitica o l’ego
in modo che lavorino per te o contro di te.

IL FUNZIONAMENTO INTERNO DELLA MENTE


Immagina la mente analitica come una parte distinta della coscien-
za (o mente conscia) che la separa dal subconscio (o mente subcon-
scia). Siccome il placebo funziona solo quando la mente analitica
è ridotta al silenzio e la coscienza può interagire con il subconscio
(questo infatti è il territorio in cui si attuano i veri cambiamenti),
la reazione al placebo è possibile solo quando riesci a trascendere il
tuo io e a eclissare la coscienza con il sistema nervoso autonomo.
Osserva la Figura 6.4, che offre una rappresentazione semplificata
della mente. Il cerchio raffigura la mente intera. La coscienza rap-
presenta solo il 5 per cento. Essa è la sede della logica e del ragiona-
mento, ma anche delle nostre capacità creative. Questi aspetti ge-
nerano il nostro libero arbitrio. Il restante 95 per cento della mente
è il subconscio, sede del sistema operativo in cui tutte le nostre
capacità automatiche, le abitudini, le reazioni emotive, i comporta-
menti innati, le reazioni condizionate, i ricordi associativi, i pensie-
ri usuali e le emozioni consuete determinano i nostri atteggiamenti,
le convinzioni e le percezioni.
La mente conscia è il luogo in cui depositiamo i nostri ricordi espli-
citi o dichiarativi. I ricordi dichiarativi sono quelli che possiamo
esporre, sono le conoscenze che abbiamo appreso (denominate ri-
cordi semantici) e le esperienze che abbiamo vissuto in questa vita
(ricordi episodici). Poniamo che tu sia una donna cresciuta in Ten-
nessee; da piccola andavi a cavallo finché non sei caduta rompen-
doti un braccio; quando avevi dieci anni il tuo animale domestico
173
era una tarantola, che è scappata dalla gabbia perciò tu e la tua
famiglia avete dovuto dormire in albergo per due giorni, a quattor-
dici anni hai vinto la gara nazionale di ortografia e ora non sbagli
mai a scrivere una parola, hai studiato economia e commercio in
un’università del Nebraska, ora vivi ad Atlanta per stare vicina a
tua sorella (che lavora per una grande azienda) e stai seguendo un
master in finanza online. I ricordi dichiarativi sono il tuo io auto-
biografico.

LA MENTE

Figura 6.4.  Questa è una rappresentazione della coscienza, della mente analitica
e del subconscio.

Gli altri sono i ricordi impliciti o non dichiarativi, chiamati anche


ricordi procedurali, che subentrano quando hai svolto un’azione
così tante volte che ormai non sei nemmeno cosciente di come la
fai. L’hai ripetuta talmente spesso che ora il tuo corpo la conosce
quanto il tuo cervello. Pensa ad azioni come andare in bicicletta,
schiacciare il pedale della frizione, allacciarti le scarpe, digitare un
numero di telefono o un PIN su una tastiera, ma anche leggere o
174
parlare. Sono i programmi automatici di cui abbiamo già discusso.
Potremmo dire che non hai più bisogno di pensare consciamente
alla capacità o all’abitudine che hai acquisito e di analizzarla perché
ora è diventata subconscia. Questo è il sistema operativo program-
mato, illustrato nella Figura 6.5.
Quando hai acquisito la capacità di fare qualcosa al punto tale che
si è configurata nella tua mente e ha condizionato emotivamen-
te il corpo, allora quest’ultimo sa come svolgerla, così come lo sa
la tua mente conscia. Hai memorizzato un assetto neurochimico
interno che è diventato innato. Il motivo è semplice: l’esperienza
ripetuta alimenta le reti neurali del cervello e conclude il processo
di memorizzazione allenando emotivamente il corpo. Se, attraverso
l’esperienza, l’evento si materializza a livello neurochimico per un
numero di volte sufficiente, puoi attivare il tuo corpo e il program-
ma automatico corrispondente solo accedendo a una sensazione o a
un pensiero familiare subconscio, dopodiché entri in un particolare
modo d’essere che esegue quel comportamento automatico.

SISTEMI DELLA MEMORIA

Figura 6.5.  I sistemi della memoria si dividono in due categorie: ricordi


dichiarativi (espliciti) e ricordi non dichiarativi (impliciti).

175
Siccome i ricordi impliciti si formano con le emozioni legate all’e-
sperienza, due possibili scenari spiegano come si svolge questo pro-
cesso: (1) un singolo evento ad alta carica emotiva può essere imme-
diatamente vidimato e immagazzinato nel subconscio (per esempio
un ricordo d’infanzia: ti trovavi in un supermercato e ti sei allon-
tanato da tua madre). (2) Le emozioni ridondanti che derivano dal
ripetersi dell’esperienza vengono depositate nello stesso posto. Dal
momento che i ricordi impliciti fanno parte del sistema subconscio
della memoria e sono immagazzinati in quest’area per via di un’e-
sperienza ripetuta o di un evento ad alta carica emotiva, quando
lasci affiorare un’emozione o una sensazione, apri una porta che ti
fa accedere al subconscio. I pensieri sono il linguaggio del cervello
e le emozioni sono il linguaggio del corpo, perciò nel momento
in cui senti un’emozione, attivi il tuo corpo-mente (perché il tuo
corpo è diventato la tua mente subconscia). Così facendo, entri nel
tuo sistema operativo.
Puoi pensarla in questi termini: quando ti senti in un certo modo
familiare, a livello subconscio accedi a una serie di pensieri che
derivano da quella particolare sensazione. Su base quotidiana, ti au-
tosuggestioni con pensieri che si associano al modo in cui ti senti.
Sono pensieri che accetti, in cui credi e ai quali ti arrendi come se
fossero veri. Perciò, sei più suggestionabile solo ai pensieri che com-
baciano esattamente con quella sensazione. Di conseguenza, quei
pensieri che formuli inconsciamente sono gli unici che accetti, in
cui credi e ai quali ti arrendi in continuazione.
Viceversa, potremmo dire che sei molto meno suggestionabile ai
pensieri che non si associano alle emozioni che hai memorizzato.
Ogni nuovo pensiero che riflette una possibilità ignota non ti sem-
bra giusto. Il tuo dialogo interiore sfugge ogni istante alla tua co-
scienza e stimola il sistema nervoso autonomo e il flusso di processi
biologici, rafforzando le sensazioni programmate della persona che
pensi di essere.
Ricorda lo studio esposto nel Capitolo 2, in cui i ricercatori hanno
scoperto che gli ottimisti reagivano in modo più favorevole alle
suggestioni positive, mentre i pessimisti rispondevano in modo più
intenso alle suggestioni negative.

176
Alla luce di ciò, se dovessi cambiare il modo in cui ti senti, potresti
diventare più suggestionabile a un nuovo flusso di pensieri? Certo
che sì! Provando un’emozione elevata e permettendole di alimen-
tare un nuovo ordine di pensieri, puoi aumentare il tuo livello di
suggestionabilità alle emozioni che hai sentito e ai pensieri che poi
hai formulato. Entri in un nuovo modo d’essere e i tuoi pensieri
diventano autosuggestioni associate a quella sensazione. Quando
senti delle emozioni, attivi naturalmente la memoria implicita e
il sistema nervoso autonomo. Puoi semplicemente lasciare che il
sistema nervoso faccia quello che sa fare meglio: ripristinare l’equi-
librio, la salute e l’ordine.
Non è forse ciò che hanno fatto i soggetti degli studi sul placebo
che abbiamo esaminato? Non sono forse riusciti a coltivare emo-
zioni elevate come la speranza, l’ispirazione o la gioia di star bene?
E quando hanno contemplato una nuova possibilità senza analiz-
zarla, il loro livello di suggestionabilità non è stato forse influenzato
da quelle emozioni? Quando hanno provato queste emozioni, non
sono forse entrati nel loro sistema operativo per riprogrammare il
sistema nervoso autonomo – solo con il pensiero – con nuovi co-
mandi e autosuggestioni associate a esse?

APRIRE LA PORTA DEL SUBCONSCIO


I diversi gradi di suggestionabilità possono essere illustrati visiva-
mente attraverso differenti spessori della mente analitica. Quanto
più spessa è la barriera tra conscio e subconscio, tanto più è difficile
entrare nel sistema operativo.
Osserva le Figure 6.6 e 6.7, che rappresentano due diverse tipologie
di mente.
Nella Figura 6.6 c’è un velo molto sottile tra conscio e subcon-
scio, perciò la mente è aperta alla suggestione (come nel caso di
Ivan Santiago, di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo).
Questo tipo di persona tende per natura ad accettare, a credere e ad
arrendersi a un risultato, perché non analizza o non razionalizza in
misura eccessiva. È più incline ad accettare l’idea che un pensiero
sia un’esperienza potenziale e ad accoglierlo emotivamente tanto

177
che il pacchetto si imprime nel suo sistema nervoso autonomo,
pronto a essere eseguito per trasformarsi in realtà. Non passa trop-
po tempo a cercare di interpretare i fatti della vita e non riflette
troppo a fondo sulle cose. Se hai mai visto una seduta di ipnosi col-
lettiva su un palcoscenico, di solito i soggetti in prima fila rientrano
in questa categoria.
Ora confronta questa immagine con la Figura 6.7. Osservando lo
spessore della mente analitica che separa conscio e subconscio, puoi
facilmente dedurre che questa persona è meno incline ad accogliere
suggestioni così come le vengono offerte, senza che la mente ra-
zionale intervenga per valutarle, elaborarle, pianificarle e rivederle.
Soggetti di questo tipo sono estremamente critici e vogliono ana-
lizzare ogni cosa prima di arrendersi e fidarsi.

PIÙ SUGGESTIONABILE

Figura 6.6.  Una mente meno analitica (rappresentata da un linea più sottile
nell’illustrazione) è più suggestionabile.

178
Alcuni di noi hanno una mente analitica più sviluppata, anche se
non vivono con gli ormoni dello stress sempre in circolo. Magari
è perché da giovani hanno studiato diverse materie all’università o
hanno vissuto con genitori che hanno rafforzato i meccanismi del
pensiero razionale, o è solo parte della loro natura. In ogni caso,
anche se hai una mente analitica molto sviluppata puoi imparare a
travalicarla. Io ci sono riuscito, quindi c’è speranza.

MENO SUGGESTIONABILE

Figura 6.7.  Una mente analitica più sviluppata (rappresentata da una linea più
spessa nell’illustrazione) è meno suggestionabile.

Come ho già detto, nessuna di queste condizioni è più vantaggiosa


dell’altra. Penso che l’ideale sia un sano equilibrio tra le due. Chi è
troppo analitico è meno incline a fidarsi e a immergersi nella vita.
Chi è troppo suggestionabile può rivelarsi eccessivamente ingenuo
e poco pragmatico. Il punto è che, se analizzi di continuo la tua
vita, giudicandoti e facendoti ossessionare da ogni aspetto della tua
realtà, allora non entrerai mai nel sistema operativo in cui si tro-
vano quei vecchi programmi e non potrai mai riconfigurarli. Solo
quando una persona accetta, crede e si arrende a una suggestione, si

179
apre la porta tra conscio e subconscio. Quell’informazione invia se-
gnali al sistema nervoso autonomo, che subito assume il comando.
Ora osserva la Figura 6.8. La freccia rappresenta il movimento della
consapevolezza a partire dalla mente conscia fino al livello del sub-
conscio, dove la suggestione è impressa biologicamente nel sistema
di programmazione.

ONDE CEREBRALI
OLTREPASSARE LA MENTE ANALITICA

Figura 6.8.  La figura rappresenta la relazione tra gli stati di onde cerebrali e il
movimento della consapevolezza dal conscio al subconscio, che oltrepassa la
mente analitica durante la pratica della meditazione.

Anche altri fattori possono ridurre al silenzio la mente analitica e


aprire la porta del subconscio per aumentare il livello di suggestio-
nabilità di una persona. Per esempio, la stanchezza fisica o mentale
ci rende più sensibili. Alcuni studi hanno dimostrato che un’esposi-
zione limitata a stimoli sociali, fisici e ambientali in uno stato di de-
privazione sensoriale può causare un aumento della suscettibilità.
Anche la fame estrema, lo shock emotivo e i traumi possono inde-
bolire le nostre facoltà analitiche, rendendoci più suggestionabili.

180
DEMISTIFICARE LA MEDITAZIONE
Come l’ipnosi, la meditazione è un altro modo per oltrepassare
la mente critica ed entrare nel sistema di programmazione del
subconscio. Lo scopo è quello di portare la consapevolezza oltre
la mente analitica, distogliendo la propria attenzione dal mondo
esterno, dal corpo e dal tempo, e focalizzandosi sul mondo interio-
re dei pensieri e delle emozioni.
Il termine meditazione è oggetto di molti preconcetti. La maggior
parte della gente immagina un guru barbuto che siede in cima a
una montagna, immune agli elementi, perfettamente immobile;
oppure un monaco con una veste modesta, il viso illuminato da
un grande sorriso misterioso; o una bellissima donna dalla pelle
levigata che appare sulla copertina di una rivista, con raffinati abiti
da yoga, serena e libera dalla schiavitù di tutte le impellenze della
vita quotidiana.
Vedendo queste immagini, molti di noi potrebbero credere che
la disciplina richiesta dalla meditazione sia inattuabile, fuori dalla
loro portata e al di là delle loro capacità. Alcuni potrebbero credere
che questa pratica spirituale non sia conforme alla loro fede religio-
sa. E altri sono semplicemente disorientati dall’infinita varietà di
meditazioni esistenti e non riescono a decidere da dove cominciare.
Ma “questa cosa” non deve essere così difficile o disorientante. Ai
fini della nostra dissertazione, diciamo solo che lo scopo della me-
ditazione è portare la consapevolezza oltre la mente analitica per
raggiungere livelli di coscienza più profondi.
Nella meditazione non ci spostiamo solo dalla mente conscia al
subconscio, ma anche dall’egoismo all’assenza di ego, dall’essere
qualcuno all’essere nessuno, dall’avere un corpo all’essere incorporei,
dall’essere materialisti all’essere immateriali, dall’essere in un luogo
all’essere in nessun luogo, dall’essere nel tempo all’essere fuori dal
tempo, dal credere che il mondo esterno sia la realtà e dal definirlo
con i sensi al credere che la realtà sia il nostro mondo interiore
e, quando ci arriviamo, entriamo in una condizione “asensoriale”:
il mondo del pensiero oltre i sensi. La meditazione ci porta dal-
la sopravvivenza alla creazione, dalla separazione alla connessione,

181
dallo squilibrio all’equilibrio, dalla modalità di emergenza a quella
di crescita e riparazione, dalle emozioni limitanti della paura, della
rabbia e della tristezza a quelle espansive della gioia, della libertà
e dell’amore. In sostanza, dal restare aggrappati a ciò che è noto
passiamo ad accogliere l’ignoto.
Ragioniamoci su per un attimo. Se la neocorteccia è la sede della
consapevolezza conscia ed è lì che formuli i pensieri, usi il ragio-
namento analitico, eserciti l’intelletto e metti in atto i processi ra-
zionali, allora per meditare dovrai portare la tua coscienza al di là
(o fuori) della neocorteccia. La tua coscienza dovrà spostarsi dal
cervello pensante a quello limbico e alle regioni subconscie. In al-
tre parole, per placare la neocorteccia e tutta l’attività neurale che
svolge ogni giorno, devi smettere di pensare in modo analitico e
annullare, almeno temporaneamente, le facoltà della ragione, della
logica, dell’intelletto, delle previsioni, delle valutazioni e della ra-
zionalità. È questo che si intende con “ridurre la mente al silenzio”.
(Se ne hai bisogno, osserva ancora la Figura 6.1.)
Secondo il modello neuroscientifico che ho delineato nei capitoli
precedenti, ridurre la mente al silenzio significa dichiarare un “ces-
sate il fuoco” a tutte le reti neurali automatiche del cervello pen-
sante, che di solito attivi regolarmente. Devi smettere di ricordarti
chi pensi di essere e di riprodurre in continuazione lo stesso livello
mentale.
So che sembra un compito colossale e troppo impegnativo, ma in
realtà esistono modi pratici e scientificamente provati per compiere
questa impresa e trasformarla in una capacità acquisita. Nei semi-
nari che tengo in varie parti del mondo, molte persone comuni che
non avevano mai meditato prima ci sono riuscite molto bene, dopo
aver imparato come farlo. Apprenderai questi metodi nei capitoli
seguenti, ma prima aumentiamo il livello della tua intenzione così,
quando saprai come fare, otterrai risultati maggiori (come abbiamo
visto parlando dei soggetti che hanno svolto gli esercizi aerobici e
che, sentendosi dire che con i loro sforzi avrebbero migliorato il
loro benessere, hanno potuto assegnare un significato a quello che
stavano facendo e hanno ottenuto risultati migliori).

182
PERCHÉ LA MEDITAZIONE PUÒ ESSERE COSÌ IMPEGNATIVA
La neocorteccia analitica usa i cinque sensi per determinare la
realtà. Si preoccupa di concentrare tutta la consapevolezza sul
corpo, sull’ambiente e sul tempo. Al minimo accenno di stress,
l’attenzione si focalizza ancor di più su questi tre elementi e li
amplifica. Quando scatta il sistema d’emergenza della reazione
lotta o fuga e l’adrenalina entra in circolo, sei tutto concentrato su
come preservare il tuo corpo, trovare vie di fuga nell’ambiente e
capire quanto tempo ci vorrà per metterti in salvo, come avviene
agli animali selvatici quando avvertono un pericolo. Ti focalizzi
troppo sui problemi, ti ossessioni per il tuo aspetto, indugi sul
tuo dolore, pensi di avere poco tempo per fare le cose che devi
sbrigare e ti affretti a portarle a termine. Ti suona familiare? Dal
momento che, quando vivi in modalità di sopravvivenza, sei iper-
concentrato sul mondo esterno e sui tuoi problemi in relazione
a esso, è facile pensare che ciò che vedi e provi sia tutto quello
che c’è. Senza il mondo esterno, non sei nessuno, nessun corpo,
nessuna cosa in nessun luogo. È un concetto spaventoso per un
ego che cerca di controllare la realtà riaffermando costantemente
la propria identità!
Potrebbe essere tutto più facile se ti ricordassi che, quando vivi in
modalità di sopravvivenza, quello che percepisci è solo la punta
dell’iceberg, una gamma limitata della varietà di ingredienti che
compongono il tuo mondo esterno. Ti identifichi con le varianti e
le combinazioni del tuo ambiente esterno che riflettono chi pensi
di essere, ma questo non significa che non ci sia dell’altro. Infatti,
ogni volta che apprendi qualcosa di nuovo, il tuo modo di vedere
il mondo cambia.
In realtà, il mondo è sempre lo stesso, ma è cambiato il tuo modo
di percepirlo (Ne parleremo meglio nel prossimo capitolo.)
Per il momento è sufficiente ricordare che il tuo obiettivo è attuare
un cambiamento e, se non sei riuscito a farlo usando le risorse del
mondo esterno, è chiaro che dovrai cercare le risposte oltre i limiti
di ciò che vedi, senti e sperimenti. Dovrai attingere ad altre fonti
che non hai ancora identificato, cioè all’ignoto. Perciò, in questo

183
senso, l’ignoto è un tuo alleato, non un nemico. È il luogo in cui si
trovano le risposte.
Un altro motivo per cui è difficile deviare la nostra attenzione dalle
condizioni del mondo esterno e rivolgerla al nostro mondo interno
è che molte persone hanno sviluppato una vera e propria dipen-
denza dagli ormoni dello stress, dalla scarica di sostanze chimiche
rilasciate in seguito alle reazioni consce o inconsce. Questa dipen-
denza rafforza la convinzione che il mondo esterno sia più reale di
quello interno. E la nostra fisiologia è condizionata a supportare
questa teoria, perché esistono minacce, problemi e preoccupazio-
ni reali che necessitano della nostra attenzione. Così diventiamo
dipendenti dall’ambiente esterno attuale, e con l’ausilio della me-
moria associativa usiamo i problemi e le circostanze della vita per
riaffermare quella dipendenza emotiva al fine di ricordarci la nostra
presunta identità.
Detto in altri termini, gli ormoni dello stress che si scatenano quan-
do viviamo in modalità di sopravvivenza danno al nostro corpo una
forte dose di energia e acutizzano i nostri sensi, che ci collegano alla
realtà esterna. Perciò è naturale che, se siamo continuamente sotto
stress, siamo inclini a definire la realtà con i sensi. Diventiamo ma-
terialisti. Quando proviamo a entrare dentro di noi e a collegarci al
mondo “asensoriale” e immateriale, dobbiamo fare un grosso sforzo
per interrompere le abitudini condizionate e la dipendenza dalla
scarica chimica proveniente dalla realtà esterna. Allora in che modo
potremmo credere che il pensiero sia più potente della realtà fisica
tridimensionale? Se questo è il nostro modo di vedere le cose, di-
venta difficile attuare un cambiamento con il solo pensiero, perché
siamo asserviti al corpo e all’ambiente.
Un antidoto a questa condizione può essere rileggere le storie rac-
contate nel Capitolo 1 e quelle sui miei seminari che troverai nei
Capitoli 9 e 10. Rafforzare le nuove informazioni che dimostrano
come qualcosa che crediamo impossibile sia effettivamente possi-
bile aiuta a ricordarci che c’è una realtà molto più grande di quella
che percepiamo con i sensi. Che lo ammettiamo o no, noi siamo
il placebo.

184
ESPLORARE LE ONDE CEREBRALI
Se la meditazione implica l’accesso al sistema nervoso autonomo e
dunque ci permette di diventare più suggestionabili e di superare
le difficoltà di cui abbiamo appena parlato, allora dobbiamo sapere
come arrivarci. La risposta è con un’onda cerebrale. Lo stato cere-
brale in cui ci troviamo in un dato momento incide fortemente su
quanto siamo suggestionabili in quella precisa circostanza.
Quando impari cosa sono questi stati e sai riconoscerli, puoi al-
lenarti a passare da uno stato all’altro, salendo e scendendo per i
diversi livelli delle onde cerebrali. Di certo è una cosa che richiede
pratica, ma è possibile. Esploriamo questi stati diversi per saperne
di più.
Quando i neuroni si attivano insieme, si scambiando elementi cari-
chi che poi producono campi elettromagnetici, misurabili con una
scansione cerebrale (come l’elettroencefalogramma o EEG). Gli
esseri umani hanno diverse frequenze d’onda misurabili e, quanto
più le onde cerebrali sono lente, tanto più entriamo in profondità
nel mondo interno del subconscio. Dalle più lente alle più veloci,
le onde che determinano gli stati cerebrali sono le delta (riscontra-
bili in un sonno profondo e rigenerante o in uno stato totalmente
inconscio), le theta (in uno stato intermedio tra il sonno profondo e
la veglia), le alfa (nello stato creativo e fantasioso), le beta (nel pen-
siero cosciente) e le gamma (negli stati elevati di consapevolezza).
Beta è il nostro normale stato di veglia. Quando siamo in beta, il
cervello pensante, o neocorteccia, elabora tutti i dati sensoriali in
arrivo e crea significati che mettono in relazione il mondo interno
con quello esterno. Questo non è lo stato migliore per la medita-
zione, perché il mondo esterno appare più reale di quello interno.
Tre livelli di frequenze compongono lo spettro delle onde beta:
beta a bassa frequenza (rilassatezza, attenzione interessata, come
quando leggiamo un libro), beta a media frequenza (attenzione fo-
calizzata su uno stimolo continuo, esterno al corpo, come quando
si studia o si ricorda) e beta ad alta frequenza (attenzione molto
focalizzata in modalità di emergenza, quando vengono prodotti
gli ormoni dello stress). Quanto più alte sono le frequenze delle

185
onde beta, tanto più ci allontaniamo dalla possibilità di accedere
al sistema operativo.
Per la maggior parte del tempo, oscilliamo tra lo stato beta e quello
alfa. Alfa è lo stato della rilassatezza in cui prestiamo minore atten-
zione al mondo esterno e iniziamo a rivolgerci al nostro mondo
interiore. Quando siamo in alfa, ci troviamo in un leggero stato di
meditazione; possiamo chiamarlo anche immaginazione e sogno a
occhi aperti. In questo stato il nostro mondo interno è più reale di
quello esterno perché è l’ambito a cui è rivolta la nostra attenzione.
Quando passiamo dall’alta frequenza delle onde beta alla frequenza
più lenta dello stato alfa, nel quale possiamo prestare attenzione,
concentrarci e focalizzarci in modo più rilassato, attiviamo il lobo
frontale. Come abbiamo già visto nelle pagine precedenti, il lobo
frontale abbassa il volume dei circuiti cerebrali che elaborano il
tempo e lo spazio. Qui non siamo più in modalità di sopravviven-
za. Siamo in uno stato più creativo che ci rende più suggestionabili
rispetto allo stato beta.
È più difficile imparare a scendere ancora più in basso e a entrare
nello stato theta, che è una sorta di stato intermedio tra il sonno e la
veglia (spesso viene descritto come una condizione in cui “la mente
è sveglia, il corpo dorme”). È questo lo stato a cui miriamo nella
meditazione, perché corrisponde allo schema di onde cerebrali in
cui siamo più suggestionabili. In theta possiamo accedere al sub-
conscio, perché la mente analitica non è in funzione: siamo per lo
più nel nostro mondo interno.
Immagina lo stato theta come la chiave che apre il regno del tuo
subconscio. Osserva ancora la Figura 6.8, che mostra gli stati delle
onde cerebrali e il modo in cui si collegano alla mente conscia e
subconscia. Poi osserva la Figura 6.9, che illustra le diverse frequen-
ze delle onde cerebrali.
Questa breve analisi delle onde cerebrali ti sarà ancora più utile
quando affronterai la pratica della meditazione negli ultimi capitoli
del libro. Non ti aspettare di riuscire a entrare a comando nello sta-
to theta; sicuramente conoscere i vari stati cerebrali e l’effetto che
esercitano su quello che cerchi di fare ti aiuterà.

186
ONDE CEREBRALI

Figura 6.9.  Questa illustrazione mostra i diversi stati delle onde cerebrali
(nell’intervallo di un secondo). È incluso anche lo stato delle onde gamma,
perché rappresenta un livello di superconsapevolezza che riflette uno stato di
consapevolezza elevato.

ANATOMIA DI UN “ASSASSINIO”
Ora torniamo alla storia di Ivan Santiago e agli altri soggetti sotto-
posti a ipnosi di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo.
Ovviamente per queste persone è più facile oltrepassare la mente
analitica di quanto lo sia per la maggior parte della gente. Sembra
che abbiano una plasticità neurale ed emotiva che permette loro di
rendere il mondo interno più reale di quello esterno. Nel normale

187
stato di veglia, probabilmente trascorrono più tempo in alfa che in
beta, perciò hanno meno ormoni dello stress in circolo che possono
compromettere la loro omeostasi. I loro stati altamente suggestio-
nabili permettono alla mente conscia di controllare meglio le fun-
zioni autonome del subconscio.
Però non sono tutte uguali: questo studio ha dimostrato livelli di-
versi di suggestionabilità. I sedici soggetti che hanno passato il test
iniziale erano certamente sensibili alla suggestione, ma non quanto
quelli che hanno superato la prova successiva togliendosi i vestiti
in pubblico dopo una suggestione postipnotica, contravvenendo a
norme sociali profondamente radicate. I quattro che hanno passato
questo test erano certamente molto suggestionabili e sono riusciti
a trascendere il loro ambiente sociale. Ma quando si è trattato di
immergersi nell’acqua gelida, tre di loro non sono riusciti ad andare
oltre e a trascendere l’ambiente fisico.
Solo Santiago, che ha continuato ad andare oltre l’ambiente fisico
in condizioni estreme, per un periodo prolungato, esercitando un
dominio sul suo corpo, ha dimostrato il massimo livello di sugge-
stionabilità. È stato capace non solo di resistere all’acqua gelida, ma
anche di trascendere il suo ambiente morale, seguendo la sugge-
stione postipnotica di sparare al “dignitario straniero”, nonostante
la sua personalità conscia non fosse certo quella di un assassino a
sangue freddo.
Per l’effetto placebo, serve un grado di suggestionabilità altrettanto
alto per trascendere il corpo e l’ambiente per un periodo prolunga-
to; ovvero, per accettare, credere e arrendersi all’idea che il mondo
interno sia più reale di quello esterno. Nei capitoli seguenti impa-
rerai che puoi cambiare le tue convinzioni e diventare più sugge-
stionabile; inoltre diventerai capace di usare quello stato per pro-
grammare il tuo subconscio. Non ti ritroverai certo a sparare a uno
stuntman con una pistola a salve, ma potrai sconfiggere problemi
di salute, traumi emotivi e altre questioni personali.

188
CAPITOLO 7

AT T E G G I A M E N T I , C O N V I N Z I O N I
E PERCEZIONI

Un ragazzino indonesiano di dodici anni con lo sguardo vacuo apre


la bocca per accettare volontariamente schegge di vetri rotti che gli
vengono date dalla folla riunita in un parco di Giacarta, in occa-
sione della tradizionale danza giavanese in cui i danzatori entrano
in trance, la “kuda lumping” o “jaran kepang”. Il ragazzo mastica
il vetro e lo ingoia, come se fosse una manciata di popcorn o di
biscotti, e non mostra alcun segno di malessere. Essendo un dan-
zatore di terza generazione, ingerisce schegge di vetro in esibizioni
come questa da quando aveva nove anni. Lui e gli altri diciannove
membri della sua compagnia di danza, prima di ogni esibizione,
recitano una formula propiziatoria, invocando gli spiriti dei morti
affinché entrino in uno di loro per tutta la durata della danza, pro-
teggendolo dal dolore103.
Per certi aspetti, questo ragazzo e i suoi compagni non sono diversi
dai manipolatori di serpenti di cui abbiamo parlato nel Capitolo 1,
predicatori che vengono unti dallo spirito e danzano con entusia-
smo intorno al pulpito con serpenti velenosi attorcigliati alle brac-
cia e sulle spalle. Li avvicinano pericolosamente al loro viso tanto
da sembrare immuni al veleno. Questi danzatori sono simili anche
ai membri della tribù Sawau, sull’isola di Beqa, nelle Fiji, che per
ore camminano impassibili tra pietre roventi ricoperte di tronchi
infuocati e carboni ardenti: una capacità che si dice sia stata donata
da un dio a un loro antenato, il quale l’ha trasmessa alla tribù.
Il ragazzo che mangia il vetro, il predicatore che manipola i serpenti
e gli uomini delle Fiji che camminano sul fuoco non si fermano
neanche per un istante a pensare: “Siamo proprio sicuri che ce la

103. A. Mardiyati, “Kuda Lumping: A Spirited, Glass-Eating Javanese Game


of Horse”, Jakarta Globe (16 marzo 2010), http://www.thejakartaglobe.com/
archive/kuda-lumping-a-spirited-glass-eating-javanese-game-of-horse.
farò questa volta?”. Non c’è ombra di scetticismo dentro di loro.
La decisione di masticare il vetro, di maneggiare serpenti velenosi o
di camminare su pietre arroventate trascende il corpo, l’ambiente e
il tempo, e altera la biologia di queste persone, per consentire loro
di fare ciò che sembra impossibile. La certezza granitica di essere
protetti dai loro dei non lascia spazio ai tentennamenti.
L’effetto placebo agisce in modo simile, poiché una convinzione
molto forte è parte integrante dell’equazione. Ma questo elemento
(la convinzione) non è stato ancora esaminato a fondo perché fi-
nora, nella ricerca sulla connessione mente-corpo, la maggior parte
degli studi scientifici si è limitata a misurare gli effetti del placebo,
invece di indagarne la causa. Che il cambiamento dello stato inter-
no di un soggetto sia il prodotto di una guarigione per fede, di un
condizionamento, del rilascio di emozioni represse, della fiducia
nei simboli o di una specifica pratica spirituale, dobbiamo chie-
derci: che cosa è accaduto per creare alterazioni così profonde nel
corpo? E se scoprissimo di cosa si tratta, potremmo coltivarlo?

DA DOVE VENGONO LE NOSTRE CONVINZIONI


Le nostre convinzioni non sono sempre consce come tendiamo a
credere. A volte accettiamo un’idea a livello superficiale, ma nel
profondo non crediamo sia possibile: la nostra accettazione allo-
ra è solo un processo intellettuale. Fare appello all’effetto placebo
richiede di mutare davvero le convinzioni su noi stessi e su cosa è
possibile per il nostro corpo e la nostra salute, perciò dobbiamo
comprendere cosa sono le convinzioni e da dove vengono.
Supponiamo che una persona vada dal medico con alcuni sintomi
e le venga diagnosticata una certa malattia in base ai dati oggetti-
vi riscontrati. Il medico comunica al paziente una diagnosi, una
prognosi e diverse possibilità di trattamento in base alla media dei
risultati già ottenuti. Nel momento in cui il paziente si sente dire
dal medico “diabete”, “cancro” o “sindrome da stanchezza cronica”,
sorgono in lui pensieri, immagini ed emozioni fondati sulla sua
esperienza passata. Per esempio, può essere che il paziente abbia già
avuto quella malattia, che abbia visto un programma in televisione
in cui si diceva che qualcuno era morto a causa di quella patologia,
190
o che abbia letto delle informazioni navigando su internet che lo
hanno spaventato, generando in lui il timore di quella diagnosi.
Quando il paziente consulta il medico e sente un’opinione pro-
fessionale, accetta automaticamente la malattia, dunque crede a
quello che gli ha detto il dottore e si affida alla terapia e ai possibili
risultati; tutto questo senza una vera analisi. Il paziente è suggestio-
nabile (e suscettibile) a quello che dice il medico. Se una persona
accoglie l’emozione della paura, della preoccupazione e dell’ansia
insieme alla tristezza, i soli pensieri possibili (o autosuggestioni)
sono quelli che combaciano con il modo in cui si sente.
Il paziente può provare a formulare pensieri positivi sulla possibilità
di sconfiggere la malattia, ma il suo corpo continua a sentirsi male
perché gli è stato somministrato il placebo sbagliato, che ha genera-
to il modo d’essere sbagliato, istruendo gli stessi geni e dimostran-
dosi incapace di vedere o percepire nuove possibilità. Il paziente è
alla mercé delle proprie convinzioni (e di quelle del medico) riguar-
do alla diagnosi.
E allora, le persone di cui leggerai nei prossimi capitoli, che sono
guarite da sole usando l’effetto placebo, cos’hanno fatto di diverso?
Innanzitutto non hanno accettato la diagnosi, la prognosi o la te-
rapia come sentenze definitive. Né hanno creduto all’esito più pro-
babile o al destino futuro che i dottori avevano delineato con tutta
la loro autorevolezza. Infine non si sono arrese alla diagnosi, alla
prognosi o alla terapia consigliata. Siccome hanno avuto un altro
atteggiamento rispetto alle persone che hanno accettato, creduto e
si sono arrese, si sono trovate in un diverso modo d’essere.
Questi individui non si sono dimostrati suggestionabili dalle opi-
nioni e dalle indicazioni dei medici perché non sentivano timore,
né vittimismo, né tristezza. Erano ottimisti ed entusiasti, e queste
emozioni hanno alimentato un nuovo ordine di pensieri che ha
permesso loro di scorgere altre possibilità. Nutrendo idee e con-
vinzioni diverse su cosa poteva accadere, non hanno condiziona-
to i loro corpi al peggiore scenario possibile, non si aspettavano lo
stesso esito prevedibile capitato ad altri nelle loro condizioni, e non
hanno assegnato a quella diagnosi lo stesso significato che le avevano

191
dato altre persone affette dalla stessa malattia. Hanno attribuito
un significato diverso al loro futuro, perciò hanno coltivato un’in-
tenzione diversa. Hanno compreso i concetti di epigenetica e di
neuroplasticità e quindi, invece di vedersi passivamente come vit-
time di una malattia, hanno usato quella conoscenza per diventare
proattivi, motivati da quanto avevano imparato nei miei seminari
ed eventi. Di conseguenza, queste persone hanno ottenuto risulta-
ti diversi e migliori di altre che hanno ricevuto la stessa diagnosi,
proprio come le cameriere d’albergo hanno notato miglioramenti
dopo aver acquisito maggiori informazioni dai ricercatori.
Ora pensa a una persona comune che riceve una diagnosi e su-
bito annuncia: “Sconfiggerò questa malattia.” Molti potrebbero
non accettare la malattia e l’esito previsto dal medico, ma la dif-
ferenza è che la maggior parte delle persone non cambia davvero
le proprie convinzioni riguardo al non essere malati. Cambiare
una convinzione implica modificare un programma inconscio,
perché una convinzione, come presto imparerai, è un modo d’es-
sere subconscio.
Le persone che usano solo la mente conscia per cambiare non esco-
no mai dallo stato d’inerzia per riprogrammare i loro geni, perché
non sanno come fare. Ed è qui che si interrompe la guarigione.
Non riescono ad arrendersi alla possibilità, perché non sono capaci
di diventare suggestionabili a qualcosa di diverso rispetto alla dia-
gnosi del medico.
È possibile che, quando i pazienti non rispondono alla terapia, o
quando le loro condizioni di salute restano immutate, vivano ogni
giorno nello stesso stato emotivo, accettando, credendo e arrenden-
dosi al modello medico senza analizzarlo troppo, basandosi sulla
coscienza sociale di milioni di altre persone che hanno fatto esatta-
mente la stessa cosa? La diagnosi di un medico diventa la versione
moderna di un sortilegio vudù?
Ora esaminiamo più a fondo la convinzione, facendo un piccolo
passo indietro. Quando colleghi insieme una serie di pensieri ed
emozioni tanto da farla diventare abituale o automatica, nasce un
atteggiamento. Come pensi e senti crea un modo d’essere, perciò gli

192
atteggiamenti sono modi d’essere in versione abbreviata. Possono
oscillare a seconda dei momenti, in base a come diversifichi pen-
sieri e sensazioni. Un particolare atteggiamento può durare minuti,
ore, giorni o anche una settimana o due.
Per esempio, se hai una serie di pensieri positivi allineati a emo-
zioni positive, puoi dire: “Oggi ho un atteggiamento positivo.”
Se invece hai una serie di pensieri negativi collegati a emozioni
negative, allora puoi dire: “Oggi ho un atteggiamento negativo.”
Quando adotti più volte lo stesso atteggiamento, esso diventa au-
tomatico.
Se ripeti o mantieni certi atteggiamenti abbastanza a lungo e li col-
leghi tra loro, crei una convinzione, cioè un modo d’essere esteso.
Le convinzioni sono pensieri ed emozioni (atteggiamenti) che con-
tinui a pensare e a sentire finché non si installano nel tuo cervello
e condizionano emotivamente il tuo corpo. Si può dire che sei di-
ventato dipendente da quelle convinzioni: è per questo che è così
difficile cambiarle e avverti un disagio istintivo quando vengono
messe in discussione. Siccome le esperienze sono incise a livello
neurologico nel tuo cervello (ti inducono a pensare) e a livello chi-
mico nel corpo sotto forma di emozioni (ti spingono a sentire), le
tue convinzioni si basano per lo più su ricordi passati.
Perciò, riesaminando e analizzando continuamente i tuoi ricor-
di, ritorni sugli stessi pensieri, che si attivano e si innescano in un
programma inconscio automatico. Se poi coltivi le stesse emozioni
fondate su esperienze passate e continui a sentirti come quando si
è verificato l’evento originario, condizioni il tuo corpo a essere la
mente subconscia di quella sensazione: il tuo corpo vivrà inconscia-
mente nel passato.
Se, con l’andar del tempo, la ridondanza dei pensieri e delle emo-
zioni condiziona il tuo corpo a essere la mente, programmata in
modo subconscio, allora le convinzioni diventano modi d’esse-
re subconsci e inconsci che derivano dal passato. Le convinzioni
sono più persistenti degli atteggiamenti; possono durare mesi o
anni. A causa della loro durata maggiore, si radicano più a fondo
nei tuoi programmi.

