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KARL MARX (TreviriPrussia, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883)

Il marxismo rappresenta una delle componenti intellettuali e politiche più importanti dell’età moderna. Il
suo pensiero spazia dalla filosofia alla sociologia, ma anche all’economia e si pone come obiettivo l’analisi
globale della società e della storia. Un secondo interesse di Marx è costituito dal legame con la prassi,
ovvero dalla sua tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo e del mondo che sia anche impegno di
trasformazione rivoluzionaria. Il suo ideale risulta quindi quello di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e
razionalità che Hegel aveva solo pensato. Le influenze che stanno alla base del marxismo sono:
1) la filosofia classica tedesca: da Hegel a Feuerbach;
2) l’economia politica borghese: da Smith a Ricardoscienza economica;
3) il pensiero socialista: da Saint-Simon a Owenpensiero politico della rivoluzione francese e successivo.
Scrive molti testi difficili e di diverso tipo: alcuni sono destinati a un pubblico solto (Capitalismo), alcuni
sono rivolti agli operai e quindi sono più semplici e chiari (Manifesto del partito comunista), altri sono
articoli per giornali europei e americano (il 18 brumaio di Luigi Bonaparte). Scrive inoltre altri testi che non
vengono pubblicati e sono quelli su Hegel, poiché non vuole essere criticato e dice di lasciarli alla critica dei
topi. È comunque nota l’influenza che Hegel ha su Marx ed è anche testimoniata da Liening.
LA QUESTIONE EBRAICA(1843): Marx risponde e prende una posizione riguardo a ciò che avano detto gli
altri e entra in polemica con alcuni Feuerbacchiani. Questi ultimi si chiedono come mai non tutti hanno
abbandonato la religione facendo riferimento agli ebrei. Se sono così attaccati alla religione è perché sono
perseguitati e più vengono perseguitati più si attaccano al loro credo. Se gli ebrei devono abbandonare la
religione, allora bisogna eliminare la discriminazione (quando gli ebrei avranno i stessi diritti dei tedeschi e
quindi saranno uguali agli altri, si estinguerà la religione). In America sono tutti uguali e religiosi e perciò per
Tocqueville non è vero che la religione si sviluppa in modo discriminatorio. Le nostre religioni dividono il
mondo in 2: aldiquà e aldilà.
1) ALDIQUA’(divisione): è il mondo hegeliano, il mondo di Hobbes, “mors sua vita mea”, il macellaio di
Hegel/Smith. È il mondo il cui tutti siamo divisi e egoisti (atomismo: ognuno va per conto suo)
2) ALDILA’(unione): tutti abbracciati da Dio e lasciano da parte le pochezze mondane.
Marx dice che questa divisione del mondo in de è isomorfo (stessa struttura e stesso funzionamento) con
un altro due. Le nostre tradizioni sono isomorfe al mondo moderno. Nella società civile siamo tutti
antagonisti (guerra di tutti contro tutti), è il mondo di Hobbes, ma tutti uguali nello stato. Diritti dell’uomo e
del cittadino, l’uomo è il soggetto della società civile, il cittadino è lo stato. Sia la religione, sia il rapporto
civile (società civile)-stato hanno lo stesso funzionamento. La sfera politica facilita i rapporti di
disuguaglianza della società civile. Hegel riprese France, è vero che in Francia c’è una legge uguale per tutti,
ad esempio è vietato dormire sotto i ponti, questo implica la differenza tra ricchi e poveri. Il povero ci deve
dormire per forza, non ha alternativa e per questo diventa “schedato”. Trattare tutti allo stesso modo non è
funzionale, si fa ingiustizia. Un importante autore fu Ehneick (conservatore) fa la stessa considerazione. Non
è un isomorfismo ma è l’uguaglianza giuridico-politica che ci fa più disuguali. Il tema della legge si trova in
Marx giovane.
LA CRITICA DEL MISTICISMO LOGICO DI HEGEL: Marx scrive “Critica della filosofia hegeliana del diritto
pubblico” (1843), nella quale, secondo lui, lo stratagemma di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche
delle manifestazioni necessarie dello spirito. Ad esempio invece di limitarsi a constatare che esiste la
monarchia, egli afferma che lo stato presuppone per forza una sovranità che si incarna necessariamente nel
monarca. Inoltre poiché ciò che è necessario, per Hegel, è anche razionale, egli ne deduce la piena logicità
della monarchia identificandola con la razionalità politica in atto. Marx lo misticismo logico poiché le
istituzioni, anziché comparire per quello che sono, finiscono per essere personificazioni di una realtà
spirituale che se ne sta occultata dietro di esse.
