Una particolare tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale è chiamata “Fracking”,
utilizzata per la prima volta in America nel 1947 dalla compagnia Halliburton e perfezionata in Texas nei decenni successivi. Questo metodo sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, è conosciuto anche con il nome di ‘fratturazione idraulica’ o “hydrofracking”, ed è impiegato per agevolare la fuoriuscita del petrolio o dei gas presenti nelle formazioni rocciose per consentirne un recupero più rapido e completo. Le fratture create nel terreno possono essere sia naturali che artificiali: in quest’ultimo caso è l’uomo a creare delle ‘fessure’ in determinati strati di roccia presenti nei giacimenti petroliferi. Fessure che poi vengono allargate, immettendo grandi quantitativi di acqua sotto pressione e mantenute aperte con sabbia, ghiaia e granuli di ceramica. Le diverse fasi che caratterizzano la tecnica del fracking sono tre: 1. Trivellazione: il pozzo viene perforato orizzontalmente ad una profondità di circa 3.000 metri. Il canale così creato viene rivestito con un tubo di cemento all’interno del quale vengono fatte slanciare delle piccole cariche esplosive per creare dei fori che lasceranno poi passare i liquidi e le sostanze chimiche nel terreno. 2. Pompaggio: completato il pozzo, vengono pompati nel terreno fino a 16.000 litri di liquidi sotto pressione al minuto, addizionati da agenti chimici e sabbia. L’immissione dei liquidi crea delle ‘spaccature’ nelle rocce liberando così i gas che risalgono rapidamente il tubo. 3. Raccolta: una volta fuoriuscito, il gas viene immagazzinato nei gasdotti e avviato alla raffinazione. Questa tecnica può essere invasiva, pericolosa e devastante tanto che viene definita “non convenzionale” utilizzata soprattutto per estrarre il metano, gas non facilmente estraibile con le tecniche tradizionali a trivellazione verticale. Con il tracking, i fluidi e le miscele chimiche vengono direzionate orizzontalmente e pompate ad una pressione tale da innescare micro-sismi che frantumano la roccia. Ci sono anche dei rischi che l’uomo e l’ambiente subiscono: innanzi tutto la contaminazione delle falde acquifere, dell’aria e del terreno causata dalla mescolanza di agenti chimici e liquidi inquinanti utilizzati per spaccare, impermeabilizzare e tenere aperte le rocce. Sono presenti sostanze tossiche e cancerogene tra le principali: naftalene, benzene, toluene, xylene, piombo, diesel, acido solforico, cloruro di benzile, ma sono presenti anche sostanze radioattive. Alcuni casi confermano la pericolosità del fracking nonostante i tentativi delle compagnie petrolifere di rassicurare l’opinione pubblica promuovendo l’affidabilità della tecnica. La radioattività sarebbe arrivata anche alle acque che confluiscono nei fiumi, spesso gli stessi che riforniscono di acqua potabile gli impianti di depurazione pubblici, con casi conclamati di intossicazione e patologie diffuse tra la popolazione Oltre alla contaminazione dell’acqua, il fracking è causa diretta anche dell’inquinamento atmosferico causato dal gas naturale sprigionato durante la perforazione. Infine c’è il problema connesso allo smaltimento dei rifiuti prodotti e quello relativo alla generazione di micro-sismi connessi all’attività di fratturazione che, sebbene localizzati e limitati, preoccupano gli esperti per il grado di instabilità a cui espongono gli strati più profondi della terra. Gli interessi economici sono tanti, e benché la questione abbia aperto un scontro globale sull’opportunità di vietare l’uso della tecnica, le compagnie energetiche sono sempre più disposte a dare battaglia per ottenere il diritto di continuare a perforare e accedere agli enormi giacimenti bloccati nelle viscere della terra. Mentre, in Europa, è vietato dalla legge, ma molti Paesi come Polonia, Gran Bretagna, Argentina, Cina, Brasile hanno avviato degli studi per testare e utilizzare la tecnica nonostante il forte rischio ambientale.