193
Un esempio pertinente è un aneddoto che risale alla mia infanzia e
che è impresso nella mia memoria. Sono cresciuto in una famiglia
italiana e, quando ero al quarto anno delle elementari, ci trasfe-
rimmo in un’altra città, in un quartiere in cui vivevano italiani ed
ebrei. Il mio primo giorno di scuola, l’insegnante mi fece sedere in
un gruppo di sei banchi insieme a tre bambine ebree. Fu allora che
quelle bambine mi diedero la notizia che Gesù non era italiano. Fu
uno dei giorni più memorabili della mia vita.
Quando tornai a casa nel pomeriggio, mia mamma continuava a
chiedere com’era andato il mio primo giorno di scuola, ma io non
rispondevo. Dopo averla ignorata più volte, mi afferrò per un brac-
cio, insistendo perché le dicessi qual era il problema.
“Credevo che Gesù fosse italiano!” sbottai rabbioso.
“Che cosa stai dicendo?” replicò. “Gesù è ebreo!”.
“Ebreo?” ribattei. “Com’è possibile? Sembra italiano in tutte quelle
immagini, o no? La nonna gli parla sempre in italiano. E come la
mettiamo con l’Impero romano? Roma non è forse in Italia?”.
Dunque, la mia convinzione – che Gesù fosse italiano – era basata
sulle mie esperienze passate, e ciò che pensavo e sentivo riguardo
a Gesù era diventato il mio modo d’essere automatico. Superare
quest’idea fu un’impresa ardua, perché non è facile cambiare le
convinzioni profondamente radicate. È superfluo aggiungere che
ci sono riuscito.
Ora procediamo con la nostra analisi. Un gruppo di convinzioni
correlate tra loro forma una percezione. Quindi la tua percezione
della realtà è un modo d’essere basato su convinzioni, atteggiamen-
ti, pensieri ed emozioni persistenti. E siccome le tue convinzio-
ni diventano modi d’essere subconsci e anche inconsci (non sai
nemmeno perché credi certe cose, o non sei consapevole delle tue
convinzioni finché non vengono messe alla prova), le tue percezio-
ni – il modo soggettivo in cui vedi le cose – diventano una visione
della realtà subconscia e inconscia fondata sul passato.
Alcuni esperimenti scientifici, infatti, hanno dimostrato che non
vediamo la realtà com’è veramente. La riempiamo con i ricordi del

194
passato, ovvero con il residuo neurochimico di quei ricordi pre-
sente nel nostro cervello.104 Quando le percezioni sono implicite
o non dichiarative (come abbiamo visto nel capitolo precedente),
diventano automatiche o subconscie: così, adattiamo la realtà in
base alla nostra soggettività.
Per esempio, tu sai che quell’automobile è tua perché l’hai guidata
molte volte. Con la tua auto hai la stessa esperienza tutti i giorni,
perché non cambia granché. Nei suoi confronti hai costantemente
gli stessi pensieri e sensazioni. Il tuo atteggiamento verso la tua auto
ha creato una convinzione a riguardo, che ha formato una partico-
lare percezione: per esempio che è una buona auto, perché non ti
dà quasi mai dei problemi. E anche se la accetti automaticamente,
di fatto si tratta di una percezione soggettiva, perché qualcun altro
potrebbe avere un’auto dello stesso modello che però gli dà proble-
mi in continuazione e perciò lo induce ad avere diverse convinzioni
e percezioni basate sulla sua esperienza personale.
Infatti, la maggior parte delle persone non presta attenzione a molti
aspetti della propria auto a meno che non ci sia qualcosa che non
va. Immagini che funzionerà come ha fatto il giorno prima; natu-
ralmente ti aspetti che la tua esperienza futura nel guidare l’auto
sia simile a quella passata, a quella di ieri e dell’altro ieri: è questa
la tua percezione. Ma quando l’auto funziona male, devi prestarle
più attenzione (per esempio ascoltare più attentamente il suono
del motore) e diventare consapevole della tua percezione inconscia
dell’auto.

104. Due studi, in particolare, lo dimostrano in modo convincente. Nel primo,


i soggetti indossavano occhiali speciali per cui, quando guardavano a sinistra
tutto appariva blu, e quando guardavano a destra tutto appariva giallo. Dopo un
certo periodo, non vedevano più il blu e il giallo. Il mondo appariva come era
sempre apparso, perché i soggetti non lo guardavano più con gli occhi bensì con
il cervello, che riempiva la realtà in base ai loro ricordi; si veda I. Kohler, The
Formation and Transformation of the Perceptual World. New York, Internatio-
nal Universities Press, 1964. Nel secondo studio, i soggetti depressi a cui veniva-
no mostrate due diverse immagini – una di una festa, l’altra di un funerale – in
rapida sequenza, ricordavano la scena del funerale più spesso di quanto le pro-
babilità avrebbero permesso, rivelando la tendenza a percepire l’ambiente in un
modo che rafforza il nostro stato d’animo; si veda A. T. Beck, Principi di terapia
cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi. Astrolabio, 1984.

195
Quando qualcosa nel suo funzionamento cambia, hai una perce-
zione dell’auto alterata. Lo stesso vale per il rapporto con il coniuge
e i colleghi, con la cultura e l’etnia, persino con il tuo corpo e il tuo
dolore. In effetti, è questo il modo in cui funziona la maggior parte
delle percezioni riguardo alla realtà.
Se vuoi cambiare una percezione implicita o subconscia, devi di-
ventare più cosciente e meno incosciente. In verità devi aumentare
il tuo livello di attenzione riguardo a tutti gli aspetti di te stesso
e della tua vita che ormai trascuri da tempo. Meglio ancora, devi
svegliarti, cambiare il tuo livello di consapevolezza e diventare co-
sciente di ciò di cui sei incosciente.
Raramente si tratta di una cosa facile, perché se sperimenti di con-
tinuo la stessa realtà, allora il modo in cui pensi e senti riguardo al
tuo mondo attuale si traduce nei consueti atteggiamenti, che ispi-
rano le stesse convinzioni, che diventano le stesse percezioni (come
puoi vedere nella Figura 7.1).
Quando la tua percezione diventa così radicata e automatica che
non presti più attenzione a com’è veramente la realtà (perché ti
aspetti che tutto sia uguale a sempre), inconsciamente accetti e
concordi con quella realtà, proprio come molte persone inconscia-
mente accettano e concordano con la diagnosi formulata in base al
modello medico.
Perciò, l’unico modo per cambiare le tue convinzioni e percezioni al
fine di creare una reazione al placebo è alterare il tuo modo d’essere.
Devi vedere le tue vecchie convinzioni limitate per quello che sono
(residui del passato) ed essere pronto a lasciarle andare in modo da
accogliere nuove convinzioni su te stesso, che ti aiuteranno a creare
un nuovo futuro.

CAMBIARE LE TUE CONVINZIONI


Allora chiediti: quali sono le convinzioni e percezioni riguardo a te
stesso e alla tua vita che hai accettato inconsciamente e che dovresti
cambiare per creare un nuovo modo d’essere? È una domanda su
cui bisogna riflettere perché, come ho detto, in molti casi non sia-
mo nemmeno consapevoli di coltivare certe convinzioni.

196
COME SI FORMANO LE CONVINZIONI
E LE PERCEZIONI

Figura 7.1.  I tuoi pensieri e le tue emozioni derivano dai ricordi passati. Se pensi
e senti in un certo modo, cominci a creare un atteggiamento, cioè un ciclo di
pensieri ed emozioni a breve termine sperimentato di continuo. Gli atteggiamenti
sono modi d’essere in versione abbreviata. Se colleghi una serie di atteggiamenti,
crei una convinzione. Le convinzioni sono modi d’essere più prolungati e tendono
a diventare subconsci. Quando sommi diverse convinzioni, crei una percezione.
Le tue percezioni incidono sulle scelte che compi, sui comportamenti che metti in
atto, sulle relazioni che scegli e sulle varie realtà che crei.

Spesso accettiamo imbeccate che provengono dal nostro ambiente e


che ci spingono ad accogliere certe convinzioni, che possono essere
vere o no. In ogni caso, nel momento in cui le accettiamo, esse non
incidono solo sulle nostre prestazioni ma anche sulle nostre scelte.
Nel Capitolo 2 abbiamo parlato di uno studio su alcune studentes-
se che, prima di fare un test di matematica, avevano letto false rela-
zioni scientifiche sul fatto che gli uomini erano più bravi in quella
materia. Chi aveva letto che il vantaggio era dovuto a questioni
genetiche ottenne un punteggio inferiore rispetto a chi aveva sco-
perto che il vantaggio era dovuto agli stereotipi. Anche se entrambe
le relazioni scientifiche erano false – gli uomini non sono più bravi

197
delle donne in matematica – chi aveva appreso di avere uno svan-
taggio genetico ha creduto a quanto aveva letto, ottenendo così un
voto più basso. La stessa cosa è accaduta agli studenti bianchi a cui
era stato detto che gli asiatici ottengono sempre punteggi migliori
nel tipo di test che avrebbero dovuto sostenere. In entrambi i casi,
quando gli allievi sono stati spinti a credere inconsciamente che
avrebbero ottenuto risultati scadenti, è andata davvero così, anche
se l’imbeccata che avevano ricevuto era del tutto falsa.
Tenendo a mente questo concetto, leggi l’elenco delle convinzioni
limitanti più comuni e cerca di capire se ce ne sono alcune che stai
covando dentro di te senza esserne pienamente consapevole:

Non sono bravo in matematica. Sono timido. Sono irritabile. Non


sono né brillante né creativo. Somiglio ai miei genitori. Gli uomi-
ni non dovrebbero piangere o mostrarsi vulnerabili. Non riesco a
trovare un compagno. Le donne sono inferiori agli uomini. La mia
etnia o cultura è superiore alle altre. La vita va presa sul serio. La
vita è difficile e a nessuno importa. Non combinerò mai nulla di
buono. Devo lavorare sodo per farcela nella vita. Non mi succede
mai nulla di buono. Non sono una persona fortunata. Le cose non
vanno mai come vorrei. Non ho mai abbastanza tempo. Qualcun
altro ha la responsabilità di rendermi felice. Quando avrò questa
cosa in particolare, sarò felice. È difficile cambiare la realtà. La
realtà è un processo lineare. I germi mi fanno ammalare. Ingrasso
facilmente. Ho bisogno di otto ore di sonno. Il mio dolore è nor-
male e non passerà mai. Il mio orologio biologico sta ticchettando.
La bellezza deve rispettare certi canoni. Divertirsi è da persone
superficiali. Dio è fuori di me. Sono una persona cattiva, quindi
Dio non mi ama…

Potrei continuare all’infinito, ma credo che ti sia fatto un’idea.


Dal momento che convinzioni e percezioni si fondano su esperien-
ze vissute, se tra queste ce ne sono alcune che albergano dentro di
te, derivano dal tuo passato. Ma allora sono vere o te le sei inven-

198
tate? Anche se fossero state vere a un certo punto della tua vita, non
significa che lo siano ancora adesso. Ovviamente non consideriamo
mai la questione in quest’ottica, perché siamo dipendenti dalle no-
stre convinzioni e dalle emozioni del nostro passato. Le riteniamo
delle verità, e non idee che possiamo cambiare. Se nutriamo forti
convinzioni riguardo a qualcosa, la prova del contrario potrebbe
stare proprio lì davanti a noi, ma non la vedremmo comunque,
perché quello che percepiamo è completamente diverso. Abbiamo
condizionato noi stessi a credere a cose di ogni genere che non sono
necessariamente vere, e molte di esse stanno avendo un impatto
negativo sulla nostra salute e sulla nostra felicità.
Certe convinzioni culturali sono un valido esempio. Ricordi la
storia del sortilegio vudù esposta nel Capitolo 1? Il paziente era
convinto di avere i giorni contati perché il sacerdote vudù gli
aveva praticato un maleficio. La maledizione ha funzionato solo
perché lui (come altri appartenenti alla sua stessa cultura) cre-
deva che il vudù fosse reale; non è stato il vudù a gettare su di
lui il maleficio, bensì la convinzione con cui ha creduto alla sua
validità.
Altre convinzioni culturali possono causare una morte prematu-
ra. I ricercatori della University of California di San Diego hanno
studiato i dati di mortalità di almeno trentamila cinesi americani e
hanno scoperto che chi aveva una malattia associata a un anno di
nascita che l’astrologia e la medicina cinese considerano sventura-
to, è morto fino a cinque anni prima del previsto105. L’effetto era
più forte nei soggetti maggiormente attaccati alle tradizioni e alle
convinzioni cinesi, e i dati si mantenevano costanti per quasi tutte
le principali cause di mortalità prese in esame. Per esempio, i ci-
nesi americani nati in anni associati alla predisposizione a malattie
come i noduli e il cancro morivano di tumore linfatico quattro anni
prima rispetto ai nati in altri anni o agli americani non cinesi affetti
dalla stessa malattia.

105. D. P. Phillips, T. E. Ruth, L. M. Wagner, “Psychology and Survival”, Lan-


cet, vol. 342, n. 8880: pp. 1142–1145 (1993).

199
Come dimostrano questi esempi, siamo suggestionabili solo a ciò
che consciamente o inconsciamente crediamo vero. Un eschimese
che non crede nell’astrologia cinese non è suggestionabile all’idea di
essere predisposto a una certa malattia perché è nato nell’anno della
tigre o nell’anno del dragone, non più di quanto un cristiano sia
suggestionabile all’idea che un maleficio lanciato da un sacerdote
vudù possa ucciderlo.
Ma quando chiunque accetta, crede e si arrende a un esito senza
pensarci o analizzarlo consciamente, allora diventa suggestionabile
a quella particolare realtà. In molte persone, questa convinzione si
impianta nel sistema subconscio, ed è questo che genera la malat-
tia. Allora lascia che ti ponga un’altra domanda: quante sono le tue
convinzioni personali che si fondano su esperienze culturali e che
potrebbero non essere vere?
Cambiare le proprie convinzioni può essere difficile, ma non im-
possibile. Pensa a cosa accadrebbe se riuscissi a metterle in discus-
sione. Invece di pensare e sentire: Non ho mai abbastanza tempo
per fare tutto, cosa accadrebbe se pensassi e sentissi: Vivo in una
condizione atemporale e riesco a fare tutto? Cosa accadrebbe se invece
di credere: L’universo cospira contro di me, credessi L’universo è mio
amico e opera in mio favore? Che convinzione stupenda! Come pen-
seresti, come vivresti e come cammineresti per la strada se credessi
che l’universo opera in tuo favore? Come pensi che cambierebbe la
tua vita?
Quando vuoi cambiare una convinzione, devi prima cominciare a
credere che è possibile, poi modificare il tuo livello di energia con
l’emozione elevata di cui hai letto nelle pagine precedenti, e infine
permettere alla tua biologia di riorganizzarsi. Non è necessario pen-
sare a come o a quando accadrà quella riorganizzazione biologica;
chiederselo significa mettere in funzione la mente analitica, che ti
riporta in uno stato di onde beta e ti rende meno suggestionabile.
Devi solo prendere una decisione irrevocabile. E quando l’ampiez-
za o l’energia di quella decisione diventa più grande dei programmi
installati nel cervello e delle dipendenze emotive del corpo, allora
riesci a trascendere il passato, il corpo risponde a una mente nuova
e tu puoi attuare un vero cambiamento.

200
Sai già come farlo. Pensa a un momento del tuo passato in cui hai
deciso di cambiare qualcosa di te o della tua vita. Se ricordi bene, a
un certo punto probabilmente ti sei detto: Non importa come starò!
[corpo] Non importa cosa accadrà nella mia vita! [ambiente] E non
m’interessa quanto tempo ci vorrà! [tempo] Io voglio farlo!
All’improvviso hai avuto un fremito, perché ti sei spostato in un
diverso modo d’essere. Nell’istante in cui hai sentito quell’energia,
hai inviato al tuo corpo una nuova informazione. Ti sentivi ispirato
e sei uscito dal tuo familiare stato di inerzia. È per questo che, solo
con il pensiero, il tuo corpo ha smesso di vivere in un passato sem-
pre uguale e ha cominciato a vivere in un nuovo futuro. In realtà,
il tuo corpo ha smesso di essere la mente: tu eri la mente. Tu stavi
cambiando una convinzione.

L’EFFETTO DELLA PERCEZIONE


Come le convinzioni, le nostre percezioni di esperienze passa-
te – positive o negative – incidono direttamente sul nostro modo
d’essere subconscio e sulla nostra salute. Nel 1984 la dottoressa
Gretchen van Boemel, allora direttrice associata del reparto di elet-
tropsicologia clinica al Doheny Eye Institute [Ndt: Istituto di of-
talmologia] di Los Angeles, scoprì un esempio lampante di questo
influsso quando notò una strana tendenza tra le donne cambogiane
che si rivolgevano al Doheny. Le donne, tutte tra i quaranta e i ses-
sant’anni e residenti nella vicina Long Beach (nella zona chiamata
Little Phnom Penh, perché vi abitano circa cinquantamila cam-
bogiani) avevano gravi problemi alla vista, compresa la cecità, con
un’incidenza tanto alta da essere del tutto sproporzionata.
A livello fisico, gli occhi di quelle donne erano perfettamente sani.
La dottoressa van Boemel fece delle scansioni cerebrali alle pazienti
per valutare il funzionamento del loro apparato visivo e confrontò
i dati con le difficoltà oculistiche che riferivano. Scoprì che tutte le
donne avevano un’acuità visiva perfettamente normale, spesso di
20/20 o 20/40, anche se, quando cercavano di leggere un tabello-
ne oculistico, risultavano ipovedenti. Alcune di quelle donne non
percepivano la luce e non riuscivano nemmeno a scorgere le ombre,
anche se fisicamente i loro occhi erano sani.
201
Quando la dottoressa van Boemel collaborò con la dottoressa Pa-
tricia Rozée della California State University di Long Beach per
studiare i casi di queste donne, scoprì che le pazienti con la vi-
sta peggiore erano quelle che avevano vissuto più tempo sotto i
Khmer Rossi o nei campi profughi sotto la dittatura comunista di
Pol Pot.106 Il genocidio perpetrato dai Khmer Rossi causò la morte
di almeno un milione e mezzo di cambogiani tra il 1975 e il 1979.
In quel periodo quasi tutte le donne prese in esame, il 90 per cento,
avevano perso dei familiari (alcune addirittura dieci) e molte di loro,
il 70 per cento, erano state costrette ad assistere alla brutale uccisione
dei loro cari. “Queste donne hanno visto cose che la loro mente non
ha potuto accettare”, riferì Rozée al Los Angeles Times.107 La loro
mente si è chiusa e loro si sono rifiutate di vedere ancora, di assistere
ad altre uccisioni, torture, violenze e morti per malnutrizione.”
Una donna era stata costretta a guardare mentre suo marito e i suoi
quattro figli venivano uccisi, e subito dopo perse la vista. Un’altra
donna aveva dovuto guardare mentre suo fratello e i quattro figli
di lui venivano picchiati a morte da un Khmer rosso, e aveva visto
anche il suo nipotino di tre mesi che veniva sbattuto contro un
albero fino a essere ucciso. Subito dopo cominciò a perdere la vi-
sta.108 Inoltre quelle donne avevano subito percosse, privazione di
cibo, umiliazioni indicibili, abusi sessuali e torture, ed erano state
costrette ai lavori forzati per venti ore al giorno.
Documentando un totale di centocinquanta casi di cecità psico-
somatica tra le donne cambogiane di Long Beach – il gruppo più

106. P. D. Rozée, G. van Boemel, “The Psychological Effects of War Trauma


and Abuse on Older Cambodian Refugee Women”, Women and Therapy, vol.
8, n. 4: pp. 23–50 (1989); G. B. van Boemel, P. D. Rozée, “Treatment for
Psychosomatic Blindness Among Cambodian Refugee Women”, Women and
Therapy, vol. 13, n. 3: pp. 239–266 (1992).
107. L. Siegel, “Cambodians’ Vision Loss Linked to War Trauma”, Los Angeles
Times (October 15, 1989), http://articles.latimes.com/1989-10-15/news/mn-
232_1_vision-loss.
108. A. Kondo, “Blinding Horrors: Cambodian Women’s Vision Loss Linked
to Sights of Slaughter”, Los Angeles Times (4 giugno 1989), http://articles.lati-
mes.com/1989-06-04/news/hl-2445_1_pol-pot-khmer-rouge-blindness.

202
consistente al mondo di vittime di questo tipo – nel 1986 van Boe-
mel e Rozée presentarono la loro ricerca al convegno annuale della
American Psychological Association a Washington. Gli ascoltatori
rimasero inchiodati alle sedie.
Le donne di questo studio erano diventate cieche o ipovedenti non
per una malattia agli occhi o per qualche disfunzione fisica, ma
perché l’impatto emotivo degli eventi che avevano vissuto era stato
tale da farle “piangere fino a non vedere più”.109 L’intensità emotiva
che derivava dall’essere state costrette a guardare l’insopportabile, le
aveva indotte a non voler più vedere. Gli eventi avevano indotto in
loro cambiamenti fisiologici – non negli occhi, ma molto probabil-
mente nel cervello – alterando per sempre la loro percezione della
realtà. E siccome continuavano a rivivere mentalmente quelle scene
traumatizzanti, la vista non migliorava.
Questo è certamente un esempio estremo, ma le nostre esperienze
traumatiche probabilmente hanno effetti simili su di noi. Se hai
problemi alla vista, quali cose potresti aver scelto di non vedere a
causa di esperienze dolorose o spaventose che hai vissuto in passa-
to? Allo stesso modo, se hai problemi di udito, quali cose della tua
vita potresti aver scelto di non ascoltare?
La Figura 7.2 spiega come accade questo fenomeno. La linea del
grafico riflette una misurazione relativa del modo d’essere di una
persona, che parte da un livello più o meno normale prima che si
verifichi l’evento. Quando la linea si impenna, indica una forte re-
azione emotiva alla circostanza, come quella delle donne testimoni
delle atrocità commesse dai Khmer Rossi. Quell’esperienza orribile
si è impressa a livello neurologico nel loro cervello e ha trasformato
la chimica del loro corpo, oltre ad alterare il loro modo d’essere
(pensieri, emozioni, atteggiamenti, convinzioni e percezioni). Nel-
lo specifico, le donne non volevano più guardare il mondo perciò,
attraverso una riconfigurazione neurologica e una nuova serie di
segnalazioni chimiche, il loro corpo ha obbedito.

109. P. Cooke, “They Cried until They Could Not See”, New York Times Maga-
zine, vol. 140: pp. 24–25, 45–48 (23 giugno 1991).

203
COME UN’ESPERIENZA PUÒ CAMBIARTI
A LIVELLO FISIOLOGICO

Figura 7.2.  Un’esperienza dotata di una forte carica emotiva nella nostra realtà
esterna resta impressa nei circuiti cerebrali e nel corpo. Di conseguenza, il cervello
e il corpo vivono nel passato e l’evento altera il nostro modo d’essere, insieme alla
percezione della realtà. La nostra personalità non è più la stessa.

Anche se la linea del grafico alla fine scende e si stabilizza, il punto


in cui finisce è diverso da quello di partenza: ciò indica che la per-
sona rimane alterata da quella esperienza a livello chimico e neu-
rologico. Per le donne cambogiane questa alterazione ha avuto una
tale portata da farle vivere davvero nel passato, perché sono rimaste
segnate dall’impronta emotiva e chimica derivante da quell’espe-
rienza. Non sono più state le stesse; l’evento ha cambiato il loro
modo d’essere.

IL POTERE DELL’AMBIENTE
Cambiare le convinzioni e le percezioni una volta sola non è suf-
ficiente. Devi continuare a rafforzare il cambiamento. Per capire
come si fa, torniamo per un istante ai pazienti affetti dal Parkinson
che hanno migliorato le loro capacità motorie dopo aver ricevuto
un’iniezione salina che pensavano fosse un potente farmaco.

204
Come ricorderai, appena hanno cominciato a stare meglio, il loro
sistema nervoso autonomo ha iniziato a sostenere questo nuovo
stato producendo dopamina, non perché lo desiderassero, ma per-
ché sono diventati soggetti capaci di farlo.
Purtroppo, però, il risultato non è così persistente per chiunque.
In alcuni individui, infatti, l’effetto placebo dura solo per un pe-
riodo limitato e presto essi tornano a essere com’erano prima. In
questo caso, quando i pazienti affetti dal Parkinson sono tornati
a casa, hanno ripreso le vecchie abitudini: hanno visto i coniugi
o altre persone prendersi cura di loro, hanno dormito nello stesso
letto, hanno mangiato il solito cibo, si sono seduti nelle loro stanze
e magari hanno giocato a scacchi con gli amici di sempre che si
lamentavano dei loro acciacchi. Il contatto con l’ambiente a cui
erano abituati li ha riportati alla loro vecchia personalità e al loro
vecchio modo d’essere. Le condizioni della vita familiare hanno
ricordato loro chi erano prima, perciò si sono infilati di nuovo in
quella vecchia identità e le difficoltà motorie si sono ripresentate.110
La stessa cosa accade ai tossicodipendenti che non assumono dro-
ghe per anni. Se tornano nell’ambiente in cui si drogavano, anche
senza prendere alcuna sostanza stupefacente, cominciano ad accen-
dere nelle loro cellule gli stessi siti recettoriali che erano attivati
dalle droghe quando ne facevano uso; a sua volta, questo crea cam-
biamenti fisiologici, come se stessero ancora assumendo droghe,
aggravando le crisi di astinenza.111 La mente conscia non ha alcun
controllo su questo processo. È un fenomeno automatico.
Esaminiamo più a fondo questo concetto. Hai imparato che il
processo di condizionamento crea forti ricordi associativi e che
i ricordi associativi stimolano funzioni fisiologiche automatiche
attivando il sistema nervoso autonomo. Pensa ai cani di Pavlov.
Quando sono stati spinti ad associare il suono del campanello

110. R. de la Fuente-Fernández, T. J. Ruth, V. Sossi, et al., “Expectation and


Dopamine Release: Mechanism of the Placebo Effect in Parkinson’s Disease”,
Science, vol. 293, n. 5532: pp. 1164–1166 (2001).
111. S. Siegel and B. M. C. Ramos, “Applying Laboratory Research: Drug
Anticipation and the Treatment of Drug Addiction”, Experimental and Clinical
Psychopharmacology, vol. 10, n. 3: pp. 162–183 (2002).

205
all’arrivo del cibo, il loro organismo è cambiato a livello fisiologi-
co, senza un sostanziale controllo da parte della mente conscia. È
stato lo stimolo ambientale a cambiare a livello fisiologico lo stato
interno dei cani in modo automatico, autonomo e subconscio,
mediante la memoria associativa. Essi hanno cominciato a salivare
e ad attivare i succhi gastrici perché si aspettavano una ricompen-
sa. La mente conscia dei cani non avrebbe potuto fare tutto que-
sto. È stato lo stimolo ambientale a creare il ricordo associativo in
base a quella reazione condizionata.
Ora torniamo ai pazienti affetti dal Parkinson e ai tossicodipenden-
ti. Potremmo dire che, nell’istante in cui uno di questi individui è
tornato al suo ambiente familiare, la fisiologia del suo corpo è tor-
nata al vecchio modo d’essere, senza che la mente conscia potesse
esercitare alcun controllo di sorta. Infatti, il vecchio modo d’essere,
che aveva pensato e sentito allo stesso modo per anni, ha condi-
zionato il corpo a diventare la mente. Ovvero, il corpo è la mente
che reagisce all’ambiente. È per questo che il cambiamento è così
difficile per tutti i soggetti che si trovano in questa situazione.
Quanto più forte è la dipendenza dall’emozione, tanto più forte è la
reazione condizionata allo stimolo ambientale. Per esempio, ponia-
mo che tu sia dipendente dal caffè e voglia smettere di assumerlo.
Immagina di venire a casa mia e di trovarmi intento a prepararne
uno: senti il suono della macchinetta per l’espresso, annusi l’aroma
della miscela e infine mi vedi mentre lo sorseggio. Ecco cosa acca-
drebbe in quel caso: nel momento in cui i tuoi sensi captano gli sti-
moli ambientali, il tuo corpo, agendo da mente, reagisce in modo
automatico e subconscio senza interventi da parte della coscienza,
perché lo hai condizionato ad agire così. Il tuo corpo-mente allora
brama la sua ricompensa fisiologica, muovendo guerra alla mente
conscia e cercando di convincerti a berne un sorso o due.
Ma se avessi interrotto davvero la dipendenza dal caffè e io me
ne preparassi una tazza davanti a te, potresti anche berlo, perché
non avresti la reazione fisiologica che avevi prima. Non saresti più
condizionato (il tuo corpo non sarebbe più la mente) e la memoria
associativa del tuo ambiente non avrebbe più lo stesso effetto su
di te.

206
Lo stesso vale per le dipendenze dalle emozioni. Per esempio, se
hai memorizzato il senso di colpa in seguito a esperienze passate,
e inconsciamente vivi in quel modo ogni giorno nel presente, usi
qualcosa o qualcuno in qualche luogo del tuo ambiente esterno per
riaffermare la tua dipendenza dal senso di colpa, come fa la maggior
parte delle persone. Puoi provare quanto vuoi a superarlo a livello
coscio, ma nel momento in cui vedrai tua madre (verso la quale ti
senti in colpa) nella casa in cui sei cresciuto, il tuo corpo tornerà
automaticamente, chimicamente e fisiologicamente allo stesso sta-
to di colpa del passato, senza che la tua mente conscia possa inter-
venire. In quel momento il tuo corpo, che è stato programmato a
livello subconscio a essere la mente e a provare quell’emozione, sta
vivendo nel passato. Perciò, quando sei con tua madre, sentirti in
colpa ti viene più naturale che sentirti in qualunque altro modo.
Come nella dipendenza dalle droghe, una reazione condizionata
ha alterato il tuo stato interno mediante associazioni con la real-
tà esterna passata-presente. Se interrompi la dipendenza dal senso
di colpa cambiando la programmazione subconscia, puoi liberarti
della tua realtà passata-presente anche esponendoti alle stesse con-
dizioni ambientali.
I ricercatori della Victoria University di Wellington in Nuova Zelan-
da hanno esaminato gli effetti dell’ambiente osservando centoqua-
rantotto studenti invitati a partecipare a uno studio per il quale era
stata creata un’atmosfera da bar.112 I ricercatori dissero a metà degli
studenti che avrebbero ricevuto acqua tonica e vodka, e agli altri che
avrebbero bevuto solo acqua tonica. In realtà i baristi non versarono
neanche una goccia di vodka nei bicchieri: tutti ricevettero solo ac-
qua tonica. L’atmosfera da bar creata dai ricercatori sembrava molto
realistica, tanto che avevano sigillato di nuovo le bottiglie di vodka
dopo averle riempite solo con acqua tonica. Per un effetto ancora
più credibile, i baristi sfregarono sull’orlo dei bicchieri delle fette di
lime imbevute di vodka prima di procedere a mescolare e versare le
bevande come se stessero servendo dei veri cocktail.

112. S. L. Assefi and M. Garry, “Absolut Memory Distortions: Alcohol Place-


bos Influence the Misinformation Effect”, Psychological Science, vol. 14, n. 1:
pp. 77–80 (2003).

207
I soggetti diventarono brilli e si comportarono da ubriachi, ma al-
cuni mostrarono addirittura segni fisici di intossicazione. Non era-
no ubriachi perché avevano bevuto alcolici, ma perché l’ambiente
– la memoria associativa – aveva indotto il loro cervello e il loro
corpo a reagire in un modo familiare.
Quando i ricercatori rivelarono la verità agli studenti, molti di loro
furono sorpresi e ribadirono di essersi sentiti davvero brilli durante
l’esperimento. Avevano creduto di bere alcolici e quella convinzio-
ne si era tradotta in processi neurochimici che avevano alterato il
loro modo d’essere.
In altre parole, la convinzione era riuscita da sola a innescare un
cambiamento biochimico equivalente all’ubriachezza. Questo è ac-
caduto perché gli studenti avevano condizionato più volte se stessi
ad associare l’alcol a un cambiamento del loro stato chimico inter-
no. Aspettandosi o anticipando il futuro cambiamento fisico per
via di ricordi associativi legati all’assunzione di alcolici, erano stati
indotti dall’ambiente a cambiare a livello fisiologico, com’era acca-
duto ai cani di Pavlov.
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia. L’ambiente può
indurre una guarigione. In un ospedale della Pennsylvania, tra i pa-
zienti in convalescenza dopo un intervento chirurgico, quelli siste-
mati in una camera con vista su una fila di alberi e su un paesaggio
naturale hanno avuto bisogno di antidolorifici meno forti e sono
stati dimessi sette, otto o nove giorni prima dei pazienti sistemati
in una stanza da cui si vedeva solo un muro di mattoni anneriti.113
Il nostro stato mentale, creato dall’ambiente, può contribuire alla
guarigione del cervello e del corpo.
Allora hai davvero bisogno di una pillola di zucchero, di un’inie-
zione salina, di un finto intervento o di una finestra panoramica
– qualcosa, qualcuno o un luogo del tuo ambiente esterno – per ac-
cedere a un nuovo modo d’essere? O puoi farlo tu stesso cambian-
do il tuo modo di pensare e di sentire? Puoi credere in una nuova
possibilità per la tua salute, senza ricorrere a stimoli esterni, e tra-

113. R. S. Ulrich, “View Through a Window May Influence Recovery from


Surgery”, Science, vol. 224, n. 4647: pp. 420–421 (1984).

208
sformare il pensiero che formuli in una nuova esperienza emotiva
in grado di cambiare il tuo corpo e trascendere i condizionamenti
del tuo ambiente esterno?
Se vuoi farlo, le spiegazioni che hai appena letto ti suggeriscono
di cambiare il tuo stato interiore ogni giorno, prima di alzarti e di
fronteggiare lo stesso vecchio ambiente, in modo che non ti riporti
al tuo precedente modo d’essere, com’è capitato ai pazienti affet-
ti dal Parkinson. Ricordi Janis Schonfeld, la donna incontrata nel
Capitolo 1, che ha attuato cambiamenti nel suo cervello perché
pensava di aver assunto un antidepressivo? Uno dei motivi per cui
il placebo ha funzionato così bene nel suo caso è che quella pillola
inefficace presa tutti i giorni era un promemoria quotidiano che la
incoraggiava a cambiare il suo modo d’essere: perché Janis associava
la pillola a pensieri ed emozioni positivi sulla guarigione, come fa
l’80 per cento delle persone che prendono antidepressivi placebo.
Se tu riuscissi ad accedere a un nuovo modo d’essere attraverso
la meditazione, associando un’intenzione chiara allo stato emotivo
elevato di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti, e ogni gior-
no ti alzassi pieno di brio e di entusiasmo per quello che stai crean-
do, alla fine cominceresti a uscire dal tuo stato di inerzia. Entreresti
in un altro modo d’essere, con nuovi atteggiamenti, convinzioni e
percezioni, smettendo di reagire alle stesse cose nella medesima ma-
niera, perché ora il tuo ambiente non eserciterebbe più alcun con-
trollo sul tuo modo di pensare e di sentire. Allora compiresti nuove
scelte, assumeresti nuovi comportamenti e vivresti nuove esperien-
ze ed emozioni. E così manifesteresti una personalità nuova e di-
versa, che non ha più dolori artritici o difficoltà motorie causate dal
Parkinson o infertilità o qualunque condizione tu voglia cambiare.
Voglio soffermarmi un istante per chiarire che, com’è ovvio, non
tutte le malattie e i disturbi hanno origine nella nostra mente. Al-
cuni bambini nascono con malattie e malformazioni genetiche che
di certo non sono state scatenate da loro pensieri, emozioni, atteg-
giamenti e convinzioni. Poi ci sono i traumi e gli incidenti, che di
fatto accadono. Anche l’esposizione a tossine ambientali può avere
effetti devastanti sul corpo umano. Non intendo dire che, quando
capitano queste cose, in qualche modo ce le siamo procurate da

209
soli, nonostante sia vero che se il fisico è indebolito dagli ormoni
dello stress, il sistema immunitario si inceppa ed è più facile am-
malarsi. Ciò che voglio dire è che, qualunque sia l’origine della
nostra malattia, abbiamo sempre la possibilità di cambiare la nostra
condizione.

CAMBIARE L’ENERGIA
Ora possiamo comprendere che, se vogliamo cambiare le nostre
convinzioni e creare un effetto placebo per migliorare la salute e la
vita, dobbiamo fare l’esatto opposto di quello che le donne cam-
bogiane hanno fatto automaticamente. Mantenendo un’intenzione
chiara e salda ed elevando la nostra energia emotiva, dobbiamo cre-
are nella mente e nel corpo una nuova esperienza interna che sia più
grande di quella esterna vissuta in passato. In altre parole, quando
decidiamo di creare una nuova convinzione, l’ampiezza o energia
di quella scelta deve essere sufficientemente elevata da superare i
programmi predefiniti e i condizionamenti emotivi del corpo.
Per capire cosa accade quando attuiamo questo processo, osserva la
Figura 7.3 nella pagina seguente. In questa nuova esperienza, l’e-
nergia della scelta è più grande di quella del trauma associato all’e-
sperienza passata (come abbiamo visto nella Figura 7.2) ed è per
questo che il picco in questo grafico è più alto di quello raffigurato
nel grafico precedente. Di conseguenza, gli effetti di questa nuova
esperienza soppiantano il residuo della programmazione neurale e
del condizionamento emotivo derivante da quella passata.
Di fatto questo processo, attuato nel modo giusto, riconfigura il
nostro cervello e cambia la nostra biologia; la nuova esperienza
riorganizzerà la vecchia programmazione e, così facendo, rimuove-
rà il retaggio neurologico dell’esperienza passata. Pensa a un’onda
più grande che arriva a infrangersi in un punto più avanzato della
spiaggia, cancellando ogni traccia sulla sabbia lasciata dalle con-
chiglie, dalle alghe, dalla schiuma marina o dai disegni. Le for-
ti esperienze emotive creano ricordi a lungo termine. Allo stesso
modo questa nuova esperienza interna crea ricordi a lungo termi-
ne che sostituiscono quelli del passato, perciò la nostra scelta di-
venta un’esperienza che non dimenticheremo mai. Non ci saranno
210
più tracce del passato nel cervello e nel corpo e il nuovo segnale
riscriverà il programma neurologico, alterando l’organismo a livel-
lo genetico.

LA SCELTA DIVENTA UN’ESPERIENZA

Figura 7.3.  Per cambiare una percezione o una convinzione su te stesso e sulla
tua vita, devi prendere una decisione con un’intenzione tanto chiara da far sì
che la scelta abbia un’ampiezza di energia maggiore dei programmi installati nel
cervello e delle dipendenze emotive impresse nel corpo. Il corpo così risponde
a una mente nuova. La scelta creerà una nuova esperienza interiore più grande
di quella passata, che riscriverà i circuiti cerebrali e invierà nuovi segnali al
corpo per generare emozioni diverse. Quando la scelta diventa un’esperienza
indimenticabile, anche tu cambi, perché avrai creato un ricordo a lungo termine.
A livello biologico, il passato non esiste più. Potremmo dire che il tuo corpo, in
quel momento presente, sarà già in un nuovo futuro.

Ora osserva di nuovo la Figura 7.3 e nota come l’andamento della


linea continua a scendere (mentre nella Figura 7.2, la curva era di-
scendente ma si manteneva più in alto del punto di partenza). Que-
sto andamento mostra che non ci sono più tracce residue dell’espe-
rienza passata, scomparsa ormai dal tuo nuovo modo d’essere.

211
Oltre a riorganizzare i tuoi neurocircuiti, questo nuovo segnale co-
mincia anche a riscrivere il condizionamento del corpo rompendo
l’attaccamento emotivo al passato. Nell’istante in cui questo ac-
cade, il corpo vive pienamente nel presente e smette di essere pri-
gioniero del passato. Questa energia elevata si sente all’interno del
corpo e si traduce in una nuova emozione (modo diverso per dire
“energia in movimento”, e-mozione), che può essere la sensazione
di essere invincibili, coraggiosi, forti, empatici, ispirati o altro. Ed
è proprio l’energia, non la chimica, a cambiare la nostra biologia, i
neurocircuiti e l’espressione genica che ci caratterizza.
Un processo simile si verifica nelle persone che camminano sui car-
boni ardenti, che masticano il vetro e che maneggiano i serpenti.
Sono determinate a entrare in un diverso stato mentale e corporeo.
E quando mantengono ferma l’intenzione di fare questo passaggio,
l’energia della decisione crea nel cervello e nel corpo dei cambia-
menti interni che le rendono immuni alle condizioni ambientali
per un periodo prolungato. L’energia le protegge a tal punto che, in
quel momento, trascende la loro biologia.
Per di più, la nostra neurochimica non è l’unica a reagire agli stati
energetici elevati. I siti recettoriali che si trovano all’esterno delle
cellule sono molto più sensibili all’energia e alla frequenza che ai
segnali chimici di origine fisica, come i neuropeptidi, che accedono
al DNA delle nostre cellule.114 Le ricerche rivelano che quelle for-
ze invisibili del nostro spettro elettromagnetico influenzano ogni
aspetto della biologia cellulare e della regolazione genica.115 I recet-

114. C. W. F. McClare, “Resonance in Bioenergetics”, Annals of the New York


Academy of Sciences, vol. 227: 74–97 (1974).
115. B. H. Lipton, La biologia delle credenze. Macro edizioni, 2006; A. R.
Liboff, “Toward an Electromagnetic Paradigm for Biology and Medicine”,
Journal of Alternative and Complementary Medicine, vol. 10, n. 1: pp. 41–47
(2004); R. Goodman, M. Blank, “Insights into Electromagnetic Interac-
tion Mechanisms”, Journal of Cellular Physiology, vol. 192, n. 1: pp. 16–22
(2002); L. B. Sivitz, “Cells Proliferate in Magnetic Fields”, Science News, vol.
158, n. 13: pp. 196–197 (2000); M. Jin, M. Blank, R. Goodman, “ERK1/2
Phosphorylation, Induced by Electromagnetic Fields, Diminishes During
Neoplastic Transformation”, Journal of Cellular Biochemistry, vol. 78, n. 3:
pp. 371–379 (2000); C. F. Blackman, S. G. Benane, D. E. House, “Evidence

212
tori delle cellule sono tarati sulla frequenza dei segnali energetici in
arrivo. Le energie dello spettro elettromagnetico comprendono le
microonde, le onde radio, i raggi X, le onde a bassissima frequenza,
le onde armoniche, i raggi ultravioletti e anche gli infrarossi. Al-
cune frequenze dell’energia elettromagnetica possono influenzare
il comportamento di DNA, RNA e della sintesi proteica, alterano
la forma e la funzionalità delle proteine, controllano la regolazione
e l’espressione genica, stimolano lo sviluppo delle cellule nervose e
possono influenzare la divisione e la differenziazione cellulare, oltre
a istruire specifiche cellule a organizzarsi in tessuti e organi. Tutte
queste attività influenzate dall’energia fanno parte dell’espressione
della vita.
Se le cose stanno così, ci deve essere una ragione. Ricordi che il 98,5
per cento del nostro DNA viene definito “di scarto” dagli scienziati
perché sembra non avere un’utilità pratica? Di sicuro Madre Natu-
ra non ha inserito tutte quelle informazioni codificate nelle nostre
cellule, in attesa di essere lette, senza darci la capacità di creare un
segnale che le schiuda; dopotutto, la natura non spreca nulla.
È possibile che siano proprio la tua energia e la tua consapevolezza
a creare il giusto tipo di segnale esterno alle cellule che consente
di attingere a quel vasto serbatoio di “ingredienti” potenziali? E se
fosse vero, cambiando la tua energia con il processo spiegato nelle
pagine precedenti, potresti accedere alla capacità di guarire auten-
ticamente il tuo corpo? Quando cambi la tua energia, modifichi il
tuo modo d’essere. Dopodiché, il processo di riscrittura nel cervello
e le nuove emozioni chimiche nel corpo scatenano cambiamenti
epigenetici fino a farti diventare letteralmente una persona nuova.

for Direct Effect of Magnetic Fields on Neurite Outgrowth”, FASEB Journal,


vol. 7, n. 9: pp. 801–806 (1993); A. D. Rosen, “Magnetic Field Influence on
Acetylcholine Release at the Neuromuscular Junction”, American Journal of
Physiology, vol. 262, n. 6, pt. 1: pp. C1418–C1422 (1992); M. Blank, “Na,K-
APTase Function in Alternating Electrical Fields”, FASEB Journal, vol. 6, n.
7: pp. 2434–2438 (1992); T. Y. Tsong, “Deciphering the Language of Cells”,
Trends in Biochemical Sciences, vol. 14, n. 3: pp. 89–92 (1989); G. P. A. Yen-
Patton, W. F. Patton, D. M. Beer, et al., “Endothelial Cell Response to Pulsed
Electromagnetic Fields: Stimulation of Growth Rate and Angiogenesis in Vi-
tro”, Journal of Cellular Physiology, vol. 134, n. 1: pp. 37–46 (1988).