LA CRITICA DELLA CIVILTA’ MODERNA E DEL LIBERALISMO: alla base della teoria di Marx e dell’adesione al
comunismo, vi è la critica globale della civiltà moderna e dello stato liberale. Il suo punto di partenza è la
convinzione che la categoria del moderno si identifichi con quella della scissione che prende corpo nella
frattura tra società civile e stato. Se nella polis greca l’uomo non conosceva distinzione tra la sfera
individuale e quella sociale, tra società e stato, in quello moderno l’uomo è costretto a vivere due vite: una
in “terra“ come borghese e cioè negli interessi particolari della società civile, l’altra in “cielo” come cittadino
ovvero attento agli interessi comuni. Ma in realtà il fatto che lo stato si ponga come organo che si interessa
di tutti gli interessi particolari facendoli confluire in interessi comuni, è solamente illusorio. Marx spiega
tutto ciò con un esempio: così come i cristiani, pur essendo tutti disuguali in terra, si consolano pensando di
essere tutti uguali in cielo, allo stesso modo gli individui dell’epoca borghese, pur essendo tutti disuguali
nella società civile, si consolano di essere tutti uguali nello stato. Marx scorge i tratti essenziali della civiltà
moderna nell’individualismo e nell’atomismo, ossia nella separazione del singolo dalla comunità e siccome
lo stato post-rivoluzionario aveva legalizzato tra i diritti dell’uomo la libertà individuale e la proprietà
privata, esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturale a-sociale. Marx rifiuta inoltre
tutti gli aspetti della civiltà liberale compresi il principio di rappresentanza (che presuppone, già per
definizione, la scissione tra individuo e stato) e la libertà individuale (espressione dell’ ”atomismo”
borghese). Mentre Hegel pensava che tale cosietà si potesse ottenere con una serie di strumenti politici,
quali la corporazione e la burocrazia, Marx ritiene che l’unico modo per realizzare un modello di comunità
solidale sia l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini e il principio di ogni disuguaglianza è la
proprietà privata.
MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI DEL 1844: l’arma alla quale fa riferimento è la rivoluzione sociale e
il cui soggetto esecutore è il proletariato. Per Marx è proprio la classe priva di proprietà che soffre di più
dell’alienazione prodotta dalla società borghese. Marx mira infatti alla democrazia e all’uguaglianza
sostanziali, ovvero al recupero autentico dell’essenza sociale dell’uomo. L’alienazione in Hegel è qualcosa di
positivo e negativo al tempo stesso; in Feuerbach è negativo, poiché si identifica con il fatto che l’uomo
scindendosi si sottomette a una figura estranea, cioè dio; Marx si rifà a Feuerbach, ma a differenza sua, per
il quale l’alienazione era un fatto derivante da un’errata interpretazione del sé, Marx la considera un fatto
reale di origine socio-economica. L’alienazione dell’operaio viene quindi descritta sotto quattro aspetti:
1) RISPETTO AL PRODOTTO: egli produce un oggetto (capitale), in virtù del suo lavoro, che non gli
appartiene (l’operaio produce ma non se lo può permettere);
2) RISPETTO ALL’ATTIVITA’: la quale prende forma di un “lavoro forzato”, in cui l’uomo è strumento per
ricavare il profitto del capitalista e di conseguenza si sente bestia quando dovrebbe sentirsi uomo (cioè
nello svolgere un lavoro di utilità sociale) e si sente uomo quando si comporta da bestia (cioè quando si
stordisce nel mangiare, bere e procreare). Un chiaro esempio è quello dell’ombrellaio, infatti se l’ombrello
si rompe non lo si ripara, perché costa di meno comprarlo, ma ciò comporta una perdita dell’essenza;
3) RISPETTO AL GENERE O ESSENZA: il vantaggio dell’uomo rispetto all’animale è il fatto che quello umano è
un lavoro libero, creativo e universale; mentre nella società capitalistica è costretto a un lavoro forzato,
ripetitivo e unilaterale;
4) RISPETTO AL PROSSIMO: è costretto a un lavoro alienato verso il prossimo perché l’altro, per lui, è
soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come mezzo e lo espropria del frutto della sua
fatica.