213
La persona che eri ormai è storia; una parte di lei è svanita in-
sieme ai vecchi neurocircuiti, alle dipendenze chimico-emotive e
all’espressione genica che ha nutrito il tuo vecchio modo d’essere.

214
CAPITOLO 8

LA MENTE QUANTISTICA

La realtà può essere letteralmente un bersaglio mobile. Siamo


abituati a considerarla certa e stabile ma, come scoprirai leggen-
do questo capitolo, il modo in cui ci hanno insegnato a vederla
non corrisponde al vero. E se vuoi imparare a essere il tuo placebo
usando la mente per influenzare la materia, è fondamentale che tu
comprenda la vera natura della realtà, come essa può trasformarsi
e quali sono i legami tra la mente e la materia: se non sai come av-
vengono queste modifiche e perché, non puoi impartire ai risultati
una direzione che assecondi le tue intenzioni.
Prima di tuffarci nell’universo quantistico, cerchiamo di capire da
dove vengono le nostre idee sulla realtà e dove ci hanno portato
finora. A partire da Cartesio e da sir Isaac Newton, per secoli lo
studio dell’universo si è diviso in due categorie: materia e mente.
Lo studio della materia (il mondo materiale) è stato dichiarato do-
minio della scienza perché, per la maggior parte, le leggi che gover-
nano il mondo esterno e oggettivo si potevano calcolare e quindi
prevedere. Ma il regno interno della mente era considerato troppo
imprevedibile e complesso, quindi è stato affidato alla religione.
Con l’andar del tempo, la mente e la materia sono diventate entità
separate ed è nato un dualismo.
La fisica newtoniana (detta anche fisica classica) si occupa dei mec-
canismi che determinano il comportamento degli oggetti nello spa-
zio e nel tempo, comprese le loro reciproche interazioni nel mondo
fisico materiale. Grazie alle leggi di Newton, possiamo misurare e
prevedere la traiettoria dei pianeti intorno al Sole, l’accelerazione
di una mela che cade da un albero, la durata del viaggio da Seattle
a New York in aereo. La fisica newtoniana si occupa di tutto ciò
che è prevedibile. Considera l’universo come se fosse un’enorme
macchina o un immenso cronometro. Ma la fisica classica ha dei
limiti quando si tratta di studiare l’energia, le azioni del mondo
immateriale oltre lo spazio e il tempo e il comportamento degli

215
atomi (i mattoncini di cui si compone ogni cosa nell’universo fi-
sico). Questo regno appartiene invece alla fisica quantistica. E si
è scoperto che questo microscopico mondo subatomico fatto di
elettroni e protoni non si comporta come il mondo più grande che
ci è familiare, quello dei pianeti, delle mele e degli aeroplani.
Quando i fisici quantistici hanno cominciato a osservare aspetti
sempre più piccoli dell’atomo, come la composizione del nucleo,
man mano che l’osservazione si faceva sempre più ravvicinata, l’a-
tomo diventava sempre meno chiaro e distinto, fino a scomparire
completamente. A quanto dicono, sembra che l’atomo sia compo-
sto per il 99,9 per cento da uno spazio vuoto.116 Ma in verità quello
spazio non è vuoto. È pieno di energia. Più precisamente, è compo-
sto da una vasta gamma di frequenze energetiche che formano una
sorta di campo di informazioni invisibile e interconnesso. Perciò
ogni atomo è composto per il 99,9 per cento da informazioni o
energia; ciò significa che il nostro universo noto e ogni cosa in esso
contenuta – non importa quanto possa apparire solida– è fatta per
lo più di energia e informazioni. E questo è un fatto scientifico.
Gli atomi contengono una piccola quantità di materia, ma quando
i fisici quantistici hanno cercato di studiarla hanno scoperto una
cosa strana: nel mondo quantistico, la materia subatomica non si
comporta affatto come quella che conosciamo. Invece di rispettare
le leggi della fisica newtoniana, essa sembra in qualche modo ca-
otica e imprevedibile, assolutamente noncurante dei limiti spazio-
temporali. Infatti, al livello subatomico dei quanti, la materia è un
fenomeno momentaneo. È qui adesso, poi scompare. Esiste solo
come tendenza, come probabilità o possibilità. Nel quanto, non vi
sono cose fisiche assolute.
Questa non è stata l’unica scoperta sorprendente riguardo all’uni-
verso quantistico. Gli scienziati si sono accorti che, quando osser-
vavano particelle di materia subatomica, potevano influire sul loro
comportamento o modificarlo. Il motivo per cui queste particelle
vanno e vengono (e lo fanno in continuazione) è che tutte esistono

116. N. Bohr, “On the Constitution of Atoms and Molecules”, Philosophical


Magazine, vol. 26, n. 151: pp. 1–25 (1913).

216
simultaneamente in un’infinita gamma di possibilità o probabilità
nell’infinito e invisibile campo quantistico di energia. Solo quando
un osservatore concentra la sua attenzione su un punto qualunque
di un elettrone, lo vede apparire realmente lì dove sta guardando.
Se distoglie lo sguardo, la materia subatomica scompare di nuovo
nell’energia.
Così, in base a questo “effetto dell’osservatore”, la materia fisica
non può esistere né manifestarsi fino a quando non la osserviamo e
la notiamo. Se non le prestiamo più attenzione svanisce, tornando
da dove è venuta. È in costante trasformazione e oscilla sempre tra
il manifestarsi in materia e lo svanire di nuovo in energia (circa 7,8
volte al secondo, in realtà). E siccome la mente umana (in quali-
tà di osservatore) è intimamente connessa al comportamento della
materia e al suo manifestarsi, si può dire che il dominio della mente
sulla materia sia una realtà quantistica. Formulato diversamente, il
concetto è questo: nel mondo microscopico dei quanti, la mente
soggettiva esercita un effetto sulla realtà oggettiva. La tua mente
può diventare materia; ovvero, puoi trasformarla in materia.
Come sappiamo, la materia subatomica compone tutto ciò che ve-
diamo, tocchiamo e sperimentiamo nel nostro macromondo: ciò
significa che in un certo senso anche noi appariamo e scompariamo
di continuo. Se le particelle subatomiche esistono simultaneamente
in un numero infinito di luoghi possibili, in qualche modo noi
facciamo altrettanto. E così come queste particelle passano dall’e-
sistere ovunque simultaneamente (onda o energia) a esistere preci-
samente nel luogo in cui l’osservatore le cerca, nel momento in cui
presta loro attenzione (particella o materia), anche noi siamo po-
tenzialmente capaci di collassare nell’esistenza fisica in un numero
infinito di realtà potenziali.
In altre parole, l’evento futuro che vorresti sperimentare nella tua
vita esiste già come possibilità in qualche luogo del campo quanti-
stico – oltre lo spazio e il tempo – e attende solo che tu lo osservi.
Se la tua mente (con i tuoi pensieri e le tue emozioni) può influire
su dove e quando un elettrone appare dal nulla, allora, a livello te-
orico, dovresti riuscire a influenzare l’apparizione di ogni possibilità
che riesci a immaginare.

217
Da una prospettiva quantistica, se ti osservi in un nuovo futuro
particolare, diverso dal tuo passato, e ti aspetti che quella realtà si
verifichi accogliendone emotivamente l’esito, per un momento stai
già vivendo in quella futura realtà e stai condizionando il tuo cor-
po a credere di essere lì nel presente. Così il modello quantistico,
secondo il quale tutte le possibilità esistono simultaneamente, ci
consente di scegliere un nuovo futuro e di osservarlo nella realtà.
Siccome l’intero universo è composto da atomi che per il 99 per
cento sono fatti di pura energia o possibilità, vuol dire che là fuori
esistono innumerevoli potenzialità che forse ci stiamo perdendo.
Tuttavia, ciò significa anche che tu crei in modo predefinito. Se tu,
in qualità di osservatore quantistico, guardi la tua vita con lo stesso
livello mentale ogni giorno, secondo questo modello induci le in-
finite possibilità a collassare sempre negli stessi schemi di informa-
zioni. Quegli schemi, che sei solito chiamare “vita”, non cambiano
mai, perciò non ti permettono di determinare un cambiamento.
Quindi la prova mentale di cui ho parlato nelle pagine precedenti
non è un vago sogno a occhi aperti o la semplice espressione di un
desiderio. È a tutti gli effetti un metodo per materializzare inten-
zionalmente la realtà che desideri, compresa una vita senza dolore
o malattie. Focalizzandoti di più su quello che vuoi e di meno su
quello che non vuoi, fai materializzare nell’esistenza tutto ciò che
desideri e al contempo fai “svanire” ciò che non vuoi smettendo
di prestargli attenzione. Il punto verso il quale rivolgi l’attenzione
è quello su cui si dirige la tua energia. Quando fissi l’attenzione,
la consapevolezza o la mente sulla possibilità, vi riversi anche l’e-
nergia. Di conseguenza, con la tua attenzione o con l’atto stesso
di osservare, influenzi la materia. Quindi l’effetto placebo non è
fantasia: è una realtà quantistica.

L’ENERGIA A LIVELLO QUANTISTICO


Tutti gli atomi nel mondo elementare emettono energie elettro-
magnetiche. Per esempio, un atomo può emanare invisibili campi
energetici a diverse frequenze, che includono i raggi X, gamma,
ultravioletti e infrarossi, oltre a raggi luminosi visibili. E come le
onde radio, pur essendo invisibili, essi trasportano una frequen-
218
za con specifiche informazioni codificate (che sia pari a 98.6 o
107.5 Hertz), allo stesso modo ogni particolare frequenza traspor-
ta informazioni specifiche e distinte, come mostra la Figura 8.1.
Per esempio, i raggi X trasportano informazioni molto diverse da
quelle degli infrarossi, perché viaggiano a frequenze diverse. Tutti
questi campi sono schemi di energia che emanano informazioni a
livello atomico.

FREQUENZA – ENERGIA – INFORMAZIONE

Figura 8.1.  Questo grafico mostra due frequenze che trasportano diverse
informazioni e perciò hanno caratteristiche differenti. I raggi X si comportano
in modo diverso dalle onde radio e perciò hanno differenti caratteristiche
intrinseche.

Pensa all’atomo come a un vibrante campo di energia o a picco-


li vortici che ruotano in continuazione. Per comprendere meglio
come funziona, possiamo paragonarlo a un ventilatore. Proprio
come un ventilatore circolare quando è acceso crea del vento (un
vortice d’aria), così ogni atomo, vorticando, irradia un campo di
energia. E come un ventilatore può ruotare a diverse velocità e cre-
are un vento più forte o più debole, così gli atomi possono vibrare
a diverse frequenze e creare campi energetici più forti o più deboli.
219
Quanto più veloce è la vibrazione dell’atomo, tanto maggiore è
l’energia e la frequenza emesse. Quanto più lenta è la vibrazione o
il vortice, tanto minore è l’energia creata.
Se le pale di un ventilatore ruotano più lentamente, si genera meno
vento (o energia) ed è più facile vederle come oggetti materiali nel-
la realtà fisica. Viceversa, se le pale ruotano più rapidamente, si
genera più energia ed è meno facile vederle fisicamente; sembrano
immateriali. Il punto in cui possono apparire (come le particelle
subatomiche che i fisici quantistici cercavano di osservare ma che
continuavano a mostrarsi e a svanire) dipende dalla tua osserva-
zione, cioè da come e dove le cerchi. Lo stesso vale per gli atomi.
Analizziamo più a fondo questo concetto.
Nella fisica quantistica, la materia è definita come particella solida,
mentre il campo di energia immateriale che trasporta le informa-
zioni si può definire onda. Quando studiamo le proprietà fisiche
dell’atomo, come per esempio la massa, gli atomi sembrano mate-
ria solida. Più lenta è la sua frequenza, più a lungo l’atomo rimane
nella realtà fisica e più appare come una particella visibile, come
materia solida. Il motivo per cui la materia fisica ci appare solida,
anche se è composta per lo più da energia, è che tutti gli atomi
vibrano alla stessa velocità con cui vibriamo noi.
Ma gli atomi esprimono anche molte proprietà tipiche dell’energia
o delle onde (compresa la luce, la lunghezza d’onda e la frequenza).
Quanto più veloce è la loro vibrazione e quanta più energia genera-
no, tanto minore è il tempo che essi trascorrono nella realtà fisica;
appaiono e scompaiono troppo rapidamente per essere visibili al
nostro occhio, perché vibrano a una velocità maggiore della nostra.
Ma anche se non possiamo vedere l’energia in sé, a volte possiamo
coglierne la conseguenza fisica, perché il campo di forza degli atomi
genera proprietà tangibili, come nel caso dei raggi infrarossi che
producono calore.
Se confronti la Figura 8.2A con la Figura 8.2B, puoi notare che le
frequenze più lente trascorrono più tempo nel mondo materiale e
quindi ci appaiono come materia.

220
CAMPO QUANTISTICO IMMATERIALE NON
FISICO OLTRE LO SPAZIO E IL TEMPO

Figura 8.2  Quando l’energia vibra più lentamente, le particelle appaiono nella
realtà fisica per periodi più prolungati, e dunque appaiono come materia solida.
La Figura 8.2A mostra come si manifesta la materia con una frequenza più
lenta e una lunghezza d’onda maggiore. La Figura 8.2B raffigura particelle che
trascorrono meno tempo nella realtà fisica, perciò sono energia più che materia.
Questo accade perché hanno lunghezze d’onda più brevi, frequenze più veloci e
vibrazioni più rapide.

221
Dunque l’universo fisico può sembrare composto solo da materia
solida, ma in verità condivide un campo di informazioni (il campo
quantistico) che unifica la materia e l’energia così strettamente che
è impossibile considerarle come entità separate. È per questo mo-
tivo che tutte le particelle sono connesse in un campo di informa-
zioni immateriale e invisibile oltre lo spazio e il tempo, composto
da coscienza (pensiero) ed energia (frequenza, la velocità con cui
vibrano le cose).
Ogni atomo
A ha il suo specifico campo o configurazione energe-
tica che condivide quando si unisce ad altri atomi per formare le
molecole. Gli atomi assemblati collettivamente irradiano profili
energetici combinati tra loro. Tutto ciò che è materiale nell’u-
niverso ha una specifica e particolare configurazione energetica
perché è composto da atomi, compresi io e te. Noi emettiamo
informazioni sotto forma di energia elettromagnetica, in base al
nostro modo d’essere.
Perciò, quando cambi la tua energia per modificare una percezione
o una convinzione su te stesso o sulla tua vita, di fatto aumenti la
frequenza degli atomi e delle molecole nel tuo corpo fisico e ampli-
fichi il tuo campo energetico (come mostra la Figura 8.3). Aumenti
la velocità di rotazione dei ventilatori atomici che compongono il
tuo corpo.
B Quando accogli uno stato emotivo elevato e creativo –
come l’ispirazione, la consapevolezza del tuo potere, la gratitudine
o la sensazione di essere invincibile – induci gli atomi a roteare più
rapidamente, come le pale di un ventilatore, e a emanare un’energia
più forte intorno al tuo corpo, che va a influenzare la materia fisica.
Quindi, le particelle che compongono il tuo corpo rispondono ora
a un’energia maggiore. Stai diventando più energia che materia. Sei
più onda che particella. Usando la tua consapevolezza, puoi creare
più energia in modo che la materia sia in grado di elevarsi a una
frequenza nuova e il tuo corpo risponda a una nuova mente.

222
EMOZIONI DI SOPRAVVIVENZA
VS EMOZIONI CREATIVE

Figura 8.3.  Quando cambi la tua energia, elevi la materia al livello di una mente
nuova e il tuo corpo vibra a una frequenza maggiore. Diventi più energia e meno
materia, più onda e meno particella. Più elevata è l’emozione o più alto è lo stato
creativo della mente, più energia hai a disposizione per riscrivere i programmi del
corpo. Il tuo corpo risponde a una mente nuova.

RICEVERE IL GIUSTO SEGNALE ENERGETICO


Allora come si fa a elevare la materia al livello di una mente nuova?
Pensa al predicatore che entra in uno stato di estasi religiosa e beve
stricnina senza riportare conseguenze a livello fisico. Come riesce a
sopportare quella sostanza chimica che in condizioni normali av-
velenerebbe chiunque? È il suo livello di energia a trascendere gli
effetti della materia. Ha mantenuto un’intenzione così ferma che
la sua decisione ha un’ampiezza energetica capace di trascendere le

223
leggi ambientali, gli effetti sul corpo e il tempo lineare. In quel mo-
mento, lui è più energia che materia e la sua nuova energia riscrive
i circuiti cerebrali, la chimica corporea e l’espressione genica. In
quella circostanza, lui non è l’identità legata al suo ambiente fami-
liare, non è il corpo fisico e non vive nel tempo lineare. La sua co-
scienza e la sua energia elevate sono epifenomeni della materia. In
altre parole, sono l’informazione e la frequenza che hanno plasmato
il progetto della materia. E quando dimostriamo un livello elevato
di consapevolezza e di energia, influenziamo la materia, che invece
è generata da un più basso livello di frequenza e informazioni.
È possibile che in questo processo i siti recettoriali delle cellule del
predicatore non siano stati aperti per ricevere la stricnina; le porte
sono rimaste chiuse al veleno, perciò esse sono esenti dai suoi ef-
fetti. Animato dallo spirito – ovvero dall’energia –il predicatore ha
regolato verso l’alto le cellule per l’immunità e verso il basso quelle
per il veleno. La stessa cosa accade a chi cammina sui carboni ar-
denti: cambiando il proprio modo d’essere, i siti recettoriali delle
cellule non sono più aperti all’effetto del calore. Ed è la stessa di-
namica che ha permesso alle due ragazzine di sollevare un trattore
da 1.360 chili per liberare il padre, come hai letto nel Capitolo 1.
Quando hanno visto il padre intrappolato e destinato alla morte, il
loro stato energetico elevato ha spento i recettori delle cellule che in
condizioni normali avrebbero comunicato al corpo che il trattore
era troppo pesante, e ha acceso i recettori delle cellule muscolari per
permettere loro di sollevare un peso enorme: così, quando ci hanno
provato, i loro muscoli hanno risposto allo stimolo e sono riuscite
a liberare il papà. Non è stata la materia (il corpo) a muovere la
materia (il trattore); è stata l’energia a influenzare la materia.
Di certo saprai che il tuo corpo è composto da un ampio assortimen-
to di atomi e molecole, che formano gli elementi chimici. Questi, a
loro volta, si organizzano in cellule, le quali formano tessuti che poi
si organizzano per diventare gli organi che costituiscono i vari appa-
rati del tuo corpo. Per esempio, una cellula muscolare è composta
da diversi elementi chimici (proteine, ioni, citochine, ormoni della
crescita), creati da tre differenti interazioni molecolari, che a loro

224
volta derivano da vari legami tra atomi; questi atomi condividono
un invisibile campo di informazioni per formare le molecole.
Anche gli elementi chimici che compongono le cellule condivido-
no un campo di informazioni, che orchestra le migliaia di funzioni
cellulari in ogni dato secondo. Gli scienziati stanno cominciando a
credere che esista un campo di informazioni responsabile di miriadi
di funzioni cellulari oltre i confini della materia.
Come fanno certi elementi chimici e alcune molecole cellulari a
sapere cosa fare e a interagire con tanta precisione? C’è un campo
energetico intorno alla cellula che è la somma dell’energia degli
atomi, delle molecole e degli elementi chimici che operano insieme
in equilibrio, ed è quel campo energetico che fa nascere la materia.
Per esempio, le cellule muscolari di cui parlavo prima possono or-
ganizzarsi ulteriormente e specializzarsi diventando “tessuti musco-
lari”. Poniamo che il particolare tipo di tessuto muscolare sia il
“muscolo cardiaco”, che forma un organo chiamato “cuore”. I tes-
suti, composti da cellule, condividono un campo di informazioni
che permette al cuore di funzionare in modo coerente. Il cuore fa
parte dell’apparato cardiocircolatorio. Condividendo questo cam-
po di informazioni, esso organizza la materia affinché funzioni in
modo armonico e olistico. Così, il campo che si è creato e che fa na-
scere la materia è ciò che controlla la materia. Più è grande il campo,
più è veloce la vibrazione degli atomi o, se vogliamo, la rotazione
delle pale del ventilatore subatomico.
Il modello newtoniano della biologia si basa su eventi lineari in
cui le reazioni chimiche si svolgono in una sequenza di passaggi.
In verità la biologia non funziona così; non è possibile spiegare
alcunché, neanche un fenomeno semplice come la guarigione di
un taglio, senza comprendere i movimenti interconnessi e coeren-
ti delle informazioni di cui abbiamo appena parlato. Le cellule si
scambiano le informazioni in modo non lineare. L’universo e tutti i
sistemi biologici che contiene condividono un’integrazione di cam-
pi energetici indipendenti e intrecciati, che a loro volta si scambia-
no informazioni oltre lo spazio e il tempo.

225
Le ricerche confermano che molte interazioni tra cellule si svol-
gono a una velocità superiore a quella della luce;117 e siccome il
limite della nostra realtà fisica è la velocità della luce, ciò significa
che le cellule devono comunicare tramite il campo quantistico. Le
interazioni tra atomi e molecole formano una intercomunicazione
che unifica il mondo fisico materiale e i campi energetici che com-
pongono il tutto. Nei quanti, le caratteristiche lineari e prevedibili
del mondo newtoniano non esistono. Gli elementi interagiscono in
modo olistico e cooperativo.
Perciò, secondo il modello quantistico della realtà, potremmo
dire che ogni malattia è un abbassamento della frequenza. Pensa
agli ormoni dello stress. Quando il tuo sistema nervoso è go-
vernato dalla reazione di lotta o fuga, gli elementi chimici della
sopravvivenza ti inducono a essere più materia che energia. Defi-
nisci la realtà con i sensi, abusi dell’energia vitale che circonda le
cellule immobilizzandola per un’emergenza, e tutta la tua atten-
zione è rivolta al mondo esterno, all’ambiente, al corpo e al tem-
po. Se tieni accesa la risposta allo stress per periodi prolungati,
gli effetti a lungo termine continuano a rallentare la frequenza
del corpo, che così diventa più particella che onda. Ciò significa
che gli atomi, le molecole e gli elementi chimici avranno a di-
sposizione meno coscienza, meno energia e meno informazioni
da condividere. Il risultato è che diventi materia che cerca invano
di cambiare altra materia; sei un corpo che cerca di cambiare un
corpo, senza successo.
Tutti i singoli ventilatori subatomici che compongono il tuo corpo
cominciano a ruotare più lentamente e assumono ritmi sfasati tra
loro. Questo crea un’incoerenza tra gli atomi e le molecole e inde-
bolisce il segnale di comunicazione, tanto che il corpo comincia a
dissestarsi. Quanto più il tuo corpo è materia invece che energia,
tanto più sei in balìa della seconda legge della termodinamica – la
legge dell’entropia – secondo la quale gli elementi materiali dell’uni-
verso tendono a muoversi verso il disordine e il caos.

117. F. A. Popp, “Biophotons and Their Regulatory Role in Cells”, Frontier


Perspectives, vol. 7, n. 2: pp. 13–22 (1998).

226
Pensa a cosa accadrebbe se in un’enorme stanza ci fossero centinaia
di ventilatori che funzionano insieme e girano in armonia, ema-
nando un lieve ronzio all’unisono. Quel ronzio sarebbe musica per
le tue orecchie, in quanto ritmico e costante. È quel che accade nel
corpo quando i segnali tra gli atomi, le molecole e le cellule sono
forti e coerenti.
Ora immagina come sarebbe diverso se non ci fosse sufficiente cor-
rente elettrica (energia) per alimentare tutti i ventilatori: essi gire-
rebbero a velocità o a frequenze diverse. La stanza sarebbe invasa da
una cacofonia di clangori, sussulti, interruzioni e partenze. È quel
che accade nel corpo quando i segnali tra gli atomi, le molecole e le
cellule sono più deboli e incoerenti.
Quando cambi la tua energia perché hai preso una decisione con
intenzione salda, aumenti la frequenza della tua struttura atomi-
ca e crei una configurazione elettromagnetica più coerente (come
mostra la Figura 8.4). Ora influisci sulla materia fisica del tuo cor-
po. Aumentando l’energia, aumenti l’elettricità che affluisce ai tuoi
ventilatori atomici. La frequenza elevata comincia a trascinare e a
organizzare le cellule del corpo per farle diventare meno particella
(materia) e più onda (energia). Detto in un altro modo, tutta la tua
materia ha più energia, o più informazioni. Per capire cos’è la coe-
renza, pensa al ritmo o all’ordine, e per comprendere l’incoerenza
pensa alla mancanza di ritmo, di ordine o di sincronia.

227
Figura 8.4.  In una prospettiva quantistica, una frequenza più elevata e coerente
si chiama salute, e una frequenza più lenta e incoerente si chiama malattia. Ogni
malattia è un abbassamento della frequenza ed è l’espressione di informazioni
incoerenti.

Immagina un centinaio di percussionisti che non hanno ritmo e


tutti insieme picchiano sui tamburi nello stesso momento. È un
esempio di incoerenza. Ora immagina un gruppo composto da cin-
que percussionisti di professione che si uniscono a percussionisti
improvvisati, si dispongono in diverse zone tra la folla e iniziano a
suonare andando a ritmo. Con il passare del tempo, i cinque per-
cussionisti trascineranno gli altri cento condividendo un ritmo, un
ordine e una sincronia perfetti.
È esattamente quel che accade quando il corpo risponde a una
mente nuova, quando hai un brivido dietro la nuca perché ti senti
più energia che materia. In quel momento, stai elevando la materia
al livello di una mente nuova. Stai portando la malattia, che esiste
come calo di frequenza, a una frequenza più elevata. Allo stesso
tempo, stai anche inducendo le informazioni incoerenti che esisto-
no tra atomi e molecole, tra elementi chimici e cellule, tra tessuti
e organi e apparati del corpo a funzionare in base a un campo di
informazioni più organizzato.

228
È come sentire delle interferenze alla radio e poi sintonizzarsi su un
segnale più chiaro: all’improvviso il disturbo svanisce e tu riesci a
sentire la musica. Il tuo cervello e il tuo sistema nervoso fanno la
stessa cosa sintonizzandosi su frequenze più alte e coerenti. Quan-
do questo accade, non sei più soggetto alla legge dell’entropia. Spe-
rimenti l’entropia inversa, e la configurazione coerente del campo
energetico che circonda il tuo corpo ti rende immune alle leggi del-
la realtà fisica. Ora tutti i ventilatori atomici girano a una frequenza
più rapida e coerente, e le molecole fisiche, gli elementi chimici e le
cellule che compongono il tuo corpo ricevono nuove informazioni:
l’energia esercita un effetto positivo sul corpo.
Le Figure 8.5A, 8.5B e 8.5C illustrano come la frequenza più alta
e coerente dell’energia trascina quella più lenta e incoerente della
materia, elevandola al livello di una mente nuova.
Più organizzata e coerente è la tua energia, più trascini la materia a
una frequenza organizzata; più veloce è quella frequenza, più chiaro
e profondo è il segnale elettromagnetico che le cellule ricevono.
(Nel capitolo precedente, hai imparato che le cellule sono cento
volte più sensibili ai segnali elettromagnetici – l’energia – che ai
segnali chimici, e che sono i segnali elettromagnetici che cambiano
l’espressione del DNA.) Viceversa, meno coerente e sincronizzata
è la tua energia, più difficile sarà per le cellule comunicare tra loro.
Tra pochissimo scoprirai quali sono i principi scientifici con cui
puoi creare uno stato di coerenza.

229
Figura 8.5.  Quando un’energia più elevata e coerente interagisce con una più
lenta e incoerente, comincia a trascinare la materia in uno stato più organizzato.

OLTRE LA SOGLIA DEL QUANTO


Il campo quantico è un campo invisibile di informazioni, è una
frequenza che sta oltre lo spazio e il tempo da cui derivano tutte le
cose materiali ed è composto da coscienza ed energia, perciò tutti
gli elementi fisici dell’universo sono unificati al suo interno e con-

230
nessi a questo campo. E siccome la materia è composta da atomi,
interconnessi oltre lo spazio e il tempo, allora io e te, insieme a
tutto l’universo, siamo collegati da questo campo di intelligenza –
personale e universale, dentro e intorno a noi – che dispensa vita,
informazioni, energia e coscienza a tutte le cose.
Puoi definirla come preferisci, ma questa è l’intelligenza universale
che ti sta dando la vita proprio in questo istante. È lei che organizza
e orchestra all’interno del tuo sistema nervoso autonomo migliaia
di note nell’armoniosa sinfonia del tuo assetto fisiologico. Questa
intelligenza fa battere il tuo cuore più di centounomila volte al
giorno, permettendogli di pompare fino a otto litri di sangue al
minuto, e percorrendo più di novantamila chilometri in ventiquat-
tr’ore. Nel tempo in cui finirai di leggere questa frase, il tuo corpo
avrà prodotto venticinque trilioni di cellule. E ognuno dei settanta
trilioni di cellule che compongono il tuo corpo esegue da cento-
mila a sei trilioni di funzioni al secondo. Oggi inali due milioni di
litri di ossigeno e, ogni volta che inspiri, viene distribuito in tutte
le cellule del tuo corpo nell’arco di pochi secondi.
Tieni sotto controllo tutto questo a livello conscio? O forse qual-
cosa che ha una mente molto più grande della tua, e una volontà
molto più grande della tua, lo fa per te? Questo è amore! Infatti,
quell’intelligenza ti ama così tanto da darti la vita. È la stessa mente
universale che anima ogni aspetto dell’universo materiale. Questo
invisibile campo di intelligenza esiste oltre lo spazio e il tempo, ed
è da lì che vengono tutte le cose materiali.
Questa intelligenza fa nascere le supernova nelle galassie lontane e
fa fiorire le rose a Versailles. Fa ruotare i pianeti intorno al Sole e fa
alzare e calare le maree a Malibù. Siccome esiste in tutti luoghi e in
tutti i tempi, ed è dentro di te ma anche intorno a te, deve essere
sia personale, sia universale. Dunque c’è una coscienza soggettiva
e volitiva (la consapevolezza individuale) chiamata “tu” e c’è una
coscienza oggettiva (la consapevolezza universale) responsabile di
ogni forma di vita.
Se chiudessi gli occhi e distogliessi l’attenzione dal tuo corpo e da
tutte le persone, le cose e gli eventi che si manifestano in momen-

231
ti e luoghi diversi del tuo ambiente esterno, lasciando andare il
tempo per un momento, in qualità di osservatore quantistico, ri-
muoveresti la tua energia dalla vita che conosci e investiresti la tua
consapevolezza nel campo ignoto delle possibilità. Se mantieni la
consapevolezza sulla vita che conosci, continui a investire lì la tua
energia, perché il punto in cui dirigi l’attenzione è quello in cui ri-
versi la tua energia. Ma se investissi l’energia nel campo ignoto delle
possibilità (un pensiero con potenziale quantico), attireresti verso
di te una nuova esperienza. Quando entri in uno stato meditativo,
la tua coscienza soggettiva e volitiva si fonde con la coscienza og-
gettiva e universale e tu pianti un seme nel regno delle possibilità.
Il sistema nervoso autonomo, che determina da sé la sua organiz-
zazione, è la tua connessione con quell’intelligenza innata che go-
verna per te tutte le funzioni automatiche. Di certo il responsabile
delle funzioni a cui ho accennato prima non è la neocorteccia pen-
sante. La cabina di regia che a livello subconscio dirige quei pro-
cessi si trova sotto la neocorteccia, nei centri inferiori del cervello.
Quest’intelligenza amorevole è l’entità con cui ti fondi durante la
meditazione, quando spegni l’ego e diventi pura coscienza: non
più un corpo nell’ambiente o nel tempo lineare bensì nessun corpo,
nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo. È così che diventi
semplicemente una coscienza in un campo infinito di possibilità.
Sei nell’ignoto. Ed è dall’ignoto che si crea ogni cosa. Sei nel campo
quantico. Io e te abbiamo tutto l’equipaggiamento biologico che ci
serve per compiere l’impresa di diventare pura coscienza.

232
CAPITOLO 9

TRE STORIE DI TRASFORMAZIONE


PERSONALE

In questo capitolo conoscerai alcune persone che hanno indirizzato


l’energia della loro coscienza verso il mondo immateriale oltre i
sensi, e hanno ripetutamente accolto una possibilità fino a materia-
lizzarla nella loro vita.

LA STORIA DI LAURIE
Quando aveva diciannove anni, a Laurie fu diagnosticata una rara
malattia degenerativa delle ossa, chiamata displasia fibrosa polio-
stica. Con questa patologia debilitante, il corpo sostituisce l’osso
vero e proprio con un tessuto fibroso più scadente, e l’impalcatu-
ra proteica che supporta lo scheletro diventa sottile e irregolare. Il
processo di crescita atipico associato a questa sindrome induce le
ossa a gonfiarsi, indebolirsi e fratturarsi. La displasia fibrosa può
manifestarsi in qualunque parte dello scheletro; nel caso di Laurie
interessava la parte destra del suo corpo: il femore, l’incavo dell’an-
ca, la tibia e alcune ossa del piede. I medici le dissero che la malattia
era incurabile.
La displasia fibrosa è una malattia genetica che di solito non si
manifesta fino all’adolescenza. Nel caso in questione, prima che
ne affiorassero i sintomi, Laurie aveva passato un anno intero zop-
picando dolorante per il campus dell’università con quella che si
rivelò essere una frattura al femore. Quando apprese di avere un
osso fratturato rimase scioccata, perché non aveva subito alcun
trauma. Aveva notato di avere un piede anatomicamente più gran-
de dell’altro, ma a parte questo non aveva riscontrato nulla che
non andasse. Aveva avuto un’adolescenza piuttosto dinamica, si
era dedicata ad attività come la corsa, la danza e il tennis. All’epoca
in cui aveva cominciato a zoppicare, si allenava addirittura per le
gare di culturismo.

233
Dopo la diagnosi, la vita di Laurie cambiò in modo repentino. Il
suo chirurgo ortopedico le disse che era fragile ed estremamente
vulnerabile. Le raccomandò di camminare solo con le stampelle in
attesa dell’intervento chirurgico: prima un trapianto osseo, seguito
dall’inserimento di un chiodo femorale di Russell-Taylor nella dia-
fisi. Dopo aver appreso la notizia, Laurie e sua madre piansero per
un’ora alla caffetteria dell’ospedale. Era come vivere in un incubo:
la vita di Laurie, così come l’aveva conosciuta, all’improvviso sem-
brava finita.
La percezione delle sue limitazioni – reali e immaginarie – co-
minciò a dominare la sua esistenza. Per evitare altre fratture, seguì
scrupolosamente le raccomandazioni del medico e usò le stampel-
le. Dovette interrompere lo stage che aveva appena iniziato nella
sezione marketing di una grande azienda di Manhattan e cominciò
a riempire le sue giornate di appuntamenti medici. Suo padre in-
sistette affinché vedesse il maggior numero possibile di ortopedici,
perciò sua madre, sempre in lacrime, nelle settimane seguenti la
accompagnò da uno studio medico all’altro.
Ogni volta che vedeva un nuovo dottore, Laurie sperava di sentire
un parere diverso, ma riceveva costantemente la stessa brutta noti-
zia. In pochi mesi, dieci medici espressero un parere unanime sul
suo caso. Ma l’ultimo specialista che consultò aveva un’opinione
diversa: disse che l’intervento raccomandato dagli altri dottori non
l’avrebbe aiutata, perché inserire il chiodo avrebbe rinforzato l’osso
malato solo nel punto più debole, causando nuove fratture in aree
quasi altrettanto vulnerabili sopra e sotto il chiodo. Consigliò a
Laurie di continuare a usare le stampelle o una sedia a rotelle, o di
restare seduta per il resto della sua vita.
Da quel momento, temendo di fratturarsi un osso, la ragazza ri-
mase immobile per la maggior parte del tempo. Si sentiva iner-
me, piccola e fragile, piena di ansia e autocommiserazione. Tornò
all’università un mese dopo, ma restò per lo più rinchiusa in un
appartamento che condivideva con altre cinque ragazze. Coltivò
così la strabiliante capacità di dissimulare una depressione clinica
che andava aggravandosi sempre più.

234
La paura del padre
Per quanto poteva ricordare, suo padre era sempre stato un uomo
violento. Anche quando i figli erano cresciuti, ogni membro della
famiglia doveva essere pronto alla furia dei suoi pugni, che scatta-
vano fulminei nei momenti più inaspettati. Tutti erano in costante
stato di allerta, chiedendosi quando la sua collera sarebbe esplosa di
nuovo. Anche se Laurie all’epoca non lo sapeva, la condotta di suo
padre era intrinsecamente legata alla sua malattia.
I neonati trascorrono la maggior parte del tempo nello stato cere-
brale di onde delta. Nei primi dodici anni di vita, i bambini pas-
sano poco a poco a uno stato theta e poi a uno alfa, infine entrano
nello stato beta in cui rimangono per gran parte della vita adulta.
Come hai letto nelle pagine precedenti, il theta e l’alfa sono sta-
ti cerebrali molto suggestionabili. I bambini non hanno ancora
una mente analitica che vaglia o interpreta ciò che accade, perciò
ogni informazione che assorbono dalle esperienze si codifica di-
rettamente nel loro subconscio. A causa dell’alto livello di sugge-
stionabilità, nel momento in cui si sentono emotivamente alterati
da un’esperienza, prestano attenzione a qualunque cosa o persona
l’abbia causata, così sono condizionati a formare dei ricordi asso-
ciativi collegando quella causa all’emozione vissuta. Se si tratta di
un genitore, con l’andare del tempo i bambini si attaccano a quella
figura familiare e pensano che le emozioni legate a quell’esperien-
za siano normali, perché non hanno la capacità di analizzare la
situazione. Per questo motivo, le esperienze della prima infanzia
diventano modi d’essere subconsci.
Anche se Laurie non lo sapeva quando le diagnosticarono la ma-
lattia, gli eventi ad alta carica emotiva che aveva sperimentato cre-
scendo con suo padre si erano impressi nel sistema della memoria
implicita, al di là della sua mente conscia, e avevano programmato
la sua biologia. La reazione alla rabbia di suo padre – la sensazio-
ne di essere debole, inerme, vulnerabile, stressata e intimorita ogni
giorno – era entrata a far parte del suo sistema nervoso autonomo,
così il corpo aveva memorizzato chimicamente queste emozioni e
l’ambiente aveva attivato i geni associati alla malattia. Si trattava
di una reazione automatica, perciò Laurie non era capace di mo-

235
dificarla, finché restava intrappolata nel suo corpo emotivo. Poteva
solo analizzare il suo modo d’essere e riconoscere che era identico
alle sensazioni del suo passato, ma le risposte di cui aveva bisogno
si trovavano oltre quelle emozioni.
Appena ricevette la diagnosi di displasia fibrosa, sua madre annun-
ciò all’intera famiglia che Laurie era stata ufficialmente dichiarata
“fragile” dalla medicina moderna; quindi era al sicuro dalla violen-
za fisica del padre. Continuò a subire gli abusi verbali ed emotivi
del genitore (per altri quindici anni, finché lui non morì) ma, per
una strana ironia, la malattia la preservò dalla violenza fisica.

Consolidare la propria identità nella malattia


Il perverso senso di sicurezza che Laurie aveva creato diventò per
lei uno strumento di sopravvivenza. Cominciò a beneficiare di uno
speciale trattamento, di cui aveva quasi sempre bisogno. Trovava
posto a sedere sull’autobus o in metropolitana anche se il mezzo
era molto affollato, restava seduta su una panchina mentre i suoi
amici facevano la fila per assistere a un evento, si vedeva assegnare
un tavolo al ristorante saltando la coda. Laurie scoprì così che la
malattia cominciava a operare in suo favore. Cominciò a fare affi-
damento sulla sua condizione per ottenere quello che voleva. Ora
riusciva a cavarsela meglio in un mondo che, prima d’allora, non
aveva mai percepito come un luogo sicuro. Il vantaggio emotivo di
manipolare la realtà per ottenere quello che voleva diventò molto
conveniente, tanto che Laurie riceveva molto più di quanto avesse
bisogno per evitare gli sforzi e prevenire lesioni al corpo. In breve
tempo, la malattia diventò la sua identità.
Più tardi, Laurie sviluppò una ribellione adolescenziale contro la
vita che, pensava, le avevano imposto i medici, i suoi genitori e il
destino. A sei mesi dalla diagnosi, entrò in una fase di risoluta nega-
zione della malattia. Decise di diventare la prima culturista “zoppa”
della storia e riprese quello sport con una dedizione totale. Con
una sorta di cieca ossessione, gettandosi a capofitto nell’impresa e
alimentando un atteggiamento positivo solo con la mente conscia,
Laurie trovò modi creativi per scaricare il peso sul corpo evitando
la torsione degli arti.

236
Pensava che, combattendo quel dolore, avrebbe migliorato le con-
dizioni di salute, ma i suoi sforzi le si ritorsero contro, perché stava
male per la maggior parte del tempo e il dolore peggiorò. Come tal-
volta accade ai pazienti affetti da displasia fibrosa poliostica, Laurie
sviluppò anche la scoliosi e aveva sempre mal di schiena. Poco più
che ventenne, cominciò a soffrire di artrite alla colonna vertebrale
e in altri punti del corpo.
Dopo la laurea, nonostante gli spostamenti dalla sua nuova casa
al lavoro, diventò molto sedentaria e si sentiva ancora più ta-
gliata fuori dalla vita. La paura, l’ansia e la depressione non la
abbandonavano mai. Invidiava la maggior parte delle persone
che conosceva e cominciò a perdere amicizie e relazioni senti-
mentali perché viveva come un’anziana, più che come una gio-
vane donna.
Non ancora trentenne, camminava sempre con un bastone, anche
quando non doveva curare una delle dodici fratture importanti che
aveva subito fino a quel momento. Come se non bastasse, sviluppò
anche pericolose microfratture. Le sue ossa erano così fragili che
sotto le microlesioni apparivano grandi lesioni da stress che si colle-
gavano ad altre aree dell’osso rotto per formare fratture ancora più
grandi visibili ai raggi X.
All’età di trent’anni Laurie aveva problemi alla schiena più gravi di
quelli di suo padre, ormai settantaduenne, ed era invecchiata prima
del tempo. Restava a letto per giorni e perse così tante settimane
di lavoro che alla fine fu costretta a lasciare il posto. Sospese il ma-
ster, perché la scuola che l’aveva accettata non aveva un ascensore
funzionante. Dovette dimenticarsi le feste, i musei, lo shopping, i
viaggi, i concerti e altre attività che le avrebbero imposto di cam-
minare o stare in piedi a lungo. Era intrappolata nel circolo vizioso
di pensieri ed emozioni consolidate: internamente pensava di essere
limitata e fragile, ed esternamente il suo corpo manifestava limita-
zioni e fragilità. Più si sentiva debole e vulnerabile, più lo diventava
davvero: continuava a subire fratture che rafforzavano la convinzio-
ne di essere fragile, riaffermavano la sua identità e convalidavano il
suo modo d’essere.

237
Cambiò alimentazione e assunse diverse vitamine e integratori, ol-
tre ai farmaci per rafforzare le ossa, ma nulla sembrava fermare le
fratture. Poteva rompersi un osso anche solo salendo dei gradini o
scendendo da un marciapiede. Era come vivere in un incubo, sem-
pre in attesa del prossimo episodio.
Per una strana ironia, quando non usava le stampelle o non zop-
picava, Laurie sembrava perfettamente normale. Molte persone
pensavano che usasse il bastone come una sorta di accessorio ec-
centrico e non credevano che avesse davvero una patologia debili-
tante; perciò, ricevere lo speciale trattamento di cui aveva bisogno
le risultava difficile e a volte frustrante. Lo sforzo per convincere
gli altri della sua malattia rafforzava ancora di più la sua identità
di persona malata, portava l’attenzione sul suo handicap e anco-
rava la sua convinzione riguardo allo status di disabile. Mentre il
resto del mondo sembrava darsi un gran da fare per nascondere la
propria vulnerabilità e le proprie debolezze, Laurie continuava a
proclamare le sue.
Investiva tantissima energia nello sforzo di controllare il più pos-
sibile il suo ambiente. Prestava molta attenzione a tutto quello
che mangiava e beveva, misurava tutto ciò che consumava. Ogni
passeggiata nel quartiere era calcolata. Stabiliva addirittura quanto
peso avrebbe dovuto portare tornando dal supermercato: cinque
chili, che era anche il limite del peso corporeo che avrebbe potuto
accumulare per evitare che le ossa peggiorassero.
Era sfibrante, ma era tutto ciò che sapeva fare. La sua gamma di
opzioni si restringeva sempre più man mano che lei, nel tentativo
di limitare i rischi di fratture, riduceva la gamma delle attività che
poteva svolgere. Il restringimento del suo stile di vita si rifletteva
anche sulla mente. Le paure aumentavano, la depressione si ag-
gravava; alla fine provò a ricominciare a lavorare, ma non riuscì a
tenere l’impiego.
La stessa donna che un tempo faceva corsa, danza e culturismo ora
si limitava a fare yoga e, prima di compiere quarant’anni, persino
quello divenne troppo per lei. Per diverso tempo l’unica forma di
esercizio fisico che si concesse furono sessioni di respirazione vigo-

238
rosa mentre stava seduta su una sedia (anche se, poco dopo i qua-
rant’anni, il medico le permise finalmente di praticare il nuoto).
Per curarsi aveva provato a rivolgersi a terapeuti, medici olistici,
esperti di guarigione energetica, musicoterapisti, omeopati, cercan-
do le soluzioni all’esterno di se stessa. A volte, dopo le sedute di
guarigione energetica, le sembrava di stare meglio, quindi andava
dritta dall’ortopedico a chiedere nuove radiografie, ma poi restava
delusa vedendo che gli esiti restavano invariati. Pensava: “Forse po-
trò solo peggiorare.” Ogni mattina si svegliava oppressa, sopraffatta
dal terrore, convinta di non poter affrontare ciò che il mondo aveva
in serbo per lei.

Laurie impara che cosa è possibile


Io e Laurie ci siamo conosciuti nel 2009, dopo che aveva visto Ble-
ep. Ma che… bip… sappiamo veramente?! ed era stata conquistata
dall’idea che una persona potesse crearsi una vita completamente
nuova. La incontrai per caso, mentre cenavo prima di un seminario
che avrei tenuto in un centro congressi vicino a New York. Parlam-
mo dei miei corsi sul cambiamento personale e lei s’iscrisse subito
a quello che avrei tenuto in agosto.
Quando arrivò al corso – il primo che seguiva – Laurie mi sentì
dire che era possibile trasformare il nostro cervello, i pensieri, il
corpo, lo stato emotivo e l’espressione genica. Nel seminario par-
lai del cambiamento fisico, ma le convinzioni di Laurie sulla sua
malattia e sul suo corpo erano tenaci, e le emozioni che provava
affondavano le proprie radici in profondità nel passato. Non ave-
va alcuna intenzione di guarire il corpo, soprattutto perché non
credeva che fosse possibile. Era venuta perché voleva solo sentirsi
meglio dentro di sé.
Laurie cominciò ad applicare meglio che poté i principi che le inse-
gnai, anche se non riusciva a sentirsi diversa solo per averlo scelto.
La prima cosa che fece dopo il weekend in cui frequentò il semina-
rio, fu smettere di parlare agli altri della sua diagnosi.
Anche se non riusciva a controllare le sue emozioni, aveva capito che
poteva controllare quello che diceva ad alta voce. Perciò, a meno che

239
non dovesse chiedere una sedia a una festa o spiegare a un preten-
dente perché non poteva fare una passeggiata con lui, smise di par-
lare della sua malattia. Scelse di focalizzarsi sulla meta che desiderava
per il futuro: un io interiore più felice, una profonda connessione
con qualche ignota fonte divina, uno splendido lavoro in cui sareb-
be stata bravissima e relazioni sane e solide con amici e parenti.
Si concentrò sull’intenzione di cambiare alcuni semplici compor-
tamenti. Stava attenta alle parole e ai pensieri che formulava, ricor-
dandosi di non riprodurre gli stessi vecchi schemi distruttivi. Con-
tinuava a praticare la meditazione e a seguire i miei corsi. Per dare
un significato a quel che faceva, rileggeva gli appunti dei corsi e si
teneva in contatto con molti altri allievi. Con l’andar del tempo, per
una piccola ma non trascurabile percentuale della giornata, si senti-
va meglio, più alta, più capace e più forte. Ogni giorno pronunciava
venti volte la parola “cambiamento”, quando notava che la sua men-
te tendeva a scivolare verso il passato. Anche se i pensieri negativi
si insinuavano un centinaio di volte al giorno, poco alla volta creò
nuovi pensieri, li mise per iscritto e provò a crederci fermamente.
Laurie si impegnò a fondo, ma impiegò quasi due anni prima di
sentire che quei nuovi pensieri le appartenevano davvero. Nell’atte-
sa, invece di cedere alla frustrazione, ricordava a se stessa che c’era
voluto molto tempo per creare la malattia con il suo stato emo-
tivo, perciò ci sarebbe voluto altrettanto per smantellarla. Inoltre
si ripeteva che doveva affrontare la morte biologica, neurologica,
chimica e genica del suo vecchio io prima che potesse emergere
quello nuovo.
Le circostanze dell’ambiente esterno peggiorarono prima di miglio-
rare. La sua casa fu devastata da un’inondazione, e nel palazzo in
cui era andata a vivere altre situazioni le crearono nuovi problemi
di salute. Laurie mi disse che, quando si sedeva per la meditazio-
ne e per fare le prove della sua vita ideale, aveva la sensazione di
raccontarsi una bugia; subito dopo, aprendo gli occhi sulle circo-
stanze attuali, le sembrava di ricevere uno schiaffo in pieno viso. La
incoraggiai a smettere di definire la realtà con i cinque sensi e di
insistere nell’attraversare il fiume del cambiamento.

240
Laurie continuò ad arrivare zoppicando ai seminari, a volte scon-
trosa, a volte riconoscente, e proseguì il lavoro. Formò anche un
gruppo di allievi della sua zona per meditare insieme. Nella vita
aveva ben poche situazioni piacevoli, quindi pensò: “Al diavolo!
Posso almeno stare un’ora al giorno dietro le mie palpebre, dove
la realtà sembra diversa, dove ho un corpo libero dal dolore, una
casa tranquilla e sicura, un rapporto appagante e amorevole con il
mondo esterno, con gli amici e con la mia famiglia.”
All’inizio del 2012, in uno dei seminari progressive, Laurie fece im-
portanti progressivi con la meditazione. Fu scossa fin nel midollo,
in senso letterale e figurato. Fisicamente, fu attraversata da una per-
turbazione, seguita da un rilascio. Il suo corpo si agitò convulso, il
viso si contorse e le braccia volarono verso l’alto mentre lei cercava
di restare attaccata alla sedia. Emotivamente, fu una gioia inespli-
cabile. Laurie pianse, rise e dalla sua bocca uscirono suoni che non
sapeva spiegare. La paura e il bisogno di controllo a cui si era ag-
grappata per non cadere a pezzi si stavano finalmente allentando.
Per la prima volta, sentiva una presenza divina e sapeva di non
essere più sola.
Laurie mi disse: “Ho sentito qualcosa, qualcuno, una presenza
divina; questa coscienza non ignorava la mia esistenza e non era
disinteressata al mio benessere, come invece pensavo. Mi stava
prestando attenzione. Comprenderlo è stato per me un cambia-
mento travolgente.” Gli sforzi per controllare i propri movimenti
fisici e la vita in generale cominciarono finalmente ad attenuarsi, e
l’energia che aveva usato per mantenere il controllo di tutto iniziò
a liberarsi.
All’evento successivo, notai che Laurie camminava senza bastone
e senza zoppicare. Invece di essere scontrosa, accigliata e contratta
per il dolore, era felice, sorridente e compiaciuta. Stava trasforman-
do la paura in coraggio, la frustrazione in pazienza, il dolore in gio-
ia e la debolezza in forza. Stava cominciando a cambiare, dentro e
fuori. Man mano che avanzava verso un nuovo futuro, il suo corpo,
ormai libero dalla dipendenza da quelle emozioni limitanti, viveva
sempre meno nel passato.

241
Nella primavera del 2012, durante una visita di controllo, l’orto-
pedico le disse che la frattura che aveva al femore dall’età di dician-
nove anni (una frattura visibile in tutte le centinaia di radiografie
che aveva fatto fino a quel momento) era sparita per circa due terzi.
Non sapeva offrirle una spiegazione, ma le consigliò di fare dieci
minuti di cyclette in palestra, due volte alla settimana. Quel mes-
saggio fu musica per le orecchie di Laurie, che cominciò subito.

Progressi e battute d’arresto


Il lavoro di Laurie per attraversare il fiume del cambiamento ora co-
minciava a dare i suoi frutti. Finalmente ricevette i primi riscontri
che testimoniavano qualche progresso fisico. Ogni giorno, quando
andava oltre il corpo, l’ambiente e il tempo, Laurie superava anche
la personalità legata alla sua realtà esterna presente e passata, le di-
pendenze e le abitudini del suo corpo, il futuro prevedibile che si
era sempre aspettata basandosi sui ricordi del passato. Si sforzava di
soppiantare la mente analitica, di cambiare le frequenze cerebrali e
di entrare in uno stato più suggestionabile, di trovare il momento
presente e avventurarsi nel sistema di programmazione che nelle
fasi precedenti della sua vita l’aveva alterata a livello emotivo. Gra-
zie a questo intenso lavoro, finalmente stava cambiando.
Laurie cominciò a credere che la sua mente stava davvero guarendo
il corpo con il solo pensiero. La frattura legata al vecchio io si stava
rimarginando, perché lei stava diventando un’altra persona. Non
attivava più gli stessi circuiti cerebrali che erano legati alla sua vec-
chia personalità, perché non pensava e non agiva più in quel modo.
Aveva smesso di condizionare il suo corpo a rispondere alla mente
che tendeva a rivivere il passato con le stesse emozioni. Ora stava
“dimenticando” di essere il suo vecchio io e stava ricordando di
avere una nuova identità, ovvero innescava e attivava nuovi pensieri
e azioni nel cervello, cambiando la mente e insegnando emotiva-
mente al corpo quali sarebbero state le emozioni del suo io futuro.
Durante la meditazione quotidiana, Laurie istruiva nuovi geni in
altri modi semplicemente cambiando il suo modo d’essere. Quei
geni creavano nuove proteine che guarivano quelle responsabili
delle fratture collegate alla sua malattia. In base a quello che aveva

242
imparato ai seminari, capì che le sue cellule ossee dovevano ricevere
il giusto segnale dalla mente per spegnere il gene della displasia
fibrosa e accendere quello della produzione di una normale matrice
ossea.
Laurie spiegò:
“Sapevo che nel corso degli anni quelle fratture si erano mani-
festate per l’espressione proteica malata nelle mie cellule ossee,
perché provavo emozioni di sopravvivenza, paura, vittimismo,
dolore; mi sentivo debole. Ma ero abbastanza potente da ma-
nifestare alla perfezione la debolezza nel mio corpo. Avevo pro-
grammato i geni a restare accesi, perché a livello subconscio
avevo memorizzato quelle emozioni nel mio corpo. E il mio
corpo, agendo da mente, viveva sempre nel passato. Così, sic-
come le ossa sono fatte di collagene – che è una proteina – ho
pensato che se volevo che le mie cellule ossee lo producessero,
dovevo entrare nel mio sistema nervoso autonomo, superare la
mente analitica, accedere al subconscio, riprogrammare il mio
corpo con nuove informazioni e permettergli di ricevere nuovi
ordini ogni giorno. Quando ho ricevuto la buona notizia, mi
sono sentita a metà del mio percorso per attraversare il fiume
del cambiamento.”
Laurie proseguì le sue meditazioni e continuò a frequentare i miei
seminari. Aveva ancora momenti di dolore fisico, ma la frequenza,
l’intensità e la durata diminuirono in modo considerevole. Cambiò
tutto quello che poté. Cambiò palestra giusto per avere intorno un
ambiente diverso. Metteva il deodorante prima sull’ascella destra,
invece che sulla sinistra. Incrociando le braccia, tutte le volte che se
ne ricordava metteva il sinistro sopra il destro, invece del contrario,
che le veniva più naturale. A casa si sedeva su una sedia diversa
ogni volta. Dormiva sull’altro lato del letto (anche se per salire e
scendere doveva fare il giro e andare al capo opposto della stanza).
Riferì: “Per quanto possa sembrare ridicolo, intendevo solo dare al
mio corpo il maggior numero possibile di segnali nuovi e diversi
e, siccome trasferirsi in una grande casa negli Hamptons non era
realistico, dovevo farlo con queste piccole cose.”

243
Metteva dei foglietti ovunque nel suo ambiente per ricordare a se
stessa di rimanere consapevole e per sollecitare pensieri ed emozio-
ni riguardo al suo futuro. Scrisse: “Sono grata”, “Eleva lo spirito!” e
“Ama” su pezzetti di nastro adesivo che poi attaccava dietro le porte
di casa. Sul cruscotto dell’auto un appunto diceva: “I tuoi pensieri
hanno un potere incredibile. Sceglili con saggezza.” Le affermazioni
incoraggianti non erano una novità per lei, ma prima d’allora non
aveva mai avuto la capacità di crederci, perché non sapeva come
cambiare le sue convinzioni.
Verso la fine di gennaio del 2013, a una nuova visita di controllo,
l’ortopedico le disse per la prima volta in ventotto anni che le lastre
non mostravano segni di fratture: nessuna traccia. Le ossa appari-
vano integre e illese. Laurie mi scrisse: “Non riesco a esprimere a
parole la gioia che questo mi ha portato. Ora mi sento più potente
e sollevata. So di essere più che a metà del percorso per attraversare
il fiume del cambiamento.”
Le sue cellule ossee erano programmate per creare nuove protei-
ne salutari. Il suo sistema nervoso autonomo stava ripristinando
l’equilibrio nel corpo a livello fisico, chimico ed emotivo. Era il
sistema nervoso autonomo a portare avanti la guarigione mediante
un’intelligenza superiore, e lei sapeva che poteva fidarsi e arren-
dersi ancora di più. Il suo corpo stava rispondendo a una mente
nuova.
Il mese successivo all’ultima visita dall’ortopedico, Laurie prese un
aereo e venne in Arizona a uno dei miei seminari avanzati. Un’ora
dopo il suo arrivo, ricevette una telefonata dall’assistente del medi-
co, che le disse che erano arrivati i risultati delle analisi del sangue
e delle urine e indicavano che la malattia era ancora molto attiva.
Per la prima volta dopo anni, il medico le consigliò di riprendere la
terapia a base di bifosfonati via endovena.
Laurie era disperata. Dalle radiografie aveva avuto l’impressione di
essere sana, ma le analisi di laboratorio indicavano tutt’altro. In
pochi secondi perse la giusta prospettiva e fu certa di aver fallito.
Quando mi comunicò la notizia, la rassicurai dicendole che il suo
corpo stava ancora vivendo nel passato e aveva solo bisogno di più

244
tempo per adeguarsi alla nuova mente. Le suggerii di continuare a
svolgere il lavoro per qualche mese e di rifare le analisi delle urine.
Ispirata da alcuni partecipanti che erano riusciti a cambiare la loro
salute, Laurie tornò a casa e riprese le meditazioni con grande im-
pegno, sentendo in modo più vivido e intenso la vita che poteva
avere. Smise di immaginare soltanto la guarigione delle ossa e co-
minciò a visualizzare se stessa come una persona sana in ogni senso:
vitale, radiosa, forte, giovane, dotata di buona salute ed energia.
Fece prove mentali accogliendo emotivamente tutto ciò che desi-
derava, compreso un corpo capace di funzionare e di camminare.
Disse a se stessa che la vecchia signora che era stata dai diciannove
ai quarantasette anni apparteneva al passato.

Mente nuova, nuovo corpo


Nei mesi seguenti, Laurie cominciò a sentirsi più felice, gioiosa li-
bera e sana. Iniziò a pensare al suo futuro con maggiore lucidità. Di
rado sentiva dolore nel corpo e ormai camminava senza supporto.
Aveva una certa apprensione all’idea di rifare le analisi, per le quali
aveva fissato l’appuntamento nel maggio 2013, così lo spostò a giu-
gno. Poi parlò della sua ansia e della sua esitazione con uno studen-
te esperto dei seminari, che le chiese di pensare a qualcosa di posi-
tivo da associare all’idea di entrare in ospedale per le analisi. A quel
punto, Laurie realizzò che aveva molte risorse emotive vivificanti e
positive a cui attingere. Iniziò a recitare un lungo elenco di cose,
compresa la pulizia dell’ospedale, la sollecitudine del personale, il
fatto che fosse un luogo piacevole in cui farsi curare. Era proprio il
cambiamento di messa a fuoco di cui aveva bisogno.
Il giorno dell’appuntamento, mentre guidava per raggiungere l’o-
spedale, Laurie ringraziò per il sole, per il fatto che il traffico fosse
scorrevole, per la sua automobile, per le gambe che riuscivano a
schiacciare i pedali, per la sua vista perfetta, per il parcheggio che
trovò facilmente e così via. Come mi raccontò in seguito: “Sono
entrata, ho dato il mio nominativo, ho chiuso gli occhi e ho me-
ditato nella sala d’attesa finché non è arrivato il mio turno. Ho
urinato nel contenitore, l’ho consegnato all’infermiera e sono usci-

245
ta, ringraziando per il semplice fatto di camminare. E ho lasciato
andare la preoccupazione per i risultati, completamente. Dentro di
me stavo bene, a prescindere dagli esiti. Sono riuscita a dimenticar-
mene del tutto, perché non mi aspettavo nulla. Mi sentivo felice;
ero riconoscente come non mai. Ho smesso di analizzare tutto e mi
sono semplicemente fidata.”
Una volta le avevo detto che, nel momento in cui cominciava ad
analizzare come e quando sarebbe guarita, ritornava al suo vec-
chio io: quello nuovo non avrebbe mai pensato con quell’insicu-
rezza di fondo. Laurie continuò: “E così, senza motivo, ero grata
per il presente prima ancora dell’esperienza effettiva. Non stavo
aspettando che i risultati mi rendessero felice o riconoscente. Non
avevo più bisogno di un fattore esterno per essere contenta. Ero
già appagata e felice perché qualcosa dentro di me era più soddi-
sfatto e completo.”
All’esterno non aveva “grandi parametri” con cui misurare il suc-
cesso, la soddisfazione e la sicurezza: non aveva un reddito, una
casa, un compagno, un’attività lavorativa, un figlio, nemmeno un
impegno nel volontariato di cui andare particolarmente fiera. Ma
aveva l’amore dei suoi amici e di quei membri della sua famiglia
con cui era riuscita a intessere un rapporto autentico. E provava
rinnovato amore per se stessa. Comprese che non aveva mai avuto
amor proprio fino a quel momento: solo egocentrismo. Mi spiegò
in seguito che non avrebbe mai potuto comprendere questa di-
stinzione con lo stato mentale ristretto che aveva prima. Si sentiva
completamente paga di sé e della propria vita. Disse: “Per la prima
volta da quando avevo cominciato questo viaggio, non mi interes-
sava nulla delle analisi. Stavo bene con me stessa.”
Due settimane dopo, arrivarono gli esiti. L’assistente del medico
disse a Laurie: “I risultati sono perfettamente nella norma. I valori
ora sono a quaranta. Sono scesi rispetto al livello anomalo e troppo
alto di sessantotto che avevi solo cinque mesi fa.”
Laurie aveva attraversato il fiume ed era approdata ai lidi di una
nuova vita. Nel suo corpo non c’era più traccia del passato. Era
libera, rinata.

246
In seguito mi spiegò:
“Improvvisamente ho capito che la mia identità di ‘paziente’ e
di ‘persona malata’ era diventata più forte di ogni altro ruolo
nella mia vita. Avevo finto di essere quella persona e d’un tratto
sapevo che non lo ero. Tutta la mia energia e la mia attenzione
erano state consumate dall’essere una paziente, invece che una
donna, una compagna, una figlia, un’impiegata o anche solo
una persona felice e appagata. Ora sapevo di non avere avuto
altra energia disponibile per essere qualcun altro, fino a quando
non ho distolto l’attenzione dalla mia vecchia personalità e dal
vecchio io, riversandola in un io nuovo. Sono grata per essere
chi sono adesso invece di quella vecchia me!”.
Laurie adesso non prova né rimpianto né rancore e non sente la
mancanza del suo passato. Come dice lei stessa: “Non voglio né
giudicare o serbare rancore, né sentirmi triste per il mio passato,
perché questi sentimenti mi priverebbero del senso di appagamen-
to che provo. È come se la mia condizione passata sia stata una
benedizione, perché mi ha permesso di superare i miei limiti e ora
sono innamorata della persona che sono diventata. Sono in pace.
Sono davvero cambiata a livello biologico e cellulare. Sono la prova
che la mente può guarire il corpo e, credimi, nessuno è più sbalor-
dito di me.”

LA STORIA DI CANDACE
La relazione di Candace, che durava da un anno appena, non stava
funzionando. Dopo i primi mesi insieme, lei e il suo fidanzato si
erano arenati in una situazione fatta di continui litigi, accuse pre-
testuose, cronica mancanza di fiducia e tendenza a incolparsi a vi-
cenda. Entrambi si sentivano gelosi e insicuri, quindi, nel migliore
dei casi, la loro comunicazione era frustrante. Erano ossessionati da
aspettative disattese che l’altro non aveva alcuna speranza di sod-
disfare. Presa da una furia che non aveva mai conosciuto prima,
Candace si trovava a sbraitare in litigi violenti in cui perdeva la
testa. Dopo questi scontri si sentiva ancora più svilita, più vittima e
più insicura. Erano comportamenti nuovi per lei: non era mai stata

247
una persona rabbiosa, frustrata o squilibrata, e non era mai andata
fuori di testa nei ventotto anni della sua vita.
Pur sapendo, a livello istintivo, che restare in quella situazione non
le faceva bene, Candace non riusciva a rifuggire dall’attaccamento
emotivo che la legava a questa relazione malata. Alla fine la dipen-
denza verso quelle emozioni stressanti diventò la sua nuova iden-
tità. La realtà soggettiva stava creando la sua nuova personalità.
L’ambiente esterno controllava il modo in cui pensava, agiva e sen-
tiva. Era diventata una vittima intrappolata nella sua stessa vita.
Inondata dalla forte energia delle emozioni tipiche dello stato di so-
pravvivenza, Candace cominciò a comportarsi come se avesse una
dipendenza: aveva bisogno di quella raffica emotiva di sensazioni e
credeva che là fuori ci fosse qualcosa che la induceva a pensare e a
comportarsi in una certa maniera. Non riusciva a pensare o ad agire
in modi che riuscissero a trascendere le sue emozioni. Imprigionata
in questo stato emotivo, ricreava sempre gli stessi pensieri, compor-
tamenti, scelte ed esperienze.
Candace usava il suo compagno e tutte le circostanze dell’ambien-
te esterno per riaffermare la sua presunta identità. Aveva bisogno
di provare la rabbia, la frustrazione, l’insicurezza, lo svilimento, la
paura e il vittimismo associati a quella relazione. Anche se tutto
questo non andava a vantaggio della sua vita ideale, lei aveva troppa
paura del cambiamento per rimediare. Diventò schiava di quelle
emozioni, perché riaffermavano la sua identità, in base alla quale lei
preferiva sentire di continuo sensazioni malsane e familiari piutto-
sto che staccarsene per accogliere un futuro sconosciuto, passando
dal noto all’ignoto. Cominciò a credere di essere le sue emozioni e
di conseguenza memorizzò una personalità basata sul passato che
aveva creato lei stessa.
La situazione aveva iniziato a degenerare e circa tre mesi dopo Can-
dace non riuscì più a sostenere fisicamente lo stress di quello stato
emotivo così esasperato, e cominciò a perdere grandi ciocche di ca-
pelli; in poche settimane, ne aveva persi quasi un terzo. Aveva forti
emicranie, stanchezza cronica, problemi gastrointestinali, difficoltà
di concentrazione, insonnia, accumulo di peso, dolore persistente

248
e una miriade di altri sintomi debilitanti, che in silenzio la stavano
distruggendo.
Essendo una donna intuitiva, Candace sentì che questa malattia
era autoinflitta e che era un prodotto dei suoi problemi emotivi. Il
solo pensare alla relazione che viveva le faceva perdere l’equilibrio,
in preparazione a un altro conflitto. Candace accendeva gli ormoni
dello stress e il sistema nervoso autonomo con il solo pensiero. E
quando le veniva in mente il suo compagno, o parlava della sua re-
lazione lamentandosene con amici e parenti, condizionava il corpo
a rispondere a quelle emozioni. Era l’ultimo stadio della connes-
sione corpo-mente e, siccome non riusciva a spegnere la reazione
allo stress, alla fine cominciò a regolare i geni verso il basso. I suoi
pensieri la stavano facendo ammalare, letteralmente.
Sei mesi dopo l’inizio della relazione, Candace era ancora in que-
sto stato disfunzionale e i suoi livelli di stress erano alle stelle. Pur
essendo ormai sicura che i sintomi fisici fossero un segnale d’allar-
me, a livello subconscio continuava a scegliere la stessa realtà, che
adesso era il suo normale modo d’essere. Tempestando il corpo di
emozioni negative legate alla sopravvivenza, Candace segnalava i
geni sbagliati nei modi sbagliati. Sentiva che stava morendo len-
tamente dall’interno e sapeva di dover riprendere il controllo della
propria vita, ma non aveva idea di come fare. Non riusciva a tro-
vare il coraggio di uscire dalla relazione, perciò vi rimase per oltre
un anno, vivendo tutto il tempo in un’abituale palude di rabbia e
rancore. Che queste emozioni fossero giustificate o meno, Candace
era consapevole del fatto che fosse il suo corpo a pagarne il prezzo.

Candace paga le conseguenze


Nel novembre 2010, finalmente Candace consultò un medico
che le diagnosticò il morbo di Hashimoto (chiamato anche ti-
roidite di Hashimoto o tiroidite cronica linfocitaria), una patologia
autoimmune in cui il sistema immunitario attacca le ghiandole
della tiroide.
La malattia è caratterizzata da ipotiroidismo (tiroide poco attiva)
con occasionali accessi di ipertiroidismo (tiroide troppo attiva). I
sintomi comprendono aumento del peso, depressione, comporta-
249
mento maniacale, ipersensibilità al caldo e al freddo, torpore, stan-
chezza cronica, attacchi di panico, anomalie del battito cardiaco,
colesterolo alto, ipoglicemia, costipazione, emicranie, debolezza
muscolare, rigidità alle articolazioni, crampi, perdita di memoria,
problemi alla vista, infertilità e perdita di capelli. Candace aveva
molti di questi sintomi.
Durante la visita, l’endocrinologo le disse che si trattava di una
malattia genetica e che non poteva fare nulla per curarla. Avrebbe
avuto la tiroidite di Hashimoto per il resto della sua vita e avrebbe
dovuto prendere dei farmaci a tempo indeterminato, perché i valori
dei suoi anticorpi non sarebbero mai cambiati. Anche se Candace
scoprì di non avere casi di questa malattia nella sua storia familiare,
sembrava condannata.
Avere una diagnosi concreta le diede il dono inatteso della consape-
volezza. Evidentemente aveva avuto bisogno di una sveglia, e la dia-
gnosi aveva svolto quella funzione. Il dissesto fisico l’aveva indotta
a riflettere sul suo passato e ad aprire gli occhi su chi era veramente.
Intuì di aver creato una malattia autoimmune che lentamente la
stava distruggendo a livello fisico, emotivo e mentale. Viveva in
perenne modalità di emergenza. Tutta l’energia del suo corpo era
investita per proteggerla dall’ambiente esterno: non ne restava ne-
anche un po’ per il suo ambiente interno. Il sistema immunitario
non poteva reggere oltre.
Nonostante l’istintiva paura del cambiamento e dell’ignoto, cin-
que mesi dopo Candace decise finalmente di chiudere la relazione.
Comprese senza ombra di dubbio che quel rapporto era dannoso
e non le faceva bene. Si chiese: “Cos’è peggio: restare in questa
situazione disfunzionale e sprofondare sempre più nel baratro, o
scegliere la libertà e la possibilità? Questa è la mia occasione per
crearmi una vita nuova, diversa.”
Per Candace le avversità diventarono l’inizio dell’evoluzione perso-
nale, dell’introspezione e dell’espansione. Si vide sul ciglio di una
scogliera, pronta a tuffarsi nell’ignoto. La decisione di lanciarsi e
cambiare diventò un’esperienza appassionante. Così si lanciò in
una dimensione in cui vedeva infinite potenzialità e possibilità, at-

250
tratta dal desiderio di smettere di farsi del male e di riscrivere il suo
codice biologico.
Fu un momento di svolta nella sua vita. Aveva letto i miei due li-
bri precedenti ed era venuta a uno dei miei seminari, perciò sape-
va che se avesse accolto la diagnosi e le emozioni che essa suscitava
in lei – paura, preoccupazione, ansia, tristezza – si sarebbe auto-
suggestionata e avrebbe creduto solo ai pensieri che corrisponde-
vano a quelle sensazioni. Poteva provare a pensare in positivo, ma
il suo corpo stava male, quindi avrebbe subito conseguenze reali.
Compiere quella scelta sarebbe stato il placebo errato, il modo
d’essere sbagliato.
Scelse di non accettare la malattia. Rifiutò la diagnosi del medico,
ricordandosi che la mente capace di provocare la malattia è la stessa
che crea il benessere. Sapeva di dover cambiare le sue convinzioni
sulla patologia che la comunità medica le aveva attribuito. Scelse di
non essere suggestionabile dai consigli e dalle opinioni del medico
perché non provava più paura, né tristezza, né vittimismo.
Infatti era ottimista ed entusiasta e queste emozioni alimentarono
un nuovo ordine di pensieri che le permise di vedere una nuova
possibilità. Non volle accettare la diagnosi, la prognosi e la tera-
pia; non volle credere all’esito più probabile o al destino futuro più
plausibile; non volle arrendersi alla diagnosi o al piano terapeutico.
Non volle né condizionare il corpo al peggiore scenario possibile, né
aspettarsi lo stesso esito prevedibile accettato dagli altri, né assegnare
il medesimo significato che altri davano a quello stato fisico. Ormai
aveva un atteggiamento diverso, quindi era entrata in un nuovo
modo d’essere.

Candace si dà da fare
Pur non accettando la malattia, Candace doveva ancora lavora-
re parecchio. Sapeva che, per cambiare le proprie convinzioni in
merito, doveva compiere una scelta dotata di un’energia che su-
perasse i programmi installati nel suo cervello e le dipendenze
emotive, affinché il corpo rispondesse a una mente nuova. Solo
allora avrebbe potuto sperimentare il cambiamento energetico
necessario per riscrivere i suoi programmi subconsci e cancellare
251
il passato a livello neurologico e genetico. Ed è proprio quello che
cominciò ad accadere.
Mi aveva già sentito dire tutto questo e possedeva già una cono-
scenza teorica della materia, ma non aveva ancora messo in pratica
quelle informazioni nella sua esperienza personale. Nel primo se-
minario che frequentò dopo la diagnosi, sembrava esausta e conti-
nuava ad addormentarsi sulla sedia. Sapevo che per lei era faticoso.
A quello successivo era più vigile e interessata, perché aveva co-
minciato da poco più di un mese a prendere i farmaci per regolare
lo squilibrio chimico. Si lasciò ispirare dalle storie che raccontai
quel fine settimana. Quando sentì che anche altri non volevano
essere vittime delle circostanze del mondo esterno e che potevano
verificarsi guarigioni straordinarie, decise di sperimentare la cosa in
prima persona.
Così si imbarcò per il suo viaggio. Avendo cognizioni di epigeneti-
ca e neuroplasticità grazie ai miei seminari, sapeva di non essere più
vittima della malattia, e usò la conoscenza per diventare proattiva.
Assegnò un diverso significato al futuro e cominciò a condizionare
emotivamente il suo corpo affinché rispondesse a una mente nuo-
va. Lavorava per vivere nel momento presente, che comprese di
aver sempre perduto.
Voleva essere sana e felice, perciò si impegnò a fondo per riconqui-
stare la sua vita. Eppure all’inizio fece molta fatica ed era frustrata
quando non riusciva a stare seduta per periodi prolungati. Il suo
corpo era stato addestrato a essere la mente dell’insoddisfazione,
della rabbia, dell’impazienza e del vittimismo, quindi era compren-
sibile che si ribellasse. Come se fosse alle prese con un animale
selvatico, Candace dovette riportare il proprio corpo al momento
presente. Ogni volta che intraprendeva quel processo, ricondizio-
nava il corpo a una mente nuova e si liberava sempre più dalle
catene della sua dipendenza emotiva.
Ogni giorno, durante la meditazione, lavorava per trascendere il
corpo, l’ambiente e il tempo. Rifiutava di concludere la sessione
con la stessa personalità con cui l’aveva cominciata, perché la vec-
chia Candace era piena di rabbia, frustrata e troppo dipendente

252
dalle circostanze esterne a livello chimico. Non voleva più essere
quella persona. Ascoltava le meditazioni, emulava un nuovo modo
d’essere e non si fermava fino a quando non si sentiva innamorata
della vita, entrando in un autentico stato di gratitudine slegato dal-
le contingenze.
Stava applicando nella pratica quotidiana le conoscenze che aveva
appreso ai miei seminari e dai CD che ascoltava ogni giorno, dai
libri e dagli appunti dei corsi. Installava informazioni sconosciute
nel cervello per prepararsi a una nuova esperienza di guarigione.
Sempre più spesso scopriva che poteva astenersi dall’attivazione di
vecchie connessioni neurali legate alla rabbia, alla delusione, al ran-
core, all’arroganza e alla sfiducia, e poteva cominciare ad attivarne
di nuove legate all’amore, alla gioia, all’empatia e alla gentilezza.
Così facendo, capì che stava potando le vecchie convinzioni facen-
done germogliare di nuove. E quanto più spesso compiva quello
sforzo dimostrando coraggio a livello mentale, tanto più riusciva a
trasformarsi.
Con l’andar del tempo, sviluppò un’incredibile gratitudine per la
vita: comprese che dove esiste armonia non può esistere incoeren-
za. Così si disse: “Non sono la vecchia Candace e non riaffermerò
mai più quell’esistenza.” Perseverò per mesi e mesi. Se scopriva
che qualcosa la trascinava verso il minimo comune denominatore
– la rabbia o l’insoddisfazione per le circostanze del mondo ester-
no, oppure un senso di malessere o infelicità – riusciva a com-
piere rapidamente un cambiamento consapevole. Trasformando
rapidamente il suo modo d’essere, riusciva ad abbreviare i periodi
in cui quelle emozioni prendevano il sopravvento, così diventò
sempre meno umorale, meno volubile e meno simile alla sua vec-
chia personalità.
In certi giorni stava così male che non voleva alzarsi dal letto, ma
lo faceva comunque e meditava. Si ripeteva che, tutte le volte che
riusciva a mutare quelle emozioni inferiori in altre più elevate, si al-
lontanava biologicamente dal suo passato predisponendo il cervello
e il corpo a un nuovo futuro. Cominciò ad accorgersi che valeva la
pena di fare tutto quel lavoro interiore, e presto diventò un piacere,
più che uno sforzo.

253
Grazie alla sua perseveranza, Candace notò che avvenivano grandi
cambiamenti in poco tempo e cominciò a sentirsi meglio. Iniziò a
comunicare in modo diverso con gli altri quando smise di guardare
il mondo attraverso le lenti della paura e della frustrazione, sce-
gliendo invece quelle dell’empatia, dell’amore e della gratitudine.
La sua energia aumentò e lei riuscì a pensare con maggior lucidità.
Candace si accorse che, di fronte agli eventi della vita, non reagiva
più allo stesso modo perché le vecchie emozioni basate sulla paura
non erano più nel suo corpo. Stava superando i propri riflessi con-
dizionati perché ora capiva che le persone e le situazioni che prima
la sconvolgevano esistevano solo in relazione a come si sentiva lei.
Stava diventando libera.
Il processo di cambiamento implicava la presa di coscienza dei
pensieri inconsci che sfuggivano alla sua consapevolezza durante
il giorno. Nelle meditazioni decise che quei pensieri non sarebbero
più passati inosservati. In nessuna circostanza si sarebbe concessa
di tornare alle vecchie abitudini e ai soliti comportamenti legati al
vecchio io, e il corpo cominciò a liberare energia. In altre parole,
si stava trasformando da particella in onda, rilasciando le emozioni
immagazzinate nel corpo sotto forma di energia. Il suo corpo non
viveva più nel passato.
Potendo disporre di questa nuova energia, Candace cominciò a
scorgere il panorama di un nuovo futuro. Si chiese: “Come voglio
comportarmi? Come voglio sentirmi? Come voglio pensare?”. Al-
zandosi ogni giorno per mesi in uno stato di gratitudine, segnalò
al suo corpo che il futuro era già arrivato, istruendo nuovi geni
in altri modi e riportando il corpo all’omeostasi. Al capo opposto
della rabbia, trovò l’empatia. All’estremità opposta dell’insoddi-
sfazione, scoprì la pazienza e la gratitudine. E dall’altro lato del
vittimismo, scoprì una creatrice che voleva dar vita alla gioia e al
benessere. Era la stessa intensa energia che aveva investito dal-
la parte opposta, ma ora era riuscita a liberarla trasformandosi
da particella in onda, passando dalla modalità di sopravvivenza a
quella di creazione.