La causa del meccanismo globale dell’alienazione risiede dunque nella proprietà privata dei mezzi di
produzione, in virtù del quale il possessore di fabbrica (capitalista) può usare il lavoro di una certa categoria
di individui (salariati) per accrescere la propria ricchezza. La dis-alienazione, secondo Marx, si raggiunge
solo con il superamento del regime della proprietà privata e con l’avvento del comunismo (ci sarà il lavoro
libero). La storia invece si configura come il luogo della perdita e della riconquista, da parte dell’uomo, della
propria essenza e il comunismo diviene la soluzione dell’enigma della storia. Hegel, secondo Marx, sbaglia
perché dice che il lavoro alienato ci sarà sempre, in realtà ha scambiato il lavoro per come è oggi, cioè come
un qualcosa di necessario e sempre presente. Per Marx invece il lavoro alienato è solo nella società
capitalistica e in quella precedente. Nella società capitalistica il lavoro è un gioco a somma zero, tanto più
prende uno, tanto meno prendono gli altri. Tutte le alienazioni, fino a quella linguistica, sono collegate tra
loro, infatti stato e lavoro alienato vanno di pari passo.(ebraiche=lavoro obbligatorio, tun=lavoro
libero/attività creativa).
IL DISTACCO DA FEUERBACH E L’INTERPRETAZIONE DELLA RELIGIONE: Feuerbach pur avendo sottolineato la
neutralità dell’uomo, ha perso di vista la sua storicità, non rendendosi conto di come l’uomo, più che
natura, sia società e quindi storia. Marx invece sostiene che l’individuo è reso dalla società storica in cui
vive, non esiste quindi l’uomo in astratto, ma l’uomo è figlio e prodotto di una determinata società e di uno
specifico mondo storico. Egli può sostenere che ogni discorso sull’uomo si risolva inevitabilmente in un
discorso sulla società e sulla storia. Secondo Marx, Feuerbach non è stato in grado di cogliere le cause reali
del fenomeno religioso, perché gli è sfuggito il fatto che a produrre la religione non è un soggetto astratto,
ma un individuo concreto e quindi le radici del fenomeno religioso vanno ricercate in una determinata
tipologia storica di società. Secondo Marx la religione è invece il prodotto di un’umanità alienata e
sofferente a causa delle ingiustizie sociali, una società che cerca nell’aldilà ciò che le è negato nell’aldiquà.
Quindi se la religione è il frutto malto di una società malata, l’unico modo per sradicarla è quello di
distruggere le strutture sociali che la producono.
LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA: alla base della storia vi è dunque il lavoro che Marx
intende come creatore di civiltà e di cultura e come ciò attraverso cui l’uomo si rende tale. Marx distingue
due cose:
1) FORZE PRODUTIVE: intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione, ossia: gli uomini che
producono (forza-lavoro); mezzi utilizzati per produrre (i mezzi di produzione: terra, macchinari ecc..); le
conoscenze tecniche e scientifiche che servono per organizzare e migliorare la produzione.
2) RAPPORTI DI PRODUZIONE: intende i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione
e trovano la massima espressione nei rapporti di proprietà. L’insieme dei rapporti di produzione e il
rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione costituiscono la struttura, ovvero lo scheletro
economico della società intesa come organismo complessivo. La sovrastruttura invece indica il materialismo
storico e cioè i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche e filosofiche; tutte queste
sono espressioni più o meno dirette dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica. Di
conseguenza è la struttura economica della società a determinare le leggi, lo stato, le religioni e le filosofie
(materialismo storico). Risulta che le vere forze motrici della storia non sono di natura spirituale, ma di
natura socio-economica. Il materialismo storico di Marx quindi si contrappone all’idealismo storico.
Dialettica storica: questo modello teorico trova la sua esemplificazione nella Francia del settecento, dove vi
fu uno scontro aperto tra la borghesia e l’aristocrazia. Vinse alla fine la borghesia che riuscì ad imporre i
proprio rapporti di proprietà e la propria visione del mondo. Marx inoltre arriva a dedurre che se è sociale
la produzione della ricchezza, ossia dovuta al lavoro collettivo di operai, tecnici e impiegati, altrettanto
sociale deve essere la distribuzione di essa. Ciò significa che il capitalismo porta in sé, come esigenza
dialettica, il socialismo. La legge della corrispondenza e della contraddizione tra forze produttive e rapporti
di produzione, permette di delineare un quadro generale della storia passata. Marx distingue quattro grandi
epoche: asiatica (fondata su forme comunitarie di proprietà), antica di tipo schiavistico, feudale e borghese.