254
Il dolce sapore del successo
Quando Candace si sottopose a un controllo sette mesi dopo la dia-
gnosi, il medico fu sbalordito dai cambiamenti riscontrati. Le sue
analisi erano tornate a valori perfettamente normali. Nella prima
serie di esami del febbraio 2011, l’ormone tireostimolante (THS)
era a 3,61 (un valore alto) e gli anticorpi a 638 (il che indicava un
forte squilibrio). Ma a settembre dello stesso anno, il TSH era sceso
a un valore normale di 1,15 e gli anticorpi erano tornati a un sano
450, anche se Candace non prendeva più farmaci. Era stata l’arte-
fice della sua guarigione in meno di un anno.
Il medico voleva sapere cosa avesse fatto per ottenere quei risultati
grandiosi. Sembrava quasi troppo bello per essere vero. Candace
spiegò che aveva capito di aver creato la malattia, così aveva deciso
di svolgere un esperimento su se stessa per smantellarla. Disse al
medico che meditando ogni giorno e mantenendo uno stato emo-
tivo elevato, con un processo epigenetico aveva istruito nuovi geni,
invece di permettere alle emozioni negative di continuare a segna-
lare i vecchi geni. Spiegò che aveva lavorato con regolarità sulla
persona che voleva diventare e aveva smesso di reagire a tutto ciò
che esisteva nell’ambiente circostante come se fosse un animale in
modalità di sopravvivenza: lottare, fuggire, scalciare o urlare. Tutto
intorno a lei era rimasto sostanzialmente inalterato; solo che ora lei
reagiva in un modo che esprimeva maggiore amore per se stessa.
Il medico, che appariva stupefatto, le disse: “Vorrei che tutti i miei
pazienti fossero come lei, Candace. È meraviglioso ascoltare la sua
storia.”
Candace non sa davvero come sia accaduta la sua guarigione. Non
ne ha bisogno. Sa solo di essere diventata un’altra persona.
Dopo qualche tempo ho cenato con lei. A quel punto non pren-
deva farmaci da mesi e non aveva più sintomi. La sua salute era
perfetta, le erano ricresciuti i capelli e lei era molto contenta di sé.
Mi disse più volte che era innamorata della sua vita presente.
Ridendo le dissi: “Sei innamorata della tua vita e lei ti ricambia. È
giusto che tu sia innamorata della tua vita: l’hai creata così com’è
ogni giorno per mesi!”.
255
Candace mi spiegò che si era solo affidata a un infinito campo
di potenzialità e sapeva che qualcos’altro l’aveva aiutata a guari-
re, qualcosa che la trascendeva. Tutto quello che aveva dovuto fare
era superare se stessa ed entrare nel sistema nervoso autonomo per
piantare i semi di una nuova vita. Era accaduto proprio questo,
senza che lei sapesse come; e da quel momento si era sentita bene,
come mai prima.
Ora la sua vita è completamente diversa da quella che conduceva
quando le avevano diagnosticato il morbo di Hashimoto. Con al-
cuni soci gestisce un programma di crescita personale che insegna
l’autoaiuto e ha anche un impiego in un’azienda. Ha una relazione
piena d’amore, nuovi amici e varie opportunità professionali. Una
personalità diversa alla fine crea una nuova realtà personale.
Un modo d’essere è una forza magnetica che attrae eventi corri-
spondenti; perciò quando Candace si è innamorata di se stessa, ha
attirato verso di sé una relazione piena d’amore. Siccome si sentiva
degna e provava rispetto per se stessa e per la sua vita, hanno co-
minciato a manifestarsi circostanze in cui aveva l’opportunità di
dare un contributo, di essere rispettata e di fare una differenza nel
mondo. E ovviamente, una volta entrata nella nuova personalità,
la vecchia sembrava appartenere a un’altra era. Questa nuova fisio-
logia ha cominciato a spingerla verso livelli di gioia e ispirazione
sempre più elevati; la malattia invece apparteneva alla vecchia per-
sonalità. Era diventata un’altra persona.
Ciò non significa che avesse sviluppato una dipendenza dalla gioia;
solo che non era più succube dell’infelicità. Quando cominciò a
esprimere livelli più alti di felicità, scoprì che c’è sempre più gioia,
più amore e più beatitudine da sperimentare, perché ogni espe-
rienza crea una diversa miscela di emozioni. Iniziò a desiderare di
trovarsi di fronte a delle prove nella sua vita, in modo da scoprire
fino a che punto sarebbe riuscita a utilizzare queste conoscenze per
la trasformazione.
La lezione definitiva che Candace ha imparato è che la sua ma-
lattia e le sue sfide riguardavano solo lei, nessun altro. Nel suo
vecchio modo d’essere, aveva creduto di essere la vittima di una

256
relazione e delle circostanze esterne, e riteneva che la vita le capi-
tasse. Diventare consapevole di questo lavoro, assumersi la piena
responsabilità per sé e per la sua esistenza - e comprendere che
quello che era accaduto non aveva mai avuto niente a che fare con
ciò che stava fuori - non solo l’hanno potenziata ma sono stati i
più bei doni che potesse desiderare.

LA STORIA DI JOANN
Joann aveva vissuto la maggior parte della sua vita sulla corsia di
sorpasso. Cinquantanove anni, madre di cinque figli, era una mo-
glie devota, una donna d’affari di successo, un’imprenditrice che si
destreggiava tra la vita domestica, le dinamiche familiari, i progressi
nella carriera e negli affari. Il suo obiettivo era rimanere lucida, sana
ed equilibrata, non poteva immaginare la sua vita in nessun altro
modo se non con quell’intensità, quella moltitudine di impegni e
quel ritmo accelerato; viveva al limite e dimostrava a chiunque che
la sua mente era attiva e acuta. Si costringeva a fare sempre di più,
mantenendo standard altissimi. Era una leader ammirata da molti
e spesso era il punto di riferimento per chi aveva bisogno di un
consiglio. I suoi pari la chiamavano “superwoman” e di fatto lo era,
o almeno così credeva.
Tutto questo finì di colpo nel gennaio 2008, quando Joann, uscen-
do dall’ascensore del suo palazzo, crollò a terra a circa quindici me-
tri dalla porta di casa. Era stata una brutta caduta, quindi andò in
una clinica per accertamenti e poi tornò a casa. In pochi istanti,
tutto nel suo mondo era cambiato e lei si ritrovò a doversi aggrap-
pare alla vita.
Dopo otto mesi di analisi, i medici le diagnosticarono una sclerosi
multipla secondaria progressiva, stadio avanzato della sclerosi mul-
tipla, una malattia cronica in cui il sistema immunitario attacca il
sistema nervoso centrale. I sintomi variano molto a seconda dell’in-
dividuo, ma possono cominciare con torpore a un arto e progre-
dire fino alla paralisi o alla cecità. Oltre ai problemi fisici, possono
insorgere anche disturbi cognitivi e psichiatrici. I sintomi di Joann
erano stati così vaghi e sporadici negli ultimi quattordici anni che
lei li aveva liquidati come semplici effetti collaterali della vita frene-
257
tica che conduceva. Ma ora la sua condizione aveva un nome che
suonava come una sentenza inappellabile. Piombò negli abissi della
medicina occidentale, che la sfidava ponendola davanti alla salda
convinzione che la sua fosse una malattia incurabile.
Pochi anni prima della diagnosi, Joann aveva cessato l’attività di
famiglia a Calgary e, cambiando non poco la sua vita, si era trasfe-
rita a Vancouver, sulla costa occidentale del Canada, cosa che la sua
famiglia voleva fare da tempo. Dopo il trasferimento, Joann aveva
dovuto affrontare una difficoltà dopo l’altra, mentre le finanze e
le risorse si erodevano, mettendo la sua famiglia in una situazione
precaria. La sua autostima, la fiducia in se stessa e la sua salute ave-
vano avuto un tracollo. Quando Joann si scoprì incapace di essere
più forte del suo ambiente, lo stato fisico e mentale cominciarono
a declinare. In breve tempo la famiglia non ebbe più a disposizione
risorse sufficienti per necessità basilari come il cibo e la casa. All’i-
nizio del 2007, la donna che tutti consideravano una superwoman
toccò il fondo ed entro la fine dell’anno fecero ritorno a Calgary.
La sclerosi multipla è una sindrome infiammatoria in cui vengono
danneggiati i rivestimenti isolanti delle cellule nervose nel cervello
e nel midollo spinale, insieme alle fibre nervose. La patologia im-
pedisce al sistema nervoso di comunicare e di inviare segnali a varie
parti del corpo. Joann aveva sviluppato un tipo di sclerosi multipla
progressivo: ciò significa che la malattia si aggrava con l’andar del
tempo, causando problemi neurologici permanenti, soprattutto ne-
gli stadi più avanzati. I medici le dissero che non esisteva una cura.
All’inizio Joann fu determinata a non lasciarsi limitare dalla scle-
rosi multipla. In breve tempo però imboccò una brutta china ver-
so la disabilità fisica e il deficit cognitivo. Man mano che le sue
condizioni peggioravano, Joann doveva dipendere dagli altri per
le necessità basilari. A causa delle limitazioni sensoriali e motorie,
cominciò a usare le stampelle, dei tutori e una sedia a rotelle. Alla
fine per spostarsi fu costretta a ricorrere a uno scooter per disabili.
Non c’era da sorprendersi che avesse avuto un crollo proprio nel
momento in cui la sua esistenza cominciava a sgretolarsi. Il suo
corpo le aveva fatto il favore che lei non aveva mai concesso a se

258
stessa: fermarsi e dire “Basta!”. Aveva preteso troppo da se stes-
sa. Pur avendo avuto successo negli anni precedenti, nel profondo
si sentiva una fallita per la maggior parte del tempo, perché non
smetteva mai di giudicarsi e pensava sempre di poter fare meglio.
Non era mai soddisfatta. Qualunque cosa facesse o conquistasse,
non si sentiva mai abbastanza brava.
Soprattutto, non voleva smettere di strafare perché altrimenti
avrebbe dovuto occuparsi di quell’impellente sensazione di falli-
mento. Quindi si teneva occupata rivolgendo tutta l’attenzione al
mondo esterno per non dover ascoltare il mondo interno dei pen-
sieri e delle emozioni.
Aveva passato la maggior parte dell’esistenza a supportare gli al-
tri, incoraggiandoli e celebrando i loro successi, ma non aveva
mai permesso a nessuno di vedere cosa non funzionava nella sua
vita. Nascondeva a tutti il suo dolore. Continuava a dare ma non
riceveva mai, perché non si concedeva di farlo; aveva passato il
tempo privandosi della propria evoluzione personale perché non
esprimeva mai se stessa. La conseguenza logica del suo tentativo
di cambiare il mondo interno usando le circostanze dell’ambiente
esterno fu il fallimento.
Quando infine crollò, era così debole e sconfitta che aveva appena
la forza di lottare per la sua vita. Tutto il tempo trascorso in moda-
lità di emergenza, reagendo sempre alle condizioni dell’ambiente
esterno, l’aveva privata della sua forza vitale, drenando l’energia dal
suo mondo interno, che è il luogo della riparazione e della guari-
gione. Era svuotata.

Joann cambia la sua mente


L’unica cosa che sapeva con certezza era che la malattia che le stava
crivellando il cervello e la spina dorsale, come rivelava la risonanza
magnetica, non era apparsa dall’oggi al domani. Il suo corpo veniva
corroso proprio nel nucleo vitale: il sistema nervoso centrale. Dopo
tutti quegli anni trascorsi a ignorare i sintomi, era snervata perché
aveva paura di guardare dentro di sé. Le sostanze chimiche tossiche
hanno bussato con insistenza alle porte delle sue cellule e alla fine il
gene della malattia è andato ad aprire e si è acceso.
259
Costretta a letto, Joann fissò il primo obiettivo per rallentare il pro-
gredire della sclerosi multipla nel corpo. Aveva letto il mio primo li-
bro e sapeva che il cervello non conosce la differenza tra l’esperienza
esterna reale e quella che lei stessa poteva rendere reale a livello
interiore con il solo pensiero. Aveva imparato anche che quella pra-
tica mentale poteva cambiare il cervello e il corpo. Cominciò a fare
prove mentali facendo yoga e, dopo poche settimane di esercizio
quotidiano, riuscì veramente a eseguire alcune posizioni, anche in
piedi. Questi risultati la motivarono molto.
Ogni giorno, Joann preparava il cervello e il corpo solo con il pen-
siero. Come i pianisti di cui hai letto nel Capitolo 5, che suonando
il piano mentalmente hanno sviluppato gli stessi circuiti neurolo-
gici dei soggetti che svolgevano fisicamente gli esercizi di musica,
Joann attivava i circuiti cerebrali come se si stesse già muovendo e
come se camminasse davvero. Ricordi i soggetti dei vari studi sul
sollevamento di pesi, che hanno aumentato la loro forza allenando-
si solo con la mente? Proprio come loro, Joann sapeva di poter dare
al proprio corpo l’impressione che l’esperienza della guarigione fos-
se già in atto, cambiando la mente.
Poco dopo fu in grado di stare in piedi per brevi periodi e poi di
camminare senza assistenza. Era malferma e per spostamenti più
lunghi doveva ancora ricorrere allo scooter per disabili, ma alme-
no non era più relegata a letto, in uno stato di commiserazione.
Aveva svoltato.
Quando cominciò a meditare regolarmente riducendo al silenzio il
chiacchiericcio mentale, diventò consapevole di quanto fosse triste
e arrabbiata. La diga si era aperta. Joann si accorse di sentirsi debo-
le, isolata, rifiutata e svilita per la maggior parte del tempo. Priva
del suo equilibrio, sradicata e sconnessa, si sentiva come se avesse
perso una parte vitale di sé. Notò che aveva negato la propria reale
identità per compiacere gli altri e che non poteva guardarsi dentro
senza sentirsi in colpa. Comprese che aveva sempre cercato di con-
trollare quello che sembrava un caos vorticante intorno a sé, ma la
cosa non aveva mai funzionato. A un livello più profondo, lo aveva
sempre saputo ma aveva scelto di ignorarlo, facendo pressione su se
stessa e fingendo che tutto andasse bene.

260
Nonostante fosse molto doloroso, Joann ora cercava di capire come
aveva creato la malattia. Decise di diventare conscia di tutti i pen-
sieri, le azioni e le emozioni inconsapevoli che la definivano come
la personalità che aveva creato quella particolare realtà soggettiva.
Sapeva che, valutando chi era stata, poteva cambiare quegli aspetti
di sé. Più diventava conscia del suo io inconscio, e consapevole del
suo modo d’essere, più acquisiva padronanza di tutto ciò che aveva
nascosto per anni.
All’inizio del 2010, Joann sentì che l’avanzamento della malattia
aveva iniziato a rallentare. Il suo obiettivo allora fu di interromper-
lo completamente. A maggio, quando il neurologo le chiese quali
fossero i suoi obiettivi riguardo alla malattia, fu congedata brusca-
mente. Ma invece di lasciarsi scoraggiare, Joann fu più determinata
che mai.

Joann porta la guarigione al livello successivo


Durante il seminario di Vancouver, Joann non riusciva a cammi-
nare da sola. In quel weekend chiesi ai partecipanti di formulare
un’intenzione chiara nella mente e di associarla a un’emozione po-
sitiva nel corpo. Lo scopo era di ricondizionare il corpo affinché ri-
spondesse a una mente nuova, invece di continuare a condizionarlo
con emozioni da sopravvivenza. Volevo che i partecipanti aprissero
il loro cuore e insegnassero emotivamente al corpo come sarebbe
stato il futuro.
Era l’ingrediente mancante nella pratica mentale che Joann svol-
geva quotidianamente. Riuscire ad accettare il pensiero di cam-
minare con il solo ausilio del bastone per sei o sette metri la
entusiasmò incredibilmente. Aggiunse così il secondo elemento
dell’effetto placebo all’equazione: l’aspettativa sostenuta dall’e-
mozione. Questa combinazione avrebbe portato Joann al livello
successivo. Doveva convincere il corpo che l’evento futuro aveva
già cominciato ad accadere nel presente. Il corpo, agendo da men-
te inconscia, doveva esserne convinto perché accadesse davvero.
Se lei avesse accolto la gioia e la gratitudine di stare bene prima
della guarigione effettiva, il suo corpo avrebbe avuto un assaggio
del futuro nel presente.

261
Le consigliai di prestare attenzione ai suoi pensieri, perché erano
stati quelli a farla ammalare. La incitai ad andare oltre la personalità
connessa alla malattia, passaggio necessario per creare una nuova
personalità e un’altra realtà personale. Ora poteva infondere signi-
ficato e intenzione a quel che stava facendo.
Due mesi dopo, Joann frequentò un seminario più avanzato a Seat-
tle. Lo scooter si era rotto il giorno prima, così usava la sedia a ro-
telle motorizzata per spostarsi. All’inizio si sentì più vulnerabile per
questo, ma poi notò che riusciva a muoversi con maggior facilità. I
ricordi associativi legati all’esperienza positiva del seminario prece-
dente, insieme all’aspettativa di star meglio grazie a quello attuale,
avevano dato avvio al processo. Se il 29 per cento dei pazienti che-
mioterapici sperimenta la nausea da anticipazione prima del tratta-
mento (come hai letto nel Capitolo 1), allora forse è possibile che
un partecipante a un seminario provi benessere da anticipazione
quando torna nello stesso contesto. Qualunque fosse il fattore sca-
tenante, Joann intravide una nuova possibilità e, con entusiasmo,
cominciò ancora una volta ad accogliere emotivamente il futuro
nel presente.
Durante l’ultima meditazione nel corso di quel seminario, le accad-
de una cosa magica. Sperimentò un enorme cambiamento interno
e sentì qualcosa smuoversi nel profondo. Avvertì il suo corpo cam-
biare spontaneamente quando lei entrò nel suo sistema nervoso au-
tonomo, impartendo le nuove istruzioni da seguire. Si sentiva solle-
vata, piena di gioia e libera. Dopo la meditazione, quando Joann si
alzò dalla sedia era una persona diversa da quella che si era seduta:
era in un nuovo modo d’essere. Attraversò la stanza camminando
senza alcun sostegno, nemmeno con il bastone. Si fece strada con
gli occhi sgranati, ridendo come una bambina. Riusciva a muovere
e a sentire le gambe, che erano rimaste anestetizzate per anni. Era
riuscita a togliersi di mezzo e la sensazione era incredibile! Con mia
grande meraviglia, Joann aveva istruito nuovi geni in altri modi
proprio durante la meditazione. Aveva cambiato la sua condizione
in un’ora soltanto!
Trascendendo la sua identità di malata, era diventata un’altra perso-
na e aveva smesso di voler rallentare, fermare o invertire la sclerosi

262
multipla. Non doveva più dimostrare nulla a se stessa, alla sua fami-
glia, ai medici o a qualcun altro. Per la prima volta comprese e spe-
rimentò che il vero viaggio riguarda la pienezza di sé, come sempre
accade nelle guarigioni verificabili. Dimenticò di avere una malattia
ufficiale e si dissociò da quella identità per un momento. La libertà
che si generò in lei e l’ampiezza di quell’emozione elevata erano così
forti da accendere un nuovo gene. Joann sapeva che la sclerosi mul-
tipla era una semplice etichetta, come “madre”, “moglie” o “capo”.
Aveva cambiato quell’etichetta rinunciando al passato.

Altri miracoli
Tre giorni dopo, quando Joann tornò a casa, il miracolo continuò
senza altri interventi da parte sua. Facendo yoga, che dopo il secon-
do seminario svolgeva fisicamente e non solo mentalmente, notò
che riusciva a sollevare un piede da terra. Provò a sollevare anche
l’altro e ci riuscì! Poi si accorse che poteva flettere il piede per la
prima volta dopo anni. E riusciva a piegare le dita dei piedi, cosa
che non faceva da molto tempo.
Era sbalordita e stupefatta, e cominciò a piangere di gioia. In un
istante capì che tutto era possibile, non per qualche terapia o pro-
cedura esterna, ma in virtù dei cambiamenti interni che aveva ope-
rato lei stessa. Joann sapeva di poter essere il suo placebo.
In brevissimo tempo imparò di nuovo a camminare. Oggi, a di-
stanza di due anni, cammina senza assistenza ed è più giocosa e
piena di vita. Ora il suo corpo è più forte e lei riesce a fare molte
cose di cui pensava non sarebbe mai più stata capace. Soprattutto
si sente viva e colma di una gioia sconfinata. Si sente appagata e,
siccome ora sa ricevere, continua a ricevere guarigione.
Di recente mi ha confidato: “La mia vita è magica, piena di incredi-
bili sinergie, abbondanza e doni inaspettati di ogni genere. Gorgo-
glia, spumeggia e luccica di un nuovo e più luminoso riflesso di me.
È il mio nuovo io, il mio vero io che ho cercato di tenere nascosto e
sotto controllo per la maggior parte della mia vita!”.
Ora Joann vive per lo più in uno stato di gratitudine. Si conce-
de sempre del tempo per ascoltare con consapevolezza pensieri ed

263
emozioni; coltiva ogni giorno il suo modo d’essere, prestando at-
tenzione a ciò che dice a se stessa e a cosa pensa degli altri. Nelle
meditazioni, si osserva e acquisisce familiarità con il proprio modo
di agire. Di rado la sua mente conscia è attraversata da un pensiero
che non vuole sperimentare.
Il neurologo che la segue attualmente supporta le sue scelte ed è
rimasto sbalordito da quel che ha visto. La sua dottoressa ha dovuto
riconoscere il potere della mente, dopo che Joann le ha portato i
referti e i risultati delle analisi da cui non si evinceva alcuna traccia
di sclerosi multipla.

Laurie, Candace e Joann sono riuscite a determinare una drastica


remissione senza l’ausilio di risorse esterne. Hanno cambiato la loro
salute dall’interno, senza uso di farmaci, interventi chirurgici, te-
rapie o altro, se non la loro mente. Sono diventate il loro placebo.
Ora analizziamo con metodi scientifici il cervello di alcune persone
che hanno partecipato ai miei seminari e sono state capaci di opera-
re cambiamenti altrettanto drastici, così vedremo esattamente cosa
è successo durante queste notevoli trasformazioni.

264
CAPITOLO 10

DALLA CONOSCENZA
ALLA TRASFORMAZIONE:
L A P R O VA C H E I L P L A C E B O S E I T U

Questo libro tratta di come puoi trasformare la tua mente in ma-


teria. Ora sai che il placebo funziona perché una persona accetta
e accoglie un rimedio noto – una falsa pillola, un’iniezione o una
procedura che sostituisce la sua controparte reale – e poi si arrende
all’esito senza analizzare troppo come si verificherà. Potremmo dire
che un individuo associa la sua esperienza futura con una partico-
lare persona nota (poniamo un medico) o cosa nota (un farmaco o
una procedura), in un momento e luogo specifico del suo ambiente
esterno, a un cambiamento del suo ambiente interno. Così facendo
altera il proprio modo d’essere. Dopo alcune esperienze coerenti,
la persona si aspetta che il futuro sia esattamente uguale al passato.
Quando questo collegamento entra in azione, il processo diventa
molto efficace. È fondato su uno stimolo conosciuto che produce
un’esperienza nota.
La conclusione è questa: nel classico effetto placebo, la nostra fi-
ducia è riposta in un elemento esterno a noi. Cediamo il potere
al mondo materiale, dove i nostri sensi definiscono la realtà. Ma il
placebo può funzionare grazie a un processo creativo che parte dal
mondo immateriale dei pensieri e che trasforma quella possibilità
ignota in una nuova realtà? Sarebbe un’applicazione più avveduta
del modello quantistico.
I tre partecipanti ai seminari di cui hai letto nel capitolo preceden-
te hanno compiuto questa impresa. Hanno scelto di credere in se
stessi più che in qualunque altra cosa. Sono cambiati dall’interno e
sono entrati nel modo d’essere che contraddistingue chi assume un
placebo; nessun fattore materiale ha determinato il fenomeno. È
questo che fanno molti miei allievi per stare meglio. Quando ap-
prendono il reale funzionamento del placebo, possono fare a meno

265
della pillola, dell’iniezione o della procedura, ottenendo gli stessi
risultati.
Grazie alle ricerche condotte in questi seminari e alle continue te-
stimonianze che ho ricevuto da persone di tutto il mondo, posso
affermare che tu sei il placebo. Le storie dei miei allievi dimostrano
che è possibile investire la propria convinzione in un ambito igno-
to, invece che noto e trasformare ciò che non si conosce in ciò che
si conosce.
Pensaci. L’idea di una guarigione verificabile esiste come realtà po-
tenziale nel campo quantico finché non viene osservata e realizzata,
dopodiché si materializza. Vive come possibilità in un infinito cam-
po di informazioni che viene definito come un nulla fisico in cui
però si combinano tutte le possibilità materiali. Perciò l’esperienza
futura di una remissione spontanea dalla malattia esiste come po-
tenzialità ignota situata oltre lo spazio e il tempo, fino a quando non
viene sperimentata personalmente e resa nota in questo spazio e in
questo tempo. Quando l’ignoto diventa un’esperienza nota con i tuoi
sensi, sei sulla via dell’evoluzione.
Quindi, se riesci a sperimentare più e più volte una guarigione
nel mondo interno dei pensieri e delle emozioni, alla fine essa si
manifesterà nella realtà. Se trasformi un pensiero in qualcosa di
reale quanto l’esperienza nell’ambiente esterno, prima o poi non
dovrebbe essercene traccia nel corpo e nel cervello? In altre paro-
le, se provi mentalmente quel futuro ignoto con un’intenzione
chiara e un’emozione elevata, e se lo fai ripetutamente, in base alle
conoscenze che hai appreso dovresti avere autentici cambiamenti
neuroplastici nel cervello e autentici cambiamenti epigenetici nel
corpo.
Se progredisci ogni giorno verso un nuovo modo d’essere, ricor-
dandolo al tuo cervello e condizionando il tuo corpo a risponde-
re a quella mente, allora dovresti vedere gli stessi cambiamenti
strutturali e funzionali che otterresti prendendo un placebo. La
figura 10.1 ti mostra una semplice rappresentazione grafica del
processo.

266
DIVENTARE IL PLACEBO

Figura 10.1.  I cambiamenti si innescano con un processo semplice che nella


maggior parte dei casi parte da un elemento esterno che altera qualcosa dentro
di noi. Se intraprendi il percorso inverso e cominci a cambiare il mondo interno
dei tuoi pensieri e delle tue emozioni, puoi creare un miglioramento nel tuo
benessere. Se continui a ripetere con costanza questo processo nella meditazione,
con l’andar del tempo i cambiamenti epigenetici cominceranno a modificare la
tua rappresentazione esterna e tu diventerai il tuo placebo.

Allora, invece di allineare la tua convinzione e la tua fede a qualcosa


di noto, puoi dirigere la tua attenzione verso una possibilità ignota
e, in base ai principi discussi in questo libro, rendere conosciuta
una realtà che non lo è? Accogliendo emotivamente e con conti-
nuità l’esperienza nella tua mente, puoi passare dall’immateriale al
materiale, dal pensiero alla realtà?
Ormai dovresti aver capito che per guarire non hai bisogno di una
finta pillola, di un santuario, di simboli antichi, di medici-stregoni
(nelle varianti antiche e moderne), di finti interventi chirurgici o di
luoghi sacri. Questo capitolo te ne dà la prova scientifica attraverso
le esperienze dei nostri allievi, che sono riusciti a modificare la loro
biologia con il solo pensiero. Il cambiamento non si è verificato
soltanto nella mente, ma anche nel cervello.
Le prove fornite in questo capitolo hanno lo scopo di ispirarti a
sperimentare in prima persona il potere della meditazione. Spero

267
che, dopo aver letto la dimostrazione di ciò che è possibile fare,
applicherai gli stessi principi alla tua trasformazione personale e ne
trarrai beneficio in ogni ambito della vita. Dopo aver letto queste
storie, arrivando alla Parte II del libro, avrai un’intenzione più salda
per affrontare il tuo viaggio interiore, perché assegnerai più signifi-
cato alle tue azioni, e quindi otterrai risultati migliori.

DALLA CONOSCENZA ALL’ESPERIENZA


Grazie al mio lavoro, ho imparato una cosa molto importante.
Sono arrivato a comprendere che ognuno di noi crede nella propria
grandezza. Dentro di sé, a un livello più o meno profondo, chiun-
que – che sia l’amministratore delegato di una multinazionale, un
bidello, una madre single con tre figli o un carcerato – ha una in-
nata fiducia in se stesso.
Tutti crediamo nelle possibilità. Immaginiamo un futuro migliore
della realtà in cui attualmente viviamo. Perciò ho pensato che, se
avessi offerto a persone sincere le informazioni scientifiche essen-
ziali e le istruzioni necessarie per metterle in pratica, loro avrebbero
potuto sperimentare vari gradi di trasformazione personale. Do-
potutto la scienza è il linguaggio contemporaneo del misticismo.
Essa trascende la religione, la cultura e la tradizione. Demistifica i
contenuti sacri e unisce una comunità. L’ho visto accadere molte
volte in tutto il mondo nei miei seminari.
Nei corsi avanzati dove io e i miei colleghi misuriamo i cambia-
menti biologici ed energetici dei partecipanti, sia singolarmente,
sia collettivamente, uso diversi principi delineati in questo libro
(e molti altri) per insegnare il modello scientifico della trasforma-
zione. Il modello continua a evolversi man mano che gli studenti
migliorano le loro capacità. Aggiungo sempre nuovi elementi di
fisica quantistica per aiutare le persone a comprendere il concetto
di possibilità. Poi li associo alle ultime informazioni offerte dal-
la neuroscienza, dalla neuroendocrinologia, dall’epigenetica, dalla
biologia cellulare, dalla scienza delle onde cerebrali, dalla psicologia
energetica e dalla psiconeuroimmunologia. Con l’apprendimento
di nuove informazioni, si manifestano nuove possibilità.

268
Quando i nostri allievi imparano e accolgono queste conoscenze,
possono assegnare un significato più profondo alla meditazione e
alle pratiche contemplative. Ma non basta che le comprendano a
livello intellettuale o teorico. Devono saper ripetere quello che han-
no imparato. Una volta che sono in grado di spiegare queste infor-
mazioni evolutive, il modello si attiva sempre più nel loro cervello
e così possono installare la configurazione neurologica che sta alla
base. Ripetendo più volte quello che hanno imparato, creano un
programma configurato. Applicando questo nuovo sapere in modo
corretto, essa diventerà il prodromo di una nuova esperienza.
In altre parole, quando allineano la mente e il corpo, acquisiscono la
saggezza derivante da un’esperienza nuova, accogliendo l’emozione
che vi si associa. Ora cominciano a incarnare l’informazione, per-
ché istruiscono il corpo a comprendere emotivamente quello che la
mente ha imparato a livello teorico. A questo punto, cominciano a
credere e a sapere che quella è la verità. Il mio auspicio è che, invece
di farlo una volta sola, i miei studenti possano ripetere l’esperienza
di continuo a loro piacimento, finché essa non diventa una nuova
capacità, una nuova abitudine o un nuovo modo d’essere.
Giunti a questo grado di costanza, siamo alle soglie di un nuovo
paradigma scientifico, perché tutto ciò che è ripetibile è scienza.
Quando arriviamo al livello di competenza in cui possiamo cam-
biare il nostro stato interno solo con il pensiero, e questo processo
viene ripetutamente osservato, misurato e documentato, siamo alle
soglie di una nuova legge scientifica. Allora, con questa nuova co-
noscenza sulla natura della realtà, possiamo dare il nostro apporto
al modello scientifico comunemente accettato, così da offrire a più
persone gli strumenti per sfruttare al meglio il proprio potere. Col-
tivo questa ambizione da anni.
Mi do un gran da fare per insegnare ai miei allievi le dinamiche spe-
cifiche con cui le pratiche interiori cambiano il cervello e il corpo
a livello biologico, affinché possano comprendere con precisione
quel che stanno facendo. Quando nulla è lasciato alla congettu-
ra, al dogma o alla supposizione, siamo più suggestionabili da una
possibilità quantistica. E per ottenere grandi risultati questo sforzo

269
è necessario. Ma le misurazioni non varrebbero granché senza le
capacità dei miei allievi.
Nei miei seminari gli studenti si ritirano dalla loro vita per tre o
cinque giorni, perché questo li aiuta a non lasciarsi più definire
dalla loro realtà personale presente-passata. Si esercitano a entrare
in nuovi modi d’essere. Smettendo di riaffermare aspetti della loro
vecchia personalità che non appartengono al futuro e fingendo di
essere qualcun altro – o reinventando un’altra personalità – diven-
tano il nuovo io che immaginano, così possono produrre cambia-
menti epigenetici, proprio come è avvenuto agli anziani del Capi-
tolo 4, che hanno finto di avere ventidue anni in meno.
Il mio desiderio è che nelle meditazioni i partecipanti trascendano
se stessi e le loro identità per diventare nessuno, nessun corpo, nes-
suna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo: per essere insomma
pura consapevolezza. Quando questo accade, vedo cambiare il loro
corpo e il loro cervello, prima dell’ambiente in cui vivono (la vita
che conoscono) così, quando ritornano alla loro esistenza dopo il
seminario, non sono più vittime di condizionamenti inconsci che
provengono dal mondo esterno. Questo è l’ambito in cui si verifi-
cano cose straordinarie e miracolose.
Il mio obiettivo è dare ai miei studenti le giuste informazioni e of-
frire loro l’opportunità di personalizzare tutte le informazioni che
apprendono, affinché possano produrre una loro trasformazione
personale; perciò nel 2013 ho creato un nuovo tipo di evento. Ne
ho parlato nel Prologo. In questo nuovo seminario (tenuto per la
prima volta nel febbraio 2013 a Carefree, Arizona, e poi a luglio
a Englewood, Colorado), ho voluto misurare la trasformazione in
tempo reale, nel momento stesso in cui si verificava.
La mia intenzione era di utilizzare questi dati come informazioni
aggiuntive da dare ai partecipanti per spiegare la trasformazione
che avevano appena sperimentato. E con quelle informazioni, pote-
vano provare un’altra trasformazione, a sua volta misurabile, e così
di seguito fino a colmare il divario tra conoscenza ed esperienza.
Chiamo questi seminari “Dall’informazione alla trasformazione”.
È questa la mia passione.

270
MISURARE IL CAMBIAMENTO
Quando ho cominciato questo viaggio, ho conosciuto uno scien-
ziato brillante e pieno di talento, il dottor Jeffrey Fannin, che mi ha
aiutato a misurare quello che accadeva nel cervello dei miei studen-
ti. Il dottor Fannin, fondatore e direttore del Center for Cognitive
Enhancement [Centro per lo sviluppo cognitivo] di Glendale, Ari-
zona, lavora nel campo della neuroscienza da più di quindici anni
e ha una vasta esperienza nell’allenare il cervello per ottimizzarne le
prestazioni. È specializzato nello studio di traumi alla testa, ictus,
dolore cronico, deficit di attenzione (ADD), sindrome da deficit
di attenzione e iperattività (ADHD), disturbi d’ansia, depressione
ed elaborazione dei traumi, e si occupa anche di forme di training
per migliorare le prestazioni, che includono la mappatura cerebrale
per gli sportivi, lo sviluppo delle capacità di leadership attraverso il
trascinamento delle onde cerebrali, il miglioramento delle funzioni
cerebrali, il potenziamento della capacità mentale ed emotiva e la
trasformazione personale.
Nel corso degli anni ha condotto ricerche all’avanguardia usando lo
strumento dell’elettroencefalogramma (EEG), che misura l’attività
elettrica dei neuroni, per valutare con precisione quanto è equili-
brata l’energia delle onde cerebrali di una persona, una misurazio-
ne che egli definisce stato di integrità cerebrale del soggetto. La sua
ricerca si concentra sugli schemi subconsci delle convinzioni e sulla
fusione tra prestazione cerebrale equilibrata e successo personale.
Il dottor Fannin è anche membro di un gruppo di ricerca della
Arizona State University che studia la neuroscienza e la leadership
usando i dati raccolti dall’Accademia militare degli Stati Uniti, con
sede a West Point. Questa ricerca gli ha permesso di sviluppare,
insieme al gruppo di colleghi, un corso che non ha eguali, chiamato
“La neuroscienza della leadership”. Ha anche lavorato per diversi
anni alla facoltà della Walden University vicino a Phoenix, inse-
gnando neuroscienza cognitiva in master e dottorati.
Ho invitato il dottor Fannin e la sua squadra a entrambe le edi-
zioni del mio nuovo seminario, dove abbiamo misurato specifiche
caratteristiche cerebrali ed elementi come la coerenza e l’incoerenza

271
(l’ordine o il disordine delle onde cerebrali, di cui leggerai ancora
nel prossimo capitolo), l’ampiezza (l’energia delle onde cerebrali),
l’organizzazione fasica (il grado in cui le diverse parti del cervello
lavorano insieme in armonia), il tempo relativo che una persona
impiega a entrare in uno stato di meditazione profonda (quanto
ci mette a mutare le onde cerebrali e a spostarsi in uno stato più
suggestionabile), il rapporto theta/alfa (il grado in cui il cervello
funziona in modo olistico e come comunicano tra loro i diversi
comparti cerebrali da una regione all’altra: la parte anteriore con
quella posteriore, e la parte sinistra con la destra), il rapporto delta/
theta (la capacità di regolare e controllare il rumore mentale e i
pensieri intrusivi) e la sostenibilità (la capacità di mantenere nel
tempo uno stato di meditazione costante).
Abbiamo creato quattro postazioni dotate di macchinari per l’EEG
al fine di monitorare i partecipanti prima e dopo il seminario, in
modo da osservare come si erano modificati gli schemi delle onde
cerebrali. Abbiamo esaminato più di cento persone durante en-
trambi gli eventi. Ho selezionato a caso quattro partecipanti per
misurare i loro valori in tempo reale in ciascuna delle tre sessioni
di meditazione che abbiamo svolto ogni giorno. Nel complesso,
nei due seminari del 2013 abbiamo effettuato un totale di quattro-
centodue EEG. È una procedura sicura e non invasiva che effettua
misurazioni in venti punti all’esterno della testa. Questi dati hanno
fornito una grande quantità di preziose informazioni sulle reali ca-
pacità del cervello.
I dati sono stati convertiti in EEG quantitativi (QEEG), un’analisi
statistica e matematica dell’attività registrata dall’EEG in forma di
grafico che rappresenta una mappa cerebrale. Il grafico ha gradazio-
ni di colore che indicano il rapporto tra l’attività registrata dall’EEG
e la normale attività di riferimento. I vari schemi e colori raffigurati
in base alle diverse frequenze hanno offerto ulteriori informazioni
sull’influenza delle onde cerebrali su pensieri, sensazioni, emozioni
e comportamenti di una persona.
Per i principianti, i dati hanno dimostrato che il 91 per cento dei
soggetti sottoposti a EEG presentava una funzionalità cerebrale di
gran lunga migliore: alla fine delle meditazioni trasformative, la

272
maggioranza dei nostri studenti è passata a uno stato più coerente.
Inoltre, più dell’82 per cento delle mappe cerebrali registrate in en-
trambi gli eventi mostra che i partecipanti agivano all’interno della
normale gamma salutare di attività cerebrale.
Ho imparato che quando il tuo cervello funziona bene, funzioni
bene anche tu. Quando il tuo cervello è più coerente, lo sei anche
tu. Quando il tuo cervello è più integro ed equilibrato, lo sei anche
tu. Se sei in grado di regolare i pensieri negativi e intrusivi ogni
giorno, sei meno negativo e intrusivo anche tu. Ed è proprio questo
che abbiamo riscontrato nei nostri studenti.
Il tempo medio nazionale per entrare in uno stato meditativo e
mantenerlo è poco più di un minuto e mezzo. È il tempo che la
maggior parte delle persone impiega per cambiare onde cerebrali
ed entrare in uno stato di meditazione. In base ai quattrocentodue
casi esaminati, il tempo medio dei nostri studenti per entrare in
uno stato meditativo e mantenerlo è di soli cinquantanove secondi:
meno di un minuto. Alcuni di essi sono riusciti a cambiare le onde
cerebrali (e il loro modo d’essere) in quattro, cinque e nove secondi.
Qui la competizione non c’entra, che anzi vanificherebbe il nostro
scopo. Ma questi dati illustrano due punti fondamentali. Primo:
oltrepassare la mente analitica delle onde beta ed entrare in uno
stato più suggestionabile è una capacità che si acquisisce con la pra-
tica. Secondo: gli studenti riescono con relativa facilità ad applicare
i metodi che io e i miei colleghi insegniamo per bypassare il cervello
pensante ed entrare nel sistema operativo del subconscio.
È interessante sottolineare che le nostre ricerche mostrano mo-
delli ricorrenti nel funzionamento olistico del cervello dei no-
stri allievi. Notiamo una significativa alternanza di schemi alfa/
theta (come comunicano tra loro i diversi comparti del cervello)
nel lobo frontale di una persona in meditazione. Ciò significa
che i due emisferi cerebrali comunicano in modo più equilibrato
e unitario. Gli schemi dualistici del lobo frontale, che abbiamo
osservato più volte, sembrano produrre l’esperienza di una più
intensa gratitudine, che appare di continuo in forma ritmica e
sinuosa. Questo dato suggerisce che, quando gli studenti sono in

273
un elevato stato di riconoscenza durante le prove mentali, la loro
esperienza è così reale che credono che gli eventi stiano accaden-
do davvero in quel momento, o che siano già avvenuti. Sono grati
perché è quella l’emozione che tutti noi sentiamo quando ciò che
desideriamo diventa realtà.
I meditatori esperti mostrano anche un aumento del rapporto tra
le onde theta e quelle alfa a bassa frequenza, il che significa che
possono restare in stati alterati per periodi abbastanza lunghi. Parti-
colarmente significativo è l’incremento nella regolazione delle onde
lente; gli studenti più esperti, quando sono in uno stato theta, han-
no una coerenza (o un ordine) superiore alla norma tra l’attività
nella parte frontale del cervello e quella delle regioni posteriori.
Notiamo che la regione anteriore sinistra, associata alle emozioni
positive, si attiva ripetutamente, il che rivela l’induzione di uno
stato di beatitudine meditativo.
In altre parole, quando questi studenti entrano in meditazione,
producono onde cerebrali più coerenti che suggeriscono uno stato
di rilassatezza più profonda e una maggiore consapevolezza. Inol-
tre, l’unificazione tra la parte anteriore e posteriore del cervello, e
tra emisfero destro e sinistro, indica che si sentono più felici e più
integri.