A queste si aggiungono una comunità primitiva di stampo comunista e la futura società socialista. Marx
inoltre si distingue da Hegel riguardo la storia (totalità processuale dominata dalla forza e dalla
contraddizione):
1) il soggetto della dialettica storica non è più rappresentato dallo spirito, ma dalla struttura economica;
2) la “dialetticità” del processo storico è concepito “empiricamente” e scientificamente “osservabile”
attraverso i fatti;
3) le opposizioni che muovono la storia non sono astratte e generiche, bensì concrete e determinate.
LA CRITICA AGLI “IDEOLOGI” DELLA SINISTRA HEGELIANA: Marx chiama ideologi quei pensatori che vivono
nella falsa coscienza, perché non si rendono conto che le idee, in quanto rispecchiano le relazioni materiali
degli uomini, non hanno un’esistenza autonoma. Smarrendo i contatti con la realtà e ritirandosi nei loro
castelli speculativi, gli ideologi finiscono per:
1) sopravvalutare la funzione delle idee e degli intellettuali, vedendo le idee come gli avvenimenti e gli
in2tellettuali come i “fabbricanti” della storia;
2) presentano le proprie idee come sovratemporali e universalmente valide;
3) credere che tutto il negativo del mondo risiede nelle idee sbagliate e quindi forniscono un quadro che
deforma totalmente la realtà.
Marx a tutto ciò contrappone che:
1) le vere forze motrici della storia non sono le idee, ma le strutture economico-sociali;
2) le idee non hanno mai un valore sovratemporale in quanto rispecchiano sempre determinati interessi e
rapporti storici tra gli uomini;
3) la vera alienazione non risiede nelle idee ma nelle situazioni sociali concrete in cui gli uomini si trovano a
vivere, per cui la dis-alienazione dell’uomo non è un problema filosofico ma pratico-sociale risolvibile con la
rivoluzione;
4) il sapere effettivo può essere soltanto un sapere aderente al reale e non ideologico.
IL 18 BRUMAIO DI LUIGI BONAPARTE: tratta tre argomenti fondamentali:
1) tempi della rivoluzione (1800): aufebumviene superato il capitalismo con l’inizio del comunismo. Il
comunismo conserva le caratteristiche ma non i difetti, perché è il mondo delle quasi realizzazioni;
2) leggi: rendono più ricchi i ricchi e più poveri i poveri (France: è vietato dormire sotto i ponti la legge è
ingiusta perché tratta i diversi da uguali, i ricchi non ci dormono mentre i poveri sono costretti);
3) concetto di classe (il rischio in sé e non per sé è sempre presente): Marx diventa una sorta di Empedocle,
quando tra l’amore e l’odio, domina l’odio, le due forze non vogliono stare insieme. Quando la divisione è il
marchio di un’epoca si ha un’esplosione della borghesia. Anche Tocqueville vede la borghesia ridotta a un
interesse. Secondo Marx la borghesia lascerà il posto al comunismo. Mentre fino al manifesto non si
vedono le classi che scoppiano, dal 18 brumaio la borghesia scoppia (libro sull’iperalienazione del lavoro:
riduce la borghesia a classe polverizzata). Marx usa continuamente per la borghesia la parola frazione,
perché è una classe che si sta frammentando. Una classe è tale finchè agisce come un intero, quando
invece la trovo frammentata non è più un’unità.
IL MANIFSTO DEL PARTITO COMUNISTA (1848): Marx illustra i scopi e i metodi dell’azione rivoluzionaria e i
punti salienti sono:
1) l’analisi della funzione storica della borghesia;
2) il concetto di storia come lotta di classe e il rapporto tra proletari e comunisti;
3) la critica dei socialismi non scientifici.
Nella prima parte del manifesto Marx descrive come la borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali, a differenza delle classi
dominanti del passato che tendevano alla conservazione dei metodi di produzione. Ciò comporta che le
moderne forze produttive si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà, ancora privatistici e sottomessi
alla logica del profitto personale. Tanto che il proletariato non può fare a meno che mettere in opera una
dura lotta di classe volta al superamento del capitalismo e delle sue forme istituzionali e ideologiche. La
storia è stata fino ad ora caratterizzata da lotte di classe. Marx dice che le classi sono due: borghesi e
proletariato (operai e i lavoratori delle fabbriche), ma manca la classe dei contadini. I contadini infatti
vengono paragonati a un sacco di patate, ossia è un mondo dove ognuno pensa per sé e non son in grado di
formare una classe (sono una classe in sé e non per sé). Il manifesto inizia “La storia di ogni società esistita
fino a questo momento è la storia di lotte di classe”. Le classi però non le ha scoperte lui, bensì gli
economisti, così come le letto di classe le hanno scoperte gli storici (Guizot). Inoltre Marx sottolinea che
mentre i fatti naturali funzionano sulla causalità, i fatti umani funzionano mediante causa-effetto, causalità
reciproca (Hegel nella costituzione della Germania sottolinea due aspetti fondamentali: andare in guerra e
pagare le tasse). Un esempio di causalità reciproca (l’uomo) sono le scoperte geografiche (qualcosa che
dipende da qualcos’altro), la causalità (la natura) spengo o accendo la luce. Il manifesto è quindi un elogio
alla borghesia, ma questa classe verrà distrutta dal proletariato. La borghesia è inoltre responsabile di due
cose: ha fatto molte meraviglie; non può esistere senza i rapporti sociali, le rivoluzioni continue e quindi
rivoluziona: strumenti di produzione, rapporti di produzione e rapporti sociali che sono la somma dei due
sopracitati. Gli strumenti di produzione sono sempre gli stessi, mentre la borghesia ha due meriti: il primo è
scientifico, poiché produce sempre di più, sempre meglio e a prezzi inferiori; il secondo invece è
conoscitivo, ha introdotto lo sfruttamento aperto, spudorato e arido al posto di uno smascherato e
religioso. La borghesia inoltre ci ha disincantato poiché ci permette di non credere più alla fiaba della
nazione. (Se in passato si viveva alla maniera di Parmenide=fissità, ora si vive come Eraclito, tutto in
continuo cambiamento). Le rivoluzioni quindi accadono perché i strumenti di produzione e i rapporti di
produzione non cambiano alla stessa velocità. Per Marx la rivoluzione è come un parto, non bisogna né
avere fretta, né aspettare troppo tempo e il comunismo è qui e adesso come il feto che è quasi un bambino
e la proprietà privata sta per scomparire, poiché si sta sviluppando il comunismo. (Ricardo dice che la
macchina è talmente piena di scienza che basta un lavoratore, ma questa grande produttività non viene
sfruttata e comprata da nessuno, quindi o si cade nella catastrofe o nella rivoluzione). Il manifesto si
conclude con lo slogan “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”. Fa una critica ai socialismi precedenti:
SOCIALISMO REAZIONARIO: questo tipo di socialismo attacca la borghesia secondo parametri conservatori,
rivolti al passato piuttosto che secondo schemi rivoluzionari, rivolti al futuro. Esso presenta tre forme:
1) socialismo feudale: auspica l’abolizione della società capitalistica e il recupero di un passato pre-
rivoluzionario. I feudali inoltre cercano un’alleanza con il proletariato, i primi vogliono sostituire
l’alienazione attuale con un’alienazione passata, il secondo prima invece al superamento di ogni
alienazione.
2) socialismo piccolo-borghese: manifesta la sua rovina dovuta al capitalismo industriale e che vorrebbe un
ritorno all’industria manifatturiera e ai contadini.
3) socialismo tedesco: è di estrazione piccolo-borghese e rappresenta la traduzione germanica e filosofica
del socialismo francese.
SOCIALISMO CONSERVATORE: è costituito da coloro che ritengono che sia possibile rimediare agli
inconvenienti sociali del capitalismo senza distruggere il capitalismo stesso. Essi quindi vorrebbero la
borghesia senza il proletariato. Principale esponente è Proudhon che Marx accusò di del fatto che egli
volesse tollerare la proprietà non eliminandola, ma distribuendola tra i cittadini. Marx non ha capito due
cose di Proudhon: la proprietà è furto e nella società del futuro ognuno avrà quello che lavora. Riprende il
“Giudizio sulla proprietà privata”, nel quale qualcuno ha fatto un furto a qualcun altro, non esiste ingiustizia
nell’economia e nella società giusta ognuno verrà pagato secondo il suo lavoro (Aristoteleè giusto
trattare gli uguali da uguali e i diversi da diversi).