HO UN’ILLUMINAZIONE
Al primo dei due eventi, mentre osservavo un’allieva sottoposta alla
mappatura cerebrale durante una seduta di meditazione, ho capi-
to una cosa molto interessante. Analizzando il comportamento del
cervello così come veniva rilevato dalla scansione in tempo reale,
mi accorsi di quanto lei si stesse sforzando, e conseguentemente di
come il suo cervello si stesse allontanando sempre più dal normale
equilibrio e dagli stati meditativi più profondi delle onde alfa e
theta. Mi resi conto che stava analizzando e giudicando se stessa e
la sua vita con l’emozione di quel momento, evidenziata dalle onde
più alte e incoerenti, associate a uno stato beta ad alta frequenza
(che indicava alti livelli di stress, ansia, agitazione, senso di emer-
genza e squilibrio generale).

274
Capii che stava cercando inutilmente di usare il cervello per cam-
biare il cervello, e la cosa non poteva funzionare. Sapevo anche che
stava usando l’ego per cambiare l’ego, e anche quello non andava
bene. Usando un programma per cambiarne un altro, non faceva
altro che consolidarlo, anziché sovrascriverlo. Mentre cercava di
cambiare il subconscio, era ancora nella sua mente conscia, per-
ciò si teneva lontana dal sistema operativo in cui risiedono i veri
cambiamenti. Quando il rilevamento fu ultimato, mi avvicinai per
parlare con lei, e dopo qualche minuto ammise di aver avuto delle
difficoltà. In quel momento mi si è accesa una lampadina e ho ca-
pito cosa avrei dovuto aggiungere ai miei insegnamenti.
La mia allieva doveva diventare più distaccata e trascendere il pro-
prio corpo per cambiare il corpo, superare l’ego per cambiare l’ego,
andare oltre il programma per cambiare il programma, trascendere
la mente coscia per cambiare l’inconscio. Doveva diventare l’igno-
to per creare l’ignoto. Doveva diventare un nuovo pensiero imma-
teriale nel nulla immateriale per creare un’esperienza materiale.
Doveva trascendere lo spazio e il tempo per cambiare lo spazio e
il tempo.
Doveva diventare pura consapevolezza, superare le associazioni con
un’identità legata al suo ambiente noto (la casa, il lavoro, il marito,
i figli, i problemi), trascendere il corpo (il viso, il genere, l’età, il
peso, l’aspetto fisico) e andare oltre il tempo (l’abitudine prevedibi-
le di vivere nel passato o nel futuro, perdendo sempre il momento
presente). Doveva trascendere il suo io attuale per crearne uno nuo-
vo. Bisognava che uscisse dalla sua solita modalità per permettere a
qualcosa più grande di lei di prendere il sopravvento.
Quando siamo materia che cerca di cambiare la materia, il processo
non funziona. Quando siamo la particella che cerca di cambiare
la particella, non accade nulla, perché vibriamo alla stessa velocità
della materia, dunque non possiamo influenzarla in misura signifi-
cativa. Solo quando siamo consapevolezza possiamo alterare il cer-
vello, il corpo e la vita e con il tempo creare un nuovo futuro.
È la consapevolezza a dare forma a tutte le cose e a usare il cervello
e il corpo per produrre diversi livelli mentali, perciò quando arri-

275
vi nel luogo in cui sei pura consapevolezza, sei libero. Per questo
motivo, ho cominciato a lasciare che gli studenti restassero in me-
ditazione per periodi prolungati e che diventassero nessuno, nessun
corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo fino a sentirsi
a proprio agio nell’infinito campo delle possibilità.
Volevo che la loro consapevolezza soggettiva si fondesse con quella
oggettiva del campo per periodi prolungati. Dovevano trovare il
punto migliore del presente e investire la loro energia in un vuoto
(che in verità non è spazio vuoto, bensì è pieno di innumerevoli
possibilità), fino a sentirsi a proprio agio nell’ignoto. Solo quan-
do fossero stati veramente presenti in questo luogo potente oltre
lo spazio e il tempo – da cui provengono tutte le cose materiali
– avrebbero potuto cominciare a creare. È stato allora che hanno
iniziato a verificarsi dei veri cambiamenti durante i seminari.

UNA BREVE PANORAMICA SULLE SCANSIONI UTILIZZATE


Vorrei descriverti brevemente due tipi di scansioni cerebrali co-
sicché tu possa vedere e comprendere i cambiamenti che tra poco
ti mostrerò. Mettiamola nel modo più semplice. Il primo tipo di
scansione che abbiamo utilizzato misura i gradi di attività tra le
diverse aree cerebrali (vedi la Figura 10.2, che trovi nell’inserto a
colori insieme alle altre illustrazioni di questo capitolo). Le scan-
sioni mappano due tipi di attività. La iperattività (o iperregola-
zione) è raffigurata da linee rosse che connettono diverse aree del
cervello. Immagina le linee telefoniche che collegano un posto
all’altro per stabilire una comunicazione tra quelle zone. Un’ec-
cessiva quantità di linee rosse che si manifestano contemporane-
amente indica che all’interno del cervello è in corso un’attività
eccessiva. L’ipoattività (mancanza di regolazione) è raffigurata da
linee blu che indicano che tra le diverse aree celebrali la comuni-
cazione è limitata.
Lo spessore delle linee rappresenta la deviazione standard, ovvero
quanta disregolazione (o regolazione anomala) esiste tra due luo-
ghi collegati dalla linea. Per esempio, le linee rosse sottili indicano
che il livello di attività tra quei due luoghi ha una deviazione
standard (DS) di 1,96 al di sopra della norma. Le linee blu sottili
276
indicano che il livello di attività tra quei due luoghi ha una devia-
zione standard di 1,96 al di sotto della norma. La linea di medio
spessore indica 2,58 DS al di sopra (rossa) o al di sotto (blu) della
norma. E la linea spessa indica 3,09 DS al di sopra (rossa) o al
di sotto (blu) della norma. Perciò, quando vedi molte linee rosse
in una scansione, significa che nel cervello c’è eccessiva attività.
Quando vedi molte linee blu, significa che c’è poca comunicazio-
ne tra le diverse aree del cervello e che quindi è ipoattivo. Pensala
in questi termini: quanto più spessa è la linea rossa, tanto maggio-
re è il volume dei dati che il cervello sta elaborando; quanto più
spessa è la linea azzurra, tanto minore è il volume dei dati che il
cervello sta elaborando.
Il secondo tipo di scansione che abbiamo utilizzato deriva dalle
analisi QEEG e si chiama calcolo dei punti zeta. Il punto Z è una
misura statistica che ci dice non solo se un punteggio è sopra o sot-
to la media, ma anche quanto è lontano dalla norma il risultato del-
la misurazione. La scala di questo calcolo va da – 3 a + 3 DS. Il blu
più scuro indica 3 o più DS sotto la norma, mentre l’azzurro va da
2,5 a 1 sotto la norma. Il verde-azzurro è tra 0 e 1 DS sotto la nor-
ma, mentre il verde è la norma assunta come linea di riferimento. Il
verde chiaro registra l’area esterna alla norma, ma è considerato da
0 a 1 DS sopra la norma, mentre il giallo e l’arancione chiaro sono
tra 1 e 2 DS sopra la norma, l’arancione più scuro è tra 2 e 2,5 DS
sopra la norma e infine il rosso è 3 o più DS sopra la norma. (Vedi
la Figura 10.3)
Il calcolo del punto Z si definisce energia relativa e mostra infor-
mazioni sulla quantità di energia nel cervello a diverse frequenze.
Siccome il verde, come abbiamo spiegato, indica la norma, più è
presente nella scansione, più la persona si conforma a una normale
attività delle onde cerebrali. Ogni cerchio colorato (che rappresenta
la testa di una persona vista dall’alto) indica l’attività cerebrale a
ciascuna frequenza d’onda. Il cerchio nella regione in alto a sinistra
mostra le frequenze d’onda più basse (gli stati delta), mentre quelli
successivi mostrano frequenze d’onda sempre più alte, muovendosi
progressivamente fino agli stati beta (frequenza più alta) nella re-
gione in basso a destra. L’attività in beta si può scomporre in diver-

277
se gamme di frequenza, come da 12 a 15 Hz, da 15 a 18 Hz, da 18
a 25 Hz e da 25 a 30 Hz.
Perciò, la prevalenza relativa dei colori in ogni area mostra cosa sta
accadendo in ogni stato d’onda. Per esempio, molto blu in uno
stato delta a 1 ciclo al secondo suggerisce che c’è una scarsa attività
nel range delle delta; se c’è molto rosso nel lobo frontale in alfa a 14
Hz significa che c’è un’elevata attività alfa in quell’area del cervello.
Bisogna anche comprendere che queste misurazioni possono essere
interpretate in modo diverso tenendo presente cosa sta facendo il
soggetto quando è sottoposto a scansione. Per esempio, se le delta a
1 Hz fossero colorate di blu, vorrebbe dire che l’energia del cervello
a quella frequenza è 3 DS sotto la norma. In senso clinico, si po-
trebbe interpretare come un’ipoattività anomala. Siccome nel caso
specifico la scansione è effettuata durante la meditazione, in realtà
suggerisce che le delta a 1 Hz hanno aperto la porta a una più forte
connessione con la consapevolezza collettiva del campo energetico.
In altre parole, quando l’energia della neocorteccia è smorzata, il
sistema nervoso autonomo è più facilmente accessibile. Tra un at-
timo vedrai diversi esempi che ti renderanno tutto più chiaro. Nel
frattempo, dai un’altra occhiata alla Figura 10.3. Essa offre un’illu-
strazione generale dei concetti che ho appena spiegato.

COERENZA E INCOERENZA
La scansione prima della meditazione rappresenta un cervello in
cui c’è molto rumore. Esso sta funzionando a un alto livello di
stimolazione (beta ad alta frequenza) ed è molto incoerente. Lo
spessore della linea rossa mostra che questo cervello è 3 DS sopra la
norma (perché più è spessa la linea rossa, più il cervello è iperattivo
e su di giri). Osservando le linee rosse, si nota un eccesso di attività
incoerente in tutto il cervello. La linea azzurra nella parte anteriore
rappresenta una ipoattività (tra 2 e 3 DS sotto la norma) nei lobi
frontali, che risultano chiusi o spenti e perciò non frenano l’iperat-
tività nel resto del cervello.
Questo è un cervello con problemi di attenzione; è così carico che
non ha un leader che governa quella confusione. È come una TV

278
satellitare con cinquanta canali a volume altissimo, dove i canali
cambiano ogni secondo. Tra un processo di pensiero e l’altro acca-
dono molti spostamenti bruschi, perciò il cervello è troppo vigile,
stimolato, sovraccarico di lavoro e iperregolato. Questo schema ce-
rebrale è definito incoerente perché le diverse parti del cervello non
cooperano tra loro.
Invece, non c’è bisogno di aver studiato neuroscienze per notare la
differenza tra la seconda scansione dopo la meditazione e la prece-
dente. Qui non mancano quasi del tutto le linee rosse o blu, a di-
mostrazione che l’attività cerebrale è nella norma, con pochissima
iperattività o pochissima ipoattività. La confusione si è placata e il
cervello lavora in modo più olistico: è in equilibrio. Possiamo dire
che questo schema cerebrale è più coerente. (Il residuo di attività
in blu e rosso rappresenta un’attività sensoriale e motoria: proba-
bilmente la persona ha contrazioni molto rapide o sta muovendo
velocemente le palpebre come nello stato REM, tipico del sonno
leggero.) Questo cambiamento si è verificato in un mio allievo
dopo una sola meditazione.
Ora analizziamo i casi di altri partecipanti. Per ognuno ti darò
qualche notizia sulla situazione precedente, così potrai capire in
quale modo d’essere si trovavano prima di iniziare il seminario; poi
ti spiegherò cos’hanno mostrato le scansioni e infine ti descriverò il
nuovo modo d’essere che ogni allievo ha creato.

GUARIRE DAL PARKINSON SENZA UN PLACEBO


E SENZA FARMACI
Il vecchio io di Michelle. Michelle ha superato i sessant’anni e nel
2011, dopo aver notato un tremore involontario e progressivo al
braccio, alla mano e al piede sinistri, le fu diagnosticato il morbo di
Parkinson. Il medico curante le disse che forse aveva questa malat-
tia già da dieci o quindici anni e che avrebbe dovuto convivere con i
sintomi. Il suo obiettivo era limitarne il peggioramento con l’avan-
zare dell’età. Cominciò a prendere l’Azilect (rasagilina mesilato),
un farmaco che ferma l’assorbimento della dopamina al livello dei
siti recettoriali, rallentando la degenerazione del corpo. Questa te-
rapia però non produsse grandi cambiamenti.
279
Michelle divenne mia allieva nel novembre 2012. Il mese di di-
cembre fu straordinario. La sua meditazione quotidiana le portò
un senso di pace e di gioia, e i sintomi si ridussero in misura so-
stanziale. Michelle era certa che questo processo potesse aiutarla a
superare il Parkinson.
Continuò a svolgere splendide sessioni di meditazione fino ai pri-
mi di febbraio del 2013. Ma alla metà di febbraio sua madre fu
ricoverata in terapia intensiva a Sarasota, Florida, così Michelle
andò da lei. Il giorno in cui prese l’aereo per tornare in Arizona
e frequentare il nostro seminario di febbraio, sua madre fu messa
in una casa di riposo. Michelle atterrò a Phoenix solo un’ora e
mezza prima di sottoporsi alla scansione cerebrale preliminare. Va
da sé che era fisicamente ed emotivamente esausta al momento
dell’esame, che infatti rilevò l’altissimo livello di stress che stava
sperimentando.
Alla fine del seminario, era in un modo d’essere più calmo e po-
sitivo, e i sintomi del Parkinson si notavano a stento. Dopo il
corso tornò in Florida per stare accanto alla madre. Aveva sempre
avuto un rapporto difficile con lei ma, grazie ai progressi ottenuti
con il seminario, Michelle si sentiva abbastanza forte da offrirle
supporto e amore, e ormai era totalmente libera da tutti i vecchi
problemi che potevano aver interferito con l’amore che provava
per sua madre.
Tuttavia, tra la malattia della madre, che morì poco dopo, e l’ic-
tus di sua sorella in Texas, Michelle fu costretta ad andare avanti
e indietro dalla Florida al Texas per gestire le difficoltà familiari. Il
suo programma quotidiano ne risentì e a giugno Michelle smise
di meditare. La vita era andata in quel modo e lei aveva troppe
responsabilità. Smettere di meditare significava smettere di pren-
dere il placebo. Quando notò la ricomparsa dei sintomi, riprese la
meditazione e fece notevoli progressi.
Le scansioni di Michelle. Michelle abita vicino alla clinica del dottor
Fannin in Arizona, perciò riuscimmo a registrare i suoi progressi
per più di cinque mesi, facendo una serie di sei scansioni cerebrali
periodiche. Vediamo l’evoluzione avvenuta in quel periodo.

280
Osserva l’immagine “prima della meditazione” della Figura 10.5.
La scansione effettuata nel febbraio 2013, quando Michelle tornò
dalla Florida stressata ed esausta per la malattia della madre, le spes-
se linee rosse indicano che il suo cervello è 3 DS sopra la norma in
tutte le aree. Ci sono segni evidenti di iperattività, iperincoerenza
e iperregolazione. In chi soffre di Parkinson è piuttosto comune.
La carenza di neurotrasmettitori adeguati (nella fattispecie la dopa-
mina) induce i neuroni ad adottare un sistema di comunicazione
frammentario tra le aree cerebrali, e le reti neurali si attivano in
modo incontrollato. La conseguenza è una stimolazione neurale
di tipo spastico o iperattivo, che influisce sul cervello e sul corpo.
Perciò le funzioni motorie involontarie interferiscono con i movi-
menti normali.
Nell’immagine dopo la meditazione, che rappresenta il cervello
di Michelle dopo quattro giorni di lavoro per cambiare il suo
modo d’essere durante le meditazioni, lo stato è molto vicino alla
norma, con pochissima iperattività, iperincoerenza e iperregola-
zione. Alla fine di quell’evento, non aveva più tremori e spasmi
involontari né problemi motori, e la scansione cerebrale conferma
questo cambiamento.
Nei rilevamenti QEEG (vedi la Figura 10.6A, intitolata “prima
della meditazione), si nota che il cervello di Michelle non mostra
attività di onde alfa né beta. Il blu prevalente in quest’area indica
un’attività cerebrale raffreddata. Nei casi di Parkinson, di solito si-
gnifica una ridotta attività cognitiva, un apprendimento compro-
messo e un calo del coinvolgimento. Michelle non riesce a conso-
lidare nuove informazioni. Non è in grado di creare un’immagine
interna perché non produce onde alfa. Anche l’attività ridotta delle
onde beta mostra che ha difficoltà a mantenere livelli di attenzione
consapevole. Tutta l’energia del suo cervello è investita nella gestio-
ne di quell’iperincoerenza, perciò è come una lampadina che passa
da 50 a 10 watt. Il volume dell’energia è al minimo.
Se osservi l’immagine dopo la meditazione, essa mostra un cervello
migliorato e riequilibrato. Tutte quelle aree verdi in buona parte
delle sezioni indicate dalle frecce rappresentano un’attività cerebra-
le normale ed equilibrata. Il suo cervello ora può funzionare in alfa

281
e lei può entrare più facilmente nel mondo interiore, affrontare
meglio lo stress e accedere al sistema operativo subconscio per in-
fluenzare le funzioni autonome. Anche l’attività in beta è rientrata
nella norma (in verde), indicando che Michelle è più consapevole,
attenta e partecipe. L’attività cerebrale equilibrata ha attenuato in
misura sostanziale i problemi motori.
Le aree rosse cerchiate in fondo allo stato beta ad alta gamma in-
dicano ansia. È l’atteggiamento con cui Michelle sta lottando e su
cui sta lavorando da una prospettiva interna. Tra l’altro, l’ansia è
il fattore che ha amplificato i sintomi del Parkinson in passato.
Quando si attenua, anche i sintomi del Parkinson diminuiscono.
Per lei i tremori ora rappresentano il momento in cui è lontana dal
suo equilibrio nella vita. Quando regola i suoi stati interni, produce
cambiamenti nella realtà esterna.
Tre mesi dopo, Michelle tornò di nuovo a fare la scansione dal
dottor Fannin. La scansione del 9 maggio 2013, rappresentata
nella Figura 10.6B, mostra ulteriori miglioramenti, che coinci-
dono con quanto riferito da Michelle. Nonostante i vari fatto-
ri di stress della sua vita, sta ancora migliorando. Medita ogni
giorno (è come se prendesse il suo placebo quotidiano), perciò
cambia continuamente il suo corpo e il suo cervello, affinché pos-
sano trascendere le condizioni ambientali. Rispetto alla scansione
precedente, questa mostra la diminuzione di un’altra deviazione
standard nella parte inferiore del grafico. Puoi notare che la sua
ansia sta migliorando e di conseguenza anche le sue condizioni
di salute. Meno ansia significa meno tremori. Michelle mantiene
e memorizza quel modo d’essere per un periodo prolungato, e il
suo cervello attesta che sta cambiando.
Se osservi la scansione del 3 giugno 2013 nella Figura 10.6C, noti
una lieve regressione, anche se Michelle continua a stare meglio
rispetto a quando ha cominciato. La scansione mostra cosa è suc-
cesso quando ha smesso di meditare (quindi ha smesso di prendere
il placebo): il suo cervello è regredito leggermente alla condizione
nota. Lo onde cerebrali indicate dalla freccia in prossimità dell’area
blu dei 13 Hz indicano che Michelle è ipoattiva nell’area sensoriale
e motoria e perciò le è più difficile controllare i tremori involontari.

282
In questo schema d’onda, Michelle ha meno energia per controllare
il suo corpo. Puoi anche vedere le aree rosse cerchiate nella parte
inferiore che tornano allo stato beta ad alta gamma, legato all’ansia.
Prima di effettuare la scansione del 27 giugno 2013 rappresentata
nella Figura 10.6D, Michelle aveva ripreso a meditare dall’inizio
del mese, e infatti è riscontrabile un miglioramento significativo.
L’ansia generale è diminuita, come indica il rosso nell’ultima fila
al livello dei 17-20 Hz. Ora confronta questa scansione con quella
successiva effettuata il 13 luglio 2013 dopo il nostro seminario,
osservando la Figura 10.6E. Il rosso è ulteriormente diminuito, e il
blu che era apparso nella prima scansione di Febbraio in corrispon-
denza dello stato alfa (che indicava ipoattività) è completamente
sparito. Michelle continua a migliorare e i suoi cambiamenti sono
sempre più costanti.
Il nuovo io di Michelle. Oggi Michelle non ha quasi nessun movi-
mento involontario associato al Parkinson. Solo a volte, quando è
stressata o molto stanca, si ripresentano piccoli spasmi, ma per la
maggior parte del tempo la sua funzionalità è normale. Quando è
equilibrata e gioiosa, grazie alle meditazioni che svolge ogni giorno,
il suo cervello funziona al meglio, e lei fa altrettanto. Dalle nostre
scansioni e da quanto riferisce, si evince che non si è semplicemen-
te stabilizzata: continua a migliorare. Continua a meditare perché
capisce che deve prendere il placebo ogni giorno.

MODIFICARE UNA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO


E AL MIDOLLO SPINALE SOLO CON IL PENSIERO
Il vecchio io di John. Nel novembre 2006, John si ruppe il collo,
riportando fratture alla settima vertebra cervicale e alla prima ver-
tebra toracica: era a bordo di un’auto che sfuggì al controllo del
guidatore e iniziò a rotolare ad alta velocità. L’impatto gli causò
anche un grave trauma cerebrale. I medici erano certi della pro-
gnosi. Sarebbe rimasto tetraplegico per il resto della sua vita. Non
avrebbe più camminato e avrebbe avuto una funzionalità estrema-
mente ridotta delle braccia e delle mani. Le vertebre erano dislocate
al cento per cento, causando una lesione al midollo spinale. Due
giorni dopo l’intervento chirurgico, il neurologo disse alla moglie
283
di John che in qualche modo il midollo spinale era “intatto”, ma
quel tipo di infortunio poteva avere le stesse conseguenze di una
lesione trasversale completa. Come avviene in tutti i casi del genere,
bisognava solo attendere il decorso.
Quando sei intrappolato in una realtà che ti costringe a vivere gior-
no per giorno in un reparto di terapia intensiva, e poi in un centro
di riabilitazione, è molto difficile non lasciarsi prendere dal pensie-
ro convenzionale. Quando John e i suoi familiari chiesero notizie
sulle probabilità di guarigione, i medici dissero che, considerando
la lesione e la mancanza di segnali che indicassero un ritorno alla
normale funzionalità, a quel punto bisognava accettare l’inevita-
bile. John sarebbe rimasto disabile per tutta la vita. I suoi medici
continuarono a battere il chiodo su questo messaggio, ritenuto ne-
cessario perché il paziente potesse “andare avanti”. Ma John e sua
moglie non vollero accettarlo.
Incontrai John nel 2009, quando era sulla sedia a rotelle, e conobbi
anche sua moglie, la sua famiglia e una straordinaria fisioterapista
che capiva i processi della neuroplasticità. Erano e sono tuttora al-
cune delle persone più energiche e ottimiste che abbia mai cono-
sciuto, e tutti insieme abbiamo cominciato il nostro viaggio.
Le scansioni di John. Osserva la scansione di John “prima della me-
ditazione” nella Figura 10.7. La prima immagine mostra una visto-
sa ipoattività. È più di 3 DS sotto la norma. La misurazione della
coerenza, con quelle linee blu così spesse, è all’opposto di quella
effettuata su Michelle e sui sintomi legati al Parkinson, che mostra-
va linee spesse di colore rosso. Questa scansione rivela una ridotta
capacità di funzionamento sinergico tra le diverse aree cerebrali. Il
cervello qui è inattivo e non ha energia, quindi John ha una scar-
sa capacità di risposta prolungata a qualunque stimolo. Non può
mantenere l’attenzione e la sua consapevolezza è limitata. A causa
del grave trauma, il cervello è in uno stato di reattività estremamen-
te limitata e mostra un alto grado di incoerenza.
Ora osserva la scansione cerebrale effettuata dopo quattro giorni di
meditazione. Nella prima immagine in alto a sinistra, in onde delta
1 Hz, John ha altre attività indicate in rosso. In questo caso è un

284
buon segno, perché in delta si riscontra più coerenza in entrambi
gli emisferi. John comincia a mostrare un’elaborazione duale più
equilibrata. Il trauma cerebrale di solito è più visibile in delta e in
theta, pertanto l’iperattività in delta suggerisce che il suo cervello
si sta risvegliando. Le altre zone cerebrali in alfa e beta mostrano
un’attività più equilibrata e una migliore funzionalità cognitiva.
Ciò dimostra che John ha ottenuto un maggior controllo sul corpo
e sulla mente.
Ora osserva la Figura 10.8. Il colore blu presente dalla metà della
seconda fila a sinistra e che prosegue fino all’ultima fila mostra che
John non segnala ancora onde alfa o beta. Questo colore blu distri-
buito in tutte le sezioni delle onde alfa e beta in entrambi gli emi-
sferi suggerisce che è in stato vegetativo e opera con risorse limitate.
Il blu indica una capacità cognitiva ridotta e una limitata capacità
di controllare il corpo. La sua mente è assente.
Dopo quattro giorni di meditazione, il 90 per cento del suo cervel-
lo è tornato alla normalità, come mostra il colore verde nella scan-
sione di destra. Ha ancora un residuo di ipoattività nell’emisfero
sinistro, come indicano le frecce, il che rivela qualche problema con
le capacità verbali ed espressive, ma è comunque migliorato rispet-
to alla prima scansione. John continua a meditare e il suo cervello
mostra più energia, più equilibrio e più coerenza.
Ha recuperato la capacità di accedere alle vie neurali che prima
erano latenti. Il suo cervello si è svegliato, si è ricordato il modo di
funzionare e ora ha l’energia per lavorare meglio.
Il nuovo io di John. Alla fine del seminario tenuto nel febbraio del
2013, John si è alzato in piedi. Ha riconquistato il controllo dell’in-
testino e della vescica. Oggi riesce a stare in piedi con una postura
più normale e sostenuta. I movimenti sono più coordinati. La fre-
quenza, l’intensità e la durata dei tremori spastici sono diminuite in
misura considerevole. Si sottopone regolarmente a sedute di fisiote-
rapia con la sua terapista, B. Jill Runnion, (direttrice del Synapse–
Center for Neuro Re-Activation di Driggs, in Idaho), che studia
il mio lavoro e ha le capacità e l’apertura mentale per incoraggiare
John affinché impostare le giuste condizioni. I progressi sono tali

285
che nei piegamenti verticali John è passato da un angolo di dieci
gradi a uno di quarantacinque.
Ora riesce a sedersi e ad alzarsi in completa autonomia. Riesce
anche a svolgere un particolare esercizio che implica di far leva
sulle gambe e sui muscoli del busto per allontanare dal corpo la
slitta da allenamento (usata per la riabilitazione), opponendo re-
sistenza. John è passato dalla paralisi alla capacità di reggersi sulle
sue gambe, ora è pienamente padrone di sé e comincia a muovere
i primi passi.
Pochi mesi dopo il seminario, lasciò a bocca aperta i medici grazie
ai miglioramenti delle sue funzioni cognitive. I dottori non ave-
vano mai riscontrato simili progressi in un paziente con lesioni al
midollo spinale. È come se John si fosse svegliato, e le sue scansioni
mostrano che ora riesce ad accedere più facilmente al cervello e al
corpo. Tuttora presenta un maggiore controllo sulle aree dormienti
del cervello e del corpo.
La sua capacità di integrare e coordinare i movimenti è notevol-
mente migliorata, tanto che ora riesce a sedersi a tavola senza assi-
stenza e a tenere i piedi ben piantati a terra. Anche le sue capacità
manuali sono migliorate: riesce a tenere una penna in mano e a
scrivere il suo nome, a usare uno smartphone per inviare messaggi
di testo, ad afferrare il volante per guidare e a lavarsi i denti con un
normale spazzolino. I progressi cognitivi dimostrano una maggiore
fiducia in se stesso e una grande gioia interiore. Ha un grande senso
dell’umorismo ed è più lucido che mai.
Nell’estate del 2013, partecipò a un’escursione sul fiume restando
eretto sul gommone senza assistenza per sei ore, e poi andò in cam-
peggio dormendo in tenda. È riuscito a vivere nella natura selvaggia
dell’Idaho per sei giorni e sei notti, lontano dal mondo esterno. Un
anno prima non ce l’avrebbe fatta. Ogni volta che parlo con lui,
mi dice sempre la stessa cosa: “Dottor Joe, non ho idea di cosa stia
succedendo.”
Io gli do sempre la stessa risposta: “Nel momento in cui sai cosa sta
succedendo, tutto finisce. L’ignoto va oltre la nostra comprensione.
Accettalo.”

286
Vorrei fare un’ultima osservazione sul caso di John. Tutti sanno
che una lesione al midollo non guarisce con un tipico approccio
convenzionale. Sono sicuro che nel suo caso non è la materia a
cambiare la materia. Non sono le sostanze chimiche o le molecole
a modificare il suo midollo lesionato. Da una prospettiva quanti-
stica, per alterare le particelle della materia bisogna essere in una
frequenza coerente di energia elevata, che trascini la materia verso
una mente nuova. Bisogna mostrare un’energia elevata o uno stato
d’onda che vibri a una frequenza più veloce di quella della materia,
associandovi un’intenzione chiara. Perciò è l’energia, l’epifenomeno
della materia, che sta riscrivendo il programma genetico e la guari-
gione del suo midollo spinale.

SUPERARE LA MENTE ANALITICA E TROVARE LA GIOIA


Il vecchio io di Kathy. Kathy è amministratrice delegata di una gran-
de azienda, è giurista, moglie e madre devota. È stata educata a
essere molto analitica e razionale. Usa il cervello ogni giorno per
prevedere esiti e prepararsi a ogni possibile scenario in base alla sua
esperienza. Prima di conoscere il mio lavoro, non aveva mai medi-
tato. Ha acquisito subito consapevolezza di quanto fosse eccessiva
la sua tendenza ad analizzare tutto nella vita. Aveva sempre in testa
una lunga lista di cose da fare tutti i giorni e il suo cervello, per
usare le sue stesse parole, non si spegneva mai. Con il senno di poi,
ora confessa che non era mai nel momento presente.
Le scansioni di Kathy: Osserva la scansione di Kathy “prima della
meditazione” nella Figura 10.9. Le misurazioni dei rapporti delta/
beta rappresentano la sua capacità di mantenere la lucidità e la con-
centrazione per elaborare e gestire pensieri estranei e intrusivi. La
prima freccia nella parte posteriore del cervello a destra, dove si tro-
va l’area rossa più grande, mostra che Kathy continua a visualizzare
immagini mentali. La seconda freccia, vicino all’area più piccola a
sinistra, indica che dentro di sé Kathy “parla” di quelle immagini.
Le visioni e il rumore costante del brusio mentale fanno andare il
suo cervello in cortocircuito.
Nella scansione effettuata “dopo la meditazione” al termine del
seminario, si vede chiaramente che il cervello di Kathy è più bilan-
287
ciato, più integro, più normale. Il brusio mentale è sparito perché
ora il cervello integra ed elabora le informazioni in modo più ef-
ficiente. È in uno stato di coerenza. Il cambiamento del suo stato
cerebrale è accompagnato da un incremento di gioia, chiarezza e
amore.
Ora guardiamo le misurazioni della sua coerenza nella Figura
10.10. All’inizio del seminario, il cervello di Kathy era in beta ad
alta frequenza, uno stato caratterizzato da eccessiva stimolazione
e analisi, come se fosse in modalità di emergenza. Le spesse linee
rosse in alfa e beta mostrano che è 3 DS sopra la norma. Il suo
cervello è iperattivo, squilibrato e altamente incoerente, e lei fatica
a controllare l’ansia.
Ora osserva la scansione effettuata “dopo la meditazione” al termi-
ne dell’evento di febbraio. Ormai dovresti riconoscere un cervello
più normale ed equilibrato, con meno onde beta ad alta frequenza
e minore incoerenza.
Kathy aveva ancora un po’ di lavoro da fare, così abbiamo avviato
un esperimento dopo il seminario. Visto che vive vicino a Phoenix,
si è recata presso la clinica del dottor Fannin, che le ha mostrato un
cervello sano, equilibrato e normale in una scansione QEEG (in
verde) e le ha indicato di focalizzare la sua attenzione su quell’im-
magine. Le ha suggerito di scegliere quell’esito potenziale per il
futuro immediato, quando entrava in un diverso modo d’essere du-
rante la meditazione quotidiana. Assegnando un significato mag-
giore al placebo, Kathy ha mantenuto un’intenzione più forte sui
benefici dell’esito.
L’esperimento ha funzionato. Se osservi la Figura 10.11, che mostra
la scansione dell’8 aprile 2013 – circa sei settimane dopo – vedi
un cervello normalizzato, senza traccia di ansia (in rosso). Guarda
poi la Figura 10.12. Ti sei accorto dei progressi intercorsi tra le
due scansioni? Le aree rosse rappresentano livelli d’ansia molto alti
(beta ad alta frequenza) e un’eccessiva tendenza ad analizzare tutto.
Le onde nelle frequenze più elevate (da 21 a 30 Hz) indicano ipe-
rattività: il suo cervello è affaticato. All’inizio di aprile, la scansio-
ne (rappresentata nella Figura 10.13) mostra un’attività cerebrale

288
equilibrata, coerente e molto più sincronizzata. Ora Kathy riferisce
di sentirsi una persona diversa.
Il nuovo io di Kathy. Kathy racconta di aver avuto numerosi cam-
biamenti positivi nella carriera, nella vita quotidiana e nelle rela-
zioni. Medita ogni giorno e, quando pensa di non avere tempo, fa
in modo di trovarlo. Capisce che l’atteggiamento che ha creato lo
squilibrio mentale e cerebrale è legato al tempo e alle condizioni
del suo ambiente esterno. Dice che le risposte alle sue domande
arrivano più facilmente e con meno fatica. Ascolta più spesso il
suo cuore e quando sta per entrare in stato di allerta, se ne accorge.
Raramente resta intrappolata in quei cortocircuiti e nota che si sta
comportando in modo più gentile e paziente. È più felice adesso e
la sua felicità arriva da dentro.

GUARIRE I FIBROMI CAMBIANDO L’ENERGIA


Il vecchio io di Bonnie. Nel 2010, Bonnie cominciò ad avere forti
dolori e perdite mestruali molto abbondanti durante il ciclo. Le
diagnosticarono un’eccessiva produzione di estrogeni e le consiglia-
rono di assumere ormoni bioidentici. A quarant’anni appena, le
sembrava che per il suo disturbo quella soluzione fosse eccessiva.
Si ricordò che sua madre le aveva detto di aver avuto gli stessi sinto-
mi alla sua età. Aveva preso gli ormoni, dopodiché si era ammalata
di cancro alla vescica ed era morta. Forse non c’era una connessione
specifica tra la terapia ormonale e il tumore, ma ciò che aveva cat-
turato l’attenzione di Bonnie era il fatto di aver sviluppato gli stessi
sintomi di sua madre. Non voleva che l’esito fosse lo stesso.
Il flusso mestruale cominciò a durare ancora più a lungo (a volte
anche due settimane) e Bonnie diventò anemica e letargica; inol-
tre ingrassò di circa dieci chili. Durante il ciclo perdeva in media
due litri di sangue al mese. Un’ecografia pelvica rivelò la presenza
di fibromi. Fece numerose analisi del sangue e scoprì di essere in
perimenopausa e di avere molto probabilmente una cisti ovarica.
Lo specialista che le consigliò la terapia le disse che i fibromi non
sarebbero guariti e che l’emorragia vaginale sarebbe continuata per
il resto della vita.

289
Durante il seminario di luglio del 2013 a Englewood, in Colorado,
scelsi a caso Bonnie per la mappatura cerebrale aggiuntiva. Era in
forte imbarazzo. Era al secondo giorno del ciclo e come al solito
doveva indossare un grosso assorbente per contenere la quantità
di sangue che perdeva in quel periodo. Dopo diverse meditazioni,
quando chiesi agli studenti di sdraiarsi, Bonnie temeva che il san-
gue colasse sul pavimento.
Per i forti dolori che accompagnavano il ciclo, faticava persino a
stare seduta. Ma era determinata a svolgere la pratica della medita-
zione ogni giorno per avere pace mentale. Durante la mappatura
della prima meditazione, Bonnie ebbe un’esperienza che non esito
a definire mistica. Sentì il suo cuore aprirsi ed espandersi. La testa
si piegò all’indietro e il suo respiro cambiò. Visualizzò un flusso
luminoso all’interno del suo corpo e sperimentò uno straordinario
senso di pace. Sentì queste parole: “Sono amata, benedetta e non
dimenticata”. Bonnie scoppiò in lacrime e la scansione mostrò che
era in uno stato di beatitudine.
Le scansioni di Bonnie. Osserva l’EEG di Bonnie nella Figura 10.14.
Abbiamo avuto la fortuna di registrare tutta l’esperienza in tempo
reale. Il primo grafico mostra una normale attività cerebrale. Tutto
è equilibrato e quieto. Se guardi le tre scansioni della Figura 10.15,
che registrano cosa è accaduto nelle diverse fasi della meditazione,
puoi vedere un’ampiezza e un’elevazione di energia nei lobi fron-
tali, a indicare che Bonnie sta elaborando molte informazioni ed
emozioni. È in uno stato di coscienza espanso e sperimenta dei
picchi a intervalli diversi. Gran parte della sua attività è in beta e ciò
significa che è entrata nel suo subconscio. L’esperienza interiore è
molto reale in quel momento. Bonnie è completamente focalizzata
sul pensiero che diventa l’esperienza. Il quoziente emotivo è rap-
presentato dalla quantità di energia (ampiezza) che il suo cervello
sta elaborando. Osserva la lunghezza verticale delle linee indicate
dalle frecce. Quell’energia è molto coerente. Bonnie è in un elevato
stato di consapevolezza.
Ora osserva la Figura 10.16. La scansione QEEG effettuata in tem-
po reale ha una freccia che indica onde delta a 1 Hz ed evidenzia
la connessione con il campo quantico (in blu). Bonnie ha anche

290
un’elevata energia in theta nel lobo frontale (in rosso) che combacia
perfettamente con l’attività riscontrata con l’EEG. Osserva il cer-
chio rosso che mette in risalto i lobi frontali e la freccia che indica
una veduta dall’alto subito sotto. L’immagine che vedi è un foto-
gramma del film che riprende l’attività cerebrale di Bonnie durante
tutta la meditazione. Siccome una delle funzioni del lobo frontale
è di rendere reali i pensieri, l’esperienza che sta vivendo in theta
con gli occhi chiusi è molto concreta per lei. Potremmo dire che
quell’esperienza interiore è come un sogno molto vivido e realisti-
co. La freccia rossa in alfa a 12 Hz, che isola l’area rossa al centro del
cervello, mostra il tentativo di Bonnie di dare senso all’esperienza
interiore e di elaborare ciò che sta vedendo con l’occhio della men-
te. Il resto del suo cervello è sano e bilanciato (in verde).
Il nuovo io di Bonnie. L’esperienza che ha vissuto quel giorno l’ha
cambiata davvero. L’ampiezza di energia collegata all’esperienza
interiore era maggiore di quella offerta da una qualunque situa-
zione derivante dall’ambiente esterno, perciò ha potuto rimuo-
vere biologicamente il passato. L’energia dei picchi sperimentati
durante la meditazione ha sovrascritto i programmi installati nel
cervello e il condizionamento emotivo del corpo; il suo corpo
ha risposto all’istante a una mente nuova, a una nuova consape-
volezza. Bonnie ha cambiato il proprio modo d’essere. In meno
di ventiquattr’ore, l’emorragia vaginale è cessata. Non aveva più
dolore e sapeva di essere guarita. Da allora, tutti i mesi ha un nor-
male ciclo mestruale. Dopo il seminario non ha più avuto flussi
sovrabbondanti e dolorosi.