SOCIALISMO E COMUNISMO CRITICO-UTOPISTICI: è basato soprattutto sulle teorie di Saint-Simon, Fourier e
Owen. Questi autori hanno il limite, secondo Marx, di non riconoscere al proletariato una funzione storia e
rivoluzionaria autonoma e di fare appello a tutti i membri della società per una pacifica azione di riforme
muovendosi in tal modo in una dimensione moralistica e utopistica. A questo tipo di socialismo
“utopistico”, Marx contrappone il suo socialismo scientifico, basato sull’individuazione del proletariato
come forza rivoluzionaria destinata ad abbattere la borghesia. Saint-Simon (industrialista) è l’inventore
della società industriale moderna, Marx pensa che tutto il mondo diventerà industria e non ha difesa della
natura poiché va sfruttata al massimo per l’uomo. Gli piace anche l’ipotesi annichilatoria (di distruzione): se
tutti i nobili morissero, nessuno se accorgerebbe (sono come le albanelle, degli uccelli che mentre alcuni
fanno il nido gli altri guardano). Marx pensa che ormai la proprietà sia inutile, ma questa ipotesi viene
corretta con l’ipotesi di Fourier, poiché vuole fare delle fabbriche musicali e renderle piacevoli all’orecchio.
Owen invece crea una comunità “New armony”, pensa che il futuro sia fatto di unità tra il mondo del
consumo e del lavoro, cioè si consuma e si lavora negli stessi luoghi, è un sistema fatto di reti=abbattere le
irrazionalità. Il dramma dell’economia capitalistica è che se non c’è una rete, ognuno fa quello che fa l’altro.
(Thomas Munzen: allievo e poi nemico di Lutero perché partecipa alle rivolte contadine “Ciascuno secondo
le sue capacità, ciascuno secondo i suoi bisogni”. Questa frase riassume il pensiero di Marx ma è ingiusta
perché i portatori di handicap non possono dare quello che dà una persona normale ed ha spese superiori).
IL CAPITALE(1864 e sono 3 libri): Marx mette in luce i meccanismi strutturali della società borghese con il
fine di svelare lea legge economica del movimento della società moderna. Marx, a differenza di Smith e
Ricardo, è convinto che non esistano leggi universali dell’economia e che ogni formazione sociale abbia
caratteri e leggi storiche specifiche. Nel capitale si compra in base al prezzo, nella vita non è così perché se
va di moda una cosa costosa, la compriamo lo stesso. Nel 1° capitolo Marx analizza la merce (cellula del
capitalismo e ha natura religiosa), la quale deve possedere un valore d’uso, poiché deve servire a qualcosa,
deve cioè essere utile altrimenti nessuno la acquista, è inoltre diverso a seconda del mezzo e non dipende
dalla condizione sociale. Deve inoltre possedere un valore di scambio che garantisca la possibilità di essere
scambiata con altri merci. Il valore di scambio dipende però dalla quantità di lavoro, socialmente
necessaria, al meglio della tecnologia, per produrre la merce, più lavoro è necessario per produrla (teoria
del valore-lavoro). Ciò venne attaccato da Eugen Bohm-Bawerk, economista neoclassico austrico, che fa
l’esempio dei diamanti: per estrarre i diamanti ci vuole lo stesso tempo che per estrarre il carbone, ma
hanno un valore di scambio totalmente diversodipende dalla scarsità. (Hegel ha detto “chiarisci il tutto
che chiarisci anche le parti”: se fissi il mercato vedi il mondo degli uguali, ma il mercato non ci sarebbe se io
dovessi produrre e ricercare l’uguale. Anche Shraffa fa un esempio immaginando una società che produce
solo patate e vengono pagati con le patate per sopravviveresalario=merce). Secondo Marx tuttavia il
valore di una merce non si identifica del tutto con il suo prezzo, ma agiscono altri fattori come ad esempio
l’abbondanza o la scarsità del prodotto stesso. Ciò porta Marx a contesta il cosiddetto “feticismo delle
merci” che consiste nel considerare le merci come delle entità aventi valore di per sé, dimenticando invece
che esse sono il frutto dell’attività umana. La caratteristica peculiare del capitalismo sta nel fatto che la
produzione non è finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Di conseguenza il ciclo
capitalistico non è quello semplice di MDM, bensì in DMD’ (D’plusvalore). Il primo rappresenta il mondo
medievale, poiché il denaro serviva da intermediario tra le due merci, mentre la società capitalistica è un
mondo progettato verso l’incremento del denaro. Nella società borghese infatti il capitalista ha la possibilità
di “comprare” e “usare” una merce particolare che ha come caratteristica quella di produrre valore, si tratta
dell’operaio. Il capitalista poi paga il suo lavoro come una qualsiasi merce, ovvero secondo la quantità di
lavoro socialmente necessario a produrla. Tuttavia l’operaio ha la capacità di produrre, con il proprio
lavoro, un valore superiore a quello che gli è corrisposto con il salario. Il plusvalore discende quindi dal
pluslavoro dell’operaio e si identifica come l’insieme del valore da lui offerto gratuitamente al capitalista.
(Ricardo: i neoclassici spiegano lo scambio in termini di bisogno e scarsità, se ho bisogno il valore di
scambio aumenta. Marx, così come Ricardo, pensa che l’economia sia una scienza determinabile a priori.
Oggi si tende a dire che i beni agricoli crescono come i neoclassici (c’è la siccità i prezzi aumentano), e i beni
industriali crescono come i classici e come ha detto Marx, cioè economia una scienza esatta come la
matematica). Nel mondo del capitale c’è uno scambio perfetto ed è per questo che nessuno frega nessuno
e va contro Proudhon. Lo scambio, comunque lo si spieghi, Aristotele non era in grado di spiegarlo, poiché
non conosceva il lavoro astratto (5 letti costano 100 dracme così come una casaegli non poteva
eguagliare i lavori perché non erano uguali). Lo scambio, comunque lo si spieghi, Aristotele non era in grado
di capirlo perché non c’era il lavoro astrattoper Marx è come si lavora, non è quindi un’invenzione
scientifica, ma un mondo che va verso un’automazione totale (tutti si scambiano i prodotti perché sono
tutti l’effetto dello stesso scambio). Gli operai quindi non vanno sul mercato per guadagnare, ma per
realizzare il D’ maggiore possibile. Egli chiama saggio di profitto il rapporto tra: capitale variabile (chiamato
così perché coincide con il lavoro e i salari) e capitale costante (investimento sul materiale e sulle
macchine). Il saggio deve essere maggiore di zero e minore di infinito. La tendenza sull’investimento è però,
secondo Marx, quella di investire di più sul materiale e meno sui salari. Inoltre si rischia che accrescendo
smisuratamente le macchine e il materiale rispetto ai salari, diminuisce il saggio di profitto, causando una
caduta tendenziale (caduta del re d’Inghilterra). Questa caduta (tendenziale=che può essere contrastato)
porterebbe anche alla scissione della società in due classi antagoniste. Ciò degenera poi da un lato con una
minoranza ricchissima e dall’altro con una massa enorme di salariati, occupati e disoccupati. (Marx e gli
economisti pensavano che le grandissime aziende si sarebbero innovate e le altre eliminate, invece accadde
il contrario, cioè la tecnologia è stata sfruttata dalle piccole imprese e le grandi si sono accodate).
Le contraddizioni della società borghese rappresentano la bade oggettiva della rivoluzione del proletariato,
il quale, impadronendosi del potere politico, dà avvio alla trasformazione globale della vecchia società,
attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo. La rivoluzione comunista cancella ogni tipo di proprietà
privata, dando origine a un nuovo mondo. La socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio e quindi il
passaggio dei mezzi dai privati alle comunità, pone fine al fenomeno del plusvalore e dello sfruttamento di
classe. Egli inoltre sostiene che in questo caso la rivoluzione sarebbe la possibilità di una via “pacifica” al
socialismo. La rivoluzione deve mirare principalmente all’abbattimento dello stato borghese e delle sue
forme istituzionali. Il compito del proletariato non è quello di impadronirsi della macchina statale borghese,
manovrandola per i proprio scopi, ma quello di distruggerne i meccanismi istituzionali di fondo. Lo stato
moderno è visto da Marx come sovrastruttura di una società civile pre-statale dominata da gli interessi di
classe della borghesia. Lo stato per Marx è una macchina che può essere utilizzata da chiunque a proprio
arbitrio e piacimento. Nella lettera Weydemeyer Marx afferma esplicitamente che la lotta delle classi
necessariamente conduce alla dittatura del proletariato. La dittatura si configura quindi come la misura
politica fondamentale per il passaggio da capitalismo a comunismo. Secondo Marx, tuttavia, la dittatura del
proletariato è solo una misura storica di transizione che mira al superamento di sé stessa e di ogni forma di
stato.

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