RAGGIUNGERE L’ESTASI
Il vecchio io di Genevieve. Genevieve, artista e musicista, ha quaran-
tacinque anni, vive a Holland e viaggia molto per lavoro. Nell’e-
vento di febbraio, osservò la scansione in tempo reale che il dottor
Fannin le aveva fatto durante la sua meditazione. Entrambi co-
minciammo a notare vistosi cambiamenti di energia nel corso del
suo viaggio interiore. Sapevamo che stava per accadere qualcosa.
Dopo pochi istanti, quando ci voltammo a guardare Genevieve, la
vedemmo piangere di gioia. Era in estasi. Si trovava in uno stato

291
di totale beatitudine e il suo corpo rispondeva con prontezza. Non
avevamo mai visto nulla del genere.
Le scansioni di Genevieve. Se osservi la Figura 10.17 noti una scan-
sione relativamente normale, effettuata prima della meditazione.
Le aree verdi indicano una donna sana e appagata con un cervello
equilibrato. Le aree blu indicano un’attività sensoriale e motoria at-
tenuata in alfa a 13-14 Hz, probabilmente dovuta al jet-lag, perché
quel giorno Genevieve era appena arrivata dall’Europa. Se osservi il
suo cervello durante la meditazione, noti un miglioramento gene-
rale dell’equilibrio. Quel che accade dopo è a dir poco straordina-
rio. Quando l’abbiamo vista raggiungere questo picco alla fine della
meditazione, ci siamo resi conto, osservando la scansione, quanta
energia era presente nel suo cervello.
Ora osserva la Figura 10.18. L’attività segnata in rosso, che mostra
grandi quantità di energia in tutte le frequenze delle onde cerebrali,
indica che Genevieve è in uno stato profondamente modificato.
Chi guardasse la scansione senza sapere che stava meditando po-
trebbe scorgervi livelli estremi di ansia o psicosi. Ma la diretta in-
teressata riferì di aver sperimentato uno stato di pura estasi, perciò
sappiamo che tutto quel rosso rappresenta la grande quantità di
energia presente nel suo cervello. L’attività è 3 DS sopra la norma.
È l’energia, in forma di emozione immagazzinata nel corpo che
agisce da mente, che viene rilasciata e ritorna al cervello.
La Figura 10.19 mostra la scansione EEG e convalida questa inter-
pretazione. Le linee viola in prossimità della freccia denotano che
questa parte del cervello sta elaborando una quantità di energia
dieci volte superiore alla norma. L’area cerchiata in rosso ci dice
che l’esperienza è così emotivamente profonda che si sta immagaz-
zinando nella memoria a lungo termine. Allo stesso tempo, Gene-
vieve sta tentando di comprendere verbalmente e dare senso a ciò
che le sta accadendo in quel momento. Magari sta dicendo tra sé e
sé: “Oh mio Dio! È straordinario! Mi sento così bene! Cos’è questa
sensazione?”. La sua esperienza interiore è reale quanto qualunque
evento esterno, e lei non si sta sforzando di farla accadere: le è sem-
plicemente arrivata. Non sta visualizzando: sta sperimentando un
momento di profondità.

292
È interessante sottolineare che quando facemmo una nuova scan-
sione, a luglio in Colorado, Genevieve mostrava ancora gli stessi
cambiamenti energetici. In entrambi gli eventi, quando le passam-
mo il microfono, tutto ciò che riuscì a dire fu che era innamorata
della vita a tal punto che il suo cuore era completamente aperto e
lei si sentiva connessa con qualcosa di più grande. Si trovava in uno
stato di grazia e stava talmente bene da voler restare nel momento
presente. Se osservi la Figura 10.20, scoprirai che a luglio il suo
cervello mostrava ancora gli stessi schemi ed effetti di febbraio. L’e-
sperienza perdurava a distanza di mesi. La trasformazione personale
l’aveva profondamente cambiata.
Il nuovo io di Genevieve. Parlai con lei qualche mese dopo l’even-
to di luglio. Mi disse che non era più la stessa persona dell’inizio
dell’anno. Ora la sua mente è più profonda e lei è più presente e
creativa. Sente un amore sincero per tutte le cose e, soprattutto,
prova un tale appagamento da avere l’impressione di non aver biso-
gno di nulla. Si sente completa e integra.

LA BEATITUDINE: PORTARE LA MENTE FUORI DAL CORPO


Il vecchio io di Maria. Maria è una persona molto efficiente, con
una normale attività cerebrale. Nella prima meditazione della gior-
nata, una sessione di quarantacinque minuti, sperimentò in pochi
istanti un cambiamento significativo delle sue frequenze d’onda.
Le scansioni di Maria. Osserva la figura 10.21 e nota la differenza
tra le normali onde cerebrali di Maria e il suo stato di estasi. La
osservai mentre entrava in uno stato acuto di elevata energia, e sem-
brava che stesse avendo un orgasmo cerebrale. La scansione mostra
un cervello pienamente attivo che vive un’esperienza in cui la kun-
dalini è interamente risvegliata (la kundalini è energia latente im-
magazzinata nel corpo che, quando viene sollecitata, porta a elevati
stati di coscienza e di energia nel cervello). Se osservi la scansione,
puoi vedere che tutte le aree cerebrali sperimentavano un fortissimo
incremento di energia. Quando la kundalini si risveglia, può elevar-
si dalla base della colonna vertebrale e raggiungere la sommità del
cervello, dove produce una profonda esperienza mistica. Molti stu-
denti dei mie seminari hanno questi orgasmi cerebrali. Nella scan-
293
sione di Maria, tutte le aree sono invase da questa energia e le onde
mostrano un’ampiezza di tre/quattro volte superiore alla norma. Il
suo cervello è coerente e sincronizzato. Se osservi le scansioni, vedi
l’estasi che arriva a ondate, proprio come un orgasmo. Lei non fece
nessuno sforzo per raggiungerlo. Semplicemente le arrivò. Tutto il
suo cervello era coinvolto nell’evento interiore e, di conseguenza,
Maria fu pervasa da un’energia profonda.
Il nuovo io di Maria. Oggi Maria continua ad avere esperienze mi-
stiche come questa. Ogni volta riferisce di sentirsi più rilassata, lu-
cida, consapevole e appagata. Accoglie con gioia ogni momento
ignoto.

ADESSO TOCCA A TE
Questi pochi esempi (tra i molti che abbiamo documentato) prova-
no che è possibile insegnare l’effetto placebo. Ora che hai ricevuto
tutte queste informazioni, hai letto queste storie e hai avuto la pro-
va che ciò è possibile, tocca a te imparare il “metodo” per mettere
in atto la tua trasformazione personale. I due capitoli seguenti de-
lineano i passi che puoi compiere per cominciare il tuo processo di
meditazione. Vorrei che applicassi tutto il sapere che hai appreso
per raccogliere i frutti del tuo lavoro. Una volta che possiedi gli
strumenti necessari, sei pronto per attraversare il fiume del cambia-
mento. Spero di vederti sulla riva opposta.

294
Seconda Parte
TRASFORMAZIONE
CAPITOLO 11

P R E PA R A T I A L L A M E D I T A Z I O N E

Adesso che hai letto e assimilato tutte le informazioni della Parte


I, sei pronto per la trasformazione. In questo capitolo ti offrirò gli
strumenti necessari per prepararti a meditare così, quando passe-
rai al capitolo seguente, potrò accompagnarti nella sessione vera
e propria. Tutti gli allievi di cui ho parlato in questo libro hanno
modificato qualcosa di sé dopo aver fatto questo viaggio interiore
e aver cambiato il loro modo d’essere. Quindi considera la pratica
quotidiana della meditazione come un placebo da prendere tutti i
giorni. Ma invece di mandar giù una pillola, entrerai dentro di te.
Con l’andare del tempo, la meditazione ti farà lo stesso effetto della
fiducia che riponi in un farmaco.

SCEGLI UN MOMENTO
Sono due i momenti della giornata più proficui per la meditazio-
ne: subito prima di andare a letto la sera e subito dopo il risveglio
al mattino. Sono i più proficui perché, quando ti addormenti, at-
traversi naturalmente l’intero spettro delle frequenze d’onda, pas-
sando dallo stato beta quando sei vigile alle frequenze più lente
dello stato alfa quando chiudi gli occhi, poi alle frequenze ancor
più lente dello stato theta quando sei in dormiveglia fino allo sta-
to delta quando entri in un sonno profondo. Quando ti svegli al
mattino, ripercorri lo spettro in senso inverso, salendo dal delta al
theta, poi all’alfa e infine al beta, quando sei pienamente vigile e
cosciente.
Così, se mediti mentre stai per addormentarti o appena sveglio,
ti è più facile scivolare nelle onde alfa o theta; sei già pronto a
entrare in uno stato modificato di coscienza, perché è la direzione
verso la quale stai andando o da cui provieni. Possiamo dire che in
questi due momenti la porta del tuo subconscio è già aperta. Perso-
nalmente preferisco meditare al mattino, ma entrambi i momenti
sono validi. Scegli quello che funziona meglio per te e procedi con
296
costanza. Se riesci a farlo ogni giorno, la pratica diventerà una pia-
cevole consuetudine a cui non vedrai l’ora di dedicarti.

SCEGLI UN LUOGO
La considerazione più importante, quando scegli il luogo in cui
meditare, è ridurre al minimo le distrazioni. Siccome dovrai stac-
care la spina dal mondo fisico esterno, scegli un posto tranquillo in
cui puoi stare da solo senza essere interrotto (da altre persone o da
animali domestici), un luogo in cui tornare ogni giorno e da usare
regolarmente come zona consacrata alla meditazione.
Non ti consiglio di meditare a letto perché è un luogo che associ
al sonno. (Per lo stesso motivo, ti consiglio di non sdraiarti e di
non usare una poltrona reclinabile.) Scegli una sedia, una poltro-
na o un punto in cui sederti a terra in cui stare comodo per circa
un’ora, che sia lontano da correnti d’aria e in cui la temperatura
sia confortevole.
Se preferisci meditare con la musica, scegline una dolce, rilassante,
che faciliti la trance, che sia solo strumentale o salmodiata, senza
testo. (Una musica di sottofondo aiuta a coprire i rumori quando
l’ambiente non è completamente silenzioso.) Non mettere musica
che evoca ricordi associati a eventi passati o che possa in qualche
modo distrarti. Assicurati di aver spento il computer e il cellulare
se sono nella stessa stanza. E cerca di evitare l’aroma del caffè o gli
odori della cucina. Potresti anche usare una benda per gli occhi
o dei tappi per le orecchie per favorire la privazione sensoriale: il
tuo obiettivo nella preparazione è di eliminare il più possibile gli
stimoli esterni.

METTI IL CORPO A SUO AGIO


Indossa abiti comodi e morbidi, togli l’orologio e ogni gioiello
che possa distrarti. Togli anche gli occhiali, se li porti. Bevi un po’
d’acqua prima di sederti e tieni un bicchiere a portata di mano
in caso di necessità. Vai in bagno prima di cominciare e risolvi
tutti i bisogni del corpo in modo che non ti distraggano durante
la meditazione.

297
Una volta seduto, in poltrona o a terra con le gambe incrociate,
tieni la schiena in una postura eretta. Il corpo deve essere rilassato,
ma è bene che la mente resti focalizzata, quindi non dovrai assopirti
come se scivolassi nel sonno. Se la testa inizia a cascare durante la
meditazione, è segno che stai entrando in uno stato d’onda più
lento, dunque non preoccupartene troppo. Con la pratica, il tuo
corpo si condizionerà e non si addormenterà.
Quando cominci a meditare, chiudi gli occhi e fai qualche respiro
profondo. In breve tempo dovresti passare da uno stato beta a
uno alfa. Questo stato più riposante ma ancora lucido attiva il
lobo frontale che, come sai, abbassa il volume nei circuiti cerebrali
preposti all’elaborazione di tempo e spazio. Se le prime volte non
ti è facile scivolare nello stato successivo, il theta, con la pratica
riuscirai a rallentare le frequenze ancora di più. Il theta è lo stato
d’onda in cui il corpo dorme ma la mente è vigile, ed è lo stato
cerebrale in cui puoi cambiare più rapidamente i programmi au-
tomatici del corpo.

LA DURATA DELLA MEDITAZIONE


Di solito la sessione dura per un tempo che va da quarantacinque
minuti a un’ora, ma prenditi tutto il tempo possibile per predispor-
re la mente prima di cominciare. Se devi terminare entro un’ora
precisa, punta una sveglia dieci minuti prima del termine previsto,
per avere l’opportunità di finire il processo senza interromperlo
bruscamente. Non lasciare che l’orario ti distragga. Ricordati che
allontanarsi da ogni stimolo sensoriale comprende anche la perce-
zione del tempo; quindi se te ne preoccupi continuamente vieni
meno allo scopo. Per ritagliarti qualche minuto in più per la medi-
tazione, puoi svegliarti un po’ prima al mattino o andare a letto un
po’ prima la sera.

DOMINA LA TUA VOLONTÀ


Voglio avvisarti di un ostacolo insidioso in cui inciampano molte
persone che si avviano alla pratica della meditazione. Ogni volta
che inizi a cambiare qualcosa nella tua vita, il corpo, agendo da

298
mente, segnala al cervello di riassumere il controllo. Subito dopo,
può capitarti di sentire delle voci negative nella tua testa: Perché
non cominci domani? Sei troppo uguale a tua madre! Qual è il tuo
problema? Non cambierai mai. Questa cosa non sembra giusta. È il
corpo che cerca di delegittimarti per riprendere ad agire da mente.
È probabile che tu l’abbia condizionato a essere impaziente, fru-
strato, infelice, vittimista o pessimista, per fare solo qualche esem-
pio. Quindi è così che vuole comportarsi a livello subconscio.
Nel momento in cui reagisci a quella voce come se dicesse la verità,
la tua coscienza si immerge di nuovo nel programma automatico,
perciò ritorni a formulare gli stessi pensieri, a svolgere le medesime
azioni e a lasciarti guidare dalle solite emozioni pur continuando
ad aspettarti un cambiamento. Se usi le sensazioni e le emozioni
come barometro della trasformazione, ti autoprecludi la possibilità
che essa avvenga. Quando invece liberi il corpo dalle catene di que-
ste emozioni, riesci a rilassarti nel presente (lo vedremo meglio in
questo capitolo) e a liberare l’energia dal corpo, trasformandoti da
particella in onda. Perciò l’energia diventerà disponibile per creare
il tuo nuovo destino. Per arrivarci e insegnare al tuo corpo un nuo-
vo modo d’essere, devi domarlo e fargli capire chi è che comanda.
Nel mio ranch ho diciotto cavalli, e domare la volontà per restare
focalizzato nella meditazione mi fa pensare a come mi sento quan-
do ricomincio a cavalcare il mio stallone preferito dopo che non lo
faccio da un po’ di tempo. Appena monto in sella, il cavallo non si
cura affatto di me. Fiuta le giumente che stanno dall’altro lato della
proprietà e volge lì tutta la sua attenzione. È come se mi dicesse:
“Dove sei stato negli ultimi otto mesi? Io ho preso cattive abitudini
quando eri via; le ragazze sono lì e a me non interessa quello che
vuoi fare tu, perciò ti disarciono. Sono io il capo.” Diventa bizzoso,
umorale, smanioso di controllo e cerca di mettermi al tappeto. Ma
io sto bene attento e, quando la sua testa si volta verso le giumente,
assumo io il comando.
Così, nel momento in cui lo vedo sfuggire al mio controllo, afferro
le redini e le tiro, poi resto in attesa. Poco dopo si ferma, lascia
andare un forte sbuffo e, quando il potere è nelle mie mani, rico-

299
minciamo ad andare avanti. Seguo questa procedura finché non si
arrende al mio comando.
Questo tipo di conversione delicata ma decisa è esattamente l’ap-
proccio che devi usare con il tuo corpo quando ti siedi per medi-
tare. Pensa a lui come all’animale che tu, mente consapevole, stai
addestrando. Ogni volta che ti accorgi che la tua attenzione sta
divagando, ma riesci a riportarla dove vuoi tu, condizioni il tuo
corpo a una mente nuova. Hai il pieno dominio di te stesso e del
tuo passato.
Poniamo che ti svegli al mattino e hai una lista di persone da chia-
mare, di incombenze da smaltire, trentacinque messaggi e tre e-
mail a cui rispondere. Se la prima cosa che fai è pensare a tutte le
cose che hai da fare, il tuo corpo è già nel futuro programmato.
Quando ti siedi per meditare, la mente vorrà andare in quella di-
rezione. E se tu glielo permetti, il cervello e il corpo saranno in
quel futuro prevedibile perché anticipi l’esito in base alla stessa
esperienza di ieri.
Perciò, quando inizi a notare che la mente vuole andare in quella
direzione, afferra le redini, doma il tuo corpo e riportalo al momen-
to presente, proprio come faccio io quando cavalco il mio stallone.
E nel momento successivo, se cominci a pensare che hai altro da
fare, che devi lasciar perdere e riprendere le faccende che hai lascia-
to in sospeso ieri, riporta ancora la tua mente al momento presente.
Se poi continua a divagare e la cosa ti provoca frustrazione, impa-
zienza o preoccupazione, ricorda che qualunque emozione affiori fa
solo parte del passato. Quando lo noti, ne sei consapevole: “Ah, il
mio corpo vuole tornare nel passato. Bene. Rilassiamoci e torniamo
nel presente.”
Così come la tua mente vuole distrarti, può darsi che anche il tuo
corpo voglia farlo. Può creare un senso di nausea, un dolore im-
provviso, un prurito in un punto della schiena, ma se accade ricor-
da che il corpo sta solo tentando di essere la mente. Se lo domini,
riesci a trascenderlo. E se riesci a controllarlo con costanza durante
la meditazione, quanto torni alla tua vita sei più presente, più con-
sapevole: sei più cosciente e meno incosciente.

300
Prima o poi, come il mio stallone si arrende ed esegue i miei co-
mandi senza lasciarsi distrarre dalle giumente o da qualsiasi altra
cosa, anche il tuo corpo obbedirà alla tua mente durante ogni me-
ditazione senza farsi dirottare da pensieri fuorvianti. E quando il
cavallo e il cavaliere sono una cosa sola, quando la mente e il corpo
operano in sinergia, la sensazione è impareggiabile: sei in un nuovo
modo d’essere. Quest’esperienza ti dà un potere incredibile.

ENTRA IN UNO STATO MODIFICATO DI COSCIENZA


La meditazione in cui ti accompagnerò nel prossimo capitolo co-
mincia con una tecnica che i buddisti chiamano messa a fuoco aper-
ta. È molto utile per entrare nello stato modificato di coscienza
che cerchi di raggiungere, perché nella nostra esistenza quotidiana,
quando viviamo in modalità di sopravvivenza e siamo sommersi
dagli ormoni dello stress, di norma la nostra messa a fuoco è mol-
to ristretta. Poniamo tutta la nostra attenzione su cose, persone e
problemi (focalizzandoci sulla particella o materia, non sull’onda o
energia), e definiamo la realtà con i sensi. Possiamo definire questo
tipo di attenzione messa a fuoco sull’oggetto.118
Rivolgendo tutta l’attenzione al mondo esterno, che in questo stato
ci sembra più reale di quello interiore, il nostro cervello resta per
lo più in uno stato beta ad alta frequenza, il più reattivo, instabile
e volubile degli stati d’onda. Siccome siamo in allerta, non ci tro-
viamo nelle condizioni di creare, sognare a occhi aperti, risolvere
problemi, imparare nuove cose o guarire. Di certo non è uno stato
propizio alla meditazione. L’attività del nostro cervello aumenta e,
a causa della reazione di lotta o fuga, il battito cardiaco accelera,
così come la respirazione. Il corpo non ha molte risorse da spendere
per la crescita e la salute ottimale, perché è sempre sulla difensiva e
cerca di proteggerci e di aiutarci a sopravvivere.
In queste condizioni sfavorevoli, il cervello funziona a compar-
timenti stagni e invece di cooperare, alcune aree lavorano sepa-
ratamente dalle altre, se non addirittura in opposizione: è come

118. L. Fehmi, J. Robbins, The Open-Focus Brain: Harnessing the Power of At-
tention to Heal Mind and Body. Trumpeter Books, 2007.

301
schiacciare il freno e l’acceleratore nello stesso momento. È un
conflitto interno.
Oltre a non avere un buon livello di comunicazione interna, il
cervello non comunica più in modo efficace e ordinato nemmeno
con il resto del corpo. Dal momento che il cervello e il sistema
nervoso centrale controllano e coordinano tutti gli apparati del
corpo (facendo in modo che il cuore batta, i polmoni respirino,
il cibo venga digerito, gli scarti vengano eliminati, il metaboli-
smo sia controllato, il sistema immunitario sia regolato, gli or-
moni siano bilanciati e garantendo altre innumerevoli funzioni)
siamo in uno stato di squilibrio. Il nostro cervello invia messaggi
disordinati e segnali “disintegrati” al midollo spinale e al resto del
corpo. Di conseguenza, gli apparati non ricevono messaggi chiari,
ma incoerenti.
Immagina il sistema immunitario che risponde: “Non so come fare
per produrre un globulo bianco se devo basarmi su queste istru-
zioni.” E immagina l’apparato digerente che dice: “Non so se devo
secernere acidi prima nello stomaco o prima nell’intestino tenue.
Questi ordini sono contraddittori.”
Allo stesso tempo, l’apparato cardiovascolare lamenta: “Non so
capire se il cuore deve battere con ritmo regolare o irregolare, per-
ché il segnale che ricevo ha un ritmo sfasato. C’è forse un leone
dietro l’angolo?”.
Questa condizione di squilibrio ci allontana dalla nostra omeostasi
ed è facile comprendere che ci predispone alla malattia, generando
aritmia o pressione alta (squilibrio nell’apparato cardiovascolare);
disturbi digestivi e reflusso (squilibrio nell’apparato digerente) e
una profusione di patologie come raffreddori, allergie, tumori, ar-
triti reumatoidi (squilibrio nel sistema immunitario), per fare solo
alcuni esempi.
Questo stato, quando le onde cerebrali vanno in subbuglio e si
riempiono di interferenze, è quello che nel capitolo precedente ho
definito stato di incoerenza. Non c’è ritmo e non c’è ordine nelle
nostre onde cerebrali e nemmeno nei messaggi che il cervello invia
al corpo: è una totale cacofonia.

302
Con la tecnica della messa a fuoco aperta, chiudiamo gli occhi,
togliamo la nostra attenzione dal mondo esterno e dalle sue trap-
pole e apriamo la nostra messa a fuoco sullo spazio intorno a noi
(sull’onda invece che sulla particella). La tecnica funziona perché
quando sentiamo questo spazio, non prestiamo più attenzione a
nulla che sia materiale e non pensiamo. Le nostre onde cerebrali si
spostano sulle frequenze riposanti e creative dello stato alfa (e alla
fine anche del theta). In questo stato, il nostro mondo interiore
diventa più reale di quello esterno: siamo in una condizione molto
più propizia per compiere i cambiamenti che desideriamo.
Le ricerche dimostrano che quando usiamo nel modo corretto la
tecnica della messa a fuoco aperta, il cervello diventa più organiz-
zato e sincronizzato, e i suoi diversi comparti cooperano in modo
più ordinato. Quando c’è sincronia, c’è unione. In questo livello
di coerenza, il cervello può inviare segnali corretti al sistema ner-
voso e al resto del corpo, quindi tutto comincia a seguire il ritmo
giusto e a lavorare in armonia. Invece della confusione cacofoni-
ca, ora il cervello e il corpo eseguono una splendida sinfonia. Il
risultato è una sensazione di pienezza, integrità ed equilibrio. Io
e i miei colleghi abbiamo notato questi cambiamenti significativi
nel cervello della maggior parte degli studenti sottoposti a scan-
sione durante i nostri seminari, quindi sappiamo per certo che la
tecnica funziona.

TROVARE IL PUNTO GIUSTO DEL MOMENTO PRESENTE


Dopo averti condotto ad aprire la messa a fuoco, la meditazione
ti farà esercitare a trovare il presente. Essere presente ti permette
di accostarti alle possibilità quantistiche a cui non hai mai avu-
to accesso. Ricordi quando ho spiegato che nel campo quantico
le particelle subatomiche esistono in un infinito assortimento di
possibilità? Se questo è vero, l’universo quantico non può ave-
re una sola linea del tempo. Ne deve avere un numero infinito
che contiene simultaneamente tutte le possibilità impilate l’una
sull’altra. Infatti ogni esperienza passata, presente e futura di ogni
singola cosa, dal più piccolo microrganismo alla più avanzata ci-
viltà dell’universo, esiste in questo campo illimitato di informa-

303
zioni che chiamiamo “campo quantico”. Ho detto che il mondo
quantico non ha tempo, ma la verità è che ha tutto il tempo si-
multaneamente; non solo quello lineare, che è il modo in cui
tendiamo a concepirlo.
Come dice il modello quantistico della realtà, tutte le possibili-
tà esistono nel momento presente. Ma se ti svegli ogni mattina
e metti in atto la stessa sequenza di eventi (compi le medesime
scelte, che ti portano ai soliti comportamenti, che creano le stesse
esperienze, che producono reazioni emotive sempre uguali) allora
non sei aperto a nessun’altra possibilità e non ti muoverai mai
verso risultati nuovi.
Osserva la Figura 11.1. Il cerchio rappresenta te nel momento pre-
sente su una particolare linea del tempo. La linea a sinistra raffigura
il tuo passato, mentre la linea a destra il tuo futuro. Poniamo che
ogni giorno ti alzi, vai in bagno, ti lavi i denti, porti fuori il cane,
bevi il tè o il caffè, fai la colazione abituale, ti vesti nel solito modo,
percorri lo stesso tragitto per andare al lavoro. Ognuno di questi
eventi è rappresentato da un punto sulla linea del tempo del tuo
futuro immediato.
Poniamo che metti in atto più o meno la stessa sequenza ogni
giorno da dieci anni. Il tuo corpo è già programmato per abi-
tudine a essere nel futuro basandosi sul passato, perché quando
cominci ad anticipare emotivamente ognuno di questi eventi sul-
la linea del tempo, esso crede in quella stessa prevedibile realtà
(agendo da mente inconscia). Le stesse emozioni istruiscono gli
stessi geni nel medesimo modo, perciò ora sei già in quel futuro
prevedibile. Infatti, potresti anche prendere la linea del tempo del
tuo passato e trasportarla nel futuro, perché in questo scenario
passato e futuro coincidono. Sei come i pianisti che hanno instal-
lato i circuiti nel loro cervello e hanno cambiato il loro corpo solo
pensando di suonare al pianoforte la stessa sequenza di note di
quelli che invece si sono esercitati con le dita; prepari il cervello
e condizioni il corpo allo stesso futuro perché ogni giorno provi
mentalmente lo stesso scenario prevedibile utilizzando la mente
di ieri.

304
IL PASSATO È IL FUTURO

Figura 11.1.  Ogni punto sulla linea del tempo rappresenta gli stessi pensieri,
comportamenti, scelte, esperienze ed emozioni dei giorni, delle settimane, dei
mesi e persino degli anni passati. Perciò il passato diventa il futuro. Siccome
un’abitudine è una serie ridondante e automatica di pensieri, azioni ed emozioni
acquisiti con la ripetizione frequente, che si verifica quando il corpo diventa
la mente, il corpo è già programmato a essere nello stesso futuro prevedibile
basandosi sul modo d’essere del passato. Se memorizziamo le emozioni che ci
tengono vincolati al passato, e lasciamo che guidino i nostri pensieri, allora il
corpo vive letteralmente nel passato. Di rado siamo nel momento presente.

Non riusciamo mai a trovare il momento presente perché il cer-


vello e il corpo vivono già in una realtà futura nota che si basa
sul passato. Guarda tutti quei punti sulla tua linea del tempo che
rappresentano le scelte, le abitudini, le azioni e le esperienze che
creano le stesse emozioni per ricordarti qual è la tua identità. Non
c’è spazio perché nella tua vita si manifesti qualcosa di nuovo o di
ignoto, qualcosa di insolito o miracoloso: la sequenza di quei punti
è troppo serrata. Se si inserisse la novità, sarebbe scomoda e distur-
berebbe la tua routine. Sarebbe sconvolgente se qualcosa di nuovo
arrivasse nella vita di una persona che a livello inconscio anticipa il
futuro basandosi sul passato!

305
Ti avviso fin d’ora che, se inserisci la tua meditazione nella linea del
tempo come l’ennesimo evento della sequenza, rischi solo di ag-
giungere un altro punto alla lista delle cose da fare. E se hai questo
approccio, non troverai il momento presente. Per ottenere il risul-
tato che cerchi, guarire e attuare cambiamenti durevoli, devi essere
appieno nel presente, senza pensare al prossimo evento prevedibile
della tua linea del tempo. Questo è vero perché, il punto verso cui
rivolgi l’attenzione è quello in cui investi la tua energia. Perciò, se
presti anche solo la minima attenzione a cose, persone, luoghi o
eventi dell’ambiente esterno, riaffermi quella realtà. E se sei abi-
tuato a essere ossessionato dal tempo – pensando al passato (che è
noto) o al futuro che si basa sul tuo passato (e dunque è conosciuto
anch’esso) – allora ti perdi il momento presente, quello in cui esi-
ste ogni possibilità. Quando ti concentri sulla realtà conosciuta tu,
come osservatore quantistico, puoi ottenere solo quella stessa real-
tà. Fai collassare tutte le possibilità del campo quantico negli stessi
schemi di informazioni che caratterizzano la tua vita.
Per accedere alle potenzialità illimitate che ti attendono nel cam-
po quantico, devi dimenticarti la realtà conosciuta (il tuo corpo, il
tuo volto, il tuo genere, la tua etnia, la tua professione e persino la
cognizione di ciò che devi fare oggi) per restare un po’ nell’ignoto
in cui sei nessun corpo, nessuna cosa, in nessun luogo e in nessun
tempo. Devi diventare pura consapevolezza (mantenendo solo il
pensiero di essere consapevole in un vuoto di potenzialità) affinché
il tuo cervello possa ricalibrarsi.
E quando il corpo vuole distrarti, ma continui a dominarlo e a
ricondurlo al momento presente, allora la linea che va verso il fu-
turo cessa di esistere, perché il corpo non vive più in quel destino
prevedibile. Hai disconnesso o staccato i tuoi circuiti energetici da
quel destino.
Allo stesso modo, se il tuo corpo è condizionato e assuefatto a emo-
zioni che hai memorizzato e che ti tengono legato al passato, ma
riesci a riportarlo indietro e a placarlo ogni volta che ti senti arrab-
biato o frustrato, finché non si arrende al momento presente, allora
non esiste più neanche la linea che va verso il passato. Ti sei discon-

306
nesso anche da quella. E quando svaniscono le linee del passato e
del futuro, svanisce anche il tuo destino genetico.
In questo momento non c’è più un passato che guida il tuo futuro
e non c’è più un futuro prevedibile basato sul passato. Sei solo ed
esclusivamente nel presente, dove hai accesso a tutte le potenzialità
e le possibilità. E più investi nell’ignoto staccandoti da quelle linee
e soffermandoti in quelle possibilità, più energia liberi dal tuo cor-
po rendendola disponibile per creare qualcosa di nuovo. La Figura
11.2 dimostra che il passato e il futuro non ci sono più quando il
cervello e il corpo sono totalmente nel presente. La realtà prevedi-
bile della dimensione conosciuta non esiste più, perciò sei dentro il
regno ignoto delle possibilità.

IL PRESENTE CREA UN NUOVO FUTURO

Figura 11.2.  Quando trovi il punto giusto del momento presente e ti dimentichi
della tua solita personalità, accedi ad altre possibilità che esistono già nel
campo quantico. Ciò accade perché non sei più attaccato allo stesso corpo-
mente, all’identificazione con l’ambiente e alla prevedibile linea del tempo. Nel
presente, il solito passato e il solito futuro non esistono più, e tu diventi pura
consapevolezza, puro pensiero. È in questo momento che puoi cambiare il tuo
corpo, cambi qualcosa del tuo ambiente, creando una nuova linea del tempo.

307
La meditazione di cui parlo nel prossimo capitolo prevede un
periodo in cui ti soffermi in questa potente dimensione ignota,
nello spazio oscuro delle possibilità, e investi la tua energia nel
vuoto delle potenzialità che esistono nel momento presente. Ri-
corda che, anche se sembra che non ci sia nulla, non si tratta di
uno spazio vuoto e oscuro; è il campo quantico e pullula di ener-
gia e di possibilità.
Quando io e i miei colleghi abbiamo esaminato gli allievi del semi-
nario progressive che erano riusciti a diventare pura consapevolezza
– un pensiero separato dalla realtà nota – abbiamo registrato pro-
gressi incredibili nella capacità di cambiare il loro cervello, il loro
corpo e la loro vita. Se il placebo implica di cambiare il corpo sol-
tanto con il pensiero, allora un passo molto importante è diventare
un pensiero, solo quello.

VEDERE SENZA USARE GLI OCCHI


Ecco uno dei miei esempi preferiti di quel che può accadere quan-
do ti focalizzi sull’ignoto durante la meditazione. Non molto tem-
po fa tenni un seminario a Sidney dove, durante una meditazione,
chiesi ai partecipanti di essere nessun corpo, nessuna cosa, in nessun
luogo e in nessun tempo, di diventare pura consapevolezza, soffer-
mandosi nell’ignoto.
Osservando questo gruppo, notai una donna, Sophia, seduta in
terza fila, che meditava con gli occhi chiusi come tutti gli altri.
All’improvviso, vidi cambiare la sua energia. Qualcosa mi suggerì
di farle un cenno, così la salutai, e lei, ancora con gli occhi chiusi,
rispose al saluto! Feci avvicinare due miei assistenti che erano in
fondo alla sala. Quando arrivarono, salutai Sophia con la mano e
lei rispose ancora, senza mai aprire gli occhi.
“Che cosa sta succedendo?” mi sussurrarono gli assistenti.
“Vede senza usare occhi” risposi. Come ho già spiegato, quando
ti focalizzi sull’ignoto, lo ottieni. Una settimana dopo l’evento di
Sydney, tenemmo un seminario progressive a Melbourne, al quale
partecipò anche Sophia.

308
“Ehi, ti vedevo, e vedevo anche gli assistenti” mi disse, descriven-
domi tutto ciò che era successo nella stanza durante la medita-
zione quando aveva gli occhi chiusi. Fu molto precisa. Dopo il
seminario, decise di diventare una mia assistente e io la scelsi per
questa sua abilità. Così qualche mese dopo venne a un mio corso
di formazione.
Alla fine di ogni giornata, chiedo sempre ai nuovi assistenti di
chiudere gli occhi mentre riepilogo la lezione per trenta minuti, al
fine di riattivare i nuovi circuiti nella loro memoria a lungo termi-
ne. Mentre facevo il riepilogo, Sophia, che aveva gli occhi chiusi,
all’improvviso li aprì, scosse la testa, li richiuse, si voltò per guar-
darsi indietro, e poi mi fissò con un’espressione stupefatta. Lo fece
più volte, ma le indicai di continuare la meditazione; ne avremmo
parlato dopo.
Non solo Sophia poteva vedere davanti a sé con gli occhi chiusi du-
rante la meditazione, ma ora aveva una visuale di trecentosessanta
gradi. Poteva vedere cosa le stava davanti, dietro e intorno nello
stesso momento. Essendo abituata da una vita intera a vedere solo
con gli occhi aperti, continuava ad aprirli per riflesso e a richiuderli
nel tentativo di scorgere quello che aveva già visto.
A quel seminario c’era anche il dottor Fannin, che effettuava le
scansioni sul cervello di alcuni assistenti, affinché potessimo sce-
gliere gli schemi d’onda da misurare sugli studenti nel corso del
primo seminario avanzato in Arizona. Quando arrivò il turno di
Sophia, non anticipai nulla sul suo conto. Il dottor Fannin le at-
taccò la macchina dell’EEG e ci sedemmo dietro di lei a circa due
metri di distanza per osservare il monitor. D’un tratto la parte po-
steriore del cervello di Sophia, che è la sede della corteccia visiva, si
illuminò sullo schermo.
“Oh, guarda!” mi sussurrò il dottor Fannin. “Sta visualizzando!”.
“No” dissi piano, scuotendo la testa. “Non sta visualizzando.”
“Che cosa intendi?” mimò con le labbra.
“Sta vedendo” scandii.

309
“Che cosa intendi?” ripeté confuso. Così la salutai da dietro. E lei,
senza voltarsi, sollevò una mano, la girò e rispose al mio saluto. Era
una cosa incredibile, ma la prova stava proprio nella sua scansione
cerebrale. Sophia vedeva senza usare gli occhi. La corteccia visiva
stava elaborando informazioni come se vedesse; ma era il suo cer-
vello a farlo, non gli occhi.
Come ho detto, se ti focalizzi sull’ignoto, lo ottieni.

310
CAPITOLO 12

L A M E D I TA Z I O N E P E R C A M B I A R E
CREDENZE E PERCEZIONI

In questo capitolo ti accompagnerò in una meditazione guidata,


ideata per aiutarti a cambiare alcune percezioni e credenze su te
stesso e sulla tua vita. Ti consiglio di meditare ascoltandone la re-
gistrazione, che ti aiuta a cambiare due credenze e due percezioni
e dura circa un’ora, o la versione più breve, che ti aiuta a cambiare
una credenza e una percezione e dura circa quarantacinque minu-
ti. Entrambe sono acquistabili tramite il link http://www.mylife.it/
meditazionidispenza. La versione di un’ora si chiama Placebo Effect:
Come cambiare due credenze e due percezioni e l’altra si chiama Pla-
cebo Effect: Come cambiare una credenza e una percezione. Oppure
puoi registrare tu stesso il testo di una o entrambe le versioni.
Ricorda che le credenze e le percezioni sono modi d’essere subcon-
sci. Cominciano come pensieri ed emozioni che pensi e senti di
continuo, finché non diventano abitudinarie e automatiche, tanto
da formare un atteggiamento. Gli atteggiamenti si consolidano tra-
sformandosi in convinzioni, che a loro volta si rafforzano diven-
tando percezioni. Nel corso del tempo, questa ridondanza crea una
visione del mondo e di te stesso che è in larga parte subconscia.
Essa influisce sulle tue relazioni, sui tuoi comportamenti e su tutto
ciò che fa parte della tua vita.
Perciò, se vuoi cambiare una convinzione o percezione, devi pri-
ma modificare il tuo modo d’essere. Ciò significa modificare il tuo
livello di energia, perché per influenzare la materia devi diventare
più energia che materia, più onda che particella. Questo implica
mettere insieme un’intenzione chiara e un’emozione elevata: sono
questi due ingredienti necessari.
Come hai letto, il processo prevede che si prenda una decisione
con un livello di energia abbastanza alto, che permetta al tuo pen-
siero sulla nuova convinzione di diventare un’esperienza dotata di

311
una forte configurazione emotiva, la quale a sua volta, a qualche
livello, ti modifica in quello stesso momento. È così che cambi la
tua biologia, diventi il tuo placebo e trasformi la mente in materia.
Tutti noi abbiamo avuto esperienze che hanno inciso in qualche
misura sulla nostra biologia. Ricordi le donne cambogiane incon-
trate nel Capitolo 7, che hanno sviluppato problemi di vista per gli
orrori che erano state costrette a vedere sotto i Khmer Rossi? È un
esempio estremo, ovviamente, ma puoi usare lo stesso principio per
attuare un cambiamento positivo.
Perché il processo funzioni, la nuova esperienza deve trascende-
re quella passata. In altre parole, l’esperienza interiore che vivi
quando mediti deve avere un’ampiezza maggiore – un’energia più
grande – dell’esperienza passata che ha creato la convinzione e la
percezione che vuoi cambiare. Il corpo deve rispondere a una mente
nuova. Quindi devi metterci il cuore in quell’emozione elevata;
devi avvertire un fremito. Devi sentirti elevato, ispirato, invinci-
bile e potenziato.
In questa meditazione ti darò l’opportunità di cambiare due perce-
zioni e convinzioni su te stesso. Dunque, prima di cominciare devi
decidere cosa vuoi cambiare. Puoi selezionare una delle più comuni
convinzioni limitanti elencate nel Capitolo 7 oppure pensare a qual-
cos’altro come: Ho sempre questo dolore, La vita è troppo difficile, Le
persone sono ostili, Il successo richiede duro lavoro o Non cambierò mai.
Dopo aver scelto, prendi un foglio e traccia una linea verticale al
centro. Sulla sinistra scrivi le due convinzioni e percezioni che vuoi
cambiare, una sopra l’altra.
Poi rifletti per un minuto: se non vuoi più credere e percepire que-
ste cose, allora cos’è che vuoi credere e percepire su te stesso e sulla
tua vita? E se davvero credessi e percepissi queste cose, come ti sen-
tiresti? Scrivi le nuove convinzioni e percezioni che desideri sul lato
destro del foglio.
Questa meditazione si divide in tre parti:
• La prima è l’introduzione, in cui usi la tecnica della messa
a fuoco aperta spiegata nel capitolo precedente per entra-
re in uno stato più coerente di onde alfa o theta, in cui
312
sei più suggestionabile. Questo passaggio è fondamentale,
perché l’unico momento in cui puoi davvero influire sulla
tua salute e agire da placebo è quando il tuo livello di sug-
gestionabilità è più elevato.
• Nella seconda parte, troverai il momento presente e ti sof-
fermerai nel vuoto quantico, dove esistono tutte le possi-
bilità.
• Nella terza parte cambierai le tue convinzioni e percezio-
ni. Per accompagnarti nel processo mentre sei seduto in
meditazione, ti darò alcune indicazioni all’inizio di ogni
parte e poi, in corsivo, troverai il testo della meditazione.

Se sei già esperto, sentiti libero di svolgere la meditazione per intero


fin dalla prima volta. Se invece sei alle prime armi, puoi fare pratica
con la prima parte tutti i giorni per una settimana, aggiungere la
seconda la settimana seguente e svolgerle tutte e tre dalla terza set-
timana in poi. In qualsiasi caso, continua a esercitarti ogni giorno
finché non si verifica un cambiamento nella tua vita.
Se pratichi già la meditazione che ho delineato in Cambia l’abitu-
dine di essere te stesso, ti faccio notare che quella proposta qui è del
tutto diversa, anche se potrai scorgere alcune affinità nell’incipit (la
fase introduttiva). Se puoi praticare solo una meditazione al giorno,
ti consiglio di provare questa per un mese per trarne i massimi be-
nefici. Poi deciderai quale preferisci o potrai alternarle.

INTRODUZIONE: CREARE LA COERENZA CEREBRALE


E RALLENTARE LE ONDE CON LA MESSA A FUOCO APERTA
Quando entri nello stato meditativo con la messa a fuoco aperta, ti
trasformi da particella a onda, passando dalla visuale ristretta con
cui di solito osservi le persone, i luoghi e le cose del mondo ester-
no a una messa a fuoco più aperta, in cui ti concentri non su una
cosa fisica, ma sullo spazio. Dopotutto, se un atomo è composto da
energia per il 99,9 per cento, e noi siamo sempre focalizzati sulla
particella, sarà il caso di prestare attenzione all’onda, perché la no-

313
stra consapevolezza e la nostra energia sono intimamente connesse:
focalizzarsi sulla nostra energia è l’azione che serve ad amplificarla.
Quando usi questa tecnica nel modo corretto, il cervello si ricalibra
naturalmente, perché lasci andare la mente analitica, impegnata a
pensare alla sua identità in beta ad alta gamma. Quell’identità – chi
pensi di essere – è connessa all’ambiente esterno, alle tue abitudini
e dipendenze emotive e al tempo. Nel momento in cui trascendi
questi elementi, non sei altro che pura consapevolezza e, come hai
letto nelle pagine precedenti, in questo stato i diversi comparti del
cervello comunicano meglio; le onde diventano molto ordinate:
cominciano a inviare segnali coerenti al resto del corpo, come è
accaduto ai nostri allievi.
Resta presente durante la meditazione; non cercare né di immagi-
nare nulla né di visualizzare. Devi solo sentire e percepire. Se riesci
a sentire dov’è la tua caviglia sinistra, dov’è il naso e dov’è lo spazio
tra lo sterno e il petto, vuol dire che stai focalizzando la tua atten-
zione in quei punti. Potrebbe venirti in mente un’immagine di ciò
che senti (poniamo il petto o il cuore), ma non devi sforzarti di
evocarla; devi solo diventare consapevole dello spazio dentro di te e
intorno al tuo corpo, nello spazio.

Questa parte della meditazione dovrebbe durare tra i dieci e i quin-


dici minuti.

314
Meditazione: Prima parte
Ora… riesci a portare la tua consapevolezza… nello spazio tra
i tuoi occhi… nello spazio?
E riesci a sentire… l’energia dello spazio… tra i tuoi occhi…
nello spazio?
Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… tra le tue
tempie… nello spazio?
Riesci a percepire… il volume dello spazio… tra le tue tempie…
nello spazio?
Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… che le tue
narici… occupano nello spazio?
Riesci a sentire… il volume dello spazio… che la parte inter-
na… del tuo naso… occupa nello spazio?
E ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… tra la
tua lingua e il fondo della tua gola… nello spazio?
Riesci a percepire… il volume dello spazio… che il fondo della
tua gola occupa … nello spazio?
Ora… riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno alle tue
orecchie… nello spazio?
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre le tue orecchie…
nello spazio?
Riesci a diventare consapevole … dello spazio… sotto il tuo
mento… nello spazio?
Riesci a percepire … il volume dello spazio… intorno al tuo
collo… nello spazio?
Ora… riesci a sentire…lo spazio… oltre il tuo torace… nello
spazio?
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno al tuo tora-
ce… nello spazio?
E ora… riesci a diventare consapevole… del volume dello spa-
zio… oltre le tue spalle… nello spazio?

315
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… intorno alle tue spal-
le… nello spazio?
Ora… riesci a diventare consapevole…dello spazio… dietro la
tua schiena… nello spazio?
E riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre la tua colonna
vertebrale… nello spazio?
Ora… riesci a fissare… la tua consapevolezza… nello spazio…
tra le tue cosce… nello spazio?
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… che collega le tue gi-
nocchia… nello spazio?
E riesci a percepire… il volume dello spazio… intorno ai tuoi
piedi… nello spazio?
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre i tuoi piedi…
nello spazio?
Riesci a diventare consapevole… dello spazio… intorno a tutto
il tuo corpo… nello spazio?
Riesci a sentire… l’energia dello spazio… oltre il tuo corpo…
nello spazio?
E ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio tra il tuo
corpo e le pareti della stanza… nello spazio?
Riesci a percepire… il volume dello spazio… che l’intera stanza
occupa… nello spazio?
Ora… riesci a diventare consapevole… dello spazio… che tutto
lo spazio occupa… nello spazio?
E riesci a sentire… lo spazio… che tutto lo spazio occupa…
nello spazio?

316
DIVENTARE POSSIBILITÀ: TROVARE IL MOMENTO PRESENTE
E SOFFERMARSI NEL VUOTO
Nella seconda parte della meditazione, trovi il punto giusto del
momento presente in cui tutte le cose sono possibili. Per farlo, devi
uscire dalla tua identità e disconnetterti dal corpo, dall’ambiente e
dal tempo: attingi dall’ignoto solo se ti ci soffermi. E se non attivi
più le stesse cellule nervose, riduci al silenzio i circuiti cerebrali che
sono connessi con la tua vecchia identità. Come hai letto, questi
circuiti hanno installato un programma da cui puoi disconnetterti,
se li spegni. Significa smettere di istruire gli stessi geni negli stessi
modi con le stesse emozioni. E allora, quando il tuo corpo entra
in uno stato più equilibrato e armonico, trovi il punto giusto del
momento presente, dove esistono tutte le possibilità.
Se scopri che la tua mente devia i pensieri verso persone che co-
nosci, problemi attuali, eventi passati o futuri, il tuo corpo, il tuo
peso, il tuo dolore o anche il proseguimento della meditazione,
accorgiti di quei pensieri e focalizza nuovamente la tua consape-
volezza sull’oscurità o sul vuoto quantico delle possibilità. E poi,
ancora una volta, arrenditi al nulla.
Questa seconda parte della meditazione dovrebbe durare dai dieci
ai quindici minuti circa.

Meditazione: Seconda Parte


Ora… è il momento di diventare nessuno… nessun corpo, nes-
suna cosa, in nessun luogo e in nessun tempo… di diventare
pura consapevolezza… di diventare consapevolezza dell’infinito
campo delle potenzialità… di investire la tua energia nell’igno-
to… E più ti soffermi nell’ignoto, più attiri una nuova vita
verso di te… Solo diventando un pensiero nell’oscurità dell’in-
finito… ed espandendo la tua attenzione… in nessuna cosa, in
nessun corpo, in nessun tempo…
Se tu, osservatore quantico… scopri che la tua mente ritorna
nella dimensione conosciuta… concentrandosi su persone, cose o
luoghi della tua solita realtà… sul tuo corpo, sulla tua identità,
sulle tue emozioni, sul passato o sul futuro prevedibile… diven-

317
ta consapevole che stai osservando la dimensione conosciuta…
lascia che la tua coscienza si arrenda e riportala al vuoto delle
possibilità… e diventa nessuno… nessun corpo, nessuna cosa, in
nessun luogo e in nessun tempo… Espanditi nel regno immate-
riale delle potenzialità quantiche… Più diventi consapevolezza
nelle possibilità… più crei possibilità e opportunità nella tua
vita… Resta nel presente.
[Soffermati per dieci o quindici minuti]

Cambiare le credenze e le percezioni su te stesso e sulla tua vita

Nella sezione finale della meditazione, arriva il momento di portare


a galla la prima convinzione o percezione che vuoi cambiare. Ti
chiederò se vuoi continuare a credere e a percepire in quel modo. Se
la tua risposta è no, sei invitato a prendere una decisione con inten-
zione ferma, affinché la frequenza energetica collegata alla tua scelta
sia maggiore di quella dei programmi installati nel tuo cervello e
delle dipendenze emotive del corpo. Il tuo corpo allora risponderà
a una mente nuova, a una nuova consapevolezza.
Poi ti chiederò: “Cosa vuoi credere o percepire su te stesso e sulla
tua vita? E come ti sentiresti se lo facessi?”. Il tuo compito sarà di
entrare in un nuovo modo d’essere. Dovrai cambiare la tua energia
associando un’intenzione chiara a un’emozione elevata, per elevare
la materia al livello di una mente nuova. Quando ti alzi, dovresti
sentirti diverso rispetto a quando ti sei seduto. Se succede, significa
che sei cambiato biologicamente.
A quel punto, il passato non esiste più, perché l’esperienza con
una frequenza vibrazionale maggiore ha sovrascritto il programma
della vecchia. È per questo che compiere la scelta diventa un’espe-
rienza indimenticabile, perché si deposita nella memoria a lungo
termine. In questo modo rendi nota una possibilità ignota: ciò
ti porta fuori dagli schemi dell’eterno passato e ti proietta in un
presente che è già futuro, dove l’evento si è già verificato. Ricorda
però che il tuo compito non è di prevedere come o quando acca-

318
drà, ma di entrare in un nuovo modo d’essere e vedere il futuro
che stai creando.
Poi sarai guidato a cambiare la seconda convinzione o percezione, e
ripeterai lo stesso processo.
Questa parte conclusiva durerà dai venti ai trenta minuti circa.

Meditazione: Terza Parte


Ora… qual è la prima convinzione o percezione su te stesso e
sulla tua vita… che vuoi cambiare?
Vuoi continuare a credere e a percepire in questo modo?
Se non lo vuoi… voglio che tu prenda una decisione… con
un’intenzione così ferma… che l’ampiezza di quella decisione
apporterà un livello di energia maggiore di quello dei program-
mi installati nel tuo cervello e delle dipendenze emotive nel tuo
corpo… e il tuo corpo risponderà a una mente nuova…
Lascia che la scelta diventi un’esperienza indimenticabile… e
lascia che l’esperienza produca un’emozione con un’energia così
forte da riscrivere i programmi… e da cambiare la tua biolo-
gia… Esci dallo stato di inerzia e cambia la tua energia… così
la tua biologia sarà modificata dalla tua energia…
Ora lascia che il passato si arrenda e venga riportato nelle possi-
bilità… e consenti all’infinito campo delle possibilità di decidere
nel modo migliore per te… Arrenditi.
Ora… cosa vorresti credere e percepire su te stesso e sulla tua
vita… e come ti sentiresti se lo facessi?
Coraggio… Adesso è il momento di entrare in un nuovo modo
d’essere… e di lasciare che il tuo corpo risponda a una mente
nuova… Cambia la tua energia associando un’intenzione chia-
ra a un’emozione elevata… così la materia si eleverà al livello di
una mente nuova…
Lascia che la scelta apporti una frequenza energetica maggio-
re… superiore a qualunque esperienza del passato… e lascia che
il tuo corpo sia modificato dalla tua consapevolezza, dalla tua

319
energia… Entra in un nuovo modo d’essere… e lasciati definire
da questo momento… lascia che questo pensiero intenzionale
diventi un’esperienza interiore così potente… da apportare un’e-
nergia emotiva elevata, che diventa un ricordo indimenticabi-
le… e soppianta i ricordi del passato con una memoria nuova
nel tuo cervello e nel tuo corpo… Coraggio… raccogli tutto il
tuo potere… ispirati… fai che la tua scelta sia una decisione che
non potrai mai più dimenticare...
Ora… dai al tuo corpo un assaggio del futuro mostrandogli
come si sentirà se crede in questa convinzione… e lascia che il
tuo corpo risponda a una mente nuova…
Come sarebbe la tua vita con quel nuovo modo d’essere?… Qua-
li scelte compiresti?... Come ti comporteresti?... Quali sarebbe-
ro le tue esperienze future?... Come vivresti?... Che emozioni
proveresti?... Come ameresti?... Lascia che le onde infinite delle
possibilità confluiscano in un’esperienza nella tua vita.
Ora riesci a insegnare emotivamente al tuo corpo cosa significa
essere in questo nuovo futuro? … Coraggio… apri il tuo cuore
e credi nella possibilità… Espanditi… innamorati del momen-
to… e sperimenta quel futuro proprio adesso….
Ora lascia che la tua creazione si arrenda a una mente più gran-
de, perché quello che sperimenti in questo regno della possibi-
lità… se lo senti sinceramente… si manifesterà in un tempo
futuro…dalle onde della possibilità alle particelle della realtà…
dall’immateriale al materiale… dal pensiero all’energia… nella
materia.
Ora lascia che la tua nuova convinzione si arrenda a un campo
di coscienza che sa già come organizzare l’esito nel modo perfetto
per te… piantando un seme nella possibilità…
Ora… qual era la seconda convinzione che volevi cambiare su te
stesso e sulla tua vita? Ti serve continuare a credere e a percepire
in questo modo?
Se non ti serve, è il momento di prendere una decisione con
un’intenzione così ferma… che la sua ampiezza apporterà un

320
livello di energia maggiore in grado di indurre il tuo corpo a
rispondere a una mente nuova… e di rendere definitiva la scelta
che compi… e la tua decisione diventerà un’esperienza indimen-
ticabile… Esci dal tuo solito stato di inerzia e cambia la tua
energia così che la materia si elevi al livello di una mente nuo-
va… Avanti! Raccogli tutto il tuo potere… lascia che sia la tua
energia a farti muovere…
Lascia che l’energia di quella scelta… riscriva i programmi sub-
consci a livello neurologico nel tuo cervello e a livello emotivo e
genetico nel tuo corpo… e fai in modo che quella scelta sia più
grande del passato… Lascia che la tua energia cambi la tua
biologia… Fatti ispirare…
Ora… lascia che quella convinzione si arrenda a un’intelligenza
più grande… semplicemente lasciati andare… e arrenditi…. al
campo delle possibilità… affidando tutto all’energia…
Ora… cosa vorresti credere e percepire su te stesso e sulla tua
vita? … Come ti sentiresti se lo facessi?
Coraggio… entra in questo nuovo modo d’essere …. e lascia che
il tuo corpo si elevi al livello di una mente nuova… Lascia che
l’energia di questa scelta riscriva i circuiti del tuo cervello… e
i geni del tuo corpo… Lascia che il tuo corpo sia libero di ac-
cogliere un nuovo futuro… Devi sentire una nuova energia…
per diventare una cosa più grande del tuo corpo, del tuo am-
biente e del tempo… così avrai il dominio sul tuo corpo, sul tuo
ambiente e sul tempo… Diventa un pensiero che influisce sulla
materia…
E se riuscissi a insegnare emotivamente al tuo corpo… cosa
proveresti credendo in questo modo… sentendoti potenziato…
animato dalla tua grandezza… coraggioso… invincibile… in-
namorato della vita… sentendoti illimitato… vivendo come se
le tue preghiere fossero già state esaudite?... Avanti, dai al cor-
po, che agisce da mente inconscia, un assaggio del tuo futuro…
istruendo nuovi geni in altri modi… La tua energia è l’epife-
nomeno della materia… cambia la tua energia e cambia il tuo
corpo… Avanti, trasforma la tua mente in materia…

321
Come vivresti con questo modo d’essere… Se ci credessi, quali
scelte potresti compiere?... Quali comportamenti potresti espri-
mere?... E quali esperienze riesci a osservare adesso con questo
modo d’essere? … Come ti fa sentire essere guarito… essere libe-
ro… credere in te stesso e nella possibilità?… Lasciati andare…
Benedici questo futuro con la tua energia… Ciò significa che sei
connesso con un nuovo destino… perché il punto su cui focalizzi
la tua attenzione è il punto verso cui indirizzi la tua energia…
Investi nel tuo futuro… e lasciati definire dal futuro invece che
dal passato… Apri il tuo cuore e lascia che il tuo corpo sia ani-
mato dalla tua esperienza interiore…. Ricorda che l’esperienza
che vivi con sincerità nell’ignoto e che accogli emotivamente…
alla fine rallenterà la propria frequenza energetica e si manife-
sterà come materia nelle tre dimensioni…
Ora lasciati andare e arrenditi… lascia che tutto sia eseguito da
un’intelligenza più grande in un modo perfetto per te…
Ora… alza la mano sinistra e posala sul cuore… Benedici il tuo
corpo, affinché possa elevarsi al livello di una mente nuova…
benedici la tua vita… affinché sia l’estensione della tua men-
te… benedici il tuo futuro… che non sarà più il tuo passato…
benedici il tuo passato… che si trasforma in saggezza… bene-
dici le avversità della tua vita… che ti avvia alla grandezza…
comprendi il significato nascosto dietro a ogni cosa… benedici
la tua anima… che si sveglia da questo sogno… e benedici il
divino che è in te… che si muove dentro di te… e tutt’intorno a
te … che dà un senso alla tua vita…
Infine… voglio che tu sia grato per questa nuova vita prima
che si manifesti… così il tuo corpo, agendo da mente inconscia,
comincerà fin d’ora a sperimentare quel nuovo futuro… Perché
la firma emotiva della gratitudine indica che l’evento è già ac-
caduto… Perché la gratitudine… è la condizione suprema del
ricevere…
E ora memorizza questa sensazione… riporta la tua consapevo-
lezza in un nuovo corpo, in un nuovo ambiente, in una nuova
linea del tempo… e quando sei pronto… apri gli occhi.

322
POSTFAZIONE

D I V E N TA R E S O P R A N N AT U R A L I

Alcuni critici potrebbero classificare questo mio lavoro come ap-


partenente al genere della “guarigione per fede”. A questo punto
della mia vita accetto volentieri questa accusa, perché che cos’è
la fede se non il credere in un pensiero più che in qualunque al-
tra cosa? Non è fede forse accettare un pensiero – indipendente
dalle condizioni del nostro ambiente – e arrendersi a quell’esito
al punto tale che viviamo come se le nostre preghiere fossero già
esaudite? Sembra quasi una formula per il placebo. Siamo noi il
placebo, da sempre.
Forse non è tanto importante pregare rigorosamente tutti i giorni
per vedere esauditi i nostri desideri, quanto alzarsi dalla medita-
zione come se fossero già stati ascoltati. Se riusciamo a farlo tutti i
giorni, siamo a un livello mentale in cui viviamo veramente nell’i-
gnoto e siamo pronti all’inaspettato. Ed è allora che il mistero bussa
alla nostra porta.
L’effetto placebo implica guarire solo con il pensiero. Tuttavia, il
pensiero di per sé è un’emozione non manifestata. Quando lo ac-
cogliamo a livello emotivo, esso comincia a diventare reale. Un
pensiero senza un’impronta emotiva è un vuoto di esperienza, per-
ciò è latente, aspetta di essere reso noto dall’ignoto. Se trasformia-
mo un pensiero in esperienza e poi in saggezza, evolviamo come
esseri umani.
Quando ti guardi allo specchio, vedi il tuo riflesso e sai che quello
che stai guardando è il tuo io fisico. Ma come si vedono il vero io,
l’ego e l’anima? La tua vita è l’immagine riflessa della tua mente,
della tua coscienza e di chi sei realmente.
Non ci sono scuole di antica saggezza spirituale in cima alle vette
himalayane che attendono di iniziarci al misticismo e alla santità.
La vita stessa è la nostra iniziazione alla grandezza. Forse io e te
dovremmo vederla come un’opportunità per espandere sempre di

323
più il nostro io al fine di superare i nostri limiti con livelli di con-
sapevolezza più ampi. È così che vede le cose un pragmatico, non
certo chi fa la vittima.
Abbandonare le consuete modalità con cui siamo abituati a pensare
alla vita e abbracciare nuovi paradigmi all’inizio sembrerà innatura-
le. In effetti richiede uno sforzo e questo può far sentire a disagio.
Perché? Perché quando cambiamo, non ci sentiamo più noi stessi.
La mia definizione di genio, allora, è chi riesce a essere a suo agio
nel disagio. Quante volte nella storia abbiamo visto individui am-
mirevoli che hanno lottato contro convinzioni superate, vivendo
fuori dalla loro comfort zone, considerati eretici e pazzi per poi
rivelarsi dei geni, dei santi o dei maestri? Con l’andar del tempo,
sono diventati esseri soprannaturali.
Come possiamo riuscirci anche io e te? Dobbiamo cominciare a
fare ciò che è innaturale, ovvero donare nel bel mezzo di una crisi,
quando tutti patiscono privazioni e povertà; amare quando tutti
sono rabbiosi e giudicanti; esprimere coraggio e pace quando tutti
hanno paura; mostrare gentilezza quando gli altri si comportano
in modo ostile e aggressivo; arrenderci alla possibilità quando tutti
spingono per primeggiare, per controllare i risultati e competere
con ferocia in una corsa interminabile per arrivare in cima; sorridere
volutamente di fronte alle avversità e coltivare il senso di pienezza
interiore di fronte alla diagnosi di una malattia.
Sembra così innaturale fare questo tipo di scelte in simili condi-
zioni, ma se ci riusciamo più volte, con il tempo trascendiamo
la norma e diventiamo soprannaturali. Soprattutto, se tu diven-
ti soprannaturale, concedi ad altri il permesso di fare altrettan-
to. I neuroni a specchio si attivano quando osserviamo qualcuno
svolgere un’azione. I nostri neuroni rispecchiano quelli dell’altro,
come se fossimo noi a svolgere quell’azione. Per esempio, quando
guardi un ballerino professionista ballare la salsa, tu stesso la balle-
rai meglio di prima. Se guardi Serena Williams colpire una pallina
da tennis, tu stesso lo farai meglio di prima. Se osservi qualcuno
guidare una comunità con amore ed empatia, condurrai la tua vita
con altrettanto amore ed empatia. E se osservi qualcuno autogua-

324
rirsi da una malattia cambiando i processi di pensiero, sarai più
incline a fare altrettanto.
Spero che, dopo aver letto questo libro, capirai che la convinzione
definitiva è quella che riponi in te stesso e nel campo delle infinite
possibilità; e quando fondi la fiducia in te stesso come coscienza
soggettiva con la fiducia in una coscienza oggettiva, allora rag-
giungi un equilibrio tra l’intenzione e la resa. Ma è un equilibrio
molto delicato. Se eccedi nell’intenzione (ovvero “ti sforzi”), ri-
mani nella stessa modalità e hai una visuale ridotta. Se esageri
nella resa, diventi troppo pigro, apatico e privo di ispirazione. Se
però combini un’intenzione chiara a una fede incrollabile nella
possibilità, allora entri nell’ignoto, ed è lì che il soprannaturale
inizia a espandersi. Io e te diamo il meglio di noi quando siamo
in questo modo d’essere.
Quando questi due stati si uniscono, possiamo attingere a un pozzo
più profondo. E quando l’appagamento, la pienezza di sé e l’amor
proprio arrivano da dentro, perché ti sei avventurato oltre ciò che
credevi possibile e oltre le limitazioni autoimposte, l’inaudito pren-
de forma. Essere contento di te nel momento presente e coltivare
un sogno per il futuro è un’ottima ricetta per la manifestazione.
Quando ti senti così appagato non ti interessa più “se” le cose stra-
ordinarie si materializzeranno davanti ai tuoi occhi. Ho imparato
che sentirsi completi è lo stato perfetto per la creazione. L’ho ri-
scontrato più volte assistendo a vere guarigioni di persone in tutto
il mondo. Si sentono così complete che non bramano più, non
sentono più alcuna mancanza e non cercano più di forzare il risul-
tato. Si lasciano andare e, con loro sorpresa, qualcosa di più grande
risponde, e loro sorridono per la semplicità del processo.
Questo libro e le mie ricerche sono l’inizio, e non la fine, del per-
corso. Di certo sarò il primo ad alzare la mano e a confessare che
non so tutto. La mia gioia più grande, però, è contribuire in qual-
che modo alla crescita personale di un altro individuo. Ho visto la
trasformazione su molti visi e posso dire che, indipendentemente
dalla cultura, dall’etnia e dal genere, tutti abbiamo la stessa espres-
sione quando ci liberiamo delle nostre convinzioni limitanti.

325
Esiste un principio che adoro nella biologia e che si chiama emer-
sione. Hai mai visto un banco di pesci che nuotano tutti nella stessa
direzione allo stesso tempo? O uno stormo di uccelli in volo che si
muovono come un’unica coscienza, un’unica mente? Osservando
questo fenomeno, potresti pensare che tutti seguano un leader che
segna la via. Sembra che il movimento sincronizzato di centinaia
o migliaia di singoli organismi che fanno la stessa cosa all’unisono
sia un fenomeno che parte dall’alto e procede verso il basso. Ma in
realtà non è così.
Questo livello di unità è un fenomeno che parte dalla base. Di
fatto il gruppo non ha un leader; sono tutti leader. Sono tutti par-
te della stessa coscienza collettiva quando fanno la medesima cosa
allo stesso tempo. È come se il tutto fosse connesso in un campo
di informazioni che sta oltre lo spazio e il tempo. Una comunità si
presenta come un’unica mente. Ciascun individuo contribuisce alla
formazione di un unico organismo. Questo è il potere dei numeri.
Siamo stati programmati e condizionati dalla convinzione sub-
conscia che se ci mettiamo in prima linea con troppa passione per
cambiare il mondo, di sicuro saremo assassinati. Molti grandi le-
ader che hanno cambiato il corso della storia con un messaggio
profondo se la sono cercata alla fine. Che si parli di Martin Luther
King, del Mahatma Gandhi, di John Lennon, di Giovanna d’Arco,
di William Wallace, di Gesù di Nazareth o di Abramo Lincoln, esi-
ste uno stigma inconscio che suggerisce che tutti i leader debbano
sacrificare la vita per la verità. Ma forse siamo finalmente arrivati
a un punto della storia in cui è importante vivere per quella verità,
invece che morire per affermarla.
Se centinaia, migliaia o magari milioni di esseri umani accolgo-
no una nuova coscienza basata sulla possibilità e allineano le azio-
ni alle loro intenzioni, vivendo secondo le grandi leggi universali
dell’amore, della bontà e dell’empatia, emergerà una nuova consa-
pevolezza e tutti sperimenteremo un’autentica unione. Allora forse
i leader saranno troppi per poter essere eliminati.
Perciò, se ti impegni ogni giorno a esprimere il tuo meglio e a su-
perare gli stati egoistici della mente, che sono guidati dagli ormoni

326
dello stress – lo faccio io per primo – allora insieme cambieremo
il mondo partendo da noi stessi. Se un numero sufficiente di noi
si sforzasse di diventare più completo come essere umano, allora
mentre le singole comunità in cui viviamo emergono nel mondo,
riusciremmo a erodere la mentalità prevalente basata sulla pau-
ra, sulla competizione, sulla mancanza, sull’ostilità, sull’avidità e
sull’inganno. Col tempo, il vecchio sarà completamente sostituito
dal nuovo. Un punto che mi sta particolarmente a cuore è che ora
viviamo in un mondo in cui la ricerca scientifica è intaccata da inte-
ressi egoistici ed è spesso influenzata dal profitto, perciò mi chiedo
se ci dicano la verità su come stanno davvero le cose. Tocca a noi,
allora, scoprire la verità.
Immagina un mondo abitato da miliardi di persone che, come un
banco di pesci, vivono come una mente sola; un mondo in cui
ciascuno abbraccia pensieri elevati connessi a possibilità illimita-
te; questi pensieri permettono a tutti di fare scelte più ispirate, di
esprimere comportamenti più altruistici e di creare esperienze più
illuminanti. Le persone non avrebbero più bisogno di vivere secon-
do emozioni basate sulla modalità di sopravvivenza che ci sono così
familiari, sentendosi più materia che energia, separati dalla possibi-
lità. Vivrebbero invece emozioni più espansive, altruiste e profon-
de, sentendosi più energia che materia, connettendosi a qualcosa
di più grande.
Se potessimo fare tutto questo, allora emergerebbe un mondo diver-
so, e noi vivremmo secondo un nuovo credo basato sull’apertura del
cuore. È questo che io vedo quando chiudo gli occhi per meditare.
Dottor Joe Dispenza

327
RINGRAZIAMENTI

Dopo aver terminato la stesura del mio secondo libro, ero certo di
aver chiuso con la scrittura. La quantità di impegno che richiede
già il fatto di trovare il tempo per fare ricerche e scrivere, mentre
gestisco una clinica per la salute integrata con un forte carico di la-
voro, e mentre viaggio quasi tutti i fine settimana – per non parlare
del tempo per la famiglia, le riunioni con i collaboratori o anche
per mangiare e dormire – non mi lascia spazio per guardare fuori
dalla finestra e osservare la natura, indugiando a lungo sul prossimo
pensiero che dovrò formulare per iscritto.
Ho imparato che portare un’idea immateriale nella realtà materiale
richiede una forte dose di tenacia, determinazione, concentrazione,
resistenza, energia, tempo, creatività e – soprattutto – supporto. Se
ci sono riuscito, lo devo all’amore incondizionato, all’incoraggia-
mento, al supporto e alla cooperazione dei miei colleghi, dei miei
collaboratori, dei miei amici e della mia famiglia. A loro va la mia
eterna gratitudine.
Vorrei ringraziare lo staff di Hay House per aver creduto ancora
in me. Mi sento onorato e fortunato di far parte di una famiglia
così splendida. Grazie a Reid Tracy, Stacey Smith, Shannon Littrell,
Alex Freemon, Christy Salinas e al resto dello staff. Spero di aver
ripagato in qualche modo ciascuno di voi.
E ogni tanto un angelo arriva a portare benedizione nella nostra
vita. Questi angeli di solito sono umili, altruisti, potenti e molto
devoti. Ho avuto la fortuna di incontrarne uno mentre scrivevo
questo libro. Katy Koontz, la mia carissima editor e ora amica, è
l’incarnazione dell’eccellenza, della magia, della grazia e dell’umil-
tà. Katy, sono profondamente onorato di aver lavorato con te a
questo progetto. Grazie per essere così infaticabile, saggia e sincera,
e per dare così tanto.
Sally Carr, ti sono grato per il tuo contributo al mio manoscrit-
to. È stata una benedizione per me che tu, senza preavviso, abbia
trovato il tempo di aiutarmi quando ne avevo bisogno. Sei stata

328
molto generosa. Vorrei anche ringraziare Paula Meyer, la mia assi-
stente gestionale, che è diventata una vera guida e una voce della
ragione nella mia vita. Grazie per tutto l’impegno profuso nella
nostra causa. La tua luce è fulgida. Sono colpito dalla persona che
sei diventata.
Dana Reichel è la mia assistente personale e la coordinatrice della
nostra clinica. Dana, apprezzo molto quanto sei diventata determi-
nante nel coordinare lo staff e nell’assicurarti che tutti ricevano cure
e amore. Non ho parole per dirti quanto apprezzo la tua intelligen-
za emotiva, la tua semplice saggezza, il tuo coraggio e la gioia che
porti a molte persone, me compreso. Ti prego di continuare così.
Grazie a Tina Greenbury. Non ho mai conosciuto una persona così
organizzata, professionale, onesta e nobile. Grazie per continuare
questo viaggio insieme a me. Penso che tu sia straordinaria.
Mia cognata, Katina Dispenza, è stata fondamentale in molti modi
creativi. Katina, sono molto fortunato a godere della tua partecipa-
zione e della tua collaborazione. La cura per i dettagli che esprimi
nel rappresentarmi agli occhi del mondo non passa mai inosserva-
ta. Sei stellare.
E un ringraziamento speciale a Rhadell Hovda, Adam Boyce, Katie
Horning, Elaina Clauson, Tobi Perkins, Bruce Armstrong, Amy
Schefer, Kathy Lund, Keren Retter, al dottor Mark Bingel e al dot-
tor Marvin Kunikiyo. Tutti voi avete contribuito in modi meravi-
gliosi alla mia vita e vi sono grato.
John Dispenza, mio fratello nonché migliore amico, sono sempre
commosso dalla creatività della tua mente. Grazie per la copertina
e la grafica ma soprattutto grazie per il tuo amore e la tua guida nel
corso della mia vita.
Il dottor Jeffrey Fannin, il nostro neuroscienziato quantistico, mi
ha aiutato in modi infiniti a misurare il cambiamento. Jeffrey, gra-
zie a te stiamo compiendo un’impresa storica. Ho una stima infini-
ta per tutto ciò che hai fatto per me.
Il dottor Dawson Church è un amico nobile e geniale appassionato
di scienza e misticismo tanto quanto lo sono io. Dawson, sono

329
onorato dalle parole meravigliose che hai scritto nella Prefazione di
questo libro. Spero di collaborare con te in futuro.
Beth Wolfson è la coordinatrice dei miei formatori ed è una devota
dirigente. Grazie Beth per aver creato con me il modello aziendale
per la trasformazione e per essere così infinitamente appassionata
nel credere in questo messaggio. Al resto dei miei formatori in tutto
il mondo, che lavorano con tanta diligenza per diventare l’esempio
vivente del cambiamento e della leadership per molte altre persone,
voglio dire che sono ispirato dal vostro impegno in questo lavoro.
Un ringraziamento speciale va a John Collinsworth e Jonathan
Swartz, che hanno offerto la loro consulenza professionale e mi
hanno aiutato a comprendere meglio i meccanismi dell’attività im-
prenditoriale.
Ai miei figli, Jace, Gianna e Shen, che stanno diventando dei gio-
vani adulti rispettabili, grazie per permettermi di essere così strano.
E alla mia amata Roberta Brittingham: sei il mio placebo.

330
L’A U T O R E

www.drjoedispenza.it
www.drjoedispenza.com

Il dottor Joe Dispenza si è imposto all’attenzione del pubblico


quando ha partecipato in qualità di scienziato al documentario
Bleep. Ma che… bip… sappiamo veramente?!. Dall’uscita del film
nel 2004, il suo lavoro si è ampliato, approfondito e diramato in
molte direzioni cruciali, ciascuna delle quali riflette la sua passione
nell’esplorare il modo in cui possiamo usare le ultime scoperte della
neuroscienza e della fisica quantistica non solo per guarire da una
malattia, ma anche per godere di una vita più felice e appagante. Il
dottor Joe è animato dalla convinzione che ciascuno di noi ha in sé
la potenzialità della grandezza e illimitate capacità.
Come formatore e oratore, il dottor Joe è stato invitato a parlare
in più di ventisei paesi in tutti i continenti e, adottando un lin-
guaggio accessibile e un approccio incoraggiante ed empatico, ha
insegnato a migliaia di persone come possono riscrivere il cervello
e il corpo per attuare cambiamenti durevoli. Oltre a offrire una
varietà di corsi online e lezioni a distanza, conduce di persona
seminari progressive di tre giorni e seminari avanzati di cinque in
giro per il mondo.
Come ricercatore, il dottor Joe esplora i principi scientifici che spie-
gano le remissioni spontanee e la guarigione autoindotta di persone
affette da malattie croniche o terminali. Di recente ha cominciato a
collaborare con altri scienziati per indagare a fondo gli effetti della
meditazione nei suoi seminari avanzati. Insieme ai suoi collabo-
ratori effettua la mappatura cerebrale con elettroencefalogrammi
(EEG) e l’analisi dei campi energetici individuali con la macchi-
na per la visualizzazione a scarica di gas (GDV), oltre a misurare
la coerenza cardiaca con monitor HeartMath e l’energia presente
nell’ambiente del seminario prima, durante e dopo l’evento con un

331
sensore GDVSputnik. Progetta di inserire presto delle misurazioni
epigenetiche nelle sue ricerche.
Come autore, il dottor Joe ha scritto Cambia l’abitudine di essere
te stesso e Diventa SuperNatural, che spiegano la neuroscienza del
cambiamento e l’epigenetica. Si è laureato con lode in chiropratica
dalla Life University. I suoi studi postuniversitari si sono rivolti
alla neurologia, la neuroscienza, il funzionamento e la chimica del
cervello, la biologia cellulare, la formazione della memoria, l’in-
vecchiamento e la longevità. Quando non scrive e non insegna, il
dottor Joe riceve i suoi pazienti presso la sua clinica chiropratica
vicino a Olympia, Washington.

332
CORSI

Prosegui il percorso con il dr. Joe con il corso online in italiano,


scopri l’offerta sul sito ufficiale www.drjoedispenza.it
Per informazioni sui corsi online e live del dr. Joe Dispenza in
lingua italiana, chiedi a MyLife, l’Editore del dr. Joe in Italia.
Chiama il numero 0541 341038 o scrivi a segreteria@mylife.it

333
IPERATTIVITÀ IPOATTIVITÀ

Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score) Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09
Rilevamento delle deviazioni standard (DS)
Rosso = AL DI SOPRA della norma Blu = AL DI SOTTO della norma

Figura 10.2
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

Il blu scuro indica il livello L’azzurro chiaro indica


energetico più basso un livello di energia inferiore
3 DS al di sotto della norma 1–2 DS al di sotto della norma

L’azzurro indica Il verde-azzurro indica


un livello energetico un livello energetico legger-
leggermente inferiore mente al di sotto della norma
2,5 DS al di sotto della norma 0–1 DS al di sotto della norma

Il rosso indica il livello Il giallo e l’arancione indicano


energetico più alto un livello superiore di energia
3 DS al di sopra della norma 1–2 DS al di sopra della
norma

Il verde chiaro indica un livello


Il verde indica la norma energetico leggermente
al di sopra della norma
0–1 DS al di sopra della
norma
-3 -2 -1 0 1 2 3
Rilevamento delle deviazioni standard (DS)
Blu = AL DI SOTTO della norma Verde = norma Rosso = AL DI SOPRA della norma

Figura 10.3
CAMBIAMENTI DI COERENZA NELLA MEDITAZIONE

PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE

Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score) Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09

Figura 10.4
CAMBIAMENTI NEL MORBO DI PARKINSON DOPO LA MEDITAZIONE
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE
Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score) Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09

Figura 10.5
CAMBIAMENTI NEL MORBO DI PARKINSON DOPO LA MEDITAZIONE
20 febbraio 2013
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3
Figura 10.6A
9 maggio 2013 3 giugno 2013

Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.6B Figura 10.6C


27 giugno 2013 13 luglio 2013

Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.6D Figura 10.6E


CAMBIAMENTI NELLA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO
DOPO LA MEDITAZIONE
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE

Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score) Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09

Figura 10.7
CAMBIAMENTI NELLA LESIONE TRAUMATICA AL CERVELLO DOPO LA MEDITAZIONE
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE

Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3
Figura 10.8
CAMBIAMENTI NEL RAPPORTO DELTA/THETA
CON LA MEDITAZIONE
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE

Delta/Theta Pensieri intrusivi Delta/Theta


e brusio mentale
durante la meditazione
sono un problema.

IL RAPPORTO
BILANCIATO
DELTA/THETA
RIDUCE IL BRUSIO
MENTALE

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.9
20 febbraio 2013 23 febbraio 2013

Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score) Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09

Figura 10.10
8 aprile 2013

Coerenza FFT dei punti zeta (Z-score)

- + - + - +
Z-Score ≥ 1.98 Z-Score ≥ 2.58 Z-Score ≥ 3.09

Figura 10.11
20 febbraio 2013 23 febbraio 2013
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.12
8 aprile 2013

Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.13
SCANSIONE EEG NELLA NORMA

Figura 10.14
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE

Figura 10.15A
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE

Figura 10.15B
ATTIVITÀ ELEVATA NEL LOBO FRONTALE

Figura 10.15C
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa
Connessione con il campo quantico
Connessione con il subconscio in stato theta,
parallelamente a una elevata attività
del lobo frontale

P3 – Si occupa dell’organizzazione delle informazioni


P4 – Si occupa del processo di visualizzazione
Pz – Si occupa dell’autoconsapevolezza
-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.16
RAGGIUNGERE L’ESTASI DURANTE LA MEDITAZIONE
PRIMA DELLA MEDITAZIONE DOPO LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

-3 -2 -1 0 1 2 3
Figura 10.17
ESTASI TOTALE DURANTE LA MEDITAZIONE
Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta

-3 -2 -1 0 1 2 3

Figura 10.18
AMPIEZZA DI BANDA
10 VOLTE SUPERIORE
ALLA NORMA

T3 Lobo temporale sinistro: comprensione verbale, area di Wernicke (voce interiore, memoria
a lungo termine) elaborazione episodica e dichiarativa, suddivisione degli eventi in sequenze,
visualizzazione, memoria, in relazione all’amigdala (risposte emotive)
e all’ippocampo (ricordi a lungo termine)

Figura 10.19
20 febbraio 2013 – Carefree, Arizona 11 luglio 2013 – Englewood, Colorado
Calcolo del punto Z – FFT energia relativa Calcolo del punto Z – FFT energia relativa

Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta Calcolo del punto Z – FFT energia assoluta

Figura 10.20
ATTIVITÀ DELLE ONDE CEREBRALI NELLA NORMA

ESPERIENZA DI ESTASI – KUNDALINI

Figura 10.21
Copyright © 2014 by Joe Dispenza
Published and distributed in the United States of America by Hay House Inc.
Titolo originale: You are the placebo
Traduzione: Ilaria Ortolina

Immagine di copertina e illustrazioni interne: John Dispenza


Grafici delle mappature cerebrali: dr. Jeffrey L. Fannin

© 2021 My Life
My Life srl, Coriano (RN)

Tutti i diritti riservati.

L’autore  di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica come forma di
trattamento per problemi fisici e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. L’in-
tento dell’autore è semplicemente quello di offrire informazioni di natura generale per aiutarvi nella vostra
ricerca del benessere fisico, emotivo e spirituale. Nel caso in cui usaste le informazioni contenute in questo
libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l’autore e l’editore non si assumono alcuna responsabilità delle
vostre azioni.

Potrebbero piacerti anche